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1 Dipartimento di Scienze Politiche Cattedra: Diritto dell’Unione Europea TESI DI LAUREA TRIENNALE Titolo: Il progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione Europea. Esposizione ed analisi delle norme inerenti al diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini a seguito del processo Brexit Relatore: Prof. Francesco Cherubini Candidato: Alessandro Pastore Matricola: 078732 Anno Accademico: 2018/2019

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Dipartimento di Scienze Politiche

Cattedra: Diritto dell’Unione Europea

TESI DI LAUREA TRIENNALE

Titolo:

Il progetto di accordo di recesso del Regno Unito

dall’Unione Europea. Esposizione ed analisi delle norme

inerenti al diritto di libera circolazione e di soggiorno dei

cittadini a seguito del processo Brexit

Relatore: Prof. Francesco Cherubini

Candidato: Alessandro Pastore

Matricola: 078732

Anno Accademico: 2018/2019

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Sommario

I. Introduzione ……………………………………………..2

1 IL BACKGROUND DEL PROCESSO BREXIT ........................................ 5

1.2 IL REFERENDUM TRA REMAIN IN O LEAVE ............................................... 11

1.3 IL MECCANISMO DI RECESSO NELL’ARTICOLO 50 DEL TRATTATO

SULL’UNIONE EUROPEA (TUE) ................................................................................. 16

2 IL PROGETTO DI ACCORDO DI RECESSO TRA UNIONE

EUROPEA E REGNO UNITO ............................................................................. 20

2.1 LA STRUTTURA DEL DRAFT WITHDRAWAL AGREEMENT (WD) ............. 21

2.2 LO EUROPEAN UNION (WITHDRAWAL) ACT 2018 ................................. 24

2.3 LA PARTE SECONDA DELLA BOZZA DI ACCORDO DI RECESSO: I DIRITTI DEI

CITTADINI 27

3 IL DIRITTO DI LIBERA CIRCOLAZIONE PRIMA E DOPO IL

PROCESSO BREXIT ............................................................................................ 31

3.1 LE FONDAMENTA DEL DIRITTO DI LIBERA CIRCOLAZIONE ...................... 31

3.2 L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO DI LIBERA CIRCOLAZIONE .......................... 34

3.3 L’IMMIGRAZIONE EUROPEA NEL REGNO UNITO ..................................... 37

3.4 BREXIT: LE MODIFICHE APPORTATE AL DIRITTO ALLA LIBERA

CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE ................................................................................. 40

3.5 LA SICUREZZA SOCIALE DOPO IL PROCESSO BREXIT ............................... 45

II. Conclusioni ……………………………………………...48

III. Bibliografia …………………………………………….. 50

IV. Abstract ………………………………………………….54

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I.Introduzione

L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, nota anche come Brexit

(sincrasi formata da Britain ed exit) è il processo che, tramite le modalità

previste dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea, porrà fine

all’adesione del Regno Unito all’Unione europea. Allo stato attuale delle cose,

Unione europea e Regno Unito sono giunti, tramite varie fasi di negoziati, ad

un progetto di accordo sul processo Brexit.

La bozza di accordo di recesso tra l’Unione europea e il Regno Unito

“traduce in termini giuridici la relazione congiunta dei negoziatori dell’unione

europea e del governo inglese in merito ai progressi raggiunti nella prima fase

dei negoziati”1. L’obiettivo contenuto nel titolo del progetto di accordo di

recesso è intento a definire il periodo di transizione post Brexit, il quale durerà

ventuno mesi dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea e terminerà

a dicembre 2020. Durante questo periodo di transizione, il Regno unito dovrà

continuare ad osservare le norme e i regolamenti del mercato unico e

dell’unione doganale.

L’emissione del progetto rappresenta, sotto alcuni punti di vista e

soprattutto nel breve termine, un tentativo di fare chiarezza sul processo

Brexit, sia per il Regno Unito che per l’Europa, non solo in termini doganali

e commerciali, ma anche sotto il profilo giuridico nella risoluzione delle

controversie, e di accelerazione delle trattative di negoziazione2.

Pubblicata online il 28 febbraio 2018 conformemente alla politica della

Commissione Europea in materia di trasparenza e, presentata dal capo

negoziatore di Bruxelles Michel Barnier3, la bozza di accordo propone un

testo contenente le questioni relative al recesso ancora in sospeso, che sono

state precedentemente citate, ma non dettagliatamente definite nella relazione

congiunta. Inoltre, essa incorpora il testo relativo al periodo transitorio,

fondato sulle direttive di negoziato supplementari adottate dal Consiglio sulla

base dell’Articolo 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE) il 29 gennaio

20184. La Commissione ha presentato il progetto per poter, nel frattempo,

consultare gli Stati membri ed il Parlamento europeo e, successivamente,

negoziare con il Regno Unito.

Il mio interesse verso questo argomento nasce dall’esperienza, che ho

avuto la fortuna di poter fare, di trascorrere un anno accademico come

exchange student presso la Durham University, nel nord dell’Inghilterra. Tale

esperienza, oltre ad avermi arricchito dal punto di vista accademico e

personale, mi ha dato l’opportunità di avvicinarmi al pensiero della comunità

1 Commissione Europea (2018), Brexit: la Commissione europea pubblica il progetto di

accordo di recesso a norma dell’articolo 50. 2 HERSZENHORN, BARIGAZZI, COOPER, STEFANINI, DE LA BAUME, RANDERSON (2018), Brexit

withdrawal text: What it says and what it means. 3 Barnier, pronta bozza accordo Brexit (2018). 4 Commissione Europea (2018), Brexit: la Commissione europea pubblica il progetto di

accordo di recesso a norma dell’articolo 50.

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britannica, e di confrontarmi con le varie, e contrastanti, realtà che hanno

portato al processo Brexit.

Inoltre, durante l’anno a Durham, essendomi immerso completamente

in una comunità universitaria internazionale, ovvero fatta di studenti

provenienti da ogni parte del mondo, ma in particolare dall’Europa, ho vissuto

sulla mia pelle le paure e i timori dei miei coetanei di un Regno Unito sempre

più “lontano” e difficile da raggiungere. Esso rimane, infatti, una delle

destinazioni più ricercate dai giovani nell’ambito universitario e non, a causa

delle diverse opportunità che è in grado di offrire. Tutto ciò potrebbe, anzi,

sarà limitato dal processo Brexit che, in primo luogo, ha messo in discussione

la libertà di circolazione e di soggiorno all’interno del Regno Unito: tale diritto

è conferito ai cittadini degli Stati membri tramite la cittadinanza europea ma,

a causa della decisione della Gran Bretagna di abbandonare l’Unione, è stato

modificato e ristretto.

L’obiettivo del mio elaborato finale è, quindi, quello di analizzare il

processo Brexit, ma soprattutto di studiare la bozza di accordo di recesso in

cui sono contenute le modifiche apportate ai diversi diritti acquisiti dai

cittadini europei, e soprattutto, alla libertà di circolazione e di soggiorno nel

Regno Unito.

Nello specifico, il primo capitolo servirà a dare un contesto

all’argomento: in esso, definirò il background del processo Brexit,

analizzando il tortuoso rapporto instauratosi tra Regno Unito ed Unione

europea, dai primi passi dell’Unione fino al referendum sul recesso della Gran

Bretagna. Tutto ciò servirà a comprendere come, nelle varie fasi dei negoziati,

le due parti sono arrivate al documento sopracitato, ossia il Draft Withdrawal

Agreement. Inoltre, nella seconda parte del capito, tramite la consultazione

degli articoli presenti nei Trattati europei, esporrò la procedura di recesso

contenuta nell’articolo 50 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

e come essa è stata attuata nel caso Brexit.

Nel secondo capitolo, il focus verrà posto sul documento di accordo tra

Unione e Regno Unito. Partendo da una descrizione generale di quest’ultimo,

in cui esporrò le varie parti che lo compongono ed i vari emendamenti che

sono stati effettuati, giungerò ad una analisi più dettagliata della parte di mio

interesse, ovvero il Titolo II relativo ai diritti dei cittadini, e, in particolare, al

diritto di libera circolazione e di soggiorno.

Infine, nel terzo capitolo approfondirò la questione relativa al diritto di

libera circolazione. Quest’ultimo, infatti, è una delle quattro libertà che

costituiscono il mercato unico all’interno dell’Unione europea e, in relazione

al caso Brexit rappresenta un problema di notevole importanza. Il mio

approccio nello studio di questo diritto seguirà un metodo analitico e

descrittivo, attraverso il quale mi confronterò con la situazione immigratoria

nel Regno Unito, e, infine, giungerò allo studio degli articoli contenuti

all’interno del progetto di accordo relativi a tale diritto.

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1 Il background del processo Brexit

1.1.1 Il periodo pre-Comunità europea del carbone e

dell’acciaio

Il complicato rapporto tra Regno Unito ed Unione europea ha una lunga

storia. Tra le varie precorritrici dell’Unione europea, la nascita della Comunità

europea del carbone e dell’acciaio (“CECA”), che ha costituito il primo passo

verso il processo di integrazione europea creando un mercato comune del

carbone e dell’acciaio tra i 6 paesi fondatori (Belgio, Francia, Repubblica

Federale di Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi)5, rappresenta il

primo evento che evidenzia come il rapporto tra Regno Unito e Comunità

europea sia sempre stato turbolento: in quell’occasione, infatti, il governo

inglese si distaccò totalmente dagli Stati che ritenevano la CECA essere un

ottimo tentativo per rinvigorire l’economia nazionale, rifiutando in toto il

progetto, non ritenuto idoneo agli interessi e alle aspettative della nazione, e

destinando solo il 10% delle esportazioni ai sei paesi fondatori della CECA6.

Inoltre, alcune preoccupazioni riguardanti la creazione della Comunità e il

focus incentrato sul Commonwealth e la sovranità inglese, convinta di avere

ambizioni e responsabilità mondiali, e, forte della sua identità nazionale che

la distaccava dal continente, portarono il Regno Unito a non accogliere

l’invito della dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, con il quale si

proponeva la creazione della Comunità europea del Carbone e dell’acciaio. La

proposta Schuman colse, infatti, di sorpresa le autorità britanniche: durante la

preparazione del piano Schuman, né Jean Monnet né Robert Schuman

riservarono la giusta considerazione al Regno Unito, il quale, secondo

quest’ultimi, nutriva riserve sulla materia. Il piano fu mantenuto talmente

segreto da non renderne partecipe neanche Renè Massigli, Ambasciatore

francese a Londra. Ciononostante, Massigli fu incaricato di illustrare gli

obiettivi del piano ai suoi interlocutori britannici, e, ove possibile, di

persuaderli. La reazione della Gran Bretagna fu immediata: il ministro degli

esteri britannico, Ernest Bevin, manifestò tempestivamente il suo malcontento

riguardo il piano, concordando sul fatto che il Piano Schuman avrebbe, sì,

risolto alcuni problemi economici dell’Europa occidentale, ma opponendosi

al prospetto di un’organizzazione tecnocratica che prevedeva una limitazione

dei poteri e che sarebbe intervenuta sulla policy economica del Paese. Inoltre,

il Regno Unito credeva che delegare parte della sovranità a tale

organizzazione avrebbe rappresentato un punto di non ritorno lungo il

cammino verso l’Europa.

Di contro, Schuman e Monnet erano disposti a sbloccare questa

situazione di stallo, ma non volevano scendere a compromessi riguardo la

5 CASTALDO (2015). 6 A background guide to “Brexit” from the European Union, in Economist.com, reperibile

online.

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potenziale natura sovranazionale dell’organizzazione. Il 31 maggio, il

governo britannico ribadì le sue motivazioni, ed espresse la sua volontà di

ottenere una posizione privilegiata nei negoziati sul Piano Schuman.

Immediatamente Monnet espresse il suo disappunto: egli credeva che i

negoziati non avrebbero potuto avere successo se non fossero avvenuti tra

paesi che avevano tutti lo stesso obiettivo e che avevano dimostrato coesione

ed unità per raggiungerlo.

Quando il 3 giugno 1950, i sei Paesi che avevano concordato i negoziati

sul Piano Schuman pubblicarono una “joint communiqué” in cui dichiaravano

la messa in comune di carbone e acciaio, e stabilivano l’Alta Autorità le cui

decisioni sarebbero state vincolanti per gli stati membri, anche il Regno Unito

pubblicò un comunicato in cui confermava che non avrebbe accettato i

principi fondamentali della Dichiarazione Schuman7.

Peraltro, malgrado la sua partecipazione nei primi lavori preparatori

nella Commissione Spaak come osservatrice, rappresentata del sottosegretario

all’Ufficio del Commercio, Russell F. Bretherton, la Gran Bretagna, guidata

dal governo conservatore di Anthony Eden, decise di abbandonare la

Conferenza di Messina del 1955, svoltasi su iniziativa del ministro degli Esteri

italiano Gaetano Martino, con la quale i paesi costituenti la CECA avviarono

i negoziati che portarono ai Trattati di Roma del 25 marzo 1957, e, quindi, alla

creazione della Comunità economica europea (“CEE”) e della Comunità

Europea per l’Energia Atomica (“CEEA”)8. Ancora una volta, la Gran

Bretagna si opponeva all’idea di un’Unione doganale europea, in quanto

voleva preservare l’autonomia delle proprie dogane e il proprio regime, per

proteggere le industrie e per mantenere i suoi collegamenti con i partners del

Commonwealth. Inoltre, dal momento che il Regno Unito era in possesso della

bomba atomica dal 1952 e aveva già iniziato a finanziare progetti di ricerca

nucleare con gli Stati Uniti d’America e con il Canada, non aveva intenzione

di compromettere questa collaborazione fruttuosa alleandosi con i Paesi

dell’EURATOM9.

Dopo l’abbandono dei lavori in Commissione nella Conferenza di

Messina del 1955, il governo a Londra si ritrovò di fronte a due opzioni: o

rischiare di trovarsi isolata, mentre sul continente europeo il processo di

integrazione si intensificava sempre di più, oppure trovare un’alternativa. In

questa situazione, l’Organizzazione per la cooperazione economica europea

(“OECE”), creata nel 1948 per gestire l’assistenza economica del Piano

Marshall in Europa, apparse immediatamente come la struttura più favorevole

che rispondesse agli interessi del Regno Unito. Avendo provato invano a

sabotare i negoziati tra i sei membri della CECA, il governo britannico decise

di iniziare ad attuare il progetto, conosciuto come Piano G, che prevedeva

l’istituzione di un’area di libero scambio ad eccezione dei prodotti agricoli.

Per Londra, la zona di libero commercio aveva tre obiettivi principali: dare al

7 The Schuman Plan and Franco-British relations (2016). 8 CASTALDO (2015). 9 The Intergovernmental Committee established by the Messina Conference (2016: 2 ss.).

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Regno Unito una posizione più definita all’interno del sistema di “Imperial

Preference” del Commonwealth, confermare il suo ruolo dominante

all’interno dell’OECE, e, infine, continuare ad avere una certa influenza sullo

sviluppo dell’integrazione europea, mantenendo legami stretti tra la suddetta

area e il Mercato Unico. Spaak, temendo che l’iniziativa britannica potesse

essere solamente una mossa tattica, non prese in considerazione il piano del

Regno Unito come una soluzione alternativa. Fu quando il Generale de Gaulle,

il 15 novembre 1958, rifiutò il piano del governo britannico riguardo la

creazione di un’area di libero scambio10, che il Regno Unito riuscì a

persuadere sei paesi europei di dimensioni molto ridotte rispetto ai sei della

CECA, ovvero Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera

nella creazione dell’Associazione europea di libero scambio (“EFTA”,

costituita poi nel 1959): l’obiettivo era l’istituzione di una zona di libero

scambio che non prevedesse nessuna unione doganale o tariffa esterna

comune, quindi in sostituzione del mercato comune; la proposta della Gran

Bretagna inizialmente non andò in porto poiché non fu gradita dai paesi della

Conferenza, ma il 20 novembre 1959 il Regno Unito, insieme agli altri sei

paesi, siglarono, con il Trattato di Stoccolma, la nascita dell’EFTA11.

1.1.2 La CEE e il Trattato di Maastricht La Comunità economica europea nacque, così, il 25 marzo 1957 ed il

Regno Unito tentò di entrare a farne parte nel 1961, ma alla sua richiesta fu

posto il veto da parte della Francia di De Gaulle, secondo il quale la Gran

Bretagna non aveva intenzione di aderire alla Comunità europea perché ne

condivideva i principi fondamentali, ma perché la riteneva un’ancora di

salvataggio12 dopo la crisi del canale di Suez13 che aveva messo alla prova

l’asse Washington-Londra ed aveva evidenziato le falle del sistema del

Commonwealth.

Successivamente, dopo una seconda opposizione del veto alla

domanda del Regno Unito da parte di De Gaulle, la richiesta di entrata nel

Mercato Europeo da parte del Regno Unito fu accettata nel 1973 e segnò

l’entrata di tale Stato nella CEE: nei negoziati per l’ammissione, la Gran

Bretagna dovette pagare una quota di partecipazione finanziaria molto

gravosa ma che, fortunatamente, venne ridotta grazie all’intervento del

governo conservatore di Margaret Thatcher e al suo discorso nel 1984 a

Fontainebleau. La quota di entrata a cui il Regno Unito dovette sottoporsi non

fece che accrescere la tradizionale diffidenza britannica nei confronti

10 The British proposal for a single free trade area (2016). 11 La Costruzione Europea, in “ISPI” – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. 12 V. PALUMBO, Il “no” di De Gaulle all’ingresso della Gran Bretagna nella Cee, in Corriere

della sera, 27 novembre 2017, reperibile online. 13 Conflitto del 1956 in cui Francia, Inghilterra e Israele si videro schierati contro l’Egitto

nell’occupazione militare del canale di Suez; l’Unione Sovietica minacciò l’intervento al fianco

degli Stati Uniti e dell’Egitto per ristabilire ed imporre la pace, e questo portò gli occupanti al

ritiro.

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dell’Unione europea e, di conseguenza, portò al Referendum sulla

permanenza del Regno Unito nella Comunità europea del 1975. Il quesito

referendario chiedeva agli elettori: “Do you think the United Kingdom should

stay in the European Community (Common Market)?”14. Il risultato positivo

del Referendum (il 67,2% degli elettori votò per la permanenza) aprì la strada

all’integrazione europea che raggiunse un’importanza fondamentale nel 1993,

quando il Trattato di Maastricht istituì l’Unione europea (“UE”).

Istituito il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, il

Trattato di Maastricht non sostituì le tre originarie Comunità europee, quindi

CECA, CEE e CEEA, ma le ricomprese “instaurando, inoltre, delle forme di

cooperazione tra gli Stati membri in due nuove materie: la politica estera e di

sicurezza comune (‘PESC’) e la giustizia e affari interni (‘GAI)”15. In

quest’occasione, il nuovo premier conservatore John Major, al tavolo delle

trattative con gli organi comunitari, riuscì ad ottenere una serie di benefici, tra

cui l’opt-out dalla moneta unica e dalla Convenzione di Schengen: il Regno

Unito era stato, infatti, obbligato a uscire dal Sistema Monetario Europeo

(“SME”) nel cosiddetto mercoledì nero, ovvero il 16 settembre 1992, quando

una speculazione finanziaria costrinse la Banca d’Inghilterra a far uscire la

sterlina inglese dallo SME e a svalutarla. Il Primo Ministro inglese, Gordon

Brown, al tavolo dei negoziati del Trattato di Maastricht, escluse che

l’ingresso nell’eurozona sarebbe potuto avvenire nel prevedibile futuro ma,

nonostante questo, si impegnò ad adottare una potenziale procedura che

prevedesse l’entrata del Regno Unito nell’eurozona, previa approvazione da

parte del Gabinetto, del Parlamento e dell’elettorato inglese tramite un

referendum. Questa ipotesi non è mai divenuta realtà.

14 J. WALSH, Britain’s 1975 Europe referendum: what was it like last time? , in The Guardian,

25 febbraio 2016, reperibile online. 15 VILLANI (2016: 18 ss.).

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1.1.3 Primi passi verso il referendum Brexit

Nel periodo più recente, ovvero durante il vertice dell’Organizzazione

del Trattato dell’Atlantico del Nord (“NATO”) del maggio 2012, il Primo

Ministro David Cameron ipotizzò l’idea di indire un referendum sull’Unione

europea per esaltare l’ala euroscettica conservatrice. Qualche mese dopo, nel

gennaio 2013, Cameron promise che in caso di vittoria da parte del suo partito

conservatore alle elezioni politiche del 2015, prima di indire un referendum

sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, avrebbe tentato di

negoziare con l’organizzazione per ottenere un regime e dei benefici più

favorevoli. Aveva infatti espresso:

“I am in favour of a referendum, (...) And when we have negotiated that new

settlement, we will give the British people a referendum with a very simple in-

or-out choice to stay in the EU on these new terms; or come out altogether. It

will be an in/out referendum”16.

Il progetto di legge referendaria fu presentato dal deputato conservatore

James Wharton, il 19 giugno 2013, di fronte alla Camera dei Comuni,

ottenendo il pieno appoggio da parte di Cameron e, di conseguenza, dal partito

conservatore. Approvato anche in seconda lettura con 304 voti a favore e

nessuno contrario, venne però bloccato a dicembre 2013, dopo essere stato

trasmesso alla Camera dei Lords. A questo punto, avendo come obiettivo la

maggioranza alle elezioni politiche del 2015, Cameron, durante la campagna

elettorale, ancora una volta enfatizzò la sua intenzione di rinegoziare

l’adesione inglese all’Unione e, in seguito, di indire un referendum. Dall’altra

parte della medaglia si trovava però il partito laburista di Ed Miliband che, tra

il 2010 e il 2015, non aveva mai espresso l’intenzione di indire un referendum

in/out, a meno che non si fosse verificato un cambiamento nei Trattati

dell’Unione europea che prevedesse un trasferimento dei poteri dal Regno

Unito all’Unione.

Nel maggio 2015, il partito conservatore ottenne la maggioranza dei

seggi alla Camera dei Comuni e, dopo che la legge parlamentare per la

fissazione del referendum, ovvero lo European Referendum Act17, venne

approvata sia dalla House of Commons che dalla House of Lords, il 10

novembre 2015 David Cameron, con una lettera inviata al Presidente del

Consiglio europeo Donald Tusk, ha ufficializzato e “formalizzato […] le

preoccupazioni britanniche con riguardo all’appartenenza all’Unione

europea”18.

Gli aspetti fondamentali su cui Cameron ha posto il focus nella sua

lettera a Tusk corrispondono a quattro tematiche fondamentali, ovvero “la

16 David Cameron promises in/out referendum on EU, in BBC News – UK Politics, 23 gennaio

2013, reperibile online. 17 Esso non prevedeva una data precisa per il referendum ma si limitava ad indicare che la

consultazione popolare sarebbe dovuta avvenire entro il 31 dicembre 2017. 18 CURTI GIALDINO (2015: 2-3 ss.).

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governance economica, la competitività, la sovranità e l’immigrazione”19,

tutti obiettivi che Cameron aveva intenzione di raggiungere tramite un “new

settlement”, quindi, un nuovo “accomodamento” per lo Stato inglese in una

riformata Unione europea. Le richieste britanniche, essendo state fatte con

l’obiettivo di fornire garanzie “giuridicamente vincolanti ed irreversibili” per

il Regno Unito, avrebbero avuto bisogno di uno strumento idoneo, capace di

formalizzarle: il diritto europeo prevede, in questi casi, una modifica dei

trattati istitutivi tramite la procedura di revisione ordinaria, e non semplificata,

in quanto le modifiche richieste dal Regno Unito non riguardano solo

modifiche della parte terza del TFUE, conformemente all’art. 48 TUE. In

sintesi, riporto qui di seguito in citazione i sette adempimenti principali

previsti dalla procedura in questione, la quale richiede:

“(a) un progetto di modifica dei trattati sottoposto al Consiglio da uno Stato

membro, dal Parlamento europeo o dalla Commissione e dal Consiglio

trasmesso al Consiglio europeo ed ai parlamenti nazionali; (b) la

consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, qualora,

ovviamente, non siano le dette istituzioni ad iniziare il procedimento di

revisione, oltreché della Banca centrale europea, allorché tra gli

emendamenti di cui si discute ve ne sono che riguardano modifiche

istituzionali nel settore monetario; (c) la decisione del Consiglio europeo,

favorevole all’esame delle dette modifiche, adottata alla maggioranza

semplice; (d) la convocazione, da parte del presidente del Consiglio

europeo, di una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti

nazionali, dei capi di Stato e di governo, del Parlamento europeo e della

Commissione, che, esaminati i progetti di modifica, adotta per consenso una

raccomandazione indirizzata ad una conferenza dei rappresentanti degli Stati

membri; (e) la convocazione da parte del presidente del Consiglio della

detta conferenza intergovernativa, incaricata di stabilire di comune accordo,

cioè all’unanimità degli Stati membri, le modifiche dei trattati, consegnandole

ad un accordo modificativo che tutti gli Stati membri devono sottoscrivere; (f)

la ratifica del detto accordo modificativo da parte di tutti gli Stati membri

secondo le rispettive norme costituzionali (il che può comportare, in base alle

regole dei singoli ordinamenti interni e come risulta da una prassi ormai

consolidata, anche la tenuta di referendum, la modifica della costituzione

nazionale ed il coinvolgimento di corti costituzionali o supreme); (g) il deposito

di tutti gli strumenti di ratifica dell’accordo modificativo presso il governo della

Repubblica italiana, che è il depositario dei trattati istitutivi”20.

Nel febbraio 2016, l’esito delle rinegoziazioni ha stabilito nuove

limitazioni per gli immigrati comunitari che sarebbero state applicate per i

successivi 4 anni ma solo previa approvazione del Consiglio europeo; in

materia di sovranità, al Regno Unito è stato concesso di non partecipare alla

nozione europea fondamentale, su cui essa si fonda, della “Unione sempre più

stretta” e ha ottenuto il potere di consentire ai parlamenti nazionali di opporsi

collettivamente alle proposte legislative dell’Unione europea, in modo tale da

rimandare la proposta al Consiglio europeo prima di decidere definitivamente.

19 Ivi, p. 5. 20 Ivi, pp. 7-8.

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In merito alla governance economica, l’UE si è impegnata a rafforzare la

normativa che tutela i discriminati non-membri dell’Eurozona21.

1.2 Il referendum tra Remain In o Leave

Il 20 febbraio 2016 David Cameron, allora Primo ministro del Regno

Unito, ha stabilito il 23 giugno 2016 come data per il referendum consultivo

sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, nonostante la sua

profonda fiducia nei benefici che una continuazione della membership del

Regno Unito nell’Unione avrebbe potuto portare allo stato britannico: a

seguito della sua vittoria alle elezioni del maggio 2015, Cameron aveva infatti

annunciato di aver avviato un progetto di rinegoziazione per “aggiustare” ciò

che riteneva sbagliato all’interno dell’Unione europea, ma spinto sotto la

pressione di diversi partiti favorevoli all’uscita dell’Unione europea

richiedenti una nuova consultazione dei cittadini riguardo il cambiamento

dell’Unione europea nel corso degli anni, ha dovuto indire il referendum

consultivo.

La proclamazione della data del referendum ha immediatamente

indotto i ministri del governo ed i cittadini a dichiarare il loro appoggio o per

la campagna Remain In (a sostegno della permanenza del Regno Unito

nell’Unione) o per il Leave (a sostegno, invece, dell’uscita dello stesso

dall’Unione). Alle urne si sono recati 33.578.016 cittadini, vale a dire il

72,21% degli aventi diritto al voto22 a cui è stata proposta la seguente

domanda: “Should the United Kingdom remain a member of the European

Union or leave the European Union?”23. Durante la campagna elettorale, il

sostegno sia per il Leave che per il Remain In si è dimostrato essere

trasversale, vedendo svariati partiti, tra cui il partito conservatore, affetti da

profonde divisioni riguardo la questione. Lo stesso partito conservatore, come

ho già accennato prima, si è visto separato in due fazioni con a capo da un

lato, David Cameron, il quale, pur avendo chiare le finalità del recesso e

dichiarando che l’uscita dall’Unione europea sarà una mossa definitiva (“If we

left the European Union, it would be a one-way ticket, not a return”24), si è

ritrovato a sostenere l’Unione europea, affermando che entrambe le parti

trarrebbero benefici dalla permanenza del Regno Unito nell’Unione (“I be-

lieve that Britain should want to remain in the EU so the EU should want us

to stay”25); dall’altro lato, Boris Johnson, primo cittadino di Londra dal 2008

al 2016 e sostenitore della campagna del Leave, nonché aspirante primo

ministro nel 2020.

21 C. J. MCKINNEY, Explaining the EU deal: an introduction, in Full Fact, 22 febbraio 2016,

reperibile online. 22 SAVASTANO (2016: 2 ss.). 23 Referendum on membership of the European Union: Assessment of the Electoral Commission

on the proposed referendum question (2015). 24 David Cameron promises in/out referendum on EU, in BBC News – UK politics. 25 Ibidem.

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Il partito labourista, secondo maggiore partito britannico, pur

rimanendo più compatto a sostegno della permanenza del Regno Unito

nell’Unione europea con il suo slogan elettorale Labour In for Britain, è stato

comunque caratterizzato da fratture interne causate innanzitutto da alcune

voci di corridoio riguardanti il Leader del partito Jeremy Corbyn e la sua

tendenza “privata” all’euroscetticismo, che lo ha portato ad essere criticato di

non essersi speso adeguatamente a favore del Remain In, ed in secondo luogo,

dalla nascita di alcuni movimenti popolari, ad esempio LabourGo, di origine

labourista ma favorevoli al Leave.

1.2.1 Vote Leave contro Vote Remain

Le motivazioni che hanno spinto i cittadini a schierarsi o a favore o

contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione sono state diverse.

Per quanto riguarda il Vote Leave, il motivo fondamentale dietro la

scelta di abbandonare l’Unione europea giace nel problema

dell’immigrazione: da un lato, sono i cittadini europei ad essere incolpati di

appropriarsi del lavoro che spetterebbe ai cittadini del Regno Unito e di

sfruttare le possibilità e i servizi che il regime politico vigente permette, quindi

il Welfare state, minando al corretto funzionamento di essi e mettendoli a dura

prova; dall’altro lato, la possibile entrata nell’Unione europea di Macedonia,

Albania, Montenegro, Serbia e Turchia è considerata una minaccia, in quanto

porterebbe all’arrivo di più di 5 milioni di immigrati in Gran Bretagna.

La campagna elettorale si è quindi concentrata su come il Regno Unito

investa 350 milioni di sterline a settimana inviandole a Bruxelles, considerata

la capitale de facto dell’Unione europea in quanto sede della Commissione

europea, del Consiglio dell’Unione europea e del Parlamento europeo, che

potrebbero essere utilizzati per migliorare la sanità pubblica, il National

Health System, istituzioni come nuove scuole e ospedali, e infrastrutture.

L’obiettivo generale dei sostenitori del Leave, in ogni caso, è quello di

riappropriarsi del controllo sulla legislazione, sulla sovranità,

sull’immigrazione e sull’accountability, ossia “il senso di responsabilità

[incondizionata] a cui sono chiamati a rispondere i rappresentati nei confronti

della cittadinanza, […] che impone a tutti i partiti di rendere conto della

propria azione e proposta e li spinge a operare in un terreno di confronto”26 di

fronte ai propri elettori; secondo i Leavers, questo fondamento è venuto meno

nel corso del tempo con l’entrata del Regno Unito nell’Unione europea.

Al contrario, le motivazioni del Vote Remain sono principalmente

legate al fatto che la permanenza nell’Unione europea non solo permetterebbe

al Regno Unito di continuare a godere dei benefici che le spettano essendo un

membro di essa, come mostra uno dei manifesti della campagna elettorale

“More jobs, Lower prices. A stronger future” che include la libertà di

commercio nell’area del mercato unico e la possibilità di beneficiare

26 SANTOLINI, Accountability. Per un nuovo vocabolario della politica, in HuffingtonPost, 14

aprile 2013, reperibile online.

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dell’immigrazione come acceleratore dell’economia inglese aiutando a pagare

i servizi pubblici. Inoltre, secondo i Remainers l’uscita dall’Unione

porterebbe ad un danneggiamento dell’immagine del Regno Unito che,

essendo una delle figure più rilevanti a livello europeo e globale, trarrebbe il

beneficio dal rimanere un membro dell’Unione europea di evitare

un’instabilità finanziaria come conseguenza di una riduzione dei posti di

lavoro (3 milioni) creati dall’Unione in Gran Bretagna27.

Il referendum, svoltosi nel Regno Unito ed a Gibilterra, ha dato inizio

alle trattative di recesso ed è risultato nella vittoria dei favorevoli all’uscita

dall’UE con il 51,89% dei consensi (17.410.742 voti) contro il 48,11% degli

elettori che ha votato per la permanenza. È stato il terzo referendum tenutosi

nel Regno Unito e il secondo caso in cui è stato chiesto ai cittadini britannici

di votare sulla questione della permanenza nell’Unione europea: nel primo

referendum del 1975, quando l’Unione era ancora chiamata Comunità

economica europea, la maggioranza (67%) degli elettori preferì la permanenza

rispetto all’uscita. È interessante notare come i due referendum, tenutisi a più

di 40 anni l’uno dall’altro, condividano alcuni presupposti: nel 1974, il leader

del partito laburista Harold Wilson promise una rinegoziazione dei termini di

adesione della Gran Bretagna e, avendo vinto le elezioni generali con una

maggioranza sottile, decise di indire un referendum per mettere alla prova la

permanenza del Regno Unito nella Comunità, pur rimanendo un sostenitore

di essa; allo stesso modo, nel 2015, il conservatore David Cameron ha vinto

le elezioni generali sempre con una maggioranza sottile e, come il leader

laburista, ha promesso di rinegoziare l’adesione del Regno Unito e ha indetto

un referendum sulla cosiddetta Brexit. In entrambi i casi, il referendum ha

diviso il governo, schierando i membri gli uni contro gli altri: nel 1975, 7

membri del cabinet su 23 si schierarono contro la permanenza nella Comunità,

nel 2016 7 membri su 2228.

1.2.2 L’esito del referendum e le fratture nell’elettorato

britannico

Un’analisi approfondita del risultato del referendum, che riguarda

l’equilibrio nei rapporti tra le varie componenti del Regno Unito, mostra come

ci siano state notevoli divisioni all’interno del Paese: in Scozia e in Irlanda del

Nord ha vinto il Remain con il 55,8% dei Nordirlandesi ed il 62% degli elettori

scozzesi, mentre in Galles il risultato è stato l’opposto, con il 52,5% dei

consensi per il Leave; anche a Gibilterra la maggioranza ha largamente optato

per il Remain con il 96% delle preferenze.

Tuttavia, la frattura più significativa non si è presentata dal punto di

vista geografico, ma nei termini di età ed educazione: per quanto concerne

l’educazione, il 70% degli elettori il cui livello di istruzione era pari o inferiore

27 RICCI (2016). 28 BONDESAN (2016).

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al titolo di istruzione secondaria superiore ha votato per il Leave, mentre il

68% degli elettori possessori di un diploma universitario ha dato il consenso

al Remain.

L’altro fattore di interesse, che ha rappresentato una faglia di divisione,

è stato l’età: gli elettori sotto i venticinque anni sono stati più del doppio

propensi a votare per rimanere nell’Unione (71%) che a votare per lasciarla

(29%), mentre tra i cittadini comunitari di 65 anni o più, il risultato è stato

esattamente l’opposto: il 64% ha votato per l’uscita mentre il 36% per

rimanere nell’Unione europea29.

Le suddette distribuzioni anagrafiche e geografiche vanno

inevitabilmente intrecciate con il fattore dell’astensionismo, che si è

dimostrato essere progressivamente minore nelle fasce d’età più avanzate:

“solo il 36% della popolazione compresa tra i 18 ed i 24 anni si è recata alle

urne, mentre più dell’80% degli aventi diritto con età superiore ai 55 anni ha

preso effettivamente parte al voto”30, risultando così del 64% tra i più giovani

e del 20% tra i più anziani nell’elettorato.

Inutile dire come il risultato negativo del referendum abbia spiazzato

gran parte dell’élite politica globale, ed in particolar modo quella inglese,

rappresentata dal Primo Ministro e Leader del Partito Conservatore David

Cameron che, immediatamente dopo l’esito del referendum, e vista la reazione

negativa dei mercati finanziari, ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica

svolta, avendo inoltre condotto una campagna infruttuosa a favore del Remain

29 MOORE (2016). 30 SAVASTANO (2016: 4 ss.).

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In: è stato il primo caso nella storia inglese in cui il risultato di un referendum

nazionale sia stato contrario all’opzione prescelta dal governo inglese.

L’esito del referendum, essendo stato positivo e quindi favorevole

all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, ha aperto un dibattito politico

sull’individuazione della strada più corretta da percorrere in quella

determinata situazione. A referendum concluso, davanti alla dottrina euro-

costituzionalista si sono paventate varie possibilità di svolgimento del

risultato ottenuto:

• l’opzione del Remain: il Governo di Sua Maestà avrebbe potuto non

prendere in considerazione l’esito del referendum, nonostante il suo

risultato, decidendo così di mantenere il Regno Unito all’interno

dell’Unione europea e assumendosi ogni tipo di responsabilità31;

• l’opzione dell’art. 50 “senza successo”: l’attivazione dell’art. 50 e la

sua esecuzione avrebbero potuto esser minate dalla difficoltà nel

raggiungere un accordo tra le parti che avrebbe potuto portare ad un

protrarsi rischioso dei patteggiamenti32;

• l’opzione dell’art. 50 “senza seguito”: caso in cui il Regno Unito, nel

corso delle trattative aperte con l’attivazione dell’art. 50, avrebbe

potuto rinunciare alla fuoriuscita e ritirare la dichiarazione di recesso33;

• l’opzione del non raggiungimento di un accordo: situazione che si

sarebbe ottenuta nel caso in cui il nuovo governo britannico avesse

attivato l’art. 50, ma in seguito avesse rinunciato a trattare, aspettando

il decorso dei due anni, periodo oltre il quale la fuoriuscita sarebbe

comunque avvenuta automaticamente34;

• l’opzione di una nuova membership: il Regno Unito avrebbe potuto

negoziare una migliore posizione, con più benefici, all’interno

dell’Unione, sfruttando il processo Brexit come arma. Questa ipotesi è

stata difficilmente presa in considerazione in quanto l’Unione si è

dimostrata ferma sulla sua decisione di non dover scendere a patti con

il Regno Unito, ed in un certo senso ‘scongiurarlo’, per ottenere la sua

permanenza35;

• l’opzione della mancata ratifica: in cui il Parlamento scozzese avrebbe

potuto provare a bloccare l’intero processo post referendum, non

ratificandone l’esito36;

• ed infine, l’opzione prevista dal protocollo classico: l’attivazione da

parte del Regno Unito dell’art. 50 TUE relativo al recesso di uno Stato

membro dall’Unione europea, che verrà approfondita nel paragrafo

seguente37.

31 Ivi, p. 10. 32 Ibidem. 33 Ibidem. 34 Ibidem. 35 Ibidem. 36 Ibidem. 37 Ibidem.

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1.3 Il meccanismo di recesso nell’Articolo 50 del Trattato

sull’Unione europea (TUE)

“1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme

costituzionali, di recedere dall’Unione.

2. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio

europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo,

l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le

modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con

l’Unione. L’accordo e negoziato conformemente all’articolo 218, paragrafo 3

del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso e concluso a nome

dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa

approvazione del Parlamento europeo.

3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla

data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo,

due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo,

d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale

termine.

4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio

che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa ne alle deliberazioni

ne alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano. Per

maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo

238, paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

5. Se lo Stato che ha receduto dall’Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale

richiesta e oggetto della procedura di cui all’articolo 49”.

Una clausola che prevedesse il diritto di recesso dall’Unione non era

stata riconosciuta dagli Stati fondatori, ovvero Italia, Francia, Germania

dell’Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, nei Trattati di Roma a causa

della loro profonda fiducia e convinzione nel progetto di integrazione

europeo, il cui obiettivo principale era lo sviluppo economico ma, soprattutto,

il raggiungimento di una pace duratura.

L’art. 50 del Trattato sull’Unione europea, introdotto dal Trattato di

Lisbona nel 2007, contiene il meccanismo di recesso volontario e unilaterale

applicabile nei confronti dello Stato membro che desidera recedere

dall’Unione europea38. L’obiettivo fondamentale del Trattato di Lisbona fu

quello di riformare il modo in cui l’Unione europea operava, a livello

istituzionale (con la modifica della presidenza del Consiglio europeo e

l’introduzione dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la

politica di sicurezza), e di rendere più equo il processo decisionale,

delimitando maggiormente le competenze tra Stati e Unione, all’interno di

un’organizzazione internazionale aumentata ormai a 28 Stati membri: non

solo, in tale occasione, vengono confermati i tre principi fondamentali di

uguaglianza democratica, democrazia rappresentativa e democrazia

partecipativa, ma, puntando proprio ad un rafforzamento della democrazia e

38 Domande e risposte: Articolo 50 del trattato sull’Unione europea (2017).

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della libertà all’interno dell’Unione, viene introdotta per la prima volta una

procedura formale che prevede l’uscita di uno Stato membro dall’UE39.

1.3.1 Le tre fasi dell’art. 50 TUE

La procedura consta di tre fasi principali.

Inizialmente, lo Stato membro deve notificare la sua intenzione di

recedere dall’Unione al Consiglio europeo; l’art. 50 non si esprime sul modo

in cui lo Stato debba comunicare la notifica del recesso, ma ne indica soltanto

il destinatario e precisa che la dichiarazione formale debba essere chiara ed

inequivocabile. Questo passaggio attiva la procedura dell’art. 50 e dà inizio

alla prima fase, nella quale il presidente del Consiglio europeo (attualmente

Donald Tusk) indice una riunione straordinaria del Consiglio europeo. Il

Consiglio europeo adotta gli orientamenti sul recesso per consensus, o

processo decisionale consensuale, “che permette di riprodurre in un testo

l’intesa raggiunta dai partecipanti, ma anche di registrare eventuali posizioni

differenziate [della minoranza]”40. Gli orientamenti adottati contengono i

principi generali che fungeranno da guida per i negoziati tra l’Unione europea

e lo Stato membro in questione, tenendo conto dell’interesse comune di tutti

gli Stati che costituiscono l’Unione.

La seconda fase consiste nell’adozione dei suddetti orientamenti da

parte della Commissione europea, che in seguito ha il compito di presentare

in breve tempo una raccomandazione sull’avvio dei negoziati al Consiglio

europeo. La raccomandazione deve essere adottata dal Collegio dei

commissari 4 giorni dopo la riunione straordinaria del Consiglio europeo.

Autorizzando l’avvio dei negoziati, il Consiglio apre la terza fase della

procedura di recesso ed adotta le direttive di negoziato tramite una votazione

a maggioranza qualificata ‘forte’, prevista nei casi in cui il Consiglio deve

votare una proposta che non è stata presentata dalla Commissione o dall’alto

rappresentante. Tale decisione è adottata se vota a favore almeno il 72% dei

membri del Consiglio e se i membri che votano a favore rappresentano almeno

il 65% della popolazione dell’UE. Adottate le direttive, il negoziatore

dell’Unione il quale è nominato dal Consiglio, è incaricato ad aprire i

negoziati con lo Stato membro in questione. Generalmente, i negoziati devono

concludersi entro due anni dal momento in cui l’articolo 50 è stato attivato.

Nel caso in cui alla scadenza del termine non sia stato raggiunto nessun

accordo, i trattati cessano automaticamente di applicarsi allo Stato membro

che ha proposto il recesso, “salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo

Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine”41.

Nel caso opposto in cui un accordo sia stato raggiunto, al termine del periodo

fissato, il negoziatore dell’Unione porta davanti al Consiglio e al Parlamento

europeo una proposta di accordo: l’accordo è adottato previa approvazione del

39 Il trattato di Lisbona (2017). 40 VILLANI (2016: 154 ss.). 41 Art. 50 TUE.

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Parlamento europeo che si esprime con votazione a maggioranza semplice,

non essendo specificata nell’articolo la modalità di votazione che il

Parlamento deve adottare. L’accordo è infine concluso dal Consiglio con

votazione a maggioranza qualificata ‘forte’ e con la ratifica da parte dello

Stato membro che recede, in conformità con le proprie norme costituzionali.

Infine, come espresso esplicitamente dall’articolo 50, qualsiasi Paese

uscito dall’Unione europea può successivamente chiedere di aderirvi di

nuovo; in tal caso, la nuova adesione dovrà seguire la procedura illustrata

dall’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea. Da notare il fatto che

l’articolo 50 rimanga silente sulla possibilità di revocare la notifica di recesso,

ossia interrompere la procedura una volta iniziata. A questo proposito, la

norma europea deve essere interpretata tramite strumenti di diritto

internazionale, nello specifico la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati

del 1969 che, all’art. 69 disciplina le modalità di revoca di una generica

notifica, disponendo esplicitamente quest’ultima può essere revocata “in ogni

momento prima che abbia avuto effetto”42. Considerando che la notifica di

recesso diventa efficace solo quando il recesso diviene effettivo per lo stato

richiedente, la notifica va considerata revocabile all’interno del periodo di due

anni delle negoziazioni, o prima dell’approvazione dell’accordo di recesso.

1.3.2 L’applicazione dell’art. 50 al caso Brexit

Nel processo Brexit, i capi di Stato o di governo dell’Unione europea

“hanno chiesto al Consiglio di designare come negoziatore dell’Unione la

Commissione europea e hanno accolto con favore la decisione di questa di

nominare capo negoziatore Michel Barnier”43, politico francese e

commissario europeo dal 2009. Quest’ultimo, per tutta la durata dei negoziati,

non solo riferirà sistematicamente sull’andamento dei negoziati al Consiglio

europeo, al Consiglio dell’Unione europea e ai relativi organi preparatori, ma

si occuperà anche di rendere partecipi i restanti Stati membri, che avranno il

compito di impartire indirizzi al negoziatore e di valutare l’evoluzione dei

lavori. Per questo motivo è stato creato all’interno del Consiglio un gruppo

specifico con a capo un presidente permanente, incaricato di “accertare che la

condotta dei negoziati rispetti gli orientamenti impartiti dal Consiglio europeo

e le direttive di negoziato adottate dal Consiglio”44.

Il recesso del Regno Unito dall’Unione europea ha seguito un approccio

in due fasi, dando luogo ad un processo ordinato. La prima fase dei negoziati

è iniziata il 19 giugno 2017, dando luogo a sei cicli di negoziati, dopo i quali,

l’8 dicembre 2017, i negoziatori dell’Unione e del Regno Unito hanno

raggiunto un accordo, la cosiddetta relazione congiunta, su alcuni aspetti

fondamentali: nello specifico, il primo ministro Theresa May e il presidente

42 Art. 68 Convenzione di Vienna: “le notifiche o gli strumenti previsti negli articoli 65 e 67

possono essere revocati in qualsiasi momento, prima che abbiano avuto effetto”. 43 Domande e risposte: Articolo 50 del trattato sull’Unione europea (2017). 44 Ibidem.

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della Commissione Juncker, rappresentanti rispettivamente il Regno Unito e

l’Unione europea, con il suddetto documento si sono impegnati a “tutelare i

diritti dei cittadini dell’Unione europea che si trovano nel Regno Unito e i

cittadini del Regno Unito che si trovano nell’Unione europea; regolare tutti

gli obblighi di natura finanziaria in essere assunti durante il periodo di

adesione del Regno Unito; affrontare le circostanze uniche dell’Irlanda e

dell’Irlanda del Nord”45.

In seguito, il 15 dicembre 2017, i leader dell’Unione europea, dopo la

conferma da parte del Consiglio europeo del raggiungimento di progressi

sufficienti per proseguire, hanno invitato il Regno Unito a precisare con

maggiore chiarezza la sua posizione in merito alle modalità transitorie e alle

relazioni future prima del Consiglio europeo di marzo, dando così inizio alla

seconda fase dei negoziati. Il 19 marzo, i negoziatori del Regno Unito e

dell’Unione hanno raggiunto una tappa fondamentale, su cui mi concentrerò

nel prossimo capitolo, ovvero “un accordo sul testo congiunto UE-Regno

Unito con codifica a colori della bozza dell’accordo di recesso che traduce in

termini legali i progressi compiuti nel corso della prima fase dei negoziati”46.

45Articolo 50 sulle negoziazioni con il Regno Unito (2018). 46 Ibidem.

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2 Il progetto di accordo di recesso tra

Unione europea e Regno Unito

Il progetto dell’accordo di recesso a cui Regno Unito ed Unione

europea sono giunti il 28 febbraio consta di un documento di 119 pagine

contenenti 168 articoli, a loro volta divisi in sei parti principali: disposizioni

introduttive, diritti dei cittadini, altri temi inerenti alla separazione ad esempio

la questione delle merci immesse sul mercato prima della data di recesso,

liquidazione finanziaria, disposizioni transitorie e disposizioni istituzionali47.

Inoltre, esso contiene il protocollo sull’Irlanda ed Irlanda del Nord, il quale

mette in atto la terza opzione da rendere operativa in assenza di altre soluzioni

concordate, prospettata nella relazione congiunta, per evitare che sia eretta una

frontiera fisica sull’isola d’Irlanda: “l’opzione prevede che il Regno Unito

mantenga pieno allineamento con le regole comunitarie del mercato interno e

dell’unione doganale e sostenga la cooperazione tra Nord e Sud e l’economia

dell’intera isola”48.

È importante notare come la bozza di accordo sia stata redatta

dall’Unione europea e proposta, in seguito, al Regno Unito, che ha effettuato

gli emendamenti necessari in base ai suoi interessi. Di conseguenza, risulta

improbabile che essa sia completamente concordante con l’accordo finale che

le due parti raggiungeranno. Inoltre, alcuni hanno osservato che l’Unione

europea, avendo appunto, prodotto la prima bozza, abbia acquisito un

vantaggio nella fase dei negoziati. La Commissione europea ha, però,

dichiarato che:

“[we are] publishing the draft Withdrawal Agreement today to allow for some

time for an exchange of views with the Council and the European Parliament

and to give as much time as possible to the EU and UK negotiators to reach a

deal on the terms of the UK’s orderly withdrawal from the EU”49.

Quindi, essa ha chiarito la sua intenzione di garantire il tempo

necessario alle due parti, Regno Unito ed Unione europea, per raggiungere un

accordo sui termini di recesso dello Stato britannico.

Per concludere, la Commissione ha dichiarato che la bozza redatta deve

essere considerata un documento legale piuttosto che un documento

diplomatico.

47 Brexit: the draft withdrawal agreement (2018: 5 ss.). 48 Barnier, pronta bozza accordo Brexit. Momento cruciale per negoziato ma dobbiamo

accelerare, in ANSA, 28 febbraio 2018, reperibile online. 49 HEWITT (2018).

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2.1 La struttura del Draft Withdrawal Agreement (WD) Nel dettaglio, la Parte Prima del progetto è la più breve e descrive

l’obiettivo del documento, illustrando le definizioni utilizzate nel resto del

testo. Anche se ci potrebbero essere ulteriori negoziazioni sulla formulazione

di alcuni degli articoli contenuti nella Prima Parte, è improbabile che il

contenuto di questi ultimi venga modificato: la modifica potrà riguardare

tutt’al più la modalità in cui questi ultimi sono stati formulati.

Nella Prima Parte viene, inoltre, definito l’ambito territoriale in cui le

norme saranno convalidate, e vengono esposte disposizioni di carattere

generale per facilitare la comprensione del trattato50.

La Parte Seconda della bozza contiene il tentativo della Commissione

di convertire le dichiarazioni sui diritti dei cittadini, contenute nella Relazione

Congiunta, in disposizioni giuridiche vincolanti51. Il principio fondamentale

su cui questa sezione si fonda è il rispetto del principio del trattamento equo,

contenuto nell’art. 21, secondo cui:

“All Union citizens or United Kingdom nationals residing on the basis of this

Agreement shall enjoy equal treatment with the nationals of that State within

the scope of this Agreement”52

I diritti, descritti come ‘diritti acquisiti’ in quanto rimarranno in vigore

anche dopo l’uscita del Regno Unito dall’Europa, sono stati argomento di

controversie, e per questo motivo, saranno l’oggetto su cui mi focalizzerò nel

terzo ed ultimo capitolo della seguente tesi.

La Parte Terza, relativa alle disposizioni riguardanti la separazione,

contiene il primo testo riguardante le questioni di recesso che sono state

precedentemente segnalate nella Relazione Congiunta, ma non

dettagliatamente discusse in essa. Questo capitolo contiene norme

sull’accesso al mercato di beni, sull’imposta sul valore aggiunto (VAT o IVA)

e sull’accisa, sulla proprietà intellettuale, sulla protezione di dati raccolti

prima della fine del periodo transitorio, sui privilegi ed immunità, su questioni

EURATOM e su una serie di disposizioni legate al funzionamento delle

Istituzioni europee53. Questa sezione è necessaria per i business che hanno

dovuto prendere consapevolezza di come le disposizioni riguardanti il

mercato interno hanno alterato ed andranno a modificare temi come il

commercio e la circolazione dei beni.

Di fondamentale importanza risulta essere l’articolo 37, che riguarda la

permanenza in circolazione dei beni immessi sul mercato, e che stabilisce che

50 Brexit: the draft withdrawal agreement (2018: 5 ss.). 51 Ibidem. 52 TF50 (2018) 35 – Commission to EU27, Draft Agreement on the withdrawal of the United

Kingdom of Great Britain and Northern Ireland from the European Union and the European

Atomic Energy Community, in Europa.eu, 19 marzo 2018, reperibile online. 53 Brexit: the draft withdrawal agreement (2018: 5 ss.).

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qualsiasi bene legalmente immesso nel mercato unico dell’Unione o nel

mercato inglese prima della fine del periodo di transizione potrà:

“(a) be further made available on the market of the Union or of the United

Kingdom and circulated between these two markets until it reaches its end-user;

(b) where provided in the applicable provisions of Union law, be put into ser-

vice in the Union or in the United Kingdom”54.

In altre parole, i suddetti beni saranno disponibili e potranno circolare

nel mercato dell’Unione o in quello del Regno Unito fino a quando non

raggiungeranno i destinatari finali e, se previso dalle disposizioni del diritto

dell’Unione, potranno essere messi a servizio dell’Unione o del Regno Unito.

La Parte Quarta del progetto di accordo di recesso consiste nella

proposta da parte della Commissione di un periodo di transizione. Una bozza

di questo documento era stata già pubblicata il 7 febbraio 2018, e il Regno

Unito aveva risposto con una serie di emendamenti, il 21 febbraio, con il quale

aveva dichiarato di essere sulla stessa lunghezza d’onda dell’Unione, a parte

per qualche emendamento tecnico che rendesse più dettagliati e chiari i Tran-

sitional arrangements in the withdrawal agreement. Così, sulla base del

documento redatto,

“The UK believes the Period’s duration should be determined simply by how

long it will take to prepare and implement the new processes and new systems

that will underpin the future partnership. The UK agrees this points to a period

of around two years, but wishes to discuss with the EU the assessment that

supports its proposed end date”55;

in altre parole, le due parti hanno stabilito un periodo di transizione (e

di esecuzione dell’accordo di recesso) di circa due anni a partire dal 29 marzo

2019 e hanno ampiamente concordato sulla continuazione dell’applicazione

degli acquis europei esistenti per il Regno Unito fino alla fine del periodo

transitorio56.

La Parte Quinta costituisce un’annotazione dettagliata del regolamento

finanziario, il quale è stato accordato inizialmente nella Relazione Congiunta

a dicembre 2017, ma che è stato successivamente esteso nel progetto di

accordo57.

La Parte Sesta della bozza contiene le disposizioni istituzionali previste

dalla Commissione europea riguardanti le procedure amministrative e

giudiziarie. Queste ultime costituiscono un possibile oggetto di controversia

in quanto preservano una funzione specifica per la Corte di Giustizia

dell’Unione europea, nella sorveglianza del progetto di accordo negli 8 anni

successivi alla fine del periodo transitorio, che sembra oltrepassare uno dei

54 TF50 (2018) 35 – Commission to EU27, Draft Agreement on the withdrawal of the United

Kingdom of Great Britain and Northern Ireland from the European Union and the European

Atomic Energy Community. 55 Draft text for discussion: implementation period (2018: 1 ss.). 56 Brexit: the draft withdrawal agreement (2018: 5 ss.). 57 Ibidem.

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limiti imposti dal governo inglese58. Per questo motivo, l’art. 157 specifica

l’istituzione di una Joint Committee formata da rappresentati sia dell’Unione

europea sia del Regno Unito, che avrà il compito di riunirsi almeno una volta

all’anno per controllare e gestire l’attuazione e l’applicazione dell’accordo di

recesso.

Infine, dei due Protocolli allegati al documento, il primo si occupa della

gestione delle zone di sovranità del Regno Unito a Cipro, mentre il secondo,

come già descritto precedentemente, “prevede che in nessun modo sorga un

confine concreto e visibile tra Nord Irlanda e Repubblica di Irlanda”59.

Riguardo questi territori, l’art. 2 del Protocol on Ireland and Northern Ireland

stabilisce che:

“The United Kingdom and Ireland may continue to make arrangements be-

tween themselves relating to the movement of individuals between the territo-

ries”60;

quindi, i due Stati manterranno il pieno controllo sul movimento degli

individui tra i loro territori, ed inoltre, come espresso negli articoli 3 e 4 dello

stesso Protocollo, viene stabilita una Common regulatory area all’interno

della quale sarà proibita ogni imposta doganale sulle importazioni ed

esportazioni, e tasse aventi gli stessi effetti, tra l’Unione europea e il Regno

Unito nei confronti dell’Irlanda del Nord61.

2.1.1 Gli emendamenti del progetto di accordo di recesso

Essendo solamente una bozza dell’accordo ufficiale di recesso, essa

non ha vincolato né il Regno Unito né l’Unione europea: i negoziati sono

andati avanti e nuovi emendamenti del documento sono stati effettuati il 15

marzo ed il 19 marzo, date in cui si è giunti ad un testo sul periodo di

transizione e su altri articoli, che è stato approvato da entrambe le parti e reso

più facile da comprendere grazie alla distinzione dei colori delle parti in cui

l’accordo è stato raggiunto, e delle parti in cui un accordo ancora non è nato:

il colore verde segnala le parti del testo su cui i negoziatori hanno concordato

e che potrà essere soggetto solamente a revisioni di tipo tecnico e legale, il

giallo simbolizza la presenza di un accordo di principio ma non ancora

completo in cui sono necessarie specifiche precisazioni, ed il bianco segnala

58 Ibidem. 59 GROSSO, Brexit, ecco i punti dell’accordo. Ora si va alla fase due ma per Theresa May è una

sconfitta, in Business Insider, 8 dicembre 2017, reperibile online. 60 TF50 (2018) 35 – Commission to EU27, Draft Agreement on the withdrawal of the United

Kingdom of Great Britain and Northern Ireland from the European Union and the European

Atomic Energy Community. 61 Art. 4 (3) del Protocollo sull’Irlanda e l’Irlanda del Nord: “Customs duties on imports and

exports, and any charges having equivalent effect, shall be prohibited between the Union and

the United Kingdom in respect of Northern Ireland”.

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l’assenza di un accordo, ovvero le proposte dell’Unione su cui si sta ancora

negoziando62.

Tramite gli emendamenti effettuati il 15 e il 19 marzo, si è quindi giunti

ad una bozza di accordo in cui:

- il titolo è stato modificato da Draft Withdrawal Agreement a Draft

Agreement on the withdrawal of the United Kingdom of Great Britain and

Northern Ireland from the European Union and the European Atomic Energy

Community63;

- l’art. 4a è stato modificato, aggiungendo la clausola ‘buona fede’ che

impone ad entrambe le parti di rispettare gli interessi reciproci64;

- l’art. 31 emendato dal Regno Unito prevede un meccanismo di

revisione per determinate modifiche alle regole dell’Unione sui pagamenti dei

benefici ai cittadini dell’Ue nell’ambito di applicazione dei diritti dei

cittadini65;

- l’art. 32, che impediva ai cittadini inglesi un’ulteriore libera

circolazione nei Paesi dell’Ue27, non è più presente ed è stato rimosso nel

documento emendato66;

- l’art. 121 ora descrive il periodo di transizione non solo come periodo,

appunto, di transizione ma anche come periodo di implementazione67, e quindi

prevede la realizzazione concreta della procedura durante il suddetto periodo;

- l’art. 124(4) precisa che il Regno Unito potrebbe negoziare, firmare e

ratificare accordi internazionali in materie a competenza esclusiva

dell’Unione, a condizione che questi accordi non entrino in forza e in

applicazione durante il periodo di transizione, eccetto quando autorizzati

dall’Unione68;

- l’art. 152 precisa non solo che l’autorità di supervisione inglese sui

diritti dei cittadini avrà poteri equivalenti a quelli della Commissione, ma,

nella clausola (3), che essa, dopo un periodo di 8 anni, potrà essere abolita

dalla Joint Committee69;

- Infine, l’art. 168 stabilisce che l’accordo di recesso (WA) non potrà

entrare in vigore il 30 marzo 2019 senza una completa ratifica interna70.

2.2 Lo European Union (Withdrawal) Act 2018

62 TF50 (2018) 35 – Commission to EU27, Draft Agreement on the withdrawal of the United

Kingdom of Great Britain and Northern Ireland from the European Union and the European

Atomic Energy Community. 63Brexit: the draft withdrawal agreement (2018: 8 ss.). 64 Ibidem. 65 Ibidem. 66 Ibidem. 67 Ibidem. 68 Ibidem. 69 Ibidem. 70 Ivi, p. 9.

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Considerato da Theresa May “il manifesto del nuovo e vincente Regno

Unito al di fuori dell’Unione”71, lo European Union Withdrawal Act 2018 è il

documento interno che contiene lo strumento normativo attraverso il quale

l’ordinamento britannico dovrà adattarsi alla situazione post Brexit. Esso

delinea, infatti:

“il rapporto tra le fonti dell’ordinamento britannico e le fonti europee

attualmente in vigore nel Regno Unito, la giurisprudenza della Corte di giustizia

e l’attenuarsi progressivo del principio del primato che ha caratterizzato le

relazioni tra fonti europee e fonti interne nel periodo di permanenza di Londra

nel contesto UE”72.

Il processo Brexit si è, infatti, consolidato non solo intorno alla bozza

di accordo di recesso tra Londra e Bruxelles, ossia il documento interno sulle

questioni riguardanti nuove relazioni future, ma anche sul suddetto

documento.

Quest’ultimo, ha superato il formale ‘ping-pong’ all’interno del

Parlamento britannico, tra House of Commons e House of Lords, ed è stato

convertito, dopo aver ricevuto l’approvazione Reale da parte della Regina

Elisabetta II, in un Atto Parlamentare: è quindi divenuto legge il 26 giugno

2018. Raggiungere il risultato finale è stato, però, un percorso tortuoso, sia in

termini di tempo, che di negoziazioni politiche: il documento è stato soggetto

ad accesi dibattiti (più di 250 ore) tra il partito labourista e tra le fazioni pro e

contro l’UE all’interno del partito Tory, che hanno messo in atto più di 1,400

emendamenti.

2.2.1 I quattro punti fondamentali dello European Union Act

2018

Il documento finito si presenta come un complesso e vasto esempio di

legislazione costituzionale. In breve, esso prevede quattro questioni

fondamentali:

1. La supremazia della legge britannica su quella europea:

Lo European Withdrawal Act abroga lo European Communities Act

1972, che inseriva il Regno Unito all’interno dell’Unione europea e stabiliva

la prevalenza del diritto europeo sulle leggi adottate nel Parlamento

britannico. Questa disposizione, considerata una riappropriazione della

supremazia della legge, non avrà effetto immediato, ma sarà attuata a partire

dal Brexit day. L’Atto prevede, inoltre, che il concetto di sovranità del diritto

europeo su quello britannico continuerà ad essere riconosciuto per quanto

riguarda la legislazione pre-Brexit day73. 2. Il cosiddetto Brexit day:

71 SAVASTANO (2018: 2 ss.). 72 Ibidem. 73 KENDRICK, SANGIUOLO (2018: 3 ss.).

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L’Atto sancisce il Brexit day il giorno 29 marzo 2019 alle 23:00 GMT74. 3. Il trasferimento del diritto dell’Unione europea nella

legislazione del Regno Unito:

Per rendere il passaggio per il Regno Unito da insider a outsider il più

regolare possibile, è stato calcolato che circa 20,000 atti legislativi verranno

trasferiti all’interno della legislazione britannica: attraverso una procedura di

“copia ed incolla” dal 29 marzo 2019 parte della legislazione europea

diventerà legislazione domestica del Regno Unito75. 4. L’acquisizione, da parte del Governo britannico, di poteri

temporanei per correggere irregolarità nate dall’introduzione del diritto

europeo:

L’Atto trasmette, infatti, ai ministri di Westminster, il potere di

correggere anomalie del diritto dell’Unione europea, ove appropriato, e non

necessario, per garantire certezza a livello legale e continuità nel Regno Unito

post-Brexit. Per fare ciò, il Governo britannico dovrà servirsi, se necessario,

di strumenti a competenza dell’Unione, che includono poteri devoluti in

passato a Irlanda, Scozia e Galles. Questi ultimi non sembrano aver reagito

con entusiasmo alla notizia.

Ad esempio, nella sezione 12 dell’Atto, è menzionato il Governo

scozzese, ed il documento specifica che: “there is no competence for the Scot-

tish Parliament to legislate incompatibly with EU law”76; il Governo scozzese,

quindi, non potrà prendere decisioni legislative che non siano compatibili con

il diritto europeo. Tutto ciò non fa che rinforzare la dottrina della supremazia

del parlamento britannico sui territori del Regno Unito77.

2.2.2 Le reazioni del Governo britannico

Il Primo Ministro britannico, Theresa May, ha tentato di spingere

molto su questo documento, e quindi sulla disciplina interna, per mettere, in

un certo senso, da un lato i negoziati sul secondo fronte con il ministro

Barnier. Ovviamente, la sua scelta risulta essere una mossa comprensibile se

vista come un tentativo di presentazione del processo Brexit all’opinione

pubblica, in quanto il vero destino del recesso del Regno Unito si decide sui

contenuti dell’accordo di recesso. Inoltre, la scelta della May di focalizzarsi

sul documento interno è giustificata anche dal fatto che, con la bozza di

accordo, l’Unione europea sta riuscendo ad ottenere tutti i suoi obiettivi

negoziali, mentre il Regno Unito ha dovuto modificare alcuni aspetti iniziali

considerati cruciali, come l’abbandono del mercato comune, che la pongono

su un livello di insoddisfazione non indifferente78.

74 Ibidem. 75 Ibidem. 76 Ibidem. 77 Ivi, p. 4. 78 SAVASTANO (2018: 2 ss.).

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L’indirizzo che la May ha voluto dare ai negoziati si è ufficialmente

palesato il 6 luglio, quando il governo si è accordato sulla posizione da

adottare nella fase finale dei negoziati: il risultato è stato quello di un

compromesso tra i cosiddetti hard e soft brexiters, che ha lo scopo di creare

una specie di zona di libero scambio limitata tra Unione europea e Regno

Unito, che faciliti la circolazione delle persone e che sia controllata da un

sistema di sicurezza collaborativo tra le due parti. Questa scelta ha scatenato

un vero e proprio “terremoto” all’interno dell’esecutivo, creando malcontento

nell’area degli hard brexiters: a dimostrazione, l’8 luglio, il Ministro Brexit,

David Davies, si è dimesso, giudicando l’atteggiamento del governo troppo

morbido; di seguito, il 9 luglio sono arrivate anche le dimissioni del Ministro

degli Esteri, Boris Johnson, che ha definito il Regno Unito come una “colonia

dell’Unione europea”79.

2.3 La Parte Seconda della bozza di accordo di recesso: i

diritti dei cittadini

La Parte Seconda della bozza dell’accordo di recesso della Gran

Bretagna dall’Unione Europea riguarda i diritti dei cittadini; quest’ultimi,

generalmente, sono sanciti dall’articolo 20 del trattato sul funzionamento

dell’Unione europea (TFUE) e al capo V della Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea. Tramite questo articolo, il diritto europeo, da un lato

stabilisce che “i cittadini di uno Stato membro dell’UE sono automaticamente

anche cittadini dell’UE”80, attribuendo ad essi la cittadinanza europea che

costituisce un arricchimento della cittadinanza nazionale e non una

sostituzione di quest’ultima81; dall’altro lato, lo status di cittadino europeo si

risolve in un catalogo di specifici diritti che contribuiscono alla partecipazione

dell’individuo, come soggetto politico, al processo di integrazione europea82.

I diritti di cui i cittadini europei sono titolari sono i seguenti:

• Diritto di libera circolazione e di soggiorno nell’UE.

Descritto all’art. 21 TFUE, tale diritto ha subito nel corso del tempo

un’evidente trasformazione, che accenno qui di seguito ma che spiegherò a

fondo nel prossimo paragrafo: inizialmente, esso era presente nel Trattato

istitutivo della Comunità economica europea ma era riconosciuto solo alle

persone economicamente attive, ossia ai lavoratori subordinati e a quelli

autonomi. Grazie all’art. 21 TFUE, la logica di tale diritto cambia, passando

da una logica meramente economica e di mercato ad un fondamento politico,

ovvero lo status di cittadino europeo. Oggi, il diritto di libera circolazione e

di soggiorno è da mettere in atto senza discriminazioni basate sulla nazionalità

dei cittadini, ma non è del tutto incondizionato: come descritto dall’art. 21,

79 Ivi, p. 3. 80 Unione europea, Cittadinanza dell’UE, in Europa.eu, reperibile online. 81 VILLANI (2016: 113 ss.). 82 Ivi, p. 116.

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esso è riconosciuto “fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai

Trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi”83. • Diritto di partecipazione alla vita politica dell’UE.

Con questo diritto, i cittadini europei acquisiscono il diritto di elettorato

attivo e passivo alle elezioni amministrative e del Parlamento europeo, allo

stesso modo dei cittadini di detto Stato:

“Ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è

cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato

membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Tale

diritto sarà esercitato con riserva dalle modalità che il Consiglio adotta,

deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e priva

consultazione del Parlamento europeo”84;

Questo diritto è naturalmente collegato al diritto di libera circolazione e di

soggiorno: la partecipazione alle elezioni amministrative facilita tale diritto,

“che sarebbe invece ostacolato qualora, spostandosi da uno Stato membro

all’altro, si venisse privati della possibilità di contribuire alla formazione degli

organi amministrativi comunali”85.

• Diritto di petizione al Parlamento europeo.

L’art. 24 TFUE conferisce al cittadino europeo alcuni diritti attraverso

il quale egli ha la possibilità di avvicinarsi alle istituzioni europee e ai loro

processi decisionali: questo processo può avvenire presentando,

individualmente o in associazione con altri cittadini o persone, una petizione

riguardante una materia che rientra nelle competenze dell’Unione al

Parlamento europeo.

Riguardo il contenuto della petizione, quest’ultimo deve sempre

rientrare nel campo di attività dell’Unione e generalmente si riferisce a

“comportamenti degli Stati di cui si lamenta la contrarietà al diritto

dell’Unione”86. Inoltre, riguardo la materia oggetto della petizione, l’art. 227

del Regolamento interno stabilisce che la presentazione di una petizione può

avvenire solo a condizione che la materia oggetto di quest’ultima concerna

direttamente l’autore della stessa; tuttavia, prendendo in considerazione lo

scopo della petizione, ossia di incitare il Parlamento a prendere iniziative su

una determinata questione, la suddetta condizione non viene intesa in senso

rigidamente formale, ma, anzi, in maniera totalmente elastica.

La petizione viene, infine, esaminata da una commissione permanente

del Parlamento europeo, la cosiddetta ‘Commissione per le petizioni’, che, in

base al suo esame, decide quale iniziativa prendere tra le svariate opzioni che

le si propongono davanti, tra cui elaborare relazioni sul risultato raggiunto,

oppure chiedere il parere al Presidente del Parlamento o la sua

raccomandazione alla Commissione europea.

83 Art. 21 TFUE. 84 Art. 22 TFUE. 85 VILLANI (2016: 120 ss.) 86 Ivi, p. 122.

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• Diritto di denuncia al Mediatore europeo.

Il Mediatore europeo è un organo individuale previsto dall’art. 24

TFUE che ha il compito di “promuovere la buona amministrazione

nell’Unione intervenendo per riparare casi di cattiva amministrazione”87.

Nonostante il suo stretto rapporto con il Parlamento, l’art. 228 TFUE dichiara

che:

“il Mediatore esercita le sue funzioni in piena indipendenza. Nell’adempimento

dei suoi doveri, egli non sollecita né accetta istruzioni da alcun governo,

istituzione, organo o organismo”88.

Tale indipendenza dagli organi europei è dimostrata anche dal fatto che

il Parlamento europeo non può revocare la nomina del Mediatore qualora

abbia commesso una colpa grave, ma, in caso, può solamente domandare alla

Corte di giustizia di dichiararlo dimissionario per provocarne la cessazione

delle funzioni.

La denuncia che si può sporgere al Mediatore deve avere per oggetto

un caso di cattiva amministrazione nell’azione dell’Unione: i casi di cattiva

amministrazione non sono, però, definiti dal Trattato, e per questo motivo può

risultarci utile il Codice europeo di buona condotta amministrativa, secondo

il quale, “si è in presenza di cattiva amministrazione quando un organismo

pubblico non opera conformemente a una norma o a un principio per esso

vincolante”89, e quindi ricomprende sotto i casi di cattiva amministrazione le

ipotesi di illegittimità, e i casi di amministrazione impropria, ovvero quando

essa è in contrasto con i criteri di trasparenza, di opportunità, di efficacia, di

correttezza e di equità.

Per risolvere il problema sollevato dalla denuncia, il Mediatore non solo

conduce un’indagine affiancato dall’istituzione, organo o organismo

interessati e dal denunciante, ma svolge con essi anche un’attività conciliativa

nell’intento di eliminare il caso di cattiva amministrazione. In caso di

fallimento del suo obiettivo, il Mediatore o invia raccomandazioni contenute

in una relazione all’organo, organismo o istituzione interessati, oppure chiude

l’indagine con una valutazione critica e negativa dell’istituzione, organo o

organismo in questione.

• Diritto di tutela diplomatica e consolare all’estero.

Tramite l’art. 23 TFUE,

“ogni cittadino dell’Unione gode, nel territorio di un Paese terzo nel quale lo

Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte

delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse

condizioni dei cittadini di detto Stato”90.

87 Ivi, p. 123. 88 Art. 228 TFUE. 89 Il Codice europeo di buona condotta amministrativa (2005: 8 ss.). 90 Art. 23 TFUE.

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In questo modo, il cittadino europeo in uno Stato terzo può ricevere, se

necessaria, l’assistenza da parte delle autorità diplomatiche e consolari, che

esse forniscono ai proprio cittadini, con lo scopo di facilitarne il soggiorno in

un altro Stato.

Al contrario, l’art. 23 non si riferisce al caso in cui un cittadino, vittima

di una lesione causata dalla violazione degli obblighi internazionali relativi al

trattamento degli stranieri, abbia bisogno di protezione diplomatica. Di

conseguenza, per fare chiarezza, sono previsti dall’articolo i casi di tutela, i

quali comprendono l’incidente, il decesso o la malattia grave, l’arresto o la

detenzione, l’aiuto e il rimpatrio in casi di difficoltà, e, infine, l’essere vittima

di atti di violenza.

Ai commi 1, 2, e 3 dell’art. 6, il diritto europeo dispone che:

“Salvo in caso di estrema urgenza, non può essere concesso alcun anticipo o

aiuto pecuniario né può essere sostenuta alcuna spesa a favore di un cittadino

dell’Unione senza l’autorizzazione delle autorità competenti dello Stato

membro di cui ha la cittadinanza”91.

Questo principio nasce dalla direttiva 2015/637 del Consiglio del 20

aprile 2015 sulle misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la

tutela consolare dei cittadini non rappresentati nei Paesi terzi, e si fonda, in

primo luogo, sul rispetto del principio di solidarietà europea e, in secondo

luogo, sul rispetto dell’eguaglianza nel trattamento dei cittadini europei non

rappresentati in un Paese terzo e dei cittadini dello Stato membro.

91 Art. 6 TFUE.

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3 Il diritto di libera circolazione prima e dopo il

processo Brexit

La decisione del Regno Unito di recedere dall’Unione europea ha

ancora una volta posto l’accento sul diritto dei cittadini alla libera

circolazione, dal momento che il governo inglese ha inserito il riappropriarsi

del controllo delle decisioni sull’immigrazione nel Regno Unito nella lista

degli obiettivi principali derivanti dall’uscita dall’Unione e dal futuro rapporto

con essa92.

Il diritto di libera circolazione delle persone è uno delle quattro ‘libertà’

che, nel loro insieme, consolidano il mercato comune dell’Unione europea.

Uno degli obiettivi principali dell’Unione europea consiste, infatti, nella

creazione di un mercato interno, tra i suoi membri, che rimuova e riduca le

barriere presenti nel commercio, assicurando la libera circolazione di beni,

servizi, persone e capitali93.

3.1 Le fondamenta del diritto di libera circolazione

Il diritto dell’Unione europea stabilisce due regimi a controllo della

libera circolazione: da un lato, un regime più specifico e permissivo per i

lavoratori europei che, tramite l’articolo 45 TFUE, esprime che “la libera

circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione è assicurata; essa implica

l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i

lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e

le altre condizioni di lavoro”94. Dall’altro lato, un regime più generico, ma

decisamente più vincolante, è contenuto nell’articolo 21 TFUE, il quale

stabilisce generalmente che “ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di

circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte

salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni

adottate in applicazione degli stessi”95.

Per la chiara comprensione del primo regime, la definizione del termine

“lavoratore” è necessaria: la legislazione europea stabilisce che la

caratteristica essenziale di una relazione di lavoro è che una persona, per un

certo periodo di tempo, svolga delle funzioni per e sotto la direzione di un’altra

in cambio di una remunerazione96. Il diritto europeo non si pronuncia su

questioni contrattuali, e se, quindi, l’impiego debba essere a tempo pieno o a

tempo parziale, o sul livello minimo del pagamento, ma si limita a stabilire

che le attività lavorative devono essere effettive ed autentiche, e non talmente

ridotte da risultare puramente marginali ed accessorie97.

92 House of Lords (2017, 6 ss.). 93 Ibidem. 94 Art. 45 TFUE. 95 Art. 21 TFUE. 96 DONEGAN (2016, 3 ss.). 97 Ibidem.

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Avendo chiara la nozione di lavoratore, e sviscerando il diritto europeo

che gestisce la libertà di circolazione, gli articoli 45 TFUE e il 21 TFUE

attribuiscono agli individui il diritto di:

• Accettare offerte di lavoro effettivamente presentate;

• Circolare liberamente all’interno del territorio circoscritto

dagli Stati membri dell’Unione europea e dell’Associazione europea

di libero scambio (“AELS”) a tal fine;

• Soggiornare in uno Stato membro dell’Unione europea o

dell’AELS per lavorare all’interno di esso, in conformità con le

disposizioni che gestiscono l’occupazione lavorativa nazionale del

suddetto Stato membro prescritte dalla legge, dai regolamenti o da atti

amministrativi;

• e, infine, di rimanere all’interno di tale Stato dopo aver

occupato un impiego.

Queste disposizioni, naturalmente, sono soggette alle opportune

limitazioni previste per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica e di

pubblica sanità98.

3.1.1 La direttiva 2004/38/CE sui diritti dei cittadini

Alcune tra le limitazioni e condizioni sopracitate sono contenute nella

Direttiva 2004/38/CE, relativa ai diritti dei cittadini, la quale ha lo scopo di

estendere l’ambito di applicazione dei diritti contenuti nel TFUE ai familiari

del cittadino europeo, e di minimizzare l’onere degli individui che esercitano

il diritto di circolazione e di soggiorno che grava sulle spalle dello Stato.

In primo luogo, essa garantisce i diritti di uscita99 e d’ingresso100 delle

persone e sottolinea l’importanza fondamentale della libera circolazione,

definita come “una delle libertà fondamentali nel mercato interno che

comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale

libertà”101; quindi, i cittadini europei hanno il diritto di entrare negli Stati

membri dell’Unione se muniti di un documento d’identità valido o di un

passaporto, e questo diritto si estende ai membri della famiglia, sempre se

98 DONEGAN (2016, 2 ss.). 99 Art. 4(1) della Direttiva 2004/38/CE: “Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai

controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di

una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la

cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di

lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro”. 100 Art. 5(1) della Direttiva 2004/38/CE: “Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai

controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro

territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di

validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido

passaporto”. 101 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa

al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente

nel territorio degli Stati membri.

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muniti di passaporto, in cui sono compresi il coniuge, il partner registrato, i

discendenti diretti sotto l’età di 21 anni o gli ascendenti.

In secondo luogo, la direttiva stabilisce che i cittadini europei hanno il

diritto di muoversi dal proprio paese ad un altro Stato membro e di

soggiornarvisi per un massimo di 90 giorni, quindi tre mesi, senza alcuna

condizione se non, di nuovo, il possesso di un documento d’identità valido o

di un passaporto; anche questo diritto si estende ai membri familiari che,

eventualmente, accompagnano o raggiungono il cittadino europeo102.

Nel caso in cui un cittadino europeo voglia risiedere in un altro stato

membro per più di 90 giorni e non sia un lavoratore subordinato o autonomo

nello Stato membro ospitante, quest’ultimo ha il dovere di registrarsi alle

autorità locali e la sua decisione deve essere supportata da una quantità di

risorse economiche sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza sociale

dello stato ospitante (ad esempio, un prerequisito fondamentale consiste nel

possedere un’assicurazione sanitaria completa che copra tutti i rischi nello

Stato membro ospitante):

“[a]ll Union citizens shall have the right of residence on the territory of another

Member State for a period of longer than three months if they:

(a) are workers or self-employed persons in the host Member State; or

(b) have sufficient resources for themselves and their family members not to

become a burden on the social assistance system of the host Member State dur-

ing their period of residence and have comprehensive sickness insurance cover

in the host Member State; or

(c) are enrolled at a private or public establishment, accredited or financed by

the host Member State on the basis of its legislation or administrative practice,

for the principal purpose of following a course of study, including vocational

training; and have comprehensive sickness insurance cover in the host Member

State and assure the relevant national authority, by means of a declaration or by

such equivalent means as they may choose, that they have sufficient resources

for themselves and their family members not to become a burden on the social

assistance system of the host Member State during their period of residence; or

(d) are family members accompanying or joining a Union citizen who satisfies

the conditions referred to in points (a), (b) or (c)”103.

In terzo luogo, la direttiva europea garantisce il diritto di soggiorno

permanente ai cittadini europei e alle loro famiglie, con la condizione che essi

abbiano vissuto per un periodo continuato di cinque anni all’interno dello

Stato membro ospitante. In alcune circostanze, i lavoratori posso acquisire il

102 Art. 6(1) della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,

2004/38/CE: “[i] cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro

Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità,

salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità”. 103 Art. 7 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,

2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di

soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

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diritto di soggiorno permanente anche prima del completamento del periodo

di cinque anni104.

Infine, la direttiva, tramite il diritto alla parità di trattamento, afferma

che i cittadini e le loro famiglie, in possesso del diritto di soggiorno o del

diritto di soggiorno permanente, devono ricevere lo stesso trattamento che

spetta ai cittadini originari del Paese ospitante105.

3.2 L’evoluzione del diritto di libera circolazione

La differenziazione dei regimi del diritto di circolazione, descritta nel

precedente paragrafo, è il risultato di un’evoluzione storica del diritto alla

libera circolazione degli individui all’interno della legislazione europea.

Inizialmente, il Trattato di Roma del 1957, che istituì la Comunità economica

europea, rispecchiando una logica guidata dal mercato comune che mirava alla

libera diffusione del lavoro e alla libera circolazione degli altri fattori di

produzione (beni, servizi e capitali), garantiva il diritto di spostamento

solamente ai lavoratori106. Il Trattato si fondava sul principio generale di non-

discriminazione delle persone sulla base della loro nazionalità, secondo il

quale un lavoratore proveniente da un altro Stato membro deve godere dello

stesso trattamento dei lavoratori nazionali in situazioni analoghe107.

Nel corso del tempo, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha svolto

un ruolo fondamentale nell’estensione della lista dei beneficiari di questo

diritto fondamentale, tramite svariati casi di giurisprudenza e tramite

l’introduzione della legislatura secondaria comprendente regolamenti e

direttive, arrivando ad includere studenti, persone in cerca di lavoro e

lavoratori autonomi.

Dalla creazione del concetto di “cittadinanza europea”, istituita nel

Trattato di Maastricht del 1992 con lo scopo di trasformare il concetto alla

base del diritto di libera circolazione da una mera logica di mercato in un vero

e proprio diritto spettante ad ogni cittadino dell’Unione europea, la Corte di

giustizia si è impegnata nel perfezionare il significato di questo concetto,

proclamando, ad esempio, nel caso Rudy Grzelczyk e centre public d’aide

104 Articolo 16 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 2 aprile 2004,

2004/38/CE: “Union citizens who have resided legally for a continuous period of five years in

the host Member State shall have the right of permanent residence there”. 105 Articolo 24 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 2 aprile 2004,

2004/38/CE: “Subject to such specific provisions as are expressly provided for in the Treaty

and secondary law, all Union citizens residing on the basis of this Directive in the territory of

the host Member State shall enjoy equal treatment with the nationals of that Member State

within the scope of the Treaty”. 106 FABBRINI (2017, 2 ss.). 107 Art. 7 del Treaty Establishing the European Community, 24 dicembre 2002, 2002/C 325/01:

“Within the field of application of this Treaty and without prejudice to the special provisions

mentioned therein, any discrimination on the grounds of nationality shall hereby be prohibited”.

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sociale d’Ottignies-Louvain-la-Neuve108 che “lo status di cittadino

dell’Unione europea è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini

degli Stati membri”109 e, che esso consente loro “di ottenere un trattamento

giuridico identico, indipendentemente dalla loro cittadinanza”110. La Corte di

giustizia aveva, infatti, dichiarato il 7 maggio 1999, che:

“[g]li artt. 6 e 8 del Trattato CE […] ostano che il beneficio di una prestazione

sociale di un regime non contributivo, come un minimo di mezzi di sussistenza

[…] sia subordinato, per quanto riguarda i cittadini di uno Stato membro diverso

da quello ospitante nel cui territorio legalmente soggiornano, alla condizione

che tali cittadini rientrino nell’ambito di applicazione del regolamento (CEE)

del Consiglio 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori

all’interno della Comunità, mentre nessuna condizione di tale natura si applica

ai cittadini dello Stato membro ospitante”111.

Di fondamentale importanza risulta essere anche la sentenza Gerardo

Ruiz Zambrano e Office national de l’emploi (ONEm)112 del 2011, con la quale

la Corte di giustizia si è pronunciata su alcune questioni pregiudiziali, le quali

“implicavano chiarimenti relativi all’estensione dei diritti connessi alla

cittadinanza europea”113. Secondo la Corte, la cittadinanza europea implica la

garanzia di una serie di diritti che non possono essere violati, e nella suddetta

sentenza si è espressa così:

“[a]rticle 20 TFUE is to be interpreted as meaning that it precludes a Member

State from refusing a third country national upon whom his minor children, who

are European Union citizens, are dependent, a right of residence in the Member

State of residence and nationality of those children, and from refusing to grant

a work permit to that third country national, in so far as such decisions deprive

those children of the genuine enjoyment of the substance of the rights attaching

to the status of European Union citizen”114,

affermando, quindi, che “un diniego del diritto di soggiorno al genitore

cittadino di un paese terzo, che abbia in carico due minori cittadini di uno

Stato dell’Unione, rappresenta un’eccessiva compressione dei diritti di questi

108 Sentenza in cui allo studente francese, Rudy Grzelczyk, non venne concesso il beneficio del

minimex, ovvero un contributo riconosciuto a chi vive da solo, perché non erano rispettati i

requisiti di legge richiesti per questa concessione, più precisamente, quello della cittadinanza. 109 Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, del 20 settembre 2001, C-184/99,

relativa al caso Rudy Grzelczyk contro Centre public d’aide sociale d’Ottignies-Louvain-la-

Neuve. 110 Ibidem. 111 Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, del 20 settembre 2001, C-184/99,

relativa al caso Rudy Grzelczyk contro Centre public d’aide sociale d’Ottignies-Louvain-la

Neuve. 112 Sentenza in cui fu negato al signor Ruiz Zambrano, cittadino di nazionalità colombiana ma

trasferitosi nel comune belga di Scaerbeck insieme alla moglie e, padre di due bambini nati

durante la permanenza in Belgio, il permesso di soggiorno e, in seguito, anche il ricorso verso

questa decisione. 113 VECCHIO (2001). 114 Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, dell’8 marzo 2011, C-34/09, relativa

al caso Ruiz Zambrano contro l’Office national de l’empoi (ONEm).

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ultimi connessi alla cittadinanza dell’Unione e un ostacolo al pieno ed

effettivo godimento degli stessi”115.

Nonostante questi sopracitati, ed altri casi di giurisprudenza, l’impegno

della Corte di giustizia dell’Unione europea di promuovere ed espandere il

diritto alla libera circolazione non è stato totalmente lineare: in tempi più

recenti, la Corte ha, infatti, notevolmente limitato il suo approccio verso

questo diritto, consentendo agli Stati membri di poter ridurre la libertà dei

cittadini europei di circolare liberamente.

In particolare, come contenuto nelle sentenze relative al caso

Elisabeta Dano, Forin Dano c. Jobcenter Leipzig del 2014 e al caso

Alimanovic c. Jobcenter Berlin Neukolln del 2015, la Corte ha stabilito che gli

Stati membri posso rifiutare di garantire benefici sociali ai cittadini europei

economicamente inattivi che esercitano il loro diritto di circolazione

esclusivamente per ottenere sussidi sociali da parte di un altro Stato membro,

nonostante essi non abbiano le risorse sufficienti per rivendicare il proprio

diritto di residenza; i suddetti benefici sociali, quindi, non devono ostare:

“alla normativa di uno Stato membro in forza della quale cittadini di altri Stati

membri sono esclusi dal beneficio di talune ‘prestazioni speciali in denaro di

carattere non contributivo’, mentre tali prestazioni sono garantite ai cittadini

dello Stato membro ospitante che si trovano nella medesima situazione,

allorché tali cittadini di altri Stati membri non godono di un diritto di soggiorno

in forza della direttiva 2004/38 nello Stato membro ospitante”116.

Inoltre, si è giunti ad una situazione ancora più critica quando, a meno

di dieci giorni dal referendum sul caso Brexit, la Corte ha stabilito, nella

sentenza Commission v United Kingdom, che:

“the Member State’s authorities may carry out the checks necessary to ensure

that nationals of other Member States claiming those benefits are lawfully res-

ident in its territory”117,

e che, quindi, gli Stati membri possono escludere dall’accesso ai

benefici sociali quei cittadini europei che si trovano illegalmente nel loro

territorio118.

115 CANTORE (2011). 116 Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, dell’11 novembre 2014, C-333/13,

relativa al caso Elisabeta Dano e Florin Dano contro Jobcenter Leipzig. 117 Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, del 6 ottobre 2015, C-308/14, relativa

al caso European Commission v United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland. 118 FABBRINI (2017, 3 ss.).

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3.3 L’immigrazione europea nel Regno Unito

Il controllo dell’immigrazione era uno dei quattro elementi, riguardanti

i rapporti tra Regno Unito e Unione europea, contenuti nella lista delle

negoziazioni che l’allora Primo Ministro britannico Cameron aveva

intenzione di modificare.

Nel campo dell’immigrazione, da una parte, il Primo Ministro

britannico ha convintamente affermato che: “the UK will do that independent,

sovereign countries do: we will decide for ourselves how we control immigra-

tion”119; dall’altra parte, nel “New Settlement for the UK within the EU”,

raggiunto nel febbraio del 2016, i Capi di Stato e di Governo europei si sono

accordati su alcuni principi fondamentali del diritto europeo in questo ambito:

in particolare, essi hanno garantito al Regno Unito l’esenzione dall’obbligo di

partecipazione al processo ‘dell’unione sempre più stretta’120. Il ‘New

Settlement’ include sette testi: un comunicato e una decisione dei Capi di Stato

e di Governo, e cinque dichiarazioni; tale documento non è un trattato europeo

giuridicamente vincolante ma, è considerato essere giuridicamente vincolante

a norma del diritto internazionale. Per questo motivo, esso non prevede

obblighi per le istituzioni europee, ma le decisioni in esso contenute sono

vincolanti per gli Stati membri a patto che esse non siano incompatibili con il

diritto europeo121. Infatti, come afferma Steve Peers, professore all’University

of Essex: “In the event of any conflict, the primacy of EU law means that the latter takes

precedence over the renegotiation Decision. But is there any conflict? This is a

substantive question, and in any event where the renegotiation Decision calls

for EU secondary law measures to be adopted (the free movement legislation,

the Eurozone Decision) the real question is whether those measures would

themselves breach the Treaties if adopted”122.

Per venire incontro alle esigenze del Regno Unito, il Consiglio europeo

si è impegnato ad introdurre, all’interno del diritto UE, il cosiddetto

“emergency brake”, quindi il freno d’emergenza, ovvero un meccanismo di

allerta e salvaguardia che permette agli Stati membri di limitare il diritto di

libera circolazione delle persone, per un periodo massimo di sette anni, in casi

eccezionali di afflussi di lavoratori provenienti da altri Stati membri: questo

avrebbe permesso al Regno Unito di limitare l’accesso dei lavoratori europei

nello Stato ai benefici per un periodo di quattro anni dall’inizio del contratto

lavorativo123.

Inoltre, la Commissione europea si è impegnata nel proporre una legge

comunitaria che avrebbe permesso agli Stati membri di indicizzare gli assegni

familiari per i lavoratori migranti al tenore di vita dello Stato di appartenenza;

119 Theresa May MP, Speech to the Conversative Part Conference on Brexit, 2 ottobre 2016. 120 FABBRINI (2017, 4 ss.). 121 House of Commons (2016, 3 ss.). 122 Ivi, p. 14. 123 House of Lords (2017, 31 ss.).

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tutto ciò avrebbe limitato e ristretto, ancora di più, la possibilità dei cittadini

di paesi terzi di sposarsi con cittadini europei e di trasferirsi e risiedere

liberamente in un altro Stato membro dell’UE124.

La particolare attenzione alla questione migratoria nasce dal fatto che

alcuni studi hanno mostrato, infatti, come l’immigrazione di cittadini europei

in Gran Bretagna sia drasticamente aumentata dal 2004, registrando un

numero di cittadini proveniente dall’UE da 1.1 milioni a 2.3 milioni nel 2012.

Questo notevole aumento è stato, in parte, attribuito all’ampliamento, sempre

nel 2004, dell’Unione europea, con l’entrata degli EU8 (Repubblica Ceca,

Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia Slovacchia e Slovenia) che è

risultato, così, in una crescita del numero dei cittadini totali dell’UE8 nel

Regno Unito da 125,000 a più di un milione nel 2012125.

Oltre alla portata dell’immigrazione, a cambiare è stata anche la sua

composizione: dal 2012, la tendenza dell’immigrazione nel Regno Unito è

stata caratterizzata da un crescente flusso da parte dei “vecchi” Paesi

dell’EU15 (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania,

Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna e Svezia), e

dei due Paesi dell’EU2 (Bulgaria e Romania).

Riguardo alla composizione, e al target degli europei coinvolti nei flussi

migratori, il Primo Ministro britannico ha sottolineato l’intenzione del Regno

Unito di voler continuare ad accogliere questo fenomeno: “UK will always

want immigration, especially high-skilled immigration […] from Europe”126,

giustificando la sua volontà con l’obiettivo di colmare la carenza di

competenze e di fornire servizi pubblici.

Nonostante l’Unione europea abbia cercato, almeno inizialmente, di

venire incontro alle esigenze del Regno Unito, le concessioni previste nel New

Settlement non sono state, però, sfruttate da quest’ultimo. Infatti, come ben

sappiamo, il 23 giugno 2016 la Gran Bretagna ha votato per uscire dall’Unione

europea e, di conseguenza, il New Settlement tra le due parti è divenuto nullo,

in quanto il risultato del referendum ha dato via alla procedura di recesso che

prevede il raggiungimento di un altro accordo. Oggi, ci si chiede se l’accordo

speciale raggiunto tra UK e Unione europea riguardo queste concessioni abbia

condizionato positivamente la campagna del referendum Brexit, anche se i

risultati dimostrano il contrario: nonostante le notevoli e significative

concessioni che sarebbero state date al Regno Unito, il referendum è stato

monopolizzato da slogan populisti127.

Al contrario, il fallimento del New Settlement è stato ben accolto dagli

europeisti: esso, in caso di riuscito accordo, avrebbe significativamente

indebolito i fondamenti dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea.

Il Presidente del Consiglio europeo Tusk, dopo la decisione del Regno

Unito di abbandonare l’Unione europea, ha dichiarato che lo Stato britannico,

in quanto non più membro dell’Unione, non potrà avere gli stessi benefici di

124 Ibidem. 125 Ivi, p. 12. 126 House of Lords (2017, 23 ss.). 127 Ibidem.

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uno Stato membro. Nel fare ciò, egli ha anche affermato, nelle linee guida di

aprile 2017 sul recesso, che le quattro libertà del mercato unico sono

indivisibili e che non permetterà al Regno Unito di accaparrarsene anche solo

una a sua scelta.

3.3.1 Le norme sull’immigrazione del Regno Unito

Il sistema che regola l’immigrazione non europea, e quindi proveniente

da paesi extra-europei, si diversifica da quello che gestisce, invece,

l’immigrazione interna europea, sia sul versante dell’Unione che su quello del

Regno Unito: l’Unione segue un approccio selettivo e settoriale, garantendo

l’ammissione di ricercatori, lavoratori altamente qualificati, lavoratori

stagionali e anche tipologie di lavoratori che non prevedono una

remunerazione. Tutte queste categorie, però, non hanno completo accesso al

mercato unico europeo (infatti ogni Stato membro decide chi ammettere nel

proprio territorio in base alla legislazione nazionale), ma si vedono garantiti

diritti fondamentali come, ad esempio, il diritto alla parità di trattamento nel

lavoro, nell’educazione, nella protezione sociale ed assistenza, talvolta

negativa, quando prevede l’espulsione.

Alla base di questo sistema, vi è un documento, ovvero la Direttiva

2011/98/EU, che armonizza le varie norme procedurali, creando:

“una procedura unica di domanda volta al rilascio di un titolo combinato che

comprenda sia il permesso di soggiorno sia i permessi di lavoro in un unico atto

amministrativo”128.

Questo sistema settoriale e unilaterale implica che, anche in assenza di

una relazione contrattuale con l’Unione, i cittadini britannici, che rispettino i

requisiti previsti dalle disposizioni, abbiano libero accesso al mercato del

lavoro europeo e godano, anche, dell’equo trattamento nelle aree designate.

Al contrario, i cittadini europei non godono degli stessi diritti nel

Regno Unito: infatti, le norme sull’immigrazione britanniche hanno

un’applicazione orizzontale e sono piuttosto rigide. Queste ultime richiedono

ai cittadini economicamente inattivi un livello minimo di risorse sufficienti

pari a un reddito annuo di 18,600 sterline. La richiesta è ben comprensibile

facendo un riferimento al sistema di credito d’imposta britannico in cui

qualsiasi lavoratore che riceva un salario basso può ottenere i cosiddetti “in-

work benefits” che forniscono ai cittadini lavoratori un minimo livello di

protezione e di sicurezza dal punto di vista economico.

128 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, 2011/98/UE,

relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente

ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un

insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno

Stato membro.

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I cittadini non europei, invece, non possono avvalersi di questi benefici

se in possesso di un visto di soggiorno temporaneo e, tra i requisiti che devono

rispettare, è previsto anche un livello minimo della lingua inglese.

Il sistema è progettato per facilitare le richieste da parte dei lavoratori

qualificati che hanno già ottenuto una proposta di lavoro: in questo modo, i

posti di lavoro poco qualificati vengono occupati dagli europei e dai britannici,

mentre i cittadini non europei si trasferiscono nel Regno Unito per occupare

posti che richiedono competenze speciali. Queste assunzioni si basano su

statistiche che mostrano come il 70% dei lavoratori degli UE8 Stati membri

occupino posizioni di lavori poco qualificate129.

A questo punto, risulta necessario un sistema comune per i cittadini

europei, che oscilla tra due modelli diametralmente opposti: il primo è il

continuare ad applicare le norme sulla libera circolazione europea, mentre il

secondo è l’estensione delle norme sull’immigrazione non europea ai cittadini

dell’Unione.

Comunque, l’interesse principale degli Stati membri rimane, sempre, il

rispetto di quei diritti e principi, stabiliti nel 1958 a Roma, che devono

rimanere comuni ai membri e che non possono essere messi da parte.

3.4 Brexit: le modifiche apportate al diritto alla libera

circolazione delle persone

Come ho già precedentemente approfondito nel primo capitolo, a

referendum terminato, Regno Unito ed Unione europea sono giunti, tramite

diverse fasi di negoziati previste dalla procedura europea, al documento che

costituisce un punto di arrivo nelle fasi dei negoziati, ma anche il punto di

partenza in quanto contiene le varie sfere di competenza su cui hanno

continuato a discutere le due parti.

Come gran parte delle disposizioni riguardanti il rapporto tra gli Stati

membri e l’Unione europea, ed in questo caso specifico, Regno Unito ed

Unione, anche il diritto di libera circolazione ha subito delle modifiche

sostanziali, che portano a delle conseguenze decisive alla volontà dello Stato

britannico di abbandonare l’UE.

3.4.1 Le disposizioni contenute nella bozza di accordo di

recesso

Articoli 8 e 9 – Definitions and Personal Scope: Seguendo l’ordine in cui gli articoli appaiono nel documento, le

disposizioni contenute negli articoli 8 e 9 rendono esplicito che i diritti dei

cittadini europei continueranno ad essere garantiti agli stessi durante tutta la

129 LUKACS (2016).

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durata del periodo di transizione130. L’art. 9 lista i destinatari di questa

disposizione, elencando sei diversi soggetti131. Rimangono, tuttavia, delle

incertezze sulla possibilità di alcune persone di essere ricomprese in queste

disposizioni, ed a questo proposito, può risultarci utile il documento emendato

del 19 marzo, il quale stabilisce che i tutori dei minori che non sono in grado

di esercitare il proprio diritto di libera circolazione senza la presenza dei propri

genitori non europei (i cosiddetti bambini “Chen”), sono ricompresi nella

categoria degli articoli 8 e 9, mentre i tutori cittadini di paesi terzi di minori

che non hanno ancora lasciato il proprio Stato membro di nascita, non sono

coperti dalle disposizioni contenute nel WA132. I minori sopracitati prendono

il nome dalla famosa sentenza Kunqian Catherine Zhu, Man Lavette Chen

contro Secretary of State for the Home Department. Tale sentenza nasceva dal

rifiuto, da parte del Segretario di Stato, alla domanda di Catherine, cittadina

irlandese, e di sua madre, la signora Chen, cittadina cinese, di ottenere un

permesso di soggiorno di lunga durata nel Regno Unito. In questo caso, la

Corte, giustificando la sua decisione servendosi della direttiva 73/148 (che

stabilisce che:

“1. Gli Stati membri sopprimono, alle condizioni previste dalla presente

direttiva, le restrizioni al trasferimento e al soggiorno

a. dei cittadini di uno Stato membro che si siano stabiliti o che desiderino

stabilirsi in un altro Stato membro per esercitarvi un’attività indipendente, o che

desiderino effettuarvi una prestazione di servizi;

b. dei cittadini degli Stati membri che desiderino recarsi in un altro Stato

membro in qualità di destinatari di una prestazione di servizi;

c. del coniuge e dei figli d'età inferiore a 21 anni dei cittadini suddetti, qualunque

sia la loro cittadinanza;

d. degli ascendenti e discendenti dei cittadini suddetti e del coniuge di tali

cittadini che sono a loro carico, qualunque sia la loro cittadinanza.

2. Gli Stati membri favoriscono l’ammissione di qualsiasi altro membro della

famiglia dei cittadini […] cha sia a loro carico o con loro convivente nel paese

di provenienza”133),

aveva dichiarato in seduta plenaria:

130 Articoli 8 e 9 del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea,

TF50(2018) 25 – Commission to EU27. 131 Art. 9 del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea: “(a) Union

citizens who exercised their right to reside in the United Kingdom in accordance with Union law before the

end of the transition period and continue to reside there thereafter; (b) United Kingdom nationals who

exercised their right to reside in a Member State in accordance with Union law before the end of the tran-

sition period and continue to reside there thereafter; (c) Union citizens who exercised their right as frontier workers in the United Kingdom in accordance with Union law before the end of the transition period and

continue to do so thereafter; (d) United Kingdom nationals who exercised their right as frontier workers in

one or more Member States in accordance with Union law before the end of the transition period and con-tinue to do so thereafter; (e) family members of the persons referred to in points (a) to (d); (f) family

members who resided in the host State in accordance with Articles 12 and 13, Article 16(2) and Articles 17

and 18 of Directive 2004/38/EC before the end of the transition period and continue to reside there there-after”. 132 House of Commons (2018, 13 ss.). 133 Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, del 19 ottobre 2004, C-200/02,

relativa al caso Kunqian Catherine Zhu, Man Lavette Chen contro Secretary of State for the

Home Department.

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42

“l’art. 18 CE e la direttiva del Consiglio 28 giugno 1990, 90/364/CEE,

relativa al diritto di soggiorno, conferiscono al cittadino minorenne in tenera età

di uno Stato membro […] un diritto di soggiorno a durata indeterminata sul

territorio di quest’ultimo Stato. In un caso siffatto, le stesse disposizioni

consentono al genitore che ha effettivamente la custodia di tale cittadino di

soggiornare con quest’ultimo nello Stato membro ospitante”134.

Art. 11 – Non-discrimination: Questo articolo copia il testo dell’art. 18 TFUE, e stabilisce che non

devono, in alcun modo, avvenire discriminazioni sulla base della nazionalità

dei cittadini.

Art. 12 – Residence rights: Questo articolo definisce il diritto dei cittadini EU27/UK e dei loro

familiari di rimanere sul territorio. Questo diritto non è assoluto, dal momento

che è soggetto, dall’art. 17, ad un controllo di conferma post-Brexit e, di

rimozione, dall’art. 18, in caso di criminalità, e dal fatto che gli individui

coinvolti debbano comunque rispettare le condizioni di partenza previste dalla

legge, contenute negli articoli 21 TFUE (libera circolazione), 45 TFUE (libera

circolazione dei lavoratori), 49 TFUE (libera circolazione dei lavoratori

autonomi), art. 6(1) Direttiva dei cittadini (soggiorno iniziale), art. 7(1)

Direttiva dei cittadini (soggiorno per più di tre mesi), art. 7(3) Direttiva dei

cittadini (soggiorno per gli ex lavoratori), art. 14 Direttiva dei cittadini

(soggiorno per i cittadini che cercano lavoro), e art. 16(1) Direttiva dei

cittadini (soggiorno permanente)135.

Art. 14 – Right of permanent residence: L’art. 14 conferma che sia i cittadini europei sia quelli britannici

continueranno ad acquisire il diritto di soggiorno permanente, dopo aver

accumulato cinque anni di residenza continua, o per il periodo specificato

nell’art. 17 della Direttiva 2004/38/EC. Inoltre, esso dispone che questo diritto

potrà essere revocato in caso di assenza per un periodo di cinque anni

consecutivi dallo Stato membro di cui si è acquisito il soggiorno permanente.

Al 2° comma, incorporando gli articoli 16(3) e 21 della Direttiva, l’art.

recita:

“Continuity of residence shall not be affected by temporary absences not ex-

ceeding a total of six months a year, or by absences of a longer duration for

compulsory military service, or by one absence of a maximum of twelve con-

secutive months for important reasons such as pregnancy and childbirth, serious

illness, study or vocational training, or a posting in another Member State or a

134 Ibidem. 135 PEERS (2018).

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third country. Continuity of residence is broken by any expulsion decision duly

enforced against the person concerned”136,

stabilendo, quindi, che alcuni tipi di assenze, come la gravidanza, la

nascita di un figlio, una malattia grave, non verranno prese in considerazione

nel calcolo dei cinque anni continui del periodo che garantisce al cittadino il

diritto di soggiorno permanente.

Art. 17 – Issuance of residence documents: “The host State may require Union citizens or United Kingdom nationals and

their respective family members […] to apply for a new residence documents

as a condition for the enjoyment of the rights”.

Nell’art. 17 appare la cosiddetta clausola del “settled status”: essa

stabilisce che “chi avrà completato cinque anni di residenza legale entro il 29

marzo 2019, dovrà fare domanda per il settled status, che sostituirà la

permanent residence”137, mentre, chi ha già ottenuto la permanent residence

non dovrà pagare il costo della domanda di settled status ma dovrà sostituire

il vecchio documento con il nuovo nell’arco di due anni dalla fine del periodo

di transizione, che verrà emesso in seguito a verifiche dell’identità e controlli

di sicurezza e criminalità138. Il documento dovrà avere la forma di un modulo

breve, semplice, di facile uso e comprensione e, lo Stato ospitante dovrà

garantire la sua emissione tramite procedure amministrative semplici, regolari

e trasparenti139.

L’obiettivo della procedura contenuta nella clausola, come previsto

dalla lettera (b) dell’art. 17, è di verificare se l’applicante rientra nelle

condizioni previste dal personal scope dell’art. 9 e se può beneficiare, di

conseguenza, del diritto descritto.

L’articolo si impegna anche a stabilire il termine di scadenza entro il

quale si deve presentare il documento, ovvero non meno di due anni dalla fine

del periodo di transizione o dalla data di arrivo nel Paese ospitante. Esso,

inoltre, prevede un’estensione della deadline di un anno, nel caso in cui

l’Unione o il Regno Unito abbiano rispettivamente notificato il Regno Unito

o l’Unione della presenza di problemi tecnici che hanno impedito al cittadino

136 Art. 14 del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea, TF50(2018)

25 – Commission to EU27. 137BETTIGA (2018). 138Art. 17(h) del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea,

TF50(2018) 25 – Commission to EU27. 139Art. 17(e)(f) del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea,

TF50(2018) 25 – Commission to EU27: “the host State shall ensure that administrative proce-

dures for applications for the residence document are smooth, transparent and simple and that

any unnecessary administrative burdens are avoided”, “application forms shall be short simple,

user friendly and adjusted to the context of this Agreement”.

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in questione di registrarsi per la domanda di soggiorno, o che abbiano

impedito l’emissione del permesso140.

In caso di lavoratori subordinati o autonomi, questi ultimi dovranno

presentare un documento che certifichi il rapporto di lavoro con il datore di

lavoro, o che certifichi la presenza effettiva di un lavoratore indipendente141.

In caso, invece, di persone economicamente inattive, sarà necessaria

una documentazione che provi che esse abbiano risorse sufficienti, per loro e

per la loro famiglia, a non diventare un peso sul sistema di assistenza sociale

dello Stato ospitante durante il periodo di soggiorno. I soggetti dovranno,

inoltre, essere muniti di un’assicurazione sanitaria completa142.

Per quanto riguarda i cittadini studenti, vale lo stesso di quanto detto

sopra, ma al posto del documento che certifica il rapporto di lavoro, dovranno

presentarne uno che dimostri l’iscrizione presso un istituto riconosciuto143.

Anche i membri familiari avranno bisogno di una documentazione che

dia prova del legame con il cittadino in questione, e che quindi certifichi la

presenza di una relazione familiare, di una relazione coniugale ecc.

Le ultime disposizioni contenute nell’art. 17 sono volte a garantire ai

cittadini il diritto di ricorso amministrativo e giudiziario contro lo Stato che

ha rifiutato di emettere il documento di soggiorno, ed è previsto, inoltre, dal

comma 4, che lo Stato decida che non sia necessaria la richiesta, da parte del

cittadino e dei suoi familiari, del nuovo documento per ricevere il diritto di

soggiorno. In tal caso, l’individuo verrà notificato con un documento di

residenza che comprenderà la decisione dello Stato in conformità a quanto

prescritto dal WA144.

Art. 18 – Restrictions of the right of residence Riguardo alle restrizioni del diritto di soggiorno, il testo si collega

direttamente alla Direttiva 2004/38/EC, ed afferma che la condotta dei

cittadini dell’Unione o del Regno Unito, e delle rispettive famiglie, avvenuta

dopo la fine del periodo di transizione potrebbe costituire un motivo di

restrizione per il soggiorno del cittadino in conformità con il Capitolo VI della

Direttiva e con la legislazione nazionale dello Stato ospitante.

La Direttiva, in questo senso, contiene restrizioni, in particolare agli

articoli 25-29, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica e di sanità

pubblica, nei quali afferma che:

140Art. 17(b)(c) del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea,

TF50(2018) 25 – Commission to EU27. 141Art. 17(k)(i) del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea,

TF50(2018) 25 – Commission to EU27. 142 Art. 17(k)(ii) del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea,

TF50(2018) 25 – Commission to EU27. 143 Art. 17(k)(iii) del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea,

TF50(2018) 25 – Commission to EU27. 144 Art. 17(3)(4) del Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea,

TF50(2018) 25 – Commission to EU27.

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“the personal conduct of the individual concerned must represent a genuine,

present and sufficiently serious threat affecting one of the fundamental interests

of society”145;

“the only diseases justifying measures restricting freedom of movement shall

be the diseases with epidemic potential as defined by the relevant instruments

of the World Health Organisation and other infectious diseases or contagious

parasitic diseases”146.

Art. 19 – Safeguards and right of appeal: Questo articolo concerne le garanzie procedurali e le descrive

rifacendosi, di nuovo, alla Direttiva sui diritti dei cittadini e, in particolare, ai

suoi articoli 15, 30 e 31, in cui stabilisce che l’individuo da espellere deve

vedersi garantito l’accesso al ricorso amministrativo e giudiziario nello Stato

ospitante, per impugnare o tentare il riesame della decisione presa contro di

lui non solo per motivi di ordine pubblico, sicurezza comune o sanità pubblica,

ma, come si può leggere direttamente dall’articolo:

“the procedures provided by Articles 30 and 31 shall apply by analogy to all

decisions restricting free movement of Union citizens and their family members

on grounds other than public policy, public security or public health”147.

3.5 La sicurezza sociale dopo il processo Brexit

Il futuro recesso del Regno Unito dall’Unione europea avrà, senz’altro,

un notevole impatto anche sul regime di sicurezza sociale per i lavoratori

mobili. Uno degli ambiti più complicati del diritto europeo è proprio quello

che riguarda il sistema di coordinamento della sicurezza sociale. I membri

dell’Unione europea, infatti, hanno sempre gestito questo sistema a livello

domestico, creando, quindi, una complessa rete di regimi diversi. Alcuni

esperti parlano di tre famiglie di sistemi: il primo, detto ‘Bismarkiano’, si basa

sui contributi e su un sistema di assicurazione, integrato, però, da riserve per

gli indigenti; il secondo, anche detto ‘Beveridgian system’, tipico del Regno

Unito, è un sistema in cui i benefici sono calcolati sulla base di una

combinazione tra necessità e residenza; e, il terzo, spesso chiamato Nordico,

si basa sui diritti universali.

Il processo di unificazione di tali sistemi è stato molto lungo e

complesso. La legislazione vigente risale al 2004, sotto il nome di

Regolamento n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza

sociale. Tale regolamento stabilisce quattro principi alla base del

coordinamento di sicurezza sociale:

145 Art. 27 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,

2004/38/EC, relativa ai diritti dei cittadini dell’Unione. 146 Art. 29 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,

2004/38/EC, relativa ai diritti dei cittadini dell’Unione. 147 Art. 15(1) della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,

2004/38/EC, relativa ai diritti dei cittadini dell’Unione.

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1. Single applicable law: le persone sono coperte dalla

legislazione di un solo Stato membro e devono pagare i contributi in

quello stato;

2. Equal treatment: ogni persona ha il diritto di ricevere

un trattamento equo a prescindere dal fatto che essa provenga dallo

Stato in questione o sia un’ospite in tale Stato;

3. Aggregation: Tutti i periodi di assicurazione, di

lavoro o di residenza negli Stati membri sono presi in considerazione

per calcolare i benefici che spettano ad un determinato individuo;

4. Exportability: le prestazioni in denaro devono essere

esportabili in qualsiasi altro Stato membro dove o il beneficiario o i

membri della famiglia vivono148.

Attualmente, il regime che gestisce i lavoratori assegnati da un Paese

europeo ad un altro, è disciplinato da regolamenti paneuropei vincolanti per

tutti gli Stati membri dell’Unione europea, per i membri dello Spazio

economico europeo (quindi, Norvegia, Liechtenstein, e Islanda), e Svizzera.

Tali regolamenti, normalmente, permettono ai lavoratori che si spostano da un

Paese europeo ad un altro di rimanere sotto la protezione del sistema di

sicurezza sociale del proprio paese di origine per cinque anni, a condizione

che determinati criteri vengano soddisfatti.

I suddetti regolamenti, inoltre, garantiscono ai lavoratori un sistema

di ‘aggregazione’ dei benefici, cosicché, nel caso in cui i contributi siano

pagati in due o più Paesi diversi, ogni Stato tenga il conto di quanto pagato sul

proprio territorio e non; tutto ciò rende più semplice la procedura

l’assegnazione e la riscossione dei benefici a condizione del soddisfacimento

di alcuni criteri di attribuzione.

La bozza di accordo di recesso, come abbiamo visto, prevede un

periodo di transizione che terminerà il 30 dicembre 2020. Dopo tale data, la

situazione apparirà decisamente mutata. Infatti, non appena il periodo

transitorio cesserà, gli individui che saranno, in quel momento, o saranno stati

lavoratori mobili fino ad allora, ricadranno in tre categorie diverse:

1. coloro che sono stati lavoratori mobili fino al 31

dicembre 2020 ma che saranno ormai tornati nel proprio paese

d’origine;

2. coloro che saranno lavoratori mobili il 31 dicembre

2020;

3. e coloro che, per la prima volta, saranno lavoratori

mobili dopo il 31 dicembre 2020.

Per le prime due categorie, come ho descritto nei paragrafi precedenti,

la situazione risulta abbastanza chiara. Le questioni cruciali riguardano la

terza categoria, ovvero quella che comprende i lavoratori in trasferta, i

cosiddetti pendolari, ed i viaggiatori d’affari.

148 Brexit and Social Security in the EU (2016).

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I lavoratori appartenenti alla prima categoria, ovvero coloro che

avranno lavorato in un altro Paese ma saranno ormai ritornati in quello

d’origine, godranno della possibilità di aggregare i contributi versati sia prima

che dopo la fine del periodo di transizione, con lo scopo di garantire loro

l’accesso ai benefici che gli spettano. Tale sistema risulta essere molto

vantaggioso in quanto permette non solo l’aggregazione dei contributi dati

prima del 31 dicembre 2020, ma anche di quei contributi versati dopo la fine

del processo Brexit.

Per gli individui che fanno parte della seconda categoria, rimarranno in

vigore gli attuali regolamenti del diritto europeo sugli incarichi e le forme

occupazionali che sono iniziati prima della fine del periodo transitorio, a

condizione che essi rimangano invariati.

I lavoratori assegnati ad un altro Paese per svolgere il proprio incarico

per un massimo di due anni, saranno coperti dal sistema di sicurezza sociale

del proprio paese d’origine, e l’obbligo di versamento dei contributi dei

lavoratori che occupano incarichi in più Stati e si muovono nei loro territori

continuerà ad essere determinato dalle attuali regole sull’occupazione in più

Stati.

Anche in questo caso, l’aggregazione dei benefici continuerà ad essere

applicata, e l’attuale e reciproco regime di assistenza sanitaria (quello che

prevede l’utilizzo della tessera europea di assicurazione malattia) rimarrà in

vigore.

Per quanto riguarda l’ultima categoria, la bozza di accordo di recesso

stabilisce che i regolamenti dell’Unione europea devono essere applicati agli

individui, ma introduce una condizione, ovvero:

“for as long as they continue without interruption to be on assignment, com-

muting, or traveling between the UK and the EU”149.

Tale requisito non risulta essere del tutto chiaro, in quanto il documento

non specifica quale tipo o il livello di cambio di circostanze potrebbero

rendere i regolamenti dell’Unione europea non applicabili ai lavoratori. In

particolare, per i lavoratori multistate150, i cui modelli di lavoro cambiano

molto frequentemente, la situazione appare piuttosto complicata e

confusionale, e ci si aspetta più chiarezza e definizione nei prossimi atti

risultanti dai negoziati.

Infine, i lavoratori che diventeranno mobili solo dopo la fine del

periodo di transizione saranno soggetti agli accordi che sono stati stabiliti tra

Unione europea e Regno Unito nelle negoziazioni descritti prima, o, in caso

di no deal, dovranno rispettare accordi bilaterali preesistenti raggiunti tra il

Regno Unito e i singoli Stati membri europei. In questo caso, le disposizioni

contenute in tali accordi risultano essere molto più limitanti rispetto a quelle

149 Progetto di accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea, TF50(2018) 25 –

Commission to EU27. 150 I lavoratori che si spostano in uno o più Stati per svolgere il loro incarico lavorativo.

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attuali, e potrebbero creare barriere alla mobilità o costi addizionali per

sfruttarla151.

151 United Kingdom: Social security after ‘Brexit’ – draft transitional rules released (2018).

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II. Conclusioni

Essendo il caso Brexit un processo ancora non concluso, allo stato

attuale delle cose, la situazione si è evoluta ancora. Infatti, il risultato

raggiunto tramite i negoziati tra Unione europea e Regno Unito, e quindi le

disposizioni contenute all’interno del Draft Withdrawal Agreement sono state

messe in discussione dal leader del partito labourista Jeremy Corbyn. Egli, nel

discorso effettuato a Liverpool alla Conferenza annuale del suo partito, si è

opposto all’attuale governo May in quanto, secondo lui, non consono a gestire

gli interessi del Paese. Infatti, la richiesta del partito labourista è quella di

un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea che riesca a proteggere il

lavoro e l’economia, ma che non vada contro i principi dell’Unione e

stabilisca, con quest’ultima, un accordo giusto e rispettoso nei confronti di

entrambe le parti.

La situazione interna al governo britannico appare, quindi, piuttosto

complicata: da una parte, la leader May accusa il partito labourista di aver

“giocato a fare politica” sulla bozza di accordo tra Unione europea e Regno

Unito; dall’altra parte, il leader Corbyn ha, inoltre, aperto l’opzione di un

secondo referendum sulla Brexit in caso di un mancato accordo, il cosiddetto

‘no deal’ con l’Unione o di un accordo firmato dal governo Tory del ministro

May152. L’ipotesi, quindi, di un’uscita del Regno Unito dall’Unione ‘no deal’

sta crescendo sempre di più, come il Gabinetto ha espresso:

“It remains our firm view that it is in the best interests of both sides to reach

agreement on a good and sustainable future relationship. But we also concluded

that it was responsible to continue preparations for a range of potential out-

comes, including the possibility of ‘no deal’. Given the short period remaining

before the necessary conclusion of negotiations this autumn, we agreed prepa-

rations should be stepped up”153.

Infatti, fino al momento che sia Gran Bretagna che Unione europea non

concordino su un progetto di recesso, e i rispettivi parlamenti non ratifichino

tale progetto, la possibilità che il Regno Unito abbandoni l’Unione senza un

accordo rimane ancora viva, come dimostrato anche dal sito ufficiale del

governo britannico che mostra le procedure da seguire in ogni ambito

settoriale in caso di un’uscita senza accordo.

Tutto ciò, naturalmente, non fa parte delle priorità delle due parti. Sia

Regno Unito che Unione europea, infatti, credono che il modo migliore di

guidare tale recesso sia attraverso la procedura dell’art. 50 TFUE, e, quindi,

tramite un accordo relativo alla loro relazione futura. Ad esempio, quanto

contenuto nelle linee guida adottate dal Consiglio europeo il 23 marzo 2018

152 Jeremy Corbyn: More Eu talks if MPs reject Brexit deal (2018), in Bbc.com, reperibile on-

line. 153 UK government’s preparations for a ‘no deal’ scenario (2018).

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ha stabilito: “the Union’s determination to have as close as a possible partner-

ship with the UK in the future”154.

Nella ricerca di un accordo tra le due parti, la protezione dei cosiddetti

diritti acquisiti dei cittadini europei è sempre stato l’obiettivo centrale dei

futuri rapporti tra Unione europea e Regno Unito, anche se il recesso dello

stato britannico dall’Unione avrà un impatto forte sul sistema dei diritti. In

caso di ‘no deal’, non esistono nel diritto internazionale disposizioni intente

alla protezione delle libertà soggettive dei cittadini; quindi, senza un accordo

sostenuto da entrambe le parti, i diritti degli individui non saranno supportati

da nessuno strumento legale. Per questo motivo, nel documento di recesso

finale, che si baserà sui principi di reciprocità e non-discriminazione e di cui

godranno, allo stesso modo, Unione europea e Regno Unito, i diritti

fondamentali da sostenere dovranno essere la libertà di circolazione e di

soggiorno, equo accesso ai servizi pubblici e alla protezione sociale, e, infine,

il diritto di voto alle elezioni municipali nel Paese in cui si ha il permesso di

soggiorno permanente.

Nel caso in cui il recesso del Regno Unito dall’Unione europea si

completi in assenza di un accordo tra le due parti come previsto dalla

procedura dell’art. 50 TFUE, la Convenzione europea per la salvaguardia dei

diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“CEDU”) potrebbe fornire un

metodo indiretto di protezione del diritto di residenza e degli altri intrinseci

alla cittadinanza europea. Infatti, una serie di libertà previste dall’Unione

europea ha una controparte nei diritti descritti ai sensi della CEDU, che è

compresa in parte dal diritto interno del Regno Unito in virtù dello Human

Rights Act 1998155.

Per concludere, il caso Brexit ha mostrato come sia complesso il

sistema che ruota intorno ai diritti dei cittadini europei, ed in particolare al

diritto di libera circolazione, e, soprattutto come la restrizione di tale diritto

sia ormai un fenomeno globale. Quest’ultimo non deve essere considerato un

elemento singolo, ma solo un anello di una catena che prevede obblighi e

libertà per i cittadini europei, e composto da due elementi fondamentali:

l’individuo in sé e per sé ed i benefici che esso ne trae. Con questo elaborato,

tramite lo studio della storia dell’integrazione europea ho voluto analizzare il

percorso fatto dall’Unione europea e dal Regno Unito, che ha portato loro al

referendum sul recesso Brexit. Questo mi è servito da base per la seconda

parte della mia tesi, in cui, tramite lo studio della giurisprudenza attuale

europea, e, soprattutto, della bozza di accordo di recesso, ho analizzato il

sistema di diritti spettanti al cittadino europeo che ruotano intorno alla sua

libertà di circolazione.

154 Ibidem. 155 Atto del Parlamento del Regno Unito che ricevette l’assenso reale nel 1998 e il cui

obiettivo fu quello di incorporare nel diritto interno al Regno Unito le disposizioni sui

diritti contenute nella CEDU.

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Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011,

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rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi

di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un

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IV. ABSTRACT

In my dissertation I have tried to analyse the part of the Draft Withdrawal

Agreement that concerns the citizens’ rights of free movement and circulation.

This document is the most recent result of the so-called Brexit process of ne-

gotiations between United Kingdom and the European Union. This process

will put an end to the British accession in the European Union through the

procedure in article 50 of the Treaty on the Functioning of European Union.

The abovementioned document translates in legal terms the Joint report of the

negotiators of European Union and of the British government concerning the

progresses made in the first phase of negotiations. The main objective of the

legal document is to define the post-Brexit transition period which will last

for 21 months after United Kingdom’s exit and it will end in December 2020.

During this period, Great Britain will have to keep observing rules and regu-

lations of the Single Market and of the customs’ union.

Before describing the act in its whole structure, I found to be funda-

mental giving an historical context to the central topic, thus I’ve described

some of the crucial events that led to the current scenario between United

Kingdom and European Union. Indeed, the relationship between these two

entities has always been complicated and it has a long history.

The first event that characterises this turbulent relation is the creation

of the European Coal and Steel Community (ECSC). In that occasion, the

British government decided not to agree on the principles shared between the

States that considered the ECSC to be the best solution in order to reinvigorate

the national economy. Moreover, United Kingdom’s focus on sovereignty and

on the Commonwealth’s, did not allow the country to accept the invite at the

Schuman Declaration, in which countries proposed the creation of the ECSC.

When in 1950, the six countries that contributed to the Schuman Plan issued

a statement in which they declared the mutualisation of coal and steel and

established the High Authority, even United Kingdom published a statement

in which it confirmed its disagreement with the principles of the Schuman

Plan.

Another interesting event concerns the Messina Conference, in which

the constituent countries of the ECSC started the negotiations that led to the

Treaties of Rome in 1957. Once again, the United Kingdom opposed to the

idea of a European customs’ union because it wanted to maintain its autonomy

on customs in order to protect its industries and its relations with the Com-

monwealth partners. Therefore, it decided to abandon the preliminary works

at the Messina Conference and it started to plan an alternative to what it had

missed at the Conference: it was the so-called Plan G, which aimed to estab-

lish a system in which United Kingdom had a dominant position based on the

‘Imperial Preference’ system. However, the General De Gaulle refused the

British plan, which was seen by him as a bad alternative to the actual project.

It was in that occasion that United Kingdom managed to persuade six Euro-

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pean countries (Austria, Denmark, Norway, Portugal, Switzerland and Swe-

den) much smaller dimension compared to the CECA’s one to create the so-

called European Free Trade Association (EFTA): its objective was the estab-

lishment of a free trade area without any customs nor external tariffs.

The European Economic Community began on 25 March 1957 but

United Kingdom’s entrance in the European Market has been a hard task for

the country: when it requested to entry in the Community, the General De

Gaulle vetoed it, because, according to him, United Kingdom was not trying

to enter in the Community because it agreed on its principles, but because the

United Kingdom considered it to be a lifeline after the Suez Canal crisis. Only

in 1973, after two oppositions from General De Gaulle, it managed to be ac-

cepted in the Union, but with some reserves that demonstrated the confused

relation between United Kingdom and the other Member states.

In 1992, the Treaty of Maastricht was born and, also in this occasion,

the United Kingdom showed trust issues in the European principles: at the

negotiating table, Conservative Premier John Major managed to obtain bene-

fits which contained the opt-out from the single currency.

In more recent times, at the NATO Conference in May 2020, the for-

mer Prime Minister David Cameron considered the idea to hold a referendum

on the European Union to enhance the Eurosceptic Conservative benches.

Later on, he promised that in case of success of its conservative party, before

the referendum, he would have tried to negotiate with the Union in order to

obtain more advantageous benefits.

When in May 2015, the conservative party obtain the majority at the

House of Commons, on 20 February 2016, after trying to negotiate with the

European Union, the Prime Minister proclaimed the referendum’s date on 23

June 2016. This referendum divided the public opinion and the political par-

ties into two groups of supporters: the brexiters, whose main objective was to

give the control on sovereignty, on immigration, and on accountability back

to the United Kingdom; and the remainers, who supported the European Un-

ion because, according to them, it would have helped Great Britain to enjoy

its benefits from the Union, and to pursue its objectives. The referendum

brought 33.578.016 citizens to the ballot box, which showed different types

of fractures within their structure, including differences in age, in level of ed-

ucation and in different parts of the island. The result of the referendum, as

we all know, has been positive and, as soon as it ended, the European Union

and the United Kingdom started looking for the right procedure to end their

agreement and find solutions for their future relation. The most appropriate

procedure was found in the activation of article 50 TFEU.

The process described in article 50 TFEU consists of three main

phases. In the first one, the European Council adopts measures, using the con-

sensus method, which will guide the following negotiations. The second phase

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usually ends with an agreement, which has to be approved by the Council and

the European Parliament before being adopted; in the case of ‘no deal’, the

treaties binding the States shall cease automatically after a period of two years.

The Brexit process followed a two-phases approach, opening six cy-

cles of negotiations and resulting in a smooth and clear process. Negotiations

are still going on, but the two parties have reached, on 19 march, a fundamen-

tal step in the procedure of article 50 TFEU: the draft of the withdrawal agree-

ment between the United Kingdom and the European Union.

The Draft Withdrawal Agreement is a 119-pages document contain-

ing 168 articles, divided in six main parts: common provisions, citizens’

rights, separation provisions, transition provisions, financial provisions and

institutional and final provisions. Moreover, it includes the Protocol on Ireland

and on Northern Ireland. The document is characterised by a particular fea-

ture: different parts of the test are coloured in three different colours to signal

whether an agreement has been reached (green), whether the parties have

agreed on the principles but not completely on the provision (yellow), or

whether an agreement still has not been reached (white).

Being just a draft of the final project, the document did not bind the

two parties: negotiations went on and new amendments have been carried out

on 15 March and 19 March. For instance, the European Withdrawal Act,

which is considered by Theresa May as the “manifesto of the new United

Kingdom outside of the European Union”, is the document which contains the

legal instrument through which the British legal system will adapt on after

Brexit ends. It establishes four main points: British law’s supremacy on Euro-

pean law, the so-called Brexit day, which will take place on 29 March 2019,

the transfer of the European law in the British one, and the acquisition from

the British government of temporary powers in order to correct potential ir-

regularities when applying European law. The Prime Minister has encouraged

the consideration of this document in order to set aside the negotiations with

the European institutions. However, her decision to create a compromise be-

tween the so-called hard and soft brexiters has triggered an “earthquake”

within the government, leading to the resignations of some of the strong sup-

porters of the exit of the United Kingdom from the European Union.

Within the Draft Withdrawal Agreement, I have placed the focus on

Part Two, which concerns citizens’ rights. Indeed, the European citizenship

empowers European people with a variety of rights that contributes to the in-

dividual’s participation, as a political subject, to the process of European in-

tegration. The rights which European citizens are owners of are: right of free

movement and residence, right of participation to the political life of European

Union, right of petition to the European Parliament, right of complaint to the

European Ombudsman, and right of diplomatic and consular protection.

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The British decision to get out of the European Union has again placed

the accent on the citizens’ right of free movement. It is one of the four ‘free-

dom’ that characterizes the Single Market of the European Union: one of the

main objective of the Union is to establish a market in which there are no

barriers on trade, in order to create a system in which free movement of needs,

people and capitals is assured.

The European law establishes two regimes to secure free movement:

on the one side, a more specific and permissive system that, through article 45

TFEU, guarantees free movement of workers without any discrimination

based on nationality; on the other side, a more general but at the same time

restrictive regime contained in article 21 TFEU, which, more generally, estab-

lishes that every citizens of the European Union has the right to freely circu-

late and reside in the territory of the Member States, without prejudice to the

provisions and the conditions provided for in the Treaties. Some of these con-

ditions and limitations are contained in the Directive 2004/38/CE on citizens’

rights: this document expands the right of workers of free movement to family

members and it minimizes the burden on the State of individuals that exercise

their right. Firstly, it guarantees the right of free entry and exit of people. Sec-

ondly, the Directive states that European citizens have the right to move from

their country to another Member State, and to reside there for up to 90 days if

they are in possess of a valid identity document or a passport; this right is

extended to family members that want to join the European citizen. If the per-

son wants to reside for more than 90 days and he is not an employee or an

autonomous worker, he has the duty to register at the local authorities, and its

decision to reside has to be supported from a sufficient level of economic re-

sources that would allow him to not be considered a burden on the social sys-

tem of the host State.

Finally, the Directive highlights the importance of the equal treat-

ment, which establishes that citizens and their families have to receive the

same treatment that is given to the nationals.

The differentiation of regimes that has been described is the result of

an historical evolution of the right of free movement. At the beginning, it was

guaranteed only for workers. After the introduction of the European citizen-

ship, the European Court of Justice has played a key role in expanding the list

of beneficiaries of this right: through different cases of legislation, such as

Rudy Grzelczyk e centre public d’aide sociale d’Ottignies-Louvain-la-Neuve

in which it established that European citizenship is intended to be the funda-

mental status of the European citizens, or such as Gerardo Ruiz Zambrano e

Office national de l’emploi (ONEm), it managed to extend this fundamental

right.

Linked to the question on the free movement of persons, the control

of immigration was one of the four elements contained in the list of negotia-

tions that the former Prime Minister Cameron wanted to modify. To accom-

modate the needs of the United Kingdom, Heads of States and of Governments

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agreed on some points in the “New Settlement for the UK within the EU”:

they guaranteed the exemption from the concept of “even closer union” and

introduced the so-called “emergency brake”, a mechanism of safeguard that

allows Member States to restrict the right of free movement of people, for up

to seven years, in cases of extreme inflows of workers coming from other

States. Indeed, immigration has been, and it still is a crucial issue for United

Kingdom: since 2004, immigration has increased from 1.1 million to 2.3 mil-

lions of immigrants in 2012. In the United Kingdom, immigration rules are

very strict: they require to economically inactive people a minimum level of

sufficient resources equal to an annual income of 18,600 GBP. The system

has been projected in order to allow in the territory high-skilled workers that

have already been employed.

Despite the New Settlement, the result of the referendum on Brexit

showed positive results, and so the abovementioned document has to be re-

placed by the final agreement between the two parties. As all the provisions

concerning the relation between United Kingdom and the European Union,

also the right of free movement has been modified and amended by the two

parties. The most significant changes concern the right of permanents resi-

dence contained in article 14 of the Draft. This article establishes that both

European and British citizens will continue to acquire the right of permanent

residence after 5 years of continuous residence; this right can be revoked in

the case of an absence of 5 years from the host State in which the right of

permanent residence has been acquired. In article 17, the parties established

the so-called “settled status” clause, which states that the citizens which will

have completed the 5 years continuous period of residence before the 29

March 2019, will have to request the settled status that will replace the per-

manent residence. The settled status must be a clear document, and the State

must help the citizen through the whole administrative procedure of request-

ing and acquiring it.

Concerning restrictions to the right of residence, the document links

directly to the Directive 2004/38/EC and it establishes that the conduct of both

European and British citizens after the end of the transition period could con-

stitute a case of restriction to the right of residence of the citizen, in accordance

with Chapter VI of the abovementioned Directive.

The future withdrawal of the United Kingdom from the European Un-

ion will have a significant impact also on the social security system for mobile

workers. This system is one of the most complex because, in time, it tried to

tie together the different regimes used in the different Member States. The

result of this process is the Regulation n. 883/2004 concerning the coordina-

tion of the social security systems, which establishes four principles on which

the social security regime must build on. First, single applicable law, in the

sense that people must be protected by the legislation of a single State and

have to pay contributions in that State. Second, again equal treatment, which

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guarantees that every person has to be treated in the same way, regardless of

their origin. Third, the concept of aggregation, which means that all the con-

tributions made and all the periods of insurance, work and residence, must be

considered to calculate the benefits that belongs to the citizen. Finally, it states

the exportability of the capital, in the sense that all the cash benefits must be

exportable in the State where the beneficiary or its family members live.

With the Draft Withdrawal Agreement, after the transition period

which will end on 30 December 2020, the situation will change. Once the

period is expired, mobile workers or people that have been mobile workers

will be classified into three different categories and receive different treat-

ments. The first category will be the one of people that will have been mobile

workers until 31 December but that will be back in their home country: these

individuals will have the possibility to aggregate all the contributions made

both before and after the end of the transition period.

The second category includes mobile workers on the 31 December:

they will be covered by the national social security system of their home coun-

try and the same aggregation rule will continue to be applied.

The third category concerns the people that will be mobile workers

for the first time after the end on the transition period. For this category, the

Draft Withdrawal Agreement establishes that European regulations must be

established to individuals but introduces a condition: as long as the workers

continue to be on assignment without interruption between the United King-

dom and the European Union. In case of a ‘no deal’ Brexit, individuals must

follow bilateral agreements between United Kingdom and single Member

States of the European Union.

In conclusion, the Brexit case has showed how complex it is the sys-

tem that rotates around citizens’ rights, and in particular around the right of

free movement and residence. With my dissertation I have tried to analyse,

through the study of the history of European integration, the current relation

between European Union and the United Kingdom which led them to the ref-

erendum and to the Brexit process. This gave me a structure and a basis in

order to analyse the system of citizens’ rights, by describing the Draft With-

drawal Agreement and the provisions contained in it concerning the right of

free movement and residence. Indeed, these two rights are the most funda-

mental ones which the individual does not have to be deprived of, because

they express in the best way, the freedom to be, and the freedom to live.