Numero 10_novembre 2012

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Poste Italiane Spa – spedizione in abb. postale – DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 e 3 NE/TN – taxe perçue Registrazione Tribunale di Trento n. 2/2010 del 18/02/2010 All`interno: il programma completo GLI OSPITI I DOCUMENTARI 5-10/NOV/2012 SQUADRA VINCENTE DAL SINGOLO ALLA COMUNITÀ TRENTO PROVINCIA/BOLZANO Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli Specchi ANNO III NUMERO 3 – OTTOBRE 2012

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Il periodico de Il Gioco degli Specchi

Transcript of Numero 10_novembre 2012

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All`interno:il programma completo

Gli ospiti

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5-10/noV/2012

SQUADRA VINCENTEdAl sinGolo AllA comunità

trento proVinciA/BolZAno

Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli SpecchiANNO III NUMERO 3 – OTTOBRE 2012

Emigranti

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EMIGRANTI Quando noi eravamo sporchi, brutti e cattivi

EDITORIALE Sotto il tiglio

MEDIAChi ha paura dell'uomo nero?

RACCONTOLumache in fuga

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CuLTuRA IN GIOCO Gli ospiti 2012

AppuNTAMENTI Squadra vincente, dal singolo alla comunità

CINEMACinema migrante nelle scuoleDONNE MIGRANTI Donna: speranza per il futuro

EMIGRANTI

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STORIE Mi chiamo Sadio Fall, senegalese italiana

SOCIETà La generosità dei bambini siriani profughi

IMMI/EMMI Senza luce

per non dimenticare

IL GIOCO DEGLI SpECCHIperiodico dell’Associazione “Il Gioco degli Specchi”

Reg. trib. Trento num. 2/2010 del 18/02/2010direttore responsabile Fulvio Gardumidirettore editoriale Mirza Latiful Haque

redazionevia S.Pio X 48, 38122 TRENTO tel 0461.916251 - cell. 340.2412552info@ilgiocodeglispecchi.orgwww.ilgiocodeglispecchi.org

progetto grafico Mugrafik

foto di copertina Dario Nardacci

stampa Litografia Amorth, loc. Crosare 12, 38121 Gardolo (Trento)

con il sostegno diComune di TrentoAssessorato alla Cultura e TurismoProvincia Autonoma di Trento

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stes-so vestito per molte settimane.Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente anti-chi dialetti.Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma so-vente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selva-tici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo

Quando noi eravamo sporchi, brutti e cattivi

agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che en-trano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.”“Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di compren-donio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare.Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario.Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazio-ne, provengono dal sud dell’Italia.Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.

Il testo è tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazio-ne del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati uniti, Ottobre 1912.dal sito dell'Associazione culturale Gruppo Laico di Ricerca, In questo numero alcune citazioni ricavate da questa fonte: http://www.gruppolaico.it/

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di Maria Rosa Mura

Ci vediamo in piazza Duomo. Dove? Sotto il tiglio.

Si sta bene in questo angolo di piazza Duomo, vicino alle vecchie pietre romane della Torre. Non ci sono più quelle belle ciode bellunesi e feltrine che si offrivano come balie o per i lavori della campagna, ma c'è sempre gente che si incontra qui.La donna sui cinquanta parla fitto fitto ad un'altra più vec-chia, l'aria autorevole e sicura di sé, sembra una parlata slava di qualche tipo, una badante? Una nuvola di colori ondeggianti, fascinosi, tono su tono, velo casacca pan-taloni, spinge una carrozzina davanti a sé e attraversa la piazza. Cade qualche goccia e il senegalese sotto i portici ha pronta l'offerta dei suoi ombrelli.Perché sta in ginocchio in quel modo quel mucchietto di ossa? Due vecchi, baffetti grigi, passeggiano insieme, si ferma-no ad ogni passo per sottolineare il discorso, ogni volta una mano sul braccio dell'altro per trattenerlo. Sono me-

Il tiglio di piazza Duomo a Trento è uno dei luoghi simbolo della città. L'albero che si trova adesso ai piedi della Torre Civica ha preso il posto della secolare pianta, immortalata in numerosi quadri, incisioni e fotografie d'e-poca. Il tiglio è stato - ed è tuttora - muto ma attento testimone dell'evoluzione della società trentina: non può parlare ma forse i suoi pensieri li possiamo immaginare.

ridionali, ci giurerei. Una vecchia signora con una giovane dai tratti andini si dirige verso il Centro Anziani.Dalla panca mi arrivano le chiacchiere di due donne, lei rac-conta di com'era bella la sua casa nel New Jersey dove ha vissuto per vent'anni prima di tornare, ma ha nostalgia per-fino della triste casa in cui era piombata negli anni cinquan-ta. L'altra ascolta in silenzio, commossa, fa cenni col capo, come chi sa cosa vuol dire non stare più bene in nessun posto, aver sempre nostalgia di un altrove.Sì, ne è passata di gente da queste parti, il greco è sepolto col boemo sotto quel duomo, ma adesso c'è davvero da lustrarsi gli occhi. Che bella gioventù è arrivata!Speriamo che possano avere qui tutti una vita serena, sono così piccoli tutti, così breve la loro vita.E speriamo che il ghiacciaio non torni troppo presto ad occu-pare questa piazza, su su, spesso, fino alla cima del Palòn.

L'attuale giovane pianta vicino alla Torre non corrisponde all'importanza che Il Tiglio ha avu-to nella vita cittadina. La pianta secolare pre-cedente fu sradicata nel 1967, perchè perico-lante. Ne troviamo traccia in un testo di Cesare Battisti in Vita trentina, 1903: "Chi sono? Che cosa fanno? Di dove vengono? Non c'è trenti-no di Trento o della Val d'Adige che non cono-sca le ciode. Sono le contadine del Bellunese, che, ad ogni sbocciar di primavera, vengono a gruppi nel Trentino per dedicarsi al lavoro della terra e ripartono in Ottobre o Novembre dopo le vendemmie. Chi vuol conoscere le cio-

de non avrà bisogno di recarsi nei campi riarsi dal sole; basta giri per la città di Trento alla do-menica e si soffermi in piazza del Duomo o in piazza della posta. Potrà vederne di centinaia di queste contadine. Sotto il vecchio tiglio, vi-cino a palazzo Pretorio, esse convengono per ritrovarsi, per salutarsi e per vendere le loro braccia, la loro forza. [...] il mercato del lavoro è sotto il tiglio di piazza del Duomo, quel tiglio che alla domenica e al lunedì assiste al misero contratto di lavoro e in tanti altri giorni copre della sua folta ombra le masserizie dei poveri, destinate all'asta."

Veduta di piazza Duomo in un'incisione del 1884. L'immagine è stata messa a disposizione dalla Biblioteca Comunale e fa parte di "Catina", il catalogo di immagini (www.catinabib.it)

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MEDIA di Andrea Petrella

“Guarda che se ti comporti male chiamo l’uomo nero!”. Migliaia, milioni di bambini italiani si sono sentiti rivolgere questo monito. Mi sono più volte domandato se questa singolare minaccia, che spesso sortiva l’effetto voluto, avesse una spie-gazione storica o esprimesse delle paure radicate nel tempo. È tuttavia certo che quella dell’uomo

nero, evocata come uno spauracchio per figli e nipoti ca-pricciosi, fosse un’immagine capace di incutere timore e generare misteriose e tetre figure. Un’immagine che faceva evidentemente leva sulle paure associate al buio, alla not-te, all’ignoto: l’uomo nero come qualcosa di profondamente diverso dal contesto conosciuto e, anche e soprattutto per questo, spaventoso e minaccioso.

I gruppi umani, del resto, hanno sempre manifestato va-rie forme di paura nel momento, ineludibile per ogni collet-tività, dell’incontro con l’ignoto. Laddove non si conosceva, non si comprendeva o non si sapeva dare una spiegazio-ne razionale, subentravano timori e ansie sulle quali co-struire mitologie e credenze. Molte di queste hanno dato vita a vere e proprie campa-gne d’odio o persecuzioni nei confronti di intere società. Sentimenti di timore e ostili-tà nei confronti dell’altro, in-teso come altro popolo, altra nazione, altra lingua, altra religione hanno contrassegnato la storia dell’umanità rendendo il mondo, e soprattutto la parte di mondo che chiamiamo Occidente, impaurito e fragile nella sua continua ed ossessiva ricerca di identità, vere o presun-te, capaci di rassicurare e di porre dei confini tra noi e loro.

Psicologia, sociologia, antropologia ci suggeriscono che

la paura è, in alcuni casi, necessaria alla sopravvivenza, una forma di difesa da un possibile pericolo. Nell’incontro tra po-poli diversi il pericolo percepito deriva dalla paura di perde-re alcuni riferimenti culturali, religiosi, linguistici o di vedere messo in discussione il proprio assetto identitario, qualunque esso sia. In Italia queste dinamiche hanno vissuto una sen-sibile accelerazione a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, quando la presenza di cittadini stranieri è cresciuta considerevolmente, moltiplicando le occasioni di incontro tra popolazione autoctona e nuove popolazioni. Per la prima vol-ta nella nostra storia recente nelle città e nei paesi italiani cir-colavano stranieri non nelle vesti di turisti o ospiti di qualche settimana, bensì nelle vesti di “ospiti che restano”, secondo un’efficace espressione del sociologo Georg Simmel. E gli “ospiti che restano” lasciano tracce, contribuiscono al mu-tamento sociale, culturale, linguistico ed economico, ma so-prattutto stimolano interrogativi e riflessioni sul nostro stare

assieme, ci obbligano cioè a definire le nostre peculiarità e le nostre barriere invisibili, a cui solitamente non pen-siamo quando ci troviamo tra noi. In questo processo possono emergere paure, incomprensioni e diffidenze che per alcuni si traducono in ansie e sentimenti xenofo-bi o intolleranti. In molti casi si tratta di paure immotivate,

scollegate dalla realtà o dalla reale possibilità di pericolo e sicuramente acuite da particolari condizioni politiche, econo-miche e socio-culturali.

Additare l’uomo nero come il responsabile dei peggiori mali del nostro Paese (disoccupazione, degrado urbano, cri-minalità…) rappresenta una facile scappatoia cognitiva, alle

Tredici appuntamenti per capire che "l'altro" non ci deve spaventare

Chi ha paura dell’uomo nero?

Ogni puntata rappresenta la tappa di un viaggio alla scoperta delle paure

degli italiani nei confronti dei cittadini stranieri, ma anche un’occasione

per parlare delle paure, spesso poco conosciute, che gli stranieri stessi provano

nell’incontro con la nostra società

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volte adottata e promossa da forze politiche interessate a ri-versare sullo straniero frustrazioni e ostilità accumulate nella quotidianità.

Solitamente la conoscenza, l’approfondimento e l’ibrida-zione riescono a stemperare questi timori, ponendo le basi per una società consapevole delle differenze ma capace di coglierne le ricchezze. Solo le pratiche quotidiane di convi-venza, il dialogo e l’avvicinamento, accompagnati da una corretta informazione possono farci superare queste paure. Oggi non possiamo più rinchiuderci all’interno del piccolo e rassicurante recinto che alcuni vorrebbero ergere per marca-re ancor più un’appartenenza etnica e culturale ormai solo immaginaria. Oggi non possiamo più utilizzare l’alibi del “non so”: abbiamo tutti i mezzi per conoscere, approfondire, viag-giare anche stando fermi davanti allo schermo di un compu-ter o di un cinema. La realtà che ci circonda si fa ogni giorno più complessa, ma ogni giorno più leggibile e accessibile.

Questo è il ragionamento che sta dietro alla trasmissio-ne radiofonica “Chi ha paura dell’uomo nero? Persone, libri, numeri”; un ciclo di tredici puntate che il Gioco degli Spec-chi ha voluto proporre e riempire di contenuti. Si tratta di un viaggio alla scoperta delle paure degli italiani nei confronti dei cittadini stranieri, ma anche un’occasione per parlare delle paure, spesso poco conosciute, che gli stranieri stessi provano nell’incontro con la nostra società. “Chi ha paura dell’uomo nero?” va in onda su RAI Radio 2 ogni martedì alle 15.00 (dal 2 ottobre al 25 dicembre) grazie alla produ-zione di Tiziana Raffaelli e prevede, oltre alla mia conduzio-ne, l’avvicendarsi di alcuni interlocutori con i quali si affron-tano tematiche ogni volta differenti, ma sempre ponendo la paura (o le paure) al centro dell’attenzione. Giornalisti, volontari, psicologi, sindacalisti, operatori del sociale, voci diverse che raccontano spicchi di realtà, storie di una città che cambia, un po’ impaurita e un po’ confusa. Dalla paura degli stranieri che “rubano il lavoro” alla paura della crimi-

nalità, dal timore di vedere la traballante identità italiana sopraffatta dal multiculturalismo al timore di condividere le piazze, i quartieri, i condomini con persone di altre pro-venienze, sono molte le diffidenze che ancora oggi striscia-no tra le pieghe della nostra società. Una chiara respon-sabilità per il clima di allarmismo e di insicurezza sociale è da attribuire ad un certo sistema mediatico incapace di fornire informazioni accurate o dati oggettivi sul fenomeno migratorio, privilegiando una narrazione sensazionalistica e alimentando sensazioni di pericolo legate alla presenza di cittadini stranieri.

Sono molte, tuttavia, anche le paure che gli stranieri hanno nel corso del loro, differenziato, percorso migrato-rio, dalla partenza al viaggio all’arrivo in un contesto, quello italiano, che può rivelarsi molto ostile o indecifrabile. Quali timori e quali ansie vivono mentre lasciano il proprio paese, o mentre osservano impotenti il moltiplicarsi di leggi, certifi-cazioni e documenti che regolano la loro permanenza in Ita-lia? La trasmissione parla di tutto questo e di altro ancora, grazie ad un piacevole alternarsi di conversazioni, musica e letture. Sono infatti proposte delle letture tratte da testi di autori italiani (Fabrizio Gatti, Gabriele Del Grande, Stefa-no Liberti, Sandro Rinauro e altri) e stranieri (Pap Khouma, Mohamed Aden Sheikh, Igiaba Scego, Amin Maalouf e altri) che con diversi stili e contenuti descrivono esperienze, av-venimenti e dinamiche vissute sulla propria pelle. Ancora una volta il Gioco degli Specchi si avvale dei libri e quindi della parola scritta come prezioso strumento di conoscenza ed esplorazione di altri mondi, altri volti, altri vissuti.

“Chi ha paura dell’uomo nero?” intende quindi pre-sentare agli ascoltatori una panoramica, sicuramente non esaustiva, sul complesso cammino di integrazione che la società italiana e quella straniera devono compiere, affron-tando a viso aperto e senza ipocrisie le reciproche diffiden-ze e le malcelate paure che ciascuno di noi porta con sé.

Su RAI Radio 2sta andando in onda il ciclo di trasmissioni proposto dal Gioco degli Specchi

Tiziana Raffaelli e Andrea Petrella in studio

76Cultura in giocoCultura in gioco

RACCONTO

Torre Annunziata in provincia di Napoli. Mattina, sole. Dalla fi-nestra si sentiva la lingua napoletana, rumore delle macchine e motorini. La signora Assunta si svegliava presto al mattino, però io vo-levo essere brava e mi alzavo dal letto prima di lei. Mi lavavo, mi vestivo veloce e andavo in cucina a preparare il tavolo per la colazione.Lavorando, pregavo il Signore, «che la padrona di casa sia oggi buona con me» e chiedevo che mi svegliasse la memoria, per imparare l’italiano, e mi tranquillizzasse un po’.Entrando in cucina, la signora disse: - «Oggi a pranzo mangia-mo le lumache». «Sì, signora» – risposi. «Ma prima» - disse la padrona - «vai al tabacchino e mi fai una giocata al lotto e dopo vai a comprare le lumache. E vai veloce!». «Sì, signora» - risposi.Andai veloce, come voleva la signora Assunta: prima al tabac-chino, dopo al mercato.Il mercato napoletano era una favola: enorme quantità di verdure, frutta, pesce. Venditori di tutto quanto il ben di dio, da tutti gli angoli, chiamavano: «Pesce - frescsca! Cozze – fre-scsca! Lumache – frescsca!.. ».Ero felice di aver trovato presto quello che mi era stato det-to, ma cosa vidi: un bidone grande pieno di... ravleki, proprio come quelli, con cui da bambina mi piaceva giocare. Mi sentii male: ma come si può mangiare queste poverette? Però, niente da fare: le comprai, e tornando a casa, cer-

cai nella mia testolina una valida scusa per non mangiarle. Quando tornai a casa la signora mi disse: «Metti le lumache nella pentola e portale sul poggiolo. Le mangiamo domani.» Detto, fatto.Alla sera andammo insieme fuori: da un gruppo di anziani. Là si cantava, si parlava. Non capivo quasi niente, e poi, la mia testa era occupata dal pensiero delle lumache. Tornando a casa, andammo subito a letto. Il mattino se-guente, come al solito, mi svegliai prima della mia signora, e quando andai sul balcone per vedere che tempo c’era, mi trovai davanti muro e ringhiera del balcone coperti di lumache. «Oddio, cosa dirà la signora?» Con mani tremanti cominciai a raccogliere le piccole bestie, come facevo da piccola. Pranzo. Finalmente si mangia. Si mangiano le lumache. Ero sicura che anche quella volta sarei rimasta affamata. Tutti le mangiavano, avevo provato anch’io, perché la signora As-sunta diceva: «Mangia, Nadia, sono buone». Ma le lumache mi scappavano dalla bocca, non ero capace di inghiottirle. Dopo un mese di lavoro avevo perso dodici chili, non avevo potuto imparare l’italiano, perché la signora risparmiava la luce e non mi lasciava leggere alla sera.Ho imparato, però, a cucinare le lumache, e mi sono ripro-messa di non mangiarle mai più!

di Nadia Didukh

Lumache in fugaCome si fa a mangiare dei "compagni di gioco"?

6Racconto

76Cultura in giocoCultura in gioco

Gli ospiti 2012

di Maria Rosa Mura e Silvia Camilotti

Nel 2011 siamo stati colpiti dalle raffiche delle rivolte nei paesi che si affacciano sull'altra riva del Mediterraneo. Il sentimento dominante è stata la sorpresa: avevamo da tempo tutte le informazioni.

Ce lo ricorda Monica Ruocco, arabista docente all'univer-sità di Palermo, traduttrice del testo di un grande scrittore, Abd al Rahman Munif, All'est del Mediterraneo, di dramma-tica attualità per comprendere la sete di libertà e giustizia che sta animando molte società arabe. Come mai la società non valorizza il lavoro dei traduttori e soprattutto non li ascolta? Il testo che viene presentato in questa edizione del Gioco degli Specchi è stato scritto nel 1975, Monica Ruocco l'ha tradotto nel 93.Gli scrittori ed i traduttori ci avevano lanciato l'allarme ben per tempo, prima che la situazione incancrenisse, prima che si perpetuassero tante sofferenze di uomini e donne e che andassero perdute tante vite.Munif è diventato scrittore proprio per far conoscere la re-altà interna di molti paesi arabi, lui infatti è un economista,

Conversazioni sulla realtà del mondo contemporaneo dove ogni azione e ogni nazione sono interdipendenti

Illustrazione di Alicia Baladan

Nella settimana dal 5 al 10 novembre si parlerà di emozioni personali, storie collettive, costruzione partecipe di una società coesa e quindi più forte.

I "profili" degli ospiti che parleranno di persone e di paesi strettamente in-terconnessi, di un'Italia che ha molte opportunità da cogliere, responsabili-tà internazionali, memorie da conservare.

ma a partire dal 1973, a quarant'anni, comincia a dedicarsi alla scrittura con sempre maggiore convinzione e producen-do opere monumentali. Nelle situazioni che lui stesso ha sperimentato, subendo il carcere e l'esilio, "aspettare, tacere, significherebbe colla-borare con i carnefici e partecipare ai crimini contro tutti, soprattutto contro i prigionieri."All'est del Mediterraneo parla di diritti umani conculcati, in un imprecisato paese arabo, di imprigionamento e tortura, del desiderio di imparare, riflettere, parlare, migliorare il proprio paese, dell'aspirazione a far conoscere all'Europa e al mondo libero quanto avviene in questi stati-prigione, nella speranza che reagisca con azioni concrete. Ma l'occi-dente ha ignorato le voci che vengono da decenni dai paesi arabi e che i traduttori hanno cercato di far arrivare alla co-scienza pubblica, non ha rilevato il bisogno di diritti umani che esprimono. Non si è affatto verificato quanto sperava l'autore.Sentiamo il dovere di riprendere questi discorsi, purtroppo ancora attuali.

Hu Lanbo è nata a Pechino, ma vive a Roma.Tutto nasce dalle possibilità che le sono state offerte da una famiglia culturalmente di alto profilo, per cui, mentre da una parte vive gli obblighi e le limitazioni dell'epoca maoista, dall'altra può vedere film normalmente proibiti e incuriosirsi del mondo occidentale, può appassionarsi alla lingua francese e avviarne gli studi ancora giovane. Grazie al suo dominio della lingua francese riesce ad entrare all'u-niversità di Pechino e con un po' di fortuna anche a corona-re il sogno di andare a studiare in Francia.Non ha denaro, ma incontra molte persone amichevoli che la aiutano nelle necessità quotidiane e il bisogno di lavora-re le fa scoprire capacità che non si conosceva: si esibisce come ballerina tradizionale cinese e collabora ad uno spet-tacolo allestito per il festival di Avignone e poi replicato con successo in tutta la FranciaNel 1989 una grande occasione: le viene offerto di parteci-pare alla spedizione Pechino-Parigi, lungo l'antica Via della Seta, una riedizione della famosa gara con l'auto d'epoca Itala che l'aveva corsa nel 1908, guidata da Scipione Bor-ghese con il giornalista Luigi Barzini. Sarà la rappresentan-te del popolo cinese, e sarà l'unica donna ad arrivare fino in fondo, iin questa spedizione di ventisette persone che attraversa dieci nazioni e affronta un'infinità di rischi e di cambiamenti climatici, per approdare trionfalmente dopo tre lunghi mesi alla Tour Eiffel. È in questo epico viaggio che conosce e si lega all'uomo che poi sposerà scegliendo di venire a vivere a Roma.Dopo alcuni anni dedicati ad attività di scambio commer-ciale con la Cina, ha fondato nel 2001 “Cina in Italia”, una rivista pubblicata mensilmente in lingua cinese ed italiana. È diventata un punto di riferimento per la comunità cinese e si dedica a intrecciare rapporti tra le due realtà, a sostenere chi ha avuto un'esperienza di migrazione meno fortunata, a

preoccuparsi delle seconde generazioni spesso deprivate della cultura di origine perché nati da persone non abba-stanza colte o libere da impegni di lavoro. "Quando sono arrivata in Europa ho scoperto, con grande dispiacere, che il mio paese nel mondo era quasi insignifi-cante: nessuno dei miei coetanei sapeva bene dove si tro-vasse e, tanto meno, cosa fosse accaduto da quelle parti. Queste strane dimensioni del paese, e lo strano senso della misura che ne deriva, ha reso orgoglioso lo sguardo di noi uruguaiani. E anche se da sempre guardiamo all'Europa come alla culla della nostra cultura, con la conquista dell'in-dipendenza abbiamo sviluppato un certo campanilismo. Siamo addirittura convinti che da noi, le nuvole e le stelle siano diverse che in qualsiasi altro paese del mondo, e non certo perché l'Uruguay si trovi nell'emisfero australe. Ma, per non mancare di modestia, aggiungiamo che il nostro paese non è più bello, ma semplicemente diverso" . Queste alcune delle righe che aprono Piccolo grande Uruguay, il li-bro per ragazzi di Alicia Baladan, che ha il merito di raccon-tare una dittatura e i suoi terribili effetti sulle persone (non ultima l'emigrazione forzata) con stile lieve. Il padre dell'io narrante, alter ego della scrittrice, è in carcere in quanto op-positore del regime e la famiglia è fatta oggetto di continue visite da parte dei militari. Tuttavia, grazie a una madre co-raggiosa e alla solidarietà di amici e parenti, sarà possibile alla protagonista condurre una vita intensa e ricca di affetti, giochi, scoperte, in cui l'ironia e lo sguardo talvolta beffardo spesso sdrammatizzano la tragedia. Il libro inizia dalla fine, con una voce narrante che afferma di parlare da emigrata e che racconta a ritroso la vita sua e della sua famiglia.Alicia Baladan racconta la sua esperienza di vita. Nata in Uruguay nel 1969, vi ha vissuto fino agli 11 anni, quando la madre l'ha portata in salvo in Brasile. Trasferitasi in Italia,

Alicia BaladanHu Lanbo

8Cultura in gioco

Monica Ruocco

dopo aver finito la scuola dell’obbligo a Rio de Janeiro, si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Mila-no. Da alcuni anni si è concentrata sull’illustrazione svilup-pando l’aspetto narrativo del suo lavoro. Attualmente vive e lavora a Brescia.

Maurizio Gatti si definisce un viaggiatore curioso. Appas-sionato studioso dell'Asia orientale, del sudest asiatico in particolare, nel 1998 con altri amici fonda la casa edi-trice O barra O il cui nome richiama i due estremi della cultura (Occidente, Oriente) uniti-disgiunti da una barra capace di oscillare e segnare nuove rotte. Un nome che porta in sé il segno della disposizione ad accogliere le idee anche più distanti tra loro, nonché i mutamenti che derivano dall’ingresso in Occidente di altre culture, di altre proposte d’esistenza. Una piccola e preziosa casa editrice che racconta con i suoi titoli la complessità del mondo e si pone come strumento per pensare la contem-poraneitàTra gli autori rappresentativi del pensiero più innovativo dell’Occidente e le testimonianze delle relazioni tra Occi-dente e Oriente, nel catalogo hanno ampia parte i testi che esplorano mondi quali la Cina, la Corea, il Sud-Est asiatico, il Centro Asia, le diverse realtà, le loro caratteri-stiche peculiari, le trasformazioni.Al Gioco degli Specchi 2012 Maurizio Gatti presenta i gialli di Robert Van Gulik, noti per l'accuratezza nella de-scrizione della cultura e dell'ambiente cinesi. Olandese di nascita, diplomatico di carriera, questo grande sino-logo appassionato dell'Oriente, ha tratto ispirazione da un romanzo cinese del 1700 e dagli antichi testi di cri-minologia per ricostruire in una serie di opere la figura appassionante e le indagini poliziesche di un magistrato cinese, realmente vissuto dieci secoli prima.

Marco Balzano nel suo bel romanzo, Il figlio del figlio,ci ricorda la migrazione interna dalle campagne del sud alle fabbriche del triangolo industriale.Balzano ripercorre la vita di tre generazioni, in un percor-so che assume valore per molti italiani: il nonno Leonardo infatti, emigrò da Barletta a Milano con la moglie e il figlio ragazzino, al pari di migliaia di famiglie che dal sud Italia si spostarono nelle grandi città del nord, senza più fare ritor-no. Questo romanzo racconta del viaggio che i tre uomini compiono insieme per andare a vendere la casa di famiglia, quella in cui hanno trascorso tutte le estati. Oramai la vita di figli e nipoti è altrove e la casa è solo un fardello, ma la sensazione di perdita delle radici resta ancora molto forte. E tale senso di angoscia e di sconfitta non è solo del nonno, ma anche del nipote Nicola, che sebbene nato altrove, per-cepisce il vuoto e la perdita, se non altro delle immagini di sole e di mare della sua infanzia: "Non avevo più un posto dove tornare." Ora sarà " Milano e nient'altro che Milano", la città in cui è nato. "Eppure piangevo. Eppure sentivo di essere anch'io lo sradicato, di esserlo sempre stato. Seme piantato in terra ancora fredda, ecco cosa sono. Fiore che non sboccia. Uomo che non si accasa. Illuso di aver studiato e viaggiato per avere di più di un contadino analfabeta, di più di un ragazzo emigrante presto invecchiato" Nicola si sente sradicato, senza più un luogo dove tornare, sebbene in quel luogo non ci sia nato. E il suo bilancio a perdere nasce anche dal senso di inadeguatezza, comune a molti suoi coetanei, che nonostante gli studi, le esperien-ze, le maggiori possibilità avute rispetto a genitori e nonni, si ritrovano senza futuro, precari nel lavoro e nella vita. Il viaggio raccontato in questo romanzo non è solo dunque nel passato dell'emigrazione interna italiana, ma anche nell'Italia di oggi, di cui Nicola è un tristemente significativo rappresentante nella sua incertezza di futuro.

Marco BalzanoMaurizio Gatti

9Cultura in gioco

AppuNTAMENTI

10Appuntamenti

5-10/noV/2012

SQUADRA VINCENTEdAl sinGolo AllA comunità

trento proVinciA/BolZAno

proGrAmmA lunedÌ 5 noVemBreORE 10inAuGurAZione BiBliotecA comunAle centrAle, sala degli Affreschivia roma 55 - trento

Gli ospiti 2012selezione di letture interpretate da maura pettorruso, attrice, autrice e regista teatralecon la partecipazione di maurizio Gatti, fondatore della casa editrice obarrao e studioso dell’Asia orientale

mArtedÌ 6 noVemBre ORE 16.00uniVersità di lettere e FilosoFiAvia tommaso Gar 14 - trentoaula 113, primo piano

I casi del giudice Dee di Robert van Gulik maurizio Gatti racconta questi celebri gialli e il sinologo loro autorecon mariasole Ariot, scrittrice, Francesca Bottari, sinologae la collaborazione del centro martino martini

mercoledÌ 7 noVemBre ORE 20.00AulA GrAnde FondAZione Bruno Kesslervia s. croce 77 - trento

Danza di comunità in viaggio per il mondouna serata per gustare le piccole grandi cose della vita,imparare balli tradizionali, chiacchierare e stare insieme con rosa tapia, isabel loukoum matitibahom, renato nuresi

VenerdÌ 9 noVemBreORE 21.00sAlA conFerenZe della Fondazione cassa di risparmio di trento e roveretovia Garibaldi 33 - trento

Se una farfalla batte le ali...conversazioni sulla realtà del mondo contemporaneo, dove ogni azione e ogni nazione sono interdipendenti, con gli ospiti 2012Hu Lanbo, arrivata in italia per amore dopo una laurea alla sorbona, punto di riferimento per la comunità cinese, Alicia Baladan, figlia di oppositori politici al regime dell’uruguay da cui è dovuta fuggire, Monica Ruocco, arabista docente all’università di palermo, traduttrice del testo di un grande scrittore, All’est del Mediterraneo, di drammatica attualità, Marco Balzano che ci ricorda la migrazione interna dalle campagne del sud alle fabbriche del triangolo industriale.

conduce maurizio tomasi, direttore del mensile Trentini nel mondo la serata viene registrata e messa in onda da radio trentino in blu e da telepace

una comunità si allena per vivere come lo fa una squadra per giocare.cos’è una squadra?è un gruppo di persone che sperimenta attività comuni, ha uno scopo, lo persegue mettendo in campo le capacità dei singoli.un gruppo in cui il singolo vede riconosciuto il suo valore, apporta quello che sa e sa fare, migliora nel confronto con gli altri.la squadra è quell’entità che funziona se il singolo vi può crescere, fiorire, svilupparsi.la squadra è quel rapporto amicale in cui i difetti ed i limiti del singolo sono affettuosamente tollerati e pazientemente ridimensionati e corretti.una squadra non solo tiene a bada e sa gestire chi ha cattive pulsioni, ma ne cura i mali e li rimette in piedi, in grado di giocare.la squadra vince se è stata capace di armonizzare capacità, difetti, tensioni, se ha dato spazio, promosso sollecitato incentivato sostenuto incoraggiato aiutato la crescita dei singoli suoi componenti.noi trentini cosa siamo? una squadra? e vogliamo vincere?

11Appuntamenti

GLI INCONTRI SONO A pARTECIpAZIONE LIBERA E GRATuITA

L'associazione Il Gioco degli Specchi è ente accreditato presso il Servizio sviluppo e innovazione del sistema formativo scolastico e gli insegnanti coinvolti nei vari incontri possono richiedere il riconoscimento di crediti formativi.

Si ringraziano per il sostegno dato, per la partecipazione e colla-borazione il Comune di Trento, la Presidenza del Consiglio della Provincia autonoma di Trento, la Regione Trentino - Alto Adige/Südtirol, la Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, il Credito Valtellinese, la Biblioteca comunale di Trento, I.P.R.A.S.E. Trentino, la Fondazione Bruno Kessler, il Centro Martino Mar-tini, il liceo Leonardo da Vinci, la libreria universitaria Drake, Curcu&Genovese, l'Azienda per il Turismo Trento, Monte Bondo-ne, Valle dei Laghi.

InformazioniIL GIOCO DEGLI SPECCHI via S.Pio X 48, 38123 TRENTOTel 0461 916251Cell 340 [email protected]

www.ilgiocodeglispecchi.org

lA FestA A scuolA Anteprime

le Foto d’Arte

Al momento di andare in stampa gli ospiti del Gioco degli specchi 2012 sono già attesi alla scuola primaria schmid, all’i.c. comenius, ai licei da Vinci, rosmini, Galilei e Bonporti di trento, all’itcG Fontana e ai licei rosmini di rovereto, maffei di riva del Garda e Russell di Cles, al liceo scientifico Torricelli e all’Istituto Claudia de’ medici di Bolzano.si prendono accordi con altre realtà pubbliche e scolastiche e continuano le prenotazioni per le proiezioni in classe dei filmati presentati da sadio Fall, da Gian luca magagni e dai nostri operatori: Solandata, Jus soli, Merica, Il futuro del mondo passa da qui. sono lo stimolo di una discussione sui temi dell’immigrazione e del diritto di asilo, sulle seconde generazioni e la cittadinanza, sul rientro di discendenti di emigrati italiani, sugli stranieri che vivono al margine nelle nostre città.

nell’Aula magna del liceo rosmini di trento, via malfatti, martedì 6 novembre alle ore 18.45 proiezione del documentario Il futuro del mondo passa da qui, con Gian luca magagni di A.i.Z.o. onlus e intervento musicale dei sinti, the clan.

liceo leonArdo dA Vinci, Aula magna, via Giusti 1 - trento

L’anima tuareg nel desertoesposizione di opere fotografiche di Laura Zanolli, artista residente a trentowww.laura.zanolli.comda lunedì 5 novembre fino a sabato 10 novembre

liBreriA uniVersitAriA drAKe, via Verdi 7, trento

dal 12 ottobre al 10 novembreLo scaffale del Giocola libreria universitaria drake espone tutti i libri degli ospiti 2012 e le selezioni del Gioco degli specchi

i liBri

milAno25 ottobre ore 18.30 Bistrò del tempo ritrovatovia Vincenzo Foppa 4

Per arrivare a serapresentazione dell’ultimo libro di milton Fernandez

romA30 ottobreore 18.30Bottega domus Aequa via di sant’eufemia 9

Un anno da non sprecarepresentazione di calendario interculturale e Assaggenda 2013 della sinnos editricein occasione dell’iniziativa nazionale “Fa’ la spesa giusta”A cura di cies, cooperativa equazione e sinnos editrice

ZuGliAno (ud)ottobre

Squadra vincente a Zuglianoi bambini del doposcuola preparano un saluto al Gioco degli specchicentro di accoglienza per immigrati e richedenti asilo“ernesto Balducci” Zugliano (ud)

12Cinema

SolandataSolandata è la storia di tanti viaggi. È la storia di tante strade che si incrociano in un punto comune, con l’intento di riparti-re dalla conquista dei diritti per migliorare il proprio destino. È la storia di persone che ogni giorno trovano la forza di pren-dere la rincorsa verso quell’obiettivo che prima si intravedeva all’orizzonte, ma che ora dista solo pochi metri.Un inno alla precarietà. Un inno alla disperazione di quella parte di umanità che vive nella continua ricerca di un rifugio. Un inno alla speranza di un ritorno in quella patria che conti-nua a cullare i propri figli, anche ora che si trovano sballottati dalla questura all’ufficio immigrazione.Un documentario che racconta ciò che segue l’arrivo in Italia, la fine del “vecchio viaggio” e l’inizio di quello nuovo. Quell’ul-timo sforzo da fare per porre fine alla vita da rifugiato e dare inizio a quella nuova, da cittadino dotato di diritti e doveri alla pari di tutti gli altri.Solandata è il viaggio in Italia di un ragazzo come tanti, giun-to fin qui per chiedere una nuova opportunità alla vita.

“Solandata è un omaggio a chi parte e gli è negato un ritorno. Ma è anche un ballo, un’espressione musicale, uno schiocco di vita e via…”

Regia: Hugo Muñoz Paese di produzione: ItaliaAnno: 2008Durata: 48'

18 Ius soliIl diritto di essere italianiSecondo il principio dello ius soli, è cittadino originario di un paese chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemen-te dalla cittadinanza posseduta dai genitori. In questo docu-mentario non si parla di problemi di identità ma di diritti: se in Italia essere cittadino vuol dire tutto, non esserlo vuol dire

andare incontro a grosse difficoltà. Vuol dire non poter parte-cipare ai concorsi pubblici; vuol dire sottoporsi regolarmente a complesse procedure burocratiche per poter compiere le più banali azioni quotidiane. Vuol dire correre rischi maggiori rispetto agli altri nel caso in cui si circoli con un documento scaduto. In poche parole, vuol dire essere considerati diversi solo perché originari di un paese che nella gran parte dei casi non si ha neanche mai avuto modo di conoscere.Ma come vivono questa condizione le cosiddette seconde generazioni, ossia i figli degli immigrati?18 IUS SOLI dà voce a quei 900.000 giovani nati o cresciuti in Italia costretti a vivere con un permesso di soggiorno a causa di una legge, a noi sconosciuta, che impedisce loro il diritto alla cittadinanza.

Regia: Fred KuwornuPaese di produzione: Italia Anno: 2011 Durata: 54'

Mericauna strada a doppio senso inversione di tendenza

Tra il 1870 e il 1915 circa 16 milioni di italiani partono, emi-grando in diverse parti del mondo. Una delle destinazioni principali è il Brasile. Oggi sono circa 25 milioni i discendenti degli emigrati italiani. In Merica l’intento sembra essere quel-lo di raccogliere le testimonianze indirette di chi è emigrato dall’Italia e ascoltare chi in Italia ci è “tornato” senza esserci mai stato, chi si sente italiano in Brasile e straniero in Italia. I piani narrativi sono parecchi. I figli e i nipoti degli emigrati italiani raccontano l’esperienza dei loro genitori/nonni, sto-rie di privazioni e sacrificio, tra massacrante viaggio in nave, piantagioni di caffè e la numerosa prole come unica risorsa; raccontano del loro desiderio di andare in Italia, per curiosi-tà e con accesa voglia di mettersi alla prova; raccontano la loro esperienza in Italia, spesso deludente. E poi ci sono gli

di Ambra Moser e Lidia Saija

Quattro documentari per raccontare molte vite

Cinema migrante nelle scuole

CINEMA

13Cinema

emigrati brasiliani (e non) in Italia, che danno testimonianza della loro voglia di rendersi parte attiva della società, dimo-strando di voler essere propositivi e di voler fare fronte alle difficoltà insieme, sfruttando l’ineguagliabile capacità di ag-gregazione della Chiesa. E ci sono italiani che, da un lato, fanno un uso politico delle paure che si hanno nei confronti degli immigrati e, dall’altro, tentano di contrastare questo perverso meccanismo di esclusione. Tutto ciò mentre una pinza scesa dall’alto preleva un uomo tra tanti, in nave, facendolo ingurgitare alla Statua della Li-bertà, e mentre un coro di ragazzini, in Brasile, rispolverando un vecchio brano di Toto Cotugno canta: «sono un italiano, un italiano vero».

Regia: Federico Ferrone, Michele Manzolini, Francesco RagazziPaese di produzione: ItaliaAnno: 2007Durata:65'

Il futuro del mondo passa da qui City veinsLe acque del fiume Stura, dopo pochi metri, si mischiano con quelle del Po. Lungo le sue sponde, a pochi chilometri da Torino, sembra tutto nebbioso, grigio, deserto, morto. Solo una vecchia torre e una sabbiera ad assistere al perenne movimento del fiume. Questa l’impressione di chi, guardan-do dal ponte, non osserva con attenzione una realtà, invece, dinamica e piena di vita. Le prime immagini in movimento del documentario, diretto da Andrea Deaglio, mostrano larve di insetti, crostacei, bi-valvi, che popolano le acque del fiume e poi ci sono uccelli migratori e non. E persone, tante, molte più di quante se ne possa immaginare. La videocamera che inquadra per qual-che minuto un incrocio di “strade”, delimitato da un grande albero, e che vede passare decine di persone in tutte le dire-zioni lo dimostra. Gente che vive a margine della “società sana”, che si arrangia

come può, che negli anni ha cercato di educare una terra di nessuno all’abitabilità, sfruttandone le risorse, che ha sfrut-tato l’indifferenza degli altri verso una terra abbandonata a se stessa: ci sono circa cinquecento rom, ci sono meridionali con i loro orti, ci sono tossicodipendenti e spacciatori su una parte di riva chiamata “Tossic Park”. Il documentario, prodot-to dall’osservatorio permanente “Il Futuro del Mondo Passa da Qui”, ci racconta la vita di Roky, Darius e Jasmina, ragazzi rumeni, la vita di Reno, trasferitosi lì dopo aver perso casa e lavoro, l’esperienza di Frida, ex tossicodipendente, il lavoro di addomesticamento della terra da parte di meridionali arrivati lì anni or sono a costruire i loro orti. E lo fa utilizzando quasi esclusivamente immagini, quasi senza musica ad interferire, con pochi e radi sottotitoli. Quasi a voler mostrare in modo quanto più oggettivo possibile, senza voler intervenire sulla formazione di un’opinione da parte dello spettatore. Ma non ci riesce. La condanna al progetto di riqualificazione della zona, che prevede giardini, campi da golf e “grandi vie di co-municazione”, è palese. Si assiste, quindi, ad una assoluta valorizzazione della forza di chi riesce a fare della sua condi-zione di margine una risorsa. È in questo senso che “il futuro del mondo passa da qui”: non è delle grandi vie di comunica-zione o di campi da golf che si parla, ma della capacità di so-pravvivere e ripartire nel caso di eliminazione di “civiltà”, così come la conosciamo. Strumenti che, noi componenti della “società sana”, non abbiamo. In caso di disastri da fine del mondo, saranno loro a sopravvivere. O, forse, comunicare ol-tre che osservare potrebbe essere una via d’uscita che non escluda nessuna delle due parti, in questa civiltà o in una distruttiva mancanza di essa.

Il futuro del mondo passa da qui è anche un libro ed un osservatorio permanente: http://www.fmpq.it/

Regia: Andrea DeaglioPaese di produzione: ItaliaAnno: 2010Durata: 63'

La condizione femminile fra i temi trattati nella quarta edizione de "Sulle Rotte del Mondo"

DONNA: Speranza per il futuro

DONNE MIGRANTI

Si è parlato anche di condizione del-la donna nella quarta edizione delle Rotte del Mondo, la manifestazione organizzata dalla Provincia e dall'Ar-cidiocesi di Trento che ogni anno ri-porta in Trentino tutti i missionari che operano in uno dei cinque continenti (quest'anno l'Europa). Lo si è fatto con il premio Nobel per la pace 1992 Rigo-berta Menchù, che ha evocato nel suo intervento gli anni bui della dittatura e del genocidio degli indios in Guate-mala, ma anche il ruolo determinante che hanno avuto le donne nel dire "no, i nostri figli non dovranno più imbrac-ciare le armi, né per l'esercito né per i guerriglieri."Lo si è fatto guardando al fenomeno delle migrazioni internazionali, che spesso generano nuove schiavitù, le-gate all'industria del sesso e ad altre attività illegali: 500.000 in Europa le persone, in gran parte donne, costret-te ad abbandonare il proprio paese, dall'Est Europa, per lavorare "clan-destinamente", senza alcuna tutela, in Occidente, ha detto ad esempio Manuel Carballo, direttore del Centro internazionale per la migrazione, la sa-lute e lo sviluppo di Ginevra.Ma si è parlato di condizione femmini-le anche da un'altra prospettiva, quel-la offerta da una serie di ospiti pro-venienti dal Kosovo: Shpresa Agushi, direttrice della rete di organizzazione delle donne del paese, di etnia rom; Diana Shaka, egyptian (comunità di rom parlanti albanese), che si occupa

della condizione sanitaria delle donne in Kosovo; Arta Asllani, del ministero kosovaro della cultura e dello sport, donna haskali (un'altra comunità rom come quella "egiziana"); Mirjana Marinković, giornalista televisiva ser-ba; Elsa Kasap, giovane giornalista di etnia turca; Dzevahira Kolenović, bosniaca, giornalista radiotelevisiva e Drita Berisa, giornalista radiotelevisiva Rom. Dunque, dopo le 8 donne "per la pace" provenienti da Israele e Palestina che si incontrarono a Trento in occasione di "Officina Medio Oriente", e che ades-so stanno proseguendo il loro cammi-no in patria, di nuovo in Trentino un gruppo di donne "leader di comunità" ha potuto incontrarsi, e parlarsi. In Kosovo l'indipendenza seguita alla dissoluzione della Jugoslavia non ha creato le condizioni per superare in toto i problemi che affliggono il paese, il più giovane ma anche il più povero d'Europa. In questo contesto la condi-zione delle donne e delle bambine è spesso molto difficile: non sono viste come titolari degli stessi diritti degli uomini, spesso non vanno a scuola o smettono di studiare presto, non lavorano e quindi sono totalmente dipendenti dai mariti, sono vittime di violenze. Ma le ospiti delle Rotte han-no parlato soprattutto dell'orgoglio di essere donna e della necessità di far sentire la propria voce, a dispetto di ogni ostacolo, culturale, legale, eco-nomico. I principali settori su cui in-

di Marco Pontoni

14Donne Migranti

tervenire sono l'istruzione e la sanità, in particolare nel contrasto agli abusi e alle violenze, che si registrano ogni anno in migliaia di casi. L'aiuto delle associazioni non governative permette a volte di allontanare la donna dal con-testo di abuso, ma solo per 6 mesi, tra-scorsi i quali il ritorno a casa diventa inevitabile, in mancanza di alternative. Un grave problema è inoltre l'abban-dono scolastico delle bambine, per il quale è stata invocata l'approvazione di una legge che estenda l'obbligo sco-lastico almeno fino agli 8 anni. Sul piano istituzionale, parimenti, viene denunciata una scarsa rappresentati-vità delle donne in parlamento, nelle altre istituzioni e nel pubblico impiego, in modo particolare delle donne appar-tenenti alle minoranze: su 120 deputati complessivi sono previsti soltanto 10 rappresentanti delle etnie rom, haskali e egyptian. Per qualcuna delle relatrici, il luogo di vita delle minoranze in Kosovo è a tutti gli effetti "un ghetto". La condi-zione delle donne serbe sembra essere invece più favorevole rispetto ad altre minoranze, con 2 rappresentanti femmi-nili al governo e con la presenza di una donna alla presidenza della Repubblica. Nonostante la grave situazione pre-sentata, tutte le ospiti al tavolo hanno espresso la loro speranza in un migliora-mento delle condizioni della donna, gra-zie anche alla loro determinazione e alla capacità di lavorare insieme, superando le differenze. E con un piccolo aiuto del Trentino.

15

STORIE

Mi chiamo Sadio, sono una senegalese veneta e studio legge a padova

di Sadio Fall

Mi chiamo Sadio, sono senegalese e vengo da Ponso, provincia di Padova. Sono venuta in Italia all’età di 6 anni. Ovviamente son venuta tramite il ricongiungimento fami-liare assieme a mia madre e mio fratello per vivere con mio padre in Italia. In Italia son nati anche altri 3 miei fratelli. Prima di venire non avevo aspettative o curiosità particolari perché non ho scelto di venire, mi interessava solo riabbracciare mio papà.Appena arrivata mi hanno iscritta alla prima elementare, perdendo un anno, dove ho iniziato a masticare un po’ di italiano. Nel giro di pochi mesi parlavo e chiacchiera-vo con i miei compagni e compagne di classe, con alcu-ne son nate amicizie che continuano fino ad adesso. La scuola è stata un luogo importante per inserirmi ed esser parte della cittadinanza del mio comune veneto dove pro-blemi di integrazione non ci sono stati, anche perché es-sendo un piccolo paese è più facile conoscersi. Ho sem-pre partecipato ad attività che si svolgevano con i miei coetanei, dallo sport ai campi scuola con la parrocchia.Approdata con entusiasmo all’università di Padova mi destreggio tra codice civile e manuali di diritto penale. Lo studio per me è fondamentale per 3 ordini di ragioni. La prima perché mi piace studiare e son curiosa. La secon-da è per riscattare i miei genitori che tanto han faticato in questo paese sostenendomi e contribuendo sempre ai miei studi. La terza è per dimostrare a coloro che con-siderano l’immigrato solo braccia da lavoro che invece è una persona con ambizioni e aspettative non tanto dif-ferenti dalle loro. Per quest’ultima ragione mi interesso molto alle problematiche dell’immigrazione ed in parti-colar modo ho preso a cuore i temi della cittadinanza e dell’uguaglianza. Infatti, il problema del riconoscimento della cittadinanza sia ai figli di immigrati nati in Italia sia ai bambini, che come me, son venuti da piccoli in questa nazione mi è molto caro. Tutto ciò mi ha portato ad esse-re impegnata con il volontariato con la associazione Anolf in cui cerco di rendermi utile sia con i cittadini stranieri che con i cittadini italiani.

Sadio Fall presenta per le scuole

il documentario Jus soli (vedi pag. 12-13)

Immagini e altre informazioni sulla quarta edizione delle Rotte del mondo al sito: www.missionetrentino.it e sulla webtv della Provincia autonoma di Trento, all'indirizzo http://www.webtv.provincia.tn.it/solidarieta/-Sulle_rotte_del_mondo_2012/

16Società

La generosità dei bambini profughi: non hanno vestiti ma ci regalano le loro ciabatte

SOCIETàSiriani rifugiati in Giordania, un dramma sconosciuto

di Mariam Breigheche

C ome tutte le estati, anche quella del 2012, abbiamo programmato di trascorrerla in Giordania. Gran parte della mia famiglia vive lì da tanto tempo, dopo esser fuggiti negli anni ’70 dal governo dittatoriale di Hafez Assad, padre dell’attuale dittatore siriano. I più giovani sono nati e cresciuti

lì, e molti altri in America o, come me, in Europa.La felicità e la voglia di riab-bracciare i propri cari, dopo un anno scolastico intero, è alle stelle! L’aereo atterra, e già io e mia sorella litighiamo per chi tiene quella valigia in più, occupandosi entrambe le mani, e chi ne tiene una sola, riuscendo ad avere una mano libera pronta ad abbracciare i famigliari che ci aspettano all’uscita.Passati i primi controlli, ci dirigiamo verso uno sportello per pagare il visto. Proprio lì noto due o tre famiglie sedute sul-le panchine che attendevano. Li osservai per qualche se-condo e poi chiesi a mia madre: “Mamma, sono siriani... e

sembra che non li fanno entrare!”. Con un leggero colpo, mi risponde facendomi cenno di abbassare la voce. E poi annuisce, facendomi capire che anche lei crede si tratti di famiglie siriane. Non mi ero accorta che intanto c’eravamo avvicinati allo sportello e solamente qualche passo ci di-stanziava dall’addetto.Già in aeroporto, avevamo avuto un assaggio di quella che

è la realtà dei siriani in Gior-dania che sono fuggiti sen-za i propri documenti. Mi chiedevo e lo faccio tutt’ora, quale sia la storia di quella povera gente dal volto stan-co. Probabilmente erano lì da parecchio tempo. Con le valigie disposte vicino alle

loro sedie, si reggevano la testa con le mani. Un giorno, durante il mese di Ramadan, in pieno agosto, ci dirigiamo, io e altre quattro ragazze, verso il campo profughi della città Al Ramtha, come volontarie per la distribuzione di vestiti ai bambini. Arrivati all’entrata, mostriamo i nostri documenti alle guar-die che ci permettono di entrare dopo pochi minuti. Non

Il toccante incontro di una sedicenne con chi vive nel "campo" sorto presso

la città Al Ramtha, dove vivono migliaia di persone fuggite a causa

del regime violento di Assad

Secondo il Consiglio Nazionale Siriano, organismo di opposizione riconosciuto fino ad ora da 83 nazioni, in stretto contatto con uNHCR, uNICEF, Osservatorio dei diritti umani in Siria, attualmente ci sono 220.000 pro-fughi in Giordania, 95.000 in Turchia, mentre 350.000 persone sono in continuo spostamento in Siria.fo

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17Società

c’era molto tempo, così abbiamo subito iniziato a lavorare…Il caldo e la sete ci affaticavano sempre di più, poi finirono per scomparire. Tutte queste sensazioni non ebbero più valore davanti ai racconti di una bambina. Ci raccontava della loro situazione al campo, di come sono fuggiti dalla Siria e come ora vivono. Noi ragazze, ci siamo guardate tra di noi, senza parole, cercando di trovare una frase di conforto per lei. Ammetto di essermi sentita un sacco di immondizia in quel momento.Abbiamo continuato il nostro lavoro, e la nostra energia pro-veniva da quei piccoli corpicini, che uno dietro l’altro, trova-vano un vestito adatto da indossare…La fatica era davvero immensa. Ma avevamo finito tutto il lavoro! Ed era tempo di andare! Io e una ragazza del grup-po andiamo in cerca delle nostre scarpe, che avevamo appoggiato da parte. Ma sfortunatamente, erano sparite. Eravamo troppo occupate a seguire le mamme e i loro figli che non abbiamo pensato di controllare ogni tanto i nostri oggetti messi da parte.Scalze, veniamo sorprese dalla generosità di una ragazzina del campo profughi. Ebbene sì, ci ha offerto le sue ciabatte dicendo: ” Prendete pure!! Io ne ho tre paia, un paio lo ten-go per me e le altre ve le posso dare!”.Trattenni le lacrime, mentre si formava un nodo in gola. Era ora di tornare a casa! Tutti in macchina!! I bambini corrono a salutarci. Con il loro viso raggiante e sorridente, ci fanno promettere di ritornare presto a ritrovarli, anche a mani vuote! A loro piaceva la presenza di qualcuno che giocasse con loro, che facesse una chiacchierata… Niente di più!La macchina parte, e ci giriamo a dare un ultimo sguardo

a quel posto e alle incantevoli persone che abbiamo cono-sciuto. Presto, sul finestrino posteriore della macchina, si intravvede il campo e le sue mura, e le piccole mani che sventolano i bambini, per salutarci.Durante quei venti minuti di viaggio, ripensai a tutta quella giornata trascorsa al campo, e mi ripromisi di tornarci. Ero disposta anche a passare tre giorni o più con loro se era possibile. Tra noi, i bambini e le ragazze del campo, si era instaurato un legame così forte, ma che era nato e cresciu-to silenziosamente e senza fare il minimo rumore, tanto da non renderci conto di come e quando si era creato.A casa, tra le lenzuola del letto, ero al sicuro e al riparo. Mentre migliaia e migliaia di persone innocenti, vittime del dittatore assassino, hanno perso casa. Hanno perso docu-menti, e sono costretti a vivere nei campi profughi.Così è la loro vita da quando sono fuggiti, e rimarrà così finché il mondo permetterà tali ingiustizie a Assad!Chi è scappato con i propri documenti, si ritiene fortuna-to. Vivono con enormi difficoltà e ostacoli giornalieri, ma ringraziano Dio di essere in migliori condizioni di altri loro connazionali.Ora sono qui in Italia, nel mio paese, e tra i miei obiettivi, si aggiunge anche quello di continuare la lotta iniziata proprio lì, in Giordania. Portarla con me tra i banchi di scuola, dove ho riscontrato tanta disinformazione da stupirmi, per stra-da, e in ogni singolo impegno quotidiano.Una goccia d’acqua in un deserto di sabbia. Così, descrivo ciò che mi impegno a fare, in confronto agli enormi sacrifici continui ai quali è sottoposto il popolo in Siria… Indifeso, lotta contro un CRIMINALE assetato di potere e appoggiato dal silenzio!

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SIRIA.... confine con la Turchia… questa è l’acqua che bevono… è bianca sembra latte… dormono all’aperto

sotto gli olivi.... senza acqua pulita.... molti soffrono di diarrea e vomito.... non ci sono medicinali.....

IMMI/EMIIn ricordo di un paese che non esiste più

Senza luce

di Aleksandra Zobić

Sono nata in un paese che non esiste più.Quando è iniziata la guerra ero ancora piccola. Il mio papà guardava sempre il telegiornale e io capivo molto di quello che stava accadendo. Conoscevo i nomi dei fronti di guerra e dei politici in lotta, capivo soprattutto scrutando il viso del mio papà. Avevo paura del telegiornale. A quei tempi la luce mancava spesso. Erano tante notti passate senza la luce. Era un problema davvero grande. Ma io ero più felice quando all’imbrunire mancava la luce e all’improvviso il giorno si spe-gneva del tutto. La tempesta era un altro ‘amico’ alleato che avevo. L’amavo segretamente perché quando vedevo che si avvicinava la tempesta allora ero sicurissima che sarebbe mancata la luce. E veniva buio. In quel momento non c’era più niente, nean-che un rumore, non c’era più il telegiornale, niente. Basta tutto. C’era sempre una candela vicino al tavolo, la mamma si faceva il segno della croce nell’accenderla. Si creava così una condizione, o meglio un sentimento, sospeso, neutrale, come quando si è in uno stato interiore di quiete, in cui non accade nulla. Per me, nulla significava niente di male.

Ci sdraiavamo noi quattro sui due divani, chiu-devamo gli occhi, facevamo un respiro profondo. In quel momento, potevo sondare me stessa e davvero sentire la pace.Non so a cosa pensassero il papà e la mamma, ma so che io pensavo “così adesso va bene”, “vorrei che non tornasse mai più la luce.”La guerra è passata. Adesso la corrente c’è sem-pre, tranne quando viene un temporale. Ma ancora oggi, adulta, i momenti più belli per me sono quelli in cui va via la luce improvvisa-mente, e il buio porta una notte in cui niente

succede, in cui non esiste più niente. La mamma si fa il se-gno della croce e accende la candela, ancora ci sdraiamo insieme sul divano, chiudiamo gli occhi, facciamo un respiro profondo e io penso “va bene - così – adesso, va bene”.Lo sappiamo tutti che forse nessuno di noi prova un vero sentimento di pace.E tuttavia continuiamo a sperare che sia possibile sentirsi, almeno un momento, davvero in pace, ascoltarsi nel profon-do e potersi dire, per una volta, “Adesso va bene!”Qualcun altro, una forza più grande di noi, deve far sì che luce si spenga o noi stessi possiamo essere abbastanza forti per darcelo, un momento di pace?Un pensiero di bambina - “Voglio che non torni la luce” – dimostra, più di mille parole, quanto forte e urgente sia il desidero di pace.Quello che posso dirvi ora: provate a stare tranquilli per un momento, a non fare niente, ad accendere una candela, sdra-iatevi, chiudete gli occhi, fate un respiro profondo e pensate, per una volta almeno, “Così – ora – finalmente, va bene.”

Un'immagine della Bosnia Erzegovina alla fine del conflitto

18Immi/Emi foto: Archivio Associazione Trentini nel mondo Onlis

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COME RICEVERE QUESTA PUBBLICAZIONESe desideri ricevere questa pubblicazione invia un’offerta sul conto della Cassa Rurale di Trento, IT 28 T 08304 01807 00000 7317074. Se condividi le finalità dell’associazione e sei interessato alle sue attività ti proponiamo di diventare socio con diritto a ricevere il giornale. Manda la tua richiesta di adesione ed il tuo indirizzo a [email protected] oppure a IL GIOCO DEGLI SPECCHI, via S.Pio X 48, 38122 TRENTO, tel 0461.916251, cell. 340.2664419. Meglio ancora: passa in sede a trovarci! Lunedì-venerdì, ore 9.00 - 14.00

via S.Pio X 48, 38122 TRENTO tel 0461.916251 - cell. 340.2412552info@ilgiocodeglispecchi.orgwww.ilgiocodeglispecchi.org

Due ragazzi spigliati dei nostri giorni ricostruiscono una storia, familiare e nazionale, con leggerezza profonda. Caterina ha sempre saputo della vita della madre, esule da Fiume, ma ora si documenta con cura, intervista la madre e fa riaffiorare i suoi ricordi, la spinge a riprendere in mano le vecchie foto e a raccontare. I due giovani percorrono un cammino a ritroso degno di un buon storico, dalla casa attuale ai vari campi profughi e alla vita che vi si conduceva, indietro indietro nel tempo, fino ad una Fiume - Rijeka non più riconoscibile, fino alla casa da cui la madre è partita per l'esilio, fino alla casa in cui è nata.

Foto limpide nette di una realtà odierna perfetta fanno da contrappunto al disegno vivace da bozzetto, al ben rifinito disegno color seppia che rievoca il passato, ai documenti citati e riprodotti. Un lavoro serio, che non giudica, non recrimina, mette in luce aspetti perfino positivi di quella non facile vita, un lavoro dolce come il sapore di una palacinche della propria infanzia e della propria storia ritrovata.

Caterina Sansone, Alessandro Tota Palacinche. Storia di un'esule fiumana - Fandango , Roma, 2012La tavola e la foto di pag. 65 e 81

Per gentile concessione dell'editore

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