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N. 367 Collana diretta da Salvo Vaccaro e Pierre Dalla Vigna COMITATO SCIENTIFICO PIERANDREA AMATO (UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MESSINA), PIERRE DALLA VIGNA (UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “INSUBRIA”, VARESE), GIUSEPPE DI GIACOMO (SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA) MAURIZIO GUERRI (ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI BRERA), SALVO VACCARO (UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO), JOSÉ LUIS VILLACAÑAS BERLANGA (UNIVERSIDAD COMPLUTENSE DE MADRID), VALENTINA TIRLONI (UNIVERSITÉ NICE SOPHIA ANTIPOLIS), JEAN-JACQUES WUNEMBURGER (UNIVERSITÉ JEAN-MOULIN LYON 3), MICAELA LATINI (UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CASSINO), LUCA MARCHETTI (UNIVERSITÀ SAPIENZA DI ROMA) I testi pubblicati sono sottoposti a un processo di peer-review MIMESIS / ETEROTOPIE

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N. 367

Collana diretta da Salvo Vaccaro e Pierre Dalla Vigna

comitato scientificoPierandrea amato (Università degli stUdi di messina), Pierre dalla vigna (Università degli stUdi “insUbria”, varese), giUsePPe di giacomo (saPienza Università di roma) maUrizio gUerri (accademia di belle arti di brera), salvo vaccaro (Università degli stUdi di Palermo), José lUis villacañas berlanga (Universidad comPlUtense de madrid), valentina tirloni (Université nice soPhia antiPolis), Jean-JacqUes WUnembUrger (Université Jean-moUlin lyon 3), micaela latini (Università degli stUdi di cassino), lUca marchetti (Università saPienza di roma)

I testi pubblicati sono sottoposti a un processo di peer-review

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violenza di genere. saPeri contro

a cUra disalvo vaccaro

Saggi di

Ignazia Bartholini, Judith Butler, Marina Calloni, Amalia Collisani, Salvatore Cusimano, Gabriella D’Agostino,

Alessandra Dino, Françoise Héritier, bell hooks, Serena Marcenò, Martha Nussbaum, Giuseppa Palmeri,

Michelle Perrot, Adelia Piazza, Francesca Rizzuto, Elvira Rotigliano, Alessandra Salerno, Viviana Segreto, Salvo Vaccaro

MIMESIS

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MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) [email protected]

Collana: Eterotopie, n. 367Isbn: 9788857535708

© 2016 – MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383Fax: +39 02 89403935

Realizzato con il contributo dell’Università degli Studi di Palermo, dipartimento di Culture e società.

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indice

Presentazione 9Salvo Vaccaro

la verità di miti e di racconti. sUlle radici familiari della violenza Politica 11Marina Calloni

antroPologia cUltUrale, diritti delle donne, mUlticUltUralismo 35Gabriella D’Agostino

Psicodinamica delle relazioni violente. asPetti Psicologici, clinici e sociali 53Alessandra Salerno

ingiUstizia e violenza sUlle donne sono Universali 63Françoise Héritier

mediterraneità e violenza di Prossimità 67Ignazia Bartholini

farla finita con la violenza 79bell hooks

le nUove sfide del femminismo in ePoca neoliberale 85Serena Marcenò

i corPi delle donne. violenza, sicUrezza, caPacità 101Martha Nussbaum

diritti fondamentali e violenza sUlle donne 121Giuseppa Palmeri

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violenza di genere: legislazione a tUtela della Persona offesa 135Elvira Rotigliano

sUl libro di Pierre boUrdieU, Il domInIo maschIle 145Michelle Perrot

lingUaggio televisivo e qUestioni di genere 151Salvatore Cusimano

donne, delitti e shoW. la coPertUra informativa della violenza di genere nei media italiani 155Francesca Rizzuto

lo stereotiPo del femminile in PUbblicità 167Adelia Piazza

la violenza transgender 187Judith Butler

dentro le mafie: donne, violenza, Potere 193Alessandra Dino

la strage delle donne nell’oPera: comPlicità e denUncia della raPPresentazione 205Amalia Collisani

alle radici della sUbordinazione femminile 217Viviana Segreto

ePistemica della violenza 225Salvo Vaccaro

APPENDICE

1. Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW 1979) 2372. Conferenza mondiale delle nazioni Unite sui diritti umani, Dichiarazione e programma d’azione, Vienna 14-25 giugno 1993 251

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3. Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, 11 novembre 2010 2554. Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica Istanbul, 11 maggio 2011 2715. Testo del decreto-legge 14 agosto 2013 3116. Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere 2103 325

aUtori e aUtrici 365

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PRESENTAZIONE

La violenza di genere costituisce oramai una delle piaghe più virulente della nostra condizione sociale contemporanea. Nessuno spazio ne è esen-te, nessuna zona franca è identificabile come area libera dalla violenza di genere, giacché ogni spazio non può che essere abitato dai generi e la vio-lenza distorce una “conflittualità” intimamente costitutiva – come diceva Eraclito - della relazionalità tra generi.

Anche un campus universitario, pertanto, può divenire teatro di violen-za, talvolta accennata, talaltra insinuata, ammiccata, talvolta mimata, de-viata, talaltra diretta, feroce, talvolta psichica, talaltra fisica, corporea.

Abbiamo così riflettuto sulla funzione che l’Università di Palermo può svolgere per contrastare in maniera puntale ed efficace tale piaga spesso ri-mossa, persino dalle vittime, perché inascoltata, sottaciuta, ridimensionata.

Come primo passo, allora, in coerenza con il ruolo di alta formazione che l’Università ricopre, abbiamo elaborato un ciclo di seminari da offrire come pacchetto formativo, a tutti gli iscritti dell’Ateneo, indipendentemen-te dal corso di studio frequentato, per l’anno accademico 2014-15.

L’obiettivo di sensibilizzazione ad ampio raggio è stato sostenuto da colleghe e colleghi, da alcuni professionisti esterni al mondo universitario ma vicini allo spirito della nostra iniziativa, dalla sezione palermitana di Amnesty International, nonché da alcuni studiosi dei quali abbiamo ripreso qualche lezione.

Insomma, il ciclo di seminari i cui testi il lettore troverà nelle pagine di questo volume, intende costituire il primo tassello di una azione di Ateneo che, con veloce gradualità, sappia interpretare il meglio delle energie pre-senti per contrastare in maniera efficace la violenza di genere offrendosi come istituzione responsabile tanto al suo interno quanto in funzione ter-ritoriale. Nel corso della riflessione collettiva, abbiamo altresì convenuto quante siano le opportunità di intervento nello spazio universitario, come ad esempio un Centro di Ascolto e di prevenzione della violenza di genere che, eventualmente, possa verificarsi all’interno della “cittadella dei sape-

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10 Violenza di genere. Saperi contro

ri”, auspicabilmente con il coinvolgimento delle associazioni studentesche con le quali aprire una efficace interlocuzione non solo intellettuale ma soprattutto fattiva.

Come docenti e cittadine potremmo altresì pensare, a mo’ di ulteriore esempio, a laboratori di autoanalisi e di difesa non violenta, a laboratori che si aprano al tessuto cittadino con la partecipazione delle famiglie e di altri membri di istituzioni vicine quali le scuole, la giustizia, la sanità, la prevenzione sociale, il mondo del volontariato.

Se i testi che qui si offrono saranno in grado di suscitare, dentro e fuori le mura dei saperi, alcuni percorsi virtuosi di interrogazione e di azione, tra cui quelli sopra accennati, allora la funzione intellettuale di seminari, parole, testi, in sede tanto orale quanto scritta, in una parola, la cultura non sarà invano, ma saprà farsi corpo e vettore di pratiche collettive.

Salvo Vaccaro

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francesca rizzUto

DONNE, DELITTI E SHOW.LA COPERTURA INFORMATIVA DELLA

VIOLENZA DI GENERE NEI MEDIA ITALIANI

1. Introduzione

Il giornalismo italiano dell’ultimo decennio è stato segnato dal predo-minio della logica spettacolare come criterio centrale nel racconto della realtà e dalla nascita di generi informativi che teatralizzano gli eventi, pri-vilegiando quelli più drammatici e violenti. L’informazione piuttosto che cercare di capire gli eventi punta ad intrattenere: il commento e l’analisi sono passati in secondo piano e si sono sviluppati generi ibridi, come il talk show, più compatibili con l’imperativo commerciale di attrarre audience. La sociologia del giornalismo ha di recente evidenziato questa nuova cen-tralità assunta dalla dimensione dell’intrattenimento, divenuta componente fondamentale della cultura moderna dell’esposizione. In linea con analoghi trend europei e statunitensi, ampi processi di patemizzazione e vetrinizza-zione del sociale hanno avuto come esito principale la diffusione capillare di resoconti spettacolari ma parziali e banalizzanti dei problemi sociali, che spesso agiscono come pericolosi moltiplicatori e solidificatori di stereotipi. In una società in cui ogni luogo è diventato palcoscenico, dissolvendo la dicotomia tradizionale tra pubblico e privato1, la descrizione dei tratti tipici della copertura informativa della violenza contro le donne, pertanto, può rivelarsi utile per comprendere il nuovo significato del rapporto tra news e realtà, all’interno del processo di riorganizzazione produttiva dell’informa-zione, dovuto alle nuove tecnologie comunicative. Le modalità della rap-presentazione mediale della violenza di genere sono coerenti, infatti, con la logica dell’infotainment e alimentano un processo pervasivo e cumulativo di rappresentazione e, talvolta, di “costruzione” mediale della violenza, connesso a fattori ideologici, strategie narrative e formati usati per stabilire

1 Cfr. J. B. Thompson, Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Il Mulino, Bologna, 1988 (ed. or. The Media and Modernity: a Social Theory of the Media, Polity Press, Cambridge, 1995).

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definizioni condivise della violenza sociale in sé.2 La recente pervasività delle notizie sulla violenza contro le donne, che ne ha enfatizzato l’im-portanza agli occhi dell’opinione pubblica, non rappresenta, pertanto, un esempio riuscito di maggiore capacità di approfondimento dei media: piut-tosto sembra rientrare nell’ambito dei processi di costruzione giornalistica delle emergenze, in grado di produrre effetti significativi sulla definizione dei problemi sociali. Nelle pagine seguenti il punto di partenza sarà il ri-conoscimento delle conseguenze cognitive del newcoverage della violenza contro le donne in termini di assuefazione e/o banalizzazione della violenza stessa o sull’eventuale rafforzamento di pregiudizi legati al genere, retag-gio di una mentalità fondamentalmente patriarcale e misogina. Il peso dei newsmedia nella percezione diffusa della figura femminile è evidente visto che sulla base delle interpretazioni dei giornali i soggetti interagiscono tra loro e si rapportano al mondo: attraverso specifiche strategie discorsive e scelte lessicali, le news offrono risorse interpretative sui rapporti tra i sessi, delimitando orizzonti di significati condivisi, che vengono usati dai lettori/spettatori come calchi cognitivi nel processo di percezione della realtà. Il giornalismo non è solo pura news ma messa in forma delle informazioni, cioè produzione culturale: l’informazione nel descrivere la realtà la rico-struisce, selezionando gli eventi, i giornali non sono lo specchio fedele del reale ma offrono “capsule informative”, che estrapolano i fatti dai contesti reali e li ricontestualizzano all’interno di differenti prodotti.

2. L’affermazione del giornalismo-spettacolo in Italia: temi e generi.

L’infotainment, cioè la tendenza alla spettacolarizzazione e alla popo-larizzazione, ha radici nell’origine commerciale della stampa americana ottocentesca, intenta ad attrarre un mercato di massa popolare, ed è legata all’affermazione sociale del modello di comunicazione della vetrina. Si tratta di uno strumento che valorizza il senso della vista, lascia il singolo da solo davanti all’oggetto da guardare, dominato dall’istantaneità, cioè dall’importanza del momento in cui il passante deve essere folgorato, per vivere la gratificazione immediata derivante dal godere dell’ultima novità. Secondo Codeluppi l’avvio della messa in scena spettacolare degli oggetti risale alla fine dell’Ottocento quando la moltiplicazione delle merci, resa possibile dalla produzione industriale, ha messo al centro della vita sociale la logica della vetrina: tutto viene progettato e realizzato per apparire bel-

2 G. Gili, La violenza televisiva. Logiche, forme, effetti, Carocci, Roma, 2006.

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lo e seducente e questa logica ha portato all’estensione della dimensione estetica ai principali ambiti della vita3. «La vetrina è una perfetta metafora del modello di comunicazione che tende oggi a prevalere. Vetrinizzarsi non è un semplice mostrarsi, che comporta la possibilità di trattenere qualcosa per sé. È un atto che implica un’ideologia della trasparenza assoluta, impli-ca cioè l’obbligo di essere disponibili a esporre tutto in vetrina. Non è più possibile lasciare sentimenti, emozioni o desideri nascosti nell’ombra»4. L’essere esposti significa mostrare ciò è intimo, privato e i newsmedia, so-prattutto la tv, rendono pubbliche alcune informazioni prima relegate alle interazioni private5: proprio il mezzo televisivo spingendo a trasformare tutto in qualcosa da guardare6, ha imposto all’informazione il framework dell’intrattenimento con l’affermazione definitiva del processo di vetriniz-zazione del sociale, in cui gli individui si mettono in mostra, come le merci in vetrina, con un’erosione graduale della privacy a favore di una con-sapevole esposizione mediatica allo sguardo altrui. La tv mette in scena l’interiorità dei singoli, la loro vita emozionale: nell’era della trasparen-za assoluta, niente può essere in ombra; vetrinizzarsi vuol dire cessione dell’intimità così che la tv da finestra sul mondo diventa finestra sulla vita quotidiana dello spettatore, sulle sue emozioni, sui suoi sentimenti con l’esito di una patemizzazione esasperata. La forza delle emozioni e del-le passioni è centrale, coinvolge il pubblico. Come conseguenza, in tale cultura dell’esposizione, il giornalismo, sempre più attento alle esigenze del mercato, non presenta più “news-resoconti di eventi”, ma ricostruzioni drammatizzate di pezzi di realtà, in cui prevalgono l’impatto visivo e l’im-pianto narrativo della storia. Secondo Thomas «l’infotainment allude alla tendenza dei media a presentare l’informazione come uno spettacolo, la cui principale funzione è quella di servire da gancio per catturare e mantene-re l’audience»7. Naturalmente è possibile rilevare significative differenze tra le varie declinazioni nazionali dell’infotainment: per quanto riguarda il caso italiano, la centralità della tv, dei suoi linguaggi e stili narrativi, così

3 V. Codeluppi, La vetrinizzazione del sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp.13-16.

4 Ivi, p.17.5 Per un approfondimento sulle trasformazioni delle arene sociali si rimanda a:

J. Meyrowitz, Oltre il senso del luogo: come i media elettronici influenzano il comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1995, (ed. or. No Sense of Place, Oxford U.P., New York, 1985), p. 155.

6 F. Colombo, Atlante della comunicazione, Hoepli, Milano, 2005. 7 B. Thomas, Finding Truth in the Age of Infotainment, Editorial Research Reports,

Washington D.C., 1990, p. 39.

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come la convergenza verso il modello giornalistico anglosassone hanno agito all’interno di un contesto editoriale che, solo dagli anni Novanta, ha visto il declino del monopolio pubblico televisivo dell’informazione8. In un contesto di concorrenza anche per le news le redazioni hanno progressiva-mente adottato criteri giornalistici ispirati alle regole dell’intrattenimento spettacolare, privilegiando le immagini sulle idee, le emozioni sull’analisi, evitando la complessità e drammatizzando i fatti per aggiungere appeal alle notizie. Lance Bennett nel 1988 ha proposto un’efficace etichetta ossimori-ca news-dramas, per descrivere il giornalismo-spettacolo. Le news-dramas sono una commistione di resoconto e ricostruzione fittizia: in esse prevale la produzione di storie visuali, su un tema o un’angolazione di esso, bre-vi, ricche di elementi emotivi, più compatibili con il mezzo televisivo che con la realtà9. Proprio all’eccessivo successo della logica televisiva, che dominano le altre pratiche giornalistiche, sarebbero imputabili la banaliz-zazione dei contenuti del dibattito pubblico, il predominio degli eccessi conflittuali, la selezione di temi e fatti della cronaca che si prestano meglio alla teatralizzazione dei personaggi ed, infine, la radicalizzazione nella rap-presentazione di alcuni fenomeni, soprattutto i comportamenti criminali in grado di bucare il video. Si sono così sviluppati generi informativi, come il criminality show, in cui prevale la spettacolarizzazione delle disgrazie: la copertura informativa di eventi come i delitti intrafamiliari, ad esempio Cogne o Avetrana, evidenzia gli eccessi di un giornalismo che tratta i fatti reali con la logica del reality show, offrendo news con evidenti richiami mitici, drammatizzate e serializzate10. Non si offrono resoconti oggettivi di eventi ma storie accattivanti con il linguaggio della fiction, nelle qua-li spesso il delitto diventa un evento ri-costruito per attirare l’attenzione, uno show che portando la cronaca nella dimensione spettacolare si accosta sempre più al telefilm a puntate, con una logica seriale e drammaturgica. Si afferma così, un giornalismo pronto alla denuncia ma sostanzialmente incapace di fare luce sui problemi, segnato da un progressivo scostamento da strategie (non solo linguistiche) oggettive e razionali a strategie emotive e sensoriali. La logica dell’emozione dalla tv è arrivata anche alla carta stampata sia sul piano iconico che su quello dei contenuti, con un’accen-

8 A. Cerase, Notizie prossime venture: tra informazione e intrattenimento, in M. Morcellini, (a c.), Neogiornalismo. Tra crisi e rete come cambia il sistema dell’in-formazione, Mondadori, Milano, 2011, pp. 40-41.

9 L. Bennett, News: the Politics of Illusion, Longman, New York, 1988.10 M. Polesana, Criminality show. La costruzione mediatica del colpevole, Carocci,

Roma, 2010.

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tuazione della dimensione patemica rispetto a quella puramente referen-ziale. L’infotainment, quindi, rappresenta il punto di arrivo del processo di fusione tra informazione e intrattenimento, contribuendo ad orientare la percezione della realtà sociale attraverso narrazioni che mitizzano gli eventi e teatralizzano i soggetti. Se l’intrattenimento prima era un genere nettamente separato dalle notizie, oggi l’osservatore-spettatore di un pro-gramma informativo entra in un segmento di realtà che presenta una se-quenza di azioni con impianto narrativo, non irreale, cioè inesistente, ma realistica e verosimile. Si supera così, il confine tra realtà dei fatti e realtà fittizia della loro presentazione: nelle newsdramas il pubblico non sa più tracciare la distinzione tra reale e fiction poiché la notizia si trasforma in racconto mitico e il focus si sposta sulla sua traduzione in storia, in cui i personaggi vengono in primo piano.

3. La donna nella cronaca nera italiana

Le modalità della rappresentazione mediale della violenza di genere sono coerenti con la logica dell’infotainment e alimentano un processo pervasivo e cumulativo di costruzione televisiva del fenomeno, connesso a fattori ideologici e stili narrativi che contribuiscono a stabilire le defini-zioni condivise della violenza sociale. Il recente successo del genere “cro-naca nera”, ed in particolare della violenza di genere e del femminicidio, testimonia, quindi, proprio l’affermazione definitiva della prospettiva dello spettacolo anche nelle news: il crimine ha sempre fornito ai giornali storie violente da presentare al pubblico ma oggi la necessità di attrarre l’audien-ce in un sistema planetario fortemente concorrenziale, spinge le redazioni a focalizzare l’attenzione soprattutto sui fatti più violenti e macabri per costruire uno spettacolo quotidiano del dolore11 e dell’orrore, in grado di informare e intrattenere. Omicidi, attentati terroristici, serial killer, stragi intrafamiliari sono così diventati la materia prima per confezionare pro-dotti giornalistici, capaci di incidere sulla percezione dei lettori/telespetta-

11 L. Boltanski, La soufflance à distance, Metaillié, Paris, 1993 (trad. it. Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Cortina, Milano, 2000. Sul tema del predominio delle emozioni nei prodotti informativi cfr. anche F. Rizzuto, Emotional Reporting and Leisure: Newsmedia, Crime and entertainment in Italy in F. M. Lo Verde, G. Cappello, I. Modi (Eds), Mapping Leisure across Borders, Cambridge Scholars publishing, Newcastle upon Tyne, Uk, 2013.

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tori riguardo alla presenza del crimine in generale e della violenza contro le donne in particolare. Le modalità rappresentative della violenza agita e soprattutto subita dalle donne nella cronaca italiana sono caratterizzate dall’uso di sentimentalismi, stigmatizzazioni, santificazioni, diventati la prassi della rappresentazione giornalistica dei delitti più gravi nell’Italia contemporanea12. La violenza contro le donne si trova al centro di nume-rosi messaggi: recenti studi hanno evidenziato che il giornalismo italiano offre spesso newsdramas con donne-vittime così come donne-carnefici, presentando relazioni, colpe e colpevoli con una forte tendenza sessista e una costante strategia dell’allusione e dell’implicito. Il delitto suscita sem-pre orrore e curiosità, dal macabro coverage ottocentesco degli omicidi di Jack lo Squartatore: la devianza eclatante attira il pubblico ed è stata tradizionalmente più notiziabile, rendendo spesso divi gli attori sociali che infrangono le norme nel modo più crudele e feroce. Esistono però, diffe-renze nel coverage dei fatti di cronaca nera: oltre al genere, le variabili più rilevanti sono il gruppo etnico, il luogo geografico o virtuale in cui il reato ha avuto luogo, la classe sociale di appartenenza. Mettendo in evidenza fattori come l’età o l’appartenenza ad una specifica etnia, i media hanno creato emergenze sociali e politiche causando notevoli ripercussioni nelle agende politiche di molti paesi. Ad esempio, dagli anni Ottanta negli Usa è aumentata la copertura dei reati compiuti da minorenni o di quelli com-a minorenni o di quelli com-messi da specifiche minoranze, i neri sono spesso presentati come tenden-zialmente inclini alla criminalità, soprattutto se giovani, coinvolti nell’uso di droghe, in furti o membri di bande metropolitane, mentre reati come l’immigrazione illegale sembrano tipici di asiatici o est europei, così come lo spaccio tra i giamaicani13. Se il criminale è donna, poi, i valori-notizia usati nella selezione degli eventi si fondano su pregiudizi e luoghi comuni, che fanno emergere stereotipi legati al genere: le figure femminili, pertan-to, si qualificano come soggetti ancora più interessanti giornalisticamente perché in grado di suscitare orrore tanto che, spesso, l’attenzione a certi fatti è spiegabile solo perché l’aggressore è di sesso femminile. I media fo-calizzano l’attenzione sull’idea inaccettabile che una donna, meno anima-lesca dell’uomo e per natura materna, non dovrebbe mai essere coinvolta in violenze: di conseguenza, le donne criminali perdono la loro umanità e sono ridotte a teatrali personificazioni di vizi e debolezze. Tuchman già

12 C. Corradi, Il nemico intimo. Una lettura sociologica dei casi di Novi Ligure e Cogne, Meltemi, Roma, 2005.

13 I. Marsh, G. Melville, Crime, Justice and the Media, Routledge, New York, 2009, pp. 70-89.

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alla fine degli anni Settanta sosteneva che i discorsi mediali sulle donne sono colpevoli di un annichilimento simbolico, in quanto i newsmedia le trivializzano o le condannano14. Le donne sono biologicamente più vicine alla natura, danno la vita, si rivelano più emotive e protettive degli uomini anche se al tempo stesso, si indugia spesso sul loro essere biologicamente “subalterne” al maschio che deve proteggerle dalle aggressioni e custodir-le15: queste caratteristiche sono state accettate e presentate dai newsmedia come naturali e tale spiegazione giustifica la percezione “differente” dei crimini commessi da donne fino al perpetrarsi di atteggiamenti sessisti. Se coinvolte in aggressioni o omicidi di bambini, le colpevoli sono demo-nizzate con descrizioni che enfatizzano aspetti da strega: diventano veri e propri villains-antieroi, mostri contro natura, assassine di figli o partner, compagne di killer. Anche in Italia negli ultimi anni i giornali hanno offerto al pubblico numerose versioni moderne di Lady Macbeth (Rosa Bazzi), di Iago (Sabrina Misseri), o Medee furiose accecate dalla gelosia, lontane dai canoni accettati della femminilità e dai ruoli di moglie o madre. I pregiudi-zi sui ruoli e sui comportamenti ritenuti “adeguati” influenzano il newsco-verage del crimine soprattutto sul piano linguistico della rappresentazione della criminale: termini gotici come mantide, vampira, stereotipi come la femme fatale, la strega o il diavolo sono usati per raccontare crimini al di là dell’umano, irrazionali e contro la vera natura delle donne. Una visione maschilista e misogina dell’universo femminile emerge nelle news anche nei continui riferimenti all’aspetto fisico, che contribuiscono a costruire socialmente, anche in contrapposizione con le criminali, l’immagine fem-minile diffusa e accettata tra i membri del pubblico: sempre giovane, bella, magra, sensuale ed eterosessuale in contrapposizione a donne-colpevoli di cui si mettono in evidenza obesità, sciatteria nell’abbigliamento, assenza di appeal seduttivo, elementi che sono presentati come segnali, o ancora peg-gio, come “cause” dell’isolamento sociale, o della mancanza di autostima che hanno spinto la protagonista a scendere negli inferi del crimine. Si pen-si ad esempio alle descrizioni dell’aspetto fisico di Sabrina Misseri o Rosa Bazzi16. Così, a differenza dei criminali maschi, i media descrivono spesso le donne carnefici, focalizzando ossessivamente l’attenzione sull’aspetto

14 G. Tuchman, The Symbolic Annihilation of Women by the Mass Media, in Tuch-man G., Daniel A.K., Bennet J. (Eds.), Hearths and Home, Oxford UP., Oxford, 1978.

15 Cfr. M. Meyers, News Coverage of Violence Against Women: Engendering Blame, Sage, Thousands Oak, Ca., 1997; Surette R., Media, Crime and Criminal Justice. Images, realities and policies, Wadsworth, Belmont, 2007.

16 F. Rizzuto, Lo spettacolo delle notizie, Aracne, Roma, 2012.

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fisico e «offrendo una rappresentazione dicotomica che oscilla tra la bella e cattiva ammaliatrice o la brutta strega vendicativa, come se la bellezza o la bruttezza possano in qualche modo spiegare il reato commesso»17. La vita privata delle “presunte” colpevoli viene scandagliata con attenzione morbosa quasi per trovare un indizio di colpevolezza; perfino quando un marito uccide la moglie il reato sembra “spiegarsi” con il fallimento del-la vittima nel ruolo di moglie fedele e madre premurosa, fallimento che viene “dimostrato” dall’esistenza di una “fondata” gelosia ossessiva o di relazioni extra-coniugali, quasi a giustificazione del reato visto che la vitti-ma è ugualmente “colpevole”. Il focus mediale, quindi, non è l’attenzione cronachistica oggettiva al crimine ma alla donna, al suo comportamento, al suo passato: prevale un’informazione eccessiva, drogata, che arriva a of-frire plastici delle case del delitto per suscitare orrore ed identificazione, la paura che il Male possa essere tra noi, arrivare dovunque. Tali immagini e stereotipi sulle carnefici sono diffusi su larga scala e gli schermi domestici, così come le prime pagine dei quotidiani, sono dominati dal looping dei contenuti, cioè dalla ripetizione ossessiva di fatti e immagini.

4. Il coverage delle donne-vittime di violenza

Il tema della violenza alle donne trova lo spazio maggiore in giornali e tg quando si parla di donne-vittime: focalizzando l’attenzione sulla loro storia e sul loro comportamento il giornalismo influenza fortemente il modo in cui le percepiamo, in quanto «i media hanno il potere di costruire socialmente l’idea di vittima, enfatizzando il codice morale della società, esprimendo valutazioni e giudizi etici sulla vittima e sulla sua vita»18, suscitando empa-tia o rimproveri, fino ad alludere pericolosamente che in fondo “meritava” o “doveva aspettarsi” di essere aggredita o uccisa. Numerose recenti analisi del coverage italiano della violenza contro le donne hanno evidenziato tale deficit del nostro giornalismo, che si traduce in una sostanziale incapacità di offrire interpretazioni complesse del fenomeno e nella macroscopica sotto-stima dei dati. La questione della violenza intrafamiliare e del femminicidio è stata collocata, infatti, troppo spesso all’interno di un frame che non ri-specchia l’effettiva diffusione del fenomeno, né si preoccupa di analizzar-ne risvolti e cause, ma risponde ad una lettura “strategica” intenta a creare emergenze sociali, come ad esempio “l’insicurezza” o “l’immigrazione” da

17 Ivi, p. 81.18 I. Marsh, G. Melville, op. cit., p. 104.

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imporre sull’agenda elettorale dei leader e del pubblico. Uno degli elementi più significativi è che il newscoverage non riflette i dati empirici della vio-lenza contro le donne fotografandone, quindi, l’effettiva realtà: al contrario, privilegiando particolari tipi di carnefici e vittime, un processo di fabbrica-zione giornalistica del fenomeno offre da anni al pubblico letture distorte e banalizzanti che hanno, secondo Giomi, contribuito alla tematizzazione del-la sicurezza, alimentando la retorica anti-immigrazione19. La questione della violenza di genere, misogina e sessista, vale a dire la dimensione non neutra di molti femminicidi, non ha avuto letture attente nei media italiani: accen-tuando gli elementi macabri e spettacolari, la violenza contro le donne è stata affrontata come questione di ordine pubblico, provocata dalla presenza di immigrati e non riconducibile a pratiche sociali misogine20 né tantomeno al cambiamento della percezione del maschile e del femminile o dalla crisi dei modelli di identità diffusi e accettati. Secondo Bartholini è aumentata la proporzione di donne uccise o aggredite perché avevano lasciato un partner violento o stavano per lasciarlo, vale a dire sono aumentati i crimini com-messi contro le ex partner da uomini incapaci di accettare la separazione, o altre scelte di autonomia, quindi la perdita di controllo nei confronti di sog-getti sempre meno disposti ad accettare una posizione subalterna21. Accanto alla lettura superficiale dei cambiamenti sociali si è affermata una seconda prospettiva interpretativa che “relega” la violenza intrafamiliare, e perfino i femminicidi, al livello di questioni private, connesse agli squilibri psichici di singoli soggetti e “degni” di attenzione giornalistica solo perché offrono storie cruente e drammatiche, coerenti con il giornalismo-spettacolo. Non solo, quindi, stereotipi di genere che spingono i giornali a raccontare in modo differente eventi simili con protagonisti maschili o femminili, ma an-che tra tipi diversi di vittime: in questa ottica delirante, la prostituta vittima di aggressione viene presentata come cattiva ragazza, che deve considerare stupro e omicidio come possibili rischi del mestiere. In altri termini, que-ste donne vengono dipinte dai media come vittime prevedibili, le loro vite

19 E. Giomi, Margini e frontiere del discorso giornalistico italiano. Uomini e donne nella cronaca nera, in Francavilla R. (a c.), Voci dal margine. La letteratura di ghetto, favela e frontiera, Artemide, Roma, 2012. In ambito anglosassone, cfr. R. Muraskin, S.F Domash, Crime and the Media. Headlines vs. Reality, Pearson Prentice Hall, Upper Saddle River, 2007.

20 V. Cotesta, Lo straniero. Pluralismo culturale e immagini dell’altro nella società globale, Laterza, Bari, 2002; M. Corte, Stranieri e mass media. Stampa, immigra-zione e pedagogia interculturale, CEDAM, Padova, 2006.

21 I. Bartholini, Violenza di prossimità. La vittima, il carnefice, lo spettatore e il grande occhio, Franco Angeli, Milano, 2013.

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sembrano valere meno, forse sono in parte responsabili della loro fine per-ché hanno trasgredito clamorosamente le regole così che, nella trattazione di numerosi eventi di cronaca nera, lo stereotipo culturale della dicotomia tra vergine e prostituta si riflette e rafforza. Le strategie di discriminazione evidenti nel caso in cui la donna sia vittima di un reato ricorrono soprattutto alla narrazione di particolari legati alla fisicità o al coinvolgimento del con-testo familiare: se in molti articoli o servizi giornalistici si avverte un’impli-cita condivisione della responsabilità tra criminale e vittima, per alcuni fatti di cronaca si può arrivare perfino ad una vittimizzazione secondaria. I media possono infliggere ulteriori sofferenze nei soggetti vittime, esasperando i loro sentimenti di violazione, rendendo pubbliche informazioni negative sul loro passato, facendo interviste inappropriate in momenti inopportuni come durante un processo, un funerale o all’ospedale. Al di là delle peculiarità dei singoli quotidiani o tg, il giornalismo italiano ha così avviato negli ultimi anni una “pericolosa” prassi di routinizzazione della violenza intrafamilia-re sulle donne, presentata quasi sempre come semplice parte della cronaca locale, senza proporre al lettore contestualizzazioni degli eventi e negando per anni la gravità del fenomeno come emergenza sociale, che interessa la collettività e le istituzioni. La violenza, infatti, è stata presentata come l’e-è stata presentata come l’e-stata presentata come l’e-sito di un problema tra due singoli e delle loro degenerazioni patologiche: attraverso lo schema dell’assalto in preda alle emozioni, le aggressioni alle donne sono spiegate come il gesto di un uomo “disperato” che ha problemi psichiatrici, in stato di ebbrezza, con difficoltà economiche o che ha perso il lavoro. Spesso il movente non viene nemmeno specificato: il giornali-sta non cerca di capire perché è accaduto un determinato evento, cosa lo ha scatenato, indugiando in descrizioni di particolari efferati e cruenti che non aggiungono nulla per facilitare la comprensione del fenomeno. Le armi utilizzate sono più frequentemente le armi da taglio o oggetti, come col-telli, ferri da stiro, bastoni, martelli, tutti facilmente reperibili tra le mura domestiche. Anche gli episodi di percosse, le minacce o le morti per stran-golamento ci raccontano un universo di relazioni in cui l’uomo può essere preda di un raptus, con esplosioni improvvise di violenza fisica, alla fine di un crescendo di rabbia, frustrazione e paura di abbandono. Il newscoverage della violenza contro le donne, quindi, non è capace di fotografare né di rac-è capace di fotografare né di rac-fotografare né di rac-contare il cambiamento del femminile e del maschile, restando ancorato ai ruoli sessuali tradizionali, in cui la femminilità era prevalentemente legata allo spazio domestico e al lavoro di cura22.

22 F. Rizzuto, Visibilità e criteri di notiziabilità della violenza contro le donne nella stampa siciliana, in I. Bartholini, op. cit., pp.159-171.

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5. Osservazioni conclusive. Gli effetti del newscoverage: dalla banaliz-zazione all’assuefazione?

Il vero potere dei media consiste nel fatto che le distorsioni nella rap-presentazione giornalistica di fatti, problemi e persone contribuiscono a rafforzare e diffondere pregiudizi sessisti così come atteggiamenti negativi verso etnie, gruppi, minoranze. I singoli membri del pubblico sono, nell’at-tuale panorama multimediale, utenti distratti, bombardati da una costante alluvione informativa: la questione di un’eventuale relazione causale tra informazione e percezione della violenza deve quindi essere considera-ta ancora più rilevante che in passato, poiché la ricerca mediologica ha confermato empiricamente la connessione tra il contenuto dei media in-formativi e le rappresentazioni diffuse. Nella situazione contemporanea di crescente dipendenza cognitiva dalle narrazioni mediali e di parallela di-minuzione dell’esperienza diretta, le conseguenze più rischiose di un new-scoverage banalizzante, superficiale e spettacolare della violenza contro le donne sono la costruzione di nuove ovvietà e una funzione di naturalizza-zione di ciò che viene presentato, vale a dire l’accettazione acritica, come specchio fedele del mondo, di una realtà finzionale, una pseudo-realtà che costruisce i frame, entro cui ci muoviamo come interpreti e attori. Nel lungo periodo l’esposizione eccessiva e quotidiana a resoconti macabri e spettacolari di episodi di violenza contro le donne potrebbe portare ad una sostanziale e pericolosa banalizzazione o trivializzazione della violenza, provocata dalla logica stessa del flusso televisivo, a causa del quale essa viene sempre più esperita come “normale”, quotidiana e, quindi, inevitabi-le. Dall’assuefazione alla desensibilizzazione o neutralità affettiva verso le vittime si potrebbe arrivare, così, ad una pericolosa mancanza di empatia da parte dei singoli membri del pubblico. Una riflessione sulle pratiche di-scorsive dei media nell’era delle tecnologie interattive deve incentrarsi sul-la funzione di racconto della realtà svolta dall’informazione: il rischio più significativo è che i processi di tematizzazione degli eventi riconducano complessi fenomeni sociali all’interno di frame interpretativi stereotipati e banalizzanti23 per inserire tali problemi nel costante flusso della narrazione

23 Cfr. D. Altheide, Creating Fear. News and the Construction of Crisis, Walter de Gruyter, New York, 2002. In ambito italiano si rimanda a: M. Livolsi, Manuale di sociologia della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 2011; M. Giacomarra, Ma-nipolare per comunicare. Lingua, mass media e costruzione di realtà, Palumbo, Palermo, 1997; F. Rizzuto, L’insostenibile conformismo dei media? Una lettura sociologica, Bonanno, Catania, 2013.

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circolare crossmediale, rendendola in questo modo attraente per audience planetarie, in perfetta coerenza con la logica spettacolare ormai dominante nel media system, ma fondamentalmente inutile, se non dannosa, per gli attori dell’arena pubblica.