Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
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AIPG
ASSOCIAZIONE ITALIANA DI PSICOLOGIA GIURIDICA
DANNO E DISTURBO POST-TRAUMATICO
DA STRESS
CORSO DI FORMAZIONE IN PSICOLOGIA GIURIDICA E
PSICOPATOLOGIA FORENSE
Anno 2014
Dott.ssa Serena Benini
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
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DANNO E DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS
INDICE
INTRODUZIONE……………………………………………………………….3
CAPITOLO 1: IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS………….4
CAPITOLO 2: IL DANNO…………………………………………………….11
2.1 IL DANNO BIOLOGICO DI NATURA PSICHICA……………………………11
2.2 IL NESSO DI CAUSALITA’…………………………………………………….15
2.3 IL DANNO PSICHICO COME DANNO EMOZIONALE……………………...16
2.4 ACCERTARE IL DANNO PSICHICO………………………………………….18
2.5 IL PROBLEMA DELLA SIMULAZIONE……………………………………....20
2.6 UN APPROCCIO PRUDENTE ALL’ACCERTAMENTO DEL DANNO
PSICHICO……………………………………………………………………………21
CAPITOLO 3: IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS NELLA
PSICOLOGIA GIURIDICA…………………………………………………...23
3.1 L’OBIETTIVAZIONE DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA
STRESS.........................................................................................................................24
3.2 L’OBIETTIVAZIONE DELLA MEMORIA E TEST
NEUROPSICOLOGICI………………………………………………………………26
3.3 L’OBIETTIVAZIONE DELLA MEMORIA E BRAIN IMAGING NEL
DPTS………………………………………………………………………………….28
CONCLUSIONI………………………………………………………………..30
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………….31
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
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INTRODUZIONE
In questo lavoro ho deciso di approfondire il rapporto esistente tra la categoria
diagnostica del Disturbo Post-Traumatico da Stress e il concetto giuridico di danno, entrambi
argomenti complessi, ricchi di sfumature e molto dibattuti nei relativi campi di appartenenza.
Dall’inizio del mio percorso universitario sono rimasta affascinata dal DPTS nella sua
eziopatogenesi e manifestazioni. La conoscenza degli aspetti della sua sintomatologia è di
importanza prioritaria nel campo della psicologia giuridica, si pensi ai casi di vittime di abusi
sessuali, aggressioni, incidenti, mobbing e stalking.
Nel contempo ho cercato di capire come tale disturbo potesse essere valutato dal punto di
vista giuridico in campo civilistico di risarcimento del danno, un ambito in continua
evoluzione.
Già dagli anni novanta ad oggi vi è stato un notevole aumento dei casi di danno
psichico, di certo grazie al mutamento delle metodologie di indagine e alla maggiore
attenzione e sensibilità verso il problema.
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CAPITOLO 1: IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) è un quadro psicopatologico
conseguente a un fattore traumatico estremo, situazione a cui il soggetto non riesce ad
adattarsi, e di durata superiore ad un mese. La prima descrizione di un disturbo simile risale
alla fine del XIX secolo, quando nei soldati reduci dalla guerra civile americana fu
diagnosticata una sindrome caratterizzata da palpitazioni, tachipnea, sudorazione eccessiva,
sonno disturbato, affaticamento, cefalea e svenimenti, denominata “cuore irritabile”. Lo stesso
disturbo è stato riscontrato in ogni guerra successiva, seppur con nomi diversi, fino alla guerra
del Vietnam quando è stata introdotta la denominazione di DPTS (Biondi M, Carpiniello B,
Muscettola G, Placidi G, Rossi A, Scarone S, 2010). Dunque il riconoscimento nosografico è
arrivato ufficialmente solo nella versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, III° edizione del 1980 (American Psychiatric Association, 1980) e non senza
controversie, sebbene gli effetti dei traumi subiti durante le guerre, le vittime dell’olocausto
ed altri eventi catastrofici, fossero evidenti ormai da lungo tempo.
Una delle controversie più accese ha riguardato l’inclusione tra i Disturbi d’Ansia: essa infatti
rappresenta solo uno dei sintomi che caratterizzano questo disturbo. Un altro fondamentale
punto di discussione ha riguardato il criterio di stress: nel DSM III, infatti, si riteneva che
l’evento stressante dovesse essere al di fuori del comune. Un tale criterio presupponeva una
proporzionalità diretta tra gravità dello stress e gravità della sintomatologia e di fatto
escludeva tutti quei soggetti che, pur presentando una chiara sintomatologia post-traumatica
da stress, non corrispondevano nella natura dell’evento scatenante. Studi successivi (Breslau
U N, Davis G, Andreski P, 1991) hanno ampiamente dimostrato l’inesattezza di questo
criterio di stressor, mettendo invece in evidenza l’importanza dei fattori soggettivi nella
percezione dell’evento e quindi nella gravità dei sintomi presentati.
Secondo Gabbard “Un danno più grave non predice una sintomatologia post-
traumatica […] il DPTS dipende più da fattori soggettivi che dalla gravità dello stressor”
(Gabbard G O, 1992). Si è giunti così ad una ridefinizione di stressor che viene considerato
nel DSM-IV (American Psychiatric Association, 1996) come qualsiasi evento che comporti
una minaccia per la propria integrità fisica, morte o danno grave, per se stessi e per gli altri.
Nel DSM-VI si riconosce l’importanza dei fattori soggettivi, sul significato che l’individuo
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assegna all’evento, tenendo conto della sua personalità ma anche dei fattori ambientali
precipitanti (Ursano R J, 1987).
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress si definisce quindi nel DSM-VI come un
disturbo d’ansia che si sviluppa in soggetti che abbiano subito un evento traumatico che ha
comportato una grave minaccia per la vita propria o di altri, senso di impotenza, paura ed
orrore. Il soggetto riferisce una situazione debilitante, lamentando improvvisi pensieri e
ricordi terrificanti dell’evento e incapacità di provare emozioni per le persone vicine. Tra gli
eventi si includono guerre, attentati terroristici, disastri naturali, violenze sessuali, aggressioni,
rapine, scippi, rapimenti, incidenti automobilistici, diagnosi di malattie gravi, morte di un
coniuge, licenziamento, ecc.
Non è necessario che il soggetto sia vittima dell’evento, ma in alcuni casi basta che abbia
assistito al trauma subito da altri o che sia venuto a conoscenza di fatti accaduti a persone
vicine.
I sintomi che si sviluppano sono raggruppati in: sintomi intrusivi, sintomi di evitamento e
sintomi di attivazione, i quali si sviluppano solitamente entro 3-6 mesi dall’evento, ma che
possono presentarsi anche a distanza di anni e si protraggono per almeno 1 mese. Il soggetto
spesso presenta, come conseguenza, anche notevoli compromissioni nella vita di relazione,
sessuale e lavorativa. I criteri diagnostici secondo il DSM IV-TR (American Psychiatric
Association, 2000) sono osservabili in tabella I.
A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti
entrambe le caratteristiche seguenti:
1) La persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontato con un evento o con
eventi che hanno implicato la morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una
minaccia all’integrità fisica propria o di altri;
2) La risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di
impotenza, o di orrore. Nei bambini questo può essere espresso con
comportamento disorganizzato o agitato.
B. L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
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1) Ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini,
pensieri, o percezioni. Nei bambini piccoli si possono manifestare giochi
ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma;
2) Sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento. Nei bambini possono essere presenti
sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile;
3) Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò
include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni ed episodi
dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in
stato di intossicazione). Nei bambini piccoli possono manifestarsi
rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma;
4) Disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni
che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico;
5) Reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che
simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della
reattività generale (non presenti prima del trauma) come indicato da tre (o più) dei
seguenti elementi:
1) Sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma;
2) Sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma;
3) Incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma;
4) Riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività
significative;
5) Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri;
6) Affettività ridotta (per es. incapacità di provare sentimenti di amore);
7) Sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non
poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della
vita).
D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come
indicato da almeno due dei seguenti elementi:
1) Difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;
2) Irritabilità o scoppi di collera;
3) Difficoltà a concentrarsi;
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Tab. I : Criteri Diagnostici DPTS nel DSM IV-TR
Con la pubblicazione del DSM-V (American Psychiatric Association, 2013), il PTSD è stato
inserito tra i disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti (Tabella II).
4) Ipervigilanza;
5) Esagerate risposte di allarme.
E. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B,C,D) è superiore a 1 mese.
F. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento
sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Necessario specificare se PTSD è “acuto” (durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi),
“cronico” (se la durata dei sintomi è 3 o più mesi) oppure “ad esordio rtitardato” (esordio
almeno sei mesi dopo l’evento stressante).
I seguenti criteri si riferiscono a adulti, adolescenti e bambini di età superiore ai 6 anni. Per
bambini sotto i 6 anni si consultino i criteri corrispondenti riportati più avanti.
A. Esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave lesione oppure violenza
sessuale in uno (o più) dei seguenti modi:
1) Fare esperienza diretta dell’evento/i traumatico/i;
2) Assistere direttamente ad un evento/i traumatico/i accaduto ad altri;
3) Venire a conoscenza di un evento/i traumatico/i accaduto ad un membro della
famiglia oppure ad un amico stretto. In caso di morte reale o minaccia di morte
di un membro della famiglia o di un amico, l’evento/i deve essere stato violento
o accidentale;
4) Fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi
dell’evento/i traumatico/i (per es. i primi soccorritori che raccolgono resti umani,
agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli di abusi di minori).
Nota: il criterio A4 non si applica all’esposizione attraverso media elettronici,
televisione, film o immagini, a meno che l’esposizione non sia legata al lavoro
svolto.
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B. Presenza di uno (o più) dei seguenti sintomi intrusivi associati all’evento/i
traumatico/i che hanno inizio successivamente all’evento/i traumatico/i:
1) Ricorrenti, involtari e intrusivi ricordi spiacevoli dell’evento/i traumatico/i;
2) Ricorrenti sogni spiacevoli il cui contenuto e/o le emozioni del sogno sono
collegati all’evento/i traumatico/i.
Nota: nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto
riconoscibile.
3) Reazioni dissociative (per es. flashback) in cui il soggetto sente o agisce come
se l’evento/i traumatico/i si stesse ripresentando (tali reazioni possono
verificarsi lungo un continuum in cui l’esperienza estrema è la completa perdita
di consapevolezza dell’ambiente circostante.
Nota: Nei bambini la riattualizzazione specifica del trauma può verificarsi nel gioco.
4) Intensa e prolungata sofferenza psicologica all’esposizione a fattori scatenanti
interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto
dell’evento/i traumatico/i.
C. Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento/i traumatico/i, iniziato dopo
l’evento/i traumatico/i come evidenziato da uno o da entrambi i seguenti criteri:
1) Evitamento o tentativi di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi
o strettamente associati all’evento/i traumatico/i;
2) Evitamento o tentativi di evitare fattori esterni (persone, luoghi, conversazioni,
attività, oggetti, situazioni che suscitano ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti
relativi o strettamente associati all’evento/i traumatico/i.
D. Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all’evento/i traumatico/i
iniziate o peggiorate dopo l’evento/i traumatico/i come evidenziato da due (o più)
dei seguenti criteri:
1) Incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell’evento/i traumatico/i
dovuta tipicamente ad amnesia dissociativa e non ad altri fattori (come trauma
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cronico, alcol o droghe);
2) Persistenti ed esagerate convinzioni o aspettative negative relative a se stesso,
ad altri al mondo (per es. “Io sono cattivo”, “Non ci si può fidare di nessuno”, “Il
mondo è assolutamente pericoloso”, “Il mio intero sistema nervoso è
definitivamente rovinato”);
3) Persistenti, distorti pensieri relativi alla causa o alle conseguenze dell’evento/i
traumatico/i che portano l’individuo a dare la colpa a se stesso oppure agli altri;
4) Persistente stato emotivo negativo (per es. paura, orrore, rabbia, colpa o
vergogna);
5) Marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività significative;
6) Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri;
7) Persistente incapacità di provare emozioni positive (per es. incapacità di
provare felicità, soddisfazione o sentimenti d’amore).
E. Marcate alterazioni dell’arousal e della reattività associate all’evento/i traumatico/i,
iniziate o peggiorate dopo l’evento/i traumatico/i, come evidenziato da due (o più)
dei seguenti criteri:
1) Comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia (con minima o nessuna
provocazione) tipicamente espressi nella forma di aggressione verbale o fisica
nei confronti di persone o oggetti;
2) Comportamento spericolato o autodistruttivo;
3) Ipervigilanza;
4) Esagerate risposte di allarme;
5) Problemi di concentrazione;
6) Difficoltà relative al sonno (per es. difficoltà nell’addormentarsi o nel rimanere
addormentati, oppure sonno non ristoratore).
F. La durata delle alterazioni (Criteri B,C,D e E) è superiore a 1 mese.
G. L’alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
H. L’alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es. farmaci
o alcol) o a un’altra condizione medica.
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Tab. II: Il Disturbo da Stress Post-traumatico nel DSM-V
IL PTDS ha una prevalenza nella popolazione generale che oscilla tra l’1% e il 13% nelle
forme manifeste, mentre in quelle subcliniche varia tra il 5% e il 15%. Nel sesso maschile la
prevalenza è quasi il doppio di quella femminile con picchi nei giovani adulti e nelle classi
economiche e sociali più disagiate. L’evento stressante che più frequentemente causa un
DPTS è la morte improvvisa e traumatica di un parente o un conoscente (Cassano G B, 1999).
Specificare quale:
Con sintomi dissociativi: i sintomi dell’individuo soddisfano i criteri per un disturbo da
stress post-traumatico e,inoltre, in risposta all’evento stressante, l’individuo fa esperienza
di sintomi persistenti o ricorrenti di uno dei due seguenti criteri:
1. Depersonalizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di sentirsi distaccato dai,
e come se si fosse un osservatore esterno dei, propri processi mentali o dal
proprio corpo (per es. sensazione di essere in un sogno, sensazione di irrealtà di
se stessi o del proprio corpo o del lento scorrere del tempo);
2. Derealizzazione: Persistenti o ricorrenti esperienze di irrealtà, dell’ambiente
circostante (per es. il mondo intorno all’individuo viene da lui vissuto come irreale,
onirico, distante o distorto)
Nota: Per utilizzare questo sottotipo, i sintomi dissociativi non devono essere attribuiti agli
effetti fisiologici di una sostanza (per es. blackout, comportamento durante
un’intossicazione da alcol) o di un’altra condizione medica (per es. crisi epilettiche parziali
complesse.
Specificare se:
Con espressione ritardata: se i criteri diagnostici non sono soddisfatti appena entro 6
mesi dall’evento.
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CAPITOLO 2: IL DANNO
Il codice civile non definisce il termine danno. Anche negli altri ordinamenti europei
la nozione giuridica di danno non risulta particolarmente approfondita; così in Francia, come
in Inghilterra e in Germania (Monateri P G, 1998)
La concezione dapprima affermatasi nella dottrina moderna, e risalente a Mommsen, vedeva
nel danno una diminuzione patrimoniale, secondo la celebre formula della “differenza” tra la
consistenza del patrimonio di un soggetto prima e dopo l’evento dannoso (Avazzoni A R,
1962 ; Bianca C M, 1979).
Altra visione, che si fa risalire a Von Caemmerer, indica nel danno la modificazione della
realtà materiale, cioè la soppressione del bene sul quale ha inciso l’evento. Un’altra teoria, che
fa capo a Carnelutti e può dirsi forse oramai prevalente, ravvisa nel danno la lesione di un
interesse, inteso come rapporto tra il soggetto ed un bene (Carnelutti F, 1926). Un’ulteriore
dottrina afferma che deve intendersi come danno non l’alterazione o pregiudizio di un
interesse, ma l’evento che colpisce un bene, inteso come «fenomeno che risulta idoneo a
soddisfare un bisogno socialmente rilevante, e che si presta a costituire l’oggetto tipico di
disciplina e tutela del diritto» (Scognamiglio R, 1969).
Varie sentenze successive della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale
hanno introdotto un concetto allargato di danno biologico, comprendendo nel giudizio anche
il danno morale e il danno esistenziale, attualmente definiti danni non patrimoniali con
pregiudizi esistenziali. (Cassazione SSUU n°26972/26973/26974/26975- Sentenze gemelle 11
novembre 2008). In questo caso vengono presi in considerazione pregiudizi che in quanto
attengono all’esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti
come esistenziali.
2.1 IL DANNO BIOLOGICO DI NATURA PSICHICA
Il danno biologico (risarcibile in base agli art. 2059 c.c. e art. 32 Cost.) consiste nella
menomazione dell’integrità psicofisica della persona. Esso, per essere tale, ha come
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presupposto l’insorgenza di una condizione patologica nello stato di salute, suscettibile di
accertamento medico-legale. Nello specifico, il danno biologico di natura psichica è uno dei
profili di pregiudizio non patrimoniale più complessi e delicati, dal momento che costringe gli
esperti ad interrogarsi circa le modalità con cui gli esseri umani rispondono ad una grande
varietà di situazioni minacciose per l’integrità ed il benessere personale (Magliona B, Bianchi
A, Volterra V, 2009). Esso consiste nella riduzione, menomazione, temporanea o permanente,
di una o più funzioni della psiche della persona con conseguente impedimento
dell’espressione della propria personalità nel mondo esterno ostacolando altresì lo
svolgimento delle consuete attività di vita del soggetto. La sentenza n. 184 del 1986 della
corte costituzionale lo introduce tra le voci risarcitorie del danno alla persona.
Il danno psichico viene considerato composto da “danno evento” che consiste in un
vero e proprio trauma psichico e che rappresenta il presupposto stesso del danno, e il “danno
conseguenza”, consistente nella trasformazione peggiorativa delle condizioni di vita del
danneggiato, conseguenza immediata e diretta del trauma.
Il danno psichico è una figura di danno ancora in corso di definizione della dottrina e della
giurisprudenza e si differenzia dal danno fisico poiché non ha una manifestazione esteriore
tangibile. Infatti, mentre la lesione fisica lascia un segno evidente, il trauma psichico è
caratterizzato da manifestazioni che riguardano appunto la psiche, spesso senza ripercussioni
sul corpo del soggetto. La menomazione psichica consiste nella riduzione, durevole e
obiettiva, di una o più funzioni della psiche della persona al punto di impedire al danneggiato
di attendere, del tutto o in parte, alle sue occupazioni ordinarie di vita. In modo estremamente
schematico si può dire che il danno psichico si manifesta in una alterazione della integrità
psichica, ovvero una modificazione qualitativa delle componenti primarie psichiche, come le
funzioni mentali primarie, l’affettività, i meccanismi difensivi, il tono dell’umore, le pulsioni.
(Capri P, 2005)
Il danno biologico di natura psichica, la lesione dell’integrità psichica della persona, è stato
definito da Itrona e Raimondo come la “compromissione durevole di una o più funzioni della
personalità (intellettive, emotive, affettive, volitive, di capacità di adattamento e di
adeguamento, di relazionarsi con gli altri) che possono giungere fino a condotte devianti
etero o autoaggressive e che incide (o non incide) anche sul rendimento lavorativo” (Itrona
F, Raimondo A, 1998). Il danno psichico si configura quindi, quando un evento psicolesivo
causa “una menomazione peggiorativa del modo di essere psichico del soggetto” (Brondolo
W, Marigliano A, 1996).
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Su questo tipo di danno si è fatta e si fa spesso confusione. Non si tratta di un danno
neurologico, perché quest’ultimo colpisce il sistema nervoso, ossia l’apparato costituito da
encefalo, midollo spinale, organi di senso e nervi periferici, entità anatomiche tutte ben
individuabili. Un danno di tale tipo si accerta con l’esame obiettivo neurologico. La maggior
parte dei casi di danno neurologico non pone, quindi, problemi anche se talvolta questo tipo
di danno si esprime con una sintomatologia di tipo psichico e non si esprime con sindromi
riconducibili a precisi centri encefalici.
Il danno psichico colpisce la psiche costituita secondo i canoni classici di psicopatologia da
tre fondamentali facoltà o sfere: conoscitiva, affettivo-istintiva e volitiva (Sartori A, 2006).
Il danno psichico è nella sua essenza, un danno emozionale (D’amico P, 1992). A differenza
di quanto vale per il danno somatico, l’evento all’origine del danno psichico esplica la sua
azione lesiva nei confronti dell’organismo in modo indiretto, tramite il sistema emozionale di
colui che subisce l’evento.
Il danno biologico di tipo psichico va distinto dal danno morale (ex art. 185 c.p.),
considerato dalla giurisprudenza come uno stato di tristezza e prostrazione causato dal trauma,
che non sempre arriva ad alterare l’equilibrio interno dell’Io e le modalità di relazionarsi con
l’esterno. Il danno morale viene tradizionalmente definito come il turbamento psichico
soggettivo e transeunte causato dall’atto illecito; più precisamente viene identificato con la
“sofferenza”, cioè con lo stato di sconforto e abbattimento provocato dall’evento dannoso
(Dominici R, 2006 ; Toppetti F, 2005).
Il danno morale affligge e disturba la vita quotidiana, rendendola un peso da sostenere con
difficoltà; il danno psichico impedisce, temporaneamente o permanentemente, alcuni o molti
degli aspetti della vita quotidiana.
Volendo approfondire le differenze fra i vari danni subiti dalle persone è bene rilevare che in
primo luogo il danno psichico deve fondarsi su una psicopatologia, cioè su un’alterazione
patologica delle funzioni psichiche dell’individuo. Contrariamente, il danno morale, non
costituisce una vera e propria psicopatologia, è infatti fonte di sofferenza per chi subisce il
danno, ma non altera in senso patologico le sue funzioni psichiche.
In secondo luogo, per definizione, il danno psichico, è presente allorché chi ha subito il danno
si trovi costretto a rinunciare in tutto o in parte ad alcune tra le attività esistenziali cui era
solitamente dedito prima del trauma. Il danno morale, al contrario non comporta una perdita o
una riduzione di attività esistenziali, ma una sensazione di dolore che può comunque inficiare
qualitativamente la normale vita di relazione (Capri P, 2006).
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Vi è, inoltre, un’ulteriore distinzione con il danno esistenziale, inteso come
un’alterazione, in senso peggiorativo, del modo di essere di una persona nei suoi aspetti sia
individuali che sociali; sul piano individuale si presenta come una modificazione della
personalità e dell’assetto psicologico nel suo adattamento, nei suoi stati emotivi, nella sua
efficienza e nella sua autonomia, mentre sul piano sociale si presenta come un’alterazione del
manifestarsi del proprio modo di essere nelle relazioni familiari-affettive e nelle attività
realizzatrici (riposo, interpersonali/relazionali, di svago, sociali/culturali e di
autorealizzazione). Si tratta di un cambiamento negativo dell’equilibrio psicologico e dello
stile di vita nell’ambito dei rapporti sociali, della famiglia e degli affetti in ottica relazionale
ed emotiva; ciò condiziona la qualità della vita, la sua progettualità e le aspettative. Come
chiarisce Toppetti (Toppetti F, 2005) il danno esistenziale determina l’insorgere di una sorta
di coazione ad agire e comportarsi in modo diverso da prima, con conseguente alterazione dei
normali ritmi di vita e turbamento delle normali attività quotidiane a discapito della serenità e
degli equilibri raggiunti a livello di adattamento.
Il danno biologico di natura psichica può essere:
1) Diretta conseguenza di:
- Traumi cranio-encefalici;
- Maltrattamenti,abusi e violenze a vario titolo inferte;
- Mobbing;
- Stalking;
- Lesioni personali;
- Sequestri di persona.
2) Derivare indirettamente da:
- Un lutto da morte di un familiare;
- Un gravame psico-fisico derivante dal dover assistere un familiare non più
autosufficiente per evento lesivo altrui. (Fornari U, 2008) .
Le valutazioni riguardanti le situazioni di pregiudizio, o di rischio di pregiudizio, nei
bambini possiedono, intrinsecamente, una notevole complessità. Per quanto concerne la
valutazione dell’intensità lesiva dell’evento psicotraumatizzante, occorre tener presente che il
carico di un evento stressante e dei suoi effetti varia a seconda non solo delle caratteristiche
temperamentali di un soggetto e della sua maggiore o minore resilienza, ma anche in relazione
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alla specifica fase evolutiva in cui l’evento si verifica e all’ambiente supportivo in cui il
bambino vive. Pertanto, la stima della carica patogena dell’evento stressante/traumatizzante
deve considerare i parametri legati all’evento stesso, in termini di intensità e di durata, ma
soprattutto il suo valore e il suo significato in relazione allo stadio di sviluppo del minore e
alla possibile ingerenza nei compiti proprio di quello specifico stadio, rallentando o arrestando
una o più delle linee evolutive.
2.2 IL NESSO DI CAUSALITA’
La questione della causalità nell’accertamento medico-legale del danno psichico è tra le
più controverse. Per individuare, non tanto la “causa” del trauma psichico (Corte Cost. Sent.
N. 372/94) si fa riferimento ad un’interazione tra molteplici fattori con una variabilità di
proporzioni pressoché infinita da individuo ad individuo per giungere all’identificazione di
“concause” del trauma e, quindi, del danno psichico. Bisogna ricordare che “il trauma si
inserisce su un preesistente substrato psichico e c’è la concorrenza in varia e pressoché
indeterminabile proporzione di influenze biologiche, psicologiche, familiari e ambientali”
(Castiglioni R, 2004).
Il problema del nesso di causa tra un trauma e il danno psichico (ossia il “disturbo” che viene
allegato come danno) è stato a livello medico legale risolto in due modi opposti. Il primo
valorizza la preesistenza, talora dimostrata e talora genericamente presunta, per concludere
che la stessa prevale sul “trauma” e per supportare questo metodo si ricorre molto spesso al
concetto di “causa occasionale” o “occasione” che rappresenta il complesso delle circostanze
che hanno favorito l’entrata in azione delle cause, talchè l’ “occasione” compartecipa a
promuovere il trauma (Zangani L, Palmieri V M, 1990). Il secondo modo di risoluzione del
problema, che appare assai più attendibile, considera, si, anche il substrato “preesistente”, ma
rifiuta concetti ambigui come quello di causa occasionale, che frequentemente ha portato ad
escludere il risarcimento, quando i fattori preesistenti e favorenti si ritenevano avere una
prevalenza nella psicopatogenesi (Ponti G, 1992). Il concetto di causa occasionale appare una
mostruosità sul piano giuridico, in quanto non ha senso parlare di occasione che “favorisce” lo
scompenso, ma che non è causa o concausa. Se un trauma favorisce anche in minima parte un
evento, significa concausa. Non ha senso parlare di causa che è “poco causa”, tanto poco da
non avere, in fin dei conti, alcuna dignità causale. Va infatti ricordato che la normativa sul
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
16
nesso causale (art. 40 e 41 c.p.) è ispirata alla concezione condizionalistica, per cui, ogni
condizione, sia pur minima, che contribuisce a determinare l’evento, assume ruolo causale
(Castiglioni R, 1992 ; 2004).
Non va sottaciuto, poi, che ciascuno “ha diritto all’integrità della propria salute fisio-
psichica così com’è, sia che goda della proverbiale salute “di ferro”, sia che soffra di più
fragile equilibrio psichico” (Castiglioni R, 1992 ; 2004). Pertanto ogni evento traumatico,
ancorché modesto o naturale, è potenzialmente idoneo ad innescare dinamiche intrapsichiche
atte a dare poi corpo ad un quadro psicopatologico. Dovrà, quindi, il medico legale,
supportato da un consulente, valutare attraverso strumenti diagnostici appropriati e tener
conto degli eventi psicosociali stressanti “che si siano verificati quantomeno nell’anno che
precede la valutazione del caso e che possano aver contribuito ad una delle seguenti
situazioni:
1. insorgenza di un nuovo disturbo mentale;
2. ricaduta di un disturbo mentale precedente;
3. esacerbazione di un disturbo mentale già esistente” (Castiglioni R, 1992 ; 2004).
2.3 IL DANNO PSICHICO COME DANNO EMOZIONALE
Come già accennato, il danno psichico può essere letto come un danno “emozionale”
(D’amico P, 1992). Il danno somatico è il risultato di una lesione che colpisce direttamente il
corpo, compreso l’encefalo, in uno qualsiasi dei suoi livelli di organizzazione strutturale, dal
livello molecolare a quello macroscopico. Qualunque sia la natura dell’evento responsabile, la
lesione somatica è direttamente riconducibile all’evento causale, esterno alla vittima. A
differenza di quanto vale per il danno somatico, l’evento all’origine del danno psichico
esplica la sua azione lesiva nei confronti dell’organismo in modo indiretto, tramite il sistema
emozionale di colui che subisce l’evento. È dunque un danno che la vittima non solo subisce,
ma a cui attivamente contribuisce. Non viene solo da fuori, ma “da fuori” e “da dentro”. Ai
fini della produzione del danno psichico non rileva tanto la natura dell’evento, quanto la sua
capacità di alterare temporaneamente o permanentemente il funzionamento dei dispositivi
neurali deputati alla rilevazione di specifiche classi di eventi, detti stressanti o traumatici:
eventi di separazione o perdita, eventi minacciosi per l’integrità personale, turbamenti del
benessere o alterazioni dell’omeostasi. La funzione biologica fondamentale del sistema
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
17
emozionale è quella di riconoscere, conservare una traccia e rispondere in modo selettivo agli
eventi maggiormente significativi (sia in termini di utilità che di danno) per l’integrità e la
stessa sopravvivenza dell’individuo o della specie. Il sistema emozionale umano è un sistema
complesso, filogeneticamente molto antico ma largamente rimodellato nel corso della storia
evolutiva della specie, così da risultare almeno parzialmente accessibile all’introspezione
cosciente. Esso presiede alla formazione di rappresentazioni ed equivalenti simbolici di vario
tipo che nel loro complesso costituiscono il correlato mentale degli eventi emozionalmente
rilevanti. (Magliona B, Bianchi A, Volterra V, 2009).
Il substrato neurale del sistema emozionale è del tutto specifico ed in gran parte noto. Le
strutture cerebrali cruciali sono l’ippocampo, l’amigdala, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, la
corteccia prefrontale. In risposta, ma anche in preparazione, ad un evento emozionalmente
significativo, il sistema regola la liberazione (sia centrale che periferica) dei principali
mediatori chimici dello stress, catecolamine e corticosteroidi, entrambi secreti dalle ghiandole
surrenali. In generale, quanto più la risposta allo stress è intensa e/o prolungata nel tempo,
tanto più compaiono effetti dannosi per l’organismo, sia sui singoli organi che sul sistema
emozionale stesso.
La risposta dell’organismo tende ad essere uguale per tutti, immediatamente dopo
l’esposizione agli eventi dotati di maggiore impatto traumatico, ed è nella grande
maggioranza dei casi del tutto reversibile. La variabilità interindividuale aumenta al diminuire
dell’intensità e/o protrarsi nel tempo dell’esposizione (reale o percepita) all’evento
traumatico. In tutti questi casi il contributo dei fenomeni propriamente biologici tende a
scemare a favore di componenti più squisitamente soggettive e gli scopi e gli interessi
dell’esaminato rivestono, in ambito giudiziario, un ruolo assolutamente preponderante. La
possibilità di controllare il proprio comportamento, in modo da renderlo funzionale al
conseguimento dei propri scopi, è una delle caratteristiche più elementari delle specie viventi.
A causa di questa intrinseca complessità, il danno psichico mal si presta ad essere
semplicemente assimilato alla componente somatica del danno biologico. Esso emerge dal
danno biologico, nel senso che normalmente procede da un evento stressante capace di
produrre modificazioni biologiche a carico dell’organismo, ma lo eccede largamente, nel
senso che alla sua genesi e mantenimento concorrono in maniera rilevante componenti di
natura psicologica e sociale (Magliona B, Bianchi A, Volterra V, 2009). Fra le componenti di
natura psicologica, la ricerca ha evidenziato soprattutto i meccanismi cognitivi, intimamente
collegati alle attribuzioni, convinzioni ed aspettative che l’esperienza post-traumatica
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
18
inevitabilmente comporta (Castro W H M, Meyer S J, Becke M E R et al., 2001 ; Kwan O,
Friel J, 2002 ; Siegmund G P, Brault J R, Wheeler J B, 2002).
Questi meccanismi agiscono come potenti fattori di distorsione (biases) dell’esperienza
soggettiva della vittima, in maniera pervasiva e del tutto automatica, ben al di là della
semplice malafede intenzionale, peraltro non irrilevante.
Per quanto riguarda i fattori sociali, è noto che il malessere percepito in un contesto di
risarcibilità (più in generale: associato a ricompense socialmente legittimate) tende a sua volta
a distorcere in maniera significativa l’esperienza di malattia e a rallentare, fino in alcuni casi
ad impedire, i processi di guarigione (Cassidy J D, Carrol L J, Cotè P et al., 2000). È noto
altresì che quando un danno è attribuibile alla responsabilità altrui (e quindi in linea teorica
poteva essere evitato), la perdita risulta ancora più insopportabile, e spinge urgentemente ad
agire pur di riparare il torto che si ritiene di aver subito: la punizione del responsabile, in molti
casi, funziona come un surrogato (solo parzialmente efficace) del processo di elaborazione
della perdita subita.
Anche gli altri elementi socio-culturali, quali il contesto familiare, l’ambiente lavorativo e la
natura del sistema sanitario, svolgono un ruolo non marginale nel plasmare la risposta che il
singolo individuo oppone all’evento traumatico (Kirmayer L J, 2005) delineando una “cornice
culturale” dei disturbi psicopatologici che chiama in causa gli stessi fondamenti filosofici e
metodologici della diagnosi psichiatrica e di cui si è cominciato a tenere conto in ambito
specialistico (Berganza C E et al., 2001). Queste componenti operano in maniera universale,
vale a dire nella totalità dei casi. Non si tratta di fare appello a preesistenze psicopatologiche
individuali, che pure possono concorrere, ma di rintracciare i “normali” meccanismi
attraverso cui il malessere psichico prende forma e si incanala lungo i tragitti che possono
apparire tortuosi rispetto alla linearità della causalità fisica, ma che tuttavia conservano una
loro, seppur complessa, comprensibilità scientifica.
2.4 ACCERTARE IL DANNO PSICHICO
Per poter accertare un danno psichico deve essere dimostrata l’esistenza di una lesione
psichica, temporanea o permanente, conseguente ad un evento giuridicamente rilevante.
Questa valutazione deve essere fondata su evidenze oggettive, ovvero rilevabili in modo
indipendente sia dalla soggettività dell’esaminatore che dell’esaminato e pertanto, come tali,
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
19
riproducibili. Ciò che il diritto chiede alla scienza è di accertare l’esistenza di un fatto della
natura, in questo caso una lesione psichica, che si ipotizza essersi verificato in circostanze
spazialmente e temporalmente definite, comunque prima dell’accertamento stesso.
Per valutare la presenza e la consistenza del trauma, occorre un’analisi approfondita del
soggetto, caso per caso, con aspetti metodologici che dovranno riguardare non soltanto i
colloqui clinici, ma anche test di livello, di personalità e proiettivi, al fine di valutare sia
eventuali alterazioni delle funzioni mentali primarie di pensiero, ma anche gli stati emotivo-
affettivi, la struttura e la sovrastruttura dell’io, nonché i meccanismi difensivi, analizzando
così eventuali modificazioni della personalità nel corso del tempo e in seguito a modificazioni
indotte, causate da eventi esterni. Fondamentale, per questo tipo di valutazione, è il ruolo del
CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), che deve accertare l’esistenza o meno, del trauma
psichico, valutando se il danneggiato ha subito una compromissione, una menomazione, una
riduzione della sua capacità di comprendere e di accettare la realtà, attraverso processi di
adattamento non più equilibrati. L’accertamento della preesistenza o meno di disturbi psichici
rappresenta un punto importante delle indagini peritali, che rimanda agli aspetti specifici della
metodologia da utilizzare, perché consente di verificare se vi siano o meno concause in
riferimento al disturbo, come appunto eventualmente il trauma. Il CTU deve procedere con
un’accurata raccolta dei dati anamnestici, con l’esame della documentazione clinica e con
l’analisi delle deposizioni testimoniali orientate ai fini clinici per accertare l’esistenza di
patologia psichica in atto o precedente e il suo inquadramento nosografico (Capri P, 2005).
Tipicamente la principale sorgente di evidenze è rappresentata dal resoconto (self-report) del
soggetto che lamenta il danno, o dei suoi familiari. Durante la raccolta anamnestica ed il
colloquio iniziale, l’esperto è solitamente attento alla presenza di indicatori comportamentali
valevoli come segni di eventuale psicopatologia, secondo i principi classici dell’esame dello
stato mentale, che rappresenta l’equivalente logico dell’esame obiettivo della patologia
somatica. Accanto all’evidenza clinica si fa comunemente ricorso all’evidenza
psicodiagnostica. In linea generale, possiamo suddividere gli strumenti di psicodiagnostica
forensi in categorie distinte:
- reattivi grafici;
- test proiettivi;
- test di livello;
- inventari di personalità;
- test neuropsicologici.
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
20
Sarà compito del consulente scegliere, in base a cosa deve accertare, lo strumento da
utilizzare.
2.5 IL PROBLEMA DELLA SIMULAZIONE
Le evidenze comportamentali non possono fare a meno della collaborazione del soggetto
esaminato, cioè della sua motivazione all’indagine stessa. L’esame clinico e quello
psicometrico devono poter contare su un grado accettabile di cooperazione e di impegno da
parte del soggetto esaminato.
Nei contesti giuridicamente rilevanti, poi, la falsificazione intenzionale deve essere
sovente considerata come una delle più probabili ipotesi esplicative dei disturbi riferiti.
Le evidenze comportamentali (sia cliniche che psicometriche) raccolte in contesti di
risarcimento devono, prima di poter essere accettate, essere state preliminarmente vagliate
circa la loro effettiva credibilità, vale a dire circa la loro resistenza alla deliberata
falsificazione. La ricerca sul tema segue principalmente due strade. La prima conduce alla
selezione di indicatori che in un modo o nell’altro “aggirino” la capacità di falsificazione da
parte del soggetto. I test proiettivi hanno avuto, in passato, tanto successo in ambito giuridico
proprio perche si riteneva che il test avrebbe comunque rilevato, nonostante ogni intenzione
contraria del soggetto esaminato, aspetti “nascosti” della sua personalità, grazie al
meccanismo psicodinamico della proiezione. Approcci più moderni prevedono l’utilizzo di
paradigmi sperimentali che misurano componenti elementari della cognizione (Sartori G,
Agosta S, Zogmaister C, Ferrara S D, Castiello U, 2008).
Altri approcci, che utilizzano essenzialmente la fMRI (risonanza magnetica funzionale)
cercano di isolare i correlati propriamente neurobiologici dei comportamenti di menzogna, in
qualche modo esplorando la “verità neurale” prima della “verità comportamentale” (Bianchi
A, Gulotta G, Sartori G, 2009).
La seconda strada, invece utilizza normali strumenti d’indagine psicometrica self-report-
based, ma corredati di una quantità di strumenti di controllo della credibilità, che nel loro
complesso vengono chiamati “indicatori di validità”. Uno strumento psicometrico accettabile
in ambito forense deve poter discriminare con una percentuale d’errore nota, i protocolli
autentici rispetto a quelli prodotti da soggetti che semplicemente ne fingono i sintomi, oppure
che presentano condizioni patologiche diverse rispetto a quelle pertinenti. Gli inventari di
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
21
personalità MMPI possiedono, per esempio, un repertorio di indicatori di validità molto
ampio, ed in continuo aggiornamento.
2.6 UN APPROCCIO PRUDENTE ALL’ACCERTAMENTO DEL
DANNO PSICHICO
È probabile che nei prossimi anni un certo numero di markers di natura propriamente
neurobiologica verranno gradualmente incorporati tra i criteri diagnostici di molti disturbi
mentali, in armonia con la tendenza verso un paradigma unificatore (Kandel E R, 1998).
Per quanto riguarda i disturbi dello spettro post-traumatico, sia dell’umore che d’ansia, il
marker biologico più affidabile sembra al momento rappresentato dall’atrofia dell’ippocampo,
a sua volta riconducibile agli effetti neurotossici dei glucocorticoidi, dei cui recettori
l’ippocampo è particolarmente ricco. Già oggi è possibile, con costi sostenibili ed in
condizioni di assoluta sicurezza, seguire longitudinalmente tramite un semplice esame di
risonanza magnetica quantitativa, l’andamento del volume dell’ippocampo nel singolo
soggetto (che quindi non necessita di comparazioni between) esposto ad un evento traumatico
di particolare intensità, per esempio nei primi mesi dopo l’evento ed a distanza di circa 24-30
mesi. L’eventuale riduzione del volume ippocampale rappresenta, in questo caso, una forte
evidenza, interamente oggettiva, a sostegno della natura biologica della sintomatologia
riferita. Il contrario non sarebbe vero, in armonia col noto principio per cui in assenza di
prova non significa prova di assenza.
Ora, al di là della plausibilità del predetto scenario, che appartiene comunque ancora al futuro,
è verosimile che con il migliorare delle conoscenze di natura neuroscientifica ed il
perfezionamento delle attuali tecniche di neuroimaging, tali metodiche d’indagine possano
trovare un impiego nel senso di una visualizzazione in vivo di correlati biologici del danno
psichico.
Si deve tuttavia sottolineare, a parte l’interesse di queste scoperte scientifiche, la loro scarsa
specificità diagnostica, dato il loro riscontro nelle situazioni più disparate. La fMRI, inoltre,
offre preziose indicazioni sullo stato di attività del cervello, ma non lo misura direttamente,
bensì solo tramite le variazioni relative del flusso sanguigno, per cui quanto più il flusso è
intenso, tanto più una certa area è attiva rispetto alle altre. Poiché il cervello presenta
un’incessante attività spontanea, tali variazioni rappresentano solo minime differenze di
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
22
attività in un contesto estremamente ampio di scariche neuronali cui la scienza non è in grado
di dare un’interpretazione univoca.
Il significato da attribuire alle attivazioni cerebrali coinvolge inevitabilmente il controverso
problema dell’interazione mente-cervello, del determinismo o della libertà della mente. Detto
altrimenti, accettare che l’attivazione di un piccolo gruppo di neuroni, tra i miliardi di cellule
nervose del cervello, sia responsabile dell’emozione, del comportamento o di un’attività
psichica correlata significa implicitamente suggerire che il cervello, o meglio una sua
minuscola porzione, abbia già scelto prima del soggetto (Castelfranchi C, 2008).
Al di là dell’ovvia constatazione che ad ogni stato mentale e ad ogni condotta corrisponde un
particolare stato neurale, è lungo il percorso ancora da fare per dotare l’accertamento del
danno psichico di un supporto neuroscientifico “forte”.
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
23
CAPITOLO 3: IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS
NELLA PSICOLOGIA GIURIDICA
Il PTSD, essendo legato ad eventi traumatici, spesso diviene argomento d’interesse per
la psicologia giuridica. Il trauma coincide solitamente con il fatto illecito, come nell’abuso o
nelle aggressioni. Gli aspetti di particolare rilievo in questo campo riguardano la gravità del
disturbo psico-fisico presentato, in relazione alla gravità del reato e la possibilità di
risarcimento. Complessa è la sintomatologia che si presenta in seguito ad un trauma, sintomi
che pongono il problema anche della facile simulazione. Tale disturbo comporta problemi di
memoria, di attenzione, cognitivi, diminuzione dell’iniziativa, abbassamento della capacita di
controllo,ecc.. E’ fondamentale accertare come è cambiata la vita dell’individuo dal momento
del trauma, quanti e quali insuccessi quest’ultimo ha comportato nella sua vita di relazione e
lavorativa. Spesso le persone cambiano completamente, preferendo nuovi amici ai vecchi,
proprio per non dover rischiare di affrontare, anche se indirettamente, il ricordo dell’evento. A
volte non sono più in grado di svolgere il proprio lavoro. È nel momento proprio della
ricostruzione che si evidenziano e si rafforzano i sintomi del disturbo post-traumatico.
La diagnosi per accertare il danno psicologico, oltre a soddisfare i criteri di tipo clinico-
prognostico-terapeutico, deve assolvere alla richiesta di effetti di menomazione all’integrità
psicofisica, e quindi stabilire criteri quantificabili e risarcibili del danno.
Qualora l’accertamento della presenza in un soggetto di un quadro clinico ascrivibile
ad un DPTS si dimostri dipendere da un “danno ingiusto”, procurato all’individuo portatore
del disturbo, chi ha cagionato il danno deve risarcirlo a norma di legge (art. 2043 c.c.).
Il problema della valutazione medico-legale del danno alla persona, in conseguenza di
molteplici sentenze emesse sia da parte della Corte di Cassazione sia da parte della Corte
Costituzionale, ha mutato radicalmente la propria fisionomia negli ultimi venticinque anni e
non ha ancora raggiunto il suo assetto definitivo. Come si può facilmente comprendere il
DPTS, in quanto patologia psichiatrica conseguente ad evento psico-traumatizzante agente
dall’esterno, risulta di fatto uno dei quadri clinici di fronte ai quali il medico-legale, o meglio
lo psichiatra forense, più frequentemente si trova a confrontarsi ai fini valutativi. Si tratta di
un’operazione certamente non semplice anche per il complessivo e non del tutto risolto,
problema dell’accertamento di un’eventuale “predisposizione personale” nei confronti dello
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
24
sviluppo di una reazione psicogena, e delle eventuali “pre-esistenze” morbose, fattori che, da
una parte, possono favorire, attraverso un meccanismo di scompenso, l’estrinsecazione del
disturbo psicopatologico conclamato, e dall’altro possono rappresentare veri e propri disturbi
pre-esistenti, da considerarsi in comorbilià con gli eventuali postumi dell’evento psico-
traumatizzante sotto analisi.
Ad ogni modo, procedendo secondo il consueto metodo valutativo medico-legale è
necessario, in primo luogo, procedere alla validazione del nesso causale tra evento di rilievo
giuridico e manifestazioni psicopatologiche che ad esso vengono imputate, attraverso
l’accurata e puntuale analisi della compatibilità patogenetica, sintomatologica, soggettiva e
semiologica obiettiva del quadro clinico rispetto ai comprovabili contenuti psico-
traumatizzanti dell’evento medesimo (Buzzi F, Vanini M, 2001). Ai fini di della buona
riuscita di un’operazione cosi complessa ed impegnativa è indispensabile pervenire
preventivamente ad un’accurata diagnosi clinica attraverso l’utilizzo di tutti gli strumenti
riguardanti il DPTS, eventualmente corroborati dalle specifiche tecniche di brain imaging
attraverso le quali sembra anche possibile dimostrare, sul piano neuroanatomico cerebrale,
l’esistenza di un DPTS cronico.
3.1 L’OBIETTIVAZIONE DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA
STRESS
L’obiettivazione della diagnosi di Disturbo Post-traumatico da Stress e la rilevazione
di specifici sintomi ascrivibili della sfera cognitiva (deficit mnesici caratteristici) si può
ottenere tramite la valutazione clinica e neuropsicologica operata con strumenti standardizzati.
La standardizzazione degli strumenti permette l’oggettivazione del quadro clinico in termini
qualitativi e di gravità ed è di fondamentale importanza per le eventuali implicazioni medico-
legali che alcune tipologie di evento traumatico possono avere (Bossini L, Bonelli G,
Traverso G B, 2006).
La valutazione psicometrica in psichiatria è fondamentale perché permette da un lato la
comprensione del disturbo nella sua totalità e dall’altro l’oggettivazione della sintomatologia
e quindi della diagnosi. Se questo principio è valido per tutti i disturbi psichiatrici, diventa
fondamentale per il DPTS, che purtroppo, ancora spesso, è scarsamente riconosciuto, viste le
sue numerose sovrapposizioni sintomatologiche con altri disturbi appartenenti ad altre
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
25
categorie nosografiche. Sono stati messi a punto strumenti psicometrici specifici per soggetti
esposti ad eventi traumatizzanti sotto forma di misurazioni di tipo psicologico, interviste
cliniche strutturate e scale di autovalutazione (Tabella III). Tali strumenti sono suddivisibili in
scale diagnostiche, sintomatologiche e di valutazione globale. All’interno di questa
distinzione sono rintracciabili scale di autovalutazione e scale di eterovalutazione.
Le scale etero-somministrate hanno, in verità, un uso limitato dal momento in cui richiedono
tempo e abilità da parte di un intervistatore qualificato. Alcune di esse, come la Short
Screening Scale for DSM-IV PTSD altrimenti detta “scala dei sette sintomi” e la TOP-8
(Eight-item Treatment-Outcome Post-traumatic stress disorder), sono state compilate allo
scopo di valutare il DPTS tramite una breve intervista, e possono anche essere utilizzate come
strumenti di previsione della probabilità che il DPTS si verifichi in individui sottoposti a
traumi.
Le scale diagnostiche, per lo più costruite facendo riferimento al DSM, permettono, grazie
all’individuazione di una soglia, di formulare la diagnosi di DPTS, valutando la frequenza e la
gravità di ciascun sintomo, l’impatto sulla vita sociale e lavorativa, la gravità complessiva del
disturbo e il miglioramento rispetto alla valutazione basale.
L’uso delle scale sintomatologiche è finalizzato fondamentalmente alla valutazione della
gravità riferita ai singoli sintomi e della gravità globale del disturbo e, in molti casi,
permettono di seguire in modo oggettivo l’andamento della sintomatologia al follow-up; in
nessun caso, però, possono essere impiegate per la formulazione della diagnosi. Esempi di
questa tipologia di scale sono la Impact of Event Scale (IES) e la Davidson Scale (DTS),
ambedue in autovalutazione. L’importanza delle scale di valutazione globale è relativa
all’enorme compromissione funzionale dei soggetti esposti ad eventi traumatici secondo la
definizione del DSM, che va a peggiorare enormemente la loro qualità di vita. Oltre
all’indagine relativa alla sintomatologia specificamente appartenente al disturbo sembra
fondamentale indagare anche la qualità di vita di questi soggetti e le loro capacità
neuropsicologiche.
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
26
Tab. III : scale di valutazione per il DPTS (Conti L, 1999).
3.2 L’OBIETTIVAZIONE DELLA MEMORIA E TEST
NEUROPSICOLOGICI
Dal punto di vista neuroanatomico, le strutture deputate all’elaborazione e
all’immagazzinamento della memoria sono: il lobo temporale mediale e l’ippocampo,
l’amigdala, il diencefalo, la corteccia prefrontale e il sistema colinergico della base del
telencefalo. Ognuna di queste strutture riveste un ruolo peculiare nell’acquisizione delle
informazioni, nella successiva formazione della traccia mnesica e nell’immagazzinamento
della stessa.
DIAGNOSTICHE
Diagnostic Interview Schedule (DIS)
Structured Clinical Interview per il DSM-III-R (SCID)
Clinical Administered PTSD Scale (CAPS)
Post Traumatic Diagnostic Scale (PTSD)
Childhood Trauma Questionnaire (CTQ)
Structured Interview per il PTSD (SI-PTSD)
SRS-PTSD (Self Rating Scale for PTSD)
PTSD Interview (PTSD-I)
Self-rating Inventory for Posttraumatic Stress Disorder (SIP)
SINTOMATOLOGICHE
Short Screening Scale for DSM –IV PTSD
Treatment Outcome PTSD Scale (TOP-8)
Impact of Event Scale (DTS)
Mississipi Scale (MSS)
Purdue Post-Traumatic Stress Scale
Peritraumatic Dissociation Experiences Questionnaire (PDEQ)
VALUTAZIONE GLOBALE
Duke Global Rating Scale (DRGP)
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
27
In campo psichiatrico, lo studio neuropsicologico, che indaga le relazioni esistenti tra
il comportamento e le funzioni cerebrali, permette di integrare le indagini relative alle cause
dei diversi quadri psicopatologici rispetto a pattern biologico-organici, facilitando una
diagnosi differenziale tra disturbi psichiatrici e patologie organiche cerebrali, oppure di
verificare situazioni di comorbilità tra patologie psichiatriche e neurologiche e quindi
l’influenza dei diversi fattori nel produrre la disabilità della quale, tra l'altro, permette di
effettuare un assessment utile nella formulazione e nella verifica dei progetti terapeutico-
riabilitativi.
Nei criteri diagnostici del DSM IV-TR (American Psychiatric Association, 2000) per
il DPTS si legge l’importanza data ai meccanismi neuropsicologici di risposta agli eventi
traumatici, che concorrono, insieme alle specifiche modalità con cui un evento si verifica, non
solo allo sviluppo del quadro clinico ma anche al decorso e all’esito del trattamento
farmacologico e non del disturbo. Tutto il quadro clinico del DPTS, nella sua unitarietà, può
essere letto in chiave neuropsicologica, facendo riferimento alle anomalie nei meccanismi di
fissazione della memoria quando l’oggetto è l’evento traumatico ovvero la “memoria
traumatica”. Il ricordo dell’evento e le risposte ad esso (cognitive, emotive, fisiologiche)
vengono vissuti come se l’evento continuasse ad accadere, al di fuori del “dove e quando” del
trauma, attraverso flashback, incubi, ricordi (spiacevoli, ricorrenti e intrusivi), che a loro volta
possono diventare una nuova fonte di ansia, tale da indurre condotte di evitamento. Tutto ciò
concorre, da un lato, al distacco emotivo ed affettivo caratteristico del disturbo, dall’altro ai
disturbi della sfera cognitiva (difficoltà a concentrarsi, deficit mnesici,ecc..). E’ come se il
soggetto fosse rimasto bloccato al momento dell’evento in termini sia neuropsicologici che
clinici: gli stessi sintomi, che sono presenti in qualsiasi situazione di pericolo, permangono
nel soggetto che ha sviluppato il DPTS indipendentemente dal tempo trascorso dall’evento.
Uno dei fattori predittivi per lo sviluppo del disturbo e per la sua gravità sembra essere la
presenza di dissociazione peritraumatica, caratterizzata da derealizzazione,
depersonalizzazione e le successive lacune mnesiche. Tale deficit riguarda la memoria che ci
permette di formare i ricordi coscienti delle esperienze e di richiamarli in seguito alla
memoria; è questa la cosiddetta memoria esplicita, o dichiarativa, ovvero è ciò che
comunemente viene chiamato “ricordo”. Questo tipo di memoria, indipendentemente dalla
presenza di dissociazione peritraumatica, sembra comunque essere deficitario nei soggetti con
PTSD i quali anche clinicamente manifestano enormi difficoltà di verbalizzazione
relativamente al trauma. Invece, particolarmente attiva sembra essere la componente
implicita, “non dichiarativa”, della memoria. La reazione emotiva al trauma viene codificata
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
28
da strutture sottocorticali, che sfuggono all’inibizione corticale, che si esprimono dal punto di
vista neuropsicologico, nei processi funzionali di memoria non dichiarativa o implicita.
Questa si esplica al di fuori della consapevolezza, è correlata ad apprendimenti motori ed
emotivi automatici e non necessita di un richiamo cosciente per essere espressa. In contrasto
con la sensazione di non riuscire a togliersi dalla mente l’evento, i pazienti con PTSD spesso
riferiscono soggettivi deficit mnesici. Da qui l’importanza dell’attenta valutazione dei
meccanismi della memoria mediante test neuropsicologici standardizzati (Tabella IV).
Tab. IV: Batteria di test neuropsicologici (Bossini L, Bonelli G, Traverso G B, 2006)
3.3 L’OBIETTIVAZIONE DELLA MEMORIA E BRAIN IMAGING
NEL DPTS
Negli ultimi anni le tecniche di brain imaging, che permettono di studiare l’encefalo
umano a livello strutturale e funzionale con tecniche non invasive, sono state utilizzate per la
valutazione anche dei pazienti affetti da DPTS. Il riscontro di alterazioni anatomiche e/o
squilibri funzionali, in particolari aree cerebrali, consente di formulare ipotesi patogenetiche
più vicine alla realtà. Il presupposto è che l’evento traumatico, correlato al DPTS possa
indurre modificazioni funzionali (sistemi neurotrasmettitoriali), neurostrutturali e
neuroanatomiche. In generale i vari studi hanno evidenziato l’attivazione emisferica destra a
livello della corteccia orbitofrontale mediale, insulare, del lobo temporale mediale, dell’
amigdala e del giro del cingolo. Inoltre, è stato riscontrato un incremento del flusso ematico
nella corteccia visiva secondaria di destra ed un incremento nella corteccia frontale inferiore
sinistra (area di Broca). Tutte queste modificazioni funzionali sono risultate significative
anche negli studi controllati. La preponderanza dell’attivazione nel lato destro confermerebbe
un dato già noto, ossia il coinvolgimento preferenziale dell’emisfero dentro nell’ansia e in
altri stati emozionali avversi. L’attivazione dell’amigdala sostiene l’ipotesi di un suo
Span di parole bisillabiche (Memoria verbale a breve termine)
Wechsler Memory Scale (Memoria verbale a lungo termine)
Span di Corsi (Memoria visuo-spaziale a breve termine)
Cubi di Corsi Supra Span (Memoria visuo-spaziale a lungo termine)
Matrici Attenzionali ( Attenzione selettiva)
Danno e Disturbo Post-Traumatico da Stress
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coinvolgimento nella patogenesi dei sintomi del DPTS. L’attivazione dell’amigdala, struttura
preposta all’acquisizione delle memorie traumatiche, depone per la qualità affettivo-percettiva
delle stesse e corrisponde alla ridotta attivazione dell’area di Broca, essenziale
nell’elaborazione linguistica e sintattica delle informazioni da memorizzare, che giustifica la
difficoltà nei pazienti a strutturare cognitivamente le loro esperienze traumatiche. Infine,
l’aumentato flusso ematico a livello della corteccia visiva secondaria suggerisce che
l’attivazione delle aree cerebrali sensorie è alla base dei fenomeni di “re-experiencing” propri
del disturbo (Shin L M, Kosslyn S M, McNally R J et al., 1997 ; Vermetten E, Bremner J D,
2003 ; Centonze D, Palmieri M G, Boffa et al., 2005).
Più recenti sono gli studi che hanno valutato la funzionalità cerebrale dei pazienti con DPTS
tramite risonanza magnetica funzionale. I risultati riportano una ridotta attivazione a livello di
talamo, giro anteriore del cingolo e del lobo frontale mediale (Lanius R A, Williamson P C,
Densmore M et al., 2001) oltre all’iperattivazione dell’amigdala, confermando quindi gli studi
precedenti (Rauch S L, Whalen P J, Shin L M et al., 2000 ; Shin L M, Whalen PJ, Pitman R K
et al., 2001 ; Shin L M, Wright C I, Cannistraro P A et al., 2005 ;).
Per quanto riguarda le tecniche di brain imaging strutturale (TAC, RM), invece, esse
consentono una valutazione sul piano strettamente morfologico (modificazione di volume e/o
forma delle strutture encefaliche). Molti sono gli studi che hanno prestato attenzione alle
modificazioni neuroanatomiche che si manifestano nel PTSD. Da una panoramica della
letteratura emergono numerose alterazioni a carico di aree cerebrali diverse con dati, peraltro,
non univoci ne replicati nella maggior parte dei casi. Comunque i dati maggiormente validati
sono riferiti alle alterazioni ippocampali (Sapolsky R M, Uno H, Rebert C S, Finch C E, 1990
; Bremner J D, Randall P, Scott T M et al., 1995 ; Gurvits T V, Shenton M E, Hokama H et
al.,1996 ; Bremner J D, Randall P, Vermetten E et al., 1997 ; Stein M B, Koverola C, Hanna
C, Torchia M G, McClarty B, 1997 ; Sapolsky R M, 2001 ; Yehuda R, Halligan S L, Bierer L
M, 2002 ; Bremner J D, Vythilingam M, Vermetten E et al., 2003).
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CONCLUSIONI
Come accennato in introduzione e come è potuto emergere all’interno di questo lavoro
il DPTS e il concetto di danno sono ricchi di sfumature ed argomenti di assoluta complessità.
Altrettanto lo è il legame che le unisce e il compito del CTU diviene estremamente
impegnativo.
Vi sono limiti e problematiche insite nell’indagine di questo rapporto con le quali il
Consulente deve fare i conti. Innanzitutto, deve rapportarsi con l’impalpabilità dei confini tra
“malattia”, “disturbo” o “disagio” e l’idoneità di questi ultimi a configurare, a pieno titolo, un
danno. Per di più egli dovrà trovarsi a sciogliere il nodo del nesso causale secondo i due
fondamentali e antitetici modelli, ossia a seconda di come si considera la “preesistenza”,
ovvero lo stato anteriore che rende il soggetto più vulnerabile e lo predispone al “disturbo”
psichico. Questo riflette il concetto della multifattorialità alla base dei disturbi mentali.
Un’ulteriore difficoltà deriva dall’incertezza esistente fra temporaneità e permanenza, e quindi
dai confini fra danno morale e malattia transitoria. Questo ostacolo si complica poi, quando il
quadro è in atto al momento dell’osservazione peritale ma a distanza di notevole tempo dal
trauma. Infine, vi è il problema della quantificazione del danno psichico. Perfino in casi di
alterazioni psichiche ascrivibili a lesioni neurologiche possono sorgere problemi di esatta
quantificazione, soprattutto nei casi più sfumati. Ben più grave è la situazione riguardante il
danno psichico, per il quale non esistono né tabelle né esperienza sufficientemente
consolidata.
Sicuramente per il futuro è auspicabile arrivare alla soluzione di questi limiti
attraverso ulteriori contributi da parte della clinica e della scienza giuridica e grazie ad un
progresso nelle tecniche di indagine delle quali il CTU e i suoi collaboratori potranno
avvalersi.
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