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Culture on web and paper

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franzmagazine.comCULTURE ON WEB AND PAPER

LUGLIO JULI 2010

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INDEX

PUBLIshERinside cooperativa sociale

EDITOR IN ChIEfFabio Gobbato

CREATIvE DIRECTIONanna QuinzKuniGunde WeisseneGGer

ART DIRECTIONriccardo oloccodaniele zanoni

PhOTO DIRECTIONalexander erlacher

PR AND COmmUNICATIONdavid thaler

TEXTanGeliKa burtscherpippo ciorraFabio GobbatoGuido musantepaola toGnon

PhOTOaltrospazio – romasimone cecchetti daniel Künzlertiberio sorvillo

ILLUsTRATIONvanessa moroder

ThANks TOmattEo morEttItEssa moroDEr

COvER FraNCEsCo “FraNZ” FlaImBy TIBERIO sORvILLO

ColoPHoN

6. Dreaming ex anasdi Fabio Gobbato

12. Was sonst noch passieren könntevon Angelika Burtscher

17. Luoghi DeLLa cuLtura vs. cuLtura Dei Luoghidi Guido Musante

22. DipenDedi Paola Tognon e Pippo Ciorra

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EDItorIalE

gli spazi, per diventare punti di riferimento, hanno bisogno di idee. nella seconda parte della rivista paola tognon e pippo ciorra raccontano di esperienze nazionali e internazionali in cui può accadere, ad esempio, che un museo possa trasformarsi in un corpo “tatuabile”, perché la scommessa è “imparare l’arte e non metterla da parte”. e non poteva mancare un’analisi sui nuovi spazi destinati a divenire la culla dell’arte contemporanea in italia, come il maxxi e il macro. Luoghi, questi, concepiti essi stessi programmaticamente come opere d’arte. nel suo contributo guido musante ne passa in rassegna altri, come il museo ebraico di Berlino realizzato per trasmettere al visitatore un senso di vuoto e il più vicino museion …

Fabio Gobbato

Le idee, per diffondersi, hanno bisogno di spazi. e nel primo numero on line, Franz propone riflessioni sui luoghi, fisici e mentali, per fare ed essere cultura. senza museion a Bolzano l’idea-arte contemporanea circolerebbe solo nelle piccole e vivaci gallerie cittadine, frequentate perlopiù da chi di arte se ne intende già e nelle teste dei molti buoni artisti locali. senza il comunale e il cristallo, pirandello e molière starebbero sugli scaffali di qualche libreria. senza l’auditoium, abbado e kuhn li vedremmo in Dvd. nel capoluogo, mancando uno spazio adeguato, la buona musica “leggera” – se si eccettuano uno splendido festival jazz e i megaeventi del palaonda – non arriva. per questo Franz appoggia la campagna avviata da organizzatori di eventi e band locali perché in città venga individuato uno spazio adeguato. angelika Burtscher riflette invece sulla necessità che la spinta creativa e la conquista degli spazi avvenga dal basso. Le cosiddette subculture aprono nuovi orizzonti politici, culturali, sociali e danno linfa agli spazi creativi.

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ein oanFach stuFF. organizzatori, band, gestori di locali, uniti nella battaglia. sta per prendere il via la campagna “sos” (in italiano “siamo ormai

stufi”). per tutta l’estate, durante concerti ed eventi pubblici saranno raccolte firme per sollecitare la politica ad occuparsi di un problema che nel capoluogo sembra aggravarsi di mese in mese: la mancanza di spazi per i concerti live. nei volantini i promotori ([email protected]) affermano: “siamo stufi della mancanza di rispetto per la nostra cultura, musica ed arte giovanile, delle continue restrizioni, dei compromessi fatti senza considerarci”.La concertofobia affligge Bolzano da sempre. c’è stata la parentesi Fiera nei tardi anni ottanta e primi anni novanta. poi, un decennio di buco.

Quindi, su pressione del mondo associativo, nel 2002 è arrivato il kubo. il comune per cinque anni ha sborsato 9.000 euro di affitto al mese, commettendo il fatale errore di non dare la struttura in gestione ad un pool di associazioni. È vero, il luogo non era “vissuto”, non aveva un’anima. ma c’era. manca da tre anni, e si sente.Da allora qualche tentativo, riuscito o meno, di aprire nuovi spazi, c’è sempre stato. al bar del cristallo sono arrivati buoni gruppi per qualche mese, ma dopo tre o quattro telefonate di protesta e grazie ad un cavillo burocratico è tutto finito. per un po’ si è suonato al Bunker, ma anche lì arrivato lo stop per la mancanza delle licenze.recentemente dalla squallida caverna di cemento armato che ospitava il povero orso pippo è stato ricavato,

dreaming ex anas

Testo di Fabio Gobbato, giornalista Corriere dell’Alto Adige

In città manca uno spazio per la musica. Organizzatori e band lanciano la campagna Sos, Siamo ormai stufi. Spagnolli: “L’area che è stata individuata è ok”

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con un’intuizione geniale, il pippo stage, e l’eltrettrocardiogramma della Bolzano che ama la musica dal vivo ha ricominciato a dare qualche timido segnale di vita. il posto è grazioso, ma troppo piccolo e pensato per un pubblico molto giovane. ma sempre grazie alle lamentele dei vicini gli amplificatori vanno spenti alle 23. c’è stata pure una “fiammata” nel centro parrocchiale di via vintola che per ora si è spenta. molto di recente, su iniziativa di audiomat, è spuntata la halle 28. onore a chi se l’è inventata, ma lo spazio ai piani è una sorta di “dead place walking”, con la pistola della demolizione puntata alla tempia.D’estate, in generale, va un po’ meglio. per qualche settimana c’è il masetti a parco europa e i concerti delle associazioni ai prati del talvera distillati con la flebo. ma nel frattempo, increduli, abbiamo assistito al miracolo upload che ha portato a Bolzano echo & the Bunnymen e unkle. La città, però, ha bisogno di altro, di un luogo che possa tenere almeno 500 spettatori, che sia vissuto e vivibile come uno dei centri sociali del nord italia, senza essere un centro sociale (guai anche solo a nominarli). un luogo dove per i volumi si pensa a preservare i timpani dei presenti e non esclusivamente “al sacrosanto diritto alla tranquillità” dei cittadini più volte rivendicato dal sindaco gigi spagnolli.L’alumix, un gioiello dal punto di vista “archeologico industriale”, ad oggi è sfruttato appieno solo da transart per un mese all’anno. avrebbe potuto ospitare atelier d’artisti, teatro, cinema, e concerti anche per un migliaio di spettatori. ma il destino della spettacolare struttura di via volta è segnato. “L’edificio attualmente impiegato – spiega l’assessore provinciale all’innovazione Fo

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roberto Bizzo – sarà parte del parco dell’innovazione”. e gli spazi ad uso culturale? “c’è un altro immobile e posso garantire fin da ora che la parte centrale potrà ospitare spettacoli”.sarà una splendida sala da poter prendere in affitto, ci si augura a cifre modiche, per concerti di media grandezza. “credo – spiega il direttore della ripartizione cultura Lampis – che a Bolzano manchi effettivamente uno spazio per la musica. ma sono altrettanto convinto che l’alumix rimanga la collocazione migliore. per le feste, forse, si può recuperare anche almeno in parte il museion” (finite ovviamente per le proteste del vicinato).il sindaco di Bolzano, gigi spagnolli, ha un’altra idea. La soluzione nuova

una serie di problemi. il primo da risolvere è che la provincia diventi, anche tavolarmente, proprietaria dell’area. poi bisognerà affrontare i vincoli che porrà l’autostrada. non è che sotto un viadotto si possa fare ciò che si vuole, soprattutto è difficile che sia concessa la possibilità di avere persone stabilmente presenti negli edifici. una volta risolti questi problemi si può arrivare all’apertura del centro molto in fretta”.speriamo che il vincolo della presenza continuativa di persone cada, perché altrimenti si torna da capo. L’area è splendida, sembra quasi concepita per farci una cittadella del rock. Le poche case residenziali più vicine sono a qualche centinaio di metri e in ogni caso, sistemando il palco

c’è e si chiama ex anas. L’associazione 4/4 da tempo lavora all’idea di recuperare l’area tra viale trento e il campo santa geltrude e prima delle elezioni, fra qualche polemica, spagnolli vi ha fatto un sopralluogo. “Questa – dice il sindaco – non è una possibile soluzione è “la” soluzione. il kubo aveva una serie di problemi. L’immobile non era nostro, l’affitto alto e il parcheggio vicino era di un privato che dopo le feste era costretto a pulire le schifezze lasciate da chi andava alle feste. con l’area ex anas si può ripartire da zero e avere un immobile di proprietà pubblica, ristrutturabile senza spendere troppi soldi (è girato un preventivo da 3 milioni che probabilmente non verrà considerato, ndr). i tempi? ci sono

all’interno dell’edificio principale (almeno 300 metri quadri) verso l’isarco, non dovrebbe dare problemi. il basso edificio con i garage potrebbe ospitare atelier d’artisti o sale prove per i gruppi. un’altra casetta i bagni, il bar e al limite una sala con l’archivio del rock altoatesino (con dischi, vecchie locandine dei gruppi storici, poster) la cui istituzione è stata approvata in consiglio l’ottobre scorso. sempre nell’area, ma verso viale trento potrebbero pure starci le pedane dello skate park che non si sa più dove mettere. se spagnolli ha ragione, questo potrebbe non è essere il classico sogno ad occhi aperti.

Foto daniel Künzler – ex anas

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roberto Bizzo – sarà parte del parco dell’innovazione”. e gli spazi ad uso culturale? “c’è un altro immobile e posso garantire fin da ora che la parte centrale potrà ospitare spettacoli”.sarà una splendida sala da poter prendere in affitto, ci si augura a cifre modiche, per concerti di media grandezza. “credo – spiega il direttore della ripartizione cultura Lampis – che a Bolzano manchi effettivamente uno spazio per la musica. ma sono altrettanto convinto che l’alumix rimanga la collocazione migliore. per le feste, forse, si può recuperare anche almeno in parte il museion” (finite ovviamente per le proteste del vicinato).il sindaco di Bolzano, gigi spagnolli, ha un’altra idea. La soluzione nuova

una serie di problemi. il primo da risolvere è che la provincia diventi, anche tavolarmente, proprietaria dell’area. poi bisognerà affrontare i vincoli che porrà l’autostrada. non è che sotto un viadotto si possa fare ciò che si vuole, soprattutto è difficile che sia concessa la possibilità di avere persone stabilmente presenti negli edifici. una volta risolti questi problemi si può arrivare all’apertura del centro molto in fretta”.speriamo che il vincolo della presenza continuativa di persone cada, perché altrimenti si torna da capo. L’area è splendida, sembra quasi concepita per farci una cittadella del rock. Le poche case residenziali più vicine sono a qualche centinaio di metri e in ogni caso, sistemando il palco

c’è e si chiama ex anas. L’associazione 4/4 da tempo lavora all’idea di recuperare l’area tra viale trento e il campo santa geltrude e prima delle elezioni, fra qualche polemica, spagnolli vi ha fatto un sopralluogo. “Questa – dice il sindaco – non è una possibile soluzione è “la” soluzione. il kubo aveva una serie di problemi. L’immobile non era nostro, l’affitto alto e il parcheggio vicino era di un privato che dopo le feste era costretto a pulire le schifezze lasciate da chi andava alle feste. con l’area ex anas si può ripartire da zero e avere un immobile di proprietà pubblica, ristrutturabile senza spendere troppi soldi (è girato un preventivo da 3 milioni che probabilmente non verrà considerato, ndr). i tempi? ci sono

all’interno dell’edificio principale (almeno 300 metri quadri) verso l’isarco, non dovrebbe dare problemi. il basso edificio con i garage potrebbe ospitare atelier d’artisti o sale prove per i gruppi. un’altra casetta i bagni, il bar e al limite una sala con l’archivio del rock altoatesino (con dischi, vecchie locandine dei gruppi storici, poster) la cui istituzione è stata approvata in consiglio l’ottobre scorso. sempre nell’area, ma verso viale trento potrebbero pure starci le pedane dello skate park che non si sa più dove mettere. se spagnolli ha ragione, questo potrebbe non è essere il classico sogno ad occhi aperti.

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Für die Weiterentwicklung einer Gesellschaft und einer Stadt ist Kultur essentiell. – Eine Kultur, der Vielfalt und Eigendynamik zuerkannt werden.

Was sonst noch passieren könnte

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ie kuLtur ist eine treibende kraft für die entwicklung unserer neugierde und offen-heit für Zukünftiges; sie hat eine wesent-

liche rolle als öffentlicher akteur, der alternative Wege aufzeigt, sie experimentiert und zum kollektiven reflektieren einlädt. Die Freiheit von auferlegten gesellschaftszwängen ist eine der grundlagen, damit kultur ein derartiger motor für die gesell-schaft sein kann, eine weitere ist die schaffung von Freiraum, in dem sich kultur entwickeln kann; ein Freiraum als physischer ort, der unbeschrieben, undefiniert oder wieder neu zu defi-nieren ist. ideal ist es, wenn solche Freiräume als öffentliche räume oder öffentliches gebäude problemlos für die kulturproduktion angeeignet werden können. es entstehen in Folge eine vielzahl von „handlungsräumen“, die prinzipiell niemanden ausschlie-ßen, strikt bewerten, von vornherein regulieren. sie geben ihren akteuren vielmehr freien raum, sprechen ihnen kompetenz und verantwortung zu, se-hen in ihnen ein wesentliches potenti-al für die Zukunft. „handlungsräume“, die vor allem „flexibel“ sind und sich auszeichnen durch spontaneität, krea-tivität, kooperation, mobilität, nicht-hierarchische Beziehungen, Differenz und die offenheit für gegenwärtige erfahrungen.Die stadtverwaltung in Bozen soll zu-künftig ein ganz bestimmtes und klar ausgewiesenes areal für ein „inter-kulturelles kulturzentrum“ zur ver-fügung stellen (interkulturell – sind wir sicher, dass wir das Wort adäquat verwenden?). Die stadtverwaltung de-finiert eine bestimmte Zone, einen zu-

künftigen veranstaltungsort. können so die dort stattfindenden ereignisse – da dann fast alles nur an einem ort passieren sollte – besser kontrolliert werden? prinzipiell würde ich den Begriff „veranstaltungsort“ in Zukunft mit „ort der kulturproduktion“ erset-zen, ein konzept, das eine bestimmte Dringlichkeit erlangt, wenn man über die schaffung eines „neuen“ ortes für die kultur in Bozen nachdenkt. ich stelle mir in einer stadt grund-sätzlich eine vielfalt an orten für eine vielfalt von Disziplinen, die in einer vielfältigen kulturproduktion tätig sind, vor. Die so oft unüberwindbaren gesetzlichen hürden und festgefahre-nen regeln, auf die man stößt, wenn man temporär einen ort für die kultur besetzen möchte, sollten aufgelockert werden. es sollte für kulturschaffen-de, künstler, Designer, musiker etc. unbürokratischer sein, öffentliche orte temporär zu nutzen, die öffentli-che verwaltung sollte sich alternativen nutzungskonzepten gegenüber tole-ranter zeigen. Die stadt sollte subkul-tur zulassen, denn subkultur ist keine gegenkultur, sondern beinhaltet eine wesentliche Dynamik der meinungs-bildung und der politischen kultur, sie emanzipiert sich von gewissen Zwangsvorstellungen, trägt zu einer differenzierten rezeption und einem alternativen Lesen bei. in der öffentlichkeit sollte zunächst dafür und für kultur im allgemeinen, verständnis geweckt werden. Die stadtverwaltung kann – vor allem wenn es um Förderung temporärer, spontaner nutzung im öffentlichen raum geht – zum wesentlichen mit-initiator werden. kultur ist eines der wichtigsten instrumente für die Wei-terentwicklung unserer gesellschaft,

Text von Angelika Burtscher, Designerin und Kuratorin Lungomare

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sie gibt einen anderen Blick auf unser umfeld; kultur schafft die notwendi-ge Distanz zum alltag, um mit dis-tanziertem Blick und einer weiteren auffassung über unser heute, unsere geschichte und unsere Zukunft zu re-flektieren. Für das morgen einer stadt ist es somit unabdingbar, eine vielfalt an kultureller produktion zu fördern! Die initiative seitens der stadtverwal-tung Bozens, einen ort für die kultur-produktion zur verfügung zu stellen, finde ich somit unter den obenge-nannten prämissen prinzipiell gut und wichtig. es sollen jedoch einige Überlegungen im vorfeld stattfinden, um einen möglichst differenzierten, offenen, flexiblen und lebendigen ort entstehen zu lassen. gut wäre es, wenn zuallererst mit einer vielzahl von akteuren aus unterschiedlichen Fachdisziplinen, mit diversen kul-turellen, sozialen und politischen hintergründen öffentliche gespräche initiiert werden. Was erwarten sich die stadtgemeinde, die Bewohner? Welches sind die Bedürfnisse diverser

promoter der kulturproduktion dieser stadt? Welche Differenzierungen sind notwendig, wenn wir von raum für Jugend und von raum für kultur spre-chen? (eine Differenzierung, die sehr wichtig ist, jedoch in den gesprächen vor der gemeinderatswahl außer acht gelassen wurde.) Der Fragenkatalog soll fortgeführt werden... ich möchte über ein mögliches szena-rium nachdenken: anstelle der kom-pletten sanierung eines gebäudes, inklusive investitionen in die einrich-tung, könnte die stadtverwaltung ein öffentliches gebäude mit wenigen mitteln zur verfügung stellen. nur das notwendigste sollte saniert, das gebäude lediglich abgesichert und mit notausgang und sanitäranlagen aus-gestattet werden. Die stadtverwaltung sollte das areal nicht institutionell ver-walten, sondern alternativ regeln. Wie wäre es zum Beispiel, wenn sich kre-ative zu einem günstigen Quadratme-terpreis dort einmieten können? Wie wäre es, wenn das nutzungskonzept des areals vielfältig wäre und perso-

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nen dort reflektieren, produzieren und konsumieren würden? Wie wäre es, wenn ein freies, interdisziplinäres ko-mitee gebildet würde, vertreten durch unterschiedliche Berufsgruppen und altersklassen, aus unterschiedlichen geografischen Ländern und mit einer vielfalt an visionen? Das komitee würde nicht verwalten, sondern bera-ten und unterstützen. einige grundre-geln sollten das areal bestimmen: ein kulturelles Zentrum, das ein neben-einander von gemeinnütziger und kommerzieller nutzung zulässt. Die gemeinnützige einrichtung zu einem niedrigen Quadratmeterpreis sollte die für den vermieter unterwirtschaftliche miete im sinn einer mischkalkulati-on über eine kommerzielle nutzung auffangen, damit die instandhaltung

wirtschaftlich tragfähig wird. schlussendlich sollten diese ideen, he-rangehensweisen und die Wertsteige-rung der kulturellen produktion als in-dikator für die Weiterentwicklung der gesellschaft, ein wesentlicher input für die stadt selbst sein, um kulturelle Diskurse und initiativen in Zukunft offener und nachhaltiger zu gestalten. Die Diskussion um das anas-gebäude zwischen virgl und trientstrasse sollte somit vor allem initialzünder für ein umdenken sein.

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Dal ma(x)xi museo alla micro piazza. Astronavi aliene atterrano nelle nostre città, ne cambiano i connotati e creano nuove morfologie. Urbane ed umane.

roLogo. iL maxxi e gli altri m.a.c.maggio 2010. L’arte contemporanea sbarca in italia. Questa una possibile sintesi delle

reazioni generate dall’inaugurazione a roma del maxxi, la grande macchina per la cultura disegnata da Zaha hadid1. come giustificare tanto entusiasmo per l’ennesimo museo, in un paese che custodisce il 50% del patrimonio culturale mondiale – secondo stime un po’ surreali – e in cui di musei “d’arte”, se ne contano oltre 3.000? La prima cosa che si può osservare è che il maxxi è un vero prototipo contemporaneo di museo d’arte. ciò in quanto ne possiede le due qualità fondamentali: ospita opere d’arte contemporanea (sulla permanenza, la quantità e la qualità delle opere si può anche sorvolare, in quanto arte contemporanea); la seconda, ancora

più importante: È un’opera d’arte contemporanea. Questo è forse il vero elemento di novità che distingue i grandi musei d’arte contemporanea dagli altri: sono essi stessi opera d’arte, e nel maggiore dei casi la più importante opera esposta. L’arte in senso stretto, il contenuto, passa spesso in secondo piano, e in estrema ratio può anche non esserci. il museo ebraico di Berlino, per esempio, importante precursore degli attuali super-musei2, è praticamente vuoto. ed è in fondo proprio il vuoto il vero soggetto esposto. il vuoto totale, irriducibile, silenzioso; il vuoto violento delle finestre che squarciano la lamiera di zinco delle facciate; il vuoto che ti prende alla gola quando attraversi la base di una grande torre trapezoidale e ti sembra di stare nel camino di un immenso forno crematorio. L’opera è il vuoto. il vuoto è

Testo di Guido Musante, architetto e giornalista DomusIllustrazioni di Vanessa Moroder

luoghi della cultura vs.cultura dei luoghi

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l’architettura. L’architettura è l’opera. Forse a causa della loro trasformazione in opere d’arte, i numerosi musei d’arte contemporanea – che chiameremo m.a.c. (l’assonanza dell’acronimo con il noto marchio di junk food non va sottovalutata...) – sorti negli ultimi anni in tutte le parti del mondo appaiono, almeno dal punto di vista architettonico, sempre più estranei alle specificità locali, e lontani anni luce da quel principio di genius loci che non molto tempo fa contava parecchi adepti nelle facoltà di architettura, specialmente italiane. i m.a.c. atterrano sul suolo come grandi astronavi, indifferenti a quello che si trova sul campo di atterraggio: fiori, campanili o moschee, non fa differenza. L’ironia è che le diverse città, pur essendo per l’appunto ’diverse’ tra loro, compiono sforzi straordinari per essere invase. e puntano a realizzare autentici gioielli, da mostrare a tutto il mondo come pietre preziose (molti m.a.c. assomigliano letteralmente a diamanti…) sperando che il turista globale le incastoni nel proprio diadema di viaggio. il primo3 m.a.c. a seguire questa strategia, e che ha aperto un’era, è stato il gugghenheim museum a Bilbao4. più che a un astronave aliena, il gugghenheim assomigliava a un meteorite. e di un meteorite ha avuto l’effetto. La potenza della sua architettura decostruttivista, a quel tempo quasi inedita, marcava un evidente contrasto con lo stato iper-localista di Bilbao, città che al tempo

versava in una grave crisi economica e sociale e l’impatto sulle cronache, di settore e non, è stato devastante.negli anni successivi i m.a.c. si sono rapidamente moltiplicati in tutto il mondo, sempre più estremi nell’architettura e capaci di attrarre l’attenzione di grandi masse, quanto

estranei e indifferenti ai caratteri culturali e architettonici

locali: il kiasma di helsinky, il centro

paul klee di Berna, il pompidou di metz; fino alla più inquietante di tutte: la kunsthaus di graz, gigantesca bolla biomorfa

cresciuta a dismisura fra i tetti, le canne

fumarie e i romantici abbaini del pittoresco

centro stiriano5. in italia, fino all’apparizione del maxxi – ma anche del suo cugino piccolo, il macro (sembra un ossimoro, ma non lo è) – la tendenza appariva piuttosto quella opposta. in alcuni casi l’arte contemporanea era contenuta, e per certi versi celata, entro magnifici e discreti involucri storici (il m.a.D.r.e. a napoli, o il castello di rivoli a torino). in altri, e stiamo pensiamo naturalmente al mart, al gigantismo e alla spettacolarità architettonica non fa riscontro una carica contemporanea altrettanto smaccata, ma piuttosto una rilettura tecno-monumentale della modernità, non priva di robusti appigli storici (il pantheon…). a rovereto, in altre parole il contenitore rispetta filologicamente il contenuto, rimanendo sul ciglio tra l’inquieto contemporaneo e il ben più tranquillizzante e popolare moderno. L’ultimo passo, breve ma non

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troppo, ci porta...alla città di Franz. nel caso del museion di Bolzano, Bozen, Bulsan, poazen (si può leggere anche al contrario: poazen, Bulsan, Bozen, Bolzano) l’intento di realizzare un museo contemporaneo non va messa in discussione. Lo spirito, mitteleuropeo, la cultura diffusa, (il reddito pro-capite)...tutto pareva la premessa ideale per la concretizzazione di un’autentica “bomba architettonica”. ma qualcosa sembra essersi inceppato nel meccanismo. L’attesa esplosione mediatico-turistica è stata minore rispetto alle aspettative, e per lo più ha riguardato l’estemporaneo clamore legato alle prime esposizioni. Quanto al museo in sé, esaurito il doveroso omaggio di alcune pubblicazioni di settore, poco o nulla da registrare. e a soli due anni dall’inaugurazione inizia a serpeggiare un pericoloso sentimento di rimozione (quando le aspettative su un luogo pubblico sono tanto alte, parimenti alto è il potenziale della delusione). il giudizio sull’opera di ksv architekten, peraltro non priva di aspetti interessanti (l’ottimo baretto all’angolo, tanto per dirne uno), non appaia affrettato o ingeneroso. il problema qui non è tanto stabilire se il museion sia bello o brutto quanto piuttosto se sia ‘forte’ o ‘alieno’. insomma, se abbia le credenziali per entrare nel circuito esclusivo del “Bilbao-club”. Forse sì, se guardiamo le lucenti scaglie in zinco sulle facciate, uguali a quelle del gugghenheim. Forse no, se si

osserva che la triplice simmetria dell’edificio – ovvero la parte destra è ‘uguale’ a quella sinistra, quella a nord ’uguale’ a quella a sud, e quella sopra ‘uguale’ a quella sotto – poco ha a che fare con l’idea di contemporaneità in architettura (provate un po’ a dividere a metà i musei di Bilbao, Berlino o gratz...). invece, se si va in piazza della vittoria, a pochi passi dal museion, e si prova a fare lo stesso esperimento con il moderno (Bruno Zevi ci perdoni), ma certamente non contemporaneo monumento di piacentini, i risultati saranno più o meno simili. in altri termini: il museion non è forse così contemporaneo come sembra.e quando la principale opera d’arte contemporanea, il museo, non appare abbastanza contemporanea, tutto diventa molto più difficile,

specialmente catturare l’attenzione… per quanti

poveri anfibi si possano mettere in croce.

epilogo. il baretto all’angolo. pare che siamo giunti alla conclusione, se non altro per

ragioni di spazio (o spazio?). abbiamo

parlato dei musei d’arte contemporanea, a loro

volta grandi opere d’arte, con lo scopo non tanto di parlare

di musei, o di architettura dei musei (si poteva fare anche con gli stadi, per esempio), quanto per osservare un modo, e un oggetto, significativo con cui la cultura del nostro tempo rappresenta se stessa. in termini più pomposi: abbiamo assunto il museo d’arte contemporanea come Luogo (paradigmatico) della cultura (contemporanea), e ne abbiamo

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osservato la sostanziale estraneità alla realtà locale....però, manca qualcosa...questo baretto all’angolo del museion... la piccola piazza davanti, densa di tavolini in metallo e protetta sull’altro lato dai retri delle case ... la gazzetta dello sport adocchiata pudicamente... il portatile su cui scrivo sbirciando il talvera con un occhio... le giovani donne che ho di fronte, che discutono di una nuova rivista d’arte, di cultura e di luoghi, e non solo, con gli occhi che brillano e la coscienza-incoscienza di chi si sta per buttare in qualcosa di nuovo, grande o piccolo che sia... Questo non è il luogo della cultura: è la cultura del luogo! non è un oggetto, un’astronave aliena carica di strenne creative e di promesse attrattive, è un modo di fare e di interagire, un pullulare di scambi informali, di sguardi di intesa e di sms di acrimonia; è una coltivazione di pratiche e di eventi visivi ed emozionali. …È così che crescono le città, aspettando che cada un nuovo meteorite.

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NOTE: (1) Zaha Hadid (Baghdad 31 ottobre 1950): archi-star nota per la capacità nel plasmare gli edifici, e forse ancor di più – deformazioni da villaggio globale – per il fatto di essere donna e ’irachena’ (in realtà naturalizzata britannica). (2) Lo Jüdisches Museum di Berlino è stato realizzato nel 1998 dall’architetto polacco-americano Daniel Libeskind, poi divenuto una superstar anche grazie alla vittoria del concorso per la ricostruzione di Ground Zero, ed è ancora oggi il suo capolavoro (per alcuni l’unico).(3) Qualcuno potrebbe sostenere che il primo “museo-alieno” sia il celebre Centre Pompidou realizzato a Parigi da Renzo Piano e Richard Rogers nel 1977, esattamente 20 anni prima del Gugghenheim. Tuttavia, malgrado l’evidente fuori-scala e il linguaggio architettonico tecno-Pop, il museo del Marais è in fondo un commosso omaggio alla retorica macchinista e cartesiana, ovvero quanto di più locale si possa immaginare a Parigi...Il Pompidou potrà sembrare un’astronave, ma certamente si tratta di un’astronave terrestre (con bandiera francese in bella evidenza).(4) Il Gugghenheim Museum di Bilbao è detto anche “il Gugghenheim di Gehry”, dal nome del suo autore, il noto architetto californiano Frank O. Gehry (in realtà canadese e registrato all’anagrafe di Toronto come Frank Owen Goldenberg).(5) La creatura risvegliata da Peter Cook e Colin Fournier assomiglia a un gigantesco carapace marziano: durante il giorno il suo guscio molle ed elastico, punteggiato da une serie di escrescenze (gli oblò cattura-luce) è visibile da ogni punto della città; di notte si accende di una miriade di led, duettando in modo singolare con le luci della città antica.

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È tutta questione di punti di vista: Paola Tognon e l’energia sostenibile dell’arte e dei suoi spazi, Pippo Ciorra e l’incontro vincente tra contenuto e contenitore.

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ipenDe Dai punti di vista, perchè parlare degli spazi dell’arte oggi è piuttosto complicato, o forse fin troppo

semplice in quanto tema aperto ad ogni istanza, interpretazione, teoria, politica, esigenza, necessità o sogno. La committenza di questa riflessione

parte da Bolzano, per l’uscita di una nuova rivista - Franz - che già si propone come spazio per le arti. Dunque lo spazio stesso di Franz, sulla rete e sulla carta, apre alla dimensione artistica e creativa facendosi luogo di esperienza e di scambio, di immagini e di parole. Franz nasce a Bolzano, città che rappresenta quella che potremmo chiamare nella dimensione odierna, una frontiera archeologica. antica vestigia di un’europa oggi sempre più strattonata e allargata dall’arte stessa che si interessa a questi luoghi in quanto tali o in quanto portatori di memorie capaci di stimolare una dimensione che supera le geografie del passato, per farsi carico di spazi e di storie che corrono ben oltre gli archi alpini o gli oceani. si aggiunga su ogni riflessione la dimensione attuale della crisi che ha lasciato a cantiere molti tra i musei e mausolei predisposti soprattutto all’arte contemporanea, interrompendo una cavalcata finanziaria che aveva fatto immaginare il sistema dell’arte come un grande gioco al quale paesi ed economie, poteri e consumi avevano dato il loro benestare in una sorta di grande euforia collettiva. ma non solo musei e dispositivi atti alla presentazione di grandi eventi, secondo lo schema di fine millennio importato nel nuovo, ma anche grandi ristrutturazioni e rifacimenti di dismissioni industriali o di contenitori storici, possibilmente predisposti alla multidisciplinarietà e capaci, secondo le intenzioni, di avviare sistemi di gestione economica ed amministrativa autonomi, al fine di trovare “nell’arte” una dimensione collettiva “tra cultura e loisir”. Luoghi oggi spesso chiusi in un silenzio assordante. non bisogna poi dimenticare tutti i precedenti dispositivi – spazi istituzionali e non – che da tempo agiscono come

Testo di Paola Tognon, critico di arte contemporanea

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spazi di cultura e in questi ultimi anni affaticati nella loro mission così come nella gestione quotidiana di risorse e attività. in questa visione, che tutto d’un tratto ci ha visti, tra latitudini e longitudini diverse, inaspettatamente similari sopra un globo che gira, sta succedendo qualcosa di inedito che non consegue solo alla calma delle case d’asta o al ritiro dal mercato

delle opere precedentemente super valutate e neppure al ritrarsi discreto ma riflessivo delle stars system. più in generale qualcosa sta cambiando perchè in molti ci siamo accorti che lo spazio dell’arte non è diverso da quello della vita e quello della vita non è diverso da quello che intimamente ciascuno di noi percepisce e partecipa ogni giorno. ma la specificità, l’inaspettatta energia sta nel fatto che

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l’arte non ha perso la sua aura così come nessuna fra le sue caratteristiche originarie e peculiari, consapevole oggi di essere matrice di un’undustria culturale e di un’indistria creativa di cui è nucleo e non più abbellimento o economia residuale dentro forze sociali ed economiche che ne dirigono l’andamento. Questa consapevolezza è oggi lo spazio dell’arte e la sua scommessa, uno spazio che la pratica artistica e il sistema stesso dell’arte ha anticipato con un processo di penetrazione e diffusione oltre le frontiere e gli spazi predisposti o concessi e mediante mezzi e strumenti liberi di muoversi tra tradizione e innovazione, tra ricerca e sperimentazione.sembra dunque che l’arte possegga un’energia non solo sostenibile, ma anche ecocompatibile e in grado di farsi carico di una “ripresa” indicando una direzione e uno spazio nel quale continuare a costruire. Questo solo può spiegare la corsa di questi ultimi giorni (giugno 2010) ad art Basel, la

fiera d’arte più importante nel mondo dove collezionisti, appassionati e visitatori si rincorrono per i corridoi, fanno lunghe code per vedere le installazioni o le proiezioni a porte chiuse, chiedono prezzi e acquistano opere, assalgono navette e visitano musei e mostre del territorio... una fiera che svela la presenza di arti- e archistar ma anche quella di artisti meno conosciuti e provenienti da nuove geografie post orientali, la compresenza di opere “museali” (per una dicitura da vecchio millennio) e di opere minimali, la possibilità di acquisto per tutte le tasche ma soprattutto la voglia di vedere, vivere, possedere, lasciarsi vivere e immaginare. proprio art Basel, con il suo unlimited (un padiglione della fiera distaccato e felicemente più sobrio) sembra oggi lo spazio più vitale: grandi opere, installazioni, performance e discussioni che difficilmente possiamo trovare altrove, di cui artisti e galleristi si fanno carico, ben prima delle istituzioni,

Foto altrospa zio, roma – macro, Galleria

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e che vedono un flusso continuo di spettatori/attori, bambini e scolaresche. un segnale, come quello dello studio di archiettura Dsr di new York (Diller, scofidio e rentro) che, su committenza maxxi e con la cura di pippo ciorra per la mostra “spazio” ha scelto di esprimersi tatuando il muro stesso del maxxi, giorno per giorno, per tutto il tempo dell’esposizione: il museo come corpo, un corpo che può essere tatuato e trasformato il giorno stesso della sua nascita. e poi riviste, siti, residenze, premi, amici e amici dell’arte, associazioni di collezionisti, gruppi di artisti, nuove gallerie, accademie straniere e istituti di cultura, visite agli studi e in generale nuove forme aggregative per fare e vivere l’arte: il nucleo della partita. Questa è oggi la scommessa: impara l’arte e non metterla mai da parte. in primo luogo perchè è un motore potentissimo, capace di muovere energie sostenibili di cui il nostro patrimonio è miniera in crescita – se solo lo vogliamo –, in secondo luogo perchè è motore di senso. certo allora la scommessa deve essere giocata da tutte le parti, da tutti i suoi attori. costruire spazi per l’arte, mantenere la loro vitalità, proteggerne l’integrità e l’attività senza pensare che i numeri dei visitatori e l’immediata convenienza economica ne siano necessario e immediato salvacondotto devono comporre una progettualità difesa e condivisa con la consapevolezza di costruire in positivo e su lungo orizzonte. così come il sogno vissuto a roma, in un maggio soleggiato e insieme piovoso che, dopo 10 anni di cantiere, ha visto aperte le porte del macro e del maxxi. un sogno che deve continuare a essere sostenuto e giocato.

eL maggio 2010 roma si è svegliata e si è ritrovata all’improvviso culla dell’arte contemporanea. a parte

la fiera, che comunque è alla terza edizione e che è entrata in risonanza virtuosa con gli altri musei, nell’ultimo weekend del maggio 2010 i romani hanno potuto finalmente festeggiare l’apertura definitiva del maxxi e l’inaugurazione “architettonica” (3 giorni di visite e se ne riparla in autunno) del macro, museo comunale di arte contemporanea.sui media, soprattutto quelli locali, la sovrapposizione degli eventi si è rapidamente trasformata in una specie di derby tra le due “archistar” internazionali: l’angloirachena Zaha hadid, ormai consacrata dal premio pritzker e inserita nella lista delle 100 persone più influenti del mondo, per il museo del xxi secolo; la francese odile Decq, tenera pasionaria tardopunk dell’architettura “d’avanguardia”, per l’addizione allo spazio espositivo di via reggio emilia. in effetti la potenza espressiva dell’architettura ha un ruolo importante in entrambi i progetti museali. La hadid fa essenzialmente due cose speculari: proietta il museo all’esterno in un grande spazio pubblico urbano nel quale la città e l’arte possono sfiorarsi, confondersi, eccitarsi a vicenda, dialogare molto da vicino; porta il movimento urbano all’interno delle gallerie, che si intrecciano e si sovrappongono, costruiscono un paesaggio fatto di pause e accelerazioni, distruibuiscono opere,

Testo di Pippo Ciorra, curatore per l’architettura del Maxxi

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installazioni, miniarchitetture nello spazio fluido del museo. La Decq ha un compito da una lato più facile, per le ridotte dimensioni dell’intervento e dall’altro particolarmente difficile, per la necessità di relazionarsi a una parte esistente e non particolarmente riuscita. anche in questo caso la soluzione proposta dalla progettista sembra convincente: l’addizione al museo è una specie di scatola magica grande e vuota, fatta di spazi distributivi e di una grande sala espositiva. Dentro la scatola c’è una scatola più piccola lucida, arancione come un’aragosta, che contiene l’auditorium e altri spazi. se è vero che l’attitudine spettacolare dei due edifici ha finito per distogliere lievemente la discussione dai contenuti delle mostre, almeno nei primissimi giorni, mano a mano che la vita dei musei, in particolare il maxxi, prende il suo ritmo regolare, si può

cominciare ad osservare meglio il progetto curatoriale e la sequenza delle esposizioni. in particolare per quel che riguarda la mostra spazio, inevitabilmente depositaria della corporate identity del museo, fatta da una selezione della collezione di arte e da una serie di progetti di architetti fatti su committenza del museo. soprattutto questi ultimi appaiono come misuratori del buon occhio del museo su quello che si muove nel mondo, per la loro capacità di indagare le relazioni tra una disciplina in perenne crisi, un museo forte e spettacolare e una realtà che chiede continuamente agli architetti di ridefinire il proprio ruolo e il proprio “spazio” dentro la società.

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