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Culture on web and paper

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franzmagazine.comCULTURE ON WEB AND PAPER NOVEMBRE NOVEMBER 2010

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INDEX

PUBLISHERINSIDE COOPERATIVA SOCIALE

EDITOR IN CHIEFFABIO GOBBATO

CREATIVE DIRECTIONANNA QUINZKUNIGUNDE WEISSENEGGER

EDITORMARCO BASSETTI

ART DIRECTIONRICCARDO OLOCCODANIELE ZANONI

PHOTO DIRECTIONALEXANDER ERLACHER

TEXTMARCO BASSETTIMAGDALENA GASSERHEINRICH SCHWAZERDAVID UNTERHOLZNERYOMOVANJA ZAPPETTI

PHOTOTIBERIO SORVILLOMICHELANGELO AGOSTINETTOFLICKR

ILLUSTRATIONSLAURINA PAPERINA

THANKS TOWALTER GARBERMATTHIAS MÜHLBERGER

COVER FRANZ PAN, 42ADVENTURERBY TIBERIO SORVILLO

COLOPHON

4. WHY IS IT SO HARD?di Vanja Zappetti

10. DIE SPATZEN SIND WIRvon Heinrich Schwazer

15. DAS LEBEN IST SCHÖNdi Yomo

18. DER ELEKTRONISCHE SOUND VON MELANZANIInterview von David Unterholzner

25. FROM HERE TO ETERNITY… de Magdalena Gasser

28. FREI.WILD di Marco Bassetti

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EDITORIAL

culturale altoatesino – sarà l’aria buona

che respiriamo, sarà la ricchezza di un contesto multietnico, saranno gli effetti benefici del modello autonomistico – è fecondo.

Forse anche al di là di una reale consapevolezza da parte dei cittadini

e dei diversi attori coinvolti nel “sistema cultura”. Un potenziale enorme, non del tutto espresso, su cui forse varrebbe la pena investire con più convinzione e coraggio. Lungo la direzione, ad esempio, seguita da esperienze di successo come Upload, Circuito sonoro festival, Vintola18 e Pippo.stage.Ecco allora che una mappatura delle diverse esperienze musicali eccellenti emerse dal contesto altoatesino, può risultare utile per guardare al futuro con più fiducia e per progettarne, con maggiore cognizione, gli scenari. Il risultato, inevitabilmente parziale, di tale mappatura può essere consultato nelle pagine seguenti. Si potranno poi, mappa alla mano, immaginare nuovi percorsi.

Marco Bassetti

Gli Eugénie ce l’hanno fatta. Vincendo Rock Targato Italia (concorso che in passato ha lanciato band come Timoria e Marlene Kuntz), hanno ricevuto il massimo riconoscimento italiano per quanto riguarda le band emergenti. Raggiungendo dopo anni di concerti e sudore una visibilità a livello nazionale, gli Eugénie sono tra quegli artisti locali che stanno dimostrando sul campo che il loro valore va ben al di là dei confini provinciali. Non sono poche, del resto, le esperienze in campo musicale nate e cresciute in Alto Adige che sono uscite dalla ristretta etichetta di “realtà locale”. Eccellenze altoatesine note e meno note, da Giorigio Moroder, pioniere dell’elettronica e star del firmamento musicale internazionale, fino al “suonatore di verdura” Ulrich Troyer, membro della Vegetable Orchestra di Vienna. Tuttavia, si sa, non è tutto oro quel che luccica e il fenomeno Frei.Wild, campione di incassi in Germania, sta a dimostrarlo.Anche se non forse esiste (ancora) una vera e propria scena musicale locale, una cosa pare indubbia: l’humus

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franz 4 – Novembre 2010 4ANDREA MAFFEI

ANDREA POLATO

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HIAMATI ALLO svolgimento: quelli che ce l’hanno fatta. Artisti in musica che, di tanto o di poco, abbiano valicato gli angusti confini

della dimensione locale grazie alle proprie doti.Certo, riuscire a proporre la propria musica su palchi nazionali è difficile un po’ ovunque, ma – dati alla mano – dalle nostre parti risulta storicamente impresa ancora più titanica.I famosissimi ‘operatori professionali in musica’ nostrani sono veramente pochi: Giorgio Moroder e i Kastelruther Spatzen, sono le uniche vere star uscite da qui. Scendendo di un gradino, tra chi abbia, o abbia avuto, almeno temporanea fama, ci sono Bastard Sons of Dionyso, Graveworm, Frei.Wild, Goran Kuzminac, Skanners, Daniele Groff e pochi altri.Poi arriva il mondo di quelli che hanno fatto strada nel sottobosco, nella nicchia, di chi si costruisce il rispetto altrui grazie a professionalità unita a fatica e passione, nella penombra: il numero di costoro si allarga, ma rimane

assolutamente scompensato rispetto alla realtà media italiana.Eppure qualcosa si muove, artisti nostrani mettono il naso sempre più spesso fuori dai confini regionali, meritandosi sempre più di dismettere l’etichetta di artista ‘locale’.E quindi, why is it so hard? Is it really still so hard?Rispondono, in quella che vuole essere vista come una piccola inchiesta senza pretese di scientificità: Bartolomeo Sailer in arte Wang Inc.: ha all’attivo, a partire dal 1999, 2 album, 4 singoli, svariate compilation per etichette di tutto il mondo. Dal vivo s’è esibito in vari importanti festival, tra tutti TRANSART (IT), Arezzo Wave (IT), Synch (GR), Dis-patch (SER); oggi inoltre cura l’etichetta 40033records. Vive a Casalecchio di Reno.Andrea Polato, batterista del cantautore londinese Ed Laurie, ha suonato nei 90s negli Zoe, per poi trasferirsi a Londra dove s’è diplomato nel 2001 alla LMS (London Music School). In Inghilterra ha pubblicato un EP con gli WOPS (Rough Trade UK), poi sono arrivati i lavori, in studio e dal vivo, con

Why is it so hard?

Testo di Vanja Zappetti, storico e promotore culturale

Moroder e Kastelruther Spatzen sono la punta dell’iceberg. Sotto si muove una galassia di musicisti che tentano di valicare la dimensione locale

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Ed Laurie, (un EP con la californiana DangerBird, un album per la francese Tòt ou tard ed un prossimo lavoro in uscita nel 2011). A Bolzano, dove vive pur gestendo la propria agenda internazionale, suona con Fatish, Julius Bana e Satelliti. Andrea Maffei, cantautore e frontman della Spritz Band, ha vinto due volte il Premio Recanati per la Canzone d’Autore ed altri vari premi nazionali. Ha pubblicato tre album di canzoni proprie più un disco dedicato a Fabrizio De Andrè (e c’è del nuovo in lavorazione) e suoi brani appaiono in numerose compilations. Vanta una presenza al festival Suoni delle Dolomiti e ultimamente è stato organizzatore e protagonista di uno splendido concerto all’interno del carcere di Bolzano.Oscar Ferrari, cantautore diretto, è stato finalista al Festival di Sanscemo (TO) nel 1991, 1992, 2001 (terzo classificato assoluto, con la mitica “Tientela”) e 2002 ed ha vinto il Festival Satira in Note (AP) per tre volte (1991, 1992, 1994). Ha tre dischi all’attivo, pubblicati tra il 1991 ed il 1999. Vive a San Giacomo.Davide Ferrazzi, leader degli Eugénie, è cantante e chitarrista attivo dalla fine degli ‘80: Gloomy Solution, Maladea, Mida, Zoe, We and Them, Fiori di Lillà, fino ad arrivare agli Eugénie, band con tre dischi all’attivo e recentemente vincitrice di Rock Targato Italia. Tre volte sul palco di Arezzo Wave, pubblicazioni audio e video in quantità. Vive a Bolzano.

Prima di tutto: qual è il picco d’orgoglio della vostra carriera, quello assoluto e quello dell’ultimo anno?

Wang Inc. “Nel 1999, quando mi hanno pubblicato il primo disco per la Sonig. Ho camminato a mille metri da terra per mesi. E per quanto

riguarda il 2010 accorgersi che con una piccola etichetta online senza alcuna promozione si riesce a vendere qualcosina” Oscar Ferrari: “Aver palpato in diretta i testicoli a Daniele Piombi. Non per il piacere in sè, ma per averlo fatto sei mesi prima che Benigni lo facesse a Baudo. A quello del 2010 ci sto ancora colando.”Andrea Polato: “Per me su tutto i live in Olanda e Francia come opening per Ane Brun e Vincent Delerm e il solo di Parigi al Cafè de la Danse. Per il 2010 la lavorazione tra Londra e Roma del disco d’esordio dei Fatish, il live dei Julius Bana al Carambolage e la nascita dei Satelliti.”Davide Ferrazzi “In assoluto non ne ho uno ben definito, diciamo che lo sto ancora aspettando. Nel 2010 aver vinto Rock Targato Italia”Andrea Maffei: “La vittoria del primo Premio Recanati, credo. E quest’anno il recente concerto in carcere, avvenimento che va ben al di là della soddisfazione professionale”

Grazie a quale fattore, a vostro parere, siete riusciti a portare la vostra musica fuori dalla nostra regione?

Wang Inc. “Fattori molteplici: andarsene da Bolzano ed essere nel posto giusto al momento giusto (la Bologna capitale dell’elettronica negli anni 90) ha aiutato. E la dea bendata pure, poiché diedi un demo a degli amici dj che avrebbero suonato a Torino prima dei Mouse on Mars, loro diedero il demo ai Mouse on Mars che se lo ascoltarono tornando in auto a Colonia, e mi arrivò la famosa telefonata.”Andrea Polato “Pur pensando d’aver fatto ancora molto poco per poter parlare di ‘mia’musica, la maggior parte dei contatti li devo all’esperienza

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inglese. In generale credo che dipenda al 98% da quanto ci si sbatte. Nulla arriva dal niente, c’è bisogno di costante lavoro e di fare attenzione a non sprecarlo: perfezionarsi sempre e farlo sapere a più gente possibile. Quando ci si rende conto che si ha la possibilità di dire di no, vuol dire che si è sulla strada giusta.”Oscar Ferrari “Senza falsa modestia, per l’originalità dei testi.”Andrea Maffei: “Gran lavoro e poca promozione, ma appena qualcosa filtrava, qualcosa succedeva. Certe volte ci vediamo come dei ‘fighetti’ della musica legger/rock/autor, ma alla fine la nostra puntigliosità nello scrivere ed arrangiare ci ha premiati.”Davide Ferrazzi “Costanza, abbattere i muri di gomma a testate, sapendo che questi ti respingeranno!!! E poi ancora testate e poi ancora costanza.”

Quanto e in che forma è importante la musica quale elemento culturale degli ultimi cinquant’anni?

Oscar Ferrari “L’andare ai concerti ha la stessa importanza che per le generazioni precedenti aveva l’andare a messa”Andrea Polato “Io penso alla musica come ad un puro strumento d’intrattenimento, fisico o spirituale che sia. Oggi a causa della massificazione di alcuni stereotipi, vedo un po’ smarrita la voglia di cambiare, l’idea di rivoluzione e s’è spesso fermi a rivivere o riciclare elementi del passato piuttosto che rischiare e vivere il proprio tempo. Mi domando se abbiamo qualcosa da dire…”Davide Ferrazzi “La musica è cultura pura, ma è bene educare l’essere umano all’ascolto. Questa è la cosa più difficile, perchè la musica non è solo ciò che ci propina la tv o la radio, ma è una ricerca interiore ed è un’arte libera e

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DAVIDE FERR AZZI

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con il più alto potere immaginifico.”Wang inc. “La musica è sempre presente, dalla doccia al supermercato. Il problema grosso è che spesso non è di qualità ed è imposta. Ci vorrebbe una rivoluzione per toglierci dalle orecchie i suoni del commercio.”Andrea Maffei “La musica è un elemento aggregante, uno stimolo per prendere sul serio la vita, leggerla in modo diverso, più serenamente e più a fondo. Credo che la musica ci tenga ben lontani da moti insensatamente violenti. Ci avvicina ai sentimenti e ci allontana dalla superficialità.”

Perchè, a vostro giudizio, è risultato così difficile per BZ/TN esportare musicisti al di fuori delle mura regionali?

Wang Inc. “Secondo me non è una questione di province o di luoghi. Si tratta di talenti. Ogni tanto ci sono

ogni tanto no. Da Bolzano è uscito Moroder per esempio che ha inventato un sound noto in tutto il mondo. E ci sono tanti altri esempi magari di minor popolarità.”Andrea Polato “Qui è dura come in ogni altra realtà che non sia la metropoli dove tutto gira e gira al di là di quella che è la proposta. La nostra terra ha una buona percentuale di musicisti di qualità: un problema evidente è la mancanza di confronto che limita l’evoluzione di un progetto. L’esperienza live è fondamentale e favorisce la definizione del carattere di una band. Le canzoni possono essere buone però la personalità d’un gruppo, senza live, non cresce.Non abbiamo un contatto diretto con il mercato, non esiste ancora una vera e propria scena, i progetti muoiono ad uno stato ancora embrionale, anche perché spesso ci si siede e si aspetta che le cose

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capitino…magari fosse così comodo!!!”Oscar Ferrari “Non è affatto stato difficile, chiaro che abitando a Roma o Milano puoi andare tutti i giorni a rompere le scatole ai discografici, ma questo è fisiologico”Davide Ferrazzi “Paghiamo il fatto d’essere assolutamente deecentrati rispetto alle capitali musicali italiane come Roma, Milano, Firenze e Bologna”Andrea Maffei “Fino agli anni ‘80 credo che i centri della musica ‘leggera’ fossero ben definiti: Bologna, Modena, Genova, Roma, Milano, Napoli...Bolzano era molto lontana, troppo lontana e forse poco ‘credibile’ (ci immaginavano a pascolare mucche tra la neve alta tutto l’anno). Dopo gli anni Ottanta anche da noi si è cominciato a fare sul serio. Nascevano e si proponevano grandi musici con belle tecniche e velleità. Contemporaneamente però questo successe anche altrove, un po’ tutti alla

ricerca dei suoni, della loro pulizia, della grande tecnica. Perciò si ritorna inevitabilmente al primo motivo: siamo troppo lontani dai grandi centri della musica, ma mi piacerebbe discuterne con qualcuno più illuminato di me.”

Varie ed eventuali e libere dichiarazioni

Andrea Polato “Mi trovo a essere stranamente ottimista per il futuro, ma non so ancora perchè. Rimane il pallino degli States e dopo aver conosciuto un po’ di musicisti di fuori, sia per l’esperienza all’estero che per i live locali, il prossimo anno spero farmi un giro a New York e di rimanerci un po’.”Davide Ferrazzi “Spero vivamente che qualcuno di noi musicanti regionali senza bandiera riesca ad uscire da questa feccia e ricordatevi: più umiltà e collaborazioni tra di noi e poi le cose si cambiano!!! Insieme, e non è una dichiarazione per essere accomodanti, nè una frase fatta, parola di Dade.”Oscar Ferrari “Fosse per me abolirei i finanziamenti diretti agli artisti, in questo modo vengono solo premiati i mediocri.”Andrea Maffei “La scena musicale nostrana è diventata molto ricca e molto ben preparata. Mi si allarga il cuore quando seguo le rassegne musicali o mi ascolto un gruppo di ragazzi. Tuttavia, credo che chi si immerge in questa benedizione che è la musica, debba avere i piedi ben piantati a terra, ascoltare la musica che gira intorno e capire se la propria è così particolare o nuova da essere proposta e meritare una registrazione in studio. Bisogna ascoltare e rispettare il lavoro dei gruppi o dei musici che si incontrano nel nostro cammino: è insopportabile nelle rassegne di gruppi, vedere una band che arriva poco prima di salire sul palco per il proprio turno e andarsene subito dopo.“

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Die Spatzen sind wirDie Südtiroler Musikanten sind, um es in einem politischen Vergleich auszudrücken, die kulturelle Durchführungsbestimmung der Autonomie.

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IE SIND DIE KILL BILLS der volkstümlichen Musik. Man kann sie wahlweise als die brillanteste Combo des volkstümlichen Weltkreises beschreiben oder als Rache

des Hochplateaus an der Erfindung des Radios. Wobei sie selbstredend davon ausgehen, dass das eine ohne das an-dere gar nicht geht. Mit Sicherheit sind sie im Guten wie im Schlechten die einflussreichste Band, die dieses Land je hervorgebracht hat. Und nirgends naht Rettung. Wer das nicht glauben kann oder will, führe sich ein paar nackte Zahlen zu Gemüte. Die Kastelruther Spatzen sind das mit Abstand erfolgreichste kulturelle Exportpro-dukt aus Südtirol und mehr oder weniger das einzige, das ohne Subventionen auskommt. Während die Hochkultur mit Millionen durchgefüt-tert werden muss und im Grunde nichts als eine Vertei-lung von Steuergeldern von unten nach oben ist, sind die belächelten Spatzen ein volkswirtschaftlicher Faktor für das Hochplateau und darüber hinaus. Mehr als 15 Millionen Platten hat die Gruppe um Norbert Rier verkauft, 13 Mal haben sie den deutschen Mu-sikpreis „Echo“ gewonnen, 8 Mal die Krone der Volksmusik, ihr Konzert-kalender umfasst jährlich an die 100 Auftritte in den größten Hallen, fast jährlich bringen sie eine neue CD her-aus, die sich mit wenigen Ausnahmen zu Bestsellern entwickeln, 110 goldene Schallplatten haben sie in 25 Jahren

erhalten, das Spatzenfest in Kastelruth wird alljährlich von bis zu 50.000 Fans gestürmt. Keine andere deutschspra-chige Popband von Rammstein bis Tokio Hotel kann mit ihnen mithalten und sie sind in der schnelllebigen Pop-welt scheinbar absolut krisenfest. In ihrem Windschatten etabliert sich gerade eine neue Generation von volks-tümlichen Schlagersängern, die die volkstümlichen Charts scheinbar nach Belieben okkupieren. Allen voran Belsy & Florian, die im August dieses Jahres den Grand Prix der Volksmusik gewon-nen haben – eine Auszeichnung, die

das Adoptivkind aus Indien bereits 2006 mit dem Leiferer Rudy Giovannini

errungen hatte.Giovan-nini, „der Caruso der Berge“ wie ihn seine Fans getauft haben, hat eine klassische Gesangsausbildung

als Tenor hinter sich, seine enorme Popu-

larität in Deutschland jedoch erlangte er mit

volkstümlichen Melodien und religiös verschnörkelten Texten. Bevor die Nachbarn in dieser Domi-nanz der Südtiroler auf dem Millionen-markt der volkstümlichen Musik etwas fundamental Ungerechtes vermuten, sollte man sie über mögliche Gründe darüber aufklären. Die ist nicht vom Himmel gefallen, sondern Ausdruck eines nicht zuletzt politischen Trends zur Regionalisierung, den die Musik-industrie geschickt auf ihre Mühlen zu lenken vermochte. Was die anderen erst lernen mussten, haben die lustigen Südtiroler Musikanten quasi genetisch gepachtet. Sie sind, um es in einem po-

Svon Heinrich Schwazer, JournalistIllustrationen von Laurina Paperina

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litischen Vergleich auszudrücken, die kulturelle Durchführungsbestimmung der Autonomie. Wenn die Gleichzeitigkeit des Un-gleichzeitigen die gegenwärtige globale Verfassung ist, dann sind die Spatzen die Prototypen des regionalistischen Reaktionsmusters darauf. Sie sind die ideale Verkörperung eines Eklek-tizismus, in dem das Neue und das Vertraute, die Überraschung und die Redundanz, die Erstmaligkeit und die Tradition Hand in Hand gehen. Vor-aussetzung dafür sind Songtexte, die

nichts als ein mediales Rauschen von Zitaten erzeugen. Sie tun nicht gut. Sie tun nicht weh. Sie tun gar nichts.Dazu kommt die Hungersnot der Mu-sikindustrie. Irgendwann in den 80er Jahren schauten die Musikmanager in ihre Bilanzen und was sie sahen, stimmte sie traurig. Die letzten Tage von Disko waren angebrochen, die Um-sätze fielen, der Schlager, in den 60er und 70er Jahren noch Publikumslieb-ling ohne Nebenbuhler, war in Ungna-de gefallen. Etwas Neues musste her, um die Maschine wieder anzuwerfen.

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Die in den 80er Jahren auf breiter Ebene einsetzende Erfolgswelle volks-tümlicher Musik in den deutschspra-chigen Ländern kam zur rechten Zeit. Das rasch expandierende Label Koch Records aus dem Lechtal war eine der ersten Produktionsfirmen in Europa, die eine Lizenz für die CD-Produktion erwarb. Innerhalb weniger Jahre baute Koch die Kastelruther Spatzen und das Nockalm Quintett zu internationalen Stars auf. Parallel dazu wurde von Me-dienunternehmen mit Sendungen wie Musikantenstadel und Grand Prix der

Volksmusik eine Art MTV der Volks-musik installiert und die enorme Zug-kraft von an alpenländische Folklore angelehnter Musik zusätzlich forciert. Selbst das großstädtische Publikum, das in den 50er und 60er Jahren noch dem Schlager gelauscht hatte, wurde zum Fan von Rier, der auf seinen Clips stets symbolträchtig über die Seiser Alm zu stapfen pflegt. Mit naturburschenhafter Authentizi-tät hat diese Inszenierung jedoch nur insofern zu tun, als sie ihren Segen von ganz woanders her hat. Niemand geht

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mit der Identität lockerer um als die volkstümliche Musikszene. Unbeküm-mert mixt sie Elemente der lokalen Volkskultur, putzt diese poppig auf und vermarktet das Ganze mit hochprofes-sionellen Mitteln auf dem millionen-schweren Herz-Schmerz-Markt. Ihre Musik ist zwar wie geschaffen, um die eingeübte Kulturkritik auf den Plan zu rufen, insofern es nicht um das Wah-re, Schöne und Gute, sondern um die Zahl der verkauften Platten geht, aber gerade sie sollte man zurückstellen, bis man das gesamte Szenario überschaut.

Die Spatzen sind die Antwort auf die Frage, wie man mit der Vielfalt der Identitäten sein Auskommen finden kann und wer würde es angesichts der zehntausenden Fans wagen zu sagen, dass sie ohne Herz sei. Die Spatzen sind wir.

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O VISTO COSE che voi umani non potreste immaginarvi, fiumane di persone sorridenti infiammarsi per le

canzoni dei Kastelruther Spatzen, orde di volontari, anche minorenni, trasportare boccali di birra verso vigorosi uomini virgulti che, a discapito della loro immagine abominevole, canticchiavano parole d’amore mielose con una voce roca mentre sotto braccio si dondolavano stretti al vicino di tavolo.Ho visto pullman moltiplicarsi a perdita d’occhio, automobili riempire praterie infinite, camper per chi vuole campeggiare e tende per chi vuole intendere.Ho visto l’illusione del Dirndl applicata a qualunque essere di sesso femminile, ovvero: “non importa che taglia hai,

ora hai affidato a noi le tue tette e adesso tocca a noi farle esplodere verso l’iperspazio”.Ho visto che forse è ora di smetterla con questo parafrasare Blade Runner.Ma perché fermarmi se funziona?Ho visto, anzi mi hanno fatto notare, che questa festa si ripete oramai da 25 anni, ogni anno identica, ogni anno con la stessa formula: birra, schnitzel, volksmusik e quanti più concerti i passerotti di Castelrotto riescono a fare.Una festa di 3 giorni dove il gruppo che l’organizza, mosso forse da un delirio di onnipotenza, suona 5 volte. Qualunque altra band sarebbe additata come egocentrica, loro no. Loro muovono intere nazioni, loro hanno venduto milioni di dischi, loro hanno più fedeli della Madonna di Medjugorje, loro regalano i cd al Papa, loro sono diventati i patroni di una località, loro

di Yomo, birdwatcher

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Das Leben ist schön

Spatzen Fest 2010, Castelrotto. Se migliaia di persone si riuniscono per adorare degli uccelli, vuol dire che mi sono perso qualcosa

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hanno un’etichetta discografica, loro sono i re del Pop, più di chiunque altro.Stipate dentro un tendone di dimensioni apocalittiche ci sono 14.000 persone felici, e vorrei sottolineare il felici perché non è una cosa facile. Non parlo di una felicità costruita, indotta magari da comici o da situazioni divertenti, parlo di una felicità insita nel sangue di ogni possessore di un cd dei Kastelruther Spatzen.Una felicità istintiva, quasi ereditaria, del tutto inconsapevole.Incomprensibile per un italiano cresciuto con miliardi di canzoni a sfondo depressivo. Forse la nostra tradizione musicale prevede di relazionarsi all’amore come un fondoschiena si relaziona ad una tavoletta del water piena di pezzi di vetro: sa’ che dovrà averci a che fare ma sa’ anche che farà malissimo.Ma la vera assurdità è che non si può più parlare di fenomeno, dopo 25 anni e milioni di dischi non si è più fenomeni. Si diventa dei Re.Dei Re innocenti che diffondono un amore puro, circondato da una fede ineccepibile e una presenza scenica

improbabile. A guardarli sembrano timidi, insicuri. L’adone a centro palco tiene in mano il microfono quasi controvoglia, come se fosse un estensione inutile della sua candida voce che gentile accarezza le orecchie di un pubblico di anziani libidinosi e giovani scopritori del genere.Perché se credete di trovare solo ottuagenari qua sopra vi sbagliate di grosso. Una nuova generazione di ragazzi si sta avvicinando a cotanta tradizione, attratti forse dalla birra o dai seni in esposizione, oppure da quel continuo dondolare addosso ad un estraneo.Non lo sò.Non capisco che differenza ci sia fra una canzone e l’altra, non capisco come posso aver imparato già a memoria un ritornello sentito per la prima volta pochi secondi prima. Non capisco, come puoi tenere botta per più di 25 anni senza cambiare di una virgola il tuo stile?Il continuo reinventarsi ha reso Madonna l’icona che oggi è. La stravaganza di Lady Gaga la fa restare al centro dell’attenzione del pubblico.

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Qua ciò che ha fatto più scalpore sembra essere stato il giorno in cui il cantante Norbert ha deciso di togliersi lo spazzolone di baffi sotto il naso.Ma forse è proprio questo il segreto, rimanere “Immer noch ... wie am ersten Tag”. Non sorprendere, non cercare di stupire. Conquistare il mondo restando fermi, impassibili, come le montagne attorno a Castelrotto. Diventare qualcosa che si insinua, una specie di “un, due, tre, stella!” con un entità che vince sempre. Non lo sai, ma anche tu un giorno potresti diventare un fan dei Kastelruther Spatzen.Loro non hanno fretta, hanno le loro centinaia di date ogni anno a tenerli impegnati, ma ti aspettano.Tu continua pure ad andare in discoteca, a credere che Vasco sia il migliore. Continua ad ascoltare Metal, a convertirti all’Indie. A loro non interessa, loro ti aspettano, hanno pazienza.Un giorno ti sveglierai sentendo l’irrefrenabile desiderio di cambiare qualcosa nella tua vita e sarà quello il momento in cui loro arriveranno. Magari sotto forma di una ragazza/o appetibile il cui unico desiderio è quello di farti conoscere la sua storia attraverso i prodotti della sua terra. E dopo averti rimpinzato con Speck e Knödel, senza neanche sentire il cambiamento, ti toglierà dallo stereo della macchina il cd dei Faith No More per metterne uno dei Kastelruther Spatzen.E sarai felice, saranno dentro di te.Li guarderai tutti e sette fissi negli occhi mentre sorridenti ti saluteranno dalla copertina di quello che oramai sarà diventato il tuo nuovo credo. Solo allora capirai quanto tempo hai buttato dietro i dubbi, dietro alle complessità di chi si pone domande.Loro ti abbracceranno e dondolando lentamente verso il futuro, sarai uno di

loro.Sono convinto che, se lo volessero, sarebbero capaci di far sfanculare il comunismo al miliardo di Cinesi che popolano la terra, prendendoli tutti uno per uno.Loro continueranno a crescere, portando in alto l’idea di un amore allegro scandito dal battere unisono delle mani di una massa sempre più adorante e assuefatta.Nessuno li potrà fermare.

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Elektronischer Melanzani-SoundUlrich Troyer über organische Melodien, die Vergänglichkeit von Kürbis und Karotte und die Improvisation auf platzendem Gemüse.

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Interview von David Unterholzner, Doktorand

LRICH TROYER (*1973 in Innsbruck, aufgewachsen in Nordtirol, Vorarlberg und Südtirol) studierte von 1992

bis 2002 Architektur an der TU Wien und als Gasthörer an der Universität für Musik und Darstellende Kunst Wien. Er lebt und arbeitet als freischaffender Künstler und Musiker in Wien. Seit 2005 ist er Mitglied des

Gemüseorchesters (The Vegetable Orchestra). Sein Arbeitsgebiet erstreckt sich hauptsächlich auf Soundtracks für Tanztheater und Film, elektronische Musik, Tuschzeichnung und Trickfilm.

Seit wann spielst du im Gemüseorchester und wie kamst du dazu?

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Ich bin seit 2005 Mitglied des Orchesters. Nach 7jährigem Bestehen suchte das Orchester damals nach Verstärkung. Zeitgleich mit mir wurden auch noch Susanna Gartmayer und Jürgen Berlakovich

aufgenommen. Das Gemüseorchester hatte ich schon 1998 bei einem der ersten Konzerte in Wien gesehen und im Lauf der Zeit einige der Mitglieder persönlich kennengelernt.

Das Gemüseorchester:Gebraus, Geräusch, Gemüse

Das seit 1998 bestehende 11köpfige Ensemble benützt Gemüse, um Musik zu machen. Klingt abenteuerlich. Hört sich aber auf ihrer eben erschienen CD ausgereift, professionell und erstaunlich gut an.

ER BEIM Gemüseorchester den Verdacht hegt, es handle sich um den kurzweiligen

Spaß, mit Essen Musik zu fabrizieren, wird schon nach den ersten Takten eines Besseren belehrt. Der Sound überrascht – so sehr die Idee als solche experimentell und gewagt klingen mag: Eindringliche Beats verwinden sich mit grellem Sausen, sanftem Trippeln und

einem Plätschern, das sich wie Regen anhört. Euphonische Geräuschkulissen wandeln sich zu griffigen Riffs, die stark in die Nähe elektronischer Musik geraten und sich zu tanzbaren Rhythmen wandeln. So treiben Kürbis, Lauchvioline und Gurkenflöte den knackigen Beat voran und verblüffen durch unerwartete Wendungen. Ein präsentes Element bleibt die akustische Sprache, der Versuch die

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Welches ist dein Lieblingsgemüse?

Melanzani und Kürbis! Als einziges Gemüse besitzt Melanzani eine schaumstoffartige Konsistenz. Es lassen sich dadurch sehr gut elastische Beat Sounds erzeugen. Aus einem Kürbis kann man sehr schnell tiefe

Bass Drums rausholen. Auch der Knollensellerie ist sehr vielseitig.

Er lässt sich z. B. ausgezeichnet als Zeller-Bongo nutzen.

Wie bringt man Gemüse dazu, jedes Mal die exakt gleichen Töne zu spielen?

Exaktheit ist uns eigentlich nicht so wichtig. Im gewissen Sinn steckt hinter dem Gemüseorchester eine punkige Idee: eine Gitarre – drei Akkorde, nur eben mit Gemüse. Wichtig ist die Abstimmung untereinander und dass wir es schaffen, einen Song stimmungsmäßig auf den Punkt zu bringen. Das Gemüse zerbricht und zerplatzt ja auch unter Umständen während unserer Konzerte. Da ist Improvisation gefragt. Was mich nach wie vor an der Idee Gemüseorchester reizt: Musik ist vergänglich, für den Moment geschaffen. Unsere

Bedeutungsebene von Geräuschen auszudehnen. So wird aus dem Knistern, das sich beim Befühlen von Salat ergibt, plötzlich Regen und aus mehrdeutigen Klängen animalische Geräusche. Ein tiefes Dröhnen wird zur Schiffssirene. Überall eröffnen sich Spielräume der Imagination. Nicht umsonst nennt sich auch eine der Solo-Platten von Orchestermitglied Ulrich Troyer (siehe Interview) „Sehen mit Ohren“ (tres-records). Aber auch von den restlichen Mitgliedern des Gemüseorchesters besitzt nur die Hälfte einen rein musikalischen Background – der Rest entstammt der bildenden Kunst im Dunstkreis der Wiener Akademie. Diese Herkunft prägt das Profil des Orchesters wesentlich. Das manifestiert sich auch im Performance-Charakter ihrer Konzerte, das eines ihrer zentralen Motive wiedergibt: Die Vergänglichkeit der Musik wird an den Materialien selbst exemplarisch vorgeführt. Schon während eines Konzertes ändern sich die Instrumente, denn durch die Hitze der Scheinwerfer trocknen die meisten von Ihnen aus und modifizieren leicht ihren Ton. Einige

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Gemüseinstrumente sind klingende Skulpturen, die nur für den Zeitraum eines Konzertes bestehen oder sogar schon während des Konzertes zu Bruch gehen. Somit ist jedes unserer Konzerte einzigartig.

Wie lange dauern die Vorbereitungen für ein Konzert?

Einen ganzen Tag – zunächst kaufen wir das Gemüse. Dann werden parallel zum Bühnenaufbau die Instrumente gebaut und aufeinander abgestimmt. Dann ein mehrstündiger Soundcheck

und am Ende des Tages das Konzert.

Wie viel Einfluss auf die Musik hat die Tatsache, dass man ein organisches Instrument spielt, im Vergleich zu einem diskreten Rechner?

Erstaunlicherweise klingen die Instrumente, die wir aus dem Gemüse bauen, zum Teil sehr elektronisch. Man kann jedoch im Vergleich zur Klangerzeugung am Rechner niemals einen Sound abspeichern. Gemüse lässt sich leicht für geräuschhafte und perkussive Sounds einsetzen.

von ihnen platzen, beginnen relativ schnell mit der Dekomposition oder brechen. Schließlich werden sie nach jedem Gebrauch weggeworfen und für jede Probe wieder rekonstruiert. Der Kreislauf aus Dekomposition und Rekonstruktion spiegelt sich im Sampling-Verfahren der Aufnahmen des Gemüseorchester adäquat wieder, die sie in die Nähe von Kraftwerk oder Aphex Twin rücken. Die Palette der dabei benützten Instrumente reicht von der Lauchvioline über das Pepperoncinohorn zur Selleriegitarre. Insgesamt 22 spielbare Minestrone-Zutaten werden im Laufe eines Konzertes verwendet. Und abgesehen von einem Plattenteller, dessen Tonabnehmer aus der Spitze einer grünen Bohne besteht, kommen keine anderen Materialien zum Einsatz als das Gemüse selbst. Die letzte Verschiebung – hin zu seiner eigentlichen Funktion – erfährt das Gemüse bzw. dessen Reste am Ende eines jeden Konzertes: Es wird zu Gemüsesuppe verkocht und dem Publikum serviert. Nicht nur aus diesem Grund sei ein Konzert

des Gemüseorchesters wärmstens zu empfehlen. Eben noch in Großbritannien und Frankreich unterwegs, ist die nächste Tournee durch die USA bereits geplant.

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Melodiöses hingegen spielen wir überwiegend mit Karottenflöten oder Lauch. Bei unserer zweiten CD Automate war unser Ziel, die Klangästhetik elektronischer Musik auf unser Gemüseinstrumentarium zu übersetzen. Bei unserer neuen Platte Onionoise sind wir dabei noch einen Schritt weiter gegangen: Einflüsse von

abstrakter Elektronik bis hin zu Clubmusik sind hörbar.

Wäre der Erfolg, den du mit dem Gemüseorchester hast, auch in Südtirol denkbar?

Das Gemüseorchester ist ein typisches Wiener Projekt. Es lebt, ebenso wie die Stadt selbst, davon, dass sich hier Leute mit unterschiedlichem Hintergrund treffen und gemeinsam neue Dinge entwickeln. Aber theoretisch kann man mit Hilfe des Internets von überall aus gute Musik machen. Und auch damit Erfolg haben.

Kann man als Musiker in Wien vom Gemüseorchester finanziell leben?

Als 11köpfiges Ensemble plus Booking und Technikern können wir trotz internationaler Konzerttätigkeit nicht ausschließlich vom Projekt Gemüseorchester leben. Das Gemüseorchester macht ungefähr ein Drittel meiner Jahreseinnahmen aus. Der Rest setzt sich zusammen aus Filmmusik, Musik für zeitgenössischen Tanz, Klanginstallationen, Solo-Konzerten und DJ-Sets.

Warum gibt es in Südtirol – z. B. im

www.vegetableorchestra.orgwww.myspace.com/thevegetableorchestra

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Vergleich zu Island, das eine ähnliche Einwohnerzahl besitzt – kaum Musik die international Anerkennung findet. Die Schlager- und Volksmusik einmal ausgenommen.

Ich glaube, dass das nicht an Südtirol liegt, sondern eher damit zusammenhängt, dass Leute sehr oft in größere Städte ziehen, um dort ihre Träume und Visionen zu verwirklichen, da sie dort die Netzwerke finden, die ihnen dies ermöglichen. Der Grödner Giorgio Moroder hat auch zunächst den Weg nach München gewählt

und von dort aus Munich Disco weltberühmt gemacht. Generell glaube ich aber, dass es heute durch Internet und virtuelle soziale Netzwerke unabhängig vom Standort möglich ist, sowohl die Musik, die einem gefällt – sei sie noch so speziell – kennen zu lernen und zu erwerben, als auch als Musikschaffender, egal wo man seine Musik produziert, sein Publikum zu finden.

ulrichtroyer.com

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L É PORMÒ STÈ chilò te Südtirol, te süa patria, a pié dô le “Verdienstorden” por i mirić ch’al s’à fat tl ćiamp dla

musiga, dl film, dl’ert y dl disegn a livel internazional. Al é le pionier dla musiga electro pop, synth pop y techno pop. I ëis dessigü capì, che le protagonist de chësc articul à inom Giorgio Moroder. Nasciü da na familia d’artisć a Urtijëi tl 1940, crëscel sö cun l’ert. Inće por la musiga àl na gran pasciun. Mo nia la musiga taliana, ladina o todëscia, che gnô ascutada ti agn 60 tla Talia ne l’interessëia, so interès va bëgn por n’atra strada, na strada che degügn ne n’é ciamò jüs denant. Cun vint agn val a Berlin, olach’al à röia tosc ite tl cërtl

de musizisć conesciüs. Tla metropola dla Germania nascel melodies, sonns y ritms nüs y inovatifs.A Minca, le zënter dla musiga eletronica vëighel por le prom iade le stromënt che tolarà ite na funziun y n post important te sües composiziuns musicales, le “synth”. El instës cunta ch’al é romagnü entusiasmè da chë mascinn cun n gröm de cabli eletrics

From here to eternity…

de Magdalena Gasser, Forscherin Eurac

Al é n genie tla creaziun de ritms y sonns nüs, designer de auti sportifs y artist de operes d’ert computerisades. La creativitè de Giorgio Moroder ne mët degügn confins.

A

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che mëna fora sonns y efeć de morvëia. Ti agn setanta se fej Giorgio n gran inom, a livel internazional, cun le toch “Love to love you baby”. Deboriada cun Donna Summer, presentëiel söl marcé na composiziun che liëia l’anima soul dla ćiantarina adöm cun l’electro

pop de Moroder. Insciö nascel la disco music; tla fantasia de chësc gran artist él na varieté de sonns y de melodies che ó arjunje n’armonia generala: les usc di synth, les influënzes dl’avanguardia europeica, mo inće les melodies y i ritms americans y latins dl’epoca. Moroder é bun da moscedè düć chisc elemënć, cherian na musica eletronica che ciafa indlunch

ressonanza.“From here To Eternity” vëgn fora tl `77; 30 menüć de pop-metalich cun efeć eletronics, tonns dl bass y la melodia che vëgn gonot filtrada eletronicamënter, iadedô âldon les usc feminiles cun le stamp de “soul and

black”. Na composiziun che Giorgio componësc ala fin di agn 70 mo che ne conësc degügn confins tl temp, sciöche le titul dij, ćina tl’eternité.Le gran artist ladin à demostrè sü talënć te deplü ćiamps. Por le cinema àl davagné 3 Acadamy Awards cun sües composiziuns musicales. Films sciöche Top Gun, Midnight Express y Flashdance ne conesciunse nia mâ por

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la trama mo inće por le sotfunz sonur, cherié n gran pert da Giorgio Moroder.Cun süa creativité musicala arjunjel inće le monn dl sport. Moroder scrî les ćianties “Reach Out” por i jüc olimpics a Los Angeles tl 1984, “Hand in Hand” por i jüć olimpics a Seoul/Corea y la

ćianta hit “Un’estate italiana” por la copa mondiala dl palè tla Talia tl 1990.Nia mâ cun la musiga s’à Moroder fat n bun inom, inće sciöch’artist y designer él conesciü. Ti agn 90 mëtel man da anuzé le computer por cherié operes d’ert. La combinaziun danter sciënza y ert afascinëia dassënn l’artist che mët man da laorè cun fotografies digitales. Cun deplü programs de

computer él bun da trasformè les fotografies te images y creaziuns nöies y interessantes. Vigni laûr é unich cun sü corusc y süa forza speziala. Al é afasciné dala combinaziun dl’ert y dla sciënza. Les poscibilitês creatives cun le computer ne n’à nia confins. Y a

desfarënzia dla musiga, vëigon atira i resultać. Cinamai danter i designer d’auti de luss vëgnel aprijé por sü talenć; la produziun dl auto sportif “Cizeta Moroder” da 16 zilindri é n gran arichimënt por la tecnologia alta.Le patrimone artistich de Giorgio Moroder é da mët al sigü, ćina tl’eternité, from here to eternity.

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ETTE ALBUM IN DIECI anni, l’ultimo dei quali - Gegengift (2010) – appena uscito e già volato fino al secondo posto della classifica in Germania,

scavalcando popstar del calibro di Robbie Williams e Shakira. Una lunga serie di recensioni lusinghiere da parte di riviste specializzate, diverse fanpage dedicate alla band, diverse pagine di Facebook inneggianti ai loro idoli. E poi festival e concerti in giro per mezza Europa. Messi davanti a questi dati, risulta difficile negare ai Frei.Wild l’etichetta di “eccellenza altoatesina”, essendo nei fatti una delle poche band nostrane ad aver raggiunto visibilità internazionale: da una cantina di Bressanone, trasformata in sala prove come vuole la migliore tradizione rock (anno 2001), al concerto di Berlino davanti a 500.000 persone riunitesi per assistere alla partita Germania-Inghilterra, quarti di finale dei mondiali di calcio, proiettata sul maxischermo (anno 2010). Tra questi due estremi, il tragitto di una luminosa parabola. Di una rapida ascesa

da piccola realtà di provincia fino all’olimpo del Deutschrock, accanto ai loro idoli Böhse Onkelz e Die Toten Hosen. Ma il fenomeno Frei.Wild è più complesso di quanto appaia (difficile pensare che si tratti di solo rock’n’roll) e i soli numeri, evidentemente, non bastano ad inquadrarlo. Del resto se bastassero i numeri a definire l’eccellenza, eccellenti sarebbero tutti i prodotti di massa e le sole colonne di un grafico basterebbero a definire il “bello” e a distinguere cosa è “buono”, in termini culturali, e cosa no. Non è così. Se spostiamo l’attenzione sull’ordine della qualità, è banale constatare come la cultura di massa generi capolavori e prodotti di pregio artistico, ma anche prodotti mediocri e veri e propri mostri, e questo a prescindere da qualsiasi considerazione di ordine commerciale: esistono capolavori del tutto ignorati dai grandi numeri e vi sono prodotti mediocri consacrati dal successo. Tutt’altro che rari sono infatti, nell’ambito della moderna industria culturale, quei prodotti che, traducendo entro

di Marco Bassetti, giornalista

I brissinesi Frei.Wild volano al secondo posto della classifica in Germania. Ma forse i numeri non bastano per definire l’eccellenza.

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Nazionalisti, anarchici o ciarlatani? Frei.Wild

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i facili confini di forme e slogan elementari le tendenze dominanti del presente (emozioni, timori, tic, manie, schemi irriflessi), legano mediocrità e vendite. Assecondando in maniera emo-zionale – dunque, pre-razionale e pre-politica – il (dis)gusto diffuso, stuzzicando le pulsioni più elementari (aggressività, sesso, potere, xenofobia, morte: eros e thanatos, in sostanza), tali prodotti fungono da “catalizzatori culturali”: danno spinta a quei processi, latenti nelle moderne ed opulenti società dei consumi, di desublimazione che portano alla costruzione di identità gonfie eppure fragili, represse eppure violente. Rivincita della libido sulla repressione della civiltà, la “desublimazione repressiva” (Marcuse) spinge infatti il desiderio verso quegli oggetti che garantiscono una gratificazione immediata degli istinti, con connessa diminuzione delle capacità dell’Io di esercitare le fondamentali funzioni di selezione e mediazione. Si pensi, giusto per citare l’esempio più eclatante, al 90% delle produzioni rap del momento (grattaceli, macchinone e culi ondeggianti per chi “ce l’ha fatta”; periferie, frustrazione e odio indistinto per chi ancora “lotta per farcela”), momento in cui il rap è, appunto, il genere dominante a livello globale, dagli Stati Uniti all’India. “Le manifestazioni estetiche anche di quelli che possono sembrare gli estremi opposti nel campo della politica celebrano allo stesso modo l’elogio del ritmo d’acciaio” (Adorno). Davanti a tale complessità, sfornata a gran ritmo dall’industria culturale, uno sguardo critico sull’esistente, sulla società e i suoi prodotti, risulta necessario. Fondamentale per riuscire a separare il grano dal loglio, distinguere l’oro dalla patacca, l’eccellenza dalla mediocrità. Per

evitare di appiattire tutto su un unico piano virtuale, di accomunare campioni di incassi tra loro diversissimi come Beatles, Eminem e Lady Gaga. Fermo restando che tra l’oro e la patacca si colloca un’intera gamma di possibilità intermedie, e che proprio nella dialettica oro-patacca si situa il meccanismo dell’intera produzione culturale di massa, risulta in definitiva necessaria un’analisi del contenuto che sappia fare emergere, accanto e oltre le considerazioni su numeri e profitti, il rapporto tra prodotto e contesto culturale circostante. È il contenuto che può eventualmente spiegare il successo e non, viceversa, il successo che dà ragione della bontà del contenuto.Tornando dunque ai nostri Frei.Wild, diverse sono le ragioni che ci fanno dubitare della loro qualità artistica, che ci fanno pensare che l’eccellenza altoatesina stia altrove. Prendiamo il loro singolo più famoso, “Land der Vollidioten” tratto da Hart am Wind (2009), sorta di manifesto estetico-politico della band brissinese, estratto purissimo del “Frei.Wild-pensiero”. Dal punto di vista strettamente musicale, il pezzo non ha nulla da rimproverarsi: esplosiva base basso-batteria in stile punk, riff di chitarra estratti dalla primaria grammatica hard-rock, voce da orco incazzato. Niente di eclatante, né tantomeno di innovativo. Soltanto un veloce punk-rock lungo la linea tesa tra i Ramones agli Onkelz, puntato con abilità allo stomaco dell’ascoltatore: veloce, elementare, diretto, non fatica a fare centro. Ma se anche la nostra disamina finisse qui, saremmo già ben lontani dall’ordine dell’eccellenza: di gruppi del genere ce ne sono a bizzeffe in giro per il mondo, identici l’uno con l’altro, come fatti in serie, indefinitamente riproducibili, diversamente omologati.

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E del resto è indubbio che se i Frei.Wild fanno tanto parlare di loro, non è per via della musica, la musica è soltanto il veicolo di un messaggio. Sarà allora all’interno di questo veicolo che dovremo cercare, per trovare il segreto del loro successo.“Wir sind keine Neonazis und keine Anarchisten/ Wir sind einfach gleich wie ihr, von hier”. Questi luminosi versi che compongono il ritornello di “Land der Vollidioten” ci aiutano a togliere – è autunno, la metafora è quanto mai calzante – le castagne dal fuoco, a uscire dall’impasse in cui ci siamo cacciati ponendoci la questione, nazionalisti, anarchici o ciarlatani? I Frei.Wild a tal proposito non hanno dubbi: “non siamo neonazi, né anarchici”. “Siamo - secondo la classica, furba, retorica identificazione dell’emittente con il popolo in ascolto – semplicemente come voi”. Ma, di preciso, voi chi? “Gleich wie ihr, von hier”, ovvero “come voi di qui”, gli autoctoni, i nativi sudtirolesi. Stiamo parlando, in sostanza, di un sentimento di fusione che lega la band con il popolo altoatesino o, almeno, con parte di esso. E tutti gli altri? Sono scemi. “Wir haben immer gesagt/ Dass wir das Land hier furchtbar lieben [...] Ihr seid dumm, dumm und naiv/ Wenn ihr denkt, Heimatliebe ist gleich Politik”. L’amore per la patria non è politico, è bruciante passione che scorre nelle vene prima che la politica lo inquini, amore assoluto, romantico, precategoriale, che si manifesta come un “colpo di pistola” e rispetto al quale il “lavoro del concetto” è solo un vuoto trastullo per intellettuali borghesi, un passatempo da Vollidioten. “Das ist das Land der Vollidioten/ die denken, Heimaltliebe ist gleich Staatsverrat”. La nostra è una terra di completi idioti che pensano che l’amor di patria costituisca un tradimento dello Stato:

questo è il nocciolo della questione, il cuore della filosofia della band, l’“eccellenza altoatesina” Frei.Wild. Nazionalisti sudtirolesi antipolitici (seppur vicini, pare, ad un partito dell’estrema destra tedesca altoatesina) e pure, si legge nel testo della canzone, cristiano-tradizionalisti e islamofobici, che si identificano con i loro compatrioti, e vendono loro migliaia di dischi, per poi disprezzarli. Tutt’altro che innovativi, i Frei.Wild sono vecchi, arcaici nella forma e primitivi nella sostanza. Tradizionalisti nella forma musicale, reazionari nel contenuto, nazionalisti dilaniati tra odio e amore verso una terra che li ha generati, educati e viziati, astiosi e per nulla riconoscenti rispetto a un contesto che li ha cresciuti e ben pasciuti. È davvero questa l’immagine migliore che l’Alto Adige sa dare di sé al mondo? Paura del presente, nostalgie medievali e violenti stereotipi a buon mercato? Noi qualche idea ce la siamo fatta e ora, dopo il doveroso “lavoro del concetto”, i dubbi iniziali sull’eccellenza Frei.Wild sono diventati rocciose certezze.

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