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Una classificazione formale degli intervalli musicali O.M. D’Antona, L.A. Ludovico Sommario. Viene proposta una descrizione formale degli intervalli musicali e della loro classificazione. Abstract. The report supplies a formal description of intervals and their classification. ACM categories and subject descriptors: H.5.5 [Information Interfaces And Presentation]: Sound and Music Computing — Modeling Keywords: intervalli, intervalli semplici, intervalli composti, rivolti, distanza, ampiezza, specie 1

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Una classificazione formale degli intervalli

musicali

O.M. D’Antona, L.A. Ludovico

Sommario. Viene proposta una descrizione formale degli intervalli musicalie della loro classificazione.

Abstract. The report supplies a formal description of intervals and theirclassification.

ACM categories and subject descriptors:H.5.5 [Information Interfaces And Presentation]: Sound and Music Computing— Modeling

Keywords: intervalli, intervalli semplici, intervalli composti, rivolti, distanza, ampiezza,

specie

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Indice

1 Introduzione 3

2 Definizione di intervallo 4

3 Trattazione informatica delle note 6

4 L’ampiezza degli intervalli 84.1 Scomposizione di un intervallo in intervalli congiunti . . . . . . . 12

5 La specie degli intervalli. I 15

6 Le alterazioni 17

7 La specie degli intervalli. II 207.1 Il primo metodo: riduzione alla tonica . . . . . . . . . . . . . . . 207.2 Intervalli tra gradi non alterati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227.3 Il secondo metodo: deformazione dell’intervallo . . . . . . . . . . 24

8 Trattazione informatica del problema di classificazione 278.1 Linearizzazione dello spazio bidimensionale . . . . . . . . . . . . 29

9 Omofonia e omonimia tra intervalli 319.1 Ma quanti sono gli intervalli? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

10 Rivolto di un intervallo 36

11 Ringraziamenti 37

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1 Introduzione

La classificazione degli intervalli musicali costituisce argomento fondamentalenello studio della musica e del suo linguaggio. Per questo motivo, il concettod’intervallo viene affrontato nelle prime pagine di virtualmente tutti i trattati diteoria e di armonia. Ad esempio, l’incipit di [9] recita testualmente: Qualunquenota puo succedere a qualunque nota, qualunque nota puo suonare simultanea-mente a una o piu note [...]. L’apprendimento dei processi armonici puo partiredagli intervalli melodici e armonici del suono.

L’argomento degli intervalli e tanto importante che Nicolai Rimsky-Korsakow, nella prefazione al suo “Trattato Pratico d’Armonia”[11] dichiara:lo studio dell’armonia suppone necessariamente la conoscenza della teoria ele-mentare della musica, un buon orecchio, saper solfeggiare correttamente, indovi-nar colla voce gli intervalli, saper suonare il pianoforte.1 Dunque Rimsky inizial’esposizione occupandosi dell’accordo perfetto.

In ogni caso e ovvio che quello degli intervalli rappresenti un ben consolidatotema della teoria musicale al quale sia praticamente impossibile aggiungere al-tro. Tuttavia ci e sembrato opportuno fornire una formalizzazione dei concettirelativi alla denominazione e classificazione degli intervalli in vista del loro trat-tamento nell’ambito dell’informatica musicale. Allo scopo si rivela di grandeutilita lo spazio bidimensionale delle note sul quale viene definita una oppor-tuna relazione di precedenza.

1La citazione e tratta dalla edizione italiana (1913) nella traduzione di G.F. Bucchi e A.Zamorski. Per correttezza ci e sembrato opportuno riprodurre il nome dell’autore nella grafiadella stessa edizione.

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2 Definizione di intervallo

Dicesi intervallo la differenza d’altezza fra due suoni, esprimibile in Fisica acu-stica tramite il rapporto delle loro frequenze. In questo lavoro ci limiteremoa considerare le frequenze corrispondenti ai dodici semitoni in cui si divide lascala temperata trasportati sulle diverse ottave. Pertanto risulta finito anche ilnumero di intervalli generabili a partire dalle altezze prescelte. Infatti le com-binazioni ottenibili da un numero finito di elementi sono anch’esse in numerofinito.

A livello terminologico va subito osservato che in ambito musicale un inter-vallo sta ad indicare una sorta di distanza tra due suoni che lo individuano enon, come ad esempio avviene nella teoria degli insiemi parzialmente ordinati,l’insieme degli elementi compresi tra tali estremi.

Un intervallo viene detto armonico quando i suoni che lo formano sono con-temporanei e melodico se i suoni che lo formano vengono considerati in succes-sione.

L’intervallo armonico - secondo una consolidata convenzione cui ci atterremo- viene sempre considerato ascendente, cioe dal grave verso l’acuto (dal bassoverso l’alto). Quello melodico invece, a seconda di come e scritto, puo essereascendente o discendente, a seconda che la prima nota sia piu grave dell’altra oviceversa. In pratica se ne osserva l’evoluzione in senso temporale.

Figura 1: Intervallo armonico e melodico

Un intervallo e detto semplice quando sta nell’estensione di un’ottava; seinvece ne oltrepassa i limiti si dice composto. Va pero detto che alcuni trattatidi teoria considerano semplice anche l’intervallo di nona.2

Figura 2: Intervallo semplice e composto

L’intervallo piu semplice da generare e probabilmente quello di ottava. Essosi ottiene ad esempio sollecitando una corda elastica per produrre la nota piugrave, dimezzando quindi la lunghezza della corda e sollecitandola nuovamenteper generare la nota piu acuta. Il rapporto tra le frequenze degli estremi diun’ottava risulta quindi rott = 2.

2Forse per la sua frequenza nella descrizione del ritardo “9-8”.

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Il piu piccolo intervallo utilizzato (esplicitamente) nella musica occidentalee detto semitono. Per motivi storici che non verranno indagati nella presentetrattazione, nel nostro sistema musicale si e scelto di suddividere l’ottava in 12semitoni equalizzati, ossia per i quali si mantenga costante il rapporto r tra lefrequenze degli estremi. In virtu di quanto detto si ha r = 12

√2 e si verifica:

rott = r · r · · · r︸ ︷︷ ︸12

= r12 = ( 12√

2)12 = 2.

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3 Trattazione informatica delle note

Prima di procedere e bene chiarire che negli ultimi anni si e diffuso, specialmentenell’ambito dell’informatica musicale, l’uso di denominare le note del sistematemperato attraverso numeri interi. Ne e un esempio la codifica MIDI dellealtezze, effettuata tramite numeri interi non negativi usualmente detti pitchMIDI (cfr. [3] e [2]).3 Essa utilizza una mappatura dei semitoni corrispondentialle prime 128 note a partire da un Do posto alla frequenza di 8,176 Hz, quindiben al di sotto del campo di udibilita.4 Le formule di conversione da pitch MIDIm a frequenza f e viceversa sono:

f = 440 · 2m−6912 (1)

m = 69 + 12 · log2(f/440) (2)

L’applicazione di tali formule, limitatamente all’intervallo 0 ≤ m ≤ 127 e8, 176 ≤ f ≤ 12543, 854, consente di ottenere le corrispondenze tra frequenza epitch delle note MIDI. Viene mostrato in Fig. 3 un esempio relativo alla primaottava della codifica MIDI.

nota pitch MIDI frequenza (Hz)

Do 0 8,176Do ] 1 8,662Re 2 9,177Re ] 3 9,723Mi 4 10,301Fa 5 10,913Fa ] 6 11,562Sol 7 12,250Sol ] 8 12,978La 9 13,750La ] 10 14,568Si 11 15,434

Figura 3: I valori dei primi 12 pitch MIDI predefiniti

I vantaggi di questa rappresentazione sono evidenti in vista di qualunque tipo3Un altro esempio che qui citiamo brevemente e dato dalla codifica delle altezze in for-

mato NIFF [4]. Essa attribuisce il valore 0 alla nota posta sulla prima riga dal basso delpentagramma, valori interi positivi alle note piu acute e interi negativi a quelle piu gravi.Osserviamo che l’altezza individuata dall’intero 0 non risulta fissa ma e funzione della chiave.

4A seconda della conformazione dell’apparato uditivo, dell’eta e di eventuali traumi opatologie che ne abbiano influenzato le capacita, il campo di udibilita varia in modo sensibile daindividuo a individuo. Fatta questa premessa, possiamo affermare con buona approssimazioneche le frequenze udibili vadano da un minimo di 20 Hz a un massimo di 20 KHz.

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di studio assistito dal calcolatore. Un dominio numerico e infatti manipolabilesimbolicamente con molta piu facilita rispetto al dominio delle note.

Nell’ambito di tale convenzione, dal punto di vista strettamente acusticosarebbe ineccepibile esprimere un intervallo come una coppia di numeri i ed j,con 0 ≤ i ≤ j ≤ 127. Adottare tale approccio si rivelerebbe pero fuorviantee riduttivo rispetto alla problematica della teoria musicale, ossia nell’ambitoconcettuale cui il nostro lavoro appartiene.

La codifica numerica MIDI, ad esempio, pur ben adeguata per quanto con-cerne la riproduzione del suono (in quanto porta alla generazione delle correttefrequenze delle note), comporta gravi perdite informative a livello simbolico(memorizzazione e rappresentazione della partitura) in quanto smarrisce il rife-rimento al nome della nota originaria che ha generato il suono. Ad esempio, ilpitch MIDI 60 corrisponde acusticamente al cosiddetto Do centrale, ma ancheal Re [[ e al Si ] dell’ottava inferiore. La Fig. 4 mostra le omofonie5 tra noteintrodotte dal sistema temperato (detto anche temperamento equabile) illustratoda Andreas Werckmeister nel trattato “Musikalische Temperatur”del 1691. Iltemperamento equabile rappresenta al giorno d’oggi la base della teoria musicaleoccidentale.

Figura 4: Omofonie nel sistema temperato (fig. tratta da [12])

Osserviamo che, da un punto di vista informatico, risulta inefficiente una co-difica che attribuisce piu etichette ad un’unica frequenza (in termini matematicisi parla di mappa non iniettiva), ma questo e il linguaggio della musica ormaiaccettato da secoli a livello teorico e pratico-esecutivo. Dunque nel corso dellatrattazione ci atterremo alle sue convenzioni.

5Secondo [14] l’omofonia e il fenomeno dell’identita fonica. Questo concetto sara ripresopiu avanti nel corso della trattazione.

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4 L’ampiezza degli intervalli

Nella terminologia consueta gli intervalli vengono classificati mediante dueparametri che chiemeremo ampiezza e specie. Nonostante tutti i trattati di Teo-ria e di Armonia concordino nel classificare gli intervalli mediante due parametri,e curioso che in letteratura non esista in proposito una terminologia univer-salmente accettata. All’occorrenza vengono adottati vocaboli quali denomi-nazione, specie, forma. A questo atteggiamento fa eccezione [10], che parla dinome generico e nome specifico dell’intervallo.

Quindi la denominazione degli intervalli si compone di due parti distinte,come ad esempio: quinta giusta, settima eccedente e cosı via. Si osservi che laclassificazione risultera del tutto indipendente dalla tonalita in cui l’intervallo sipresenta. Infatti la definizione univoca di un intervallo dipende esclusivamentedal nome delle note che lo compongono e dal loro stato di alterazione. Adesempio, l’intervallo [Do, Sol] costituisce una quinta giusta tanto in Do maggiorequanto in Fa maggiore, tonalita in cui le due note compaiono allo stato naturale;ma questo avviene anche in Re maggiore, ove il Do naturale non e neppure ungrado della scala.

Tornando alla duplice denominazione degli intervalli, il primo attributo,l’ampiezza, si riferisce al numero di gradi della scala abbracciati, estremi in-clusi. Per la sua determinazione, come anche suggerito da Piston ([10], pag. 7),e sufficiente ignorare le alterazioni che accompagnano il nome della nota.

Va detto che, a rigore, il termine grado e qui usato in maniera imprecisa. Inrealta l’ampiezza di un intervallo si riferisce al numero di nomi di note in essocomprese. Comunque i due concetti si sovrappongono nelle scale maggiori eminori del nostro sistema musicale. Infatti queste scale contemplano sette gradiche corrispondono ai sette nomi delle note, con il loro ordine. Cosı non avvieneutilizzando la scala esatonale, la ottatonica e via dicendo.

Considerando ad esempio una scala in cui l’ottava sia divisa in un numero digradi inferiore a sette, chiaramente qualche nome di nota non sara rappresentato.La scala esatonale a partire da Do viene solitamente scritta come segue: Do, Re,Mi, Fa ], Sol ], La ]. In tale sequenza e assente il Si. Osserviamo che nel sistematemperato nulla impedirebbe di costruire una scala (omofona alla precedente)cosı composta: Do, Re, Mi, Sol [, La [, Si [. In questo caso la nota mancante eil Fa.

A questo punto della trattazione e utile introdurre l’insieme NOTE i cuielementi sono i nomi delle sette note, allo stato naturale e alterato, ripetutetante volte quante sono le ottave considerate. Indicheremo con nalt il numerodi possibili stati di alterazione di una nota e con nott il numero di ottave presein considerazione. Pertanto si ha

|NOTE| = 7 · nalt · nott.

Qui, come d’uso, consideriamo come alterazioni ammissibili soltanto il diesis(]), il bemolle ([), il doppio diesis (×) e il doppio bemolle ([[). Quindi, tenendo

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Figura 5: Diagramma di Hasse della relazione di precedenza P sull’insiemeNOTE

conto anche dello stato non alterato, abbiamo nalt = 5.A livello di grafia, va poi detto che per distinguere note di ottave differenti

scriveremo i loro nomi accompagnati da un pedice (che ometteremo quandonon fosse strettamente necessario). Ad esempio, gli intervalli di Fig. 2 sarannoindicati scrivendo [Do, Mi] e [Mii, Soli+1].

In Fig. 5 e rappresentata la porzione relativa alle 35 note di un’ottavadell’insieme NOTE ed e messa in evidenza la relazione di precedenza6 P cheintercorre tra i suoi elementi. La definizione di tale relazione e molto semplice:la nota X precede la nota Y se la frequenza di X e minore di quella di Y.Nella figura, per comodita, le note omonime sono incolonnate. Si tratta di unarappresentazione formale piu adeguata ai nostri scopi di quanto mostrato inFig. 4.

6Questo tipo di relazione gode delle proprieta antiriflessiva, antisimmetrica e transitiva.

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Figura 6: La mappa N : NOTE → N

Per esprimere il concetto di distanza tra gli estremi di un intervallo e neces-sario attribuire un valore numerico (intero) agli elementi di NOTE. Cio verrafatto enumerando in sequenza le note delle successive ottave e assegnando lo 0 aun Do grave, fissato arbitrariamente. Le note alterate avranno lo stesso valoredelle loro omonime naturali. La corrispondenza N : NOTE → N che si ottienee mostrata in Fig. 6.

Definizione 1 L’operatore G∗ : NOTE×NOTE → N che fornisce la distanzatra due note i e j (di NOTE) e definito come segue:

G∗([i, j]) = |N(j)−N(i)|. (3)

Poiche l’operatore G∗ valuta la distanza in valore assoluto, non c’e distin-zione tra intervalli ascendenti o discendenti (nel senso che |N(i) − N(j)| =|N(j)−N(i)|). Come abbiamo gia avuto modo di evidenziare, cio non influenzala valutazione degli intervalli armonici, convenzionalmente considerati in sensoascendente. Dunque, se la prima nota di un intervallo armonico fosse Si1, cui

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corrisponde N(Si1) = 6, e fosse noto che G∗([Si1, x]) = 6, potremmo dedurreche x = La2.

Al contrario, nel caso degli intervalli melodici, l’operatore introduce unaperdita d’informazione. Infatti, data una nota di partenza i e un valoredi G∗([i, x]), non e possibile determinare la nota x. Il comportamentodell’operatore G∗ e ambiguo: non possiamo determinare la nota x senza saperese l’intervallo [i, x] e ascendente o discendente. Ad esempio, se la prima notadi un intervallo melodico fosse Si1, e avessimo G∗([Si1, x]) = 6, non potremmoscegliere tra la soluzione x = La2 oppure x = Do1.

Per questo motivo appare opportuno introdurre un nuovo concetto.

Definizione 2 L’operatore G : NOTE ×NOTE → N che fornisce l’ampiezzadell’intervallo [i, j] e definito come segue:

G([i, j]) = N(j)−N(i). (4)

Qui, rispetto alla formulazione precedente e scomparso il modulo, e il segnodel risultato indica chiaramente se l’intervallo sia ascendente (segno positivo) odiscendente (segno negativo). La formula (4) ben si adatta anche al caso degliintervalli armonici. Essendo questi considerati sempre in senso ascendente, essadara invariabilmente un risultato non negativo.

I nomi convenzionalmente attribuiti agli intervalli semplici sono: unisono,seconda, terza, quarta, quinta, sesta, settima e infine ottava. Per gli intervallicomposti si adotta uno schema analogo, procedendo con gli aggettivi numeraliordinali; dunque, abbracciando un grado in piu rispetto all’ottava, si giungealla nona, e poi alla decima, all’undicesima e via dicendo... A questa re-gola fa eccezione il solo caso dell’intervallo piu piccolo, battezzato unisono7

(e non prima). Sebbene non esista in linea di principio un limite superiore perl’intervallo di n-esima, e raro citare - salvo esigenze particolari - un’ampiezzamaggiore della tredicesima, preferendo piuttosto ricondursi all’intervallo sem-plice corrispondente (ossia di estremi omonimi, ma posti a distanza inferioreall’ottava). Ad esempio [Do1, Sol3] viene abitualmente considerata una quinta,anche se l’intervallo effettivo - tenuto conto delle diverse ottave di appartenenza- e di diciannovesima.8 Quanto sopra puo essere formalizzato come segue.

Definizione 3 Sia I l’intervallo [i, j] e sia G([i, j]) = n − 1, per qualunquen intero positivo. Se n = 1, l’intervallo I e detto unisono; altrimenti e dettointervallo di n-esima (o, per brevita, una n-esima).

Come si evince, il legame tra l’operatore G e il valore numerico ordinale Vusato per l’attribuzione del nome dell’intervallo e semplicemente:

7Peraltro l’unisono pio essere considerato un intervallo improprio in quanto i suoi estremisono coincidenti. Chiaramente G([i, i]) = 0.

8Come di consueto, la letteratura presenta numerosi controesempi. Per citarne solo alcuni,J.S. Bach era solito indicare la distanza reale tra le voci di un canone, utilizzando dunquevocaboli quali duodecima (la dodicesima), quintadecima (la quindicesima), vigesimanona (laventinovesima, che poi altro non e se non la sovrapposizione di 4 ottave) e via dicendo...

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V = G + 1. (5)

Facciamo ora qualche esempio sui concetti ora introdotti.

Esempio 1 Consideriamo l’intervallo I = [Do, Mi]. Ad esso corrispondeG(I) = 2 in quanto G([Do, Mi]) = N(Mi)−N(Do) = 2. Quindi [Do, Mi] e unaterza (un intervallo di terza).

Anche [Do ], Mi ]] e una terza: G([Do],Mi]]) = N(Mi]) − N(Do]) = 2.Analogo discorso vale per [Do [[, Mi ×].

Figura 7: Esempi di terze

Esempio 2 Consideriamo l’intervallo I = [Re ×, La [[]. In questo casoavremo G(I) = 4 in quanto G([Re,La]) = N(La) − N(Re) = 4. Dunque[Re ×, La [[] sara una quinta, al pari di [Re, La], di [Re b, La ×] e cosı via.

Figura 8: Esempi di quinte

Qui e importante osservare che il calcolo appena svolto risulta esatto, pur nonavendo precisato i valori numerici degli estremi dell’intervallo (cioe senza averspecificato a quale ottava appartengono). Cio e dovuto al fatto che la differenzaN(Mi)−N(Do) non cambia al variare dell’ottava cui appartiene l’intervallo.9

Tra l’altro, gli esempi fatti mostrano inequivocabilmente che intervalli dellostesso tipo si presentano con un certo numero di grafie diverse. Questa cir-costanza verra quantificata piu avanti.

4.1 Scomposizione di un intervallo in intervalli congiunti

Concludiamo il paragrafo con una regola pratica per la scomposizione di unintervallo in piu intervalli. Per semplicita, ci occuperemo innanzi tutto di sud-dividere un intervallo in due soli intervalli congiunti (ovvero due intervalli incui la nota che rappresenta l’estremo superiore del primo coincide con l’estremoinferiore del secondo) per passare poi al caso piu generale.

9Tale differenza non cambia neppure al variare dell’origine del sistema di riferimento nellamappa N riportata in Fig. 5.

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Siano i, j e k tre note tali che N(i) ≤ N(j) ≤ N(k) e si voglia scomporrel’intervallo I = [i, k] in due intervalli congiunti I1 = [i, j] e I2 = [j, k]. In talcaso avremo

G(I) = G(I1) + G(I2). (6)

Per passare alla relazione tra gli operatori V , utilizzando la (5) possiamoscrivere

V (I)− 1 = V (I1)− 1 + V (I2)− 1;

V (I) = V (I1) + V (I2)− 1;

V (I2) = V (I)− V (I1) + 1. (7)

Ad esempio, supponiamo di aver scomposto l’intervallo di nona I in dueintervalli congiunti, diciamo I1 e I2, di cui il primo sia una terza. Ebbene l’altronon sara una sesta, come si potrebbe pensare, bensı una settima. Infatti, inaccordo con la (7), scriviamo V (I2) = V (I)− V (I1) + 1 = 9− 3 + 1 = 7.

Per maggior concretezza, possiamo osservare la figura successiva in cui lanona [Re1, Mi2] si decompone nella congiunzione della terza [Re1, Fa1] con lasettima [Fa1, Mi2].

Figura 9: Scomposizione di una nona in terza e settima

Un altro esempio chiarificatore: riconduciamo ad un intervallo semplice (os-sia nell’ambito di un’ottava) l’intervallo composto di tredicesima. Per via dellenostre ipotesi si ha V (I) = 13, e V (I1) = 8. Applicando ancora la (7) si ottieneV (I2) = 13− 8 + 1 = 6. Possiamo dedurre che la tredicesima e uno degli inter-valli composti che corrisponde all’intervallo semplice di sesta. Infatti un esempiodi tredicesima e dato dall’intervallo [Sol1, Mi3], scomponibile in [Sol1, Sol2] e[Sol2, Mi3].

Figura 10: Scomposizione di una tredicesima in ottava e sesta

Volendo estendere il risultato al caso piu generale della scomposizione diun intervallo in n intervalli congiunti, procediamo come segue. Analizzando

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i passaggi che conducono alla (7) notiamo che ogni termine aggiuntivo a se-condo membro introduce un addendo pari a −1. Ossia, riscrivendo la (6) per nintervalli:

G(I) = G(I1) + G(I2) + · · ·+ G(In),

si ottiene la seguente riformulazione della (7):

V (In) = V (I)−n−1∑

k=1

(V (Ik)− 1) = V (I)−n−1∑

k=1

V (Ik) + n− 1. (8)

Il calcolo della (8) richiede la conoscenza non solo dell’intervallo iniziale dascomporre, cui corrisponde il valore V (I), ma anche quella di tutti i restantiintervalli (a meno di quello da calcolare).

Ad esempio, si voglia scomporre l’intervallo di nona in tre intervalli (n = 3):una quarta, una terza e un intervallo da determinare, cui corrisponde nellaformula (8) il valore V (In). Quello che si ottiene e

V (I3) = V (I)− (V (I1) + V (I2)) + 2 = 9− (4 + 3) + 2 = 4.

E vero che una nona e scomponibile nella sovrapposizione di due quarte euna terza? Pensiamo all’intervallo [Do1, Re2]: [Do1 ,Fa1] e una quarta, [Fa1,La1] e una terza. Ne deduciamo che l’intervallo rimanente [La1, Re2] e propriouna quarta.

Figura 11: Scomposizione di una nona in due quarte e una terza

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5 La specie degli intervalli. I

Il secondo livello di classificazione, detto specie, fornisce un’indicazione piu det-tagliata. In merito alla specie, un intervallo puo essere giusto, maggiore, minore,eccedente (aumentato), diminuito, piu che eccedente (piu che aumentato) o piuche diminuito, ma non solo. Infatti esistono ulteriori possibilita il cui nome none univocamente definito nella teoria musicale. Traducendo il termine anglosas-sone, parleremo di intervalli triplamente e quadruplamente eccedenti (aumentati)o diminuiti. Con cio si esauriscono tutte le possibilita consentite dai simboli dialterazione qui considerati (e che sono quelli comunemente accettati nel nostrosistema musicale).10

Premesso che il tema delle scale musicali sara sviluppato in un prossimo la-voro, ricordiamo che per scala maggiore si intende una serie di otto note separatedalla seguente successione di intervalli ascendenti:

T T S T T T S

dove T ha ampiezza r2 e S ha ampiezza r. La scala minore naturale e invececaratterizzata dalla successione di intervalli ascendenti:

T S T T S T T.

Consideriamo ora una scala maggiore, ad esempio quella di Do. Rispettoalla tonica (Do), gli intervalli formati da gradi non alterati11 saranno solo didue tipi: maggiore (M) e giusto (G). Risultano maggiori la seconda [Do, Re],la terza [Do, Mi], la sesta [Do, La] e la settima [Do, Si], mentre gli intervalligiusti sono l’unisono [Do, Do], la quarta [Do, Fa], la quinta [Do, Sol] e l’ottava[Doi, Doi+1].

Figura 12: Intervalli rispetto alla tonica nella scala di Do maggiore

Consideriamo poi una scala minore naturale, ad esempio quella di La. Questavolta, rispetto alla tonica (La), gli intervalli formati da gradi non alterati sonodi tre tipi: maggiore, minore (m) e giusto. Risulta maggiore solo la seconda[La, Si], mentre sono minori la terza [Lai, Doi+1], la sesta [Lai, Fai+1] e lasettima [Lai, Soli+1]. Gli intervalli giusti sono di nuovo l’unisono [La, La], laquarta [Lai, Rei+1], la quinta [Lai, Mii+1] e l’ottava [Lai, Lai+1].

10Si potrebbe ampliare lo spettro di possibilita ad esempio introducendo alterazioni qualii quarti di tono, o simboli che modifichino la frequenza di una nota per piu di due semitoniascendenti o discendenti (triplo diesis, triplo bemolle,...).

11Questa locuzione e un’abbreviazione di: “gradi corrispondenti a note non alterate dellascala”.

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Figura 13: Intervalli rispetto alla tonica nella scala di La minore naturale

Nel seguito diremo non alterati (o naturali) gli intervalli di specie giusta,maggiore e minore, e diremo alterati tutti gli altri.12

Da quanto sopra, ricaviamo le seguenti regole. Rispetto alla tonica, gli in-tervalli di unisono, quarta, quinta e ottava (storicamente detti consonanze per-fette) sono della stessa specie sia nel modo maggiore sia nel modo minore. Gliintervalli di terza e sesta (le cosiddette consonanze imperfette) si presentanoin forma maggiore nella scala maggiore e in forma minore nel modo minore.Anche l’intervallo di settima si comporta cosı, nonostante sia classificata comedissonanza. La seconda, anch’essa ritenuta una dissonanza, resta maggiore inentrambi i modi.Osserviamo che la classificazione degli intervalli in consonanze e dissonanze,teoricamente basata sul “grado di tensione ”dell’intervallo, abbia in larga parteperso significato nella musica del XX secolo. A questo proposito citiamo ancora[9]: Un intervallo, come qualsiasi altro suono musicale, puo avere significati di-versi a seconda del compositore. Mentre le sue proprieta fisiche sono costanti, ilsuo impiego cambia a seconda del contesto [...]. Come cambiano le attitudini deicompositori, cosı possono cambiare i concetti di consonanza e dissonanza. Varigradi di tensione possono essere accettati come consonanti. Intervalli consonantipossono sembrare dissonanti in un passaggio dominato da intervalli dissonantie queste dissonanze spesso diventano la norma “consonante”dell’organizzazionemusicale in armonie che comprendono intervalli fortemente dissonanti.

In chiusura del paragrafo, pur non avendo ancora formalizzato il concetto discala, vogliamo tuttavia osservare che alcuni trattati chiamano note caratteri-stiche quelle poste sul III, sul VI e sul VII grado. Questa scelta e motivata dalfatto che, rispetto alla tonica, tali note formano intervalli maggiori nella scalamaggiore e minori nella scala minore naturale. Eppure solo il III grado vienechiamato (nota) caratteristica per la sua proprieta di individuare immediata-mente il modo. Questo perche nel modo minore spesso si adottano modelli discala che presentano il VI e il VII grado alterati (rispetto all’armatura di chiave)in senso ascendente e dunque intervalli di sesta e di settima maggiore rispettoalla tonica, proprio come nel modo maggiore. Alle note caratteristiche, tali testidi teoria contrappongono le cosiddette note tonali, ossia il I, il IV e il V grado.

12Segnaliamo che questa dizione non trova riscontro nella usuale teoria musicale, ma nonsembra infondata visto che N. Rimsky-Korsakow all’inizio del V capitolo del suo “Trat-tato”definisce alterati quegli accordi che si ottengono facendo muovere una o piu parti cro-maticamente mentre le altre restano ferme.

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6 Le alterazioni

Per completare le regole di determinazione della specie di un intervallo, e op-portuno aprire una parentesi sull’uso, il significato e l’effetto delle alterazioni.

Prendiamo ora in considerazione, oltre ai gia noti segni [[, [, ] e ×, anche ilbequadro (\). La sua funzione e quella di annullare eventuali segni di alterazionegia vigenti sulla nota, ad esempio a causa dell’armatura di chiave o dello statodi alterazione di una precedente nota omonima nel corso della stessa battuta.13

Non abbiamo introdotto prima tale segno in quanto la nota accompagnata dalbequadro finora coincideva concettualmente con quello che abbiamo definito ilsuo stato naturale (o - meglio - non alterato). Ora, a causa dell’armatura dichiave, lo stato naturale rispetto all’armatura puo risultare alterato in terminiassoluti. Pensiamo ad esempio al Si [ nella tonalita di Fa maggiore: si trattadi un’alterazione appartenente all’armatura di chiave, per cui lo stato naturaledella nota Si in questa tonalita e appunto il Si [. Per annullare tale alterazione,riportando cosı la nota al suo stato non alterato in termini assoluti, si deve usareil segno \.

Procediamo ora con qualche ulteriore considerazione. Nella tabella spessoriportata nei trattati di teoria,

[[ [ \ ] ×-2 -1 0 +1 +2

si legge di quanti semitoni ciascun segno di alterazione alza o abbassal’intonazione della nota cui viene applicato. Attenzione, pero: lo schema fun-ziona solo partendo da note allo stato naturale, ossia non accompagnate daalcun segno di alterazione (neppure in armatura di chiave). Basti pensare aduna sua apparente incongruenza: il segno di \ non avrebbe alcuna funzione,visto che modifica l’altezza della nota di 0 semitoni!

In realta il problema e legato ad un preciso aspetto della teoria musicale: nelnostro sistema le alterazioni non hanno un valore relativo bensı assoluto. None vero in generale che i bemolli abbassano di un semitono l’intonazione di unanota e i diesis la alzano. Questa regola, che nella tabella sopra e stata estesaalle doppie alterazioni, funziona solo per le note Do \, Re \, ..., Si \. In realta, lealterazioni portano sempre l’altezza della nota ad un ben preciso valore assolutodi frequenza. Ad esempio scrivendo La [4 si intende la frequenza di 207,652 Hz.In altre parole la mappatura [ = “−”, ] = “+” non e corretta. Ecco che un be-molle puo modificare l’intonazione di una nota perfino in senso ascendente: adesempio, se la nota era precedentemente alterata con un doppio bemolle.14 Pro-prio per evitare che il musicista rimanga spiazzato da tale singolare fenomeno,

13Per una trattazione piu dettagliata dell’argomento si rimanda ad un testo di teoria musi-cale quale [12].

14Si osservi che ciascun simbolo di alterazione, assegnando un valore assoluto e non relativo,potrebbe virtualmente rappresentare un’alterazione tanto ascendente quanto discendente perla nota cui e applicato, a seconda del precedente stato di alterazione della nota stessa. Nel

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i trattati di teoria ammettono e talora suggeriscono in partitura l’uso del segno\[ (in luogo del solo [) dopo [[ e del segno \] (in luogo del solo ]) dopo ×.

Illustriamo i risultati di queste osservazioni in due differenti forme grafiche,riportate in Fig. 14 e 15.

Figura 14: Diagramma della relazione tra alterazioni

Spieghiamo ora brevemente come usare tali schemi, ribadendo la loro equi-valenza semantica. Nel grafo15 di Fig. 14 leggiamo nei cinque vertici di si-nistra il precedente stato di alterazione della nota considerata (eventualmentedovuto all’armatura di chiave) e in quelli di destra il suo attuale segno di altera-zione. L’etichettatura del lato che congiunge i due nodi cosı individuati riportail numero di semitoni di alterazione introdotti, numero positivo per alterazioniascendenti e negativo per alterazioni discendenti. Lo stesso discorso vale perla matrice riportata in Fig. 15, le cui righe corrispondono ai vertici di sinistrain Fig. 14 e le colonne ai vertici di destra. Gli elementi della matrice sono il

nostro sistema musicale, pero, non esistono alterazioni maggiori del doppio diesis e del doppiobemolle, per cui queste ultime possono essere rispettivamente considerate come l’estremosuperiore e inferiore degli stati di alterazione. In altre parole, un doppio diesis non abbasseramai di semitono l’altezza di una nota perche non esiste il triplo diesis!

15Si tratta di un grafo etichettato, bipartito e completo, usualmente detto K5,5.

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M [[ [ \ ] ×[[ 0 1 2 3 4[ -1 0 1 2 3\ -2 -1 0 1 2] -3 -2 -1 0 1× -4 -3 -2 -1 0

Figura 15: Matrice della relazione tra alterazioni

numero di semitoni di alterazione. In realta la matrice M puo essere vista comela matrice di adiacenza pesata del grafo di Fig. 14.

Per inciso, si puo osservare che in tale matrice (i) la diagonale principale eidenticamente nulla, (ii) ogni altra diagonale presenta elementi tutti uguali traloro e (iii) la matrice e emisimmetrica (M = −MT ). Queste proprieta sonoriassunte dicendo che il suo generico elemento mi,j e dato da j − i.

A questo punto abbiamo chiarito come agiscono le alterazionisull’intonazione di una nota.

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7 La specie degli intervalli. II

Enunciamo ora le restanti regole per la classificazione della specie. Il loro utilizzosara presto chiarito, tramite la descrizione di due differenti metodi che ne fannouso.

Le alterazioni che provocano l’allargamento di un intervallo maggiore ogiusto ne fanno variare la specie secondo lo schema qui riportato:

giusto/maggiore → ECC → PIU ′ CHE ECC → 3 ECC → 4 ECC

Le alterazioni che provocano il restringimento di uno o piu semitoni di unintervallo maggiore fanno variare la specie come sotto indicato:

4 DIM ← 3 DIM ← PIU ′ CHE DIM ← DIM ← MIN ← maggiore

Infine, le alterazioni che provocano il restringimento di uno o piu semitonidi un intervallo giusto fanno variare la specie secondo lo schema qui riportato:

4 DIM ← 3 DIM ← PIU ′ CHE DIM ← DIM ← giusto

7.1 Il primo metodo: riduzione alla tonica

Una regola spesso suggerita per classificare correttamente la specie di un inter-vallo consiste nel considerare la nota piu grave come la tonica di una tonalitamaggiore, T , e la piu acuta come grado della stessa tonalita.

Se quest’ultima nota e allo stato naturale, rispetto all’armatura di chiave diT , allora l’intervallo si dira giusto, nel caso si tratti di unisono, quarta, quintao ottava; si dira invece maggiore nel caso si tratti di seconda, terza, sesta osettima.

Per trattare il caso in cui la nota piu acuta risulti alterata (rispettoall’armatura di chiave di T ) bisogna confrontarla con la sua omonima natu-rale rispetto alla tonalita T . In sostanza si deve stabilire se le alterazioni dellanota in questione abbiano ampliato o ristretto l’intervallo, il che si puo fare comeindicato in Fig. 14 o 15. Essendo fissato l’estremo inferiore, a valori negativiin Fig. 14 o 15 corrispondera chiaramente un restringimento dell’intervallo e avalori positivi un suo allargamento. I valori ricavati da Fig. 14 o 15 rappresen-tano il numero di passi da compiere verso destra (valori positivi) o verso sinistra(valori negativi) all’interno degli schemi di inizio paragrafo.

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Quanto sopra viene spesso indicato nei trattati di teoria come regola praticaper il riconoscimento degli intervalli, ma non e del tutto corretto. Attenendocistrettamente alla enunciazione data, il metodo non consente d’individuare tuttigli intervalli che si possono ottenere con i cinque segni di alterazione considerati.Come detto, tale regola parte dal presupposto di considerare la prima notacome tonica di una tonalita maggiore e fare poi riferimento alla sua armaturadi chiave. Ma esistono note alterate, come ad esempio La [[ o Do ×, cui noncorrisponde alcuna tonalita tra le 15 scale maggiori citate nei trattati (si vedaad esempio [12]). Il numero di alterazioni di queste scale va progressivamentedai sette bemolli ai sette diesis, pertanto le note alterate con doppio diesis odoppio bemolle non possono essere la tonica di una di queste 15 scale. Inoltre,pur senza scomodare le doppie alterazioni, lo stesso si puo dire per note qualiFa [ e Mi ]: nel prospetto “accademico”delle 15 scale non sono contemplateFa [ maggiore o Mi ] maggiore.

Una via di uscita esiste: si puo in prima battuta considerare il prospettodelle 15 scale una pura limitazione teorica, e quindi ammettere nuove tonalitache presentino in armatura i doppi bemolli e i doppi diesis. In questo modoqualunque nota in qualsiasi stato di alterazione potrebbe divenire la tonica diuna tonalita. Ne segue che il metodo introduce ben 35 tonalita: tutte quelleche si ottengono considerando i 5 possibili stati di alterazione delle 7 note. Adesempio il Si [[ sarebbe la tonica di Si [[ maggiore, una cervellotica scala la cuiarmatura di chiave presenta Si [[, Mi [[, La [, Re [, Sol [, Do [ e Fa [.

Figura 16: L’affollata armatura della scala di Si [[ maggiore

Comunque va detto che il modello a 30 scale (15 maggiori e 15 minori) e giauna forzatura teorica, in quanto le tonalita con 5, 6 e 7 diesis in chiave risultanoomofone (od omologhe) a quelle con 7, 6 e 5 bemolli. In pratica, ignorandole omofonie, le tonalita acusticamente diverse sono le 24 corrispondenti alle 12maggiori e alle 12 minori che partono da ciascuno dei semitoni in cui si dividel’ottava. Non a caso Johann Sebastian Bach organizza ciascuno dei due libri del“Wohltemperierte Klavier”in 24 preludi e fughe.16

In definitiva, il metodo esposto risente di una grave limitazione: o si rivelaincompleto, non consentendo di individuare tutti i possibili intervalli, o diventaeccessivamente cervellotico. Anche se “esistessero”tonalita quali Fa × maggioreo Sol [[ maggiore, sarebbe ben difficile raffigurarsene le alterazioni per poi appli-care le regole di deformazione enunciate all’inizio del paragrafo.

16Il lungo sottotitolo dell’opera recita: “Preludi e fughe in tutti i toni e semitoni, nei modimaggiore e minore, a uso e beneficio dei giovani musicisti desiderosi di conoscenza cosı comedi coloro che sono gia avanti nei propri studi. Composti e preparati per il loro particolaredivertimento da Johann Sebastian Bach, attuale maestro ducale di cappella in Anhalt Cothene direttore di musica da camera, nell’anno 1722”.

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Figura 17: Scale omofone di Si magg . e Do [ magg .

7.2 Intervalli tra gradi non alterati

Precedentemente abbiamo elencato gli intervalli formati da ciascun grado non al-terato della scala rispetto alla tonica. Consideriamo ora la “tavolozza”completadegli intervalli introdotti dal modello di scala maggiore, senza dover necessaria-mente scegliere la tonalita corrispondente al suono piu grave dell’intervallo.

Come abbiamo visto, la scala maggiore presenta tra i propri gradi non al-terati gli intervalli di unisono giusto, seconda maggiore, terza maggiore, quartagiusta, quinta giusta, sesta maggiore, settima maggiore e ottava giusta. Si trattadegli intervalli formati rispetto alla tonica da tutti i restanti gradi della scala.

Riportiamo ora la tabella completa, facendo ancora una volta riferimentoalla tonalita di Do maggiore.17 Il contenuto della tabella puo comunque esserefacilmente generalizzato a qualsiasi tonalita, sostituendo Do con I grado, Recon II grado e via dicendo.

Do Re Mi Fa Sol La Si Do Re Mi Fa Sol La Si Do

Do 1g 2M 3M 4g 5g 6M 7M 8gRe 1g 2M 3m 4g 5g 6M 7m 8gMi 1g 2m 3m 4g 5g 6m 7m 8gFa 1g 2M 3M 4e 5g 6M 7M 8gSol 1g 2M 3M 4g 5g 6M 7m 8gLa 1g 2M 3m 4g 5g 6m 7m 8gSi 1g 2m 3m 4g 5d 6m 7m 8gDo 1g 2M 3M 4g 5g 6M 7M 8g

Figura 18: Intervalli semplici tra gradi non alterati di Do maggiore

Come si nota dall’esame delle diagonali della tabella, gli intervalli di seconda,terza, sesta e settima si presentano nelle specie maggiore e minore; unisono,quarta, quinta e ottava sono sempre giuste, ad eccezione dell’intervallo formatotra Fa e Si e tra Si e Fa.

Il modello di scala minore naturale non introduce nuovi intervalli: infatti essae formata dalle stesse note della maggiore. In pratica, la tonica del modo minorecoincide con il VI grado del modo maggiore e tutti i restanti gradi subisconoun’analoga traslazione. Ovviamente, mantenendo gli stessi ingredienti di base,non si potra dar vita a nuovi tipi di intervallo.

17Questo perche lo studente di musica solitamente memorizza gli intervalli tra note nonalterate, in quanto piu frequenti e di determinazione piu immediata.

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Diverso e il discorso per altri modelli di scala: ad esempio, nella scala minorearmonica si riscontra un intervallo di seconda eccedente tra il VI grado e ilVII (alterato in senso ascendente rispetto alla scala naturale). Analogamente,l’intervallo tra VII e VI grado all’ottava superiore sara di settima diminuita.

Infine abbiamo il caso della scala cromatica (o semitonale), composta dai12 semitoni in cui si divide l’ottava: oltre agli intervalli gia citati, questa scalane introduce molti altri, eccedenti, piu che eccedenti, diminuiti e piu che dimi-nuiti. Questo e dovuto all’arricchimento della tavolozza tramite le alterazionicromatiche ascendenti e discendenti che coinvolgono tutti i gradi della scala.

Quanto affermato in questo paragrafo e formalmente ricavabile dal primometodo di classificazione della specie, e puo essere facilmente verificato dal let-tore per esercizio.18

Abbiamo detto che tra III e IV grado e tra VII e I si formano intervalli diseconda minore. Verifichiamo tale affermazione seguendo passo passo il metododi riduzione alla tonica. Prenderemo come esempio quanto avviene nella tonalitadi Sol maggiore.

In questa tonalita il III grado e il Si \, il IV e il Do \, il VII e il Fa ] e il Ie ovviamente il Sol \. Per verificare che l’intervallo [Si \, Do \] sia una secondaminore, ci poniamo nella tonalita di Si maggiore (vedi Fig. 17). In armatura dichiave compare il Do ], pertanto sappiamo che l’intervallo [Si \, Do ]] rappre-senta una seconda maggiore. Dobbiamo ora calcolare il numero di semitoni chedeformano tale intervallo per portarlo a coincidere con [Si \, Do \]. Rifacen-dosi alla figura 14, vediamo che nel passaggio da Do ] a Do \ l’intevallo vieneristretto di un semitono, per cui la specie si trasforma da maggiore in minore,come mostrato nelle tabelle all’inizio del Paragrafo 7.

Analogo discorso vale per l’intervallo [Fa ], Sol \], tenendo conto che latonalita di Fa ] maggiore ha in armatura di chiave il Sol ].

A questo punto, abbiamo a nostra disposizione gli strumenti per indagareun singolare fenomeno: tutte le quarte tra gradi non alterati della scala sonogiuste, ad eccezione di quella che si forma tra IV e VII grado.

Questa volta, per pura comodita, ci poniamo in Do maggiore. Risulta agevoleverificare che [Do, Fa], [Re, Sol], [Mi, La], [Sol, Do], [La, Re] e [Si, Mi] sonotutte quarte giuste: infatti nell’armatura di Do maggiore il Fa non e alterato,nell’armatura di Re maggiore il Sol non e alterato e via dicendo... Rappresentaun’eccezione il caso di Fa maggiore, in quanto in armatura compare il Si [: eccoche il Si \ amplia l’intervallo di un semitono, e l’originaria quarta giusta diventaeccedente.19

18Abbiamo gia rilevato come la classificazione di questi semplici intervalli sia di solito notaal musicista per via mnemonica e dunque non venga ricavata di volta in volta applicando ilmetodo algoritmico.

19Per le sue caratteristiche di unicita nella scala, all’intervallo di quarta eccedente sono statestoricamente attribuite denominazioni specifiche ed evocative: tritono (in quanto compostodalla sovrapposizione di tre toni) e diabolus in musica (per via del suo grado di tensione, odella difficolta nell’intonarlo).

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Un analogo discorso potrebbe mostrare agevolmente perche tutte le quintesiano giuste ad eccezione di quella che si forma tra VII e IV grado, che risultauna quinta diminuita.

7.3 Il secondo metodo: deformazione dell’intervallo

In alternativa al primo metodo, si puo dapprima considerare la speciedell’intervallo formato dalle note private delle alterazioni.20 Poi sara sufficientevalutare gli allargamenti o i restringimenti introdotti dalle alterazioni di en-trambi gli estremi e modificare la specie come indicato nei tre schemi di inizioparagrafo.

Come si vede, questo metodo e basato sulla conoscenza a priori della speciedegli intervalli tra le note (non alterate) della scala di Do maggiore. Non c’e dub-bio che questo fatto sia piuttosto imbarazzante dal punto di vista metodologico.Per colmare tale lacuna, si puo ovviamente ricorrere al metodo di riduzione allatonica precedentemente illustrato. Tuttavia, in questo caso non si verificano“cervellotiche”situazioni relative a tonalita assolutamente inusuali. Infatti, con-siderando le note prive di alterazioni (ossia le note costitutive delle scale diDo maggiore e La minore naturale), si hanno intervalli formati da una delle settenote: Do \, Re \, Mi \, Fa \, Sol \, La \ e Si \. Tali note rappresentano la tonicadi altrettante tonalita la cui armatura di chiave e relativamente semplice: si vada un solo bemolle (Fa maggiore) a cinque diesis (Si maggiore).

Evidenziamo che, nella prassi, la situazione e radicalmente diversa. All’iniziodella propria educazione, il musicista impara a riconoscere, e memorizza,ampiezza e specie degli intervalli tra i gradi non alterati della scala di Do maggiore(Fig. 7.2). Per questo l’applicazione del secondo metodo risulta certamente piuimmediata e semplice.

Prima di presentare alcuni esempi chiarificatori, vediamo in che modo questoprocedimento risolve i problemi esposti per il primo metodo.

Innanzi tutto, esso e applicabile ad ogni intervallo, senza eccezioni. Comepiu volte detto, il fatto di privare inizialmente le note del proprio stato di alte-razione riconduce tutti i possibili casi ad intervalli tra gradi non alterati dellascala di Do maggiore. La classificazione di tali intervalli per il musicista medio eimmediata, anche solo per via mnemonica.

In secondo luogo, si smarrisce ogni riferimento all’eventuale armatura dichiave della tonalita T imposta dalla nota grave; e abbiamo visto in alcunicasi quanto la determinazione dell’armatura possa diventare complessa! Di con-seguenza, neppure con gli intervalli piu ostici tale metodo si rivela di difficileapplicazione. Ne e testimonianza l’esempio sotto riportato.

Esempio Si voglia classificare l’intervallo [Do [[, Si ]]. Si verifica chel’intervallo [Do \, Si \], ottenuto privando gli estremi dei segni di alterazione,

20E’ questo il metodo suggerito anche in [10].

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e una settima maggiore. Per precisare la specie, si osserva che l’intervallo ori-ginario e ampliato di tre semitoni rispetto all’intervallo [Do \, Si \]. Infatti,facendo riferimento alla Fig. 14, si nota che andando da Do \ a Do [[ si in-troduce un addendo -2 e il passaggio da Si \ a Si ] implica un addendo +1.Ricordiamo che i valori positivi comportano un allargamento dell’intervallo seapplicati all’estremo superiore e un suo restringimento se applicati all’estremoinferiore, mentre per i valori negativi vale l’opposto. Allora l’allargamento com-plessivo in questo caso e 1 − (−2) = 3. In conclusione, l’intervallo [Do [[, Si ]]risulta essere una settima triplamente eccedente.

Figura 19: Progressivo passaggio da una settima maggiore a una settima tripla-mente eccedente

Un caso eclatante e dato dall’intervallo [Do [[, Re ×]. In questo esempioinfatti [Do \, Re \] costituisce una seconda maggiore che viene quadruplamente“estesa”dalle alterazioni. Deduciamo quindi che il nostro intervallo e una se-conda “quadruplamente eccedente”. Un altro caso singolare e quello della se-conda “quadruplamente diminuita”(come ad esempio [Mi ×, Fa [[]) in cui ilsuono nominalmente inferiore scavalca quello nominalmente piu acuto.

Concludiamo la trattazione del metodo in oggetto evidenziandoun’interessante proprieta della matrice M mostrata in Fig. 15. Considerandocome intervalli di riferimento quelli della tonalita di Do maggiore, l’alterazionedi arrivo (ossia la colonna di M) relativa a ciascuna delle due note costituentil’intervallo da analizzare e invariabilmente quella centrale. In Do maggiore,infatti, tutte le note sono naturali. Cio consente di saltare un passaggionell’algoritmo fin qui descritto: anziche applicare il procedimento due volte perriportare ciascuna nota alla sua omonima naturale, e sufficiente porre comeetichetta di riga l’alterazione della prima nota e come etichetta di colonna quelladella seconda. L’elemento di M corrispondente, ottenuto con questo singolopassaggio, rappresenta gia il numero di passi di allargamento/restringimentorispetto al modello naturale dell’accordo.

Questa proprieta e giustificabile per via matematica. Infatti, per i, j, k po-sitivi e non maggiori di 5, si ha:

mj,k −mi,k = mj,i. (9)

La dimostrazione di questa affermazione e particolarmente semplice. Infatti,per le proprieta di M precedentemente citate, sappiamo che ma,b = b − a.Dunque scriviamo la (9)

mj,k −mi,k = k − j − (k − i) = i− j = mj,i,

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dimostrando cosı l’indipendenza da k.Osserviamo che il procedimento in un unico passo e possibile per ogni k fis-

sato. Ad esempio, k = 2 comporta la scelta come riferimento di una tonalitacon tutti i gradi alterati di semitono discendente (tutte note bemolli). In al-tre parole, significa riscrivere la tabella di Fig. 7.2 con le note costitutive diDo [ maggiore.

Introduciamo infine il concetto di tonalita uniforme, ossia in cui tutte lenote naturali (rispetto all’armatura di chiave) presentano lo stesso stato di alte-razione. Tre di queste tonalita sono contemplate dal prospetto accademico delle15 scale maggiori: si tratta di Do [ maggiore, Do maggiore e Do ] maggiore, cui cor-rispondono rispettivamente i valori k = 2, 3 e 4. Le due restanti, Do [[ maggiore eDo × maggiore, introducono alterazioni doppie discendenti o ascendenti su ognigrado. Ad esse corrispondono k = 1 e k = 5.

Ponendosi in una tonalita uniforme, e disponendo della relativa tabella degliintervalli tra gradi naturali, risulta possibile applicare il procedimento in unpasso solo, essendo k fissato.

Come controesempio, consideriamo la tonalita di Re maggiore. Le sue notecostitutive non sono alterate uniformemente: Re, Mi, Sol, La e Si sono naturali,mentre Fa e Do hanno il diesis. E dunque, in un generico intervallo ogni estremodi nome Re, Mi, Sol, La o Si (indipendentemente dal suo stato di alterazione)verra confrontato con la colonna centrale della matrice M, mentre ogni estremodi nome Fa o Do con la quarta colonna. Cio impedisce di sfruttare la proprietaprecedentemente enunciata e, in ultima analisi, di applicare l’algoritmo in ununico passo.

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8 Trattazione informatica del problema di clas-sificazione

La classificazione dell’ampiezza di un intervallo e relativamente facile da ot-tenere per via matematica. Infatti, e sufficiente disporre dell’enumerazione N eapplicare l’operatore V agli estremi dell’intervallo.

Purtroppo, altrettanto non si puo dire della specie. Infatti, non e possi-bile individuare un parametro numerico che accomuni tutti gli intervalli giusti,maggiori, minori,...21

Il parametro fondamentale per determinare la specie degli intervalli e il nu-mero di semitoni che ne separano gli estremi. Attenzione, pero: si tratta diun valore che cambia da specie a specie e da ampiezza ad ampiezza. Ad esem-pio, gli estremi di una quarta giusta distano 5 semitoni, mentre quelli di unaquinta giusta distano 7 semitoni, eppure entrambi gli intervalli si dicono giusti.Affrontando il problema dal punto di vista complementare, il fatto che un in-tervallo abbracci un certo numero di semitoni non e sufficiente per classificarnela specie: 5 semitoni separano gli estremi di una quarta giusta, di una terzaeccedente e di una quinta piu che diminuita. Questo discorso verra presto ap-profondito.

Di certo appare opportuno attribuire un altro valore numerico (intero) aglielementi di NOTE. Cio verra fatto enumerando in sequenza le note delle suc-cessive ottave e assegnando lo 0 allo stesso Do grave adottato come riferimentoper l’operatore N . Ora le note alla stessa frequenza (omofone) avranno lo stessovalore. La corrispondenza L : NOTE → N che si ottiene e mostrata in Fig. 20.

Grazie all’introduzione degli operatori N e L la relazione di precedenza Pmostrata in Fig. 5 viene immersa nello spazio bidimensionale delle note.

Appare ora opportuno introdurre un nuovo concetto.

Definizione 4 L’operatore S : NOTE ×NOTE → N che fornisce il numerodi semitoni nell’intervallo [i, j] e definito come segue:

S([i, j]) = L(j)− L(i). (10)

Rispondiamo infine alla domanda: com’e possibile classificare algoritmica-mente un intervallo dato?

Ogni intervallo I risulta univocamente definito da una coppia di numeri,corrispondenti ai valori di G(I) e S(I). Come abbiamo visto, la mappatura deivalori di G nelle ampiezze degli intervalli e immediata, mentre non esiste unaregola matematica per la mappatura dei valori di S nelle specie corrispondenti.A questo punto, le alternative sono due.

21Non a caso [5] identifica gli intervalli utilizzando una coppia di interi.

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Figura 20: La mappa L : NOTE → N

• Elencare in un’opportuna struttura dati tutte le coppie (G,S) realizzabili,come suggerito in [5]. L’algoritmo si limitera a calcolare, partendo dagliestremi dell’intervallo I, la coppia di valori (G(I), S(I)), ricercando infinela corrispondenza all’interno di una tabella che contempla ed etichettatutte le possibili coppie.

• Elencare per ciascun intervallo solo una coppia (G(Imod), S(Imod)), i cuivalori sono relativi a una specie-modello: ad esempio, l’unisono giusto, laseconda maggiore, la terza maggiore e via dicendo... A quel punto, imple-mentando per via algoritmica le tabelle di ampliamento/restringimentodegli intervalli poc’anzi presentate, sara possibile classificare qualsiasispecie. Bastera infatti confrontare il valore di S dell’intervallo con quellodel modello e calcolare il numero n di passi da compiere attraverso lasemplice relazione n = S(I)− S(Imod).

La seconda soluzione risulta certo piu efficiente rispetto alla prima, ma diimplementazione meno semplice.

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8.1 Linearizzazione dello spazio bidimensionale

Nel corso della trattazione, si e piu volte evidenziata la necessita di immergerele note in uno spazio bidimensionale. Ad esempio, il limite evidenziato dalMIDI nella rappresentazione simbolica consiste proprio nel considerare un’unicadimensione, in particolare la dimensione verticale di fig. 20.

In realta, pur volendo mantenere una rappresentazione multidimensionaledell’insieme NOTE, e possibile eseguirne una linearizzazione senza perdita infor-mativa. Un tentativo in questo senso e stato compiuto con successo da Brinkmanin [5], dove l’autore ha dapprima definito le grandezze pc (pitch class, corrispon-dente all’enumerazione da 0 a 11 dei 12 semitoni di un’ottava), nc (name class,corrispondente all’enumerazione da 0 a 6 dei 7 nomi di NOTE) e oct (numerodi ottava dell’altezza notata). A questo punto, Brinkman opera una lineariz-zazione introducendo la grandezza cbr (continuous binomial representation) eapplicando l’equazione:

cbr = (oct · 1000) + (pc · 10) + nc. (11)

Per ricostruire i singoli elementi, si possono usare le formule:

oct = cbr div 1000temp = (pc · 10) + nc = cbr mod 1000

pc = temp div 10nc = temp mod 10.

Si nota che e sufficiente il solo valore numerico di cbr per ottenere le infor-mazioni su nome della nota, altezza nell’ambito dell’ottava e numero progres-sivo di ottava. Considerando che nella nostra rappresentazione bidimensionalegli ultimi due parametri sono associati a formare l’altezza assoluta, ecco che siriconoscono nell’unico valore di cbr entrambe le dimensioni del diagramma.

In pratica, [5] sfrutta la notazione posizionale della numerazione decimaleassegnando alle unita il compito di rappresentare il nome della nota, alle decine ealle centinaia l’altezza della nota nell’ottava e alle migliaia il numero progressivodi ottava.

Ad esempio, il Do centrale, codificato in MIDI con il pitch 60, sarebbe rap-presentato da cbr = 5000: oct = 5, pc = 0 e nc = 0. Analogamente, il La ]dell’ottava inferiore e codificato come cbr = 4105: oct = 4, pc = 10 e nc = 5.

Osserviamo che esiste un’implementazione binaria della linearizzazione an-cor piu efficiente. Infatti, per codificare i 7 nomi delle note sono sufficienti 3 bit(23 = 8); per i 12 rappresentanti della pitch class bastano 4 bit (24 = 16); infine,limitando il numero di ottave a 16, valore che supera il massimo comunementeaccettato, sono richiesti 4 bit aggiuntivi. In definitiva, la rappresentazione po-sizionale binaria richiede complessivamente 11 bit. La codifica binaria dellarappresentazione decimale suggerita da Brinkman avrebbe invece richiesto, aparita di intervallo di valori, ben 14 bit (214 = 16384).

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Rivediamo i precedenti esempi alla luce della nuova codifica. Per comoditadi lettura, i bit appartenenti a campi differenti sono divisi da punti (dotted nota-tion). I singoli campi sono semplicemente la traduzione binaria dei valori deci-mali prima determinati. Il Do centrale si rappresenta dunque con 0101.0000.000,e il La ] dell’ottava inferiore con 0100.1010.101.

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9 Omofonia e omonimia tra intervalli

Secondo [14] l’omonimia e la situazione in cui soggetti differenti recano lo stessonome mentre l’omofonia, come gia ricordato, e il fenomeno dell’identita fonica.

Strettamente parlando, e chiaro che due intervalli sono omofoni quando sonogenerati dall’emissione delle stesse frequenze. Ai nostri scopi e tuttavia utileprendere in considerazione anche il concetto di omofonia in senso lato. Diremoche due intervalli sono omofoni in senso lato quando il rapporto delle frequenzetra le note che li compongono e identico. Percio, l’intervallo [Do, Sol] e omofonoin senso stretto a [Do, Sol], a [Re [[, Sol], a [Si ], La [[] e via dicendo, mentre eomofono in senso lato a [Re, La], a [Mi [, Si [],...

In pratica, due intervalli omofoni in senso lato lo diventano in senso strettograzie a un’opportuna traslazione. Per chiarire questo concetto, supponiamoche I e J siano due intervalli omofoni in senso lato. Allora, operando unatrasposizione reale (traslazione) dell’intervallo J che porti il suo estremo inferiorea coincidere con quello di I, la coppia di intervalli risulta omofona in sensostretto.

Notiamo infine che, qualora si verifichi omofonia in senso lato e congiunta-mente due estremi omologhi22 degli intervalli considerati siano coincidenti, losaranno anche gli altri due estremi e si avra omofonia in senso stretto.

D’ora in avanti, quando non esplicitamente precisato, per omofonia si inten-dera quella in senso lato.

Come abbiamo gia detto, l’omofonia di due intervalli richiede che il rapportodelle frequenze tra i rispettivi estremi sia identico. Evidenziamo un altro modoper esprimere lo stesso concetto: l’ampiezza dei due intervalli deve essere ugualeper numero di semitoni.

Rifacendoci all’operatore S precedentemente introdotto, diciamo che

S(I) = S(J)

e condizione necessaria e sufficiente per l’omofonia degli intervalli I e J.Consideriamo ad esempio i due intervalli [Do, Sol] e [Mi, Si]. Entrambi

abbracciano 7 semitoni, dunque il rapporto delle frequenze tra i loro estremi er7. Questo ci permette di dire che sono omofoni (in senso lato).

Notiamo che l’omofonia, perfino in senso stretto, non e condizione sufficienteper l’omonimia. Ad esempio, [Re, Sol] e [Mi [[, Sol] sono chiaramente omofoni,ma il primo costituisce una quarta giusta mentre il secondo rappresenta unaterza eccedente. Pero l’omofonia, almeno in senso lato, e condizione necessariaper l’omonimia. In altre parole, se due intervalli non “suonano”allo stesso modonon potranno avere lo stesso nome. Basti pensare che per il musicista medio il ri-conoscimento acustico dell’intervallo, e dunque della sua denominazione, avvieneproprio verificandone l’omofonia con un modello precedentemente memorizzato.

22Per estremi omologhi si intendono entrambe le note piu gravi o entrambe le note piuacute.

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Ponendoci nell’ottica opposta, osserviamo che l’omonimia e condizione suffi-ciente (ma non necessaria) per l’omofonia in senso lato. Ad esempio, due quintegiuste “suonano”allo stesso modo; ma una quinta giusta “suona”esattamentecome una quarta piu che eccedente e come una sesta diminuita.

Osserviamo che l’orecchio umano in generale non e capace di riconoscere lefrequenze dei suoni,23 ma solitamente percepisce i rapporti di frequenze. Quasitutti sono in grado di riprodurre un motivetto che hanno appena sentito fischiet-tare, riscostruendo gli intervalli tra le note della melodia. Un ascoltatore pureducato alla musica - sentendo l’emissione di due suoni a 440 Hz e a 659,26 Hz- non riuscira ad associarli con precisione alle corrispondenti note del sistematemperato (il La dell’ottava centrale e il Mi dell’ottava successiva), ma non avraalcuna difficolta nel riconoscere una quinta giusta, cioe un rapporto di frequenzepari a r7 = 1, 498 ∼= 3/2.

In effetti esistono vari livelli nella capacita umana di percepire le frequenzedei suoni. Le tre tipiche situazioni sono

• quella dell’ascolatore medio (che riconosce istintivamente l’omofonia, ossiail rapporto delle frequenze degli intervalli ed e capace di riprodurli),

• quella dell’ascoltatore educato alla musica (che ascoltando un intervallolo sa anche classificare, confrontandolo mentalmente con i modelli che hamemorizzato), e

• quella dell’ascoltatore dotato di orecchio assoluto, in grado di riconoscerele altezze assolute dei suoni.

Nei primi due casi il riconoscimento delle frequenze e relativo e non asso-luto. Quando riproduciamo un motivetto a distanza di tempo sufficientementelunga dall’ascolto dell’originale inconsciamente lo trasportiamo, cioe operiamouna traslazione di tutte le frequenze. I rapporti di frequenza tra le note che com-pongono la melodia saranno corretti, ma nulla puo garantire che la prima nota,quella che abbiamo scelto come riferimento per le successive, sia esattamentealla stessa frequenza della nota originale. In altre parole, per poter ottenereun’omofonia in senso stretto abbiamo bisogno di un riferimento esterno e as-soluto: e questo il motivo per cui gli accordatori e i cori a cappella usano ildiapason, le orchestre accordano i propri strumenti sulla base del suono emessoda un solo strumento (che molto spesso e l’oboe, come abbiamo imparato dalla“Prova d’orchestra”di Fellini) e via dicendo...

Vogliamo ora valutare attraverso i ben noti operatori G e S se tra due in-tervalli sussista rapporto di omonimia (uguaglianza terminologica su ampiezzae specie) e omofonia (identita fonica) in senso stretto e lato.

23Segnaliamo che esistono casi eccezionali, ma non infrequenti, di persone dotate del cosid-detto orecchio assoluto, un’abilita naturale nel riconoscere le altezze assolute dei suoni. Segna-liamo anche un recente studio [13] volto a mostrare come nei primissimi anni di vita l’uomoriconosca piu facilmente le frequenze assolute.

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Due intervalli I1 e I2 si diranno omonimi se e solo se presentano la stessaampiezza sia in gradi sia in semitoni abbracciati (condizione necessaria e suffi-ciente). Formalmente:

[G(I1) = G(I2)] AND [(S(I1) = S(I2)]. (12)

In Fig. 21 sono riportati alcuni esempi di intervalli omonimi. La primabattuta contiene casi esemplari di terze minori, intervalli per cui si verificaG(I) = 2, V (I) = 3 e S(I) = 3. A battuta 2 sono riportati alcuni esempi diquarte giuste, cui corrispondono G(I) = 3, V (I) = 4 e S(I) = 5. Infine la terzabattuta illustra casi di quinte diminuite, che presentano G(I) = 4, V (I) = 5 eS(I) = 6

Figura 21: Esempi di intervalli omonimi

Analizziamo ora cosa avviene quando solo uno dei due operatori coincide.Se

[G(I1) = G(I2)] AND [(S(I1) 6= S(I2)]

allora i due intervalli presentano stessa ampiezza ma specie diversa. Essi cer-tamente non sono omofoni, neppure in senso lato. Questo stesso concetto puoessere espresso dicendo che l’ampiezza dei due intervalli e differente per numerodi semitoni,24 oppure che il rapporto tra le frequenze dei loro estremi e diversonei due casi.

Ad esempio, sia I1 = [Do, Mi] e I2 = [Mi, Sol]. Si ha G(I1) = G(I2) = 2poiche si tratta di due intervalli di terza, ma S(I1) = 4, S(I2) = 3 e infatti ilprimo rappresenta una terza maggiore mentre il secondo e una terza minore.

Analizziamo ora il caso complementare, ossia

[G(I1) 6= G(I2)] AND [(S(I1) = S(I2)].

Qui da un punto di vista terminologico i due intervalli presentano ampiezza especie diversa, ma sono omofoni:25 il rapporto di frequenze tra estremo superioree inferiore risulta uguale.

Facciamo un esempio: sia I1 = [Do, Mi] e I2 = [Re, Sol []. Si ha G(I1) = 2(terza), G(I2) = 3 (quarta) ma S(I1) = S(I2) = 4. In effetti l’intervallo I2

e indistinguibile da un intervallo I3 = [Re, Fa ]] che rappresenta proprio latrasposizione a partire dal Re naturale di I1 (terza maggiore).

Si tratta di un’applicazione del concetto di enarmonia, ovvero il “rapportotra note di nome diverso ma di altezza identica grazie al temperamento equabilein uso nella musica tonale”[1].

24Ricordiamo che S(I) = S(J) e condizione necessaria per l’omofonia.25Ricordiamo che S(I) = S(J) e condizione sufficiente per l’omofonia.

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9.1 Ma quanti sono gli intervalli?

Teoricamente il numero di intervalli acustici che si possono ottenere in naturae infinito. Per rispondere alla domanda e dunque necessario porre delle ipotesiche restringano il campo di indagine. Considereremo in questa sede solo i suoniappartenenti al campo di udibilita medio, ossia di frequenza compresa tra 20 e20000 Hz. Inoltre tale campo sara discretizzato secondo le norme del tempera-mento equabile. Sotto queste ipotesi, le note ammesse per la composizione diintervalli sono in numero finito e le loro combinazioni sono anch’esse in numerofinito.

Dati due livelli dello spazio bidimensionale delle note, diciamo n ed m (cor-rispondenti a due specificate frequenze), si voglia calcolare il numero di possibiligrafie per gli intervalli (ascendenti) formati da note che stanno su quei livelli.Sia ora kn il numero di (nomi di) note a livello n. La Fig. 4 ci mostra che

kn ={

2 se n = 8 + 12 · ott3 altrimenti

dove ott e un intero non negativo. In sostanza kn vale 2 solo in corrispondenzadell’omofonia Sol ]/La [.

Quindi lo stesso effetto acustico potra essere ottenuto con kn · km grafiedifferenti.

Scegliamo ad esempio n = 69 ed m = 72 (corrispondenti rispettivamentea 440 e 523, 251Hz).26 In Fig. 22 sono riportate le nove grafie acusticamenteequivalenti.

Figura 22: Grafie acusticamente equivalenti

Consideriamo ora n = 56 ed m = 68. Si tratta di un caso molto particolare,in cui le grafie equivalenti sono solo le quattro riportate in Fig. 23.

Figura 23: Grafie acusticamente equivalenti

I diversi intervalli ottenuti risulteranno per ipotesi omofoni in senso stretto,e dunque rispetteranno la condizione necessaria per l’omofonia:

S(I1) = S(I2).26Si noti che per n = 69 si ha ott = 5 e per m = 72 si ha ott = 6.

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Un problema diverso e rappresentato dalla ricerca del numero di intervalliformati da note dello stesso nome, ma con stati di alterazione diversi. Taliintervalli saanno quindi omonimi per quanto riguarda l’ampiezza, ma non ne-cessariamente per quanto concerne la specie. Anche in questo caso il calcolodelle possibili combinazioni e semplice: poiche ogni nota puo essere alterata incinque modi differenti, e il discorso va ovviamente esteso ad entrambe le noteche formano l’intervallo, allora le combinazioni risultanti sono 5 · 5 = 25. Inparticolare non si avra mai omofonia in senso stretto, visto che per ipotesi noncompaiono coppie di livelli (frequenze) ripetuti.

Al contrario, per quanto concerne l’omofonia (e dunque la completa omo-nimia), avremo solo nove tipi di intervallo. Per mostrarlo, sia I un genericointervallo costituito da note non alterate. Come ci e ormai noto, le possibili al-terazioni in senso ascendente e discendente dei suoi estremi possono deformarel’intervallo, ossia ampliarlo o restringerlo. Detta d la deformazione in numerodi semitoni dell’intervallo I, si ha la relazione

−4 ≤ d ≤ +4 ovvero |d| ≤ 4.

Il valore massimo per d si ha alterando due volte in senso discendente la notapiu grave (tramite il segno [[) e due volte in senso ascendente quella piu acuta(con ×). Invertendo i segni di alterazione si ottiene il caso opposto, ossia ilvalore minimo per d. Si osservi che e proprio la distanza in numero di semi-toni a determinare l’omofonia. Dunque, ora ci chiediamo in quanti modi sipossa ottenere un intervallo quadruplamente allargato, triplamente allargato,...,quadruplamente ristretto usando i cinque segni di alterazione. Detto c il numerodi combinazioni dell’omofonia considerata, si ricava la seguente tabella:

d c enumerazione delle combinazioni+4 1 [[ ×+3 2 [[ ] [ ×+2 3 [[ \ [ ] \ ×+1 4 [[ [ [ \ \ ] ] ×+0 5 [[ [[ [ [ \ \ ] ] × ×−1 4 [ [[ \ [ ] \ × ]−2 3 \ [[ ] [ × \−3 2 ] [[ × [−4 1 × [[

Ad esempio, [Do [[, Sol [[], [Do [, Sol [], [Do \, Sol \], [Do ], Sol ]] e[Do ×, Sol ×] sono tutti esempi di quinta giusta.

Nella tabella riportata, si evidenzia la relazione |d| + c = 5 valida per ogniriga. A titolo di verifica, osserviamo che la somma dei valori nella colonna c daproprio 25, ossia il numero complessivo di combinazioni ottenute alterando gliestremi dell’intervallo in tutti i modi possibili.

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10 Rivolto di un intervallo

Il rivolto di un intervallo semplice e quell’intervallo che si ottiene trasportandoil suono piu grave dell’intervallo originario (detto diretto) all’ottava superiore.

Figura 24: Rivolto di un intervallo melodico e di un intervallo armonico

E immediato vedere che la sovrapposizione di un intervallo diretto, ID, e delproprio rivolto, IR, completa un intervallo di ottava giusta. Quindi, ponendoV (I) = 8, V (I1) = V (ID) e V (I2) = V (IR) nella relazione (7) del paragrafo4.1, si ottiene

V (ID) + V (IR) = 9. (13)

Per quanto riguarda l’ampiezza in gradi si ha

G(ID) + G(IR) = 7 (14)

e per l’ampiezza in numero di semitoni possiamo affermare che

S(ID) + S(IR) = 12. (15)

La (13) viene solitamente citata dai trattati di Teoria musicale in linguaggionaturale, affermando che la somma di ogni intervallo con il proprio rivolto devesempre dare 9. Percio, limitando ancora una volta la trattazione agli intervallisemplici, il rivolto di una seconda e una settima e viceversa, il rivolto di unaterza e una sesta e viceversa, il rivolto di una quarta e una quinta e viceversa.

Per quanto riguarda la specie, vale la seguente tabella, assai facile da me-morizzare:

• il rivolto di un intervallo giusto e giusto;

• il rivolto di un intervallo maggiore e minore, e viceversa;

• il rivolta di un intervallo eccedente (aumentato) e diminuito, e viceversa;

• il rivolto di un intervallo piu che eccedente (aumentato) e piu che dimi-nuito, e viceversa;

• il rivolto di un intervallo triplamente eccedente (aumentato) e triplamentediminuito, e viceversa;

• il rivolto di un intervallo quadruplamente eccedente (aumentato) e quadru-plamente diminuito, e viceversa.

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Il grafo in Fig. 25 riassume tutto quanto detto sulle specie. Le transizionirappresentano le possibilita di allargamento, restringimento e rivolto di ognispecie.

Figura 25: Diagramma delle transizioni delle specie

11 Ringraziamenti

Gli autori desiderano ringraziare i Maestri Antonio Eros Negri e Carlo Pessinaper gli utili suggerimenti durante la lettura delle prime versioni del presentelavoro.

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