The Sticking Points Seek 'N' Destroy #1

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1 The sticking point seek ‘N’ destroy - #1 Questo articolo è un piccolo omaggio ad Ardus, il creatore del primo Ardus On Strength, in pratica il mio “babbo” per quanto riguarda le conoscenze teoriche che ho sviluppato in questi anni. Ardus, un ragazzo con conoscenze enciclopediche nel campo della forza e del powerlifting, è stato il primo che mi disse che il powerlifter deve avere non solo un alto RFD, il rate of force development o tasso di sviluppo della forza, ma anche deve essere in grado di mantenerlo per più a lungo possibile. E’ stato il primo e direi l’unico che me ho ha detto in questi termini chiari ed espliciti, con una capacità di sintesi unica. Come sempre fissndomi, ci ho ragionato per anni su questa cosa, per arrivare alla conclusione che… sì, è così: questa è la caratteristica del powerlifter. In pratica ho fatto un lungo, enorme viaggio per tornare al punto di partenza. In questo luuuuungo viaggio ho avuto ogni volta evidenza che gli allenatori competenti hanno da una vita scoperto gli assetti biomeccanici più adatti in ogni movimento umano, li hanno cesellati, limati, satinati, rifiniti ad un livello di precisione che va oltre la Scienza per sconfinare nell’Arte. Ho incredibilmente scoperto che nessuno studio scientifico che ho letto, e ne ho letti centinaia su questi argomenti, ha mai portato nulla di più se non la conferma di quello che le prove sul campo hanno sempre dato: in pratica la Ricerca non ha fatto avanzare di una virgola la tecnica esecutiva, se non confermare e spiegare, forse, il perché di certi assetti. Non fatevi perciò fregare quando leggete di articoli di biomeccanica che portano evidenze, confronti, tabelle e grafici: sono cose note e stranote. Uno spreco di tempo, allora? Forse. Però, come sempre, il viaggio è più importante della meta. Io ADESSO so che è così, prima lo intuivo. E’ un processo mentale del tutto differente: il powerlifter deve riuscire a mantenere un RFD per il maggior tempo possibile, non ci sono altre caratteristiche che lo contraddistinguono, non c’è altro che deve fare, non ha senso che faccia altro. Ed è diverso dal weightlifter. Questa conoscenza esclude così altre strade, che non vale la pena di percorrere: è questa la sua vera potenza. Ciò che leggerete è una spiegazione di come si viene a generare lo sticking point, nel lento in piedi, nella panca, in generale. Il solito, fottutissimo, sticking point. Cercherò di rendere il tutto digeribile, ma un minimo di Fisica c’è e vi prego di farvi forza. Vi posso assicurare che, arrivati alla fine, rimarrete stupiti dalla semplicità della spiegazione e direte “tutto qui? Hai messo in piedi questo casino negli anni ed erano queste quattro cazzate?”. E’ la stessa impressione che ho avuto io. Però, se fosse così facile, perché io non ho mai trovato una spiegazione chiara come quella che leggerete? Non è una domanda retorica, francamente… non ho risposta. Ciò che leggerete è perciò la risposta che io avrei sempre voluto leggere. La storia dell’Olympic Press Vorrei affrontare l’argomento da un punto di vista differente, utilizzando un esercizio che in fondo non considera mai nessuno: il lento in piedi. In questo modo il lettore non è fuorviato dalla forma mentale “leggo questo per capire come posso migliorare la mia panca o il mio squat” ma si setta su “leggo questo e basta”. Molte volte quando leggiamo di sollevamenti olimpici abbiamo una visione di questa roba come se fosse di una purezza unica e immutabile nel tempo, né abbiamo la capacità di percepire quanto questi abbiano avuto un peso mondiale in un certo periodo storico.

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The sticking point seek ‘N’ destroy - #1 Questo articolo è un piccolo omaggio ad Ardus, il creatore del primo Ardus On Strength, in pratica il mio “babbo” per quanto riguarda le conoscenze teoriche che ho sviluppato in questi anni.

Ardus, un ragazzo con conoscenze enciclopediche nel campo della forza e del powerlifting, è stato il primo che mi disse che il powerlifter deve avere non solo un alto RFD, il rate of force development o tasso di sviluppo della forza, ma anche deve essere in grado di mantenerlo per più a lungo possibile. E’ stato il primo e direi l’unico che me ho ha detto in questi termini chiari ed espliciti, con una capacità di sintesi unica.

Come sempre fissndomi, ci ho ragionato per anni su questa cosa, per arrivare alla conclusione che… sì, è così: questa è la caratteristica del powerlifter. In pratica ho fatto un lungo, enorme viaggio per tornare al punto di partenza.

In questo luuuuungo viaggio ho avuto ogni volta evidenza che gli allenatori competenti hanno da una vita scoperto gli assetti biomeccanici più adatti in ogni movimento umano, li hanno cesellati, limati, satinati, rifiniti ad un livello di precisione che va oltre la Scienza per sconfinare nell’Arte.

Ho incredibilmente scoperto che nessuno studio scientifico che ho letto, e ne ho letti centinaia su questi argomenti, ha mai portato nulla di più se non la conferma di quello che le prove sul campo hanno sempre dato: in pratica la Ricerca non ha fatto avanzare di una virgola la tecnica esecutiva, se non confermare e spiegare, forse, il perché di certi assetti.

Non fatevi perciò fregare quando leggete di articoli di biomeccanica che portano evidenze, confronti, tabelle e grafici: sono cose note e stranote.

Uno spreco di tempo, allora? Forse. Però, come sempre, il viaggio è più importante della meta. Io ADESSO so che è così, prima lo intuivo. E’ un processo mentale del tutto differente: il powerlifter deve riuscire a mantenere un RFD per il maggior tempo possibile, non ci sono altre caratteristiche che lo contraddistinguono, non c’è altro che deve fare, non ha senso che faccia altro. Ed è diverso dal weightlifter. Questa conoscenza esclude così altre strade, che non vale la pena di percorrere: è questa la sua vera potenza.

Ciò che leggerete è una spiegazione di come si viene a generare lo sticking point, nel lento in piedi, nella panca, in generale. Il solito, fottutissimo, sticking point. Cercherò di rendere il tutto digeribile, ma un minimo di Fisica c’è e vi prego di farvi forza. Vi posso assicurare che, arrivati alla fine, rimarrete stupiti dalla semplicità della spiegazione e direte “tutto qui? Hai messo in piedi questo casino negli anni ed erano queste quattro cazzate?”.

E’ la stessa impressione che ho avuto io. Però, se fosse così facile, perché io non ho mai trovato una spiegazione chiara come quella che leggerete? Non è una domanda retorica, francamente… non ho risposta.

Ciò che leggerete è perciò la risposta che io avrei sempre voluto leggere.

La storia dell’Olympic Press

Vorrei affrontare l’argomento da un punto di vista differente, utilizzando un esercizio che in fondo non considera mai nessuno: il lento in piedi. In questo modo il lettore non è fuorviato dalla forma mentale “leggo questo per capire come posso migliorare la mia panca o il mio squat” ma si setta su “leggo questo e basta”.

Molte volte quando leggiamo di sollevamenti olimpici abbiamo una visione di questa roba come se fosse di una purezza unica e immutabile nel tempo, né abbiamo la capacità di percepire quanto questi abbiano avuto un peso mondiale in un certo periodo storico.

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Le competizioni internazionali nel “sollevare qualcosa da terra” nascono in maniera formalizzata intorno al 1920, quasi 100 anni fa, ma hanno avuto il loro splendore nell’immediato dopoguerra per tutto il periodo della Guerra Fredda.

Fra parentesi, invito tutti a leggere qualcosa su questo periodo poco noto alle persone di tutte le età, dato che nessuno negli ultimi 80 anni ha avuto la possibilità di studiarlo a scuola: è troppo contemporaneo. La Guerra Fredda è stata una guerra vera e propria e abbiamo rischiato di farla diventare calda con una bella 3° Guerra Mondiale durante la crisi dei missili a Cuba.

Gli sport furono armi di questa guerra e le competizioni di sollevamento pesi l’arma più potente: a noi fa oggi magari sorridere, ma negli anni ‘50-’70 la “forza” degli atleti era la “forza” di una nazione e la vittoria nel sollevare il peso maggiore equivaleva alla vittoria di un Sistema Sociale sull’altro.

I sollevamenti olimpici che oggi conosciamo sono lo strappo e lo slancio, cioè lo snatch e il clean & jerk: due prove definite “quick lifts”, “sollevamenti veloci” in cui nel primo caso l’atleta deve sollevare dal suolo un bilanciere per portarlo in un unico movimento sopra la testa, per poi mettersi in piedi mentre nel secondo caso prima lo porta al petto e poi sopra la testa per mettersi in piedi.

Ma se questi affari sono definiti “quick”, dove è lo “slow”? Ecco a voi la terza prova dei

sollevamenti olimpici, nota fin dai primi anni del secolo: il military press o strict press. Dopo una prima fase in cui nelle gare erano presenti sollevamenti di tutti i tipi, questa fu la prova di forza selezionata per le competizioni.

L’atleta porta da terra il bilanciere al petto e poi lo solleva come nei disegni: non deve essere presente alcuna flessione delle ginocchia, i talloni devono essere uniti, la postura deve essere rigida senza alcuna flessione o arco indietro della schiena. Nella formulazione francese addirittura la testa doveva guardare sempre avanti.

A lato Siegmund Klein, nel 1931 sollevò 221 libbre o 100Kg in una forma perfettamente strict.

Il press era perciò la prova che testava la forza complessiva dell’atleta e la domanda tipica del palestrato-ma-non-lampadato dell’epoca era “how do you press?”, cioè “quanto sollevi?” dando per scontato che il movimento sarebbe stato quello di portare il bilanciere dal petto fin sopra la testa.

Il press in questo modo era la panca dell’epoca. Ma… dove era la panca? Ci torneremo…

Ovviamente ogni nazione aveva il suo modo di interpretare le regole, la non uniformità era dovuta al fatto che le competizioni internazionali non erano così frequenti e le informazioni non circolavano così velocemente.

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I tedeschi erano meno rigorosi dei francesi, ad esempio: era ammessa una certa spinta con le gambe dato che era possibile fare una specie di arco con tutto il corpo in modo da sparare il bilanciere verso l’alto in partenza. Così come in altri posti era permesso sbilanciarsi indietro con la schiena quando il bilanciere si era sollevato di circa 20-30cm sopra il torace.

Il problema, pertanto, fu la definizione delle regole per questo esercizio e quello che possiamo definire “press olimpico” fu sempre un movimento controverso: regolamenti sempre differenti, interpretazioni sempre differenti, atleti che all’interno delle piege del regolamento imparavano a sollevare sempre di più utilizzando sempre più la velocità.

Alla fine l’esercizio diventò qualcosa del genere:

A – Posizione di partenza.

B – L’atleta fa un arco in partenza spostando in avanti le ginocchia e estendendo indietro la schiena.

C –Torna in piedi “spingendo” con le braccia ma anche con tutto il corpo il bilanciere lontano dal torace.

D – Continua a spingere con spalle e braccia ma si sbilancia anche indietro.

E – A questo punto si infila sotto al bilanciere spostando in avanti il bacino e abbassando le spalle, in modo da ruotare le braccia non perché il bilanciere sale ma perché il corpo si abbassa.

F – Le braccia sono completamente estese e l’atleta si rimette in piedi ruotando il tronco in avanti e spostando il bacino indietro.

G – Posizione finale.

Nella pagina seguente un’idea di una partenza e di una spinta del bilanciere a spalle indietro. Ok, vedendo queste foto c’è da chiedersi come nessuno sia morto. Il problema è che dovete invece guardare dei filmati dell’epoca: il movimento è tutto meno che “slow” e questo tipo di press diventa un terzo sollevamento veloce, una prova di tecnica e non più di forza in generale.

Nel tempo l’esercizio andò sempre più fuori controllo, i giudici non erano più in grado di capire se il regolamento fosse applicato, quanto le ginocchia fossero piegate o le spalle indietro perché il movimento era veramente velocissimo, tanto che era possibile sollevare carichi dell’ordine dei 180 Kg! Nel 1972 fu deciso di abbandonare l’esercizio ed è da allora che i sollevamenti olimpici sono diventati due invece che tre.

Questo ha prodotto un nuovo profilo fisico di “sollevatore”, almeno nelle categorie medie: più agile, longilineo, meno massiccio nella parte superiore e più simile ad una figura dell’atletica leggera. Paradossalmente, questo è stato il declino di questo sport nell’immaginario collettivo: mancando una vera prova di forza non c’era più identificazione da parte del pubblico, in un periodo in cui

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iniziava a prendere piede il bodybuilding e il powerlifting, attività e sport in cui c’era un maggior feeling. I sollevamenti olimpici, diventati così estremamente tecnici, non furono più comprensibili dal grande pubblico.

Bill Starr (quello del famosissimo 5x5), il famoso allenatore che all’epoca era un atleta olimpico, afferma che l’esercizio non era pericoloso se non quanto tutti gli altri e che i problemi alle spalle non c’erano mai stati se non quando fu introdotta la panca piana. L’abolizione del press olimpico a causa di aspetti proprio politici e di regolamento fu motivata al grande pubblico (ma questa mi sembra veramente una Teoria del Grande Complotto) come un problema di salute, di sicurezza, di infortuni quando questi… non c’erano.

Gli anni ’70 furono caratterizzati dalla demonizzazione dello squat come mezzo per distruggersi le ginocchia, è di questo periodo il famoso studio che fa vedere come i legamenti subiscano traumi e che ancora fa ritenere l’esercizio dannoso quando studi successivi invece confutarono queste teorie.

Bill Starr racconta che erano tutti così presi a difendere lo squat che tralasciarono il press, cercando di sostituirlo con la panca inclinata. Ma… nelle scuole non c’erano così tante panche inclinate e si sarebbero dovute comprare, mentre tutti avevano panche piane, come dice lui “fossero anche quelle degli spogliatoi”.

Questo è il motivo per cui la panca piana ha sostituito il military press come prova di forza che caratterizza un individuo. O, come dice Mark Ripptoe, prima il motto era “how do you press” e poi “how do you bench press”

Mio commentino.

Francamente, la disputa fra cosa sia meglio fra la panca piana e il military press mi sembra veramente puerile e da bambini. Così come dire che il press olimpico dell’ultimo periodo non fa male ma che anzi allena il “core”, gli stabilizzatori e tutti i muscoli del corpo.

Il press olimpico del 1972 aveva perso i connotati di prova di forza, per quanto tecnico e da apprezzare come tutte le prove fisiche, era snaturato e brutto a vedersi in relazione al modello mentale di “atleta forte” che abbiamo nella testa.

Immaginatevi un 100metrista che corre con delle protesi che allungano le punte dei piedi per aumentare il tempo di contatto dell’atleta con il suolo per permettergli di spingere di più a terra: l’atleta dovrebbe sviluppare più abilità per gestire la maggior velocità ma… vi piacerebbe?

Nel pattinaggio su ghiaccio l’allungamento dei pattini ha portato a nuovi record: perché lì va bene e nei 100 metri no? Perché i pattini fanno parte del pattinaggio e un allungamento fa parte delle possibilità, nei 100 metri sono i piedi dell’atleta che spingono a terra, le scarpe chiodate sono un modo per aumentare il grip con il terreno e fanno parte del gioco, delle scarpe 20cm più lunghe no.

E’ solo un modello mentale, lo stesso per cui rimaniamo perplessi di fronte alle maglie da panca ma non alle aste in carbonio del salto con l’asta. Il press olimpico non fa eccezione: all’inizio era “bello”, alla fine “brutto”.

Fa bene o fa male? Chiaro, se fatto da atleti con 10 anni di esperienza non fa male, ma risulta improponibile, nella forma finale, in una palestra. Inutile insistere a dire che allena il “core”. Sto cazzo de core alleniamolo con altri mezzi, che li abbiamo…

La panca fa più male del military press? Ma certo! Però non è l’esercizio in se, ma il fatto che, essendo più semplice, è alla portata di tutti, aumentando il numero degli sboroni, cazzoni, cretini, deficienti che esagerano.

La panca permette di sollevare carichi considerevoli anche a chi non è dotato, mentre il military press impone una selezione ben più stretta: io in assoluto ho 140 Kg di massimale di panca piana e 80 Kg di military press, quale carico schiaccia maggiormente i miei labbri glenoidei quando ho le braccia tese? Non è che occorre essere laureati al MIT…

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Nel military press se si sbaglia non c’è possibilità di recuperare l’alzata, non si può stare lì a premere tanto, non si può scodare, rimbalzare, salire storti, l’amico non può tirare al posto del sollevatore: questo impedisce infortuni tipici della panca, una specie di sicurezza intrinseca.

La maggior semplicità della panca permette di avere una platea superiore, un pubblico ben più vasto di non-atleti o anche quasi-atleti, gente che perciò può massacrarsi molto di più rispetto al military press.

Per questo reputo certe discussioni veramente noiose. Ti piace la panca? Falla, ma per bene! Ti piace il military press? Fallo! A me ad esempio piace tantissimo perché quando mi alleno in casa d’inverno non ho la panca e perciò un esercizio che mi permette di essere “forte” come il lento in piedi è veramente prezioso.

Bibliografia

John Fair - The Tragic History of the Military Press in Olympic and World Championship Competition, 1928-1972 – The Journal of Sport History, vol 28, num 3, 2001

Bill Starr - The Olympic-Style Press - The Aasgaard Company, 2010

Mark Rippetoe – The Press – Crossfit Journal, 2006