PRESS REVIEW - Federica Schiavo Gallery · 2018. 1. 26. · A Berlino inizialmente il mio lavoro...

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FEDERICA SCHIAVO GALLERY ROMA MILANO

PATRICK TUTTOFUOCO

PRESS REVIEW

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FEDERICA SCHIAVO GALLERY ROMA MILANO

La nuvola del lavorodi Corriere - @Corriereit

Storie Dell’Arte / Patrick Tuttofuoco l’incontrotra arte e architettura1 GENNAIO 2018 | di Maria Chiara Valacchi

di Maria Chiara Valacchi

Patrick Tuttofuoco, artista nato a Milano nel 1974, fonda la sua opera su una complessaintersezione di declinazioni concettuali, sovrapponendo alla disciplina dell’arte i codici dialtre scienze quali l’architettura, il design e la tecnologia, un risultato coerente che trova le sueradici nella sua formazione professionale.

Il primo amore per l’arte grazie a Paola Mola, insegnate del liceo artistico di Monza ed ancheuna delle massime esperte dell’opera di Medardo Rosso. Il suo percorso educativo si spostaverso l’architettura frequentando le classi del Politecnico di Milano; lì l’incontro con CorradoLevi, figura poliedrica che dopo poco gli conferisce l’incarico di “cultore della materia” per isuoi corsi di design del primo anno.

In lui cresce la voglia di vivere l’architettura in maniera trasversale, la progettazione tout courtgli va stretta e dopo quattro anni abbandona gli studi per l’Accademia di Belle Arti di Brera.

“Quando mi sono trovato in segreteria per iscrivermi a Brera ero pieno di dubbi, dovevoaccedervi tramite un test di ammissione che speravo di superarlo senza troppe difficoltà, mal’esito fu differente. Arrivò al contempo la cartolina militare, e mi trovai dal politecnico ad unpaesino montano per svolgere il servizio civile…è stato un annus orribilis, ma da questopiccolo arresto ho capito che dovevo finalizzare ogni mio sforzo per raggiunger l’obbiettivo didiventare un’artista”

 Accede finalmente a Brera nella classe di Alberto Garutti e grazie al suo corso entra in contattocon Luca Cerizza, giovane curatore che lo coinvolge nel 1999 nella prima esposizione a CasaMasaccio dal titolo “Something old, something new, something borrowed, something blue”

Frequenta artisti coetanei come Diego Perrone, Christian Frosi, Paola Pivi, Roberto Cuoghi,Riccardo Previdi, Massimo Grimaldi e Giuseppe Gabellone ed è grazie a quest’ultimo cheentra in contatto con Claudio Guenzani, gallerista di punta di tutta una generazione di artisti,con il avvia una lunga collaborazione iniziata nel 2000 e conclusa da poco.

La nuvola del lavorodi Corriere - @Corriereit

Storie Dell’Arte / Patrick Tuttofuoco l’incontrotra arte e architettura1 GENNAIO 2018 | di Maria Chiara Valacchi

di Maria Chiara Valacchi

Patrick Tuttofuoco, artista nato a Milano nel 1974, fonda la sua opera su una complessaintersezione di declinazioni concettuali, sovrapponendo alla disciplina dell’arte i codici dialtre scienze quali l’architettura, il design e la tecnologia, un risultato coerente che trova le sueradici nella sua formazione professionale.

Maria Chiara Valacchi, “Storie Dell’Arte / Patrick Tuttofuoco l’incontro tra arte e architettura”, Corriere.it, January 2018

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“Milano in quegli anni era un contesto splendido, fiorente, intellettualmente stimolante…nonostante mancasse una vera collaborazione tra noi artisti, insieme frequentavamo openingse studi e ci relazionavamo con curatori come Massimiliano Gioni, oggi direttore associato delNew Museum di New York, ma allora giovane editor di Flash Art, Francesco Bonami oGianfranco Maraniello che mi invitò a partecipare ad una collettiva al palazzo delle Papesse diSiena”

 Nel 2001 per la prima volta un museo estero, lo SMAK di Gent, gli commissiona un’opera sitespecific per la collettiva “Casino 2001” curata da Jeanne Greenberg con cui entra in contattotramite Giovanna Amadasi, allora collaboratrice della Fondazione Prada, che lo indica comeuno tra i migliori emergenti in città.

Nel 2003 si prospetta un’altra importante occasione, Massimiliano Gioni lo invita insieme aDiego Perrone, Anna de Manincor, Alessandra Ariatti e Micol Assael a rappresentare l’Italia nelsuo padiglione chiamato “La Zona” alla Biennale di Venezia del 2003. Nel 2004 è presenteanche per l’inaugurazione del nuovo 21st Century Museum of Contemporary Art di Kanazawa

progettato dal duo di architetti Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa aka Sanaa, con cui entraattivamente in contatto ravvivando l’antica passione per l’architettura e realizzando quattroopere in mostra intitolate “Byrcicle (Silvia, Alessandra, Emiko, Ritsu)” per la collettiva “TheEncounters in the 21st Century : Polyphony”.

 Il 2007 è la volta della galleria Haunch of Venison, grande galleria di Londra che gli offre lapossibilità di invadere tutti i tre piani della galleria e per la quale produrrà la grandeinstallazione “Future City” esposta lo stesso anno in Piazza del Popolo a Roma qualeconclusione dell’evento “Enel Contemporanea” curato da Francesco Bonami.

“E’ stata un’esperienza formativa ma tosta, lavorare per una galleria corporate, con molte sedie con un’impostazione aziendale presenta molte difficoltà specialmente nell’istaurarerapporti…dopo la grande personale ho terminato la mia collaborazione nonostante l’ottimorisultato e l’affinità intellettuale con l’allora direttrice Pilar Corrias con la quale ho ancheesposto nel 2009 nella sua galleria omonima. Per me il momento focale è la mostra personalein galleria, non tanto come occasione di mercato ma come momento di riflessione e grandeformazione, specialmente quando si ha la fortuna di avere rapporti con musei o biennali…lefiere per quanto mi riguarda hanno sempre avuto una valenza secondaria”

 Nel 2009 si trasferisce a Berlino con tutta la famiglia per allontanarsi da un contesto, quelloMilanese ormai navigato, e dopo due anni espone nella importante galleria Peres Project; giànel 2008 un primo approccio con la capitale tedesca per la personale “Dandelion” alKünstlerhaus Bethanien a seguito di un progetto di residenza, un’esperienza che precederàaltre simili in Canada e all’I.S.C.P di New York.

 “la residenza è un’importante esperienza formativa, consiglio ai giovani artisti di provarequesta strada che può offrire un valido supporto per conoscere e farsi conoscere…altroconsiglio andare all’estero, rapportarsi con un’ altra società e sistema ed uscire dalla propriaconfort zone. A Berlino inizialmente il mio lavoro non rispecchiava l’estetica accettata dagliambienti culturali della città ma mi offriva la possibilità di entrare in diretto rapporto consistemi dell’arte a me sconosciuti o fino ad allora lontani […] L’esperienza berlineseinizialmente non è stata facile, il mercato era fermo e persino la spinta creativa era assopitadalla crisi. Mi sono chiuso in studio ed ho iniziato a lavorare alacremente con le mani, facendosubentrare la figurazione…il mio lavoro è modificato in maniera imprescindibile….è stata unacondizione di crisi necessaria per la crescita”

Alla carriera di artista Patrick Tuttofuoco affianca anche quella dell’insegnamento, dal 2007 e per sette anni tiene un corso di Visual Art all’Accademia NABA di Milano e a Berlino per l’Under Graduate al campus della New York University.

Maria Chiara Valacchi, “Storie Dell’Arte / Patrick Tuttofuoco l’incontro tra arte e architettura”, Corriere.it, January 2018

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“E’ stata un’esperienza formativa ma tosta, lavorare per una galleria corporate, con molte sedie con un’impostazione aziendale presenta molte difficoltà specialmente nell’istaurarerapporti…dopo la grande personale ho terminato la mia collaborazione nonostante l’ottimorisultato e l’affinità intellettuale con l’allora direttrice Pilar Corrias con la quale ho ancheesposto nel 2009 nella sua galleria omonima. Per me il momento focale è la mostra personalein galleria, non tanto come occasione di mercato ma come momento di riflessione e grandeformazione, specialmente quando si ha la fortuna di avere rapporti con musei o biennali…lefiere per quanto mi riguarda hanno sempre avuto una valenza secondaria”

 Nel 2009 si trasferisce a Berlino con tutta la famiglia per allontanarsi da un contesto, quelloMilanese ormai navigato, e dopo due anni espone nella importante galleria Peres Project; giànel 2008 un primo approccio con la capitale tedesca per la personale “Dandelion” alKünstlerhaus Bethanien a seguito di un progetto di residenza, un’esperienza che precederàaltre simili in Canada e all’I.S.C.P di New York.

 “la residenza è un’importante esperienza formativa, consiglio ai giovani artisti di provarequesta strada che può offrire un valido supporto per conoscere e farsi conoscere…altroconsiglio andare all’estero, rapportarsi con un’ altra società e sistema ed uscire dalla propriaconfort zone. A Berlino inizialmente il mio lavoro non rispecchiava l’estetica accettata dagliambienti culturali della città ma mi offriva la possibilità di entrare in diretto rapporto consistemi dell’arte a me sconosciuti o fino ad allora lontani […] L’esperienza berlineseinizialmente non è stata facile, il mercato era fermo e persino la spinta creativa era assopitadalla crisi. Mi sono chiuso in studio ed ho iniziato a lavorare alacremente con le mani, facendosubentrare la figurazione…il mio lavoro è modificato in maniera imprescindibile….è stata unacondizione di crisi necessaria per la crescita”

Alla carriera di artista Patrick Tuttofuoco affianca anche quella dell’insegnamento, dal 2007 e per sette anni tiene un corso di Visual Art all’Accademia NABA di Milano e a Berlino per l’Under Graduate al campus della New York University.

Maria Chiara Valacchi, “Storie Dell’Arte / Patrick Tuttofuoco l’incontro tra arte e architettura”, Corriere.it, January 2018

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Elena Bordignon, “Patrick Tuttofuoco racconta il suo paesaggio infinito”, ATP Diary, October 2017

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Elena Bordignon, “Patrick Tuttofuoco racconta il suo paesaggio infinito”, ATP Diary, October 2017

Apertura con ‘botto’ quella avvenuta alle OGR Officine Grandi Riparazioni pochi giorni fa. La festa nominata non a caso come “Big Bang”, continua fino al 14 ottobre con ospiti nostrani e internazionali, scelti per eterogeneità e forme espres-sive disparate. Da Moroder a William Kentridge, da Elisa a Patrick Tuttofuoco, per continuare con Ghali, The Chemical Brothers e tanti altri artisti. (per il programma completo)

Per quanto riguarda strettamente l’arte contemporanea, l’apertura ha visto tre big presentare altrettante installazioni: William Kentridge, Arturo Herrera e Patrick Tuttofuco hanno aperto la stagione che continuerà con la mostra Come una Falena alla Fiamma, che inaugurerà il 3 novembre, durante la settimana di Artissima. La mostra, organizzata insieme alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, sintetizza la doppia anima delle nuove OGR: le radici profondamente legate alla storia della città e del territorio e, insieme, la sua vocazione internazionale. La mostra è un progetto ambizioso, firmato da tre curatori internazionali, chiamati a lavorare insieme per la prima volta confrontandosi con la città di Torino: Tom Eccles, direttore del Center for Curatorial Studies del Bard College di New York, Mark Rappolt, redattore capo della rivista inglese Art Review, e l’artista britannico Liam Gillick.I principali appuntamenti espositivi del programma Arti Visive del 2018 saranno le mostre personali di Tino Sehgal – a cura di Luca Cerizza –, di Susan Hiller – a cura di Barbara Casavecchia – e di Mike Nelson, nonché la mostra collettiva “Castellodirivoli@OGR”, quest’ultima a cura di Marcella Beccaria.

Segue la presentazione del Direttore Artistico Nicola Ricciardi —

“Abbiamo chiamato questo grande apertura Big Bang perché ci piaceva l’idea di un titolo un po’ roboante perché Big Bang doveva racchiude i termini di quei mille giorni in cui è stato costruito l’intero progetto; l’inizio di un nuovo universo.

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Un “universo” di valori, di artisti, di progettualità. Un universo che però nasce da un equilibrio. Nella teoria del Big Bang, dopo il primo grande momento di accelerazione si raggiunge una sorta di stasi, di equilibrio termodinamico che noi abbiamo voluto, in qualche modo replicare mettendo insieme quelle che io chiamo delle “particelle” molto creative ed eterogenee. L’idea è quella di mettere insieme i linguaggi delle arti visive con il performativo, artisti di generazione diverse; mettere insieme la scultura assieme al wall-paiting, artisti italiani assieme ad altri internazionali; mettere insieme pionieri della disco music come Giorgio Moroder con artisti contemporanei come Samuel. (…)Uno dei nostri obbiettivi è riuscire a soddisfare una pluralità di pubblici perché l’idea alla base di questo progetto è quella di aprire la porta a tutti. L’inclusività è stata per noi lo slogan che ci ha animati; l’essere inclusivi come qualcosa di con-creto che vogliamo affermare e dimostrare. Esempio ne sia l’opera che presenta Patrick Tuttofuoco, che nasce dall’idea di lavorare con un pubblico particolarmente indifeso e fragile, ma che abbiamo voluto, fin da subito, mettere sul palcosceni-co dell’OGR. Non tanto per farne un trofeo, ma perché crediamo che l’OGR devono sinceramente partire da quei pubblici un po’ inespressi, che non frequentano le istituzioni culturali e che sono per noi i primi ospiti. Il progetto di Patrick, infatti, coinvolge una bellissima realtà che è CasaOz. (…) Per noi sono state fondamentali anche altre collaborazioni, penso a quella con il Castello di Rivoli che ha contribuito alla realizzazione delle opere di William Kentridge ‘Procession of Repara-tionists’ che presentiamo nella Corte Est delle OGR. Ma cito anche Snodo, una nuova realtà che è il ristorante – anche se è riduttivo definirlo solo ristorante – con il quale c’è stato una collaborazione che ha visto la concretizzazione di un’opera d’arte, ‘Track’, di Arturo Herrera installata nello Snodo delle OGR.”

La soglia per l’ingresso nella manica dell’edificio dedicato alle arti ospita Track un grande murale che porta la firma di Arturo Herrera. Pensata appositamente per lo spazio. Dopo una breve presentazione, l’artista venezuelano ha raccontato le prime sensazioni dalla scoperte delle OGR e ciò che ha contribuito alla genesi della sua opera.

“La prima volta che sono stato a Torino, mi è stato sottolineato che c’era la necessità da parte mia di contribuire con un murales, proprio da effettuare in questa bellissima struttura. Il luogo erano le OGR. Confesso che non avevo idea di cosa fossero e quindi mi sono documentato e mi si è dischiuso un mondo. Mi sono reso conto che era una struttura veramente imponente che comunicava una grande sensazione di forza e nonostante l’imponenza, si trovava nel bel mezzo della

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città. Mi sono lanciato in questo progetto cercando di creare un murales che fosse all’altezza di questa struttura di grande valore storico.”

In merito al titolo, l’artista racconta: “L’opera di chiama ‘track’ – binario – perché mi riporta a quella che è l’origine di questa struttura. Quando sono venuto qui per la prima volta a vedere il muro in cui avrei dovuto operare, quando ho potuto fare un giro per capire come erano queste OGR, mi sono reso conto che ci sarebbe stata la necessità di un’immagine molto forte, potente, che fosse collegata a quella che era la funzione originale, appunto, del luogo. Il mio intervento, tratta di linee che si collegano, che si intersecano; che entrano in contatto le une con le altre, alcune più morbide, altre più ruvide, grezze, ma che sono tutte collegate a quella che è la forma successiva. Convivono in questa opera gli aspetti artistici, quelli intellettuali e anche quelli digitali… tutte attività che si svolgeranno qui alle OGR e che sono riassunte nello spirito della mia opera. Opera che si vede sin dall’entrata, in modo tale che le persone entrino con l’idea che questo è un luogo di grande energia.”

Un emozionato Patrick Tuttofuoco, ha presentato la sua grande ambientazione che spazia nei Binari 1, 2 e 3: Tutto infinito. Un “paesaggio futuristico” di 2.500 metri quadrati percorribili in lungo e in largo dai visitatori, attraverso cunicoli e corridoi.

“Ho voluto creare un paesaggio che abbracciasse lo spettatore in un’esperienza immersiva. Prima di tutto vorrei precisare un aspetto di questo lavoro: l’opera è stata realizzata in collaborazione con CasaOz durante dei workshop. Tutto ciò è stato reso possibile grazie ad un network che si chiama ZonArte. E’ stata un’esperienza molto forte e impegnativa, realizzata grazie a tantissime persone. A livello emotivo, non credo di dovervi dare molte spiegazioni. Per me è stata un’esperienza irripetibile anche in relazione alla vastità di questo luogo.Quando sono entrato ho avuto la sensazione che, nonostante fosse uno spazio chiuso, protetto, l’ho vissuto, nella mia testa, come se fosse un luogo aperto, per cui la mia idea da subito è stata di cercare di trasmettere un’idea di paesaggio all’interno di questo luogo. Quindi, concettualmente, ho compiuto l’azione di ‘sfondare’ gli spazi, le mura delle OGR. Questo luogo ha una storia incredibile; l’industria, il lavoro, l’eccellenza.. ma basti pensare anche la quantità di ore che le persone hanno lavorato in questo luogo. Ho cercato di tenere fede ad alcune materiali che erano propri dell’industria, ma ho anche cercato di rispecchiare come fosse un luogo dove le persone producevano delle idee, si prodigavano per

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realizzare un sogno, per eccellere in qualcosa.Partendo da questa base, quello che ho fatto non è stato altro che creare un espediente narrativo. Ho iniziato a pensare un luogo aperto ambientato in un futuro lontanissimo. Ho cercato di distaccarmi il più possibile da idiosincrasie e stress contemporanei. Mi sono permesso questo lusso sfrenato di andare in una condizione spazio temporale diversa e, in quel luogo, ho iniziato a pensare a questo paesaggio. L’ambientazione porta con sé alcuni degli elementi che per me hanno senso e che, a mio parere, hanno senso per sempre. La mia riflessione parte dall’uomo, non tanto come presenza fisica, ma come coscienza e come lascito, in termini materiali, ho tenuto semplicemente le opere d’arte. Le opere, nella mia rifrazione fuori dal tempo, sono lo strumento che ci permette di raccontare noi stessi e che perdurerà nel tempo. Non tanto le mie opere, le ‘opere’: l’idea stessa che esiste per l’uomo la possibilità di esprimersi attraverso un sistema, quello relativo all’opera d’arte, che non deve per forza rispondere ad una funzione commerciale, o ad una risoluzione di un problema. Ha a che fare con l’emotività e con i sentimenti. Vorrei che questo luogo sia percepito come una dimensione parallela dove il tempo si allunga, si trasforma. E’ un po’ come un’operazione di science fiction – un po’ più sentimentale..”

In merito alla mia esperienza con i ragazzi di CasaOz – un workshop che ha visto Tuttofuoco a stretto contatto con dei ragazzi (con deficit alcuni fisici, altri cognitivi), nel condividere l’esperienza di visitare alcuni musei del territorio – l’artista ha più volte sottolineato che non era interessato tanto al loro apporto creativo, ma bensì capire come hanno vissuto l’esperienza compiuta vedendo delle opere. I ragazzi con cui ha interagito gli hanno fornito dei preziosi e inconsueti spunti di riflessione sul concetto di “opera d’arte”, sul suo valore intrinseco e sulla capacità di evolvere a contatto con molteplici processi cognitivi anche in un ipotetico remoto futuro.

Nel primo grande ambiente, dopo il neon che rappresenta il movimento di grandi umane, domina lo spazio una figura spezzata formata da due corpi. L’associazione principale è palesemente il capolavoro di Michelangelo La Pietà Rondanini. In merito a questa opera Tuttofuoco spiega: “Prima di quella grande opera, c’è un’altra opera nodale di questo progetto, e si trova nella zona che li collega i due grandi ambienti. E’ la figura in marmo installata in due copie, fatta mediante una scansione in 3D, raffigurante mio figlio. Questa è stata la prima opera con la quale sono riuscito a capire in che modo trasformare l’esperienza con i ragazzi di CasaOz in delle forme. La cosa più complicata di quell’esperienza, infatti, è stata quella di trasformare tutta la forza, l’energia, le riflessioni, in un progetto. Mentre cercavo di entrare in dialogo con loro, mi sono reso conto di fare riferimento ad un vocabolario mio, provato, personale, che aveva a che fare con la mia vita; nella fattispecie, all’esperienza che ho avuto con i miei figli. Anche se erano due cose differenti, inevitabilmente facevo riferimento a loro. Ho dovuto trasformare il mio vocabolario ‘famigliare’ – con gli stessi vocaboli e linguaggio – per entrare in contatto con loro.Compiendo questa trasformazione ho capito il tragitto che dovevo compiere. Da qui la nascita di quell’opera. Visto che richiedevo ai ragazzi una reazione personale, ho voluto a mia volta la necessita di restituirgli un cosa altrettanto personale e privata. Gli ho dato la forma di mio figlio, non tanto per una questione sentimentale, ma per una dimensione reale:

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veramente è stato lo strumento che ha reso possibile questo scambio.In questa condizione, in cui tempo e spazio, la condizione della percezione della coscienza è in sospensione, la dimensione del sonno era quella più forte; rappresentava meglio questa sospensione. Senza contare che il sonno è da un lato, una dimensione di ‘recupero’, dall’altro è il momento di maggior vulnerabilità. Il limite tra bene e male, in questa dimensione, è una soglia: bisogna decidere in che modo contemplarla.Quando si guarda il proprio figlio che dorme, da un lato è affascinato dalla purezza e serenità, ma, d’altro canto, se si inizia a pensare al suo futuro, inevitabile chiedersi se saremo in grado di garantire un futuro solido e duraturo. Tutte queste preoccupazioni si riversano in quel momento. Tutte queste mie riflessioni sono diventati quell’opera e così, le altre opere.”

La grande scultura che richiama la Pietà Rondanini, spiega l’artista, “è fatta di porzioni della scultura di Michelangelo; avendo scelto le opere come strumento unico che veramente supererà la soglia del tempo, in qualche modo mi sono riferito a un’opera che considero la ‘prima scultura moderna’, decostruita. La prima volta che il corpo diventa un elemento astratto, si apre, si trasforma.”

Che relazione ha questa opera in relazione ai ragazzi di CasaOz?“Quando andavamo in giro per musei, e loro vedevano le opere in cui era rappresentato un corpo, loro evidenziavano spesso delle porzioni del corpo. Elementi singoli; era più facile per loro focalizzare l’attenzione su elementi e porzioni del corpo, più che l’intero. Ho applicato lo stesso approccio in un’opera capitale della storia dell’arte come la Pietà Rondanini. In questo contesto quell’opera rappresenta l’arte nella maniera più assoluta. Le strutture in acciaio che sostengono i frammenti, sono un tributo a questo luogo e a quella che era la sua funzione.”

Nell’ultima sala, domina un neon che simula la caduta di un lampo, ma potrebbe trattarsi anche della rappresentazione di un fiume. Davanti, una rampa ‘abitabile’ accoglie i visitatori che possono scegliere di sostare per ammirare l’ambiente.“L’ultima sala è l’unica che non ospita presenze che richiamano la figura umana. Ci sono due forme dominanti: una specie di panca-seduta, che richiama anche la struttura di una rampa per Skateboard. Sembra un elemento pensato per l’esterno. Coerente con tutto il resto dell’ambiente, anche in questo caso, l’installazione è pensata per un luogo all’aperto.

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Il fulmine è semplicemente la rappresentazione o la magia di poter fermare un attimo. Lo spazio e il tempo, se non esistono, allora io posso – grazie all’arte – poter immortalare la bellissima forma di un fulmine. Bloccato per sempre. Poi ricorda anche una figura umana .. in maniera puramente astratta, come pura energia. In merito alla sabbia rossa di cui tutto l’ambiente è disseminato, volevo che veramente ci fosse della terra .. che richiamasse il concetto di paesaggio. Volevo che ci fosse la ricostruzione visibile di un paesaggio – dunque un’operazione di fiction – fatto però con un elemento autentico come la terra.”

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Valentina Ciuffi, “La Ballade Des Pendus”, Domus, October 2017

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Valentina Ciuffi, “La Ballade Des Pendus”, Domus, October 2017

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Valentina Ciuffi, “La Ballade Des Pendus”, Domus, October 2017

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Valentina Ciuffi, “La Ballade Des Pendus”, Domus, October 2017

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Stefano Bucci, “Ogr, nuova sfida di Torino al mondo”, Corriere della Sera, September 2017

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Valentina Ievai, “Le OGR Officine Grandi Riparazioni tornano a vivere”, Archiportale, October 2017

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Valentina Ievai, “Le OGR Officine Grandi Riparazioni tornano a vivere”, Archiportale, October 2017

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Redazione, “Torino, OGR al via tra arte e musica”, First Online, September 2017

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Redazione, “Torino, OGR al via tra arte e musica”, First Online, September 2017

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Marina Paglieri, “Operai di metallo e lande immaginarie per le Officine ritrovate”, Repubblica.it, September 2017

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Marina Paglieri, “Operai di metallo e lande immaginarie per le Officine ritrovate”, Repubblica.it, September 2017,

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Rocco Moliterni, “Kentridge, Herrera Tuttofuoco: che tris!”, La Stampa TorinoSette, September 2017

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Rocco Moliterni, “Kentridge, Herrera Tuttofuoco: che tris!”, La Stampa TorinoSette, September 2017

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Rocco Moliterni, “Kentridge, Herrera Tuttofuoco: che tris!”, La Stampa TorinoSette, September 2017

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Stefano Bucci, “OGR di Torino, un respiro globale”, Corriere Della Sera, September 2017

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Stefano Bucci, “OGR di Torino, un respiro globale”, Corriere Della Sera, September 2017

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Stefano Bucci, “OGR di Torino, un respiro globale”, Corriere Della Sera, September 2017

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Stefano Bucci, “OGR di Torino, un respiro globale”, Corriere Della Sera, September 2017

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Claudia Ciraudi, “Aprono le nuove OGR di Torino tra installazioni e performance musicali”, Artribune, September 2017

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Claudia Ciraudi, “Aprono le nuove OGR di Torino tra installazioni e performance musicali”, Artribune, September 2017

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Redazione, “Moroder, Samuel, Kentdrige, Tuttofuoco, Herrere”, Segno, September 2017

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Ilaria Dotta, “A Tutto fuoco: l’artista svela l’opera protagonista delle nuove OGR”, La Stampa Torino, September 2017

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Ilaria Dotta, “A Tutto fuoco: l’artista svela l’opera protagonista delle nuove OGR”, La Stampa Torino, September 2017