Prevision(17): codici culturali, neuromarketing e marketing religioso

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Presentazione realizzata per CISE Emilia Romagna, febbraio 2011 Nel 2007 negli USA sono stati spesi più di 7,3 miliardi di dollari per ricerche di mercato, sia quantitative che qualitative. A questi vanno poi aggiunti altri 117 miliardi di dollari per la comunicazione vera e propria. Eppure, nonostante questo spiegamento di forze, 8 prodotti su 10 falliscono entro tre mesi dal lancio (nel pauperista-suo-malgrado Giappone, addirittura 9,7 su 10). È chiaro che qualcosa non quadra nel faticoso iter di conoscenza delle dinamiche che regolano il processo d’acquisto. La 17ma edizione del Pre-Vision, dal titolo Minds, è dedicata alla scoperta di ciò che il consumatore non dice (e che le aziende non sanno) – ossia all’analisi di quei fattori che influenzano implicitamente e inconsapevolmente il comportamento di fronte a scaffali (e siti web) straripanti di merce e il modo di relazionarsi a prodotti e marchi. Parleremo quindi di neuromarketing (funziona il product placement? Che ruolo gioca il logo nella memorabilità di un prodotto?), di codici culturali e del rapporto tra marketing e religione (perché l’iPhone della Apple è stato ribattezzato Jesus Phone?). Inoltre, analizzando l’influenza che la fede esercita sulle scelte di consumo, apriremo una finestra sui consumatori islamici, specie residenti in Occidente - dal promettente business dei prodotti certificati halal (food e cosmesi) al fenomeno dello hijab chic.

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  • 1. District Vision Labfw 2012/13

2. 1. Prayer fw 2012/13 3. 2. Magic fw 2012/13 4. 3. Hijab chic fw 2012/13 5. 4. Science Lab fw 2012/13 6. PRE-VISION(17) Bertinoro, 21 gennaio 20111. INTRODUZIONE ALLA RICERCA TENDENZE 7. TRENDS RESEARCHANALISI DEI MEGATRENDSDEMOGRAFIASOCIETECONOMIAPOLITICAAMBIENTETECNOLOGIAANALISI DEI MEGATRENDS 8. TRENDS RESEARCHANALISI DELLE GENERAZIONIDOMINANTIRECESSIVELEADER PEER PERSONALITYFOLLOWER OUTSIDERANTI-TRENDSOTTOCULTUREANALISI DELLE GENERAZIONISEGNALI DEBOLI 9. ANALISI DELLE GENERAZIONI BOOMERS (1944-60) 10. ANALISI DELLE GENERAZIONI GENXERS (1961-81) 11. ANALISI DELLE GENERAZIONI MILLENNIALS (1982-04) 12. TRENDS RESEARCHANALISI DELLE GENERAZIONIANALISI DEI MEGATRENDSANALISI DEI BISOGNI E DELLE RISPOSTEBISOGNIRISPOSTEEMERGENTIFORTIINESISTENTIADEGUATEIN DECLINOLATENTIINSUFFICIENTIRIDONDANTIANALISI DEI BISOGNI E DELLE RISPOSTE 13. BISOGNIEMERGENTIFORTIADEGUATETREND EMERGENTE PRODUCER DRIVENTREND IN ATTO PRODUCER & CONSUMER DRIVENINSUFFICIENTITREND EMERGENTE CONSUMER DRIVENTREND IN ATTO CONSUMER DRIVENINESISTENTITREND EMERGENTE CONSUMER DRIVENTREND IN ATTO CONSUMER DRIVENRIDONDANTITREND EMERGENTE PRODUCER DRIVENTREND IN ATTO PRODUCER & CONSUMER DRIVENIN DECLINOLATENTITREND IN DECLINOTREND IN POTENZA (pu coincidere con un ANTI-TREND)TREND IN DECLINOTREND IN POTENZA (pu coincidere con un ANTI-TREND)TREND IN DECLINOTREND IN POTENZA (pu coincidere con un ANTI-TREND)TREND IN DECLINOTREND IN POTENZA (pu coincidere con un ANTI-TREND)RISPOSTEANALISI DEI BISOGNI E DELLE RISPOSTE 14. TRENDS RESEARCHANALISI DEI MEGATRENDSMENTE DEL MERCATO (CONSCIO/INCONSCIO)ANALISI DELLE GENERAZIONIANALISI DEI BISOGNI E DELLE RISPOSTECOSTRUTTI CONDIVISI E MAPPE DI CONSENSOCODICI CULTURALIARCHETIPI E METAFORE UNIVERSALIANALISI DELLA MENTE DEL MERCATO 15. ANALISI DEI BISOGNI E DELLE RISPOSTEINDUSTRY E CONSUMER TRENDSMACROMICROANALISI DIACRONICAANALISI DIACRONICAANALISI TRASVERSALEFUOCHI DI PAGLIAANALISI CICLICAANALISI DEGLI INDUSTRY E CONSUMER TRENDS 16. INDUSTRY E CONSUMER TRENDS VISION, MARKETING E ADVERTISINGRICERCA E SVILUPPO PRODOTTOANALISI DI SCENARIOINSPIRATIONSMATERIALILINEE E FORMEANALISI DELLA BRAND EQUITYPROPOSTE STILISTICHE GRAFICACOLORIADVERTISING STRATEGYOUTPUT FINALE: R&D, VISION, MARKETING 17. PRE-VISION(17) Bertinoro, 21 gennaio 20112. IL RUOLO DEI CODICI CULTURALI 18. LA METODOLOGIA: COS IL CODICE CULTURALE? Il CODICE CULTURALE il SIGNIFICATO INCONSCIO che applichiamo ad ogni cosa unauto, un tipo di cibo, una ralazione, un Paese ATTRAVERSO IL FILTRO DELLA CULTURA IN CUI SIAMO CRESCIUTI. Questo accade perch APPRENDIMENTO ed EMOZIONI sono fortemente legati: pi lemozione forte, pi il concetto appreso si sedimenta (es. toccare una pentola bollente). 19. LA METODOLOGIA: COS IL CODICE CULTURALE? La combinazione di esperienza ed emozione che laccompagna crea un IMPRINT che CONDIZIONA FORTEMENTE LE NOSTRE FUTURE AZIONI. Cosa succede se limprint manca? 20. LA METODOLOGIA: VENDERE CAFF IN GIAPPONE Negli anni 70 la Nestl stava cercando di vendere caff istantaneo in Giappone con successi molto modesti. Si rivolgono alla Archetype Discoveries Worldwide di Clotaire Rapaille per la decodifica del codice. Immagini ricorrenti: Nella maggioranza dei casi NULLA. Nestl doveva creare nei Giapponesi lIMPRINT per il caff. 21. LA METODOLOGIA: VENDERE CAFF IN GIAPPONE Interrompono la vendita di caff istantaneo e lanciano UN DESSERT PER BAMBINI AL GUSTO DI CAFF ma senza caffeina vogliono creare nei bambini un imprint positivo che li accompagner per tutta la vita. Le vendite di caff, quasi inesistenti in Giappone negli anni 70, ammontano a met degli anni Duemila a 700 mln di euro. 22. LA METODOLOGIA: LINCONSCIO CULTURALE I codici culturali cambiano in seguito a eventi particolarmente significativi: ad es. la proibizione religiosa di consumare carne di maiale originata da antiche pestilenze. Eventi di tale portata sono rari, dunque I CODICI CULTURALI CAMBIANO MOLTO LENTAMENTE. 23. LA METODOLOGIA: TRE TIPI DI CERVELLO La teoria dei tre cervelli: elaborata dal neurologo americano Paul MacLean, costituisce uno dei pilastri su cui si sviluppata la medicina psicosomatica. Si diffusa nel corso degli anni Settanta tra gli intellettuali di tutto il mondo. Il nostro cervello costituito da tre componenti distinte, ognuna delle quali rappresenta un momento evolutivo ben preciso della specie umana. 24. LA METODOLOGIA: TRE TIPI DI CERVELLO La NEOCORTECCIA (neopallium o cervello superiore) costituita dagli emisferi cerebrali e gestisce lapprendimento, il pensiero astratto e limmaginazione. Comincia ad essere utilizzata dai bambini dallet di 7 anni. la zona del cervello in cui risiede la logica e in cui si svolge il ragionamento che ci distingue dagli altri animali. 25. LA METODOLOGIA: TRE TIPI DI CERVELLO Il CERVELLO MAMMIFERO (sistema limbico: ippocampo, amigdala e ipotalamo) coinvolto nell'elaborazione delle emozioni. Si sviluppa tra la nascita e let di 5 anni, soprattutto grazie alla relazione fra il bambino e sua madre. Questo gli conferisce una forte dimensione femminile. 26. LA METODOLOGIA: TRE TIPI DI CERVELLO Il CERVELLO RETTILE (archipallium o cervello primitivo, costituito dal cervelletto e dal bulbo spinale) sede degli istinti primari (sopravvivenza e riproduzione) e di funzioni vitali (es. controllo del ritmo cardiaco e respiratorio). il pi influente dei tre perch deputato alla sopravvivenza: nella battaglia fra cervelli (logica, emozioni e istinto) il cervello rettile vince sempre. 27. LA METODOLOGIA: TRE TIPI DI CERVELLO Come gli individui, anche le culture hanno una FORTE DIMENSIONE RETTILE. Per la cultura americana questa coincide con i valori associati ai pionieri e agli immigrati ci che ha consentito loro di sopravvivere: PURITANESIMO, UNA FORTE ETICA DEL LAVORO, LA CONVIZIONE CHE LE PERSONE MERITANO UNA SECONDA OPPORTUNIT, LENFASI SUL SUCCESSO. 28. LA METODOLOGIA: SCHEMA BIOLOGICO E CULTURALE Ogni specie si distingue per la sua struttura del DNA SCHEMA BIOLOGICO Ogni cultura crea uno SCHEMA CULTURALE che unestensione dello schema biologico nel senso che: a) Lo schema biologico identifica un bisogno b) Lo schema culturale LO INTERPRETA allinterno dei parametri fissati dalla cultura di riferimento. 29. LA METODOLOGIA: SCHEMA BIOLOGICO E CULTURALE Esempio: a) Schema biologico: il nostro organismo raggiunge uno stato di massimo benessere a una data temperatura. b) Il concetto di temperatura gradevole varia a seconda delle culture diversa interpretazione delluso dellaria condizionata In Europaun lussoIn America una necessit per veicolare un concetto di lusso gli Americani necessitano di un USO ESTREMO DELLARIA CONDIZIONATA gli spazi pi lussuosi sono i pi refrigerati. 30. LA METODOLOGIA: GLI ALIBI Abbiamo visto lenorme influenza che esercita il cervello rettile. Tuttavia, anche quando accettiamo di farci guidare dal nostro cervello rettile, ci sforziamo di dare un contentino alla nostra neocorteccia. Questo ci porta a COSTRUIRCI DEGLI ALIBI. 31. LA METODOLOGIA: GLI ALIBI Gli alibi ci danno una motivazione rezionale (costruita a posteriori anche se noi pensiamo che sia a priori) per fare quello che facciamo. Ci fanno sentire meglio perch rendono le nostre azioni apparentemente logiche, dunque pi elevate e socialmente accettabili. 32. LA METODOLOGIA: GLI ALIBI importante considerare, nella comunicazione, sia il codice che gli alibi. Gli alibi veicolano la percezione convenzionale di un prodotto/messaggio/archetipo (il genere di informazioni che si raccolgono in un focus group). Anche se non bisogna credere a questo tipo di messaggio non bisogna comunque ignorarlo. 33. LA METODOLOGIA: IL PRIMO PRINCIPIO NON POSSIAMO CREDERE A CI CHE LE PERSONE DICONO. Non che le persone mentano intenzionalmente, solo che cercano di dare la risposta che ritengono ci si aspetti da loro. Rispondono con la NEOCORTECCIA. Credono di dire la verit ma in realt NON DICONO CI CHE INTENDONO VERAMENTE. Ci che intendono veramente risiede nel CERVELLO RETTILE. 34. LA METODOLOGIA: IL SECONDO PRINCIPIO LE EMOZIONI SONO NECESSARIE A QUALSIASI TIPO DI APPRENDIMENTO Il luogo comune vede una contrapposizione fra la COMPONENTE RAZIONALE (a cui legato lapprendimento di informazioni) e la COMPONENTE EMOTIVA. Ma la realt che se la seconda viene inibita anche la prima non si attiva: senza emozioni non si impara. 35. LA METODOLOGIA: IL TERZO PRINCIPIO IL MESSAGGIO RISIEDE NELLA STRUTTURA, NON NEL CONTENUTO Per comprendere il comportamento di una persona dobbiamo considerarla non come singolo, ma in virt delle relazioni che crea con altre persone, eventi, oggetti... Se intervisto un consumatore a proposito di un prodotto devo prestare attenzione non a come descrive il prodotto ma ALLA RELAZIONE (spesso non esplicita) CHE HA CREATO CON ESSO. 36. LA METODOLOGIA: IL QUARTO PRINCIPIO LIMPRINTING SI VERIFICA IN UNA FINESTRA DI TEMPO LIMITATA E IL SUO SIGNIFICATO VARIA DA CULTURA A CULTURA. La maggior parte degli imprint si verificano entro il settimo anno di vita. Fino a questa et lessere umano infatti primariamente guidato dalle emozioni, poi subentra la logica. 37. LA METODOLOGIA: IL QUARTO PRINCIPIO Di norma fino a sette anni siamo esposti a un solo tipo di cultura GLI IMPRINT CHE RICEVIAMO E CHE VENGONO DEPOSITATI NEL NOSTRO SUBCONSCIO SONO DOMINATI DALLA NOSTRA CULTURA DI APPARTENENZA. 38. 2. LA METODOLOGIA: IL QUARTO PRINCIPIO Questo spiega perch persone appartenenti a diverse culture HANNO REAZIONI COS DIVERSE A PRODOTTI SIMILI. Gli Americani e il burro di noccioline Gli insetti commestibili 39. PRE-VISION(17) Bertinoro, 21 gennaio 20113. LE APPLICAZIONI DEL NEUROMARKETING 40. PERCH IL NEUROMARKETING? Alcuni dati che fanno riflettere: Nel 2007 le aziende americane hanno speso pi di 7,3 miliardi di dollari in ricerche di mercato, sia quantitative (sondaggi, questionari etc), che qualitative (focus group, interviste). A questi si devono aggiungere 117 miliardi di dollari per spese di comunicazione. Nonostante questo 8 su 10 nuovi prodotti che vengono lanciati sul mercato falliscono entro 3 mesi (in Giappone addirittura 9,7 prodotti su 10). 41. PERCH IL NEUROMARKETING? A questo punto ci che i consumatori affermano in questionari o focus group non riflette realmente il loro comportamento 42. IL NEUROMARKETING: LA SFIDA PEPSI-COKE Nel 1975 Pepsi Cola Company decide di lanciare un esperimento estremamente pubblicizzato e divenuto famoso come PEPSI CHALLENGE. Si tratta di un test cieco di degustazione: un bicchiere contiene della Coca Cola, un altro della Pepsi. Il consumatore, senza sapere quale delle due sta sorseggiando, deve indicare una preferenza. Risultato: pi della met del campione dichiara di preferire il gusto della Pepsi. Questo per non riflette affatto le quote di mercato. 43. IL NEUROMARKETING: LA SFIDA PEPSI-COKE Nel 2003 il dr. Read Montague, direttore dello Human Neuroimaging Lab di Houston, decide di verificare la Pepsi Challenge grazie alla risonanza magnetica. Ripete il test ottenendo gli stessi risultati che erano emersi nellesperimento originale. Inoltre rileva unattivit pi intensa nel putamen, larea cerebrale che viene stimolata quando gustiamo qualcosa di gradevole, ogni qualvolta viene sorseggiata una Pepsi. 44. IL NEUROMARKETING: LA SFIDA PEPSI-COKE Il test viene poi ripetuto facendo conoscere ai partecipanti il tipo di bevanda che stanno sorseggiando. Risultato: il 75% dichiara di preferire Coca Cola. Inoltre, nel caso della Coca Cola, viene rilevata unattivit cerebrale anche nella corteccia mediale prefrontale, una parte del cervello deputata, fra le altre cose, al pensiero sofisticato e al discernimento. Ossia: RAZIONALMENTE avrebbero dovuto preferire Pepsi ( pi buona) ma EMOZIONALMENTE preferivano Coca Cola. 45. IL NEUROMARKETING: LA SFIDA PEPSI-COKE Perch? Perch tutte le immagini, storie, sensazioni, esperienze associate a Coca Cola e abilmente costruite dal marketing nei decenni condizionavano inconsapevolmente la scelta (infatti razionalmente il consumatore dice Bevo Coca Cola perch mi piace di pi). 46. PRODUCT PLACEMENT: FUNZIONA DAVVERO? Il product placement vecchio quanto il cinema: i fratelli Lumire inserirono diverse apparizioni del sapone Lever (di propriet di quella che sarebbe diventata la multinazionale Unilever) nei loro primi corti. Nel 1932 la White Owl Cigars sponsorizz il film Scarface (250mila dollari) a patto che lattore Paul Muni fumasse i suoi sigari. 47. PRODUCT PLACEMENT: FUNZIONA DAVVERO? Le caramelle che il piccolo Elliott semina per terra nel film ET sono le Hersheys Reese. Spielberg si rivolse a questazienda dopo un rifiuto da parte di M&Ms. Il risultato? Vendite triplicate una settimana dopo luscita nelle sale del film. 48. PRODUCT PLACEMENT: FUNZIONA DAVVERO? Grazie a Tom Cruise la Ray-Ban riusc a rilanciare un marchio che da anni era oppresso da vendite pressoch piatte. 49. PRODUCT PLACEMENT: FUNZIONA DAVVERO? Il product placement ha dunque aiutato molti brand. Purtroppo oggi la sua onnipervasivit ne limita molto lefficacia. Un paio di esempi: Die Another Day (della saga di James Bond): 23 marchi in 123 minuti di film. Transformers: 68 marchi in 145 minuti. Driven: 103 marchi in 117 minuti. 50. PRODUCT PLACEMENT: FUNZIONA DAVVERO? Unesperimento ha testato la memorabilit di alcuni brand oggetto di product placement nella trasmissione American Idol. Anche in questo caso si fatto ricorso alla risonanza magnetica. Brand testati: Ford, Cingular, Wireless, Coca Cola pi altri marchi non presenti nel programma (per vedere la differenza). Risultato: il product placement effettivamente aumentava molto la memorabilit del brand, ma con significative variazioni 51. PRODUCT PLACEMENT: FUNZIONA DAVVERO? Il ricordo di Ford, ad esempio, veniva di fatto inibito dalla presenza di Coca-Cola. Perch? Perch la presenza della seconda era contestualmente integrata nella narrativa del programma (es. i giudici sorseggiavano la bevanda prima di esprimere i loro commenti). Ford invece utilizzava degli stacchetti decontestualizzati. Quindi: il product placement funziona per quei marchi che giocano un ruolo sostanziale nella narrativa del programma. Altrimenti sono comparse facilmente dimenticate. 52. QUANDO IL NO LOGO AIUTA LE AZIENDE Le limitazioni imposte da molti governi alle pubblicit di sigarette hanno spinto le multinazionali del tabacco a utilizzare strumenti di comunicazione assai pi sofisticati. Philips Morris, ad esempio, offre incentivi finanziari ai gestori dei locali perch questi predispongano larredamento in modo tale che questo rispecchi i colori e il mood del brand Marlboro. 53. QUANDO IL NO LOGO AIUTA LE AZIENDE Questi Marlboro Motel non espongono nessun marchio, ma si presentano come spaziose lounge arredate con comodi sof rossi posizionati di fronte a schermi TV che mostrano scene del selvaggio west. 54. QUANDO IL NO LOGO AIUTA LE AZIENDE Per verificare la reale portata di questo marketing subliminale si utilizzata ancora una volta la risonanza magnetica. A un campione di fumatori in astinenza da diverse ore stata mostrata una galleria di immagini, alcune esplicitamente riferite a marchi di sigarette (pacchetti riconoscibili, loghi) e altre con un legame implicito (cowboy a cavallo, un tramonto, un cammello nel deserto). Risultato: larea cerebrale associata al desiderio di fumare presentava maggiore attivit con le immagini non brandizzate. 55. QUANDO IL NO LOGO AIUTA LE AZIENDE Il motivo? Quando vediamo limmagine di un logo sappiamo di essere di fronte a un messaggio pubblicitario, di conseguenza alziamo la guardia per difenderci da quella che percepiamo come unintrusione. Questo non avviene quando i riferimenti al brand sono impliciti e non immediatamente riconoscibili. 56. QUANDO IL NO LOGO AIUTA LE AZIENDE Nel 1997 in preparazione per la messa al bando delle pubblicit di sigarette da parte del governo britannico, Silk Cut inizi a posizionare il suo logo contro uno sfondo di seta viola in ogni pubblicit realizzata. Ben presto i consumatori cominciarono ad associare la seta viola al marchio. Quando il bando entr in vigore, lazienda fece realizzare dai billboard che mostravano solo il drappo viola. Il 98% dei consumatori intervistati associava quel drappo a Silk Cut. 57. PRE-VISION(17) Bertinoro, 21 gennaio 20114. MARKETING E RELIGIONE 58. MARKETING E RELIGIONE Allinizio degli anni 90 Guinness stava registrando consistenti perdite nei pub inglesi. Perch? I consumatori non volevano aspettare dieci minuti per la spillatura della loro birra. Cos lazienda decide di trasformare linconveniente in un punto di forza. Viene lanciata una campagna contrassegnata dagli slogan Le cose buone vanno a coloro che sanno aspettare e Ci vogliono 119,53 secondi per spillare la pinta perfetta. Nasce un rituale, che diventa parte integrante della drinking experience. 59. MARKETING E RELIGIONE I rituali ci aiutano a creare connessioni emotive con brand e prodotti. Rendono ci che acquistiamo memorabile. Pi il mondo in cui viviamo diventa imprevedibile, pi sentiamo il bisogno di esercitare un controllo nelle nostre vite. I rituali ci aiutano in questo. Prodotti e brand che sono associati a qualche rituale sono pi radicati nella memoria del consumatore rispetto ad altri. 60. MARKETING E RELIGIONE Daltro canto lossessione che molti consumatori sviluppano per determinati brand ha molto in comune con il comportamento religioso e ritualistico. Per i consumatori la partecipazione a una comunit di marchio un modo per costruire e consolidare la propria identit, resa fragile dallestrema mobilit delle nostre societ; tali identit esistono nello sguardo di altri individui che condividono gli identici interessi. 61. MARKETING E RELIGIONE 62. MARKETING E RELIGIONE Nellestate del 2007 fan di Apple, fanatici di gadget e trend watchers aspettavano con trepidazione luscita del pluriannunciato Apple iPhone. Diverse voci avevano preso a circolare nel web dopo che Steve Jobs aveva presentato la nuove creatura Apple al MacWorld di gennaio. Il nuovo telefono sarebbe stato qualcosa di sovrannaturale e avrebbe rappresentato il device digitale definitivo, assicurando tutta la tua vita a portata di mano. 63. MARKETING E RELIGIONE Nei 6 mesi che precedono il lancio ufficiale, la comunit dei blogger si scatena: liPhone viene presentato come qualcosa in pi di una tecnologia rivoluzionaria, viene rappresentato come il nuovo salvatore tecnologico e ribattezzato JESUS PHONE. 64. MARKETING E RELIGIONE Se il termine viene coniato scherzosamente dallo staff di Gizmodo, gli altri blogger e anche i media mainstream si appropriano del termine arricchendolo con una iconografia specifica. 65. MARKETING E RELIGIONE 66. MARKETING E RELIGIONE 67. MARKETING E RELIGIONE 68. MARKETING E RELIGIONE LiPhone viene descritto utilizzando una terminologia e immagini mutuate dal lessico religioso, tanto che la stessa Apple comincia a utilizzare gli stessi codici comunicativi nei suoi adv. 69. 1. Prayer fw 2012/13 StarrGazr 70. LINK > STRONG POINTS 71. Ascetismo. Neo-minimalismo. Frugalit. Artigianalit. Semplicit. Estetica zen. Wabi-sabi, bellezza imperfetta, impermanente e incompleta. Rigore. Pulizia formale.01. STRONG POINTSParole chiave 72. Chiese, monasteri. Atmosfere brumose. Interni da Il nome della Rosa. Luce soffusa, luce che filtra in ambienti bui. Stanze per la cerimonia del t. Giardini di pietra. Capitelli. Piccole cappelle metropolitane.01. STRONG POINTSAmbienti 73. Terracotta. Materiali non trattati. Metalli semplici. Forme lineari e squadrate. Cappa, saio, mantella, abito da pellegrino. Lino, canapa, tela grezza, corde. Cera, candele. Carta pergamena. Sandali francescani. Cenere. Perle di rosario. Vetrate colorate.01. STRONG POINTSMateriali e forme 74. Bianco lattato. Nero penitenziale. Marrone monastico, grigio, bigio. Beige, crema. Grigio azzurrato. Dicotomia luce/buio. Iconografia religiosa rivisitata. Mandala. Antiche miniature. Crocifisso in versione pop. Fiori secchi, fiori finti.01. STRONG POINTSGrafica e colori 75. PRE-VISION(17) Bertinoro, 21 gennaio 20115. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO 76. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO Di recente hanno fatto la loro comparsa due tendenze apparentemente contraddittorie. La prima la presa di coscienza da parte di molti musulmani, soprattutto giovani, che vivono in Occidente. Sono alla ricerca di uno stile di vita halal (lecito) al 100%. Vi sono dunque nuove opportunit per tutte le aziende che vendono prodotti certificati. La seconda tendenza la crescente attrattivit di cui godono le marche occidentali nei paesi islamici. 77. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO Da un lato quindi molto giovani che abitano in Occidente rispettano i pilastri dellislam con grande rigore, acquistano cibi esclusivamente halal, guardano la tv via satellite e rispettano il ramadan. Dallaltro i giovani che abitano nei paesi musulmani desiderano conformarsi agli standard occidentali e smettono di osservare alcuni principi islamici. 78. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO Secondo un rapporto pubblicato da The Telegraph, il 40% dei musulmani tra i 16 e i 24 anni afferma che preferirebbe che vi fosse la sharia (la legge islamica) in Gran Bretagna. Soltanto il 17% degli over55 la pensa allo stesso modo. La radicalizzazione dei musulmani si manifestata soprattutto dopo gli attentati di Londra del 2005 e ha portato a unimpennata delle vendite di prodotti associati a uno stile di vita halal. 79. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO In Italia la presenza islamica sul territorio pari a oltre 1,5 milioni di fedeli, concentrati nel centronord. In Francia si parla di quasi 5 milioni di fedeli. Nel territorio della UE i musulmani sono circa 35 milioni. Negli USA il numero di musulmani pari a 7 milioni di fedeli (nelle principali 5 citt) in base ad una valutazione del 2003 da parte delle comunit islamiche locali (negli States vietata lanalisi statistica su base religiosa). Larea dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente conta oltre 350milioni di potenziali consumatori. 80. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO Lislam pone laccento sullortoprassi (comportamento corretto) piuttosto che sullortodossia (dottrina corretta). nella pratica quotidiana che si identifica un buon musulmano. Se una religione ha un impatto cos importante sul comportamento in generale, avr altrettanta influenza su quello dei consumatori in particolare. Inoltre, se lanticonformismo assimilabile alleresia, sar considerata inaccettabile lintroduzione di qualunque concetto che provochi un comportamento diverso da quello della maggioranza. 81. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO Lislam impone un codice etico per tutti gli aspetti della vita, ma i suoi dettami sono pi comunemente riscontrabili nellalimentazione, nei prodotti farmaceutici e nei cosmetici. Ci che lecito definito halal. Lonest il principale dovere morale, le menzogna non viene tollerata, neanche quella per omissione. Se unazienda non rende noto linsieme degli ingredienti di un prodotto oppure ne fornisce uno falso, i consumatori musulmani si riterranno in diritto di pretendere un rimborso. 82. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO Si assiste al proliferare di siti web che cercano di aiutare i credenti. Le domande sono tra le pi diverse: che genere di musica ascoltare? consentito mettersi lo smalto? Il fatto che grazie a Internet sia possibile interagire con degli studiosi incrementa e facilit la richiesta di consigli. 83. RELIGIONE E CONSUMI: ALIMENTAZIONE HALAL Come risaputo, carne di maiale e alcol sono haram (vietati). Ma per essere considerata halal non sufficiente che una carne sia lecita: lanimale da cui proviene deve essere stato sacrificato in modo adeguato. Per alcuni, inoltre, la persona che esegue il sacrificio deve essere un musulmano devoto, per altri pu essere anche un ebreo o un cristiano. Inoltre sono coinvolti nella diatriba halal/haram anche un serie di prodotti che utilizzano derivati del maiale o alcool in percentuale minima. 84. RELIGIONE E CONSUMI: ALIMENTAZIONE HALAL Le gomme da masticare, ad esempio, contengono gelatina, che pu essere di origine suina. La Wrigley ha informato i consumatori musulmani che I prodotti Juicy Fruit Pellet e Spearmint ne prevedono luso. Per penetrare sul mercato musulmano, varie aziende hanno deciso di lanciare dolciumi halal. Fra queste c anche il principale produttore europeo, Haribo. 85. RELIGIONE E CONSUMI: ALIMENTAZIONE HALAL Le bevande gassate sono halal? Quasi sempre i produttori mantengono segreta la formula, ovvero lelenco di tutti gli ingredienti utilizzati. Tanto che le leggende su quella della Coca Cola non si contano. Visto che le ricette sono segrete, alcuni sospettano che le formule dei due colossi comprendano sostanze haram (per esempio maiale o alcol). 86. RELIGIONE E CONSUMI: ALIMENTAZIONE HALAL Nel caso di Pepsi, lazienda ha deciso di togliere lalcol utilizzato come solvente di un aroma naturale del Gatorade. Tuttavia altri prodotti come Vanilla Pepsi e Diet Vanilla Pepsi contengono estratto di vaniglia, che ha un contenuto del 35% di alcol etilico. Sono dunque considerati haram. 87. RELIGIONE E CONSUMI: ALIMENTAZIONE HALAL Mecca-Cola una bevanda gassata che si propone come alternativa alle marche americane. stata lanciata in Francia nel 2002. Promette di destinare il 10% degli utili al finanziamento di progetti umanitari nei territori palestinesi e un ulteriore 10% a enti di beneficenza del paese in cui la bevanza viene venduta. Il tutto viene riportato sulle etichette delle bottiglie assieme allo slogan Smettete di bere idiota, bevete impegnato!. Ovviamente un prodotto halal. 88. RELIGIONE E CONSUMI: ALIMENTAZIONE HALAL Ai musulmani non interessano solo lelenco degli ingredienti o i metodi di macellazione: vogliono anche sapere come vengono preparati i vari prodotti al ristorante. I locali statunitensi di Burger King sono stati accusati di utilizzare la stessa friggitrice per cucinare salsicce di maiale, filetti di pesce e pollo. Per alcuni musulmani non dunque sufficiente che gli ingredienti siano sicuri: lo devono essere anche le attrezzature e i mezzi di trasporto. 89. RELIGIONE E CONSUMI: ALIMENTAZIONE HALAL I musulmani che vivono nei paesi non islamici devono far fronte a tre problemi principali. 1. Lassenza o lesiguo numero di ristoranti e gastronomie che offrono alimenti halal, soprattutto carne. 2. Lonnipresenza della carne di maiale nella cucina occidentale. Non sufficiente ordinare altri tipi di carne: questi possono essere contaminati, nel caso il cuoco utilizzi lo stesso coltello per tagliare carne bovina e suina. 3. Il frequente utilizzo di alcol in cucina. 90. RELIGIONE E CONSUMI: ALIMENTAZIONE HALAL Il 18 febbraio 2007 iniziava, secondo il calendario lunare cinese, lanno del maiale. Tradizionalmente le multinazionali presenti su quel mercato mettono a punto pubblicit a tema. Nestl e Coca Cola avevano previsto come mascotte dei maialini sorridenti. Ma la direzione centrale della televisione cinese ha vietato tutti gli annunci pubblicitari in cui comparivano dei maiali, dichiarando che la Cina un Paese multietnico e non si devono offendere i musulmani che vi abitano. Non era mai accaduto prima, anche perch i musulmani sono meno del 2% della popolazione. 91. RELIGIONE E CONSUMI: COSMESI HALAL Lindustria cosmetica fa ampio ricorso allutilizzo di gelatina. Inoltre spesso reticente a divulgare le formule di preparazione. Pur non riportando la lista completa degli ingredienti, alcune imprese si sentono in dovere di dire quali non ne fanno parte. Nivea per esempio precisa che la sua crema per il viso non contiene sostanze suine o bovine. Per i profumi il problema principale la presenza di alcol etilico, nonch la segretezza delle formule. 92. RELIGIONE E CONSUMI: COSMESI HALAL In Asia viene commercializzato un dentifricio halal Colgate e salviette umidificate antibatteriche, per rendere la vita pi semplice ai musulmani che devono usare bagni che non offrono la possibilit di lavarsi. La pulizia infatti un elemento estremamente importante della pratica religiosa. In occasione delle Olimpiadi di Londra del 2012 verranno costruite toilette speciali per i musulmani e si far in modo che non siano rivolte verso la Mecca. 93. RELIGIONE E CONSUMI: COSMESI HALAL Tutorial online MAKEUPADIKT 94. RELIGIONE E CONSUMI: COSMESI HALAL Pure Makeup la prima linea di makeup minerale halal lanciata nel mercato inglese da Samina Akhter. Volevo creare un marchio di cosmetici certificati halal perch non mi sentivo al 100% tranquilla nellacquistare i prodotti in commercio: gli ingredienti sono poco comprensibili e non si capisce bene cosa vi sia dentro il prodotto. Il target sono le donne musulmane ma non solo: Pure Makup si rivolge a tutti coloro che desiderano un prodotto veramente puro, sicuro e controllato. 95. RELIGIONE E CONSUMI: COSMESI HALAL La differenza rispetto ad altre linee di make-up vegane o bio? Pure Makeup non contiene alcol, derivati animali e prodotti chimici. Vi sono aziende che si dichiarano animal free ma propongono prodotti che contengono carminio (che si ricava dal corpo disseccato di un insetto, noto come la cocciniglia del carminio). Halal diviene dunque sinonimo di SICUREZZA E RIGORE. 96. RELIGIONE E CONSUMI: COSMESI HALAL Altro marchio di cosmesi halal One Pure. 97. RELIGIONE E CONSUMI: LA CERTIFICAZIONE HALAL Perch un prodotto possa essere dichiarato halal non sufficiente escludere dagli ingredienti carne di maiale e alcol, e neppure basta chiamare un musulmano a benedire il macello. Infatti non solo gli ingredienti vanno analizzati per verificarne la liceit, ma anche i fornitori dovrebbero essere in possesso di una certificazione. Dunque tutta la filiera deve essere sotto controllo (prodotti e macchinari compresi). Nei paesi musulmani vi un ente centrale di certificazione che detta le norme alle imprese. Nei paesi occidentali vi sono molti enti di certificazione halal: negli USA, ad esempio, sono pi di 80. 98. RELIGIONE E CONSUMI: LA CERTIFICAZIONE HALAL Secondo lAmerican Muslim Research & Information Center di New York le spese alimentari dei musulmani americani ammontano a 12 mld di dollari e il mercato mondiale halal ha un valore di 150 mld di dollari lanno. Si stima che il mercato della carne halal in Europa abbia un valore di 5 mld di euro, con una crescita del 15% annuo a partire dal 1998. Sono circa 20 mln i musulmani che acquistano pi o meno regolarmente prodotti alimentari halal. Nel Regno Unito vivono circa 3 mln di musulmani, ma i consumatori di carne halal sono 6 milioni. 99. RELIGIONE E CONSUMI: LA CERTIFICAZIONE HALAL In Italia si stima un potenziale mercato di oltre 4,5 milioni di Euro per sughi pronti in versione halal e circa 3 milioni di Euro per primi piatti confezionati (certificati halal). Lo scorso mese di giugno stato registrato dalla Coreis (Comunit religiosa islamica) Italiana il marchio Certificazione Halal Italia. Questo attesta la conformit alle leggi dell'Islam di vari prodotti del settore agro-alimentare, cosmetico e farmaceutico, destinati anche ai mercati dei Paesi a maggioranza islamica. 100. RELIGIONE E CONSUMI: LA CERTIFICAZIONE HALAL Il successo dellalimentazione halal nei paesi occidentali non dovuto soltanto al maggior numero di musulmani, ma allaffermarsi di nuove tendenze nel mercato agroalimentare. Molti consumatori ritengono che i prodotti halal e kosher (cibi preparati in conformit con le particolari regole alimentari ebraiche) siano pi controllati durante tutte le fasi della preparazione e lavorazione, cos da essere i pi rispettosi delle norme di igiene e sicurezza. 101. RELIGIONE E CONSUMI: LA CERTIFICAZIONE HALAL La giovent musulmana dei paesi occidentali, come si gi detto, sempre pi attenta al rispetto dei principi religiosi. Il mercato halal rappresenta unopportunit senza pari. Innanzitutto nei paesi musulmani, dove tutti i prodotti sono ovviamente halal ma dove manca la variet. In secondo luogo nei mercati occidentali, dove molti musulmani non riescono a soddisfare i loro bisogni perch i prodotti halal non sono presenti in tutti i punti vendita. 102. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Gli stilisti procedono con cautela quando si tratta di realizzare creazioni per i musulmani perch ricordano quanto successe nel 1994 a Karl Lagerfeld, quando present per Chanel un body indossato da Claudia Schiffer su cui erano stampati versetti del Corano. In seguito alle proteste dei musulmani e dellopinione pubblica il body venne ritirato dal mercato e vennero anche distrutti i negativi delle foto scattate durante la sfilata. 103. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Nel 2006 unazienda di Udine ha lanciato dei jeans speciali per la preghiera musulmana. Gli Al-Quds Jeans (Al-Quds il nome utilizzato dagli arabi per indicare Gerusalemme) sono a cintura alta con gambe pi ampie e ginocchia rinforzate per facilitare l'atto della preghiera, e hanno tasche pi grandi per poter contenere orologi, anelli e altri accessori che si devono togliere durante le abluzioni. Al loro debutto sul mercato hanno suscitato reazioni contrastanti. 104. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Lislam invita i fedeli a evitare qualsiasi tipo di ostentazione. Vestiti e prodotti di bellezza devono quindi essere orientati alla MODESTIA e al rifiuto degli eccessi. La sobriet in termini di abbigliamento femminile sinonimo di velo o hijab. Questo copre la testa e il corpo della donna e viene abbinato a vestiti che devono essere: a) Ampi a sufficienza per nascondere le forme del corpo b) Spessi, per nascondere le forme del corpo e il colore della pelle c) Modesti, puliti e dignitosi 105. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Lo hijab viene considerato il simbolo dellidentit musulmana. Oggi ci troviamo di fronte a una radicalizzazione in tema di abbigliamento, persino nei paesi considerati liberali come lEgitto e la Turchia. Lesempio lo hanno dato le star del cinema e della televisione che nel 2005 hanno iniziato a mettersi il velo, inducendo milioni di giovani a fare altrettanto. 106. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Le giovani musulmane di seconda o terza generazione che vivono in Europa sono pi propense a vestirsi secondo i dettami religiosi di quanto non lo siano le loro madri. E spesso, in Europa e nel Maghreb, indossano il velo nonostante il parere contrario della famiglia. Tuttavia le donne musulmane non vogliono indossare vestiti tutti uguali e chiedono prodotti creativi, pur nel rispetto dei valori dellislam. 107. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Molte donne, alla ricerca di un po di originalit, ricorrono a varianti degli abiti tradizionali (spesso preislamici), che le autorit non possono mettere al bando. probabilmente questo il motivo del successo dei caftani e di altri abiti tradizionali. 108. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Le donne che indossano abiti islamici in linea con le tendenze moda vengono dette hijabi. Utilizzano spesso Internet con strumento per cercare informazioni (diversi modi di indossare il velo) e prodotti, e anche per condividere le proprie scelte di stile. Rappresentano un perfetto esempio di consumatore che ricorre al faida-te per rispondere a bisogni che il modo produttivo ancora non riesce pienamente a soddisfare. 109. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Ispirazioni dalle celebrities con le opportune modifiche. 110. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Combinazioni creative di capi occidentali, utilizzando Polyvore. 111. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Ispirazioni da altre hijaby: solitamente si tratta di interessanti mix di capi islamici (come abaya) e capi occidentali (ad esempio maxi abiti). 112. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Streetstyle. Un esempio Hijabshigh.com, che si ispira al celebre The Sartorialist. 113. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Style Islam un brand lanciato nel 2006 da Melih Kesmen, designer 36enne nato in Germania da genitori turchi, che mixa Islam e pop culture. 114. RELIGIONE E CONSUMI: FASHION E ISLAM Elenany, il brand di abbigliamento street islamico che potrebbero indossare anche gli occidentali.http://www.guardian.co.uk/lifeand style/video/2009/may/21/musli m-fashion-elenany 115. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO La Ilkone Mobile Telecommunication, societ di Dubai, ha lanciato nel 2005 un telefono cellulare islamico, Ilkone i800. Esso consente di individuare dove si trova La Mecca da 5mila localit del mondo, ha in memoria il Corano con traduzione in inglese, suona prima e dopo ladhan (lappello alla preghiera), si mette automaticamente su silenzioso e modalit vibrazione per 40 minuti dopo ladhan, consente di consultare il calendario islamico. 116. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO Una proposta simile quella di LG. LG GD335 dotato di una serie di applicazioni volte a favorire la pratica religiosa quotidiana. Il telefonino offre anzitutto il Corano, con musica e immagine del testo che scorre seguendo la recitazione, consentendone anche la traduzione in varie lingue; gli 'ahadith' (le parole della tradizione del Profeta); l'annuncio delle ore della preghiera; l'invito alla preghiera (adhn). Con l'aiuto di una bussola elettronica indica la direzione della Mecca (Qibla). 117. RELIGIONE E CONSUMI: MARKETING ISLAMICO Lequivalente delliPod stato lanciato dalla britannica Harf Co. I-Muslim un lettore multimediale islamico. Tra le sue funzioni vi sono: la voce dello sceicco Mashari Al-Rashid Efasy che recita il Corano, le traduzioni in arabo, inglese e francese, i 99 nomi di Allah, gli orari delle preghiere in 6 milioni di localit del mondo, la direzione de La Mecca, un calendario islamico e un rosario numerico. 118. 3. Hijab chic fw 2012/13 Jose Fernandez 119. LINK > STRONG POINTS 120. Modesty + glamour. Etnico rivisitato. Mix & match. Accostamento di usanze e culture differenti. Commistione oriente / occidente. Melting pot. Multiculturalismo.01. STRONG POINTSParole chiave 121. Moschee. Mercati cittadini. Palestre convertite in luoghi di culto. Comunit islamiche in capitali europee. Tappeti per la meditazione.01. STRONG POINTSAmbienti 122. Forme fluide, scivolate, che non segnano il corpo. Capo velato. Layering, sovrapposizione di strati. Sovrapposizioni di trasparenze. Seta, organza, taffet + denim. Tessere di mosaico.01. STRONG POINTSMateriali e forme 123. Calligrafia islamica. Collage. Patchwork. Massimalismo decorativo. Accostamento disordinato di pattern differenti. Caleidoscopi. Piccoli pattern per decorazioni all over. Colori saturi, decisi, brillanti. Scrapbook style. Mix di graffiti e calligrafia araba.01. STRONG POINTSGrafica e colori 124. CD 2011 TRENDS MATRIX Inpirations FW 2012/13 Inspirations per la stagione Fall Winter 2012/13 Input da e per: fashion, interior, architettura, fotografia, arte, grafica, gioiello, hair styling CD con circa 350 slides che comprendono: 4 video animati e con commento musicale per 4 temi: Prayer, Magic, Hijab Chic, Science Lab. 4 pdf con moodboard e fonti 4 pdf con approfondimento relativo ai macrotrend di consumo e con riferimenti iconografici per ampliare la ricerca Il tutto per un totale di oltre mille immagini!