PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA · professione infermiere umbria 1 editoriale palmiro riganelli...

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SPEDIZIONE IN ABB. POSTALE ART. 20 LETT. C - LEGGE 662/96 FILIALE DI PERUGIA - PERIODICO DI COMUNICAZIONE INTERNA DEL COLLEGIO IP.AS.VI. DI PERUGIA INFERMIERE UMBRIA INFERMIERE UMBRIA PROFESSIONE ANNO XVII 2/2017 OVERCROWDING IN PRONTO SOCCORSO OVERCROWDING IN PRONTO SOCCORSO INDAGINE SULLA CONOSCENZA DEL PERSONALE SANITARIO INDAGINE SULLA CONOSCENZA DEL PERSONALE SANITARIO MODELLI ORGANIZZATIVI E ESITI DELLE CURE INFERMIERISTICHE MODELLI ORGANIZZATIVI E ESITI DELLE CURE INFERMIERISTICHE DOVE VA L’INFERMIERISTICA? DOVE VA L’INFERMIERISTICA?

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INDAGINE SULLA CONOSCENZADEL PERSONALE

SANITARIO

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MODELLI ORGANIZZATIVIE ESITI DELLE CURE

INFERMIERISTICHE

MODELLI ORGANIZZATIVIE ESITI DELLE CURE

INFERMIERISTICHE

DOVE VAL’INFERMIERISTICA?DOVE VAL’INFERMIERISTICA?

ANNO XVII - N° 2 - 2017

DIRETTORE RESPONSABILEPalmiro Riganelli

CAPO REDATTORECaterina Sannipoli

COMITATO DI REDAZIONEValentina AlunnoStefania De SantisFabrizio FainaPalmiro RiganelliCaterina Sannipoli

SEGRETERIA DI REDAZIONEValentina Alunno

EDITORECollegio IP.AS.VI. di PerugiaVia Manzoni, 82Ponte San Giovanni - PerugiaTel.: 075-59 97 832Fax: 075-5997832E-mail: info@ipasviperugia

STAMPADimensione Grafica - Spello

Finito di stampare: novembre 2017

NOTE REDAZIONALILe norme editoriali sono pubblicate sul sito www.ipasviperugia.it nella se-zione “rivista”. Si invitano gli autori a rispettare le norme editoriali nella stesura dei contenuti e degli articoli da sottoporre alla prevista valutazio-ne del comitato di redazione. I lavori vanno inviati a: www.ipasviperugia.it

1 EDITORIALE PALMIRO RIGANELLI

4 MODELLI ORGANIZZATIVI E ESITI DELLE CURE INFERMIERISTICHE ROSITA MORCELLINI, MARCO ZUCCONI

8 DOVE VA L’INFERMIERISTICA? AVIANO ROSSI

10 APRIRE LE TERAPIE INTENSIVE: GESTO DI CIVILTÀ E RISORSA TERAPEUTICA Prosegue l’iter della proposta di Legge a firma Maria Antezza per una differente regolamentazione delle visiting policies italiane CHIARA MEARELLI

13 OVERCROWDING IN PRONTO SOCCORSO Luci ed ombre di un servizio al limite FRANCESCO DOTTORI

18 INDAGINE SULLA CONOSCENZA DEL PERSONALE SANITARIO CINZIA VENTURI, PATRIZIA CERNICCHI, ALESSIO SPACCI

23 IL SOSTEGNO DEL COLLEGIO A FAVORE DEI COLLEGHI COLPITI DAL SISMA CHE HA COLPITO L’ITALIA CENTRALE A CURA DELLA REDAZIONE

26 MIGLIORARE LA COMUNICAZIONE IN TERAPIA INTENSIVA NEONATALE Rivolta ai familiari di neonati affetti da condizioni life-limiting alla luce delle recenti evidenze scientifiche MARTA CORTONA, CATIA CRUCIANI, FABRIZIO FAINA, DANIELA FIORUCCI, DANIELA ROCCHI CLAUDIA TRAVERSINI, ROBERTA VESCARELLI

28 L’EVOLUZIONE DELLA FORMAZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE IN UMBRIA La laurea Magistrale in scienze infermieristiche ed ostetriche MIRELLA GIONTELLA, LUCIA GIULIANI, CHIARA GORACCI, FRANCESCA KERKENI, ELISA ROSI, ANNA SALVATORI

30 LA SEGRETERIA INFORMA A CURA DELLA REDAZIONE

32 IL C.I.V.E.S. SI RINNOVA AVIANO ROSSI

Sommario

Claude Monet, La Gazza (1868-1869),Parigi - Musée d’Orsay

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EDITORIALEPALMIRO RIGANELLI PRESIDENTE DEL COLLEGIO IP.AS.VI. DI PERUGIA

IL BILANCIO DI UN TRIENNIO DI POLITICHE PROFESSIONALI DEL COLLEGIO IP.AS.VI. DI PERUGIA

– l’insieme dei servizi sanitari, ed il loro livello qualitativo, continua ad essere garantito grazie all’impegno e al senso di responsabilità di tutti i professionisti sanitari, primi tra tutti gli infermieri;

– le principali difficoltà sono derivate dal mancato reintegro del personale, dall’aumento dell’età media degli operatori dedicati all’assistenza, dalla lentezza con cui si definiscono e si affrontano i cambiamenti necessari all’interno del SSR;

– l’allineamento e l’equilibrio tra la domanda e l’offerta sani-taria, tra costi ed esiti/risultati è correlato alla ridefinizione dei processi di lavoro, dei modelli organizzativi ospedalieri ed alla ridefinizione dell’offerta assistenziale nel territorio nonché nell’assistenza domiciliare;

– si riscontra un aggravamento della sofferenza occupaziona-le soprattutto derivata dalla debole o assente domanda pub-blica sottoposta a vincoli di spesa, correlata ad un aumento del peso dell’aumento dei costi sostenuti direttamente dai cittadini per la soddisfazione dei bisogni di assistenza che non trovano risposta nel servizi pubblico.

Abbiamo valutato e attenzionato il nuovo contesto demogra-fico ed epidemiologico e come stiano evolvendo le professio-

entili colleghi,non essendo riusciti a farlo direttamente, come avremo vo-luto attraverso una serie di incontri che abbiamo provato ad organizzare senza riuscirci per diversi e numerosi impegni quotidiani, voglio condividere con tutti voi il bilancio di un triennio di politiche professionali finalizzate allo sviluppo e al consolidamento del valore della professione infermieristica all’interno del nostro sistema socio sanitario.Un triennio che fin dall’inizio è stato caratterizzato dal per-manere di evidenti difficoltà economiche e finanziarie e dal-le relative ripercussioni che queste hanno avuto sul sistema socio sanitario.La situazione economica ha mostrato deboli segni di migliora-mento ma la permanenza di vincoli di spesa impattano ancora oggi, significativamente su tutta la pubblica amministrazione.I servizi sanitari e socio sanitari hanno continuato, comun-que, a dover fare i conti con restrizioni economiche che han-no determinato la contrazione continua dell’offerta sanitaria e la necessità di rivedere le diverse modalità con cui riuscire a garantire i livelli di assistenza e l’organizzazione dei servizi.Nel nostro contesto regionale, comunque, possiamo eviden-ziare alcuni elementi importanti:– il SSR, anche se con grandi difficoltà, tiene meglio di altri

ed è valutato positivamente dai cittadini umbri e non solo;

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Abbiamo continuato a difendere e consolidare l’identità del-la professione nei nuovi processi socio- sanitari e tutelato la professione da qualsiasi forma di esercizio abusivo come ele-mento imprescindibile per garantire sviluppo professionale e tutela della salute cittadino.Abbiamo valorizzato il Coordinamento regionale dei Collegi IP.AS.VI. dell’Umbria quale strumento strategico di politica pro-fessionale per il consolidamento e lo sviluppo dell’infermieristica.Abbiamo investito molto sullo sviluppo della cultura della ri-cerca scientifica e del ruolo dell’infermieristica attraverso il miglioramento di percorsi formativi di base e post base non-ché l’istituzione di quelli specialistici. Per la prima volta dal 2016 anche nella nostra Università degli Studi di Perugia è stato attivato il primo corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche.Abbiamo costituito, all’interno del Collegio, un gruppo di la-voro per la ricerca infermieristica e organizzato corsi di for-mazione per migliorare le competenze di accesso alle banche dati biomediche e lo sviluppo della cultura della ricerca di informazioni scientifiche.Abbiamo garantito collaborazione e supporto al Nucleo C.I.V.E.S. della Provincia di Perugia, in attività formative (re-alizzazione di un corso di formazione) e con un contributo economico di € 3.090,00 specificatamente dedicato all’ac-quisto di n. 10 divise complete da destinare ai soci C.I.V.E.S. per le attività istituzionali.Abbiamo costituito e rappresentato il Coordinamento regio-nale delle professioni sanitarie (Co.Re.P.S). Abbiamo definito e sottoscritto con la Regione Umbria un protocollo di intesa per la definizione e attuazione di un Modello Organizzativo attuativo degli art.li 7 e 8 della legge regionalen. 18 e della legge n. 251/2000, per la costituzione della Con-sulta Regionale delle Professioni Sanitarie nonché per la co-stituzione di un Ufficio di Direzione presso l’Assessorato alla Sanità della Regione Umbria formato da professionisti appar-tenenti ai diversi profili delle professioni sanitarie con speci-fiche competenze professionali, nel governo di processi assi-stenziali ed organizzativo- gestionali di interesse del S.S.R.Sinteticamente nel corso del triennio abbiamo:– definito e condiviso il “Progetto Infermiere di farmacia” in

accordo con la Regione Umbria e l’Ordine dei Farcisti della provincia di Perugia;

– richiesto e collaborato alla definizione della D.G.R. con la quale si prevede e si regolamenta, per la prima volta in Um-bria, l’istituzione degli ambulatori infermieristici a comple-ta responsabilità infermieristica;

– progettato un sistema di Accreditamento professionale de-gli iscritti all’Albo del Collegio IP.AS.VI. di Perugia;

– accreditato il Collegio IP.AS.VI. di Perugia quale provider E.C.M., prima provvisorio poi standard, presso la Regione Umbria; e n. 17 eventi per complessive 180 ore di forma-zione offerta per circa 1000 iscritti partecipanti, erogando totalmente circa 1.200 crediti E.C.M. in forma del tutto gratuita;

– rivisitato la Rivista professionale prodotta dal Collegio IP.AS.VI. di Perugia per renderla più utile, più efficace e più appropriata ai bisogni degli iscritti;

ni sanitarie. Il S.S.R. non è messo in discussione ma sembra sempre più necessario una ridefinizione dell’orientamento delle regole del sistema e delle modalità di erogazione dei servizi sia in ambito ospedaliero che territoriale.Abbiamo contribuito ad affrontare queste difficoltà elaboran-do progetti, presentando proposte ed impegnandoci diretta-mente per farle accoglierle, per riuscire ad incidere sempre più sui decisori e proporci come soggetti capaci di confron-tarsi, di rappresentare e veicolare elementi utili al sistema per rivedere l’organizzazione e la gestione dell’assistenza oltre che per sostenere la motivazione dei professionisti.Svolgere la funzione di rappresentanza professionale in un quadro economico e sociale così complesso non è stato pro-prio facile. Molte di queste questioni non attenevano diretta-mente al governo dalla professione e dalla sua rappresentan-za, ma, c’è ne siamo, comunque, fatti carico offrendo spunti ed elementi di discussione e di orientamento decisorio.Abbiamo presidiato le forti tensioni che vivono i colleghi che non riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro, le strane for-me di precariato, l’affanno professionale e lavorativo di chi opera in condizioni rese sempre più difficili dalla stanchezza e dalla demotivazione. Ma ci siamo fatti forti anche dei tanti colleghi che vogliono continuare a guardare avanti, continua-re a credere nella professione, nel suo valore per i cittadini, nella sua crescita e nel suo sviluppo. Abbiamo visto che sono sempre di più quelli che ci credono e si uniscono per irro-bustire e diffondere la voglia di essere protagonisti del futu-ro della professione infermieristica quale valore aggiunto del nostro sistema salute.In questi ultimi anni abbiamo dimostrato di essere capaci di costruire relazioni, di saperci porre con equilibrio, compat-tezza e unitarietà d’azione, con le istituzioni e con le altre professioni sanitarie.La capacità di proporci con funzioni di leadership, di pro-gettazione costruttiva e di aggregazione, anche nei confronti delle altre professioni, è stata la chiave che ci ha permesso di giocare da protagonisti.Dopo averne tanto parlato, oggi, possiamo cominciare a ri-scrivere le pagine del futuro del nostro S.S.R. e soprattutto le modalità di erogazione dell’assistenza ai nostri cittadini.In questo triennio abbiamo continuato a gestire l’Ente Col-legio in modo virtuoso secondo i principi della massima tra-sparenza e partecipazione anche per sostenere le politiche di sviluppo dei servizi.Abbiamo garantito solidità economica del bilancio, ed eroga-to tutti i servizi in forma gratuita (servizi di segreteria, parte-cipazione a corsi di formazione, convegni/congressi, abbona-mento banca dati Cinhail nella formula complete, consulenza legate extragiudiziale, consulenza per la libera professione, consulenza sull’assicurazione professionale, rivista professio-nale, accreditamenti E.C.M., eventi di associazioni infermie-ristiche, Rivista, P.E.C., ecc,). nonostante la duplice riduzio-ne della quota annuale, prima a 50 € nel 2016, e poi a 45 € nel 2017. Quota di iscrizione più bassa tra tutti i collegi del territorio nazionale.Abbiamo cercato di rendere il nostro Collegio sempre più punto di riferimento dei professionisti iscritti all’Albo, delle istituzioni e, soprattutto, dei cittadini.

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– presidiato, insieme alla Federazione Nazionale, alla Prote-zione Civile e al Nucleo C.I.V.E.S. le drammatiche vicende del terremoto che ha colpito l’Italia centrale. Si è garan-tito un supporto professionale ed economico attraverso la disponibilità e la presenza dei colleghi del C.I.V.E.S.; si è sospeso immediatamente il pagamento del contributo an-nuale quale quota di iscrizione all’albo professionale, si è erogato un finanziamento immediato di € 2.000,00 come Coordinamento dei collegi IP.AS.VI. dell’Umbria, si è mes-so a disposizione di tutti gli iscritti residenti nei comuni in-teressati dal sisma una ulteriore quota di € 9.882,74 erogati dalla Federazione Nazionale oltre ad € 5.000 erogati da E.N.P.A.P.I.;

– provveduto a garantire la formazione al personale dipen-dente del Collegio. Nel rispetto della normativa contrat-tuale, si è definita la programmazione delle ferie annuale, l’attribuzione e la valutazione degli obiettivi di risultato, l’erogazione dei buoni pasto, nonché a tutto quanto ne-cessario e previsto dalla normativa vigente per la tutela della salute, la sorveglianza sanitaria e la valutazione dei rischi;

– garantito la manutenzione ordinaria della struttura che ospita gli uffici del Collegio e tutte le attività necessarie per l’efficientamento degli impianti, degli strumenti e dei servizi necessari al buon funzionamento dell’Ente;

– completato la messa a regime del parco macchine e arredi d’ufficio e predisposto ed inviata ad A.N.A.C. entro i ter-mini stabiliti per la pubblicazione, la relazione sui contratti e servizi;

– aggiornato il Portale del Collegio e adattato alle sempre maggiori esigenze comunicative ma anche al rispetto del-la normativa in materia di Trasparenza e Anticorruzione e Privacy, e accesso agli atti;

– posto in essere una campagna di sensibilizzazione e di recu-pero dei crediti relativi alle quote dovute dagli iscritti quale contributo annuale per l’iscrizione all’Albo professionale.

Nonostante l’elevato numero di attività svolte, i numerosi ser-vizi offerti in forma gratuita a tutti gli iscritti e la riduzione della quota di iscrizione, le condizioni economiche dell’En-te Collegio IP.AS.VI. della Provincia di Perugia sono sicura-mente buone e sostanziate da un Bilancio sano nel rispetto dei criteri della buona gestione/amministrazione e delle normati-ve/regolamenti vigentiUn grazie doveroso e sincero a tutti i colleghi del Consiglio Direttivo, del Collegio dei Revisori dei Conti, delle diverse associazioni e di tutti i singoli iscritti che ci hanno sostenuto e che hanno contribuito con impegno e competenzaUn ulteriore ringraziamento, ed un pensiero particolare, a tut-ti colleghi colpiti dal sisma e a tutti gli iscritti che tanto hanno fatto per assistere ed aiutare tutta la popolazione colpita da questa tragedia. Un altrettanto sincero augurio di buon lavoro a tutti quelli che continueranno a lavorare per lo sviluppo del-la professione Infermieristica.

Buone feste a tutti. Q

– collaborato con enti/istituzioni e con le diverse associazioni professionali, Coordinamento Regionale Caposala e Coor-dinatori e con l’associazione nazionale infermieri di area critica e terapia intensiva per la realizzazione di eventi for-mativi anche attraverso l’accreditamento E.C.M. da parte di questo Collegio IP.AS.VI. e con la concessione di nume-rosi patrocini e utilizzo del marchio a titolo gratuito;

– attivato e messo a regime tutta la procedura per la traspa-renza e anticorruzione, secondo quanto previsto dalla nor-mativa vigente, compreso la nomina del Responsabile per l’anticorruzione, la definizione e approvazione del Piano triennale per la trasparenza e l’anticorruzione, definizione e adozione del regolamento sull’accesso agli atti, definizione e adozione del regolamento di comportamento dei dipen-denti. Definite e pubblicata per ogni anno le relazioni an-nuali del Responsabile per la trasparenza e l’anticorruzione;

– attivato in forma stabile 8 gruppi di lavoro che si sono oc-cupati della gestione iscritti/accreditamento e sviluppo pro-fessionale, comunicazione, associazioni prof.li-assicurazio-ne e libera prof.ne, provvedimenti disciplinari, trasparenza, anticorruzione e privacy, ricerca e risorse umane;

– garantito il contributo del Collegio, per tramite il coordina-mento regionale, alla definizione del fabbisogno formativo per la definizione del numero dei posti per l’accesso al Cor-so di Laurea in infermieristica dell’Università degli Studi di Perugia;

– continuato a sostenere la libera professione attraverso un confronto ed un supporto sistematico, si è garantito un ser-vizio di Sportello della libera professione, in forma gratu-ita, per tutti gli iscritti nel corso del 2015 con un notevole numero di accessi;

– sostenuto e continuiamo a sostenere, la realizzazione e lo sviluppo di modelli organizzativi assistenziali innova-tivi anche attraverso la costituzione “ad opponendum” nel ricorso presentato ad alcuni sigle sindacali mediche (C.I.M.O.-A.A.R.O.I.) contro la delibera istitutiva dell’Uni-tà di degenza a gestione infermieristica (U.D.I.) presso l’A-zienda Ospedaliera di Perugia.

– nel rispetto della normativa vigente attivato, tramite affidamen-to diretto in economia, tutti i servizi/forniture del Collegio;

– garantito la nostra presenza all’interno del Comitato Uni-versitario di Bioetica, nonché all’interno della Commissio-ne Nazionale E.C.M.;

– continuato il processo di monitoraggio ed informazione re-lativamente all’obbligatorietà dell’iscrizione all’Albo Pro-fessionale per l’esercizio della professione;

– attenzionato le forme di pubblicità sanitaria per i colleghi libero professionisti iscritti all’Albo Professionale;

– continuato a garantire la procedura di accertamento della lingua italiana e conoscenza della normativa etico deonto-logica in forma gratuita agli infermieri stranieri comunitari e non comunitari;

– garantito la partecipazione dei rappresentanti del Collegio in seno alle commissioni nelle diverse sedi territoriali dei corsi di Laurea in infermieristica;

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miere quale professionista autonomo e responsabile. Nello stesso tempo ne ri-duce fortemente le potenzialità, in ter-mini di reale e globale presa in carico dell’assistito, con peggioramento degli esiti sensibili alle cure infermieristiche.Nel nostro paese le recenti riforme sa-nitarie e le evoluzioni professionali av-venute nell’ultimo ventennio creano un terreno fertile per l’implementazione di modelli organizzativi nuovi e per ri-spondere allo sviluppo delle competen-ze dei professionisti ed alla necessità di garantire cure di qualità e sicure per le persone assistite, tra cui quello del Primary Nursing.

Cambiare l’organizzazionedel lavoro degli infermieri

Il Primary Nursing nasce e si sviluppa con successo negli USA, all’University

ne approfondita della tematica. I sistemi organizzativi per l’erogazione dell’assi-stenza infermieristica sono centrati sui pazienti e i più descritti in letteratura sono: il team functional nursing (assi-stenza per compiti/per piccole équipe), il primary nursing (assistenza con in-fermiere referente/responsabile), ed il patient focused care (assistenza centra-ta sul paziente). Lo storico modello organizzativo per compiti (functional nursing), vincola-to prevalentemente ad attività mediche ed ancora purtroppo predominante in Italia, sebbene risponda all’esigenza di ottenere il massimo numero di presta-zioni con un numero ridotto di risorse umane e materiali, garantisca una certa efficienza e richieda un tempo limitato per la pianificazione delle attività e un buon controllo sulle stesse, non permet-te di riconoscere, da parte delle perso-ne assistite e dei loro familiari, l’infer-

Introduzione

n modello organizzativo può essere definito come l’insieme del-le regole che sono state stabilite in seno all’organizzazione e che guidano l’agire di una determinata categoria di profes-sionisti.Il dibattito sui modelli organizzativi di erogazione delle cure infermieristiche è molto vivace sia in letteratura che tra gli infermieri del nostro Paese. Tutta-via, la terminologia utilizzata, talvolta importata da sistemi infermieristici di altri paesi, come ad esempio il Primary Nursing, oppure da linguaggi mana- geriali, come ad esempio lo Shared Governance, ostacola una comprensio-

ROSITA MORCELLINI, MARCO ZUCCONI INFERMIERI DIPARTIMENTO PROFESSIONI SANITARIE - AZIENDA OSPEDALIERA DI PERUGIA

MODELLI ORGANIZZATIVIE ESITI DELLE CURE INFERMIERISTICHE

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e confortati da una relazione indivi-dualizzata e competente;

– aumentare la soddisfazione degli infermieri attraverso la responsabi-lizzazione che, a sua volta, aumenta anche la professionalità;

– aumentare la soddisfazione della fa-miglia meglio informata e integrata nelle cure;

– sviluppare la collaborazione tra i membri del team curante;

– sviluppare una governance secondo un modello organizzativo infermie-ristico orizzontale;

– migliorare la relazione riducendo i contenziosi tra cittadini e aziende sanitarie;

– individuare e valorizzare le compe-tenze;

– documentare e valutare, anche at-traverso studi retrospettivi, la qua-lità dell’assistenza rendendola “visi-bile” anche dopo l’azione;

– sviluppare la sicurezza anche in ra-gione della riduzione dei passaggi d’informazione e la riduzione del-le persone coinvolte nel processo di cura della singola persona;

– sviluppare la collaborazione con le cure domiciliari, in una prospettiva di continuità assistenziale.

Sulla base della letteratura l’applica-zione di questo modello organizzati-vo è risultata una scelta funzionale in quanto:a. risponde in prima istanza alla ri-

sposta al bisogno assistenziale del-le persone attraverso interventi dif-ferenziati secondo la complessità dello stesso. Ne può conseguire un miglioramento della qualità perce-pita da parte del malato e dei suoi caregiver;

b. sostiene la qualità nell’assistenza erogata influenzando anche la ca-pacità di autocura delle persone as-sistite. Ne consegue che l’applica-zione di tale modello organizzativo potrebbe sostenere la continuità as-sistenziale attraverso sia il migliora-mento da parte della persona assi-stita nella gestione autonoma della propria cura sia un raccordo con i

le da parte dell’utenza); perciò un sin-golo professionista sarà il responsabile delle cure di un determinato paziente, dall’ammissione in Struttura sino alla dimissione.

L’infermiere di riferimento: – è il detentore unico di tutte le infor-

mazioni riguardanti il paziente e il responsabile della trasmissione to-tale o parziale di tali informazioni;

– è il professionista che accerta, pia-nifica, valuta l’efficacia degli inter-venti assistenziali e la qualità del- l’assistenza per il gruppo di pazienti assegnati alle sue cure;

– redige e condivide col paziente e i familiari il piano di cura, orientato a esiti realistici e perseguibili;

– è colui che presta assistenza diret-ta e supervisiona l’applicazione del piano di cure da lui formulato, attua-to direttamente o delegando compi-ti ed attività ad altri collaboratori (infermiere associato e/o personale di supporto). Gli “Associate Nurse” garantiscono la continuità del piano di cura sviluppato dall’infermiere di riferimento, quando questi è assente dal servizio a vario titolo;

– è il punto di riferimento per tutti gli attori che ruotano intorno all’utente e collaborano alla realizzazione del piano assistenziale;

– è colui che pianifica la dimissione precoce del paziente garantendo continuità alle cure e sicurezza (fa-vorendo un rientro ottimale al do-micilio o un trasferimento ad altro setting di cura).

Sulla base di quanto sopra il modello ga-rantisce la continuità delle cure, la perso-nalizzazione e la globalità dell’assisten-za ed è uno strumento organizzativo che aiuta gli infermieri a mettere in atto le competenze teorico pratiche possedute. L’attivazione del modello del Primary Nursing persegue l’estensione del mo-dello di cure basato sulla relazione e guidato dalle risorse per perseguire gli obiettivi di:– aumentare la soddisfazione dei pa-

zienti che saranno meglio informati

of Minnesota Hospital, negli anni ’60, parallelamente alla crescente impor-tanza che acquisivano il processo di nursing, le teorie del nursing così co-me la loro applicazione alla pratica cli-nica, il tutto supportato dallo sviluppo sempre più crescente della ricerca in-fermieristica.Anche presso l’Azienda Ospedaliera di Perugia, con l’adozione e l’implemen-tazione della documentazione assisten-ziale informatizzata, si è reso necessa-rio rivedere il modello organizzativo assistenziale, tradizionalmente orienta-to ad un assistenza per compiti e inizia-re l’esperienza del Primary Nursing in alcune Strutture “pilota”.Il Primary Nursing è un mezzo, uno strumento attraverso il quale gli infer-mieri applicano il processo di nursing così come veniva già ipotizzato dalla stessa Nightingale: un’assistenza com-petente centrata sul paziente e fondata sulla relazione.Gli elementi costitutivi del Primary Nursing definiti da Marie Manthey, do-cente americana e infermiera teorica del modello, sono:1. l’attribuzione e l’accettazione da

parte di ciascun professionista del-la responsabilità personale nel pren-dere delle decisioni; con questo ap-proccio decisionale decentralizzato il flusso comunicativo viene sempli-ficato e tutte le decisioni prese sono basate sulla conoscenza dei bisogni della/del paziente e sulla relazione con essa/o e con i suoi familiari;

2. l’assegnazione dell’assistenza quo-tidiana secondo il metodo dei casi (case method);

3. la comunicazione diretta da persona a persona;

4. presenza di una persona operativa-mente responsabile per la qualità dell’assistenza erogata ai pazienti di un reparto 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana.

Tutti e quattro i punti sono necessari al-la completezza del modello ma il vero “core” è rappresentato dall’assegnazio-ne della responsabilità per le decisioni assunte ad un unico infermiere primary o infermiere di riferimento (accezione più forte e maggiormente comprensibi-

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maggiore autonomia, controllo sulla pratica, soddisfazione sul lavoro de-gli infermieri. Inoltre, c’è meno tur-nover e migliori risultati sui pazienti in termini di esiti.

– modelli professionali innovativi quali l’introduzione di infermieri specia-lizzati/esperti, case manager hanno un effetto su costi, soddisfazione del paziente e coordinamento dell’assi-stenza.

In letteratura non emerge un model-lo organizzativo esemplare verso cui orientarsi, ma piuttosto la ricerca e l’in-tegrazione di diverse soluzioni adatte a quel contesto, a quei pazienti e a quel gruppo infermieristico. C’è però con-cordanza che il modello funzionale per compiti sia ormai definitivamente su-perato e non più in linea con l’infer-mieristica moderna, perciò si auspica che anche in Italia sia presto definitiva-mente abbandonato a favore di un mo-dello più attuale. Ciò sarà possibile solo quando le dota-zioni organiche saranno basate su stan-dard infermieristici e non su meri con-tenimenti di costi per il personale. Non a caso ampie evidenze della letteratura hanno dimostrato che la sicurezza dei pazienti e la qualità delle cure erogate è strettamente correlata con il numero degli operatori impegnti nell’assistenza.

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zione, la gestione di alcuni sintomi, ecc. Inoltre, è possibile misurare i costi, l’ef-ficienza (riduzione del tempo dedicato a particolari attività, ad esempio accet-tazione dei pazienti), la riduzione delle riammissioni, la soddisfazione e stabili-tà dell’equipe infermieristica.Dalla analisi della letteratura non sono state trovate revisioni sistematiche esi-stenti sull’argomento. Gli studi trova-ti sulla relazione tra primary nursing e qualità dell’assistenza sono tutti piutto-sto datati e hanno dato risultati contra-stanti. Inoltre il primary nursing viene di fatto solo confrontato con il team nursing.Uno studio longitudinale durato 5 anni e condotto alla fine degli anni ’80 ha confrontato reparti organizzati con il modello primary nursing e con il team nursing. L’assistenza nei reparti con pri-mary nursing era di qualità più elevata, gli infermieri erano più soddisfatti del lavoro, c’era minore turnover e costi più bassi per giornata di degenza.Uno studio britannico del 1996, ha in-dagato se i pazienti assistiti secondo il primary nursing riuscivano ad identifi-care un infermiere come il loro referen-te ed erano, per questo, più soddisfatti. Sono state osservate piccole differenze per la percezione degli infermieri e de-gli operatori di supporto nel sostegno nel lavoro, supervisione, autonomia e pressione del lavoro a favore del prima-ry nursing rispetto al team nursing.Altri autori nel 2006 hanno esamina-to tre ospedali dove si attuavano rispet-tivamente modelli di team nursing, case management e primary nursing senza os-servare sostanziali differenze nella sod-disfazione degli infermieri e dei pazienti.

Conclusioni

Anche se non è ancora possibile capi-re quale modello dia i migliori risulta-ti, la revisione della letteratura sugge-risce che:– la qualità dell’assistenza ai pazienti

si raggiunge in ambienti in cui c’è un elevato grado di soddisfazione di pazienti e operatori sanitari.

– negli ambienti con modelli assisten-ziali orientati alla globale presa in carico del paziente si percepiscono

servizi territoriali qualora la perso-na abbia necessità di supporto orga-nizzato;

c. determina un’assunzione di respon-sabilità diretta e riconosciuta da par- te del professionista concorrendo da una parte a ridurre il percepi-to di appiattimento professionale e, dall’altra, a differenziare la presa in carico secondo il principio della competenza, della complessità as-sistenziale e della interdipendenza;

d. sostiene l’autonomia di ogni singolo professionista quale elemento stra-tegico per lo sviluppo della respon-sabilità e dell’autonomia.

A questi aspetti di positività, nell’intro-duzione del modello organizzativo pro-posto, è necessario ricordare gli aspet-ti critici documentati dalla letteratura. Tali aspetti richiamano a:a. difficoltà nell’implementazione di

tale modello determinata priorita-riamente da fattori di ordine cul-turale e organizzativo. Infatti nella maggior parte delle situazioni orga-nizzative la permanenza di model-li professionali ormai superati è de-terminata da rigidità professionali e stereotipie di ruolo che resistono e si oppongono al cambiamento;

b. dati di letteratura che se, da una parte, evidenziano come tale mo-dello organizzativo sostenga uno sviluppo professionale e riduca il turnover degli infermieri, dall’al-tra, richiamano alla necessità di do-cumentare in modo più analitico i benefici derivanti da tale applica-zione sia in termini economico ge-stionali sia in termini di outcome (esiti) per il paziente.

Il cambiamento e la misura degli esiti delle cure infermieristiche

Gli esiti misurabili sensibili alle cure infermieristiche, ovvero i cambiamenti misurabili nello stato di salute del pa-ziente correlati alle prestazioni infer-mieristiche sono la soddisfazione del paziente, le cadute, le lesioni da pressio-ne, le infezioni correlate all’assistenza, gli errori connessi alla somministrazio-ne della terapia, l’impiego della conten-

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a comprendere l’importanza dell’epidemiologia e statisti-ca per interpretare le informazioni sull’evoluzione di una malattia e sull’efficacia delle prestazioni infermieristiche. Grazie a questo, Florence Nightingale riuscì a far diminu-ire in maniera per il tempo straordinaria, il tasso di mor-talità, prevalentemente per infezioni. Dopo di lei, le scuo-le per la formazione delle infermiere si sono sviluppate in tutto il mondo, anche se solo più recentemente in ambito universitario.Arrivando all’epoca moderna e volendo identificare un pun-to di svolta all’interno del nostro Paese, possiamo dire che il Decreto Ministeriale n. 739 del 1994 (Profilo Professionale dell’Infermiere) ha rappresentato lo spartiacque tra l’infer-mieristica della storia e quella moderna. Da questo atto, si avvia infatti un processo che ha portato in pochi anni alla laurea di base e specialistica, ai master, al dottorato di ri-cerca, alla dirigenza. Possiamo affermare che la professione infermieristica, in Italia, è cambiata più in due decenni che nei precedenti millenni della sua storia. Uno sviluppo co-sì rapido, da far considerare ormai obsoleto anche lo stesso profilo del 1994, soprattutto nella parte in cui afferma che «l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del di-ploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo pro-fessionale è responsabile dell’assistenza generale infermie-ristica». Sappiamo infatti bene che l’Infermiere è un “pro-fessionista” e che gli operatori sanitari sono ormai altri, che il diploma universitario è stato sostituito dalla laurea e che l’ordine professionale rappresenterebbe la logica evoluzione dell’albo professionale. Ma il titolo di questo articolo è più malizioso, perché quello a cui vorrei arrivare, è il concetto di “assistenza generale infer-mieristica”. Siamo tutti concordi sul significato?Due assunti tra loro in contrasto, del quale siamo ormai tutti consapevoli:– il termine si riferisce inequivocabilmente alla risposta ai

bisogni di base, quali l’alimentazione, l’igiene, l’elimina-zione, la mobilizzazione (potremmo continuare a lungo) ed è questo il contesto operativo grazie al quale l’infer-mieristica esiste da millenni;

– il percorso di studi e l’investimento culturale richiesto a chi desidera esercitare la professione, non è più compa-

o scelto questo titolo per proporre una ri-flessione sui cambiamenti che la professione ha conosciuto nel corso degli ultimi decenni, alcuni fortemente voluti, alcu-ni che destano perplessità, alcuni desiderati ma ancora lonta-ni da concretizzare. Di certo è che all’investimento culturale necessario per eser-citare oggi la professione, non possono che conseguire aspet-tative rispetto alle quali ognuno deve offrire dei punti di vista, come cercherò di fare con questo articolo, affinché la profes-sione sia in grado di autodeterminarsi, non lasciandosi sem-plicemente trascinare dagli eventi.Di altrettanto certo è che quello che siamo dipende dalla no-stra storia, così come da quello che costruiamo oggi dipende il futuro della professione. Iniziamo allora ricordando da do-ve veniamo, anche se non è facile identificare la nascita del-l’infermieristica. Il termine “Infermiere” deriva dal latino Infirmus (letteralmente: debole, fisicamente o moralmente), a significare una figura che si dedicava agli ammalati, alle persone costrette a letto o all’immobilità. Nei conventi e mo-nasteri medioevali, il monaco che si occupava dell’accoglien-za e dell’assistenza dei malati e bisognosi, era denominato proprio Infirmus. Sarebbe però scorretto considerare questo come l’inizio dell’assistenza infermieristica. Utilizzando la storia degli ospedali, è nel 390 d.C. che nacque il Valetudina-ria, l’ospedale romano in cui operavano Medici affiancati da operatori che svolgevano funzioni infermieristiche. Tracce di assistenza infermieristica anche nell’antichità orientale, dove la nascita di ospedali provvisti di Medici ed Infermieri avvie-ne a partire dal 400 a.C.Tutti i riferimenti sembrano veramente lontani e diversi da quello che è l’infermieristica moderna e, soprattutto, da quel-lo che più o meno ordinatamente vorrebbe essere. 2400 anni di storia, che in molte altre professionalità hanno o comun-que avrebbero determinato un consolidamento granitico del-la propria immagine ed identità, nell’infermieristica stanno invece determinando un travagliato desiderio di emancipa-zione, quasi a volerci liberare di un peso a volte non facil-mente sopportabile.Punti di svolta ce ne sono stati, anche grazie all’interven-to di Florence Nightingale, che già a metà del 1800 fu la prima ad applicare il metodo scientifico all’infermieristica,

AVIANO ROSSI INFERMIERE, CONSULENTE E DOCENTE IN MANAGEMENT SANITARIO

DOVE VAL’INFERMIERISTICA?

H

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Un concetto espresso in forma semplicistica e grossolana, ma spero efficace per dichiarare che questa è una impor-tante criticità che la professione dovrà prima o poi affron-tare in maniera organica.Il secondo quesito ha una risposta in coerenza con ciò che la Federazione IP.AS.VI. persegue ormai da lungo tempo, cioè la specializzazione dell’infermieristica. La formazione di ba-se non è più sufficiente a garantire un’assistenza competente e qualificata in ogni contesto di specializzazione clinico-as-sistenziale e non è più possibile considerare la pratica profes-sionale come il completamento dei processi formativi utili a lavorare con sicurezza nei diversi contesti di specializzazio-ne. Una cosa è il necessario affiancamento professionale del neo-assunto, altra è la capacità di cogliere il grado di compro-missione clinica di una persona, di interpretarne le ricadute sul piano assistenziale, di concorrere ai processi diagnostici e terapeutici in contesti così diversi e così distanti come quelli che la pratica clinica ci propone.Per concludere, dove va l’infermieristica in relazione all’as-sistenza? Deve necessariamente andare verso l’attento e re-sponsabile presidio dell’“assistenza generale infermieristica”, soprattutto quando praticata da figure di supporto al processo assistenziale, considerando però che la titolarità dell’assisten-za infermieristica è dell’Infermiere e che giuridicamente, ma ancor prima deontologicamente, non esiste delega in questo contesto.Dove va l’infermieristica in relazione alle prospettive di sta-tus? Deve necessariamente andare verso percorsi di specia-lizzazione, che consentano di operare in un contesto di com-petenza e di sicurezza, che si realizzano solo nella piena con-sapevolezza culturale di ciò che passa attraverso le nostre scelte e le nostre attività.Nella speranza di essere infine utile a chi non ha ancora in-dividuato un percorso di specializzazione, pensando a quel-le chirurgiche piuttosto che cliniche, all’area critica piutto-sto che alla salute mentale, suggerisco modestamente che il settore che consentirà le maggiori opportunità di impiego, di valorizzazione professionale, di autonomia decisionale, di ef-ficacia clinico-assistenziale, si chiama “sanità pubblica”. Una considerazione personale, certo, ma supportata dall’analisi demografica ed epidemiologica che lascia intendere come l’essere entrati nell’epoca della cronicità lascia sempre meno spazio alla clinica per acuti, che rimarrà sempre e comun-que necessaria, e sempre più opportunità in un contesto ex-tra-ospedaliero. La patologia cronica non dura il tempo di un ricovero, ma tutta la vita ed il 40% della popolazione ne ha almeno una. Se il Medico di Medicina Generale ha un ruolo importante nella componente clinica di questa convivenza, il vero partner in grado di tradurre il frutto della ricerca scien-tifica in comportamenti salutari da parte delle persone sane che non devono ammalarsi e delle persone affette da malat-tie croniche che non devono evolvere, è proprio l’Infermie-re. L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliati-va e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Non è una mia considerazione di chiusura dell’articolo, ma di nuovo quel profilo professionale del 1994, che ancora troppo spesso sembra indicare di più ciò che dovremmo essere piut-tosto che ciò che siamo. Q

tibile con l’ esercizio di una pratica professionale rivolta alla mera risposta ai bisogni di base.

Proviamo a tracciare una linea di prospettiva, facendo tesoro proprio di quanto indicato dal profilo e selezionando tre punti essenziali dello stesso:

(L’Infermiere) – identifica i bisogni di assistenza infermieristica della

persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; – pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale

infermieristico; – per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove neces-

sario, dell’opera del personale di supporto.

Ai nostalgici della pratica assistenziale, la risposta è stata da-ta già dal profilo del 1994 in cui si afferma che i bisogni as-sistenziali sono una competenza infermieristica nella fase di identificazione e pianificazione, sono una competenza di per-sonale formato e qualificato allo scopo nella fase di “espleta-mento delle funzioni”.Sembrerebbe un percorso lineare e scontato, ma il quesito po-sto con il titolo, nelle mie intenzioni, lasciava intendere possi-bili criticità ed in particolare:1. il personale di supporto indicato dal profilo (l’Operatore

Socio Sanitario, per intenderci) è pronto a questo tipo di attività?

2. l’assistenza generale infermieristica può rimanere univer-salistica o, in altre parole, general-generica?

Avviandoci alle risposte, iniziando dal primo quesito, dall’esperienza ormai acquisita a contatto di realtà di gran parte del territorio nazionale, posso affermare che l’attuale formazione della figura preposta alle prestazioni di assi-stenza diretta, non può garantire standard assistenziali coe-renti con i bisogni individuati e con l’assistenza pianificata dall’infermiere. Ovviamente sto parlando dell’OSS, rispet-to al quale ci sono scuole di formazione pubbliche ed alcu-ne scuole di formazione private, in cui gli studenti affron-tano corsi di elevato standard, ma anche tante altre in cui i corsi sono confusionari, sommari, dove non viene fatta fare un’ora di tirocinio ospedaliero e comunque non coerenti con quanto necessario per occuparsi di una persona con problemi di salute. Da considerare peraltro che chi frequen-ta questi corsi di formazione professionale, ha spesso gravi carenze in termini di conoscenza della lingua (e non parlo solo degli stranieri), nonché una base culturale, quella della scuola dell’obbligo, non adatta a competenze assistenziali nei confronti di persone che spesso si trovano in condizioni delicate e particolari da necessitare un approccio relaziona-le molto complesso. Gli Infermieri devono continuare sul-la strada della pianificazione, supervisionando però rigo-rosamente l’assistenza erogata e, usando un gergo di facile comprensione, rispondendo a chi suona un campanello per poi far intervenire l’OSS se necessario, piuttosto che far ri-spondere l’OSS alle persone che suonano un campanello!

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CHIARA MEARELLI COORDINATRICE INFERMIERISTICA U.O. RIANIMAZIONE OSPEDALE CITTÀ DI CASTELLO

APRIRE LE TERAPIE INTENSIVE:GESTO DI CIVILTÀ E RISORSA TERAPEUTICA

Prosegue l’iter della proposta di Legge a firma Maria Antezzaper una differente regolamentazione delle visiting policies italiane

AbstrAct

I reparti di Terapia Intensiva (TI) sono da sempre considerati un luogo inaccessibile dall’esterno, in cui il paziente,per poter essere adeguatamente curato, debba subire una specie di “sequestro”

dalla propria rete relazionale non permettendo, o comunque limitando, i contatti con i familiari.Il cambiamento delle politiche sanitarie in favore dell’umanizzazione delle cure ha tuttavia creato i presupposti

per un nuovo modo di vedere il persorso del paziente ricoverato, anche nelle Terapie Intensive.Studi specifici, condotti sulle presunte criticità collegate ad una liberalizzazione delle visite,

ne hanno in larga parte dimostrato l’infondatezza ed hanno gettato le basiper creare un percorso di legge specifico: il Disegno di Legge n. 141.

L’esigenza di andare a colmare il vuo-to legislativo su questi temi nasce dal sempre più sentito bisogno di dare va-lore a tutta la sfera relazionale e affetti-va che inevitabilmente si interseca con la pratica della medicina, in particolar modo quando si ha a che fare con le

siva (TI) si inserisce nella delicata te-matica dei diritti del malato e della considerazione di quest’ultimo come soggetto che, anche nello stato di ma-lattia, deve essere posto in condizione di mantenere la propria dignità di es-sere umano.

La questione del- l’apertura dei reparti di terapia inten-

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problematiche connesse all’assistenza ai pazienti “critici” ricoverati in repar-ti di cure intensive. Le sempre più nu-merose richieste indirizzate nel senso di prevedere la possibilità per le fami-glie di questi degenti di essere ammes-se a visite più frequenti e prolungate nei suddetti reparti per fornire il loro supporto al parente malato, dimostrano come nella società i tempi siano maturi per affrontare, anche da un punto di vi-sta normativo, queste tematiche».

La proposta di legge Antezza

Si apre così la proposta di legge Antez-za ed altri: “Disposizioni concernenti la realizzazione di reparti di terapia inten-siva aperta” presentata il 15 marzo 2013 ed in esame dal 15 settembre 2016. Il tema dell’apertura delle Terapie In-tensive rientra nell’ampio capitolo del- l’umanizzazione delle cure, che investe di prepotenza l’intero ambito sanitario. Il rispetto della dimensione relaziona-le del paziente, della rete familiare, del- l’alleanza terapeutica come afferma-zione di un diritto e non di una conces-sione straordinaria diventa oggetto di dibattito anche per un ambiente tradi-zionalmente chiuso come la Rianima-zione, tanto da creare le condizioni per un’ipotesi di Legge. L’Italia resta tra i Paesi nei quali la presenza di familiari e visitatori nei reparti di Terapia Intensi-va è soggetta a molte restrizioni: in me-dia, il tempo di visita è limitato a circa due ore al giorno e solo il 2% dei reparti non pone un limite alle visite.La questione dell’apertura dei reparti di terapia intensiva (TI) si inserisce nella delicata tematica dei diritti del malato e della considerazione di quest’ultimo come soggetto che, anche nello stato di malattia, deve essere posto in condizio-ne di mantenere la propria dignità di essere umano. L’esigenza di andare a colmare il vuo-to legislativo su questi temi nasce dal sempre più sentito bisogno di dare va-lore a tutta la sfera relazionale e affetti-va che inevitabilmente si interseca con la pratica della medicina, in particolar modo quando si ha a che fare con le

problematiche connesse all’assistenza ai pazienti “critici” ricoverati in repar-ti di cure intensive. Le sempre più nu-merose richieste indirizzate nel senso di prevedere la possibilità per le fami-glie di questi degenti di essere ammes-se a visite più frequenti e prolungate nei suddetti reparti per fornire il loro supporto al parente malato, dimostrano come nella società i tempi siano maturi per affrontare, anche da un punto di vi-sta normativo, queste tematiche». Si apre così la proposta di legge Antez-za ed altri: “Disposizioni concernen-ti la realizzazione di reparti di terapia intensiva aperta” presentata il 15 mar-zo 2013 ed in esame dal 15 settembre 2016. Il tema dell’apertura delle Terapie In-tensive rientra nell’ampio capitolo del- l’umanizzazione delle cure, che investe di prepotenza l’intero ambito sanitario. Il rispetto della dimensione relazio-nale del paziente, della rete familiare, dell’alleanza terapeutica come affer-mazione di un diritto e non di una con-cessione straordinaria diventa ogget-to di dibattito anche per un ambiente tradizionalmente chiuso come la Ria-nimazione, tanto da creare le condizio-ni per un’ipotesi di Legge. L’Italia resta tra i Paesi nei quali la presenza di fami-liari e visitatori nei reparti di Terapia Intensiva è soggetta a molte restrizioni: in media, il tempo di visita è limitato a circa due ore al giorno e solo il 2% dei reparti non pone un limite alle visite nell’arco delle 24 ore (contro, ad esem-pio il 23% delle TI francesi o il 70% di quelle svedesi)(1, 2).

Visiting policies

Un consistente numero di Terapie In-tensive italiane non modifica le proprie “visiting policies” neppure quando il paziente ricoverato è un bambino (9%) o quando il paziente sta morendo (21%). Limitazioni sono inoltre poste sia sul versante del numero di visitatori am-messi (il 92% delle Terapie Intensive applica questo tipo di restrizioni), sia su quello del tipo di visitatori (il 17% dei reparti ammette solo familiari stretti e

il 69% non permette che i bambini fac-ciano visite)(3).La struttura della terapia intensiva è in-tesa, nella comune accezione, come una dimensione asettica, prevalentemente tecnica, vincolata a rigide regole d’ac-cesso per poter garantire igiene, sicurez-za e rigore necessari a tutelare il man-tenimento in vita del paziente. L’aspetto relazionale passa in secondo piano ri-spetto a retaggi storici spesso preconcet-ti legati ai rischi infettivi, allo stress per il paziente e per gli operatori, ai fattori di distrazione e disturbo costituiti dai visi-tatori. In realtà gli studi dimostrano che il rischio infettivo è connesso alle infe-zioni nosocomiali e al passaggio dei pa-togeni al paziente dal personale sanitario se non adotta le idonee precauzioni.Per verificarlo è stato sufficiente stu-diare, tramite l’esecuzione di un tam-pone fatto sulla pelle delle mani e nelle narici, quali batteri fossero presenti nei visitatori prima del loro ingresso in te-rapia intensiva e confrontarli con quelli che determinano infezioni nosocomiali nei malati degenti: chi ha fatto questo studio ha documentato che si tratta di batteri completamente diversi e in nes-sun caso i batteri che hanno determi-nato infezioni nei malati erano presenti sui visitatori al momento del loro in-gresso in terapia Intensiva. L’unica pra-tica da richiedere ai visitatori è il cor-retto lavaggio delle mani nei momenti di entrata e uscita dal reparto(4,5).

La presenza dei familiari

Anche in riferimento all’eventuale stress provocato nel paziente, la presenza dei familiari sarebbe in realtà un potenzia-le aiuto nella gestione degli stati di deli-rium e nell’abbattimento del rischio di insorgenza del PTSD, il Disturbo Post-Traumatico da Stress. Il paziente seda-to subisce una percezione distorta del-la realtà che lo circonda, conseguente all’azione farmacologica, ma anche al-la spersonalizzazione ambientale e alla mancanza di riferimenti conosciuti. Co-me riporta Luigi Riccioni del Centro di Rianimazione 1, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma nell’arti-

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ci e gli infermieri di adeguati itinera-ri formativi per acquisire e aggiornare una specifica competenza professionale in tema di comunicazione» e program-ma la definizione nei piani di edilizia sanitaria di spazi adeguati per la realiz-zazione del modello assistenziale della «terapia intensiva aperta», ivi compresa la disponibilità di spazi adeguatamente attrezzati per i familiari(8).L’iter giuridico sarà probabilmente lun-go, ma non è indispensabile una legge per aprire le porte delle rianimazioni: la serratura scatta quando ci liberiamo dei pregiudizi, concedendo anche alle convinzioni più radicate la possibilità di non essere giuste. Perché chi abbia-mo davanti resti sempre, prima di tutto, una persona.

Bibliografia

(1) KnuTSSon S.e. eT al., Visits of children to patients being cared for in adult ICUs:

policies, guidelines and recommendations. Intensive and Critical Care Nursing; 2004 (20): 264-74.

(2) lauTreTTe a. eT al., A communication strategy and brochure for relatives of patients dying in the ICU. New England Journal of Medicine; 2007 (356): 469-78.

(3) giannini a., MiCCineSi g., leonCino S., Visiting policies in Italian intensive care units: a nationwide survey. Intensive Care Med.; 2008 (34): 1256-26.

(4) MalaCarne P., Anestesia e rianimazione, Ospedale Cisanello Pisa, Terapia intensi-va aperta. Basterebbe avere le mani puli-te. Sicurezza in Terapia intensiva aperta. Per una nuova cultura in rianimazione, Tavola rotonda Siaarti 1 ottobre 2015.

(5) MalaCarne P., Pini S., de Feo n., Relation- ship between pathogenic and colonizing microorganisms detected in intensive care unit patients and in their family members and visitors. Infect Control Hosp. Epidemiol; 2008 (29): 679-681.

(6) giannini a., Open intensive care units: the case in favour. Minerva Anestesiol; 2007 (73) 299-305.

(7) alBerTo giannini, Terapia Intensiva Pe-diatrica Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico Milano. La Terapia Intensiva “aperta”: le ragioni di una scelta. Audizione in Senato 11-12-2012.

(8) anTezza M. eT al., Camera dei Deputa-ti, Proposta di Legge n. 141. Disposizioni concernenti la realizzazione di reparti di terapia intensiva aperta. Q

Partendo da queste basi, «si dimostra quindi indispensabile [...] porre in esse-re le condizioni necessarie per la for-mazione e lo sviluppo di un triangolo relazionale tra curanti, pazienti e fami-glia che può trovare nell’apertura delle TI una delle sue espressioni più ricche di significato. Un’alleanza terapeutica di questo genere porterebbe particola-ri vantaggi sia ai degenti sia ai loro fa-miliari specialmente nei casi più gravi di coloro che vivono nei reparti di TI le ultime fasi della vita: l’evento mor-te, per quanto inevitabilmente trauma-tico, potrebbe essere in qualche misura meno gravoso se la famiglia potesse ac-compagnare il malato in quei momenti. La TI “aperta” può offrire un linguag-gio e modalità di relazione più ampi e attenti, in grado di favorire meglio il dialogo e la discussione con il paziente e i suoi familiari per affrontare aspetti di particolare importanza e complessi-tà (come la donazione degli organi o la sospensione di trattamenti non propor-zionati). L’équipe sanitaria svolgerebbe dunque un ruolo in qualche misura di “sostegno qualificato” nei confronti dei parenti(8)».

Linee guida

Il disegno di legge in discussione, com-posto di 4 articoli, si propone di indi-care le linee guida per la realizzazione di terapie intensive aperte. In partico-lare l’art. 2 indica la durata del perio-do di visita, non inferiore alle 12 ore al giorno per le terapie intensive in ge-nere e alle 24 ore al giorno per le te-rapie intensive pediatrica e neonatale; prescrive una «definizione di tempi e modalità per un’adeguata comunicazio-ne tra équipe curante, paziente e fami-liari al fine di una piena condivisione delle informazioni e una migliore par-tecipazione alle decisioni diagnostico- terapeutiche»; prevede la figura dello psicologo e l’«identificazione di moda-lità assistenziali finalizzate a minimiz-zare il rischio di disturbi psicologici e comportamentali, in particolare se il paziente è un minore di anni diciot-to»; indica la «definizione per i medi-

colo Terapia intensiva aperta. Un an-tidoto contro il trauma psicologico da ricovero?, 1-10-2015.«Il pensiero delirante più frequente è l’idea paranoide di essere prigionie-ri dello staff medico-infermieristico il cui obiettivo è torturarli e ucciderli. Sebbene irrazionali e spesso bizzarre, tali convinzioni sono estremamente re-sistenti (il soggetto non riesce a libe-rarsene neanche in presenza di convin-centi prove della loro inconsistenza) e provocano un intenso tormento psico-logico [...]. La presenza di un familiare potrebbe avere non solo la funzione di limitare l’angoscia del paziente in vir-tù dell’indubbio supporto psicologico, ma probabilmente consentirebbe anche di facilitare la “fissazione” dei ricordi reali», limitando gli impulsi stressoge-ni e le loro conseguenze a distanza di tempo. La convinzione che i visitatori siano un ostacolo al regolare svolgimento delle pratiche assistenziali è infine confuta-to dal fatto che per il familiare del pa-ziente assistere direttamente alle prati-che sul proprio caro aumenta il grado di fiducia verso l’equipe ed allonta-na il senso di estranietà nei confronti dell’ambiente sanitario, migliorando il grado di alleanza terapeutica tra curan-te e curato(3).Va doverosamente sottolineato però che «TI “aperta” non significa comun-que TI “senza regole”(6), ed è utile e ne-cessario porre alcuni “paletti”. Ai visi-tatori si dovrà chiedere non soltanto di avere la massima attenzione per tutti i pazienti del reparto ma anche di rispet-tare alcune norme igieniche (es. lavarsi le mani prima e dopo la visita), di sicu-rezza (es. non toccare apparecchiature o linee infusionali) e gestionali (es. uscire durante manovre di emergenza). Ogni singola TI potrà elaborare le sue regole e modificarle nel tempo sulla base di un lavoro di revisione critica del proprio operato. È inoltre importante garantire all’équipe medico-infermieristica tem-pi e spazi propri, consentendo liber-tà nella comunicazione, pieno rispetto della confidenzialità ma anche qualche indispensabile pausa non frammentata da interruzioni»(7).

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di poter aver risposte rapide ed efficaci ai più svariati e tal-volta fantasiosi problemi. Volendo analizzare e valutare gli accessi impropri di pronto Soccorso è necessario un attento esame di tutte le variabili che concorrono al fenomeno del- l’overcrowding (Moskop JC 2009). Sono stati redatti numero-si studi in merito a questo fenomeno e nella quasi totalità si evince che il primum movens a spingere la popolazione verso i pronto soccorsi sembrerebbe legato a fattori socio-culturali. La maggior parte dei soggetti ha una percezione erronea di gravità, urgenza o rischio sanitario e ritiene che le proprie problematiche siano valutabili solo in PS tanto più che spes-so il MMG non viene neanche contattato. Il paziente sem-brerebbe attratto e rassicurato da una struttura dotata di alta

egli ultimi tempi si è ampiamente discusso di come si potrebbe rinnovare il sistema sanitario in relazio-ne alle nuove esigenze mediche della popolazione, soprattut-to per l’incremento delle patologie croniche. È fuor di dub-bio che il sistema sanitario necessiti di una riorganizzazione sia a livello ospedaliero sia in quello territoriale, nell’ambito dell’acuzie come della cronicità. L’incremento della patologia cronica non si è associato ad una diminuzione degli accessi ai luoghi di cura per patologie acute, come si potrebbe im-maginare, ma paradossalmente è avvenuto l’esatto contrario. Spesso gli accessi impropri al Pronto Soccorso sono legati ad una mal gestione di patologie croniche a livello territoriale o comunque ad una convinzione illusoria da parte degli utenti

FRANCESCO DOTTORI INFERMIERI DI PRONTO SOCCORSO - AZIENDA OSPEDALIERA DI PERUGIA

OVERCROWDINGIN PRONTO SOCCORSO

LUCI ED OMBRE DI UN SERVIZIO AL LIMITE

N

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stati ottenuti grazie alla riduzione di mortalità per patologie per le quali la prevenzione secondaria, l’efficacia e la tempe-stività delle cure sono decisive. Alle sfide che la globalizza-zione e le crisi finanziarie impongono ai sistemi paese, l’Ita-lia si presenta con una struttura per età fortemente squilibra-ta, in termini di rapporto tra popolazione in età attiva e non, con una dinamica demografica che non potrà che aggravare il processo di invecchiamento ed i costi ad esso correlati. Se il sistema sanitario non avrà l’oculatezza di prevedere altre forme di assistenzialismo considerando che oggi l’accesso ai pronto soccorsi rispecchia praticamente la quasi unica neces-sità di risposta ai bisogni di salute del cittadino gli scenari ipotizzati non potranno che avere conferma.L’insieme di queste dinamiche ha fatto sì che progressiva-mente i Pronto Soccorsi ed i Dipartimenti di Emergenza si trovino sempre più di frequente ad operare in condizioni di sovraffollamento (overcrowding).Il sovraffollamento del Pronto Soccorso viene definito da molti autori come quella situazione in cui la richiesta di pre-stazioni supera la capacità di fornire assistenza di qualità in un lasso di tempo ragionevole. Questa situazione ha comin-ciato a essere descritta negli anni ’80 in Nord America, e suc-cessivamente anche in altri Paesi, compresa l’Italia. L’atten-zione verso questo problema è rimasta costante durante gli anni ’90, ma da una decina d’anni essa è aumentata notevol-mente e il sovraffollamento del PS rappresenta oggi uno dei problemi più importanti che devono affrontare i PS di tutto il mondo.Il National Health Service britannico ha individuato come in-dicatore di buona performance all’interno del PS un periodo non superiore alle 4 ore di tempo dell’intero percorso del pa-ziente, dal momento dell’arrivo a quello della dimissione, o del ricovero in reparto di degenza.Nel 2003 Asplin et al (Asplin BR 2003) hanno proposto un modello concettuale di sovraffollamento del PS basato su tre componenti tra di loro interdipendenti:1. input: la quantità e la tipologia di cure cercate nel PS;2. throughput: i processi di cura svolti all’interno del PS;3. output: i movimenti dei pazienti dal P.S. verso il domici-

lio o verso altre sedi di cura.

Il fattore input attiene ad un eccessivo e contemporaneo ac-cesso di utenti al PS, il fattore throughput si riferisce ad un possibile rallentamento dei processi interni al PS che richie-dono la collaborazione dei servizi di diagnostica strumentale o di consulenze specialistiche, infine l’output sottintende la difficoltà a ricoverare nei reparti di destinazione per mancan-za di posti letto con conseguente prolungato stazionamento degli utenti in PS.Quattro sono le principali scale di misurazione proposte dalla letteratura nella Medicina d’Emergenza-Urgenza:– il Real-time Emergency Analysis of Demand Indicators;– l’Emergency Department Work Index;– il National Emergency Department Overcrowding Study; – l’Emergency Department Crowding Scale.

tecnologia ed apparecchiature sofisticate oltre e non da meno alla percezione opportunistica dell’abbattimento delle liste di attesa. Un discreto margine di afferenti ai pronto soccorsi è costituito da pazienti della fascia cosiddetta di terza età per una serie di problematiche di acuzie su base cronica ricor-rente. In considerazione di un andamento demografico che prevede nei prossimi decenni un sempre più alto numero di persone anziane viventi è desumibile che si incrementeranno gli accessi di porzioni di popolazione anziana che ricorrerà alle cure dei sanitari di PS. Oltre la metà della popolazione ultra 75enne soffre di pato-logie croniche gravi. Nella classe di età 65-69 anni, le donne che soffrono di almeno una cronicità grave rappresentano il 28% per arrivare fino al 51% per le ultra 75enni. Lo scenario maschile è ancora peggiore, per la classe di età compresa tra i 65 e 69 anni gli uomini che soffrono di almeno una cronicità grave si attestano intorno al 36%, tra quelli ultra75 saliamo al 57%. Il diabete, i tumori, l’Alzheimer e le demenze senili sono le patologie che mostrano una dinamica in evidente cre-scita rispetto al passato.In generale, non si tratta di un peggioramento delle condizio-ni di salute, ma di un incremento della popolazione anziana esposta al rischio di ammalarsi. Con l’invecchiamento della popolazione aumenta la disabilità, intesa come una condizio-ne della persona legata a quel ventaglio di attività di vita che subiscono una brusca riduzione a causa di potenziali malat-tie croniche gravi quali ad esempio diabete, infarto del mio-cardio, angina pectoris, ictus, emorragia cerebrale, bronchite cronica, enfisema o altresì a restrizioni dovute a limitazioni funzionali (menomazioni fisiche o sensoriali legate alla vista, all’udito e alla parola). Si tratta di limitazioni che insorgono con il peggioramento delle condizioni di salute e riducono la mobilità degli anziani o le loro capacità prorpiorecettive. Le evidenze appena riferite prospettano per il futuro un au-mento della pressione sul Sistema sanitario nazionale, dovuto all’incremento di persone bisognose di cure e assistenza. Alla funzione di spesa destinata alla salute il nostro Paese alloca il 24,9 per cento delle risorse, collocandosi tra le ultime posi-zioni nel contesto europeo. Il sistema di welfare italiano si trova a fronteggiare numero-si elementi di criticità, anche in conseguenza della crisi eco-nomica che ha attraversato il nostro Paese. In un contesto di riduzione dei fondi destinati alle politiche sociali da un lato, e di crescenti condizioni di disagio economico delle famiglie dall’altro, si spiegano gli effetti delle trasformazioni demo-grafiche e sociali. Si vive sempre più a lungo ma resta bassa la propensione ad avere figli. L’Italia è un paese con la speranza di vita tra le più elevate del mondo: 79,6 anni per gli uomi-ni e 84,4 anni per le donne nel 2012. La vita media è andata costantemente crescendo nel corso degli anni, dall’inizio del secolo gli uomini hanno guadagnato 3 anni di vita, le donne 2 anni. A livello internazionale l’Italia si pone ai primi posti nella graduatoria dei paesi più longevi. Tale evidenza rappre-senta sicuramente un esito lusinghiero del Sistema sanitario pubblico che ha reso disponibili universalmente i progressi dell’innovazione scientifica e tecnologica, in particolare nel campo farmaceutico e della diagnostica strumentale. Non a caso, i guadagni di vita osservati nel corso degli anni sono

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Strategie

Le strategie e proposte di soluzione all’overcrowding dei PS sono strettamente correlate alle problematiche fin qui descrit-te e vanno dal miglioramento dell’accesso alle cure primarie e territoriali, all’aumento dei posti letto ospedalieri per velo-cizzare il flusso di trasferimento dei pazienti dal PS al repar-to, finanche alla creazione dei cosiddetti “bed management programs” finalizzati ad ottimizzare l’occupazione dei po-sti letto di degenza. Un ulteriore strategia di contenimento dell’overcrowding prevede l’implementazione e lo sviluppo di unità di osservazione breve specialistica con l’obiettivo di creare delle aree, all’interno del PS o dell’ospedale, destinate sia all’assistenza continua che ai trattamenti diagnostico te-rapeutici per quei pazienti il cui percorso può essere iniziato e concluso senza dover avvalersi del ricovero in reparto di degenza. Sono di questa categoria ad esempio le “Chest pain units” per la valutazione continua ed i trattamenti mirati per alcune condizioni patologiche, come ad esempio il dolore to-racico, le “Discharge Units”, ove concentrare i pazienti a bas-sa intensità assistenziale che hanno già completato il ricovero e per i quali è stata formalizzata la dimissione dal reparto, e che sono semplicemente in attesa di ricevere adeguate istru-zioni per la dimissione o in attesa dei mezzi di trasporto.Tutto ciò risulta inefficace se non si parte da una coscienza sociale che eviti l’uso inappropriato del pronto soccorso.Uno studio di Peterson et al (Bristow 2002) afferma che circa l’82% delle visite effettuate in Pronto Soccorso derivano da un uso inappropriato del servizio stesso.Si definiscono accessi non urgenti quelle condizioni in cui i “Pazienti possono attendere per 2 ore prima di essere visitati da un medico di PS, senza rischio di morte; possono essere visitati e trattati in altre strutture sanitarie, che si occupano di assistere i casi meno urgenti” (Canadian Triage and Acuity Scale – livello V. s.d.).La tendenza generale da parte dei professionisti sanitari é quella di parlare di “inappropriatezza” dell’accesso, semplifi-cando ciò che invece una ricca letteratura straniera ha cercato di cogliere nella sua complessità.Il concetto di appropriatezza implica il “praticare l’attività clinico assistenziale integrando le competenze professionali ed individuali con la migliore evidenza disponibile” per quel-la specifica situazione. L’utilizzo di un servizio inappropriato quindi, non solo non porta benefici ma con il passare del tempo rischia di peggio-rare le condizioni di salute iniziali del soggetto, procurando la falsa impressione di aver risolto il problema con la sola rimozione del sintomo. Il tempo necessario all’evoluzione di un processo patologico non sempre equivale al tempo perce-pito dall’utente il che a volte pregiudica la possibilità di un chiaro inquadramento diagnostico e di una terapia efficace e risolutiva. Questa situazione si riscontra sempre più fre-quentemente nei pronto soccorsi, dove il libero accesso e la fruibilità da parte del cittadino h 24 comporta l’erogazione di un’assistenza inappropriata soprattutto per i soggetti “non urgenti” nei quali l’evento acuto sembra essere spesso solo l’iceberg di una condizione di malessere più diffusa, legata a fattori sociali, di vita, o di lavoro.

Conseguenze

Le principali conseguenze legate al sovraffollamento sono di sicuro un aumentato rischio di errori sanitari determinati dal fatto che tutti i pazienti che accedono in PS richiedono una serie di valutazioni e trattamenti che assorbono tempo ed energie al personale sanitario, che di conseguenza risente di queste pressioni e diminuisce l’attenzione nei confronti di ciò che fa, con una generale insoddisfazione e conseguente ridotto rendimento lavorativo. I molti pazienti che si rivolgo-no al PS sono costretti a sostare in luoghi che non sono stati costruiti per accogliere tanta utenza, ne consegue una dimi-nuita fiducia dei cittadini verso i servizi di emergenza, una totale mancanza di privacy ed episodi di violenza in seguito agli eccessivi tempi di attesa.

Cause

Le cause che hanno determinato il fenomeno dell’overcrowding sono molteplici ad iniziare dal ridotto numero di posti letto ospedalieri che è la causa principale condivisa in tutti i Pa-esi del mondo insieme all’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione occidentale che ha portato un incremento del numero di individui anziani. La diagnosi e il trattamen-to in questi pazienti è dunque molto più complesso che in altri, con conseguente aumento del carico di lavoro del PS.La mancanza di attrezzature diagnostiche avanzate nel ter-ritorio è diventata un grande problema per gli ospedali. A livello ambulatoriale, le liste d’attesa per questi esami sono veramente lunghe, perciò molti utenti preferiscono attendere qualche ora in più in PS, con la certezza però di poter esegui-re l’esame in un lasso di tempo ragionevole Altra fondamentale causa di overcrowding è determinata dalla difficoltà di accesso da parte del cittadino alle strut-ture di cura primaria. È un problema internazionale che affligge tutte le strutture di cura primaria, siano esse po-liambulatori o semplici studi di medici di medicina gene-rale. Gli orari di visita sono esigui e concentrati in periodi della giornata in cui la maggior parte degli utenti lavora; quando poi si riesce a stabilire un appuntamento, il tempo che intercorre fino a esso è considerato troppo ampio dalla maggior parte dei pazienti.Secondo il rapporto OCSE sull’Ageing, (OECD 2015, Ageing: Debate the Issues), il modello di assistenza sanitaria prevalente al giorno d’oggi non ha tenuto conto delle varia-zioni epidemiologiche e delle reali necessità assistenziarie della popolazione. Il principale obiettivo a tutt’oggi rimane quello di costruire nuovi ospedali, acquistare attrezzature in-novative e costose, migliorare sempre più i servizi per gli acuti. L’invecchiamento della popolazione richiede invece un deciso cambio di direzione, che sposti il baricentro dalla cura di pochi episodi acuti, alla moltitudine delle necessità dei “cronici”. Uno scenario che riporta in primo piano il ruolo della medi-cina di famiglia e della continuity of care attraverso diversi attori sul territorio.

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Le opinioni diffuse tra gli operatori per spiegare il ricor-so indiscriminato al pronto soccorso, sono che il servizio supplisce alle insufficienze del SSN essendo aperto 7 gior-ni su 7 e 24 ore su 24 ed in parte mitiga il forte aumento della spesa sanitaria a cui contribuisce il cittadino per la prestazione ambulatoriale specialistica. Non bastasse tale condizione, la divulgazione di massa di notizie di cronaca che non sempre sono confermate da fatti realmente acca-duti, che contengono elementi accusatori nei confronti del sistema sanitario, definita tecnicamente “malpractice”, ha poi ricadute inevitabili sul paziente che può divenire ogget-to della cosiddetta “medicina di difesa”, permeata da scelte terapeutiche dettate più da cautele giudiziarie che da effetti-va Evidence Based Medicine.Quello che è cambiato, secondo alcuni autori, sono le aspet-tative nei riguardi della medicina da parte della popolazio-ne, quello che in letteratura viene identificato come “bisogno percepito” dall’utente.Il benessere diffuso crea una discrepanza tra bisogno sanita-rio reale e bisogno percepito dall’utenza.Le dimensioni della domanda sanitaria dipendono dalla ca-pacità della popolazione di identificare le diverse opzioni di interventi e di servizi disponibili. La domanda può essere adeguata al bisogno, ma può anche essere eccessiva o inade-guata, come quando si richiedono accertamenti diagnostici superflui per quel problema.Questa attesa generalizzata di una rapida, efficace e facil-mente accessibile risposta sanitaria viene soddisfatta oggi dai pronto soccorsi.Nei Paesi in cui il governo si è assunto l’impegno di garantire a tutti l’assistenza sanitaria, rappresenta un peso economico significativo ed in continua crescita per le casse statali.L’aumento della popolazione e delle sue aspettative, l’invec-chiamento, i costi legati alle tecnologie emergenti ed alle tera-pie farmacologiche fanno lievitare la spesa sanitaria. Il Pronto Soccorso, come organizzazione sanitaria, si sta adat-tando alla richiesta di prestazioni da parte di una popolazione sempre più anziana, con elevata comorbosità e con complessa polifarmacoterapia che richiede una specifica considerazio-ne per una corretta decisione ed è forse uno dei pochi luoghi capaci di aiutare tutte le persone: ampiamente usato, sempre aperto, facilmente accessibile, disponibile per tutti (Walker L. 2005). Ma la carenza cronica di informazioni a disposizione del cittadino ed il troppo opportunismo circa la natura e l’u-tilizzo dei pronto soccorsi, unito ad un disinteresse pressoché totale delle conseguenze di un potenziale collasso del sistema sanitario sono le principali cause del ricorso, troppo spesso superfluo, ai servizi di emergenza-urgenza.

Bibliografia

Asplin BR 2003, Moskop JC 2009, Derlet R 2001, Ospina MB, Bri-stow 2002, Canadian Triage and Acuity Scale, Chen Eh 2006, Brim c. 2008, Carret ML 2009, Bianco A 2003, Afilalo J 2004, Howard MS 2005, Byrne M 2003, Considine J 2008, OCSE Pensions at a Glance 2013, Baumann Mr 2007, Hastings Sn 2009, Monitor 2011, Walker L 2005, Report ISTAT Tendenze demogra-fiche e trasformazioni sociali 2014. Q

Caratteristiche

Le caratteristiche individuate negli studi condotti in molti pa-esi del mondo non sono sempre concordi, ma alcuni criteri sono sommariamente comuni a tutti gli studi e si riassumono inelle seguenti: giovane età, accessi per decisione autonoma o su consiglio di amici/parenti, livello socioeconomico basso, è il caso per esempio degli immigrati od extracomunitari favo-rito dalla mancanza del MMG di riferimento, a cui si contrap-pone l’accesso di individui con livello di educazione medio/alto, notoriamente più esigenti per quanto riguarda il proprio stato di salute i quali si rivolgono alle strutture che possono fornire in breve tempo soluzioni affidabili (Carret ML 2009) (Bianco A 2003).Le cause principali che portano questa tipologia di utenti a preferire il PS piuttosto che altri luoghi di cura sono il senso di urgenza, la convinzione cioè che il loro problema di salute necessiti di una valutazione e un trattamento urgente. Altra causa di accesso è la fiducia nel servizio che si estrinseca nella possibilità di disporre di più specialisti e che crea una maggior fiducia nell’opinione della popolazione. Questo par-ticolare contesto è anche il modello che induce un medico pe-riferico a centralizzare il paziente verso un DEA di II livello (Afilalo J 2004) (Howard MS 2005).

Soluzioni

Le principali strategie di soluzione attualmente adottate sono il Triage, ormai ben consolidato in quasi tutti gli ospedali, consi-ste nel noto sistema di codifica dei pazienti con i codici-colo-re, che identifica il livello di urgenza in base a regole semplici ed esplicite e consente di dare priorità ai malati più urgenti e di lasciare in attesa coloro che urgenti non sono. Il Percorso “Fast-track” è un modello organizzativo che permette, attra-verso l’invio diretto di alcune tipologie di pazienti direttamente dal triage al medico specialista di competenza, una razionaliz-zazione dei percorsi all’interno del PS e una sensibile diminu-zione dei tempi di attesa soprattutto per quel che riguarda le utenze con codici a bassa priorità (Considine J 2008). L’Am-bulatorio codici bianchi, è un servizio rivolto ai pazienti che giungono impropriamente al PS, perché portatori di disturbi che non hanno carattere d’urgenza ed ha lo scopo di risolvere numerosi problemi siano essi di spazio, di tempo o di risorse.Il “See and Treat” è un modello che prevede che i pazien-ti con problemi di salute non urgenti vengono accolti da un medico, o da un infermiere (quando i disturbi possono essere da questi gestiti in sicurezza), che si occuperà di valutare ed eventualmente trattare il problema presentato dal paziente è anche possibile eseguire semplici esami strumentali come le radiografie; ha l’obiettivo didecongestionare i PS, in particolare nei periodi di chiusura degli studi di medicina generale, ovvero negli orari notturni e nei giorni festivi. Il ticket del pronto soccorso. In Italia mol-te regioni hanno adottato il sistema del pagamento del ticket da parte degli utenti a cui è stato assegnato un codice bian-co. L’ammontare dello stesso, varia da regione a regione e da ospedale a ospedale.

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CINZIA VENTURI P.O. ASL UMBRIA 1, PATRIZIA CERNICCHI COORD. INF. OSPEDALE DI GUBBIO-GUALDO TADINO, ALESSIO SPACCI INFERMIERE NEOLAUREATO

INDAGINE SULLA CONOSCENZADEL PERSONALE SANITARIO

DI METODI SCIENTIFICAMENTE VALIDATI PER LA COMUNICAZIONEDELLA PROGNOSI INFAUSTA AI FAMILIARI DEL PAZIENTE NEL FINE VITA,

IN RELAZIONE ALLA LORO PERCEZIONE RIGUARDO ALL’EFFICACIADELLE STRATEGIE COMUNICATIVE DEI SANITARI STESSI

riAssunto

Introduzione: il fine vita è un campo dell’assistenza infermieristica che più di ogni altro presuppone una forte capacità comunicativa da parte del personale. L’obiettivo di questo studio è quello di valutare la conoscenza del personale sanita-rio intervistato (medici, infermieri e Operatori Socio Sanitari) circa metodi scientificamente validati per la comunicazio-ne della prognosi infausta ai familiari del paziente terminale. Oltre a ciò, il presente studio ha la finalità di raccogliere le esperienze dei familiari di assistiti degenti nell’ hospice di Perugia riguardo la comunicazione della prognosi.Materiali e Metodi: è stato deciso di dividere l’indagine in due studi distinti con il conseguente uso di due questio-nari. Per la raccolta dati dei sanitari (Studio 1) è stato utilizzato un questionario cartaceo creato ad hoc sommini-strato a medici, infermieri ed OSS delle Unità Operative di Chirurgia Vascolare, Traumatologia, Neurochirurgia, Oncologia, Medicina Interna Vascolare ed Unità di Terapia Intensiva dell’Azienda Ospedaliera di Perugia “Santa Maria della Misericordia” e dell’Hospice “La Casa nel Parco” dell’USL Umbria 1. La raccolta dati dei familiari (Studio 2) ha visto la creazione di un altro questionario ad hoc, somministrato ai familiari presi in carico dall’hospice “La Casa nel Parco” di Perugia, in struttura o a domicilio.Risultati: per lo Studio 1 sono stati raccolti un totale di 111 questionari (circa il 76% del totale consegnati nelle Unità Operative). Quasi il 60% dei professionisti intervistati afferma di essere certo che la propria strategia comu-nicativa abbia permesso al familiare di comprendere la prognosi del paziente. Per lo Studio 2 sono stati raccolti 100 questionari che rappresentano la totalità dei consegnati poiché ci si è avvalsi del metodo dell’intervista diretta. Il 38% dei figli e quasi il 36% dei coniugi intervistati afferma, al termine del col-loquio con il sanitario, di non aver compreso la gravità della situazione del proprio caro; il 33% dei figli ed il 26% dei coniugi afferma inoltre di aver compreso la prognosi infausta ma che tale comunicazione è avvenuta talmente a ridosso della scomparsa del familiare che non vi è stato tempo di metabolizzare la notizia. Conclusioni: il personale sanitario delle Unità Operative prese in esame crede di utilizzare strategie comunicative valide nel contesto di fine vita; tuttavia il personale è all’oscuro dell’esistenza di metodi scientificamente validati per la comunicazione della prognosi infausta. I familiari intervistati confermano una sostanziale difficoltà nel relazio-narsi con un personale schivo e spesso poco chiaro nella comunicazione; emerge inoltre che i familiari, per la mag-gior parte, non hanno subito una comunicazione di prognosi chiara e comprensibile.Parole chiave: Comunication, Palliative Care, End of Life, Liverpool Pathway, psyconcology, Bookman Pathway.

Lo Stato Italiano ha sancito l’impor-tanza delle cure palliative con la legge n. 38 del 15 marzo 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure pallia-tive e alla terapia del dolore”(1), grazie alla quale tutela il diritto del Cittadino ad accedere a queste cure ed estende il concetto di “malato terminale”, non più riferito esclusivamente all’assistito con patologia oncologica. Appare difficile, infatti, riuscire a co-municare con i familiari dei pazien-

Nel 2009 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito le cure palliative come «... un approccio che migliora la qualità di vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad af-frontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la pre-venzione ed il sollievo dalla sofferenza per mezzo di una identificazione preco-ce e di un ottimale trattamento del dolo-re e delle altre problematiche di natura fisica, psicofisica e spirituale».

Introduzione

aggettivo palliativo ri-chiama dalla sua etimologia il contesto della protezione, del calore, dell’avvol-gersi intorno a chi ne beneficia (dal lati-no “pallium”: mantello).

L’

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nicazione con i familiari nel contesto del fine vita. Inoltre lo studio intende mettere in relazione quanto raccolto dai sanitari con l’esperienza di familiari di pazienti terminali.

Materiali e metodi

È stato condotto uno studio osserva-zionale descrittivo trasversale (studio 1) su medici, infermieri e operatori socio-sanitari delle Unità Operative di Chirurgia Vascolare, Ortopedia, Neu-rochirurgia, Oncologia, Medicina In-terna Vascolare ed Unità di Terapia Intensiva dell’Azienda Ospedaliera di Perugia “Santa Maria della Misericor-dia” e dell’Hospice “La Casa nel Parco” dell’USL Umbria 1. Il personale si è vo-lontariamente sottoposto al questiona-rio cartaceo creato ad hoc consegnato personalmente presso le Unità Opera-tive. Il coordinatore infermieristico di tali U.O. è stato contattato preceden-temente per accordare il permesso alla partecipazione della struttura allo stu-dio. Il numero di questionari consegnati a ciascuna U.O. è dipeso dal numero di personale operante nella strutta.

UNITÀOPERATIVE

NUMEROQUESTIONARI CONSEGNATI

NUMEROQUESTIONARI

RITIRATI

Ortopedia-Traumatologia 20 13

Neurochirurgia 20 18

MIV 25 23

Oncologia 20 13

ChirurgiaVascolare 20 10

Rianimazione 25 20

Hospice 15 14

TOTALE 145 111

In parallelo è stato condotto un altro stu-dio osservazionale descrittivo (studio 2) in cui sono stati coinvolti familiari (co-niugi, figli/e, amici) che assistono pazien-ti morenti presso l’hospice “La Casa nel Parco” di Perugia, o a domicilio. La sele-zione dei familiari è stata eseguita dalla coordinatrice infermieristica e dalla psi-cologa della struttura, le quali sono state in grado di individuare un gruppo di per-

ti affetti da patologie mortali o la cui prognosi vira verso un contesto di fine vita. Per evitare l’onere di approcciarsi correttamente e con la giusta professio-nalità a tali situazioni, viene a crearsi necessariamente una profonda frattura tra il sanitario (medico o infermiere) che pare non saper parlare, e il familia-re che pare non riuscire a comprende-re. Questa distanza è purtroppo reale in molti contesti europei e mondiali poi-ché trova supporto in un’ampia lettera-tura scientifica e studi a riguardo.Le cure palliative hanno come filoso-fia intrinseca quella di accompagnare nel percorso finale della vita gli assisti-ti con una malattia la cui prognosi non comprende la sopravvivenza. Quando una persona accede all’ospeda-le o a qualsiasi altra struttura di cure è implicito pensare, da parte degli opera-tori sanitari, che essa sia consapevole, informata e in grado di prendere auto-nome decisioni. Nelle cure palliative ta-le autonomia e capacità di giudizio non è sempre conservata. In tali contesti, in-fatti, la persona desidera l’appoggio del familiare che, oltre che essere suo care-giver, riveste l’importante ruolo di di-fensore dei suoi diritti e a lui viene de-mandata la facoltà di scegliere. Per tali ragioni, il familiare è necessario che sia informato da parte dei professionisti sa-nitari. La comunicazione della cattiva notizia eseguita correttamente prevede chiarezza estrema, assenza di frasi di circostanza o che non delineano un qua-dro preciso della situazione, ma soprat-tutto non si deve lasciare aperta alcuna finta speranza di ripresa. Il medico è il professionista incaricato di comunicare la cattiva notizia; egli può avvalersi del sostegno di alcuni membri dell’équipe che fino ad allora si sono occupati della persona, così che il caregiver possa rico-noscere volti familiari di cui ha fiducia.L’infermiere è parte integrante della co-municazione della notizia infausta e può essere chiamato a fortificare il concet-to espresso dal medico, qualora la situa-zione lo richieda. L’infermiere prima di approcciarsi alla famiglia deve sempre sapere a che livello di consapevolezza si trovano le persone con cui si relaziona e successivamente deve essere in gra-do di usare parole precise e chiare (23: Caswell et al. 2015). L’infermiere è la figura professionale che resta costan-

temente presente nell’Unità Operativa, motivo per cui è il professionista che più di frequente si ritrova a dover rispondere alle domande delle famiglie. L’assenza della figura incaricata di fornire infor-mazioni e chiarimenti (medico) all’in-terno dell’Unità Operativa e l’incapaci-tà di alcuni infermieri di fornire rispo-ste precise, suscita nel caregiver ansia e malcontento; non c’è cosa riferita come peggiore dai familiari che non ricevere risposta (23: Caswell et al. 2015). Nonostante l’indiscussa professionalità richiesta all’infermiere nei contesti di fine vita, sono proprio i professionisti a sollevare delle difficoltà, talvolta, nel gestire il carico assistenziale di questo specifico contesto; due sono le grandi lacune: riuscire a saper rispondere effi-cacemente alle domande dell’assistito e riuscire a gestire rabbia ed ansia del fa-miliare (24: Banerjee et al. 2016). Emerge tra gli infermieri una crescen-te necessità di ampliare le proprie co-noscenze così da essere in grado di af-frontare la sfida quotidiana della comu-nicazione. In uno studio condotto nel 2014 a cui hanno partecipato 120 infermieri di on-cologia riguardo alle sfide della comuni-cazione, sono emersi sei grandi proble-mi che quotidianamente i professionisti si trovano a dover fronteggiare: tensio-ne, pesantezza, incapacità di comuni-care, barriere istituzionali, complessità, differenze che allontanano l’infermiere dal familiare (24: Banerjee et al. 2016). Prima della redazione del seguente stu-dio sono stati letti (come letteratura) nu-merosi articoli scientifici redatti in Eu-ropa e Stati Uniti e Asia. La letteratura mondiale a disposizione ha evidenzia-to come esista effettivamente una diffi-coltà del personale sanitario nel comu-nicare con il familiare nel contesto del fine vita. Il campione preso in esame nel presente studio appartiene al terri-torio perugino; tra gli scopi dello studio quindi, vi è quello di indagare se il pre-sente cambio è in linea con la letteratu-ra scientifica rinvenuta.

Obiettivo

Lo scopo principale di questo studio è quello di valutare la conoscenza del personale sanitario in materia di comu-

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(mariti, mogli, compagni/e), il 21% figli e il 14% altre figure della cerchia fami-liare (sono inclusi amici di famiglia non legati da un preciso vincolo di parentela, badanti e collaboratrici domestiche da tempo legate alla famiglia del paziente). Di questi il 55% sono femmine e il 45% maschi. La fascia d’età più rappresentata è quella 61-70 anni (25%). Il personale sanitario si è sottoposto vo-lontariamente al questionario anonimo. La figura infermieristica si è mostrata più partecipe allo studio e rappresenta il dato statisticamente più rappresenta-tivo; nell’analisi dei dati, quindi, verrà dato maggior rilievo alle risposte forni-te dagli infermieri. La prima domanda del questionario ha lo scopo di indagare se vi è o meno un luogo apposito, all’interno delle Unità Operative, in cui il personale sanita-rio comunica la cattiva notizia. Appa-re evidente che per il 50% degli infer-mieri presi in esame per lo studio, non esiste una stanza utilizzata per comu-nicare in modo disteso e tranquillo le notizie più delicate. Sono in minoranza infatti i professionisti che dichiarano di possedere una stanza con questa spe-cifica funzione. Soltanto i professioni-sti che lavorano in Hospice e nell’Unità di Terapia Intensiva dichiarano per la maggior parte di possedere una stanza adibita alla comunicazione della catti-va notizia. Il 60% dei professionisti che lavorano nell’Unità di Medicina Inter-na Vascolare dichiara di non usufruire di nessun ambiente per la comunica-zione con i familiari.Successivamente è stato chiesto ai pro-fessionisti di indicare il tempo dedica-to alla comunicazione della prognosi infausta. Esaminando la letteratura è emerso che oltre al luogo di comunica-zione, è importante per gli assistiti an-che il tempo dedicato alla stessa: una comunicazione fatta frettolosamente o senza dedicare il tempo di cui necessita ogni assistito o familiare, può determi-nare un trauma. Appare chiaro dall’opi-nione dei professionisti come non venga applicato un protocollo scientificamen-te valido per comunicare la notizia, ma al contrario viene tutto demandato al-la sensibilità e disponibilità del medico incaricato (58% degli infermieri). È importante sottolineare che dalla let-teratura scientifica anglosassone emer-

le persone e l’operatore che raccoglie i dati. La totalità delle persone ha accet-tato di sottoporsi allo studio e quindi è stato possibile raccogliere un totale di 100 questionari. Le interviste sono state svolte nei mesi di Agosto e Settembre, in struttura o a domicilio, presso l’ho-spice “La Casa nel Parco” di Perugia.

Analisi dei dati

Con i dati raccolti nei questionari è sta-ta eseguita un’analisi statistica descrit-tiva e trattati in modo anonimo. È stata condotta una regressione lineare per la valutazione della relazione tra le varia-bili quantitative: età, sesso, tipo di pro-fessionista, anni di servizio, U.O. di ap-partenenza (studio 1); età, sesso, tipo di parentela (studio 2). Le variabili quanti-tative sono state messe in relazione con ciascuno dei quesiti presenti nei due diversi questionari dei due studi. Per rendere i dati raccolti dai questionari, dei dati analizzabili statisticamente, a ciascuna risposta è stato assegnato un punteggio: 1, 2 o 3. La somma di tali punteggi non è andata a costituire un gradiente di preparazione del professio-nista (studio 1) o un gradiente di soddi-sfazione del familiare (studio 2).

Risultati

Profilo dei rispondenti

Allo studio 1 hanno preso parte 111 professionisti (76% del totale dei que-stionari consegnati) dei quali il 73, 2% erano infermieri (il dato statisticamen-te più significativo), il 13,4% o.s.s., il 7,1% medici strutturati e il 5,4% me-dici specializzandi. La distribuzione della partecipazione delle Unità Ope-rative rispetto al totale dei questionari è la seguente: 20.5% MIV, 17.9% UTI, 16.1% Neurochirurgia, 12.5% Oncolo-gia, 12.5% Hospice, 11.6% Traumatolo-gia e 8.9% Chirurgia Vascolare. È sta-ta riscontrata una prevalenza di parte-cipazione femminile allo studio (59%) rispetto a quella maschile (38.4%) e la fascia d’età maggiormente rappresenta-ta è stata quella 41-50 anni (29.5%). Hanno preso parte allo studio 2 100 persone delle quali il 65% erano coniugi

sone sufficientemente capaci di rispon-dere alle domande per lo studio. È stato costituito un secondo questionario ad hoc da somministrare ai familiari selezionati. È stato preferito il metodo dell’intervista diretta per cercare una maggiore adesio-ne allo studio da parte della popolazione selezionata. Sono state selezionate 100 persone per la partecipazione allo studio e la totalità di loro ha accettato, volonta-riamente, di partecipare allo studio con la compilazione del questionario.

Strumento di valutazione

Il questionario dello studio 1 è diviso in due sezioni: – Dati anagrafici: età, anni di servi-

zio, tipo di professionista, U.O. di appartenenza.

– Quesiti: 11 domande a risposta chiu-sa da un minimo di due opzioni ad un massimo di tre.

Il questionario dello studio 2 è diviso in due sezioni: – Dati anagrafici: età, sesso, tipo di

parentela.– Quesiti: 7 domande a risposta chiusa

da un minimo di due opzioni ad un massimo di tre. L’ultimo quesito ha la possibilità di una risposta articolata.

Procedura di raccolta dati

L’indagine è stata condotta da Giugno 2016 ad Ottobre 2016. Per lo studio 1, sono stati consegnati brevi manu i questionari alle U.O. se-lezionate ed è stato dato come limite per la compilazione tutto il mese di Lu-glio. Dopo la consegna sono seguiti due check presso le strutture per il ritiro dei questionari già compilati e per distribu-irne di nuovi. Quando sono stati ritirati tutti i questionari compilati dalle U.O. si è proceduto al conteggio. Il numero totale dei questionari dei sanitari (111) ha stabilito il numero minimo dei que-stionari da ottenere nello studio 2.Per lo studio 2 sono state individuate un totale di 100 persone alle quali proporre la partecipazione volontaria e autono-ma allo studio. Il metodo dell’intervista ha permesso una maggiore empatia tra

22 PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA

tervista guidata. Hanno partecipato allo studio i familiari degli assistiti ricove-rati presso l’hospice di Perugia e seguiti a domicilio. La partecipazione allo studio da parte dei familiari è prima stata concordata con l’équipe di cura dell’hospice che ha indicato coloro i quali sarebbero stati i più collaboranti. Durante le interviste non è mai stato raccolto un parere ne-gativo sulla ricerca, anzi tutti i familiari hanno mostrato soddisfazione e sollie-vo nel parlare dell’oggetto dell’indagine come modo di alleviare la pesantezza dell’assistenza quotidiana. La prima domanda rivolta ai familiari nel questionario chiedeva la modalità di comunicazione della cattiva notizia da parte dei sanitari. La maggior parte dei coniugi ha risposto che la notizia è stata fornita loro in modo diretto e comple-to (63.10%) e che di conseguenza hanno compreso il messaggio. Tuttavia va sot-tolineato il dato del gruppo dei figli che per più della metà (52.40%) ha risposto che il linguaggio utilizzato con loro è risultato incomprensibile.In letteratura è emersa una grande im-portanza del luogo rispetto alla comuni-cazione della prognosi. Tale importan-za è sottolineata più volte ed in numero-si studi che intervistavano familiari di pazienti morenti. Nel presente studio è stato chiesto ai familiari qual è il loro giudizio circa il luogo in cui è avvenu-ta la comunicazione con il sanitario. Va evidenziato che più della metà del grup-po dei coniugi (60%) ha risposto che il luogo della comunicazione è stato ina-deguato perché caotico e poco intimo; inoltre l’inadeguatezza del luogo viene sottolineata anche da quasi il 48% del gruppo dei figli intervistati. Come precedentemente chiesto ai sani-tari, si è cercato di capire quale fosse la figura professionale con cui si è re-lazionato il familiare per la comunica-zione della prognosi. Ancora una volta è opportuno ribadire che la comunica-zione della prognosi resta un atto e una responsabilità medica che tuttavia può (e per il bene del familiare, deve) es-sere condivisa con l’équipe. È eviden-te come tutti i familiari siano concor-di nell’affermare che la comunicazione della prognosi sia ancora, nella mag-gior parte dei casi, un atto esclusiva-mente del medico di reparto (57% cir-

be attuabile nel caso in cui nelle Unità Operative si adottasse un modello or-ganizzativo di lavoro non per compi-ti ma per presa in carico globale di un numero ristretto di assistiti. Il personale infermieristico, per oltre il 73%, ha ri-sposto positivamente al lavoro di équi-pe nella comunicazione della prognosi.L’ultima domanda del questionario è volta a comprendere se, secondo la loro interpretazione, le strategie comunica-tive messe in atto durante la comunica-zione della prognosi sono state effica-ci. Il 59.5% dei professionisti è profon-damente convinto che i familiari siano usciti dal colloquio con tutte le notizie sulla condizione clinica del proprio ca-ro; il 36.9% afferma invece di non sape-re se il familiare ha chiara la situazione clinica; infine solo il 3.6% è sicuro che il familiare non ha compreso la gravità della prognosi. Tale dato è strettamen-te connesso con il grado di soddisfazio-ne espresso dai familiari intervistati nel secondo questionario.Le persone sottoposte alla raccolta da-ti del seguente studio si sono sottoposte volontariamente ad esso, dopo essere state informate che il questionario for-nito loro sarebbe stato trattato in for-ma anonima. I coniugi rappresentano il 65% dei questionari ottenuti, per cui rappresentano il dado statisticamente più significativo e al quale viene data maggiore rilevanza. La letteratura che è stata presa in esa-me ha fatto emergere una criticità circa la comprensione della comunicazione del sanitario da parte del caregiver. La poca efficacia della comunicazione tra queste due parti fondamentali del pro-cesso di cura di una persona generano da una parte ansia, stress e disagi nel fa-miliare e dall’altra senso di frustrazio-ne e solitudine nell’assistito. A livello mondiale è presente tale gap nell’ambi-to della sanità e soprattutto nel fine vita in cui la delicatezza del momento rende complessa la relazione. L’obiettivo dello studio è stato quello di raccogliere l’esperienza dei familiari ri-guardo la comunicazione della progno-si di fine vita e metterla in relazione con la modalità di comunicazione espressa dai sanitari. Per raccogliere dati dai fa-miliari è stato creato un questionario cartaceo ad hoc; tale questionario è sta-to la traccia per lo svolgimento di un’in-

ge un ruolo primario delle professioni non mediche (infermieri e OSS) all’in-terno della comunicazione della pro-gnosi infausta; sebbene questa sia un atto medico, lo specialista si avvale del supporto di tutta l’équipe che fino ad allora ha avuto in carico l’assisti-to. All’interno dello studio si è mira-to dunque a comprendere il coinvol-gimento delle figure professionali non mediche riguardo l’informazione del familiare. Durante la degenza ospeda-liera capita spesso che assistiti e care-givers creino una profonda relazione d’aiuto con infermieri e personale di supporto; questa relazione porta le per-sone a confidare le proprie ansie e pau-re rispetto al futuro e di conseguenza a fare domande riguardo la prognosi. Nel presente studio, tutti i professioni-sti presi in esame (72% infermieri, 73% OSS, 87.50% medici strutturati, 100% specializzandi) sono concordi nell’af-fermare che la prognosi infausta viene rinforzata anche da infermieri ed OSS, se richiesto dal familiare o dall’assisti-to stesso.A proposito di questo è stato chiesto ai professionisti quale figura affian-chi, nella pratica quotidiana, il medico al momento della comunicazione della prognosi. Il 55% del totale dei profes-sionisti indica che tale affiancamento spetti a chi si trova disponibile al mo-mento della comunicazione. La letteratura invece suggerisce che per il familiare è importante essere circon-dato dai professionisti che fino ad allora si sono presi in carico del proprio caro, così che si crei un ambiente più sereno, per quanto il momento resti comunque particolarmente difficile. È auspicabile quindi che nella struttura ospedaliera possa essere apportato un cambiamen-to in tal senso: non lasciare “al caso” la presenza dell’operatore al momento della comunicazione della prognosi ma far sì che tale momento sia curato e ben strutturato. Appare evidente che tutti i professio-nisti sanitari, in linea puramente teo-rica, sono concordi nell’affermare che la comunicazione di prognosi infausta deve spettare al medico di reparto e all’équipe che si è presa carico dell’assi-stito (73.20% infermieri, 66.70% OSS, 66.70% medico specializzando, 62.50% medico strutturato); tale realtà sareb-

PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA 23

ca dei coniugi; 71.40% dei figli) che in pochi casi si circonda dell’équipe nel-la sua interezza (24.60% dei coniugi; 28.60% dei figli). È stato richiesto un ulteriore giudizio sul lavoro di comunicazione svolto dai sanitari. Il gruppo dei coniugi è diviso a metà tra chi giudica la comunicazione adeguata e rispettosa (40%) e chi inve-ce pensa che sia stata inaccettabile per forma o contenuto del dialogo (40%). Questo dato è paragonabile al nume-ro dei figli che concordano nell’affer-mare l’inadeguatezza della comunica-zione (43% circa). La voce “altro” tra le risposte del questionario dava spa-zio al soggetto intervistato di indica-re un aggettivo o una breve frase che descrivesse la comunicazione; in tutto i questionari che hanno presentato tale risposta sono stati 15 (15% del totale) e tutti hanno usato espressioni nega-tive per descrivere l’esperienza, come ad esempio: “scarsa empatia”, “fretta”, “gergo poco chiaro”.L’ultima domanda del questionario ri-volto ai familiari è stata posta alla fine poiché si chiede ai soggetti di espri-mere la loro personale idea di comu-nicazione corretta, ove quella ricevu-ta dai sanitari non lo fosse stata. Più della metà dei coniugi (60%) e dei fi-gli (57.10%) intervistati non sono glo-balmente soddisfatti di come è stata comunicata loro la prognosi mortale del familiare. Con la risposta “altro” si chiedeva al soggetto intervistato di scrivere in poche righe una modalità più idonea di comunicazione che lo avrebbe rispettato come persona e aiu-tato nella comprensione; questa è l’u-nica risposta del questionario ad esse-re aperta, nella quale le persone avreb-bero potuto esprimere liberamente la loro personale idea di comunicazione. Sono 55 i questionari che presentano questa risposta e le espressioni mag-giormente riscontrate sono raggruppa-bili in tre categorie: – “Avrei voluto percepire maggiore

vicinanza da parte del medico”.– “Avrei voluto conoscere prima la

condizione del mio familiare così da avere più tempo per metabolizzarla”.

– “Avrei gradito termini meno crudi e scientifici. Mi sono sentito trattato come una pratica da sbrigare”.

IL SOSTEGNO DEL COLLEGIO A FAVORE DEI COLLEGHI COLPITI DAL SISMA CHE HA COLPITO L’ITALIA CENTRALE

A CURA DELLA REDAZIONE

I l Collegio IP.AS.VI. della provincia di Perugia ha proceduto all’erogazione dei contributi messi a disposizione dalla Federazione Nazionale Collegi

IP.AS.VI, € 9.822,74 e da ENPAPI, € 5.000,00 a favore degli iscritti resi-denti nei comuni del “cratere” del terremoto che ha colpito l’Italia centrale nell’anno 2016.A seguito del bando pubblicato ad aprile 2017 sono state valutate le do-mande pervenute dai colleghi ed è stata redatta una graduatoria di idoneità in base a requisiti specifici.Il 18 settembre a Norcia il Collegio ha incontrato i 18 infermieri beneficiari del contributo a cui sono stati consegnati gli assegni.

24 PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA

nicarla. Dopo aver confrontato l’espe-rienza riferita dai sanitari con quella dei familiari, è possibile affermare che questi ultimi non siano complessiva-mente soddisfatti della comunicazione avvenuta, ma al contrario lamentino mancanza di empatia o rispetto per la condizione clinica. Questi dati sono in linea con gli articoli scientifici raccol-ti in letteratura, evidenziando una di-stanza tra il lavoro del personale sani-tario e le aspettative del familiare che assiste la persona con malattia grave. Pertanto, alla luce del lavoro svolto, è auspicabile che vengano migliorate le strategie comunicative con le quali medici, infermieri, O.S.S e tutta l’équi-pe multidisciplinare si rapportano con le persone nel fine vita, con l’obietti-vo di migliorare, per quanto possibi-le, un’esperienza già di per sé dolorosa nella quale la solitudine rappresenta la paura più grande.

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Conclusioni

Per quanto riguarda il primo obietti-vo del lavoro, è possibile affermare che il personale sanitario usato come campione non utilizza metodi specifi-ci per la comunicazione della prognosi infausta, né si avvale di un protocollo standard per decidere quando comu-

Discussione

Lo studio ha presentato due obiettivi fondamentali: – Verificare se il personale sanitario,

che riferisce la prognosi infausta ai familiari dei propri assistiti, utiliz-za una corretta metodologia per fa-cilitare la comprensione e miglio-rare la comunicazione della cattiva notizia;

– Raccogliere l’esperienza dei fa-miliari degli assistiti terminali ri-guardo alla comunicazione della prognosi infausta e confrontarla con i risultati riferiti dal personale sanitario.

La letteratura presa in esame ha eviden-ziato un grande livello di ansia e stress nei familiari che assistono quotidiana-mente le persone affette da una patolo-gia grave: si arriva anche a parlare di un vero e proprio burnout del caregiver. Questa condizione si origina soprattut-to dall’incapacità di comunicare corret-tamente con il personale sanitario che al contrario non si relaziona in modo costruttivo con assistiti e familiari. È ormai provato da numerosi studi scien-tifici che mettere al corrente della con-dizione clinica la famiglia aiuti la stessa a migliorare le sensazioni di depressio-ne ed incertezza verso il futuro, metten-dolo in condizione di essere un’alleata nel progetto terapeutico. Il 59.5% dei sanitari intervistati nel presente studio si dichiara certo che la propria strategia comunicativa abbia permesso ai familiari di comprende-re la gravità della prognosi; il 38.10% dei figli e il 35.40% dei coniugi inter-vistati invece sostengono che dal col-loquio con il sanitario siano usciti sen-za aver realmente compreso la gravità della prognosi. Questo dato rappresen-ta uno dei fallimenti più evidenti della pratica clinica e assistenziale che non riesce a prendersi cura delle persone oltre che del sintomo. La barriera cul-turale eretta tra il sanitario e il fami-liare rappresenta un doppio ostacolo al patto terapeutico, rappresentato da una parte dal personale poco incline all’a-scolto e all’accoglienza, dall’altra da un familiare in cui crescono sentimenti di malessere e irrequietezza. Solo il 40%

PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA 25

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26 PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA

condividono e utilizzano una giusta comunicazione. Tutto questo è accentuato quando ci troviamo di fronte a piccoli pa-zienti che, purtroppo, non possono più trarre beneficio dalle cure intensive, in quanto sono affetti da patologie life-limiting o sono in condizioni terminali, magari dopo settimane di te-rapia intensiva.

Scopo

Lo scopo di questo lavoro è informare i professionisti sanitari che operano in ambito neonatale che si trovano ad assistere i piccoli utenti in condizioni terminali, su quali siano le strate-gie comunicative più appropriate da mettere in atto quando ci

Premessa

nstaurare una buona relazione in Terapia Intensi-va Neonatale è una condizione necessaria per il trattamen-to e la cura del neonato e della sua famiglia. La nascita di un neonato patologico e l’immediato ricovero mette i geni-tori sotto un grande stress psicologico. Un’alleanza terapeu-tica tra il personale sanitario e la famiglia può evitare i con-flitti e questo è possibile se tutti i componenti dell’equipe

MARTA CORTONA, CATIA CRUCIANI, FABRIZIO FAINA, DANIELA FIORUCCI, DANIELA ROCCHI, CLAUDIA TRAVERSINI, ROBERTA VESCARELLI INFERMIERI S.C. NEONATOLOGIA E TIN DELL’AZIENDA OSPEDALIERA DI PERUGIA SANTA MARIA DELLA MISERICORDIA

MIGLIORARE LA COMUNICAZIONEIN TERAPIA INTENSIVA NEONATALE

RIVOLTA AI FAMILIARI DI NEONATIAFFETTI DA CONDIZIONI LIFE-LIMITING

ALLA LUCE DELLE RECENTI EVIDENZE SCIENTIFICHE

I

PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA 27

La relazione si deve basare su una reciprocità, uno scambio tale per cui non predomini l’affettività dell’operatore su quel-la del genitore, né prevalga l’aspetto tecnico che porta l’in-fermiere a identificare il neonato con la sua grave patologia.L’instaurarsi di una buona relazione comunicativa, così co-me è gratificante per i genitori, lo è altrettanto per il perso-nale sanitario che, in un clima di fiducia e rispetto reciproco, subirà meno critiche e si sentirà maggiormente apprezzato. D’altronde è ormai noto come la valorizzazione delle quali-tà personali e professionali prevengano lo stress e il burnout degli operatori, anche per questo, occorre dare spazio all’a-spetto comunicativo/relazionale, con l’acquisizione nell’iter formativo di base e continuo delle abilità relazionali e co-municative da spendere poi nella pratica quotidiana. Il ricovero in Terapia Intensiva Neonatale o in patologa Neo-natale è un evento traumatico per il neonato e per i suoi geni-tori che vivono giorni di incertezze, dubbi, incomprensioni e grandi paure. Per questo è importante che l’intero staff venga adeguata-mente formato sulle giuste tecniche comunicative perché co-municare bene non significa impiegare più tempo nella co-municazione, ma soltanto impiegarlo meglio. Solo tenendo costantemente presente il complesso “sistema famiglia” e il moltiplicarsi degli effetti pragmatici di ogni comunicazione, è possibile ridurre al minimo il rischio di indicazioni disatte-se e di piccoli ma inesorabili cedimenti su quel patto di alle-anza terapeutica che in molti casi è la garanzia per una buona qualità di vita del bambino e della famiglia.

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(6) Chen C., huang l., liu h., lee h., Wu S., Peng n., eT al., To Explore the Neonatal Nurses’ Beliefs and Attitudes Towards Caring for Dying Neonates in Taiwan. Maternal & Child Health Journal, 2015.

(7) Younge n., SMiTh P.B., goldBerg r.n., Brandon d.h., SiMMonS C., CoTTen C.M., Bidegain M., Impact of a palliative care program on end-of-life care in a neonatal intensive care unit. J Perinatol.; 2015 mar; n. 35 (3): 218-22.

(8) E. ParraviCini, Neonatal palliative care. Curr Opin Pediatr.,; 2017 Apr, n. 29 (2): 135-140.

(9) KyMre i.g. and BondaS T., Skin-to-skin care for dying preterm newborns and their parents – a phenomenological study from he perspective of NICU nurses. Scandinavian journal of Caring Science; 2012, n. 23 (3), 17-22. Q

si relaziona con i genitori, sulla base delle più recenti evidenze scientifiche. Il fine ultimo è quello di migliorare il livello di comprensione del padre e della madre durante tutto il percorso assistenziale in un contesto di umanizzazione delle cure.

Materiali e metodi

È stata condotta una ricerca della letteratura sulle banche dati Cinhal, PubMed su un arco temporale dal 2010 ad oggi. So-no state utilizzate le seguenti Keywords: NICU AND com-munication AND terminal care. I MESH di PubMed: NICU, nurse, communication, Terminal Care. 42 articoli trovati. Il tesauro di CINHAL: NICU, nurse, comunication skill, Terminal Care. 6 articoli trovati.

Risultati

Dopo la valutazione dei titoli e degli abstract degli articoli trovati secondo i criteri di ricerca sopra citati, sono stati re-periti 9 full text. Dalla lettura di questi ultimi sono emersi i seguenti aspetti (vedi figura alla pagina precedente ed i colori corrispondenti alle valutazioni):• Si evince la necessità di formare gli operatori sanitari sul

tema della comunicazione e sull’utilizzo di strumenti spe-cifici del “saper comunicare” come ad esempio l’algorit-mo comunicativo o la scheda comunicativa per segnalare problemi e disagi sul comunicare.• La comunicazione con i genitori di neonati affetti da “life- limiting” è da considerarsi una competenza professionale avanzata, tale da non poter essere delegata a personale in formazione neoassunti o allievi infermieri).• L’infermiere risulta il comunicatore principale in quanto presenza costante.• L’equipe deve concordare le informazioni da fornire attra-verso strategie e strumenti comunicativi specifici in modo da mantenere la stessa condotta.• La comunicazione nel setting neonatologico necessita sempre di tempi e luoghi dedicati.• Per ottenere una buona compliance con i genitori è neces-sario trasmettere attraverso la comunicazione che le cure palliative neonatali non accorciano la vita dei loro figli. Tale atteggiamento comunicativo porta ad un’alleanza te-rapeutica rassicurante e di fiducia.• Evitare che i genitori sentano parlare della situazione cli-nica del proprio figlio senza essere coinvolti.

Conclusioni

Una corretta relazione interpersonale orientata sulla giusta comunicazione, sull’ascolto e su un approccio empatico ai problemi dei genitori garantiscono lo spazio e il tempo ade-guato per proteggere se stessi da un eccessivo coinvolgimento e allo stesso tempo per riconoscere l’altro come persona con bisogni particolari.

28 PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA

del laureato magistrale relativi alle aree della ricerca, della teoria e filosofia del-le Scienze Infermieristiche ed Ostetri-che con approfondimenti bioetici e an-tropologici, del management, dell’area formativa e clinica con percorsi assi-stenziali avanzati con particolare riferi-mento a tematiche manageriali.Un percorso formativo studiato per un laureato che sviluppa competenze per

medesimo corso, ci impegnammo al-la stesura del documento per la Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, che rimase “dormiente” per una normativa Ministeriale che so-spese transitoriamente la possibilità di istituire nuovi Corsi.Il percorso formativo del Corso è stato costruito per fornire i modelli concet-tuali e metodologici, come competenza

inalmente anche l’Università degli Studi di Perugia si trova tra le 31 Università che hanno attivato il Corso di Laurea Magistrale in Scienze Infer-mieristiche ed Ostetriche. In verità eravamo pronti già da tempo quando la Prof.ssa Graziella Migliora-ti, all’epoca ancora Presidente del Cor-so di Laurea in Infermieristica, ed io, in veste ancora oggi di Coordinatrice del

MIRELLA GIONTELLA COORDINATRICE E DOCENTE CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA SEDE DI PERUGIA - DOCENTE LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE INFERMIERISTICHE ED OSTETRICHE - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA

LUCIA GIULIANI, CHIARA GORACCI, FRANCESCA KERKENI, ELISA ROSI, ANNA SALVATORI STUDENTESSE DELLA PRIMA EDIZIONE DEL CORSO

L’EVOLUZIONE DELLA FORMAZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE IN UMBRIA:

LA LAUREA MAGISTRALEIN SCIENZE INFERMIERISTICHE

ED OSTETRICHE

F

PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA 29

dell’Ateneo di Perugia, che ci ha per-messo di conoscere, almeno in parte, ciò che “sta dietro le quinte” del gran-de palcoscenico della sanità pubblica. Non potremmo non considerare come il più grande risultato di questa prima esperienza quello di sentirsi parte di un tutto, un gruppo di colleghi e professio-nisti tesi verso uno stesso obiettivo: la tutela della salute degli assistiti quale bene giuridico protetto».Allora dopo queste valutazioni fatte dai protagonisti del Corso ci siamo chiesti ... perché non andare avanti con un’altra edizione? ... il 16 ottobre u.s. si è svolta la seconda prova selettiva per l’ingresso al Corso!Un ringraziamento particolare va al Prof. Carlo Riccardi, Direttore del Di-partimento di Medicina a cui afferisce il Corso, alla Prof.ssa Graziella Miglio-rati come fondamentale presenza per l’avvio del progetto e al Prof. Gaetano Vaudo Presidente del Corso di Laurea Magistrale.Gli studenti della prima Edizione a.a. 2016/2017:– roBerTa aModeo,– eleonora BelluCCi,– Paolo Bernardini,– BarBara CeCCarelli,– Moira CheCConi,– FederiCa ChiuChiù, – Silvia ConTe,– MiMMa di laSCio,– veroniCa d’orazio,– dounia geTeoua,– luCia giuliani,– Chiara goraCCi,– FranCeSCa KerKeni,– niColò lauri,– livia Manuali,– giada MonaCelli,– Silvia MonTanuCCi,– valeria PaSSeri,– andrea Pieroni,– giulia ProFili,– BianCa reiTano,– anna Chiara righi,– eliSa roSi,– Sara roSi,– anna SalvaTori,– Maria CriSTina TenTellini,– annaliSa TiTTarelli,– MaSSiMo Tizzi,– eleonora uraS,– FederiCo vagnarelli,– anTonio viTiello. Q

gistrale rappresenta, per noi professio-nisti sanitari, un traguardo importante non solo per il riconoscimento sociale della professione, ma anche, e soprat-tutto, per il progresso della stessa.Secondo Albert Einstein “Tutto ciò che ha valore nella società umana di-pende dalle opportunità di progredire che vengono accordate ad ogni indivi-duo”: la volontà dell’uomo (scienziato) si spinge sempre verso il progresso ed ogni professionista dovrebbe ambire al miglioramento continuo di sé e della sua professione. Il progresso, in parti-colare il progresso della scienza, cam-bia gli orizzonti politici, favorisce il confronto e genera un metodo per tra-sformare la società.Questo primo anno di Università ci ha dato modo di approfondire temi molto interessanti che hanno spaziato dalla storia e filosofia dell’assistenza infer-mieristica ed ostetrica ai percorsi assi-stenziali avanzati in area clinica, pas-sando per gli aspetti di prevenzione e assistenza per la salute e la comunità e per lo studio delle scienze del mana-gement sanitario. Senza alcun dubbio molti docenti sono stati capaci di tra-smettere il loro sapere e di coinvolge-re noi studenti durante le lezioni, quali preziosi momenti di condivisione, ap-prendimento e scambio; ed ecco come ogni lezione si è rivelata più un “incon-tro”, un’occasione di dibattito, di con-fronto e crescita.Il Piano di Studio è stato una continua scoperta nelle forme ed anche nei con-tenuti fornendoci un sapere diverso, completo e rinnovato, dandoci modo di ragionare e leggere in chiave diversa molti comportamenti del vivere perso-nale e professionale; acquisire i mezzi per prendere decisioni in diversi conte-sti organizzativi e culturali. Questa laurea magistrale ci ha dato l’opportunità di spostare la prospetti-va dando così ampio respiro alle no-stre potenzialità professionali esprimi-bili verso la società; ci ha permesso di trovare una ancor più forte motivazio-ne all’assistenza con la consapevolez-za della grande responsabilità e perizia che dovremmo avere verso la società e l’assistenza alla singola persona. Alla fine di questo primo anno possia-mo essere solo soddisfatti di un corso di laurea magistrale, quale è quello

assumere ruoli diversificati nelle diver-se tipologie di organizzazioni sanitarie. Può assumere ruoli di leader professio-nale, di consulente esperto dove sono richieste competenze di innovazione e riprogettazione di processi tecnico, as-sistenziali, riabilitativi e di prevenzio-ne, sviluppo di progetti di ricerca, inte-grazione di processi interprofessionali.Ad ogni singolo ambito sono state cor-risposte lezioni da docenti esperti in materia, progetti e tirocini dettagliati. Gli studenti si sono potuti avvalere di strumenti e metodi per le competenze tecniche, e hanno avuto la possibilità di frequentare corsi nell’ambito umanisti-co con momenti di rappresentazione te-atrale dell’assistenza per suscitare emo-zioni, sviluppare empatia, stimolare le capacità riflessive e critiche e facilitare il lavoro in equipe.Quelle capacità riflessive che hanno ri-chiesto un ulteriore approfondimento da parte degli studenti durante il tirocinio utilizzando gli strumenti quali il report finale, strumento di grande valenza for-mativa, e il diario riflessivo (portfolio). Il primo ha una duplice funzione: siste-matizzare gli apprendimenti importan-ti e significativi e tradurre l’esperienza formativa in una storia personale di ap-prendimento. Mentre il portfolio ha la funzione di rendere esplicito e portare a consapevolezza ciò che avviene quando alla nostra mente giungono informazio-ni dall’esterno. Di fatto, noi ci chiedia-mo se le informazioni sono nuove o in che misura lo sono, se ci interessa ap-prenderle, quale importanza hanno per noi, e quindi se dobbiamo trattenerle, ri-utilizzarle immediatamente, archiviarle o cancellarle. E ancora, ci chiediamo quanto le nuove conoscenze modifi-chino le nostre precedenti convinzioni, e quanto contribuiscano a costruire la nostra identità culturale e professionale, o più semplicemente personale. La scrittura del diario, quando si trat-ta di diario cognitivo, è il momento per eccellenza nel quale costruiamo le tap-pe di un percorso costituito di fram-menti e scriviamo una nostra storia di apprendimento. Ma di questa prima esperienza nel no-stro Ateneo non voglio parlarne soltan-to io e vorrei lasciare la parola ad alcu-ne studentesse che hanno frequentato il primo anno di Corso: «La Laurea Ma-

30 PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA

Cambio indirizzo

È necessario comunicare quanto prima alla Segreteria il nuovo indirizzo, che può essere anche autocertificato, sia su modello prestampato scaricabile dal si-

Orari di apertura al pubblico

– Martedì e Venerdì dalle ore 15,30 alle ore 18

– Giovedì dalle ore 11 alle ore 12,30

ontatti

Web: www.ipasviperugia.itE-mail: [email protected]: [email protected] Tel.-fax 075-599.78.23

A CURA DELLA REDAZIONE

LA SEGRETERIA INFORMA

C

PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA 31

Consulenza legale

Si è attivata una collaborazione tra il Collegio IP.AS.VI. di Perugia e l’avvo-cato Paolo Fantusati. Eventuali quesiti legali inerenti la professione Infermie-ristica, possono essere rivolti al Presi-dente del Collegio IP.AS.VI. di Perugia, Dott. Palmiro Rigameli, che provvede-rà a sottoporli all’Avvocato.

P.E.C.

La legge n. 2/2009 ha introdotto l’obbligo da parte dei professionisti e delle impre-se di dotarsi di una casella P.E.C. Al fine di sensibilizzare gli iscritti all’adempi-mento della suddetta normativa il Con-siglio Direttivo del Collegio IP.AS.VI. di Perugia ha deciso di elaborare un pro-getto per ottenere il maggior numero di iscritti con un proprio indirizzo di po-sta elettronica certificata. È stato quin-di Istituito un rimborso forfettario di € 5,00 ad iscritto, previo documentazio-ne dell’effettivo pagamento di una nuova iscrizione di posta elettronica certificata o rinnovo della stessa a partire dal 2016. La modulistica necessaria per richiede-re il rimborso è scaricabile del sito in-ternet del Collegio nella sezione news.

Quota associativa anno 2017

A coloro che non avessero ancora prov-veduto al pagamento della quota anno 2017 (€ 45,00 Quarantacinque/00) si ricorda che può essere effettuato il ver-samento tramite c/c postale: 14501068

Intestato: Collegio IP.AS.VI. di PerugiaCausale: quota associativa anno 2017 Importo: € 45,00

Qualora si rendesse necessaria una ve-rifica l’ufficio di segreteria richiederà come prova di avvenuto pagamento l’e-sibizione della ricevuta di versamento.Si indicano di seguito gli importi del-le quote di iscrizione per gli anni pre-cedenti:

– 2014 : € 55– 2015 : € 55– 2016 : € 50– 2017 : € 45. Q

sarà possibile solo dopo l’effettivo col-locamento in pensione. Le domande che pervenissero oltre la data sopra indicata, non comporteranno la cancellazione per l’anno successivo: pertanto l’iscritto sarà tenuto, anche per l’anno seguente, al pa-gamento della quota annuale.(per es.: la domanda di cancellazione che pervenisse il 20 Dicembre 2017 comporterebbe la cancellazione a par-tire dal 1.1.2019 e quindi il pagamento per l’annualità 2018).

Smarrimento tessera

La tessera di riconoscimento del Col-legio è un documento ufficiale, e come tale, in caso di smarrimento o furto, va fatta denuncia alle Forze dell’Ordi-ne. Sarà possibile rilasciare una nuova Tessera consegnando in Segreteria la richiesta corredata da una copia del-la denuncia e due foto-tessera uguali. Chi non avesse ancora provveduto a ritirare il Tesserino di riconoscimento è pregato di farlo recandosi personal-mente, o delegando altra persona, pres-so la Segreteria del Collegio. Si ricor-da che la validità della Tessera è subor-dinata all’applicazione sulla stessa del bollino attestante il versamento della quota annuale.

Libera professione

Si ricorda che per intraprendere l’attività Libero-Professionale, occorre iscriversi alla Cassa di Previdenza E.N.P.A.P.I. La modulistica è disponibile presso il sito Internet del Collegio (www.ipasvi-perugia.it) e sul sito internet di E.N.P.A.P.I.(www.enpapi.it).Gli Infermieri che intendono avere in-formazioni per svolgere la Libera Pro-fessione possono, contattando la Segre-teria, richiede un appuntamento per un colloquio con i referenti per la Libera Professione

Colloqui con il Presidente

Gli iscritti possono, contattando la Se-greteria, richiedere colloqui con il Pre-sidente. La Segreteria fisserà la data e l’orario dell’incontro

to internet del Collegio IP.AS.VI. nella sezione segreteria/moduli, sia su foglio di autocertificazione generico conte-nente le generalità, il nuovo indirizzo e il numero telefonico del richiedente la variazione. La richiesta può essere spe-dita, consegnata a mano o inviata via fax o e-mail.

Tasferimento

La richiesta di trasferimento da un Col-legio ad un altro, può avvenire facendo richiesta al Collegio presso cui si intende trasferirsi (normalmente i Collegi han-no già predisposto apposito modulo), allegando la documentazione.La procedura avrà quindi un percorso interno tra Collegi. Si consiglia comun-que di contattare telefonicamente la Se-greteria del nuovo Collegio.

Cancellazione

Ricordiamo che, fermo restando l’obbli-go dell’Iscrizione all’Albo ai fini dell’e-sercizio della professione infermieristi-ca (sia in regime di pubblico impiego che di libera professione), la cancella-zione dall’Albo comporta la impossibi-lità di svolgere, a qualunque titolo e in qualunque luogo atti e prestazioni di tipo infermieristico. L’Albo è infatti lo strumento di controllo e vigilanza dello Stato sull’esercizio professionale e con l’iscrizione all’Albo, il Collegio certifi-ca e garantisce, a tutela del Cittadino e delle Strutture Sanitarie, il possesso dei requisiti generali e specifici richiesti per erogare i servizi e prestazioni afferenti all’area di competenza infermieristica.Chi essendo andato in pensione intenda cancellarsi dall’Albo (si ricorda comun-que che si può rimanere iscritti) può far-lo redigendo richiesta di cancellazione in carta da Bollo da € 16,00 consegnando-la personalmente o a mezzo raccoman-data presso la segreteria del Collegio en-tro il 30 Novembre dell’anno precedente a quello a cui si riferisce la richiesta di cancellazione.La domanda va compila-ta esclusivamente sull’apposito modulo, disponibile in Segreteria o scaricabile dal sito Internet www.ipasviperugia.it, osservando le indicazioni in esso con-tenute. Si ricorda che la cancellazione

32 PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA

– riganelli PalMiro, Presidente del Collegio IP.AS.VI. di Perugia - Presidente Comitato di Garanzia;

– Bellaveglia MiChele, Componente Comitato di Garanzia;

– CaPeCCi Chiara, Componente Comitato di Garanzia;

– CaSToldi SiMona, Presidente Collegio Revisori dei conti del nucleo C.I.V.E.S.;

– PagnoTTa MirCo, Componente Collegio Provinciale dei Re-visori dei conti;

– TinTori noeMi, Componente Collegio Provinciale dei Revi-sori dei conti.

Tra i primi importanti incarichi del nuovo Consiglio Diret-tivo si è avuta la convocazione, presso la Sala Decisioni del C.R.P.C. (Centro Regionale di Protezione Civile) di Foligno, per la presentazione della giornata di festeggiamento nella ri-correnza del ventennale dal sisma del 1997 che si è svolta al Teatro Lyrick di Assisi in data 3 ottobre 2017.Centinaia di volontari, in rappresentanza delle varie asso-ciazioni di Protezione Civile e O.N.L.U.S., provenienti da tutta Italia, si sono ritrovati presso il Teatro per ricevere il saluto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della Presidente della Giunta Regionale Umbria Catiuscia Marini.Per C.I.V.E.S. Provincia di Perugia erano presenti il Presiden-te Massimo Giovannoni e la Segretaria Filomena Nocera, in-caricati anche della rappresentanza del Cives Nazionale.Il Presidente Mattarella, la Presidente Marini ed il Sindaco di Assisi Stefania Proietti hanno ringraziato i volontari e tutte le strutture che furono vicine e si impegnarono a dare soccorso e sostegno alle popolazioni colpite dal sisma del 1997.La giornata di festeggiamento è continuata presso il Comu-ne di Gualdo Tadino, dove è stata allestita anche un’area di accoglienza attrezzata per la ricezione dei volontari prove-nienti da fuori regione, dove si è tenuto il pranzo conviviale organizzato dalla Protezione Civile gualdese in una cucina da campo.Nel pomeriggio si è svolta per il personale di volontariato e tecnico presente una serie di attività informative e dimo-strative tenute dai rappresentanti di C.I.V.E.S. e da altre as-sociazioni. Q

resso la sede del Collegio IP.AS.VI. di Perugia, il 4 luglio u.s. si è tenuta l’Assemblea Ordinaria dei Soci C.I.V.E.S. con, all’ordine del giorno, presentazione/approvazione del bi-lancio consuntivo anno 2016 e presentazione/approvazione del bilancio preventivo anno 2017.Al termine della seduta, si è proceduto alle elezioni per il rin-novo del Consiglio Direttivo del C.I.V.E.S.Il risultato dello spoglio elettorale ha prodotto le seguenti nomine:

– MaSSiMo giovannoni, Presidente;

– MiChela Floridi, Vice Presidente;

– FiloMena noCera, Segretaria;

– niCola eSPoSiTo, Direttore Operativo;

– MiChele CaPoCCia, Tesoriere. Successivamente, in data 23 agosto, alle ore 16, presso il Col-legio IP.AS.VI. di Perugia, si è riunito il Nucleo C.I.V.E.S. della Provincia di Perugia per discutere e deliberare sui se-guenti punti:

1 Insediamento Nucleo C.I.V.E.S. Perugia,

2 Attività II semestre 2017,

3 Apertura conto corrente bancario,

4 Varie ed eventuali.

Erano presenti Giovannoni Massimo, Nocera Filomena, Esposito Nicola, Floridi Michela, Capoccia Michele, Riga-nelli Palmiro.Il presidente ha preso atto che, con deliberazione n. 109 del 2.8.2017, il Collegio IP.AS.VI. della Provincia di Perugia ha provveduto, secondo quanto previsto dal regolamento istitu-tivo dei nuclei C.I.V.E.S. provinciali, alla designazione dei componenti nominati dal Collegio.Pertanto il nucleo C.I.V.E.S. della Provincia di Perugia risulta costituito come segue:

– giovannoni MaSSiMo, Presidente;

– MiChela Floridi, Vice Presidente;

– noCera FiloMena, Segretario;

– eSPoSiTo niCola, Direttore Operativo;

– CaPoCCia MiChele, Tesoriere;

MASSIMO GIOVANNONI PRESIDENTE C.I.V.E.S. DI PERUGIA

IL C.I.V.E.S. SI RINNOVA

P

PROFESSIONE INFERMIERE UMBRIA III

a Federazione Nazionale Collegi IP.AS.VI. ha stanziato un fondo straordinario che ammonta a 120.000 Euro, assegnati proporzionalmente al numero di infermieri residen-ti in ogni Collegio, al fine di dare un aiuto concreto nelle si-tuazioni più critiche direttamente nei singoli territori deva-stati dal sisma che ha colpito l’Italia centrale nel 2016. È stata lasciata piena autonomia ai singoli Collegi di decidere le mo-dalità per aiutare i professionisti coinvolti.Il 12/5/2017 in concomitanza con la giornata internazionale dell’infermiere si è svolto a Norcia l’incontro tra il Collegio IP.AS.VI. di Perugia e gli infermieri residenti nei comuni del cratere del terremoto per capire meglio le diverse pro-blematiche e condividere insieme il progetto di erogazione del contributo di solidarietà a favore degli stessi. È stata il-lustrata la quota di € 9.822,74 stanziata dalla Federazione Nazionale Collegi IP.AS.VI. e € 5.000,00 da E.N.P.A.P.I. (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza della Profes-sione Infermieristica) che verrà elargita dopo attenta valu-tazione di ogni singola istanza presentata, formulazione di una graduatoria degli aventi diritto, e quantificazione del contributo con apposita deliberazione del Consiglio Diret-tivo IP.AS.VI. di Perugia.Toccanti le testimonianze dei colleghi infermieri che si sono trovati in servizio il 30 ottobre scorso dalle quali è emerso con quanto coraggio, professionalità e umanità hanno fronteg-giato l’emergenza, provvedendo all’evacuazione delle struttu-re, mettendo in salvo tutti i pazienti ricoverati provvedendo a trasferirli in altre strutture ospedaliere e a dimettere i dimis-sibili. Il compito più difficile è stato riuscire a rassicurare i pazienti anche perché gli infermieri sono persone e come tali hanno paura. Il terremoto del 30 ottobre 2016, oltre a lasciare un segno in-delebile di distruzione nelle città, ha colpito la gente nel cuo-re, con la perdità della propria abitazione, di beni personali, soprattutto di ricordi rimasti intrappolati sotto le macerie, e il terrore e l’ansia sempre in agguato, che riaffiorano ad ogni strano rumore avvertito. Professionalità, generosità e altruismo insiti in ogni infermie-re devono essere posti all’attenzione di tutti, perché nelle peg-giori calamità e situazioni d’emergenza noi operatori della sa-lute siamo sempre in prima linea. Al termine dell’incontro è seguito un breve momento conviviale. Q

A CURA DELLA REDAZIONE

IL COLLEGIO INCONTRAGLI INFERMIERI NEI COMUNI TERREMOTATI

L

Auguri di Buone Fest e

COLLEGIO I.P.A.S.V.I. DI PERUGIA