I Sanniti e Le Guerre Sannitiche Wednes - per

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 Archive All • Download Newest  I sanniti e le guerre sannitiche Le Origini - La Prima Guerra Sannitica tregliaonline.it SANNITI SECONDA GUERRA SANNITICA E LE FORCHE CAUDINE (Prima Parte) sanniti.info SANNITI SECONDA GUERRA SANNITICA (Seconda Parte) sanniti.info Antonio Manzo: Tito Livio storico della terza guerra sannitica asmvpiedimonte.altervista.org Ar chive All Downl oad Newes t Become an Instapaper Subscriber for just $1/month to get up to 50 articles at a time and support Instapaper’s development. Visit the Account section of Instapaper.com to subscribe.  Le Origini - La Prima Guerra Sannitica tregliaonline.it • Archive • Like & Archive • Like LA PRIMA GUERRA SANNITICA PREFAZIONE La descrizione delle guerre sannitiche fornita da Livio è abbastanza confusa. A generare maggiormente confusione hanno contribuito i vari storici che hanno analizzato le vicende di tale guerra. Ci sono due fattori che fanno da perno alla critica degli storici al testo liviano; per prima cosa Livio a volte descrive delle vicende in modo molto simile ad altre riferite ad anni successivi, per questo è messa in discussione la veridicità degli eventi riferiti agli anni precedenti. In secondo luogo Livio narra gli eventi con atteggiamento filoromano, ovvero esalta in modo eccessivo le vittorie romane, sminuendo quelle sannite. Anche nelle vicende più nefaste dei Romani, come l’episodio delle forche caudine, Livio trova sempre il modo di rendere poco drammatiche le vicende. La narrazione è evidentemente più poetica e aulica quando si riferisce a vittorie riportate dal popolo romano. Tutto ciò è facilmente comprensibile se si  pensa che L ivio scrive a l tempo di Augu sto che vedeva Roma padrona di un vasto i mpero. U na narrazione di stile attico avrebbe reso sicuramente meno gloriosa la storia di Roma ed avrebbe potuto metterlo in cattiva luce al cospetto dell’imperatore. LA PRIMA GUERRA SANNITICA (343 - 341 a.C) Nel IV secolo a.C sia i Romani che i Sanniti stavano attuando una politica di espansione attorno alle terre loro limitrofe, per cui si creò un clima di guerra fredda tra i due popoli. I Sanniti puntavano a nord alla conquista della valle del Liri (vicino Cassino) mentre a sud miravano ai territori fertilissimi della vicina Campania. Lo scontro con i Romani fu inevitabile ma entrambi si resero conto che, facendosi guerra, avrebbero indebolite le loro difese facilitando così un eventuale attacco da parte delle popolazioni nemiche. Fu per questo motivo che, nel 354 a.C., fu stipulato tra Romani e la Lega Sannitica un trattato che sanciva un confine di espansione: il fiume Liri. Nessuno doveva oltrepassare quel limite, altrimenti il trattato sarebbe decaduto e si sarebbe tornati alle armi. E’ vero che il territorio del Liri era occupato ancora dai Volsci ma questi erano un popolo in fase di decadenza e non costituivano, pertanto,

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  I sanniti e le guerre sannitiche

Le Origini - La Prima Guerra Sannitica

tregliaonline.itSANNITI SECONDA GUERRA SANNITICA E LE FORCHE CAUDINE (Prima Parte)

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  Le Origini - La Prima Guerra Sannitica

tregliaonline.it • Archive • Like & Archive • LikeLA PRIMA GUERRA SANNITICAPREFAZIONE

La descrizione delle guerre sannitiche fornita da Livio è abbastanza confusa. A generare maggiormenteconfusione hanno contribuito i vari storici che hanno analizzato le vicende di tale guerra. Ci sono duefattori che fanno da perno alla critica degli storici al testo liviano; per prima cosa Livio a volte descrivedelle vicende in modo molto simile ad altre riferite ad anni successivi, per questo è messa in discussione

la veridicità degli eventi riferiti agli anni precedenti. In secondo luogo Livio narra gli eventi conatteggiamento filoromano, ovvero esalta in modo eccessivo le vittorie romane, sminuendo quelle sannite.Anche nelle vicende più nefaste dei Romani, come l’episodio delle forche caudine, Livio trova sempre ilmodo di rendere poco drammatiche le vicende. La narrazione è evidentemente più poetica e aulicaquando si riferisce a vittorie riportate dal popolo romano. Tutto ciò è facilmente comprensibile se si pensa che Livio scrive al tempo di Augusto che vedeva Roma padrona di un vasto impero. Unanarrazione di stile attico avrebbe reso sicuramente meno gloriosa la storia di Roma ed avrebbe potutometterlo in cattiva luce al cospetto dell’imperatore.

LA PRIMA GUERRA SANNITICA (343 - 341 a.C)

Nel IV secolo a.C sia i Romani che i Sanniti stavano attuando una politica di espansione attorno alleterre loro limitrofe, per cui si creò un clima di guerra fredda tra i due popoli. I Sanniti puntavano a nordalla conquista della valle del Liri (vicino Cassino) mentre a sud miravano ai territori fertilissimi dellavicina Campania. Lo scontro con i Romani fu inevitabile ma entrambi si resero conto che, facendosiguerra, avrebbero indebolite le loro difese facilitando così un eventuale attacco da parte delle popolazioninemiche. Fu per questo motivo che, nel 354 a.C., fu stipulato tra Romani e la Lega Sannitica un

trattato che sanciva un confine di espansione: il fiume Liri. Nessuno doveva oltrepassare quel limite,altrimenti il trattato sarebbe decaduto e si sarebbe tornati alle armi. E’ vero che il territorio del Liri eraoccupato ancora dai Volsci ma questi erano un popolo in fase di decadenza e non costituivano, pertanto,

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un solido freno a una possibile espansione romana o sannita.Il conflitto scoppiò invece riguardo ad una zona su cui non c’erano accordi precedenti, la Campaniasettentrionale. Infatti, il territorio di Teanum Sidicinum (Teano), abitato dai Sidicini, costituiva per iSanniti un punto di collegamento tra il Sannio e la Campania settentrionale, fatto che lo rendevaappetibile ad essi. Nel 343 a.C. i Sanniti iniziarono a minacciare i Sidicini, gente di lingua osca, che

allarmati, chiesero aiuto ai Campani. Siccome i Sanniti non gradirono l’intromissione dei Campani,mossero contro di loro occupando tutti i territori attorno alla città di Capua (odierna Santa Maria C.V.)che faceva capo alla Lega campana. I Campani, a loro volta allarmati, chiesero l’intervento dei Romani iquali erano restii ad intervenire a causa del precedente trattato del 354 a.C. Il timore di un ulteriorerafforzamento della Lega Sannitica indusse i Romani a inviare l’esercito a Capua. Iniziava così la primaguerra sannitica che vide coinvolti entrambi i consoli del 343 a.C: M. Valerio Corvo fu il primo ascontrarsi coi Sanniti e, dopo una dura battaglia, riuscì a sconfiggerli in territorio campano. L’altroconsole, A. Cornelio Cosso, nel tentativo di invadere il Sannio, cadde in un’imboscata vicino a Saticulama riuscì a salvarsi dalla disfatta. Le vicende relative a questo conflitto non sono molto chiare; di certo, si può affermare che esse si svolsero nel territorio limitrofo a Capua, perché nel 343 a.C. era molto più probabile che i Romani potessero avere la meglio sui Sanniti in pianura che in una zona montagnosa.

Poiché l’agro trebulano confinava col territorio di Capua, è ragionevole pensare che i soldati di Trebulaabbiano costituito per l’occasione una barriera difensiva o che abbiano partecipato direttamente alconflitto. Al termine del conflitto fu ripristinato il vecchio trattato con qualche modifica. Infatti, laCampania settentrionale passò sotto il controllo romano, mentre ai Sanniti fu lasciato il territorio diTeano, che permetteva il controllo per l’accesso alle fertili terre della Campania.I Sanniti assediano Teanum Sidicinum e Capua (da E.T. Salmon)GUERRA LATINA

I vari popoli che abitavano tra il Lazio e la Campania mal sopportavano di essere stati stretti nella morsacostituita dai Romani e Sanniti. Pertanto, Aurunci, Volsci, Sidicini, Latini e Campani si coalizzarono per

muovere guerra ai Romani e Sanniti (guerra latina, 340 - 338 a.C.). Questa volta i Romani e i Sanniti,

in virtù del trattato stipulato alla fine della prima guerra sannitica, unirono le loro forze contro lacoalizione nemica, sconfiggendola alle pendici della Roccamonfina che allora era un vulcano spento. Inseguito al conflitto sicuramente i Sanniti ripristinarono la loro supremazia sui Sidicini mentre i Romani siappropriavano di molti territori appartenuti ai popoli nemici.Molte città latine furono incorporate nello stato romano per cui erano governate direttamente da Romamentre i popoli non di lingua latina furono trattati in modo diverso: siccome i loro territori erano lontanida Roma, ed era pertanto difficile governarli direttamente, furono trasformati in cives sine suffragio. Valea dire che dal punto di vista amministrativo erano indipendenti, ma non potevano prendere decisioni incampo politico, né potevano pensare di adottare una politica di espansione. Avevano evitato di essereassoggettati dai Sanniti ma inevitabilmente si scelsero un nuovo padrone: i Romani.

SANNITI SECONDA GUERRA SANNITICA E LE FORCHE CAUDINE (Prima Parte)

sanniti.info • Archive • Like & Archive • LikeStoria dei Sanniti - La seconda guerra sannitica.LA SECONDA GUERRA SANNITICA

dal 326 al 304 a.C. (Prima Parte)

Quella che viene denominata “seconda Guerra Sannitica” fu un periodo d’armi non del tutto chiaro e

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descritto confusamente dagli storici romani. Quel che invece era sicuro è che ambedue i popoli eranocoscienti all’epoca di rivaleggiare per l’egemonia sull’Italia peninsulare. Dopo gli accordi siglati nel 341

a.C., sia i Sanniti che i Romani attraversarono un periodo di pace ed unione d’intenti, portandoli financhea combattere insieme contro le popolazioni latine ribelli (Guerra Latina 340-338 a.C.) al nuovo statodelle cose che i due popoli egemonici avevano discusso e convenuto nell’accordo siglato. Anche se

avevano combattuto insieme, Romani e Sanniti si temevano vicendevolmente, conoscendo l’uno la forzaed il potere di scontro dimostrato in guerra dall’altro. Per questo motivo i Romani, consapevoli chel’obiettivo da raggiungere era identico e che l’espandersi verso il sud dell’Italia contrastava gli interessidei Sanniti, cercarono l’amicizia e l’alleanza di altre popolazioni in caso di ulteriori conflitti, tanto daspingersi in profondità nella pianura campana fino alle falde del Vesuvio. Infatti, per neutralizzare la predominanza della colonia sannitica di Teanum in quel territorio, fondarono poco distante da questa, nel334 a.C., la colonia latina di Cales.Antica mappa della valle caudina (2) Inoltre, per rafforzare il controllo nel sud della penisola, strinseroaccordi con Alessandro il Molosso (1), chiamato da Taranto a succedere ad Archidamo di Sparta. ISanniti si sentirono accerchiati sempre più da una morsa così ben congegnata tanto che nel 328 a.C.

dovettero subire l’onta della fondazione della colonia della nuova Fregellae (la città volsca era stata

conquistata e distrutta dai Sanniti - Fregellae era situata vicino l’odierna Ceprano), sulla sponda sinistradel fiume Liri, cioè la sponda che secondo il trattato di pace stipulato tra i due popoli doveva essere di pertinenza esclusiva dei Sanniti. Tentarono più volte per via diplomatica di fermare l’intreccio di nuovealleanze che Roma andava imbastendo per parare eventuali loro minacce ma, visti tanti tentativi andati avuoto, iniziarono anch’essi ad usare la stessa tattica, tessere reti di alleanze per contrastare gl’intentiromani.Prospetto della Valle Caudina dalla parte del Sannio (3).In quel periodo si coalizzarono con alcune città della Campania, per lo più di lingua osca, come Nuceria, Nola e Napoli. Quest’ultima oltre che osca era principalmente greca ed è quindi da supporre che solo lefazioni osche furono alleate dei Sanniti. Nel 327 a.C. la situazione precipitò con la morte in battaglia diAlessandro il Molosso contro i Lucani. I Sanniti, liberatisi da una minaccia che manteneva in costante

allerta i loro eserciti nel sud della penisola, si scrollarono di dosso anche la morsa a cui i Romani liavevano costretti e trasferirono subito parte delle forze militari in area caudina, rafforzando così la loro presenza ed inoltrandosi sempre più frequentemente nel territorio campano.A Napoli intanto la fazione sannita aveva conquistato il potere dell’assise civica ed un esercito di 6000guerrieri aveva occupato la città. Ben presto però, la fazione greca del governo partenopeo entrò in

Guerriero sannita (IV - III sec. a.C.) contrasto con gli elementi sanniti, tanto da iniziare ad intrecciarecontatti segreti con i Romani. Poco tempo dopo il senato dell’Urbe, dietro richiesta proprio della fazionegreca, inviò a sud di Roma tutte le truppe che ancora disponeva, comandate dai Consoli Lucio Cornelio

Lentulo e da Quinto Publilio Filone. Quest’ultimo si attestò nei pressi dell’ager napoletano attendendoil momento propizio per entrare in azione. Infatti, i demarchi napoletani Carilao e Ninfio, i Principes

Civitati, con uno stratagemma riuscirono a far allontanare la guarnigione sannita dalla città aprendo cosìle porte ai Romani.L’altro Console, Cornelio Lentulo, con un’azione di copertura si schierò nella valle del Volturnoarginando così ogni possibile aiuto che poteva arrivare dal territorio del Sannio. La guarnigione sannita,accortasi dell’inganno, non potè fare altro che ripiegare, essendo in forte svantaggio numerico.Così nel 326 a.C. Napoli entrò saldamente a far parte della sfera d’influenza romana, siglando con loroun favorevole trattato di alleanza. Quest’azione, insieme alla fondazione di Fregellae ed allostanziamento di un esercito romano nella valle del Volturno, cioè a ridosso del territorio sannita,costituirono le cause della rottura dell’antico trattato del 354 a.C. tra i due popoli, lo stesso confermato eriveduto nel 341 a.C., ed il conseguente inizio di una nuova fase di ostilità.

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Veduta della Valle Caudina presa dal vero (1875)(4).I primi anni di guerra, tra il 326 ed il 322 a.C., passarono tra violente scaramucce e piccoli scontri per attestare le rispettive posizioni, sicuramente nel territorio della Campania settentrionale tra il medio Liried il medio Volturno. Nessuno dei due eserciti prevalse nettamente sull’altro.Degno di nota fu il tentativo effettuato dai Sanniti di bloccare l’unico accesso che i Romani utilizzavano

 per entrare in Campania dal nord, cioè dalla zona di Fondi e Gaeta. Riuscirono a sbaragliare il presidioromano e ad attestarsi per breve tempo nella zona. Purtroppo senza un adeguato appoggio tatticodovettero cedere ben presto la postazione conquistata.

LE FORCHE CAUDINE

Per porre fine a questo periodo di stallo e per cercare una possente vittoria sui Sanniti in modo da piegarli alla resa, anche perché esausti delle tattiche di guerriglia basate sulle incursioni rapide e violenteche non davano la possibilità di difendersi adeguatamente, nel 321 a.C. Roma inviò i Consoli Tito

Veturio Calvino e Spurio Postumio Albino, a capo di un esercito forte di 20.000 uomini, nella zona deiSanniti caudini in modo da tagliare fuori dal conflitto le aree a ridosso della Campania per poi proseguire

contro Malies (Benevento) e quindi gli Irpini, così da infliggere una pesante sconfitta ai Sanniti tanto daindurli a chiedere la pace. Di conseguenza, ciascun Console guidò la propria legione verso Calatia dadove sarebbero dovuti avanzare insieme verso i Caudini, aggirando il versante meridionale del MonteTaburno.Intanto i Sanniti, osservando le mosse delle legioni romane dall’alto delle loro fortificazioni, riuscironoad intuire quali fossero le intenzioni dei due Consoli romani.Interpretando le descrizioni liviane, la marcia verso Malies fu incentivata dai Sanniti stessi che, per allontanare le schiere romane dalla zona di Calatia, travestirono alcuni soldati da pastori e li mandaronoinsieme ai pastori veri con le loro greggi a pascolare nei pressi dell’accampamento romano. Una voltastanziatisi nell’area, avrebbero fatto circolare la falsa voce che Luceria era stata presa d’assedio daiSanniti e che entro pochi giorni sarebbe capitolata. Luceria era all’epoca un caposaldo dell’alleanza

romana con gli Apuli da cui dipendeva il controllo di quelle terre.Pianta delle Forche Caudine (4).Subito i due consoli levarono le tende degli accampamenti per marciare in aiuto alla cittadina assediata,scegliendo di percorrere un itinerario imprudente ma più corto rispetto a quello più sicuro. In questomodo la marcia sarebbe risultata più spedita ed i tempi di percorrenza sarebbero stati dimezzati. Questotragitto prevedeva l’attraversamento di terreni acquitrinosi e di una stretta gola dalle pareti irte e boscoseche li avrebbe portati subito nei pressi di Malies, per poi procedere in direzione di Luceria.A capo della Lega Sannitica vi era in quel periodo un “Meddix Tuticus” di grande arguzia militare,Gavio Ponzio, che subito collocò l’esercito sannita nei pressi di quella gola posta lungo l’asse dispostamento dei Romani, bloccandone l’uscita verso Caudium con massi ad alberi divelti. Quandoentrambe le legioni vi furono entrate, Ponzio ne ostruì anche lo stretto ingresso dalla parte di Calatia. IRomani si accorsero della trappola solo quando videro l’uscita della vallata bloccata e tutte le alturecircostanti presidiate dai Sanniti.Il percorso attraverso la valle di Caudio (5).Infatti, per pura negligenza o per troppa fiducia nelle proprie forze, l’avanguardia e la retroguardiaromana si accorsero in ritardo che le uscite dalla gola erano state ostruite. E’ probabile anche che i dueConsoli romani avessero sottovalutato il nemico contro cui dovevano battersi, forse perchè ancora troppogiovani e privi di una adeguata esperienza di guerra contro i Sanniti. Lo sgomento fu grande quando,calata la notte, i Romani si videro circondati dai fuochi contigui degli accampamenti nemici, formatidalle “ndocce”, una sorta di grandi torce che i Sanniti usavano in caso sia di spostamenti notturni e sia per illuminare gli accampamenti (6). Per alcuni giorni tentarono di aprirsi la strada combattendo, ma

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vennero sistematicamente rigettati a valle dalle schiere sannite.Così i due Consoli costatarono che non rimaneva loro altro che la resa.Questa fu la disfatta delle Forche Caudine, una delle più famose ed al tempo stesso delle più elusivenegli annali della Repubblica romana. Gavio Ponzio era dell’idea di sterminare le legioni bloccate nellagola, in modo da provocare una pesante perdita a Roma in termini di uomini ed armamento e costituire

così i presupposti di un periodo di pace, dato che dopo una batosta simile l’Urbe sarebbe sicuramentescesa a più miti consigli.Ma sia al Meddix sannita che ai suoi uomini più vicini era noto che, una volta sterminato il grosso delleforze militari romane, si sarebbero sicuramente ridestati focolai di insurrezione di quelle genti latinesoggiogate da ambedue i popoli solo pochi anni addietro e con molta difficoltà.Alla storia è passato che sia a Gavio Ponzio che ai suoi uomini ripugnava il fatto di dover dare una mortecosì ignominosa a tanti guerrieri. Chiesero così il parere ad un “grande” del Sannio, Erennio Ponzio, padre di Gavio, famoso e stimato “Meddix Tuticus”, amico del matematico Archita (Tiranno di Taranto)e del filosofo Platone (7).Le Forche Caudine secondo ladescrizione di Appiano (4). Ormai anziano, venne condotto sul luogo e, dopo aver visto tale disfatta dei

Romani, consigliò al figlio di lasciarli andare poichè tale mortificazione avrebbe lasciato un grande segnonell’animo di quelle genti. L’onta del rilascio ignominioso di due Consoli con le proprie legioni sarebbestata per Roma una sconfitta maggiore dell’uccisione di tanti guerrieri. Gavio Ponzio, esortato anche daisuoi uomini, seguì i consigli del padre e rilasciò i soldati romani dopo averli fatti passare sotto un giogodi lance spogli delle armi e vestiti della sola tunica (8). A corredo di questo fatto fu stilato tra il Meddixsannita ed i Consoli a nome di Roma, un nuovo trattato di pace che reiterava quello di vent’anni primainfranto dagli stessi Romani. A garanzia della firma e quindi della ratifica del trattato da parte del Senatoromano, 600 cavalieri, il fiore della nobile gioventù romana, sarebbero stati trattenuti fino al buon esitodella vicenda.I Sanniti osservano i Romani mentre passano sotto il giogo (9).I Consoli con le loro legioni ripararono subito in territorio amico, tornando con grande clamore a Roma.

Che il trattato sia stato firmato e che gli ostaggi tornarono sani e salvi a Roma si evince dai cinque anni di pace che seguirono le vicende delle Forche Caudine. Il bottino di guerra dei Sanniti fu enorme: oltrel’armamentario di due intere legioni romane con cavalli e carri, anche un trattato di pace moltofavorevole. Dovette essere abbastanza arduo per Roma risalire subito la china che tale vicenda impresse,specialmente nell’animo più che nella sostanza. Ma i Romani fecero tesoro di tale sconfitta migliorandol’armamento e le tattiche di guerra dei propri eserciti. Adottarono subito il “pilum”, cioè la “saunia” deiSanniti, la corta lancia utilizzata in guerra e lo scudo ovale rastremato nella parte superiore, lo “scutum”.Adottarono le loro tecniche di guerriglia e le contromisure ad esse, sfruttando in modo migliore lacavalleria. Studiarono la loro tattica di scontro in campo aperto e la migliorarono, snellendo le legioni erendendole più veloci ed incisive. Dalla parte politica, molte furono le alleanze ed i contatti diplomaticiintercorsi tra i Romani e le popolazioni delle Puglie ed altri piccoli popoli limitrofi al Sannio.Dopo cinque anni i Romani, questa volta più agguerriti che mai, si ripresentarono di nuovo al cospettodei Sanniti. Anche i Sanniti, dal canto loro, durante la pace caudina si preoccuparono di rafforzare le proprie posizioni. Consolidarono il loro controllo sulla riva sinistra del fiume Liri, quella di loro pertinenza, e prestarono il loro appoggio ai movimenti antiromani che fermentavano nella regione alladestra del fiume. Migliorarono la situazione nella Campania centrale e meridionale controllando Nola, Nuceria Alfaterna, Stabie, Pompei ed Herculaneum. Inoltre ebbero contatti diplomatici con gli Etruschi econ le popolazioni limitrofe ai territori nord di Roma. I Sanniti sapevano che il confronto con Romaaveva solo subito una pausa.

NOTE

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(1) Alessandro il Molosso era il fratello di Olimpia, madre di Alessandro Magno. (2) La ValleCaudina e Sant’Agata dei Goti in un particolare della “Carta delle Reali Cacce di Terra di Lavoro e loroadjacenze” disegnata da Giovanni Antonio Rizzi Zannoni nell’anno 1784. Disegno ad inchiostro nero,

acquerello, conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli. (3) Tavola con il “Prospetto della ValleCaudina dalla parte del Sannio”, disegnata da D. de Laurentiis, incisa da C. Pignatari e contenuta nelvolume di Francesco Daniele “Le Forche Caudine illustrate” edito a Caserta nel 1778 e conservato nellaBiblioteca Nazionale di Napoli. (4) Incisione tratta dal libro di Pasquale Albino “Ricordi storici emonumentali del Sannio Pentro e della Frentania” - Campobasso Tip. De Nigris 1879 (5) Le frecce rosseindicano il tragitto che i due Consoli romani avevano pensato di effettuare per arrivare a Malies(Benevento) e che in parte hanno percorso. Le linee gialle indicano le posizioni che i Sanniti occuparonosulle alture prospicienti lo stretto passaggio di Caudio, aspettando che ambedue gli eserciti consolari siinoltrassero nella vallata. (6) Le “NDOCCE” erano delle grandi fiaccole, alcune lunghe anche più di tremetri, formate da un fascio (di forma conica) di grossa legna con, all’interno, arbusti secchi di ginestramisti a rami e foglie secche, amalgamati con resina d’albero, compressi per bene in modo da bruciare

lentamente. Il loro fuoco era potente e la luce era visibile da molto lontano. Ancora oggi, nel paese diAgnone (IS), alla vigilia di Natale e, da qualche tempo a questa parte, anche l’8 Dicembre (ImmacolataConcezione) di ogni anno, viene celebrata la “NDOCCIATA”, la festa della luce di chiara derivazione pagana, dove una processione di cento e più uomini che indossano il tradizionale mantello nero, con unaserie di “ndocce” sistemate a ventaglio e portate a spalla, sfilano per il centro storico della città. Le attuali‘ndocce sono composte da un’intelaiatura di legno di abete bianco con all’interno ginestre secche che bruciano sprigionando una forte luce. La cerimonia è molto suggestiva e culmina con un grande falò dovevengono bruciate tutte le “ndocce” che hanno sfilato. Questa cerimonia è stata presentata in Vaticano ecelebrata davanti al Papa in piazza San Pietro l’8 Dicembre 1996.(7) L’incontro amichevole e di studio tra il pitagorico Archita, Platone e il sannita Ponzio avvenuto aTaranto, è una notizia narrata dal tarantino Nearco a Catone e riportata nel “Cato maior” di Cicerone (12,

39-41):“… Pertanto nulla è così detestabile quanto il piacere, se è vero che esso, quando è troppo intenso eduraturo, spegne ogni lume dello spirito. Queste parole disse Archita a Caio Ponzio Sannita, padre di

colui dal quale i consoli Spurio Postumio e Tito Veturio furono sconfitti nella battaglia di Caudio, e

 Nearco di Taranto, nostro ospite, che era rimasto fedele al popolo Romano, diceva di averle apprese dai suoi avi, essendo poi stato presente a quel discorso Platone di Atene, che, come mi risulta, era venuto a

Taranto quando erano consoli Lucio Camillo e Appio Claudio”. Cicerone dà il “praenomen” Caius (lostesso di Ponzio figlio) anziché Herennius, che è quello dato da Livio. E’ molto probabile che Ciceronenon attingeva alla tradizione annalistica e per non essere frainteso ha precisato che si trattava del padre enon del figlio.

(8) Sul mensile FOCUS di Maggio 2001, nella rubbrica “Domande e Risposte” viene pubblicata larisposta alla domanda “Perchè si dice passare sotto le forche caudine?”. La redazione del mensile cosìrisponde: “La frase significa subire una grave umiliazione o una prova mortificante. Il modo di dire risaleall’antica Roma e precisamente alla seconda Guerra Sannitica. Nel 321 a.C. gli uomini dell’esercitoromano, sconfitti nella gola di Caudio vicina all’odierna Benevento, subirono la mortificazione di dover  passare disarmati sotto un giogo di lance, davanti ai vincitori… … Oltrechè morale, la pena fu purefisica: infatti i Romani, Consoli in testa, vennero sodomizzati. L’episodio sembra essere l’origine delmodo di dire che associa la fortuna alle dimensioni del sedere: chi aveva un grosso ano soffriva meno laviolenza dei Sanniti ed era perciò più fortunato degli altri”. Quest’ultima parte non è confortata da fontistoriche ma si basa sulla frase riportata da Tito Livio affermante che i Romani furono mortificati sia nel

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fisico che nello spirito. (9) L’illustrazione è tratta da: “Enzo Biagi - Storia di Roma a fumetti” - EdizioniMondadori De Agostini - Novara 1988

 

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I cinque anni di “Pace Caudina” servirono ai Romani per riorganizzare l’esercito ma anche per sistemaremeglio le difese dell’Urbe e del suo territorio per far fronte ad un eventuale attacco dei Sanniti, cosa chetutti i cittadini temevano. Ma ciò non avvenne perché, in quel periodo storico, ai Sanniti interessava laCampania e le sue fertili terre, per altro molto più vicine al Sannio di quanto lo fosse la pianura romana.Spingersi verso l’Urbe non rientrava, al momento, nelle loro mire espansionistiche.Tito Livio ha scritto nei suoi “Annales” di una immediata risposta che gli eserciti romani effettuaronocontro i Sanniti per ripagarli dell’onta subita alle Forche Caudine. Tutto ciò è scaturito dalla fantasiadell’annalista padovano, per i noti motivi di cui abbiamo già scritto nelle pagine precedenti, anche perchédi questa presunta rappresaglia non se ne trovano tracce sia nella redazione dei Fasti Consolari sia negliscritti diRoma - Conquista del Lazio edell’Italia centrale (390 - 283 a.C.) altri storici ed annalisti di quel periodo. E’ vero invece che i Romaniaumentarono l’attività diplomatica con il tessere una nuova rete fatta di alleanze e compiacenze proprio aridosso dei territori sannitici tanto che, prima del 316 a.C., alcune cittadine sia apule che peligneentrarono nella loro sfera d’influenza, aprendo così a Roma un varco verso l’Adriatico. In questo stesso periodo gli eserciti consolari dovettero fronteggiare una violenta ribellione dei Volsci, insorti contro ladecisione di inviare coloni dall’Urbe nella loro città di Satricum ed in altri insediamenti di loro pertinenzasituati nei territori del fiume Liri.I Romani dovettero fare affidamento a tutto il loro sangue freddo per intervenire con l’esercito in unazona come quella del Liri fortemente presidiata dai Sanniti. Ed i Sanniti non si fecero sfuggirel’occasione. Subito inviarono truppe in aiuto dei loro coloni nella valle del Liri ed attaccarono Plistica,altra comunità filoromana ubicata nello stesso territorio. La seconda Guerra Sannitica era ripresa.Il fronte del 315 a.C. si rivelò troppo dispersivo per le forze romane. Gli eserciti consolari eranoimpegnati con Papirio Cursore in Apulia, Publilio Filone in Campania e Quinto Fabio Rulliano aSatricum e nella valle del Liri. Sia in Apulia che a Satricum i romani ebbero la meglio ma, in Campania, iSanniti sconfissero l’esercito di Publilio Filone e puntarono a nord verso il Lazio. A capo di questoesercito meddicheo vi era Gavio Ponzio, l’eroe delle Forche Caudine.Avvertito della disfatta di Filone, Quinto Fabio Rulliano, che era il più vicino per intercettare l’esercitosannita, dovette assumersi l’arduo compito di fermare le schiere di Gavio Ponzio. Il Console Rullianodecise così di tagliare la strada al “Meddix”, impedendogli di risalire il Lazio e per questo motivo si preoccupò di presidiare il percorso più interno alla penisola (quello che in seguito divenne la Via Latina),lasciando che il suo “Magister Equitum” Quinto Aulio Cerretano presidiasse il percorso costiero (quelloche in seguito divenne la Via Appia) accampandosi presso Tarracina (Terracina), in seguito definite leTermopili d’Italia. Le frecce gialle indicano il percorso effettuato da Gavio Ponzio. 1 - Le schiere di

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Quinto Fabio Rulliano. 2 - Le schiere di Quinto Aulio Cerretano.3 - Le schiere sannite di Marco Fannio.Gavio Ponzio raggiunse la zona settentrionale della pianura campana molto rapidamente e dovettedecidere se puntare subito verso Roma passando per la valle del fiume Sacco oppure chiudere il passaggio ai Romani, precludendogli l’intero sud della penisola presidiando la gola tra i monti Ausoni e

gli Aurunci. Il condottiero sannita decise per questa seconda soluzione e si trovò di fronte le schiere diAulio Cerretano a Lautule (vicino l’odierna Itri). Lo scontro fu lungo ed aspro ed i Sanniti, per lo più glistessi guerrieri reduci dalle battaglie vittoriose delle Forche Caudine, ebbero la meglio. Lo stesso AulioCerretano cadde durante il combattimento. Con questa vittoria i Sanniti tagliarono in due il Lazio. Subitodopo Gavio Ponzio ed il suo esercito si spostarono verso i territori settentrionali prossimi a Roma,mettendo a ferro e fuoco molte città del Lazio ed arrivando fino ad Ardea. Nel frattempo gli ambasciatorisanniti fecero opera di persuazione nei territori meridionali, convincendo gli Aurunci ed i Campani adinsorgere contro i Romani.Quinto Fabio Rulliano, dopo la disfatta di Lautule, si era precipitato a Roma con l’intero esercito per difenderla, lasciando totalmente sguarnita l’intera valle del Liri e, di conseguenza, lasciando campo liberoalle schiere dei Sanniti.

Un altro grande condottiero del Sannio, Marco Fannio, condusse la campagna del Liri conquistandosubito Sora ed altre località a nord del fiume. In conseguenza della vittoriosa campagna del 315 a.C., nonfu difficile per i Sanniti far insorgere contro i Romani molte delle popolazioni del centro Italia soggiogateal potere dell’Urbe.

Guerriero sannita (310 a.C.)(1) In questo modo ogni contatto con l’Apulia e con le altre forze militari presenti in quei luoghi fu interdetto a Roma che, intanto, temeva per un possibile assedio sannita sotto lesue mura. Gli eserciti consolari presidiarono subito tutti i passaggi ed i varchi che conducevano alla città.I Sanniti, dal canto loro, cercarono di coinvolgere gli Etruschi ad attaccare il Lazio da nord ma senzasuccesso. Seguì un periodo cesellato di piccoli scontri con cui i Sanniti si attestarono meglio nel sud delLazio. A Roma, come sempre nei periodi di estremo pericolo per la Repubblica, vennero indette nuove

elezioni per rafforzare il potere politico e militare. Caio Menio, Peteio Libone, Quinto Fabio MassimoRulliano e Caio Sulpicio Longo furono gli uomini che condussero le operazioni militari eriorganizzarono le difese della città. Rafforzarono i loro eserciti e si prepararono agli scontri con iSanniti.In quel periodo, però, accaddero alcuni episodi che distolsero i Sanniti nel perpetuare le azioni di guerranei territori del Lazio meridionale.Le forze del Sannio schierate nel sud dell’Italia si trovarono, di colpo, sotto pressione a causa di uno deitanti mercenari provenienti dalle altre sponde dell’Adriatico. Acrotato, figlio del re di Sparta, invitato daSiracusa e da altre città siciliane per scacciare il tiranno Agatocle, si era fermato a Taranto impensierendonon poco le schiere sannite. Marco Fannio e Q. Fabio Massimo. Necropoli dell’Esquilino (2).

Restituzione grafica dell’affresco dell’Esquilino (2). Temendo che i Romani e le loro forze che ancorastanziavano in Apulia, potessero coinvolgere il condottiero Agatocle contro i loro insediamenti, i Sannitisguarnirono di forze il basso Lazio per arginare l’eventuale attacco dal meridione da parte dell’Urbe e delsuo nuovo alleato. L’esercito di Gavio Ponzio si spostò quindi a sud lasciando alle forze di Marco Fannioil controllo del territorio laziale.I Romani, approfittando dell’inaspettato impoverimento delle forze sannite, organizzarono unacontroffensiva nel tentativo di conquistare di nuovo le posizioni perdute nel Lazio meridionale. MentreCaio Menio controllava la situazione a Roma, i Consoli Quinto Fabio Massimo Rulliano e Caio SulpicioLongo riunirono gli eserciti ed attaccarono le forze sannite a Terracina, sbaragliando la guarnigione e proseguendo verso i territori degli Aurunci e degli Ausoni, facendo pagar cara la loro rivolta contro

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l’Urbe massacrando l’intera popolazione.Nel 313 a.C. gli eserciti consolari comandati sempre da Quinto Fabio Massimo Rulliano ma con Caio

Giunio Bruto al suo fianco, riconquistarono Fraegelle ed il territorio del Liri, spingendosi oltre econquistando Cales, Calatia, Atella, fino a Saticula e Nola.Per presidiare il territorio riconquistato dell’Ager Romanus e della Campania Settentrionale, i Romani

istituirono le nuove colonie di Suessa e Saticula, quest’ultima un tempo sannita.Nel 312 a.C. il Console Marco Valerio Massimo riconquistò Sora ed insediò ad Interamna Lirenas, nei pressi della confluenza del fiume Liri con il fiume Gari (che insieme formano il fiume Garigliano), unacolonia latina. Consolidate ormai le posizioni, i Romani iniziarono un lungo riesamine della sitazione cheaveva portato la Repubblica ai limiti della catastrofe. Furono messi sotto accusa i Patrizi che avevanoauspicato prima ed appoggiato poi l’espansione verso sud, con l’inevitabile scontro con i Sanniti.Caddero molte teste tra le quali quella del Console Caio Menio. Alla fine del 312 a.C. gli Etruschi,convinti della debolezza che le guerre contro i Sanniti avevano apportato all’intero apparato bellicoromano, scesero in guerra aprendo così un altro fronte che gli eserciti consolari ebbero difficoltà adifendere. La guerra si prolungò per diverso tempo, con scontri anche molto cruenti tra i due schieramentifino a quando, nel 310 a.C., Quinto Fabio Massimo Rulliano accerchiò le milizie etrusche e, con la tattica

dei manipoli imparata dai Sanniti, sbaragliò le falangi nemiche, annientandone così l’intero esercito.Nello stesso periodo i Sanniti sferrarono un pesante attacco in Apulia contro i Romani e questi, per alleggerire la pressione su quel campo di battaglia aprendo un nuovo fronte, inviarono un intero esercitocon a capo il Console Caio Marcio Rutilo nel Sannio occidentale. Ma ad Allifae le forze romane ebberoun pesante crollo e dovettero attestarsi e fortificarsi aspettando aiuti esterni. A trarre d’impaccio Rutiloaccorse l’amico Lucio Papirio Cursore che, con una veloce azione, riuscì a salvare l’esercito arroccatoriparando subito nel Lazio.Per tre anni, cioè fino al 307 a.C., gli eserciti dei due popoli si affrontarono con fasi di gloria alterne esenza che nulla di importante fosse realmente condotto a termine. Intanto tra le schiere sannitecominciava a farsi strada un giovane condottiero di eccezionale abilità, Stazio Gellio, che dimostròsubito il suo talento militare adottando, per la difesa, la strategia dei Tratturi. Infatti riusciva a presidiare

qualsiasi luogo del Sannio facendo percorrere agli eserciti meddìchei i percorsi tratturali utilizzati per latransumanza, che attraversavano il territorio in lungo ed in largo e che univano tutti i luoghi abitatisanniti, anche i più lontani. Nel 306 a.C. i Sanniti al comando di Stazio Gellio, con una grande azione diforza, riconquistarono Calatia, Nola ed altre città campane. Altre forze sannite oltrepassarono il Liri ericonquistarono Sora spingendosi di nuovo verso Roma. Con un’abile mossa diplomatica, riuscìrono adoccupare le città di Anagna (Anagni) e Frusino (Frosinone) facendo anche insorgere alcune fazionifilosannitiche degli Equi. Roma si trovò così di nuovo sull’orlo del panico nel dover affrontare, per l’ennesima volta, il timore di un attacco sannita sotto le sue mura.Il Console Quinto Marcio Tremulo organizzò le difese esterne dell’Urbe insediando un forte esercitonella valle del fiume Sacco e sedando con le armi gli spiriti antiromani delle cittadine vicino Romaconquistate dai Sanniti.Scontro tra Romani e Sanniti (3). Un altro Console, Publio Cornelio Arvina, si attestò nella Campaniasettentrionale riconquistando Calatia e tenendo sotto controllo l’intero territorio.Nel 305 a.C. i Sanniti tentarono l’impresa di riconquistare il “Campus Stellatis”, nel territorio campanosettentrionale sotto il controllo dei Romani. I loro spostamenti furono però rivelati da elementi infiltratida Roma nel territorio a ridosso del confine con il Sannio, un metodo che i Romani iniziarono adutilizzare per venir subito a conoscenza dei diversi spostamenti militari avversari. Ormai Roma avevadisseminato le aree di confine prossime al Sannio di colonie latine che partecipavano attivamente alcontrollo del territorio. I Sanniti furono infatti sbaragliati dagli eserciti consolari di Lucio Postumio

Megello e di Tiberio Minucio Augurino con l’aiuto degli abitanti di Saticula, Suessa Aurunca, Cales eforse Interamna Lirenas.

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Nel frattempo i due Consoli romani, dopo lo scontro con le forze sannite, erano venuti a conoscenza cheil Meddix Stazio Gellio si era ritirato a Bovianum con il grosso del suo esercito. Partendo dalla zonadell’attuale Teano, Minucio e Postumio penetrarono nel Sannio dalla parte del versante sud del Matesema con percorsi diversi, ponendo sempre gli accampamenti a breve distanza tra loro. Minucio, dopoessersi addentrato nella valle del Lete e dopo aver proseguito in direzione di Bovianum passando per 

Letino ed il Lago del Matese fino a Sella Perrone, affrontò le difese sannite poste a guardia dello stretto passaggio che conduceva verso la pianura dove era ubicata la capitale pentra. Le schiere di Bovianumdifesero strenuamente l’impervia gola naturale, aiutati anche dalle truppe di Stazio Gellio. Nella battagliamorirono ambedue i comandanti, sia il Console romano Tiberio Minucio sia il Meddix sannita StazioGellio (4). Il comando dell’esercito romano e delle operazioni in quella zona venne rilevato dal ConsoleMarco Fulvio Curvo Petino. Il percorso seguito dai Consoli Tiberio Minucio (in blu) e Lucio Postumio(in rosso) nella presa di Bovianumdel 305 a.C. Postumio si scontrò con le forze nemiche presso Tifernum (forse l’odierna Faicchio).Ambedue i Consoli ebbero la meglio sulle schiere sannite e puntarono verso Bovianum cingendolad’assedio. Nello stesso momento altri contingenti romani mossero nel Sannio settentrionale riuscendo ariconquistare Sora ed Arpinum penetrando a fondo nel territorio e minacciando così Venafrum, Aquilonia

ed Aesernia. Nel frattempo i Consoli Petino e Postumio, ricevute notizie delle vittorie ottenute daglieserciti romani nel nord del Sannio, forzarono l’assedio a Bovianum riuscendo ad avere la meglio sulleforze dei Sanniti pentri. Gli scontri tra i due eserciti furono molto duri ma alla fine il Console MarcoFulvio Curvo Petino entrò trionfante in Bovianum.Fanteria romana in battaglia (IV-III secolo a.C.)(5)Decapitati del comando e delle forze migliori, con la capitale Bovianum depredata e distrutta, i Sanniti poco tempo dopo, nel 304 a.C., scesero a più miti consigli con i Romani, sottoscrivendo il solito trattatodi pace discusso con i “Fetiales” che Roma gli aveva proposto. Essi erano anche allarmati per lasituazione nel sud del Sannio, dove si profilava la minaccia dell’ennesimo condottiero mercenario d’oltreAdriatico, Cleonimo di Sparta, che arrivava chiamato da Taranto. Peraltro anche i Romani premevano per un trattato di pace con i Sanniti, esausti dopo così tanti anni di cruente battaglie. Erano però

consapevoli che tutte le roccaforti sannite erano rimaste intatte come quasi del tutto intatto era rimastol’intero territorio del Sannio.Avevano infierito sui vertici di comando ma non sull’animo e tantomeno sulla forza dei Sanniti.Anche se fortemente voluta dai Romani ed infine sopraggiunta, la pace non sarebbe durata a lungo.Avevano ormai fortificato l’ Ager Romano con la costruzione di numerose colonie, costituendo quindiun’insormontabile barriera a difesa dell’Urbe. Ma di fronte avevano i Sanniti, quelli che più volte eranoarrivati fin quasi sotto le mura di Roma, quelli da cui avevano imparato l’arte della guerra moderna, dellanuova tattica della cavalleria, dei manipoli, delle azioni veloci e sfuggenti, della lotta corpo a corpo con lediverse armi corte. I Romani non potevano fidarsi dei Sanniti, ed i Sanniti non sopportavano la morsa incui i Romani li stavano chiudendo. Con la stipula del trattato di pace, i Sanniti perdevano l’intera valledel Liri, ogni possibile controllo su tutta la Campania e su metà del territorio dei Caudini. Subito dopo lastipula del trattato di pace i Romani rafforzarono i controlli su molte aree a ridosso del confine con ilSannio, come per Atina che, seppure ancora sannita ed assorta nel lavoro di estrazione del ferro dallemontagne della Meta, aveva guarnigioni romane disseminate nel suo territorio. Comunque il cuore delSannio era salvo, il territorio tra i monti delle Mainarde e la pianura di Malies (Benevento) era rimastointatto, la capitale Bovianum era stata riconsegnata ai cittadini sanniti. Deve essere stato con un misto difrustrazione, timori e calcolo che i Sanniti conclusero la pace nel 304 a.C., diventando ancora una volta“amici” di Roma.Cavaliere sannita durante le guerre contro Roma (IV-III secolo a.C.)(6)

NOTE

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(1) Miniatura di guerriero sannita del 310 a.C. secondo la Ares Mythologic. (2) Affresco di pittura parietale tombale rappresentante un episodio delle Guerre Sannitiche. Dimensioni 87,5 x 45 cm. Necropoli arcaica dell’Esquilino - Musei Capitolini - Roma. In quattro registri, divisi soltando da una

linea sottile, sono illustrati la resa di una città, le trattative tra due capi militari ed una battaglia. Cosa particolarmente importante, i nomi dei personaggi principali sono scritti accanto alle figure: supponiamocosì che la figura di sannita con la scritta M.FAN possa essere il Meddix Marco Fannio che intorno al315 a.C. comandò le schiere sannite nelle operazioni di guerra contro Roma. Con la scritta Q. FABIO possiamo identificare Quinto Fabio Massimo Rulliano, Dictator nel 315 a.C. e cinque volte Console (nel322, 310, 308, 297 e 295 a.C.), generale romano che combattè nella seconda Guerra Sannitica. Ilcondottiero sannita Marco Fannio, abbigliato in modo adeguato al suo rango, coperto da una pelliccia(leone o montone) compare due volte. Nel registro in alto indossa un elmo tipo Montefortino con penned’aquila, due schinieri e sembra portare uno scudo ovale. Nel registro in basso, il Meddix appare nellostesso atteggiamento, con la pelliccia ma solo con gli schinieri. Il comandante romano Quinto Fabio, cheappare anch’esso in ambedue i registri, è avvolto nella sola toga e stringe nella mano destra una lancia. Si

 può fare anche un’ipotesi sull’autore delle pitture: l’unico artista a noi noto di quel periodo ed anchel’unico appartenuto a famiglia nobile, è Fabio Pittore, che trasmise il suo cognome derivato dalla professione ad un ramo della famiglia. Questi visse proprio negli anni della seconda Guerra Sannitica,quando decorò con pitture il tempio della Salute sul Quirinale, dedicato nel 303 a.C. proprio da ungenerale che aveva trionfato sui Sanniti. Non è quindi impossibile che Fabio Pittore, parente di Q. FabioRulliano, abbia eseguito la decorazione dipinta sulla tomba dell’Esquilino.

(3) Miniatura di combattimento tra un fante romano ed uno sannita secondo la Andrea Miniatures. (4)Secondo Tito Livio, il Console Minucio fu ucciso in battaglia ed il comandante Stazio Gellio fu preso prigioniero e, al seguito del trionfo di Marco Fulvio Curvo Petino, portato a Roma in catene, esposto al pubblico ludibrio e decapitato sul foro. Secondo altri, il comandante sannita cadde in battaglia

combattendo le schiere romane, negli scontri che videro la morte anche del Console Tiberio Minucio. E’ probabile che il “Meddix” sannita possa aver realmente trovato la morte in battaglia, perché il fatto stessoche le schiere romane ebbero la meglio su quelle sannite che stavano per sopraffarle, potrebbe significareun’effettiva perdita di comando anche delle forze sannite dovuta alla morte del loro condottiero. (5)Disegno della Zvezda Reproductions.

(6) Ricostruzione in miniatura realizzata da Maurizio Bruno e Danilo Cartacci, tratta dal sito webdell’associazione culturale “La Ruota del Tempo”. 

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Antonio Manzo: Tito Livio storico della terza guerra sannitica

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TITO Livio storico della terza guerra sannitica

 nella regione matesina e del Medio Volturno

 del prof. Antonio Manzo

 

Come nel saggio sulla seconda guerra sannitica[1] seguimmo criteri che miravano a lumeggiare particolari momenti d’un capitolo di storia locale con la scorta di Tito Livio, così nel presente è nostrointendimento non discostarci dalle medesime finalità e dalla medesima fonte. Oltre al fatto che il raccontoliviano costituisce il documento letterario più ampio per ricostruire la trama delle guerre sannitiche, lostorico patavino, per elevatezza d’ingegno e per nobiltà di carattere, suscita in noi il più vivo rispetto etrova la critica odierna concorde almeno nel giudicare positivamente la sua narrazione dei fatti svolta su base annalistica; inoltre, talune notizie, proprio perché scarne o poco elaborate, ci appaiono non prive dicredibile genuinità[2].

Alla fine della seconda guerra, nel 304 a.C., Romani e Sanniti si riconciliarono e rinnovarono iltrattato[3], da cui in precedenza erano stati legati con Roma ed in base al quale i popoli romano e sannitavengono ora a trovarsi nuovamente sul piano di perfetta parità. I Sanniti, pur conservando la lorosovranità ed indipendenza, subivano tuttavia una perdita di territorio nell’alto corso del fiume Liri e – cosa ancor più grave e degna di rilievo – perdevano l’Oltrevolturno, vedendo in tal modo ridotta edesautorata ogni loro ingerenza nella Campania. Di Allifae non sappiamo più nulla, per quanto il DeSanctis[4] la ritenga annessa allo stato romano; va, in proposito, considerato che i Fasti Triumphales

registrano il trionfo de Aequis di P. Sempronio Sofo ed il trionfo de Samnitibus di P. Sulpicio Saverrione,mentre Livio (9, 45, 1) ricorda che sotto il loro consolato vengono a Roma ambasciatori sanniti achiedere la pace, e Diodoro (20, 101, 5 e 20) neppure fa menzione di vittorie sui Sanniti nel 404, per quanto non tralasci la vittoria di P. Sempronio Sofo sugli Equi. In dipendenza di ciò, il Pais[5] nota

opportunamente che «dal racconto di Livio risulta forse implicitamente la stessa versione sul trionfo deidue consoli, laddove in Diodoro si celebrano esclusivamente le gesta ed il trionfo di P. Sempronio Sofo».Conclusa la pace, entravano, viceversa, nell’orbita romana o rinnovavano con Roma i loro trattatidell’alleanza tutte le tribù abruzzesi rivierasche (Marrucini, Marsi, Peligni e Frentani)[6]. Nel corso del303 Roma attese al consolidamento delle sue posizioni sia estendendo la cittadinanza a centri come Arpinum e Trebula[7], sia privando di un terzo del loro territorio le popolazioni, che, come i Frusinates

(abitanti di Frusino, l’odierna Frosinone), avevano partecipato e sostenuto la ribellione degli Ernici.Tale operazione, che saldava intorno al Sannio una cintura di sicurezza, e l’effettivo bisogno di

terre ubertose da parte dei Sanniti determinarono in essi uno stato di disagio e, conseguentemente,l’acuirsi della loro insofferenza. Pertanto, verso la fine del 299, la ripresa delle ostilità sembrava cosacerta (Samnites arma et rebellionem spectare: 10, 11, 7) ed i Romani ne ebbero notizia dai Piceni, ai

quali proprio allora era stata concesso il foedus d’amicizia che essi avevano richiesto. Ma l’inizio vero e proprio dello stato di guerra fu determinato dalle continue scorrerie dei Sanniti nel territorio deiLucani[8]. Questi, infatti, mandano un’ambasceria a chiedere alleanza e protezione ai Romani, chel’accordano e immediatamente dopo impongono ai Sanniti di sgomberare i territori da loro occupati inLucania[9]. Al rifiuto di accondiscendere a tale richiesta si ha nel 298 la ripresa delle ostilità, la cuiconduzione fu affidata ai consoli dell’anno, L. Cornelio Scipione Barbato e Cn. Fulvio Massimo[10], cheoperarono su due fronti, verso l’Etruria e verso il Sannio, con l’intento qui di proteggere gli alleati Lucani ed Apuli, nonché di impedire ai Sanniti di congiungersi con gli Etruschi. Il primo combattéun’incerta battaglia in Etruria ed operò anche nel Sannio[11]; l’altro, pur avendo in animo di sviluppare

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la sua azione contro il massiccio del Matese con un attacco frontale ed una manovra diversiva dal Sud,vide il suo disegno frustrato dal fatto che lungo i confini meridionali del Sannio si guerreggiava da un pezzo. Il console Fulvio, allora, ricorse ad un attacco dal Nord, che agevolato dall’alleanza con le popolazioni rivierasche dell’Abruzzo, fu coronato dalla vittoria. Cn. Fulvi consulis clara pugna in

Samnio, scrive Livio (10, 12, 9), ad Bovianum haudquaquam ambiguae victoriae fuit. Bovianum inde

adgressus ne cita multo post Aufidenam vi cepit. Lo storico patavino si riferisce, verisimilmente, a Bovianum vetus, l’odierna Pietrabbondante, sita, come l’altra località a cui oggi fa riscontro Alfedena, nelterritorio dei Saraceni. Precisazione non inutile, codesta, in quanto ultimamente A. La Regina[12] hasostenuto che è priva di fondamento l’identificazione di Pietrabbondante, con Bovianum vetus e che sonotutte relative all’odierna Boiano le testimonianze antiche su Bovianum.

Anche in merito all’azione militare non v’è accordo nella critica: menzioniamo, per tutti, il DeSanctis, per il quale «la vittoria presso Boiano e la presa di questa città… è probabilmente unareduplicazione delle gesta del console M. Fulvio nel 305»[13], in quanto è poco probabile che si possaconquistare la capitale dei nemici, sita nel cuore del Sannio pentro, tanto più che con la caduta di Bovianum, caput Pentrorum Samnitium (9, 31, 4), aveva praticamente avuto termine la seconda guerrasannitica. Rilievo giustissimo e tale da fugare ora ogni dubbio sulla identificazione di  Bovianum con

Pietrabbondante. Ma in favore dell’identificazione è possibile addurre anche un altro fatto. All’iniziodella terza guerra sannitica Bovianum dei Pentri doveva essere tornata in mano dei Sanniti, se, comevedremo più avanti, fra le mura di questa città essi trovarono rifugio, nel 293, dopo la sfortunata battagliadi Aquilonia. Tutto, comunque, lascia pensare che la campagna del 298 fu sfortunata per i Sanniti o,quanto meno, che essi furono messi in difficoltà dalla rapida e decisa azione dei Romani.

Sei i sanniti avvertirono la necessità di migliorare organizzativamente la futura condotta delleostilità, ai Romani il 297 si presentava come un anno ancor più difficile, in quanto che si profilava unaguerra anche in Etruria. Mentre però, i consoli Q. Fabio Rulliano e P. Decio Mure stavano accordandosicirca la divisione del comando, ogni loro indugio nella scelta fu rotto dalle notizie di pace sul fronteetrusco ed entrambi quindi mossero alla volta del Sannio.

Al fine di rendere più agevole per le proprie truppe il servizio di vettovagliamento e di lasciare il

nemico maggiormente incerto sulla zona, dove si sarebbero svolte le operazioni militari (10, 14, 4), Q.Fabio Rulliano penetra nel Sannio dalla parte di Sora (l’omonima odierna cittadina laziale, sulla rivadestra del Liri), ivi ponendo la base delle sue attività; e P. Decio Mure si porta con l’esercito nel territoriodei Sidicini, il cui centro principale era Teanum (oggi Teano). Entrambi i consoli divisero i loro uomini in piccoli distaccamenti per misura precauzionale, nonché per maggiore agevolezza tattico-manovriera,dovendo operare in un territorio accidentato. Inoltre, prima di darsi all’opera di devastazione e disaccheggio, essi mandano ad esplorare una zona più vasta di quella prevista per i loro movimenti, ondeevitare spiacevoli sorprese da parte del nemico.

Nel corso di tali spostamenti, Decio puntò verso la vallata del calore e Fabio si diresse verso ilterritorio alifano: grazie alla sua accortezza e vigilanza nel condurre la marcia poté sfuggire ad un attaccodi sorpresa che i Sanniti avevano predisposto schierandosi in una valle fuori mano, nei pressi di Tifernumnel territorio dove s’era già combattuto nel 305[14]. Ipotesi non lontane dal vero fanno ritenere che sitrattasse d’un oppidum che portava lo stesso nome del massiccio del Matese (Tifernus mons)[15], sitodove una via montana immetteva nella Campania. È pensabile, infatti, che, oltre alla normale viaattraverso il Matese (Alfe-Castello-S.Gregorio-Lago-Perrone-Guardiaregia)[16], esistesse un altroitinerario, che partendo da Saepinum [17] sfiorava il territorio di Guardiaregia e le falde sud-orientali delmonte Mutria, toccava il territorio di Pietraroia e di Cerreto, proseguiva attraverso la valle del fiumeTiferno e raggiungeva, infine, il piano nei pressi di Faicchio. Qui i Sanniti costruirono imponentifortificazioni, le cui tracce sono ancor oggi visibili sulle pendici meridionali di monte Acero etroverebbero riscontro con le costruzioni monte Cila[18].

Il console Fabio, dunque, fa marciare i suoi uomini a reparti affiancati, per essere pronto ad ogni

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manovra d’attacco, e fa procedere in posizione arretrata le salmerie protette da una piccola scorta. ISanniti, allora, che pur hanno visto sfumare il fattore sorpresa e diminuire, nel contempo, le probabilità divittoria, scendono verso il piano per dare battaglia e fortunae se maiore animo quam spe committunt (10,14, 8). Magnifica e significativa pennellata: Livio ci fa capite quale era lo stato d’animo dei Sanniti, ma più ancora la realtà delle loro condizioni. Senza voler usare un’immagine iperbolica, per essi, ormai, si

trattava di vita o di morte; c’era nei loro cuori la consapevolezza di chi sta per affrontare ilcombattimento che avrebbe deciso per la sopravvivenza stesa della patria libera ed indipendente. Per questo il loro impegno e la loro combattività furono tanto accaniti, da impensierire il comando romano,che fa pervenire un efficacissimo messaggio ai suoi reparti di cavalleria. Fabio cerca di far leva sui suoiuomini suscitandone lo spirito di corpo, ma non si nasconde il timore che neppure la carica di cavalleria possa dare il vantaggio sperato. Bisognava ricorrere anche all’astuzia. Egli, allora, comanda a Scipione, ilconsole dell’ano precedente, di mettersi a capo degli hastati, che venivano così distolti con un audacegesto dalla posizione che occupavano nello schieramento della legione[19], e di guidarli con la maggior cautela possibile sulle balze circostanti la zona dello scontro, alle spalle del nemico. Come già previsto e paventato, la carica della cavalleria non riuscì a sfondare la fronte dei Sanniti, che passano ad attaccarecon maggior violenza per la fiducia riaccesa nei loro animi del primo successo, ma vengono arrestati

dalle forze fresche dei triarii che il console aveva fatto avanzare; inoltre, quando meno essi sel’aspettavano, vedono le insegne di nuove truppe che venivano giù dai monti e sentono il loro grido di battaglia. In vero, però, i Sanniti furono atterriti non tanto dallo spavento che potevano realmente incuterequelle poche truppe apparse sulle alture, quanto dall’inganno (error ) che giungesse l’esercito del consoleP. Decio Mure. D’altra parte, questo medesimo error, che Fabio non tralascia di accreditare presso i suoi,infonde coraggio ai Romani ed ogni soldato grida pieno d’esultanza. Per i Sanniti è il crollo: si danno allafuga e si disperdono rapidamente salvandosi su per le balze del Matese in quanto non s’erano allontanatimolto dall’imbocco della valle..

Dallo svolgimento della battaglia possiamo anche arguire che l’altro console aveva proseguito lasua marcia, ma, conosciute le intenzione dei Sanniti, si sposta verso Sud-Est, attraversa il Volturno e procede lungo la riva sinistra del Calore. Tali dovettero essere i movimenti, determinati dal

comportamento degli Apuli [20], che erano stati indotti alla ribellione dai sanniti e marciavano ora indirezione di Maleventum [21]. Decio, dunque, li affronta senza indugio e, avendo agito con risolutadecisione, riesce a metterli in fuga. Che le cose, siano andate in questo modo non è difficile ammettere;altrimenti riesce incomprensibile spiegarsi la presenza degli Apuli a Maleventum [22]. Il successoottenuto dai Romani induce il console a proseguire la sua marcia all’interno del Sannio; ed una voltacongiuntosi con il collega, entrambi si danno per cinque mesi ad un’azione di guerriglia, che, se da unlato porta alla devastazione di vaste zone, dall’altro non frutta il raggiungimento di interessanti obiettivimilitari. Livio registra la conquista di Cimetra (probabilmente l’odierna Cusano, ma forse è meglio nonvolerne precisare l’ubicazione e annoverarla fra i tanti centri del Sannio scomparsi per sempre dopoquesta guerra di distruzione).

Arriviamo così all’anno 296: furono eletti i nuovi consoli nelle persone di Appio Claudio e diLucio Volumnio, mentre ai consoli usciti di carica fu prorogato l’imperium [23] per sei mesi, affinchécontinuassero le operazioni nel Sannio. E così P. Decio Mure, da solo in quanto il collega Fabio s’erarecato a Roma per i comizi elettorali, sconvolse le contrade sannitiche con una sistematica operadevastatrice e con azioni di guerriglia. Secondo Livio, Decio avrebbe costretto l’esercito nemico ad usciredal suo territorio ed a rifugiarsi in Etruria (10, 16, 2 sg.): ma questa, come pure altre notizie da luiregistrate per il 296, sembrano poco attendibili. Le cose, in realtà, dovettero andare diversamente, perchéè probabile che un esercito sannita, al comando di Gellio Egnazio, sia stato mandato di proposito inEtruria, per unirsi colà alle altre forze (specialmente Galli e Sabini, oltre agli Etruschi), che siaccingevano a costituire una grande coalizione antiromana. Accettando codesta versione dei fatti,dobbiamo pensare che i Sanniti delle contrade meridionali, il cui occhio avido si volgeva alle pianure

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alifana e di Terra di Lavoro oltre tutto per bisogno di aree coltivabili e per interessi commerciali,dovettero assumersi il compito di difendere la patria comune. Ma la loro resistenza non poté,evidentemente, essere salda e parecchie città dovettero cedere alle truppe romane. Decio, infatti, occupò Murgentia, che Livio indica come una validam urbem (10, 17, 3)[24], Romulea [25] e Ferentinum [26].Livio (10, 17, 11 sg.) ci parla anche di altre fonti, che o attribuivano a Fabio Rulliano un’importanza

maggiore facendolo l’eroe di Ferentinum e di Romulea [27] o davano la gloria dei fatti d’arme ai nuoviconsoli; e precisa pure che taluni annalisti facevano riferimento solamente ad uno di essi, a L. Volumnio.I Sanniti, comunque, accettarono di buon animo, almeno in apparenza, la perdita delle città su

menzionate e dei relativi territori: essi speravano, così facendo, di distrarre l’attenzione dei Romani,mentre volevano soltanto guadagnare tempo, in attesa che sul fronte etrusco gli eventi maturassero in lorofavore e li consigliassero ad operare con decisione nella zona a Nord-Ovest di Tifernum, ovvero in quelloche potremmo chiamare lo scacchiere alifano-matesino. E tale disegno ebbe, almeno in parte, un positivoesito nel corso dell’anno seguente. Va, inoltre, tenuto presente che già sul finire della prorogadell’imperium a Fabio Rulliano e a Decio Mure la situazione si era fatta pericolosa per Roma. Mentre i proconsoli operavano nella zona lucano-irpina a causa della defezione di alcune tribù ed i consoli eranoimpegnati in Etruria, i Sanniti passano in Campania attraverso il territorio dei Vescini, che si estendeva

sulla sinistra del Liri fino alle pendici del Monte Massico,e per l’ager Falernus, compreso nella partesettentrionale della Campania sulla destra del Volturno: l’incursione era stata messa in atto certamenteattraverso il territorio di Alife e di Riardo.

La notizia delle devastazioni operate dai Sanniti induce il console Volumnio a cambiare itinerarioe ad accorrere in difesa degli alleati. Giunto nel territorio di Cales [28], egli si rende conto del dannosubito da quelle popolazioni. Dalla loro voce, infatti, apprende che i nemici, procedevano lentamentenella loro marcia di ritorno, in quanto resa difficile dalla preda che si tiravano dietro, e che avevano inanimo di fare una seconda spedizione. Volumnio, allora, per avere una conferma di tali notizia, invia, indiverse direzioni, suoi cavalieri col mandato di fare qualche prigioniero: viene così a sapere che i Sannitis’erano accampati presso il fiume Volturno e che circa la mezzanotte avrebbero ripreso la marcia verso leloro terre. Il comandante romano, prima che facesse giorno, compie una marcia d’avvicinamento al

nemico e manda alcuni dei suoi, che conoscevano la lingua osca, parlata dai Sanniti, a spiarne le mosse. Illoro compito è facilitato dalla confusione e dal disordine: i reparti sanniti si erano già messi in marcia, macon pochi armati, in quanto la maggior parte era rimasta indietro per accompagnare le salmerie, chestavano allora uscendo dall’accampamento. E’ un esercito lento e non solo perché impacciato neimovimenti, ma anche per la mancanza di disciplina: ognuno pensava alle cose proprie, per non dire cheera piuttosto scarso il necessario collegamento fra i singoli e fra i reparti. E Livio non manca di farcinotare al momento opportuno che codesta deficienza caratterizzava, in maniera evidente, l’inferiorità deiSanniti, laddove la disciplina era sempre il fattore che caratterizzava e determinava la vittoria deiRomani.

Il console muove all’assalto nel momento più opportuno, quando meno il nemico se l’aspettava, per cui la battaglia, fin dal primo momento, si può dire decisa in favore dei Romani. Il comandantesannita ed un buon numero di suoi uomini vengono fatti prigionieri; nel contempo, sono liberati i prigionieri romani ed è recuperata tutta la preda. Siccome si trattava di oggetti e di materiale sottratti a popolazioni alleate, ogni cosa viene restituita ai legittimi proprietari.

Era, intanto, giunta l’epoca dei comizi consolari e Volumnio fu chiamato a Roma per convocarli,in quanto egli era il console in quel momento meno impegnato nelle azioni belliche. Dietro suosuggerimento, furono eletti, con una scelta veramente intelligente, due uomini la cui perizia militare si erain precedenza dimostrata efficiente, L. Fabio e P. Decio; Appio Claudio fu fatto pretore e Volumnio, per decreto del senato, continuò a tenere, come proconsole, il comando del suo esercito nel Sannio ( Liv. 10,22, 9).

Le operazioni del 295 furono assai complesse: per quelle a Nord, nell’Etruria (battagli di

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Sentinum, Sassoferrato), Livio si dilunga in particolareggiate descrizioni (10, 22-29)[29]; ma, esulandoquei fatti nel nostro argomento, passiamo ad analizzare quanto avvenuto sul fronte meridionale.

Quivi troviamo in azione il proconsole Volumnio, che sconfigge un esercito sannita e lo volge infuga dopo di averlo costretto a ritirarsi sulle giogaie del Matese: così comportandosi egli dimostra di nonessere stato intimorito da quei luoghi aspri (non deterritus iniquitate loci: 10, 30, 7). La decisa e rapida

mossa del comandante romano stroncò ogni velleità offensiva dei Sanniti, che erano scesi dai monti delMatese attraverso la valle del Titerno con la speranza, se la loro manovra non fosse stata subito notata, di piombare su Capua (l’odierna S. Maria Capua Vetere) marciando lungo la catena dei Tifata. Essi,tuttavia, non desistettero alla idea di invadere la pianura campana. Anzi, proprio mentre si combatteva suicampi di Sentinum, o subito dopo, si registra un’attiva ripresa delle operazioni da parte dei Sanniti. Dallaregione dei Pentri, questa volta, mossero verisimilmente due eserciti. L’uno scende al piano servendosidella via che da Bovianum, attraverso il Matese, me[…] mianumque (10, 31, 2); l’altro si porta ad operarein Aeserninum [30] quaeque Volturno adiacent flumini (ibid ), ovvero nel territorio del corso superiore delVolturno ed in tutta la regione bagnata dal fiume.

Il pretore Appio Claudio, con l’esercito di Decio Mure, il console morto valorosamente nella battaglia si Sentinum, corse ad affrontare i Sanniti nella zona di Aesernia [31]; il proconsole Volumnio,

intanto, si porta a contrastare la marcia dei Sanniti che dilagavano nel territorio vessino e falerno. Lamanovra romana costringe i Sanniti ad indietreggiare verso il territorio caleno (Cales) e stellatine(Tremula) per non restare chiusi in una morsa e staccati dalle loro basi di rifornimento. Nell’ager Stellatis le forze contrapposte si scontrano col massimo accanimento (infestissimis animis: 10, 31, 6): iRomani erano esasperati di combattere contro un nemico, che non aveva mancato di riprendere le armicon ostinato impegno dopo ogni sconfitta; i Sanniti, di contro, erano consapevoli di lottare per l’ultimasperanza (ad ultimam… spem: ibid ). La vittoria arrise alle armi romane, ma va riscontrato che i Sannitiavevano fatto di tutto per avere la meglio e grande era stato il loro sforzo, in questo teatro operativo, inquanto si erano proposti di trovare un punto debole nella difesa avversaria e di volgere in loro favore lesorti ormai compromesse della guerra con la conquista delle fertili terre site tra la via Appia e il Volturno.Ma a nulla vale tale impegno perché le superstiti forze sannite sono costrette a risalire la pianura e si

disperdono sui contrafforti del Matese, dove i Romani, per quanto vincitori, si trovarononell’impossibilità di seguirle e, conseguentemente, di veder risolto come speravano il problema della piena sicurezza dei confini campani. Va, inoltre, sottolineato un altro fatto. I Sanniti, durante losfortunato combattimento nell’ Aeserninum sperimentarono che la vallata superiore del Volturno offrival’opportunità di invadere la Campania con una certa agevolezza di movimenti, perché nella zona pianeggiante la marcia risultava facile ed i rifornimenti erano assicurati, mentre, in caso di ritirata, era possibile arretrare su comode posizioni naturali e difficilmente espugnabili anche da un esercito efficientecome poteva esere quello romano. In dipendenza di ciò, i Sanniti spostano il loro campo d’azione nellavallata del Volturno e del Liri, da dove si poteva prendere alle spalle tutta la fertile pianura campana, chead essi appariva sempre come un irraggiungibile miraggio.

Lo stato maggiore romano non sottovalutò il pericolo che si correva e fu in grado di correre airipari per fronteggiare quella minaccia anche grazie al fatto che l’Etruria era in assoluta calma. Lacondotta della campagna di guerra per il 294 fu, perciò, suggerita ai nuovi consoli da quella finalità.Anche il senato s’era reso conto della situazione ed aveva decretato che tanto L. Postumio Megelloquanto M. Attilio Regolo operassero nel Sannio, avendo acquisito la convinzione che su quel fronteesisteva il problema da affrontare e da risolvere, tanto più che a Roma correva voce che i Sanniti avevanomesso in piedi tre eserciti: con uno essi pensavano di suscitare, se non anche di fare nuovamente guerrain Etruria; col secondo ripetere l’operazione di saccheggio e di devastazione già attuata in Campanianell’anno precedente; col terzo di difendere il territorio nazionale.

Mentre Postumio è trattenuto a Roma da una malattia, il collega è fatto partire senza indugi perché il senato aveva stabilito di attaccare i Sanniti nelle loro sedi, prima che ne uscissero. Ma tale

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operazione è frustrata dall’esercito avversario già in movimento. Come per un tacito accordo, scriveLivio (10, 32, 4), le forze contrapposte vennero a contatto in un punto tale, da cui i Romani nonriuscivano a penetrare nel patrio suolo dei Sanniti e questi non potevano invadere né le regionisottomesse a Roma né i territori dei suoi alleati. Col favore della nebbia, che si mantiene fino a giornoinoltrato (ci troviamo, verisimilmente, nella valle del Liri oppure all’imbocco della valle del Rapido), i

Sanniti attaccano il campo romano: dapprima la sorpresa blocca qualsiasi azione tendente a sventare lamanovra, ma, in un secondo momento, i Romani riescono ad arrestare il nemico per poi ricacciarlodall’accampamento. I Sanniti, però sono imbaldanziti dal parziale successo e continuano la loro pressionefino all’arrivo di Postumio, che per quanto ancora malfermo in salute, era stato mandato in tutta fretta colsuo esercito. I due consoli per vie diverse (diversi consules: 10, 33, 10) si danno all’opera devastatricenonché si impegnano ad operare contro città nemiche. Per Postumio ha inizio ora la sua campagna a cuila sorte non manca di arridere. Dopo aspri combattimenti, egli si impadronì di Milionia [32] e prese possesso di Feritrium, città abbandonata in un tempo anteriore dai suoi abitanti; lo stesso avvenne anche per altri centri urbani. Le cose non andarono altrettanto per Attilio, che, spostatosi col suo esercito versoSud, venne battuto presso Luceria; ma in un secondo momento, dopo di aver sia pure a stentoriorganizzato l’esercito, riuscì ad ottenere la vittoria. I Sanniti cercano di occupare la colonia latina di

 Interamna, posta tra il Liri e Casinum (città laziale sul fiume Casinus, con una rocca dove oggi si erge lafamosa abbazia di Montecassino), ma falliscono nel loro intento e per giunta, mentre si allontanavano conla preda raccolta nel territorio, si imbattono nelle truppe di Attilio, reduce dall’ Apulia, e sono sconfitti.Lasciato l’esercito ad il console vittorioso si porta a Roma per presiedere i comizi e per celebrare iltrionfo, che però gli fu negato a causa delle perdite subite e perché, dopo la seconda battaglia presso Luceria, aveva fatto passare sotto il giogo i prigionieri sanniti sine pactione (10, 36, 19). L’ignominia delgiogo, infatti, doveva essere accettata dal nemico nelle condizioni di resa quale riscatto della vita a prezzodel disonore; altrimenti, il far passare sotto il giogo dei prigionieri catturati con le armi in pugno era attoirregolare, senza significato e non poteva essere accolto dal senato.

Nel 293 furono consoli Sp. Carvilio e L. Papirio Cursore. Il caso volle che i Sanniti scendesseroin campo con lo stesso animo e con lo stesso apparato di armi del 310, quando erano stati vinti dal padre

di Papirio[33]. La sconfitta dell’anno precedente aveva acuito nel loro animo il fermo proposito di prendersi una rivincita, per cui ora adunano nella città di Aquilonia [34] ben quarantamila uominiarruolati per tutto il Sannio con una circoscrizione fatta in maniera inusitata, oltre che severa. Il giovane,infatti, che non si fosse presentato all’adunanza o che si fosse allontanato senza il permesso del suocomandante sarebbe stato sacrificato a Giove. A questo punto Livio (10, 38, 5 sgg.) ci fa sapere che ilgiuramento dei soldati si svolse secondo un rituale, le cui formule erano state lette in un antico libro dilino[35]. La recluta veniva fatta avvicinare all’altare più come vittima che come partecipe della cerimonia( sacri particeps) per suscitare in lui il sacro timore; poi, gli veniva imposto il segreto con una formula digiuramento orribile per la maledizione (execrationem) che conteneva[36]. In caso di inadempienza, talemaledizione non si limitava alla vita (caput ) di chi giurava, ma coinvolgeva la sua famiglia e la suadiscendenza, che si sarebbe venuta a trovare esclusa per sempre dalla comunità religiosa e civile del popolo sannita. Vengono, quindi designati per nome dieci giovani tra i più eminenti e ad essi è datol’incarico di scegliersi ciascuno un compagno (vir virum legerent ), il quale a sua volta se ne sarebbescelto un altro e così di seguito fino a raggiungere il numero di sedicimila. Il vantaggio di un siffattomodo singolare di arruolamento consisteva soprattutto, sul fatto di poter allestire reparti molto beneaffiatati e legati anche dal vincolo dell’amicizia. Oltre questo esercito, detto linteato, perché il recintodove si svolse il giuramento era stato coperto con tela (linteis contectus)[37], anche un altro contingentesannita di truppe scelte si accampò nei pressi di Aquilonia, nec corporum specie nec gloria belli necapparatu linteatae legioni dispar (10, 38, 13).

In campo romano, il console Sp. Carvilio prese il comando delle legioni lasciate ad Interamna daM. Attilio e con esse occupò Amiternum, oppidum di una certa importanza se l’operazione costò ai

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Sanniti duemilaottocento morti e quattromiladuecentosettanta prigionieri, ma non identificabile conun’antica città sabina sita nei pressi del fiume Pescara, che ancor oggi nella valle aquilana chiamasiAterno ( Aternus), e della quale esistono le rovine presso il villaggio di S. Vittorino, perché Livio ci fasapere che Carvilio mosse alla volta del Sannio (in Samnium profectus: 10, 39, 2) né ci sono dubbi sullatradizione del testo. L’altro console arruolato un nuovo esercito, espugnò Duronia, città di incerta

ubicazione, ma sita verisimilmente nel territorio dei Pentri. Entrambi i comandanti romani passano,quindi, all’opera devastatrice nel Sannio occidentale e specialmente nel territorio di Atina, centro deiVolsci e perciò corrispondente all’omonima cittadina in provincia di Frosinone: così facendo, giungonoCarvilio a Cominium [38] e Papirio ad Aquilonia, ubi summa rei Samnitium erat (10, 39, 5). Nei pressi diquesta città né si sospese del tutto il guerreggiare né si attaccò con impegno: i due consoli si tengonogiornalmente informati di qualunque avvenimento, per quanto anche la vigilanza di Carvilio fosse rivolta più ad Aquilonia che a Cominium, consapevole che le operazioni militari avrebbero ivi assunto uncarattere decisivo (maiore discrimine: 10, 39, 7).

Papirio, quando ravvisò l’opportunità di dare battaglia al nemico, si accordò col collega, affinchéquesti muovesse contemporaneamente all’attacco di Cominium per impedire l’accorrere di rinforzi ad Aquilonia. Né omise, dimostrando il suo fine intuito d’esperto comandante, di tenere alto il morale dei

suoi uomini, che potevano essere impressionati dall’apparato militare dei nemici. Le parole del consolesortirono l’effetto voluto nell’animo dei soldati, che sono presi da un violento ardore combattivo. Livio sisofferma anche a descrivere gli auspici, i preparativi alla battaglia e lo schieramento delle truppe; senzatralasciare di aggiungere qualche pennellata intesa a fissare gli stati d’animo delle due parti in campo: Romanos ira, spes, ardor certaminis avidos hostium sanguinis in proelium rapit; Samnitium magnam

 partem necessitas ac religio invitos magis quam inferre pugnam cogit (10, 41, 1).La battaglia infuria ed i Sanniti riescono a mala pena a sostenere l’impeto travolgente delle

legioni romane; di rincalzo ecco apparire Sp. Nauzio (altri annalisti tramandano il nome di OttavioMecio) con le truppe ausiliarie, che sollevano un polverone non giustificato dal numero effettivo deisoldati. Era un espediente, infatti: si trattava degli addetti al trasporto dei bagagli (calones), che procedevano a dorso di mulo trascinandosi rami frondosi. Anche la visibilità era ridotta a causa della

 polvere che essi facevano sollevare. Sembrava, visto da lontano, un vero esercito in marcia, del quale sidistinguevano in prima fila armi ed insegne, con la cavalleria in posizione arretrata. L’espediente bencongegnato raggiunse il suo scopo, tanto è vero che fefellit non Samnites modo sed etiam Romanos (10,41, 6). Il console Papiro capì al volo la situazione e con scaltra perspicacia non fece che confermarel’errore dei suoi. A gran voce, in modo che i Sanniti potessero udire, e ripetutamente gridava cheCominium era caduta e che si stava avvicinando l’altro console vincitore; in più andava dicendo ai suoiuomini che bisognava risolvere il combattimento, a tutti i costi, prima che la vittoria non si potesseattribuire all’intervento dell’altro esercito. Perciò egli dà alla cavalleria il segnale di muovere alla carica: provolat eques, scrive Livio (10, 41, 9) usando un singolare collettivo corrispondente ad un pluraleitaliano, come si incontra più frequentemente in poesia che in prosa, ed un verbo che indica propriamentel’uscir volando, donde lo slanciarsi in avanti; e se ne vedono le conseguenze: Infestis cuspidibus in

medium agmen hostium ruit perruptique ordines, quacumque impetum dedit (ibid.). Il nemico èsbaragliato: la fanteria dei Sanniti trovò riparo nell’accampamento o in Aquilonia, mentre nobilitas

equitesque Bovianum perfugerunt (10, 41, 11). Che si tratti di Bovianum Undecimanorum, l’odiernaBoiano, non c’è dubbio ed è approvato da quanto scrive anche Dionigi d’Alicarnasso (17, 18, 4), chemuovere il console da Aquilonia verso la regione dei Pentri; inoltre, la cosa confermerebbe che Livio,quando in precedenza ha parlato di Bovianum (10, 12, 9), si riferiva all’odierna Pietrabbondante.

Ma vediamo i fatti in particolare: L. Volumnio occupa l’accampamento nemico prima che L.Scipione (nel citato elogio non si accenna a questa battaglia) espugnasse  Aquilonia, dove la resistenza èmaggiore, perché la città offriva, con le sue mura, una buona difesa. Sul far della sera anche  Aquilonia

cade nelle mani dei Romani, ma il console, che non aveva potuto seguire tutti gli avvenimenti e si

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 preoccupava di radunare i reparti essendo prossima la notte, ritiene opportuno, per timore di insidie, dinon prendere possesso della città. Col favore delle tenebre i Sanniti superstiti al sanguinoso scontro(Livio 10, 42, 5) ci parla di 20.340 morti) riescono a sfuggire all’accerchiamento attraverso una porta ches’apriva nel tratto di mura non ancora conquistate dai Romani. Con eguale fortuna si svolsero, per ilconsole Carvilio, le operazioni sotto Cominium che venne in tal modo conquistata (10, 43, 1 sgg.). Le

truppe sannite inviate in aiuto alla città non intervengono nel combattimento e, per quanto incalzate daiRomani, riuscirono almeno in parte a rifugiarsi incolumi a Bovianum (10, 43, 15). La battaglia di Aquilonia e di Cominium è un avvenimento importante della storia di Roma e Livio ce lo fa intendere achiare parole, ponendo sullo stesso piano L. Papirio Cursore figlio, vincitore di Aquilonia, e L. PapirioCursore padre, da lui proclamato superiore ad Alessandro Magno (9, 17,8 e 13). E’, dunque, un errore fra praticamente terminare la terza guerra sannitica con la battaglia di Sentinum del 295, perché tale scontronon fu determinante né valse a fiaccare la potenza dei Sanniti. «E’ il comportamento ufficiale di Roma» -sottolinea M. Jacobelli[39] - «il primo a farci comprendere che la battaglia di Sentino dev’essereriguardata come una tappa e la nostra come una meta. Solo dopo di essa infatti annota Livio che“l’annuncio dei consoli fu ascoltato nella Curia e nell’assemblea del popolo con giubilo immenso, e la pubblica esultanza fu solennizzata con una supplicatio di quattro giorni a gara con la partecipazione

 privata” (10, 45, 1)».I due consoli vincitori decidono, quindi, di sottomettere la regione, per cui procedono allaconquista delle città sannite ed alla distruzione dei centri più importanti. Carvilio opera vittoriosamentecontro Velia, Palumbinum ed Herculaneum (tutte località per noi sconosciute e difficilmente ubicabili);Papirio dirige su Saepinum (l’odierna Terravecchia di Sepino), dove incontra una certa resistenza.Strinse, allora, i Sanniti in un assedio vero e proprio, conclusosi con l’espugnazione della città ed unastrage di grandi proporzioni. L’inverno sospese le operazioni militari. Papirio celebrò uno splendidotrionfo de Samnitibus, con una cerimonia straordinaria per quei tempi, e condusse l’esercito a svernarenel territorio di Vescia, sulla sinistra del Liri ai confini del Sannio. Anche Carvilio celebra a Roma iltrionfo de Samnitibus, per quanto abbia conluso il suo consolato con una vittoria in Etruria e con la pacificazione dei Fallisci (le rovine della loro capitale, Falerii, sono visibili presso Civita Castellana).

Con l’indicazione dei consoli per il 292, Q. Fabio Massimo Gurgite e Giunio Bruto Sceva, e con brevi cenni introduttivi sui costumi e sui culti dei Greci si chiude la prima decade dell’opera storica diTito Livio. Il caso ci ha privati della seconda decade, per cui non possediamo nel racconto diretto del Nostro gli ultimi avvenimenti e la conclusione del pluridecennale duello di Roma con i Sanniti:ricorriamo, per le nostre notizie, alle Periochae [40] e ad altre fonti storiche (Eutropio e Paolo Orosio).

La grave sconfitta subita nell’anno precedente dai Sanniti non ebbe l’effetto che i Romanisperavano ed il 292 trova il loro esercito in piena efficienza bellica, anzi, in grado di battere[41] le truppedi M. Fabio Gurgite. La sconfitta dovette essere abbastanza grave, se in senato si discusse sullaopportunità di togliere il comando dell’esercito al console vinto, che fu salvo per le preghiere del glorioso padre Fabio Rulliano, impegnatosi a riprendere le armi ed a restare accanto al figlio in qualità di legato. Ela presenza del vecchio guerriero avrebbe rovesciato la posizione fino al punto di procurare una grandevittoria romana con la cattura dello stesso duce sannita Caio Ponzio (il figlio del vincitore di Caudium),che Fabio Gurgite poté portare seco nella sua pompa trionfale (vd. C.I.L. 12, 127;  Liv. per. 11) e chevenne poco dopo trucidato. Nel 291 sono registrate la espugnazione di alcuni luoghi del Sannio el’importante conquista di Venusta (l’odierna Venosa, in Puglia), con successiva deduzione di una solidacolonia, superiore per numero a tutte le precedenti (ci è tramandata la cifra di ben 20mila coloni, in gradodi dominare la regione circostante, nonché di evitare che potessero ancora una volta riunirsi le popolazioni a Nord e a Sud di Roma, come era avvenuto prima della battaglia di Sentinum.

Nel 290, la guerra tra i Romani e i Sanniti viene ripresa, ad opera dei consoli Manio CurioDentato e P. Cornelio Rufino, con l’invasione dell’eroico Sannio, che è sistematicamente devastato daoccidente ad oriente[42]. Finalmente è conclusa la pace e, dopo circa mezzo secolo, ha termine la guerra.

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Il merito è attribuito al console Curio Dentato, le cui vittoriose imprese sembra si siano svolte piuttostonel paese dei Sabini.

La nuova pace fu fatta sulla base dell’antica alleanza, pace abbastanza mite e che non comportavacondizioni umilianti per i Sanniti, i quali ebbero sì a lamentare qualche lieve menomazione territoriale (lacittà di Atina e forse anche quella di Venafrum furono incorporate nello stato romano), ma restò ferma la

clausola che sanciva l’indipendenza della Confederazione sannita. Riconoscimento teoricamente valido,ma svuotato a poco a poco d’ogni significato: i Sanniti, ormai circondati da tre parti da paesi romani, oalleati di Roma, e disperando di avere aiuti esterni, si rassegnarono, non senza altre prove di forza, allasupremazia romana. 

Milano, 31 Ottobre 1967 

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[1] Il saggio si legge in Annuario 1966 dell’«Associazione Storica del Sannio Alifano», pp. 114-127; per la sua favorevole accoglienza della critica, vd. in Rivista di Studi Classici 15, 1967.[2] Non manca ancor oggi di stupire quanto ebbe a scrivere un illustre storico che cioè «nell’opera

di Livio non c’è sfoggio di pensiero, e nulla è più mediocre delle sue considerazioni politiche, militari,religiose. Incapace come pochi tra gli storici di rappresentarsi un fatto nel reale suo svolgersi, ma abile parimenti a giudicare bene d’un dato statistico, a farsi un’idea chiara del contendere dei partiti odell’andamento di una battaglia, a intendere bene il valore di una formula giuridica, tutto ciò che ne’ suoi personaggi sembra vivo non ha che una vita artificiale e retorica» (così G. De Sanctis, Storia dei Romani

I Firenze 1956, p. 38). Di contro, con vera gioia ed intimo soddisfacimento, leggiamo quanto rileva unacuto e fine interprete della letteratura latina: «Livio rimane sempre lo storico più grande dell’etàaugustea, il ricercatore e l’espositore eloquentissimo della verità, come lo definì Tacito ( Ann. 4, 34),

cogliendo ad un tempo la sua personalità di storico e di scrittore, che è quanto dire di ‘storico-artista’»(vd. B. Riposati, Storia della Letteratura Latina Milano-Roma 1965, p. 391).[3] Livio (9, 45, 4) lo ricorda come foedus antiquum.[4] Vd G. De Sanctis, op. cit., II, p. 323.[5] Vd. E. Pais, Fasti Triumphales Populi Romani Roma 1920. Parte Prima: Introduzione storica,

 p. 61 sg.[6] Circa i Frentani, mentre Diodoro (20, 101) ci fa sapere che essi nel 304 erano già con Roma,

Livio (9, 45, 18) ci informa che essi, insieme con i Marrucini, Marsi e Peligni, chiesero a Roma pace edamicizia in quell’anno, vedendo esaudito il loro desiderio. Si tratta, forse, di due notizie non in contrasto,ma che riguardano due momenti diversi.

[7] In tal modo, gli abitanti di Arpinum, città nel territorio dei Volsci tra la Campania ed il Sannio, patria di Cicerone e di Mario, e quelli di Trebula, località sita a destra del Volturno, dove oggi sorge ilvillaggio di Treglia, compreso nel comune di Pontelatone in provincia di Caserta (vd. la monografiaTrebula Baliniense di M. Fusco, uscita a Caserta, in seconda edizione, nel 1954 e riassunta negli Atti del 

 I Congresso di Studi Ciceroniani I Roma 1961, p. 125), furono direttamente incorporati nello statoromano con la forma della civitas sine suffragio.

[8] I Lucani erano di stirpe sannitica ed occupavano, press’a poco, l’odierna Lucania. Durante la prima guerra sannitica„ dopo che i Romani ebbero conquistato Neapolis, Livio ci fa sapere – ma lanotizia non è priva di dubbio – che i Lucani strinsero spontaneamente alleanza con i Romani (8, 25, 2); inseguito, essi si ribellarono e tutto induce a ritenere che nel corso della seconda guerra i Lucani militasseroal fianco dei Sanniti: Livio, infatti, registra che nel 317 i Romani operarono contro di essi (in Lucanos

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 perrectum: 9, 20, 9).[9] Da Livio (10, 12, 2) apprendiamo che ci fu secondo la prassi, l’invio dei fetiales, ovvero di

quei sacerdoti, eletti a vita in numero di venti per cooptatio, ai quali spettava l’osservanza e l’eserciziodel ius fetiale. L’intervento dei fetiales serve a due scopi: a garantire che l’atto sia regolare e che iltrattato sarà osservato dalle parti contraenti; a significare che il trattato ( foedus) non è solamente l’opera

 personale di un comandante, ma costituisce anche un atto riconosciuto dai pubblici poteri.Sull’argomento, con acume e dottrina, scrisse R. Paribeni, redigendo la voce foedus-fetiales, nel Dizionario Epigrafico di Antichità Romane di E. De Ruggiero.

[10] La notazione de Samnitibus, contenuta nei Fasti Triumphales del 299, è, secondo ogni probabilità, da correggere in de Sabineis. E ciò non solo per ragioni toponomastiche, ma anche perchénon è da escludersi che operazioni militari dei Sanniti, nel 299, abbiano colto di sorpresa i Romani e procurato loro non vittorie, bensì insuccessi. Vd. G. Beloch in Riv. di Storia Antica 9, 1994, p. 277.

[11] Delle imprese di Scipione Barbato ci mette al corrente l’iscrizione posta sul suo sepolcro (vd.C.I.L. I, 6, 7), dandoci però anche notizie in contrasto con i Fasti e con il racconto liviano. In merito, siricordi che le iscrizioni funerarie hanno generalmente un tono elogiativo e che quella di Scipione, per di più, fu composta almeno mezzo secolo dopo che i fatti s’erano svolti.

[12] Vd. Le iscrizioni osche di Pietrabbondante in Rhein. Mus. 109, 1966, p. 282.[13] Vd. op. cit., 2, p. 335.[14] Vd. in proposito il nostro saggio nel citato Annuario 1966, p. 125 (p. 14 dell’estratto).[15] L’argomento è stato trattato, con precisione e dovizia di particolari da G. Verrecchia in

Samnium 30, 1957, p. 67 sgg.[16] Vd. ancora il nostro saggio in Annuario 1966, p. 118 (p. 7 dell’estratto).[17] Il Maiuri ritenne potersi riconoscere la Sepino sannitica nell’odierna Terravecchia (presso

Sepino), di cui restano pochi avanzi della cinta muraria a struttura di poligonale primitivo (vd. in Notizie

Scavi 51, 1926, p. 250, fig. 4 e ibid. 52, 1927, p. 453.[18] Vd. A. maiuri, Piedimonte d’Alife, Resti di mura poligonali in Notizie Scavi 52, 1927, pp.

450-454.

[19] Hastati erano detti, nell’esercito romano, i soldati che formavano la prima linea delloschieramento; la seconda era costituita dai principes e la terza di triarii: se l’assalto degli hastati venivarespinto, essi ripiegavano sulla linea dei principes, oppure questi venivano condotti nella prima linea, e,se neppur essi erano capaci di resistere alla pressione nemica, venivano fatti avanzare i triarii.

[20] Gli Apuli erano, forse, affini per stirpe agli Osci ed occupavano il territorio del Gargano. Essivennero in contatto con i Romani durante la seconda guerra sannitica: da alleati che erano, in seguito siribellarono, ma furono vinti e definitivamente sottomessi dai Romani nel 317 a.C.

[21] Città degli Irpini, sul fiume Calore; fu poi detta Beneventum (oggi Benevento) dai Romanidopo la vittoria su Pirro nel 275 a.C.

[22] Così, infatti, reputa il De Sanctis op. cit., 2. p. 335.[23] Ai consoli usciti di carica poteva essere proposto di mantenere la suprema autorità militare e

giudiziaria (imperium): essi prendevano, allora, il titolo di proconsoli e la loro autorità continuava adessere quella propria del console, ma poteva essere esercitata solamente fuori di Roma e nello specificoambito ad essi affidato.

[24] Il Verrecchia (in Samnium 30, 1957, p. 194) pensa che si tratti della odierna Morcone; ècertamente una città dei Pentri e non sita nella zona delle Murge, come vogliono taluni autori. (vd. G. DeSanctis, op. cit ., II, p. 335 e bibl. ivi cit.).

[25] Città dei Pentri, identificabile con l’odierna Morra. Gli Itineraria, di età imperiale, ricordanola località ad Romuleam sita a cinque miglia da Aquilonia, sulla cui ubicazione vd. a p. , e Aec(u)lanum,

città degli Irpini del Sannio, e corrispondente all’odierna Mirabella Eclano in provincia di Avellino.[26] Località dell’alta Irpinia, ma d’imprecisata ubicazione; non si tratta che di omonimèa con

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centri dell’Etruria meridionale, del Lazio e del territorio degli Ernici.[27] Va ricordato, e già fu messo in evidenza da B. Bruno La terza guerra sannitica negli Studi di

Storia Antica del Beloch, fasc. 6, Roma 1906, p. 33, che in Fabio Rulliano si possono cogliere alcunitratti propri del suo grande omonimo che frenerà un giorno la audacia di Annibale.

[28] Cales (odierna Calvi) fu conquistata nel 335 a.C. dal console M. Valerio Corvo, che ne

riportò il trionfo (Liv. 8, 16). L’anno dopo, la città dei Calessi diventa sede di una colonia latina ed è per lungo tempo il centro del dominio romano in Campania, nonché sede del questore incaricato dellagiurisdizione di tutta l’Italia Meridionale romana.

[29] Una delle conclusioni più notevoli che la Bruno (nel cit. vol.) trae dall’analisi dei fatti èquella di ritenere non i Sanniti, ma i Sabini presenti nella battaglia di Sentino accanto agli Etruschi ed aiGalli. Si è nel giusto, forse, ritenendo che l’esercito sannita guidato da Gallio Egnazio non doveva essere poi tanto numeroso, anche se degno di rilievo per la figura del suo comandante, al quale fu affidato ilcomando in capo delle forze coalizzate contro Roma comprendenti Etruschi, Galli, Sabini e Sanniti,mentre gli Umbri se ne erano rimasti tranquilli; Roma, infatti, era alleata con una loro potente città,Camerino.

[30] L’accenno alla discesa dei Sanniti nel territorio di Isernia, città sannita, è interessante, perché

in tutta la prima deca di Tito Livio non esiste altro riferimento alla città suddetta. Può solo dirsi che nel295 a.C. Aesernia era sotto il dominio dei Sanniti, i quali avevano verisimilmente violato la sua neutralità per necessità belliche.

[31] Nel citato saggio della Bruno è di parecchio sfrondata la gloria di Appio Claudio, pretore nel295; inoltre, l’immolazione dei Decii, riprodotta ben tre volte nelle cronache romane, non è né affermatané contraddetta (op. cit., p. 37, n. 1).

[32] Che si tratti dell’omonima città dei Marsi non par possibile: o bisogna pensare ad una città per noi sconosciuta o la sua grafia va corretta in Aquilonia, come vuole G. Verrecchia, in Samnium 30,1957, pp. 202-222.

[33] Si tratta del grande L. Papirio Cursore, figlio di Spurio e nipote di Lucio, cinque volteconsole e due volte dittatore, celebre per le lotte vittoriosamente svolte contro i Sanniti. Va, tuttavia,

sottolineato che Papirio console nel 293 somiglia, per alcune circostanze della sua vita, al padre (vd.  Liv.9, 40, 1).[34] L’ubicazione di questa città è stata pensata nel territorio degli  Irpini, al confine dell’ Apulia,

sulla via Appia, ed identificata con la odierna Macedonia; altri la spostano nei pressi di Campobasso, altri perfino a Nord di Roma. Sono intervenuti anche studiosi locali, che hanno cercato di precisare conopportune circostanziate indicazioni: G. Verrecchia (in Samnium 30, 1957, p. 208 sg.) ritiene Aquilonia

sita su uno sperone roccioso delle propaggini meridionali delle Mainarde, versante orientale, ecorrispondente all’odierna Montaquila; per M. Jacobelli, ( Ritrovate le città di «Aquilonia» e «Cominium»Ed. Consiglio della Valle di Cominio 1965, p. 7 sg) Aquilonia si trovava su un’altura denominata Roccadegli Alberi, nel territorio di Picinisco. Par certo, dunque, che era una città del Sannio, non lungi dalcorso superiore del Volturno.

[35] Se ricordino, in proposito i Libri Linteati conservati nel tempio di Iuno Moneta.[36] Vd. il giuramento dei Fetiales: Inde Iovem testem facit: «Si ego ingiuste impieque illos

homines illasque res dedier mihi exposco, tum patriae compotem me numquam siris esse» ( Liv. 1, 32, 7).[37] Vd. Paul. Fest. 102, 15 Lindsay: Legio Samnitium linteata appellata est, quod Samnites

intrantes singuli ad aram velis linteis circumdatam non cessuros se Romano militi iuraverant.

[38] Altra città dei Volsci, forse a Nord di Atina, lungo il confine sannita.[39] Vd. op. cit., p. 5.[40] Col titolo di T. Livii Periochae omnium librorum ab Urbe condita ci è giunto un riassunto

dell’opera liviana (mancano, tuttavia, i libri 136 e 137), probabilmente già un riassunto fatto in epocaimperiale, di un’epitome compilata forse nel II secolo dopo Cristo.

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[41] La sconfitta romana è attestata da più fonti: Liv. per. 11; Eutr. 2, 9, 3; Oros. 3, 22, 6-12. Vd.De Sanctis op. cit., II, p. 344.

[42] Vd. G. De Sanctis, op. cit., II, p. 345 e bibl. ivi cit.? Il nome è di grafia incerta e la ubicazione è sconosciuta; a meno che, come opina il Verrecchia,

op. cit., non si tratti di Venafrum.

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