PRIMA NOTIZIA IN EVIDENZA / EDITORIALE Industriali... · Dal punto di visita della qualità della...

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Testi a cura di Umberto Bettarini Supervisione a cura di Fabio Ghelfi. Pubblicazione a cura del Dipartimento Internazionale CGIL Lombardia [email protected] viale Marelli 497, Sesto San Giovanni 1/14 Raisebericht Relevant Issue for Social Europe. Benchmark and Research Implemented and Coordinated by the use of High Technologies Le relazioni industriali in Svezia 1) La Svezia in cifre: popolazione: 9.555.893 (Eurostat 2013) popolazione attiva: 5,032milioni di persone (2012) di cui il 1,1% è occupato nell’agricoltura, il 28,2% nell’industria e il 70,7% nel terziario (2008) tasso di copertura della contrattazione collettiva: 88% tasso di affiliazione sindacale: 70,4% (83% nel settore pubblico; 65% in quello privato) tasso di affiliazione alle associazioni datoriali: 87% (100% nel settore pubblico; 80% nel settore privato) Previsioni crescita PIL 2013: + 1,4% (FMI) nel primo trimetre 2013 la crescita è stata del +0,6%. PIL pro capite: 126 (EuroFound 2011)* * il PIL pro capite è calcolato come indice standardizzato in cui la media europea è posta uguale a 100 Retribuzione lorda annuale: 43.196 € (Eurostat 2011) Differenziali salariali di genere: 15,8% (EuroFound 2012) Salario minimo mensile : non definito 2)Dati occupazionali: Tab.1.1 Tassi di occupazione e disoccupazione disaggregati per genere e fascia d’età Pop 15-65 maschile femminile Giovani 15-24 Tasso di occupazione* 73,9 75,8 71,8 40,2 Confronto Media europea* 64,2 69,6 58,7 32,7 Tasso di disoccupazione** 8,4 8,2*** 7,7*** 24,1 Confronto Media europea** 11,0 10,4*** 10,5*** 23,2 *dati OCSE quarto trimestre 2012 **dati EUROSTAT aprile 2013 ***dati EUROSTAT 2012

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Testi a cura di Umberto Bettarini Supervisione a cura di Fabio Ghelfi.

Pubblicazione a cura del Dipartimento Internazionale CGIL Lombardia [email protected] viale Marelli 497, Sesto San Giovanni

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Raisebericht Relevant Issue for Social Europe. Benchmark

and Research Implemented and Coordinated by the use of High Technologies

Le relazioni industriali in Svezia

1) La Svezia in cifre:

popolazione: 9.555.893 (Eurostat 2013)

popolazione attiva: 5,032milioni di persone (2012) di cui il 1,1% è occupato nell’agricoltura, il 28,2% nell’industria e il 70,7% nel terziario (2008)

tasso di copertura della contrattazione collettiva: 88%

tasso di affiliazione sindacale: 70,4% (83% nel settore pubblico; 65% in quello privato)

tasso di affiliazione alle associazioni datoriali: 87% (100% nel settore pubblico; 80% nel settore privato)

Previsioni crescita PIL 2013: + 1,4% (FMI) nel primo trimetre 2013 la crescita è stata del +0,6%.

PIL pro capite: 126 (EuroFound 2011)*

* il PIL pro capite è calcolato come indice standardizzato in cui la media europea è posta uguale a 100

Retribuzione lorda annuale: 43.196 € (Eurostat 2011)

Differenziali salariali di genere: 15,8% (EuroFound 2012)

Salario minimo mensile : non definito

2)Dati occupazionali: Tab.1.1 Tassi di occupazione e disoccupazione disaggregati per genere e fascia d’età

Pop 15-65 maschile femminile Giovani 15-24

Tasso di occupazione*

73,9 75,8 71,8 40,2

Confronto Media europea*

64,2 69,6 58,7 32,7

Tasso di disoccupazione**

8,4 8,2*** 7,7*** 24,1

Confronto Media europea**

11,0 10,4*** 10,5*** 23,2

*dati OCSE quarto trimestre 2012 **dati EUROSTAT aprile 2013 ***dati EUROSTAT 2012

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3) Struttura produttiva:

La Svezia è uno dei paesi europei con il più alto livello di Pil pro capite. La sua struttura produttiva è solida, ma risente della scarsa densità di popolazione del paese. Inoltre, il processo di industrializzazione è avvenuto più tardi rispetto ad altre aree europee. L’economia svedese è basata sulle risorse forestali, sui ricchi giacimenti di minerali ferrosi e sulle abbondanti risorse idriche. La percentuale del territorio coltivato è assai limitato, pari a 6,6% del totale. Nonostante ciò, grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate, l’agricoltura è una voce importante per l’economia. Come la gran parte delle economie europee, negli ultimi tre decenni il paese ha subito una forte riconversione del suo tessuto industriale a vantaggio di un economia sempre più orientata ai servizi. Dal punto di vista occupazionale il paese mostra tassi di occupazione tra i più elevati d’Europa. Ciò è dovuto sia ad una scarsa influenza della reti familiari, che inducono i figli a lasciare presto la famiglia di origine per entrare nel mondo del lavoro, sia ad un sistema contrattuale che viene incontro alle esigenze del lavoratore, attraverso un massiccio utilizzo dei contratti part-time. Queste misure, unite ad un welfare generoso, che tutela la maternità e offre molti servizi per la cura del bambino, hanno portato a tassi di occupazione femminile molto elevati. Dal punto di visita della qualità della vita la Svezia è uno dei paesi europei con i tassi di alfabetizzazione e con un’aspettativa di vita più elevati e si colloca in cima alle classifiche internazionali rispetto all’indice di sviluppo umano. All’inizio degli anni 90 il paese conobbe una dura recessione economica che ha costretto il governo a varare una serie di provvedimenti di austerità. Il tasso di disoccupazione, da sempre molto contenuto, ha raggiunto livelli senza precedenti (quasi 9%). Inoltre, si è registrato un aumento del disavanzo del settore pubblico con conseguenti tagli radicali nella spesa pubblica e nel welfare. Questi sono gli anni in cui la sindacalizzazione ha raggiunto i suoi livelli più elevati, con tassi di densità sindacale ben superiore all’80% della popolazione attiva. Ciò è dovuto al sistema di assicurazione contro la disoccupazione che è gestito direttamente dai sindacati, elemento che ha avuto un’influenza decisiva sulle scelte di affiliazione sindacale (si veda approfondimento sul sistema Ghent, scheda RI in Belgio)

4) Caratteristiche istituzionali La Svezia è una monarchia costituzionale con un governo di tipo parlamentare. Il potere esecutivo spetta al governo (Regeringen), che è responsabile nei confronti del parlamento (Riksdag) cui appartiene il potere legislativo. Il parlamento è composto da 349 membri che vengono eletti con metodo proporzionale. La sua storia politica, con la permanenza pressoché continua del partito social-democratico nell’area di governo, e le specificità di un territorio forte dal punto di vista economico ma scarsamente popolato, hanno permesso lo sviluppo di un modello istituzionale estremamente caratteristico, orientato al contenimento delle diseguaglianze sociali e alla moderazione del conflitto sociale in nome di un’idea condivisa di interesse generale.

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Questo modello coniuga la flessibilità per le imprese con la sicurezza sociale e la partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali. Fissa regole di gioco chiare in grado di generare atteggiamenti prevedibili che consentono di arginare il conflitto industriale, offrendo possibilità di stabilità e competitività per l’economia svedese. Queste premesse hanno consentito di sviluppare un sistema che negli anni si è dimostrato efficace nel garantire la crescita economica affiancata da una qualità della vita generalmente elevata e condizioni di lavoro tra le migliori d’Europa.

Il modello svedese poggia su quattro pilastri:

Sindacati e organizzazioni datoriali forti

Legislazione del lavoro flessibile

Politica attiva per mercato del lavoro e famiglia

Welfare generoso e universalistico.

L’autonomia delle parti sociali costituisce le fondamenta del modello svedese. I contratti collettivi rappresentano l’architrave da cui si sviluppano le relazioni industriali e i meccanismi di regolazione di tutte le materie che concernono il mondo del lavoro. Questi definiscono le condizioni vigenti nel mercato del lavoro e, come vedremo meglio in seguito, hanno la facoltà di modificare, sostituire o riadattare le normative governative in tutti i livelli negoziali. Accanto a ciò i dipendenti partecipano alle decisioni d’impresa, vengono informati sull’andamento economico e sulle principali scelte gestionali, esprimendo pareri e condizionando le decisioni del management. In questo quadro, lo stato mantiene un ruolo di indirizzo, attraverso una legislazione del lavoro sviluppata, ma al contempo flessibile e soggetta a possibili modifiche da parte delle parti sociali.

Lo stato, inoltre, mantiene un ruolo centrale nella definizione delle politiche di welfare. Come vedremo meglio, quest’ultimo è basato su un sistema di tipo universalistico, finanziato dalla fiscalità generale, che garantisce l’erogazione di un gran numero di risorse e servizi rivolti a tutta la popolazione. Un tale sistema di sicurezza sociale pone le basi per affrontare riorganizzazioni e cambiamenti nella gestione aziendale in maniera più serena. Il complesso di contratti di riorganizzazione, indennità di disoccupazione e altri interventi a favore dei lavoratori che perdono il lavoro, infatti, consente a chi è coinvolto in questi processi di riorganizzazione di accettare con un minore grado di preoccupazione le modifiche in corso. Inoltre, il sistema di co-decisione permette alla forza lavoro di partecipare a queste decisioni, concordando con l’azienda le condizioni di uscita più favorevoli.

A questo sistema di sussidi per ridurre l’impatto della disoccupazione si affianca un attento sistema di politiche attive del lavoro. L’accesso agli ammortizzatori sociali, infatti, è spesso vincolato all’iscrizione nelle liste di collocamento. Queste, oltre ad offrire nuove proposte di lavoro, si occupano di mappare i percorsi formativi e professionali dei lavoratori disoccupati e di prevedere le adeguate misure formative per implementare le capacità del lavoratore e contribuire ad un suo rapido ricollocamento. Le politiche attive svedesi, inoltre, si caratterizzano per una certa attenzione ai servizi, in particolari quelli a sostegno della famiglia. Ad esempio, accanto ai congedi

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parentali, che in Svezia offrono grosse opportunità anche agli uomini, si sviluppa tutta una rete di servizi per l’infanzia che incentivano le persone a rimanere nel mercato del lavoro.

Questo modello si è sviluppato in diversi decenni. Come abbiamo visto il motore principale per l costruzione di un tale sistema sociale è stato il partito socialdemocratico, che è rimasto saldamente nell’area di governo dal 1932 al 1979. Il modello tuttavia, ha retto nonostante negli anni più recenti la maggioranza di governo ha più volte cambiato colore. Inoltre, dal 2006 in poi, il partito socialdemocratico ha subito due pesanti sconfitte elettorali, che hanno permesso la formazione di due governi di centro-destra. Attualmente, la carica di primo ministro è ricoperta dal leader del Partito moderato unito, Fredrik Reinfeldt, che guida un governo di minoranza in coalizione con il partito dei Verdi.

Questi elementi dimostrano come la tenuta del modello svedese prescinda dalle maggioranze di governo in quanto gode di una legittimità molto forte tra la popolazione e tra le forze politiche. Inoltre, la lunga tradizione delle istituzioni svedesi, consolidatesi in diversi decenni, risultano come dei veri e propri vincoli entro cui gli attori, sindacali e politici, devono agire, con margini di manovra piuttosto ristretti. Tuttavia, come vedremo in seguito, anche il modello svedese incomincia a mostrare alcuni segni di cedimento che possono emergere con forza nei prossimi anni.

Per saperne di più:

http://www.tco.se/FileOrganizer/TCOs%20webbplats/Publikationer/Tryckt%20material/den_svenska_mod

ellen_IT.pdf

5) Parti sociali

Per comprendere i meccanismi di funzionamento del sistema di relazioni industriali svedese e lo spirito con cui agisce il sindacato è necessario guardare alla cornice storica entro cui le parti sociali hanno costruito la loro identità e hanno sviluppato la propria azione.

Il sindacalismo svedese, infatti, si caratterizza per tre fattori principali. Innanzitutto, la tarda industrializzazione del paese e la dispersione dei pochi stabilimenti industriali in un’area territoriale molto vasta, ha contribuito a rallentare l’espansione sindacale, la quale per lungo tempo è rimasta relegata in ambiti territoriali ben definiti ed è stata caratterizzata da un’ampia frammentazione rispetto ai diversi mestieri. Il secondo elemento va rintracciato nella matrice politica del sindacato, che contrariamente a quanto avvenuto in altri paesi, non ha mai avuto al suo interno tendenze radicali, ma si è sempre inserita in una tradizione socialista di stampo riformista. Questa è stata suggellata da un’unità di intenti tra LO (Landsorganisationen i Sverige), la principale confederazione sindacale, e il partito Social-democratico svedese, con il quale, fino agli anni 20 del novecento, vigeva il principio della doppia affiliazione, in cui gli iscritti al sindacato erano automaticamente affiliati anche al partito social-democratico. Infine, la forza delle

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organizzazioni datoriali ha enfatizzato il carattere riformista del sindacato, che per preservare il proprio ruolo, ha cercato di legittimarsi, sia in chiave istituzionale che nei confronti della controparte, limitando fortemente i momenti di scontro. Questa linea è diventata chiara già a partire dal 1909, dove un duro scontro con la controparte datoriale mise in ginocchio, sia politicamente che finanziariamente il sindacato. Nel sistema svedese, infatti, le giornate di sciopero sono indennizzate dai sindacati, che pagano ai propri iscritti delle quote per compensare il salario perso durante le mobilitazioni. I diversi mesi di lotta e la forza delle associazioni imprenditoriali, che riuscirono ad avere la meglio attraverso lunghe serrate generalizzate, misero a dura prova il sindacato, con alcune federazione che erano vicine alla bancarotta e un generale crollo degli iscritti. Questo elemento mutò ulteriormente la natura del sindacato, che da questo momento in poi, ha cercato di istituzionalizzare le forme di conflitto, negoziando con la controparte i periodi in cui fosse legittimo scioperare e ha cercato di legittimarsi, proponendosi come soggetto che, in cambio di un riconoscimento da parte delle imprese, garantisse il rispetto degli accordi e contribuisse alla creazione di un clima di pace sociale. Questo carattere si è ulteriormente accentuato con l’entrata al governo del partito social-democratico, il quale dalla metà degli anni trenta fino alla fine degli anni 70, ha governato il paese ininterrottamente. Il sindacato, perciò, divenne il fulcro principale delle politiche di governo acquisendo un ruolo di primo piano nella definizione delle politiche sociali e nella regolazione del mercato del lavoro. In questi anni, inoltre, all’interno del sindacato acquisì sempre più importanza il livello confederale nazionale, il quale assunse un compito di direzione politica, facendo da elemento di congiunzione tra il governo e le federazioni sindacali affiliate, le quali risultavano scarsamente autonome rispetto alla politica confederale. In quest’ottica il sindacato assunse un vero e proprio ruolo di garante degli interessi generali del paese: non più un semplice organismo di rappresentanza dei lavoratori, ma una vera e propria istituzione con il compito di promuovere la pace sociale per contribuire ad uno sviluppo armonico del paese.

In generale, il sindacato svedese ha saputo sfruttare la sua condizione di svantaggio competitivo nei confronti dell’impresa, attuando una politica di responsabilità, che l’ha reso un soggetto centrale nello sviluppo dello stato sociale. Grazie a questa azione i lavoratori in Svezia godono di alcune tra le più alte prestazioni al mondo in termini di ferie, assistenza sanitaria, tutela dell’occupazione e corsi di formazione continua pagati dal datore di lavoro. In pratica, da una condizione di iniziale marginalità e debolezza, il sindacato svedese è diventato oggi uno dei soggetti più influenti del paese, con un ruolo importante nella definizione delle politiche del welfare, dell’occupazione e dei datori di lavoro in genere.

Questo potere è fortemente riconosciuto da tutta la popolazione. I tassi di iscrizione molto elevati (70,4%, il paese con il tasso di sindacalizzazione più elevato d’Europa dopo la Finlandia) lo confermano e accrescono la forza delle organizzazioni sindacali. D’altro canto, l’aver sviluppato negli anni un ruolo così marcatamente istituzionale ne ha profondamente mutato la sua natura, riducendo gli spazi di autonomia interna delle singole federazioni e limitando il potere d’iniziativa dei lavoratori suoi luoghi di lavoro, i quali risultano ingabbiati in un sistema di contrattazione collettiva centralizzato e burocratizzato.

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5.1 Sindacato In Svezia ci sono tre principali confederazioni sindacali costituite su base occupazionale e professionale. In particolare la principale linea di frattura sindacale è quella tra operai manuali e colletti bianchi, figure professionali che sono organizzate in diverse confederazioni sindacali. La più grande centrale sindacale del paese è la Confederazione dei sindacati svedesi (LO, Landsorganisationen i Sverige), la quale raggruppa 14 organizzazioni sindacali e rappresenta 1.502.285 lavoratori manuali. Vi è poi la Confederazione svedese dei lavoratori (TCO, Tjänstmännens Centralorganisation) che organizza i cosiddetti colletti bianchi, funzionari e impiegati, sia del settore pubblico che di quello privato. Questa confederazione raggruppa 16 diverse sigle sindacali e ha 1.245.864 iscritti di cui però, solo 995.000 sono lavoratori. In Svezia, infatti, si iscrivono al sindacato non solo i lavoratori, ma anche gli studenti e le persone in cerca di lavoro. Ciò è determinato, oltre che da motivazioni culturali, anche dal fatto che l’iscrizione al sindacato garantisce l’erogazione di diversi servizi. In particolare, in Svezia vige il cosiddetto sistema Ghent, ovvero un meccanismo che consente al sindacato di gestire i fondi per l’assicurazione contro la disoccupazione. Infine, la terza confederazioni sindacale è la Confederazione Svedese delle Associazioni Professionali (SACO, Sveriges akademikers centralorganisation) con 636.000 membri, di cui 450.000 occupati, che rappresentano tutti i lavoratori della conoscenza, tra cui economisti, avvocati, architetti, medici, insegnanti e altre professioni che richiedono per l’accesso almeno un diploma o un titolo universitario.

Queste tre confederazioni si rivolgono a tipologie di iscritti ben distinti, ed esiste tra loro un buon grado di cooperazione. Esistono, inoltre, degli accordi tra LO e TCO per prevenire possibili conflitti sulle affiliazioni sindacali. Tra TCO e SACO, invece, possono sorgere più facilmente dei conflitti, in quanto le aree di azione di queste due organizzazioni in molti casi si sovrappongo. È, tuttavia, una prassi abbastanza consolidata quella di iscriversi all’organizzazione che ha sottoscritto accordi collettivi con il proprio datore di lavoro.

Dal punto di vista organizzativo, sia LO che TCO sono strutturate rispetto ai diversi settori industriali, mentre SACO è organizzata su base occupazionale. Per quanto riguarda i dati sulla composizione degli iscritti, le federazioni più rappresentative di LO sono quella dei lavoratori manuali del settore pubblico, Kommunal, con oltre 500,000 iscritti, e quella dei metalmeccanici. Per quanto riguarda TCO, invece, la federazione più rappresentativa è quella degli impiegati e dei tecnici del settore industriale (SIF). Infine, SACO ha al suo interno una grossa componente rappresentata dagli ingegneri specializzati, che rappresentano quasi un terzo degli iscritti alla confederazioni.

Dal punto di vista politico, come si diceva in precedenza, LO ha uno strettissimo rapporto con il partito social-democratico svedese, con il quale, fino all’inizio del novecento vigeva un regime di doppia affiliazione. Nel corso del tempo il sindacato ha assunto una certa autonomia dal partito, anche se è prassi che il presidente di LO sia anche un membro dell’esecutivo nazionale del partito.

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5.2 Associazioni datoriali Storicamente le associazioni imprenditoriali in Svezia hanno sempre avuto una notevole forza, sia in termini di membership che di capacità di mobilitazione. Attualmente l’87% delle imprese è iscritta ad un’organizzazione di rappresentanza datoriale. Un dato che raggiunge la totalità delle’imprese pubbliche e oltre l’80% in quelle del settore privato.

Oggi le principali confederazioni datoriali sono 3: la Confederazione delle imprese svedesi (Svenskt Näringsliv), che è stata fondata nel 2001 a seguito di una fusione che ha coinvolto le principali confederazioni del settore privato. Oggi questa organizzazione rappresenta tutte le imprese con più di 50 dipendenti, in tutti i settori industriali. I suoi membri raggiungono circa le 60.000 unità, coprendo oltre 1.500.000 lavoratori. C’è poi l’Associazione svedese della autorità locali e regionali (Sveriges Kommuner och landsting, SKL) che rappresenta gli interessi governativi nel campo delle relazioni di lavoro, di 290 comuni, 18 consigli territoriali e due regioni. C’è poi, la Agenzia per le imprese governative svedesi, (Arbetsgivarverket), che a partire dal 1994 è responsabile delle politiche di gestione del personale nel settore pubblico a livello nazionale. Infine, esistono altre due piccole organizzazioni imprenditoriali: l’Associazione delle imprese svedesi (Företagarförbundet), con oltre 35,000 imprese aderenti, e la Federazione delle imprese del settore privato, con oltre 55,000 imprese aderenti, che rappresentano per lo più gli interessi delle aziende più piccole. Queste due organizzazioni non hanno mandato per la stipula dei contratti collettivi.

5.3 per saperne di più:

http://www.eurofound.europa.eu/eiro/country/sweden_3.htm http://www.worker-participation.eu/National-Industrial-Relations/Countries/Sweden/Trade-Unions http://www.insvezia.com/i-sindacati-in-svezia/

6) Sistema della rappresentanza e caratteristiche della contrattazione collettiva 6.1 Rappresentanza aziendale Pur ammettendo l’esistenza di un doppio canale di rappresentanza, il sistema svedese si caratterizza per una rappresentanza dei lavoratori a canale quasi esclusivamente sindacale. La ragione di ciò, risiede nell’elevato tasso di iscrizione sindacale, che di fatto elimina l’esigenza di un doppio canale di rappresentanza. Tuttavia, prima dell’entrata in vigore della legge sulla codeterminazione (1976), in base ad alcuni accordi collettivi, esistevano dei comitati aziendali che vedevano la partecipazione dei lavoratori. A partire dalla fine degli anni settanta questi organismi hanno incominciato a scomparire. La legge sulla codeterminazione (Medbestämmandelagen, MBL) è il principale strumento normativo che garantisce la partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale. Inoltre, vi sono accordi collettivi che mirano ad aumentare l'influenza sindacale sulle decisioni dell'impresa. Nel settore privato il più importante di questi è l'accordo del 1982

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sull'efficienza e la partecipazione, conosciuto in svedese come il Utvecklingsavtalet (UVA), successivamente incorporato in accordi a livello di settore. Come il resto della disciplina giuridica che regola i rapporti di lavoro, anche il quadro normativo sulla rappresentanza aziendale presenta un approccio flessibile, in cui il legislatore inserisce solo alcuni elementi di principio generale, lasciando ampio spazio alla negoziazione delle parti. La legge attribuisce il potere di rappresentare i lavoratori alle organizzazioni sindacali che hanno stipulato degli accordi collettivi con i datori di lavoro. Non ci sono limiti rispetto al numero di dipendenti necessari per l'applicazione di queste regole, quindi in quasi tutte le società vi è una struttura sindacale riconosciuta e titolata a partecipare alle decisioni aziendali. Per stabilire la presenza sindacale in azienda, infatti, è sufficiente che ci sia un numero anche minimo di membri del sindacato, i quali si devono attivano per richiedere la costituzione di una sezione sindacale locale. Inoltre, anche dove non è stata costituita una sezione sindacale aziendale, le organizzazioni sindacali a livello regionale o nazionale sono autorizzate a negoziare per ricevere informazioni a nome di tutti i membri del sindacato in quel luogo di lavoro. Il ruolo dei rappresentanti sindacali sul posto di lavoro è regolato da una legge del 1974, che ne regola i compiti e stabilisce le modalità di elezione. In genere in ogni impresa una volta all’anno si tengono le elezioni per la scelta dei rappresentanti sindacali, i quali non vengono votati dalla totalità della forza lavoro, ma solo dagli iscritti. La legge sulla codeterminazione, inoltre, prevede che il datore di lavoro possa introdurre significativi cambiamenti nella struttura societaria, solo dopo aver avviato i negoziati con la rappresentanza sindacale. Stesso discorso vale per ogni tipo di decisione relativa alla determinazione delle condizioni di lavoro. Inoltre, l’azienda è obbligata ad informare periodicamente le rappresentanze sindacali rispetto alla situazione finanziaria aziendale e sulle linee guida di politica del personale. L’azienda, infine, è tenuta ad informare le rappresentanze sindacali in caso di licenziamenti collettivi, esplicitando chiaramente il numero di lavoratori coinvolti, la loro categoria professionale e il tipo di misure da prendere per ridurre l’impatto del licenziamento sulle persone coinvolte. Per quanto riguarda le risorse per lo svolgimento del ruolo di rappresentante sindacale, coerentemente con il modello di relazioni industriali svedese, non vi è un intervento legislativo diretto. La legge sulle rappresentanze sindacali del 1974, infatti, non fissa un termine preciso di tempo attribuito all’attività sindacale sul posto di lavoro. Questa afferma semplicemente che il rappresentante deve di volta in volta fare richiesta all’impresa e che le ore di permesso non possano essere maggiori di quello che è ragionevole, considerando le condizioni sul posto di lavoro. Anche i questo caso la contrattazione collettiva è intervenuta per chiarire cosa è da considerarsi come ragionevole introducendo, inoltre, tutta una serie di tutele per i vari rappresentati dei lavoratori.

Infine, le leggi sulla salvaguardia della salute sui luoghi di lavoro, hanno inserito tra gli organismi di rappresentanza aziendale anche delle commissioni paritetiche che si occupano di prevenzioni dei rischi per la salute e di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro.

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6.2 Contrattazione collettiva La contrattazione collettiva in Svezia ricopre un ruolo cruciale nella regolazione del mercato del lavoro, con un tasso di copertura molto elevato che si aggira intorno all’88% dei lavoratori. Mediante i contratti nazionali e locali, datori di lavoro e sindacati concordano le condizioni contrattuali, le misure occupazionali, le procedure con cui arginare possibili dispute, le misure di welfare a sostegno dei dipendenti. Rispetto a questi punti lo stato non interviene. Questo, infatti, può fissare regole quadro mediante la legislazione del lavoro, ma la responsabilità regolativa è delle parti. Inoltre, anche nel caso in cui lo stato intervenga per regolare una certa materia specifica, tali disposizioni, nella gran parte dei casi, possono essere sostituite o integrate da contratti collettivi. Sindacati e datori di lavoro, perciò, possono adeguare le disposizioni legislative alle condizioni e alle peculiarità dei vari settori. La legislazione del lavoro risulta così particolarmente flessibile. Questo modello ha una lunga tradizione: il primo accordo fra datori di lavoro e lavoratori risale già al 1906, anno in cui le parti sancirono la tutela del diritto di associazione sindacale in azienda. Questi accordi trovarono poi un successivo inquadramento normativo nel 1928, anno in cui la Svezia si dotò di una legge quadro per la regolazione della contrattazione collettiva. Infine, nel 1938 le parti diedero vita agli Accordi di Saltsjöbaden, la pietra miliare su cui si è retto l’intero sistema della contrattazione collettiva svedese negli ultimi 70 anni. Questi accordi sancivano l’autonomia delle parti sociali nella regolazione del mercato del lavoro, attribuendo allo stato un ruolo di semplice garante. Lo stato veniva di fatto estromesso dalle trattative e le condizioni di lavoro venivano negoziate mediante trattativa e accordi volontari fra le parti, istituzionalizzati in un quadro di procedure certe e stabilite a priori. Le parti si riservavano, inoltre, il diritto di regolazione nei confronti dello sciopero e della serrata. Lo spirito dell’accordo andava nella direzione di limitare al massimo il conflitto tra le parti. L’idea di fondo, infatti, era che la lotta di classe dovesse, se non proprio scomparire, quanto meno temperarsi in un confronto costruttivo in vista di un superiore “interesse generale". Oltre alle questioni strettamente salariali, le parti si riservano il potere di negoziazione intorno ai temi della sicurezza sociale in caso di malattia e disoccupazione, delle pensioni e delle tutela del rapporto di lavoro, della partecipazione dei lavoratori rispetto all’organizzazione aziendale e all’ambiente di lavoro, alla definizione dell’orario di lavoro e alle possibilità di sviluppo di professionalità attraverso percorsi di formazione continua. I contratti collettivi, inoltre, determinano le condizioni di lavoro e salariali minime, al di sotto delle quali non è possibile assumere del personale. Il salario minimo mensile, perciò, non viene determinato da una apposita legge statuale, ma viene desunto dalla contrattazione collettiva. Inoltre, quando un’impresa stipula un contratto collettivo, esso è valido per tutti i dipendenti, al di la dell’iscrizione sindacale. Tradizionalmente la contrattazione collettiva nel settore privato avveniva su tre livelli: nazionale interconfederale, nazionale settoriale, e locale. Per circa 30 anni, tra il 1956 e il 1980, il livello principale era la contrattazione nazionale intersettoriale, nella quale si stabilivano gli aumenti salariali e le principali materie contrattuali. A partire dagli anni ottanta, però, la situazione ha subito un forte cambiamento. Innanzitutto, l’introduzione, già da diversi anni, di meccanismi di scala mobile in cui gli aumenti salariali vengono ancorati all’inflazione, ha limitato il ruolo della contrattazione sui livelli salariali. Inoltre, è accresciuta l’importanza della contrattazione di settore,

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che ora si occupa di adattare le scelte legislative e le condizioni di lavoro ai diversi settori. Nonostante ciò, un considerevole numero di accordi collettivi intersettoriali continuano ad essere sottoscritti rispetto a materie non riguardanti questioni salariali, come la produttività, la questione pensionistica, la partecipazione dei lavoratori nelle decisioni aziendali, misure di welfare aziendali, ecc. Negli ultimi 30 anni, il livello che ha acquisito maggior importanza è il livello settoriale. Qui avvengono le principali negoziazioni. In particolare la contrattazione si è sviluppata nel settore metalmeccanico, il quale fa da apripista agli altri settori, che generalmente si limitano a ratificare quanto stabilito nei suoi accordi. Infine, negli ultimi anni si sta assistendo ad un ulteriore decentramento del sistema di contrattazione collettiva con un considerevole aumento degli accordi aziendali, che riguardano in particolar modo l’orario di lavoro.

6.3 Diritto di sciopero

Il diritto di sciopero in Svezia è un diritto collettivo esercitato individualmente garantito dalla costituzione. Tuttavia, in accordo con il modello svedese, l’esecuzione di tale diritto è assoggettata alle procedure stabilite attraverso degli accordi tra le parti. In generale, va detto che lo sciopero è molto raro in Svezia. Le parti, infatti, prima di ricorrere al conflitto cercano sempre di trovare delle mediazioni che risolvano le questioni. Inoltre, sono presenti organismi paritetici di conciliazione che intervengono in caso di controversie tra le parti. Gli accordi collettivi, inoltre, limitano il diritto di sciopero, ammettendolo solo nei periodi di scadenza contrattuale, eccetto per quanto riguarda gli scioperi di solidarietà, e introducono delle procedure ben precise e piuttosto restrittive per garantire le prestazioni essenziali. In caso di sciopero o di serrata, le associazioni datoriali e sindacali conferiscono ai propri iscritti degli indennizzi monetari per sopperire alla perdita di reddito determinata dall’astensione dal lavoro.

Per tutte queste ragioni e per un atteggiamento negoziale delle parti incline alla cooperazione, il ricorso allo sciopero risulta fortemente limitato, con un numero di ore annue perdute da ciascun lavoratore estremamente al di sotto della media europea.

6.4 Relazioni tripartite

In Svezia è fortemente radicata l’idea che le parti sociali siano in grado di regolare in maniera autonoma le condizioni di lavoro attraverso la contrattazione collettiva. Per questa ragione le relazioni tripartite non sono sviluppate. L’attore governativo, perciò, ha un ruolo di garante, ovvero ha costruito negli anni un impianto di regole certe che consente alle parti di negoziare in maniera collaborativa, pur non entrando nel merito delle clausole che vengono contrattate liberamente dalle parti sociali. Inoltre, lo stato non traduce i contratti in legislazione, come invece è prassi in molti altri Paesi.

6.5 per saperne di più http://library.fes.de/pdf-files/bueros/belgrad/08947.pdf http://www.eurofound.europa.eu/eiro/country/sweden_4.htm

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http://www.worker-participation.eu/National-Industrial-Relations/Countries/Sweden/Collective-Bargaining http://www.worker-participation.eu/National-Industrial-Relations/Countries/Sweden/Workplace-Representation

8) Zoom su aspetto caratteristico: IL SISTEMA DI WELFARE SVEDESE

Il sistema di welfare svedese è uno tra i più sviluppati al mondo. La spesa sociale della Svezia, infatti, raggiunge quote attorno al 31% del PIl, dati estremamente elevati se si pensa che la media europea si attesta attorno al 27,5%. Una tale generosità dei sistema di welfare svedese si regge in massima parte sul prelievo fiscale generale, che in Svezia raggiunge le quote più alte al mondo. Inoltre, il sistema si finanzia attraverso il versamento di oneri sociali ripartiti fra lavoratori dipendenti e le imprese. Queste ultime contribuiscono in misura nettamente maggiore. Il sistema svedese, mira allo sviluppo di uno stato sociale di tipo universalistico e redistributivo, svincolato dall’occupazione, dalla famiglia e dal mercato, che si regge sul principio del bisogno e del benessere popolare. L’idea di base è quella di fornire prestazioni pubbliche uguali per tutta la popolazione. La chiave di un sistema di welfare per tutti è che anche gli strati più ricchi della popolazione possano contare sul welfare, se ne hanno necessità, e che il welfare si basi su assicurazioni sociali e non su contributi. In partica il sistema trasferisce ricchezza da una classe sociale all’altra, ma anche dai comuni ricchi a quelli poveri. I comuni ricchi, infatti, sostengono i comuni dove il gettito fiscale derivante dalle retribuzioni è inferiore e i costi sociali sono più elevati. Questo meccanismo consente una significativa riduzione delle diseguaglianze sociali in quanto tutti i cittadini ricevono lo stesso livello di assistenza indipendentemente dalla propria condizione economica e dalla propria area di provenienza. Il welfare svedese è di competenza statale, ma la parti sociali giocano un ruolo determinante. La contrattazione collettiva, infatti, ha avuto un ruolo sostanziale nel miglioramento di diverse misure sociali, come ad esempio il trattamento pensionistico, le ferie e le indennità per malattia. In pratica le varie assicurazioni sociali sono state introdotte e implementate dallo stato a partire da accordi tra le parti sul mercato del lavoro. Il welfare per tutti riguarda istruzione e sanità, cura e assistenza all’infanzia e agli anziani, sicurezza sociale. L’indennità di malattia è garantita per legge, ma tramite i contratti collettivi le parti hanno concordato condizioni che prevedono un’indennità superiore fino a un anno di assenza per malattia. L’assicurazione pubblica copre l’80% della retribuzione e il datore di lavoro eroga un ulteriore 10%. Anche le indennità per infortunio sul lavoro, invalidità e morte sono contenute nel pacchetto sicurezza sociale concordato tramite i contratti collettivi. Da alcuni anni, l’indennità di pensione minima fissata per legge è costituita da una quota base e una quota legata a fondi azionari oppure obbligazionari, gestita direttamente dal lavoratore. La

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pensione è calcolata sui redditi maturati negli anni, ma segue anche l’andamento dei redditi in Svezia. Il lavoratore svedese va in pensione solitamente a 65 anni, ma può scegliere la pensione anticipata a partire dal 61° anno di età o lavorare fino a 67 anni. Naturalmente, la pensione è inferiore in caso di prepensionamento.

8) Tendenze recenti e problemi aperti

Il sistema svedese, come si è detto più volte, ha origini lontane e poggia su una lunga tradizione. Tuttavia, in questi ultimi anni le trasformazioni socio-economiche in atto a livello globale, i mutamenti demografici e il relativo invecchiamento della popolazione, stanno mettendo in discussione alcuni dei suoi pilastri. In particolare sono due gli elementi ad essere messi maggiormente sotto pressione: la tenuta del sistema di welfare, e la forza delle parti sociali che, attraverso la contrattazione collettiva, determinano la regolazione del mercato del lavoro.

Rispetto al primo punto possiamo dire che in tutti i paesi europei si sta assistendo ad un aumento generalizzato delle richieste di misure di welfare. Ciò accade a causa di diversi fattori, come ad esempio, l’invecchiamento della popolazione, la quale determina una sempre maggior richiesta di prestazioni sanitarie, trattamenti pensionistici più lunghi, l’implementazione di strutture recettive per il mantenimento degli anziani non autosufficienti, ecc.. Queste nuove richieste, però, si inseriscono in un contesto di progressiva scarsità di risorse. La crisi economica è l’elemento più evidente, ma già a partire dagli anni ottanta in tutti i paesi si è assistito a una progressiva ridefinizione dei servizi di welfare che hanno visto una loro limitazione sia per quanto riguarda i requisiti all’accesso, sia per quanto attiene al tipo di prestazioni. Questo processo è stato definito da alcuni esperti (Ferrera 2008) come uno slittamento dei sistemi di welfare da un’età dell’oro, culminata con la fine degli anni settanta, ad un periodo di profonda ridefinizione e compressione, un’età d’argento. Questi processi hanno caratterizzato tutta l’Europa, compresi i paesi scandinavi, che hanno nel welfare universalistico uno dei loro pilastri cardine. In Svezia, ad esempio, questo elemento ha portato ad una ridefinizione di diversi servizi sociali e in particolare ha portato ad una riduzione dell’indennità di disoccupazione.

A questi elementi si deve aggiungere la crisi di legittimità che sta investendo le organizzazioni sindacali e datoriali. Tale trend di costante decrescita è verificabile osservando i dati sull’affiliazione sindacale di quasi tutti i paesi occidentali. Se però in molti stati dell’unione questo elemento non è di particolare gravità, in quanto il sistema si regge su un ruolo preponderante dell’attore statuale, il quale, ad esempio può estendere erga omnes le clausole inserite nella contrattazione collettiva, nei paesi come la Svezia tale elemento rischia di mettere in crisi l’intero sistema. Come abbiamo visto, infatti, il sistema svedese si basa su una forte autonomia delle parti negoziali. Queste hanno un ruolo nella definizione delle principali politiche regolative del mercato del lavoro. Inoltre, data la loro enorme legittimazione, svolgono un ruolo fondamentale nell’incanalare il conflitto capitale-lavoro entro schemi istituzionalizzati che sfociano in un costante confronto costruttivo con la controparte. Se cala il consenso alle organizzazioni sindacali, perciò, le imprese perdono interesse nel contrattare con il sindacato, in quanto questo resta privo di una completa legittimità e diventa meno capace di assolvere al suo ruolo di mediatore del conflitto sociale.

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Il calo degli iscritti al sindacato svedese è riassunto nella tabella qui sotto.

Tab. 2 Variazione degli iscritti al sindacato 2003-2008

organizzazione Iscritti

2003

Iscritti

2008 variazione

LO 1,638,600 1,442,300 -12.0%

TCO 1,276,000 1,175,300 -7.9%

SACO 556,000 588,300 +5.8%

Altri 89,000 112,500 +26.4%

Totale 3,559,600 3,318,400 -6.8%

Fonte: EuroFound 2009

Come si può osservare la variazione tra il 2003 e il 2008 non è stata così significativa. Tuttavia, il dato è abbastanza allarmante per due ordini di ragioni. Innanzitutto, il calo viene contenuto dall’aumento di iscritti nelle organizzazioni minori, che godono di una scarsa legittimazione a livello nazionale. Se si guarda il dato delle organizzazioni tradizionali, perciò, il calo risulta molto più marcato. Ciò porta ad affermare che le organizzazioni che tradizionalmente hanno garantito lo sviluppo del sistema svedese sono oggi soggette ad una profonda crisi di partecipazione.

Il secondo dato allarmante proviene dall’aumento della disoccupazione, che in Svezia ha raggiunto nel 2013 l’8,4%, un dato molto alto rispetto a quanto normalmente accade nel paese. Inoltre negli ultimi anni è cresciuta vertiginosamente la disoccupazione giovanile che ha raggiunto la quota di 24,1%. Guardando alle modalità di gestione dell’assicurazione contro la disoccupazione, questi dati dovrebbero portare ad un aumento dell’iscrizione sindacale. Infatti, essendo in vigore il sistema Ghent, all’aumento del rischio di disoccupazione dovremmo attenderci un aumento della partecipazione sindacale, in quanto è il sindacato stesso che gestisce i fondi per la disoccupazione. In Svezia, invece, sta accadendo il contrario. Ciò induce a pensare che l’aumento della propensione all’iscrizione sindacale, determinato dalla crescita del rischio di trovarsi disoccupati, è più che compensato dalla progressiva disaffezione verso le organizzazioni sindacali.

Un dato abbastanza preoccupante che, se non verrà prontamente arginato dalle strutture sindacali, rischia di acuirsi è di creare enormi problemi per l’intera tenuta del modello. Alcuni segnali di questo pericolo si sono già evidenziati. Nel corso del 2013, infatti, si è registrato un aumento del conflitto sociale, con una crescita del numero di manifestazioni contro le scelte governative e la diminuzione delle opportunità lavorative per i più giovani. Queste espressioni del conflitto, organizzate al di fuori delle tradizionali strutture sindacali, in molti casi, sono sfociate in violenti scontri di piazza, mostrando un livello di tensione estraneo alla cultura del paese e che per decenni è stata tenuto a bada dalle principali confederazioni sindacali.

Questi elementi mostrano che, pur essendo ancora presto per parlare di una crisi di legittimità delle organizzazioni sindacali svedesi, che continuano ad avere un tasso di partecipazione tra i più alti d’Europa, queste espressioni del dissenso popolare sono il segnale di una loro perdita di consenso e di una minore capacità di incanalare il conflitto sociale entro il loro raggio d’azione.

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9) Link utili:

schede paese http://www.worker-participation.eu/National-Industrial-Relations/Countries/Sweden http://www.eurofound.europa.eu/eiro/country/sweden.htm puntata di Report sul modello svedese http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=HG0CJYwXSAo Il sistema Ghent http://www.italianieuropei.it/?option=com_content&do_pdf=1&id=856 documento TCO sul sistema sociale svedese http://www.tco.se/FileOrganizer/TCOs%20webbplats/Publikationer/Tryckt%20material/den_svenska_modellen_IT.pdf profilo economico Svezia http://www.indexmundi.com/sweden/economy_profile.html