Periodico 478_maggio giugno 2012

32
.manitese.it/periodico–manitese DOSSIER Periodico di Mani Tese, organismo cono la fame e per lo sviluppo dei popoli. anno XLVIII | maggio-giugno 2012 478 Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI in caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali. Risorse naturali: beni comuni o vizi privati? Di ritorno dall'India Ovvero un'esperienza “speziata” di giustizia ambientale

description

Risorse naturali: beni comuni o vizi privati?

Transcript of Periodico 478_maggio giugno 2012

www.manitese.it/periodico–manitese

do

ssierPeriodico di Mani Tese,organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli.anno XLVIII | maggio-giugno 2012

478

Pos

te it

alia

ne s

.p.a

. - S

ped

izio

ne in

ab

bon

amen

to p

osta

le D

.L. 3

53/2

003

(con

v. in

L. 2

7/02

/200

4 n.

46) a

rt. 1

com

ma

2. L

O/M

Iin

cas

o d

i man

cato

rec

apito

invi

are

al C

MP

Ros

erio

per

la r

estit

uzio

ne a

l mitt

ente

che

si i

mp

egna

a c

orris

pon

der

e i d

iritt

i pos

tali.

Risorse naturali: beni comuni

o vizi privati?

Di ritorno dall'IndiaOvvero un'esperienza “speziata”

di giustizia ambientale

Risorse naturali: beni comuni o vizi

privati?

Marcia con noi su: www.foodforworld.org

In marcia per il diritto al cibo!

Una marcia in giro per il mondoper promuovere il diritto

al cibo buono, democraticoe sostenibile.

manitese 478 | maggio-giugno 2012 3

di luigi idili, presidente di mani tese

periodico in pdfPer ricevere il periodico in

formato pdf scrivi a:

[email protected] piccolo gesto che

permette di ridurre la

nostra impronta ecologica

quotidiana.

redazioneLuigi Idili (dir.)

Luca Manes (dir. resp.)

Chiara Cecotti

Angela Comelli

Alberto Corbino

Giosuè De Salvo

Elias Gerovasi

Elena Iannone

Giovanni Mozzi

Giacomo Petitti

Lucy Tattoli

contributiN. Arrigoni, M. Baldi,

S. Ballada, A. Catalano,

L. Colombo, M. Damin,

D. Del Bene,

G. Fumagalli, E. Grassi,

M. Gregori, F. Lazzari,

D. Lucchetti,

stampaStaff S.r.l. -

Buccinasco (MI)

grafica

Riccardo Zanzi

V. Malaguti, C. Mariotti,

D. Mazza, P. Politi,

L. Simonazzi,

S. Squarcina, A. Stagni,

G. Tedesco, S. Tini,

A. Tricarico,

C. Zaninelli, A. Zoratto.

sedeP.le Gambara 7/9,

20146 Milano

Tel. 02 40 75 165

[email protected]

www.manitese.it

periodico maniteseRegistrazione al ROC (Registro

operatori di comunicazione) al n.154

Registrazione al Tribunale di Milano

n. 6742 del 28 Dicembre 1964.

• c.c.p. 291278

• BONIFICO BANCARIO

Banca Popolare Etica, cod. IBAN

IT 58 W 05018 01600

000000000040

indice6 Rio+20: punto di svolta o occasione perduta?

8 Quale economia verde?

10 Ecuador: la Legge della terra

14 SottoSopra!

dossier15 Di ritorno dall'India

16 Il fiume violato

17 La diga Polavaram

18 Tirupur e Ambur

19 Il golpe in Guinea Bissau

20 La crisi d'identità della Cooperazione

22 Cacao & lavoro infantile

24 Crescere diritti. Educazione per una

cittadinanza mondiale.

25 Percorsi didattici per studenti

26 I campi estivi di Mani Tese

27 Stop trafficking.

progetti28 Campagna Coltiviamo il futuro

30 Vi ricordate del ciclone Laila?

Cari Amici, ben ritrovati.In questo nuovo numero di primavera, il nostro periodico sarà il diario dei nostri ragazzi appena tornati dall'India, 15 volontari animanti da passione e voglia di apprendere, guidati dai nostri colleghi di Mani Tese e partner indiani. Un viaggio lungo 20.000 km che racconta il nostro impegno di giustizia ambientale, un impegno partito tanto tempo fa e oggi en-trato nel vivo grazie al primo workshop internazionale di Mani Tese: “Grabbing Development: Verso nuovi modelli di rela-zioni Nord/Sud per un utilizzo equo delle risorse naturali” (svoltosi in India dal 30 marzo al 14 aprile e finanziato dall'Unio-ne Europea). Parlare di accaparramento di risorse naturali in un paese, l'India, che è la più popolosa democrazia del mondo e ormai crocevia dell'economia mondiale è tanto arduo quanto vitale: è infatti difficile opporsi allo sviluppo economico imposto dal mercato globale, ma è indi-spensabile sostenere i movimenti che si battono contro la realizzazione di dighe e strutture che costringerebbero milioni di persone a lasciare le proprie terre. La TERRA è un sostantivo che sempre di più ricorre nella nostra riflessione e pro-gettazione, in Africa come in Sud America, dove sosteniamo i movimenti contadini dell'Ecuador, che per farsi ascoltare rea-lizzano azioni di sensibilizzazione. Il 22 marzo infatti è stata convocata la “Marcia per l'Acqua, la Vita e la Dignità dei Popoli” che ha portato a Quito ben 15.000 perso-ne da tutto il paese davanti all'Assemblea

Nazionale, a cui è stato presentato un documento per richiedere di concretiz-zare la formulazione della “Legge della terra” e la “Legge dell'acqua”: in questo contesto MANI TESE in collaborazione con FIAN Ecuador, nostro partner locale, ha promosso il Congresso dei Senza Ter-ra, per portare al centro dell'attenzione il tema della redistribuzione della terra nel paese. In Ecuador l'accesso alla terra rap-presenta infatti uno dei principali fattori di ineguaglianza rispetto ad altri paesi. Insieme al tema dell'espropriazione parleremo di uso “esasperato” dei frutti della terra, ovvero la raccolta delle fave di cacao a carico di due milioni di bam-bini lavoratori, ridotti in condizione di schiavitù, coinvolti in Africa Occidentale nell'industria del cacao: le multinazionali agroalimentari infatti realizzano miliardi di euro di profitti sullo sfruttamento di questi bambini! È in atto una battaglia contro il “child labour” che ricorda le nostre battaglie contro il lavoro minorile avviate già agli inizi del 2000, quando Mani Tese lanciò in Italia l'appello per la tutela dei minori contro lo sfruttamento del lavoro infantile: oggi la nostra lotta contro ogni forma di abuso sui minori continua in Asia con “InTrattabili”, la nostra campagna contro la tratta degli esseri umani. Buona lettura e non dimenticate di mar-ciare con noi su www.foodforworld.org per il DIRITTO AL CIBO BUONO, DEMO-CRATICO E SOSTENIBILE.

Di ritorno dall'India.Ovvero un'esperienza “speziata” di giustizia ambientale.

Luigi Idili, presidente di Mani Tese

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | istantanea di nicola arrigoni4

manitese 478 | maggio-giugno 2012 5

InDIa – anDHRa PRaDesHDonne di ritorno dal mercato settimanale che si tiene nel villaggio di Kondamadalu. Qui si incontrano gli abitanti di decine di villaggi dei dintorni; questo tipo di esperienza verrebbe necessariamente a perdersi con la dislocazione e la diaspora delle comunità tribali della Valle del Godavari. È prevista la sommersione della Valle e con essa almeno 295 villaggi e relativi terreni, agricoli e forestali, in seguito alla costruzione di una grande diga nei pressi della cittadina di Polavaram.

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | approfondimento6 di alberto zoratti, fair – laboratorio per la sostenibilità

Mesi di negoziato, centinaia di pagine, decine di mee-ting. Questo è stato il percorso preparatorio per Rio+20, il Vertice su ambiente e sviluppo delle Nazioni Unite in programma questo mese a Rio de Janeiro. A vent'anni dal primo Earth Summit, a dieci da Rio+10 di Johan-nesburg, il mantra dello sviluppo sostenibile permane ed anzi si consolida dietro la nuova rivoluzione verde della Green Economy.A ridefinire la cornice e contesto ci ha pensato l'OCSE lo scorso febbraio, con il suo ultimo Environmental Outlook 2050 il cui titolo (Le conseguenze dell'ina-zione) parla da solo: perdita della biodiversità, acqua e cambiamento climatico, sono solo alcune delle questioni che stiamo lasciando sotto il tappeto e che, in caso nessuna correzione di rotta, porterebbero a conseguenze inenarrabili.Ma il Summit di Rio assume un profilo particolare se lo si inserisce in un contesto come quello descritto dall'OCSE e in uno scenario multilaterale in via di definizione. Rio+20 arriva sei mesi dopo la Conferenza Onu sul clima di Durban, in Sudafrica, dove nel dicembre 2011 si è mantenuto in carreggiata un negoziato per il rotto della cuffia. E a sei mesi dalla successiva Conferenza di Doha, in Qatar, dove il rischio di un ulteriore slittamen-to di una politica di impegni per tutelare il clima è più di una semplice preoccupazione, considerato che il Protocollo di Kyoto e il suo secondo periodo di impegni rischiano di venire svuotati di significato.Ma Rio+20 sarà anche a pochi mesi dalla Conferen-za delle Parti della Convenzione sulla Biodiversità (CBD), che si terrà ad Hyderabad nell'ottobre del 2012, possibile occasione di entrata in vigore del Protocollo di Nagoya sulle risorse genetiche, approvato nel 2010, ma ancora in attesa delle necessarie 50 ratifiche per diventare operativo.

In questo scenario di crisi economica e sociale sempre più profonda, leggere il Summit oltre alle questioni del-la Governance e della Green Economy ci permette di apprezzarne la fragilità, per il rischio di avere davanti un possibile momento di svolta. O l'ultima occasione perduta.Il percorso degli ultimi mesi ha visto delegazioni governative incontrarsi in diversi meeting, tra cui i vari formale-informale a New York, con approcci tattici e diplomatici spesso contrastati e che hanno messo a rischio di cancellazione dalla proposta di documento finale diverse questioni fondamentali come i diritti sociali, mantenendo la centralità del mercato come motore del prossimo sviluppo “sostenibile”.Perché la Green Economy in ogni sua forma, è diventa-ta ormai il nuovo mantra per l'uscita dalla crisi. Nessun ripensamento sulle cause, né ricette vincolanti per curarne gli effetti, ma solo tanta buona volontà che ricorda l'approccio volontaristico e filantropico di una certa Corporate Social Responsability, in cui i diritti sociali e quelli dell'ambiente sono più gentili conces-sioni da sfruttare via marketing, che non una vera responsabilità etica verso l'altro da sé. In quest'ottica, inutile dirlo, i passi in avanti rischiano di essere pochi e un po' claudicanti. Gli effetti di una ritinteggiatura di verde delle politiche commerciali e di investimento delle grandi imprese senza una revisione profonda dell'impianto generale (sia ideale che regolatorio) rischiano di essere temporanei e non risolutivi, e per di più parziali, perché potrebbero affrontare la questione dell'inquinamento locale, ma non certo quello della crescita quantitativa (in un contesto di risorse molto limitate) e degli impatti sociali dello sviluppo così per come lo conosciamo. L'attuale sistema ha costi sociali oramai evidenti, si tratta di numeri dietro cui stanno persone e una sostenibilità ambientale senza una giustizia ecologica e sociale è un passo insufficiente per cambiare lo status quo.Ce lo dice l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, che spiega come dalle misure di austerità possa uscire solo maggiore disuguaglianza e recessione economica; lo riconferma l'IPCC, il Panel di scienziati Onu che stu-

Rio+20: punto di svolta o occasione perduta?

Qui sopra, la copertina del rapporto OCSE Environmental Outlook 2050 (2011),intitolato “The consequences of inaction” (Le conseguenze dell'inazione).

manitese 478 | maggio-giugno 2012 7

dia il cambiamento climatico, che avverte come stiamo per raggiungere i famigerati “tipping point”, i punti di non ritorno passati i quali l'atmosfera si modificherà in modo irreversibile; lo dimostra la vita di tutti i giorni, in cui il disagio sociale del lavoro che manca o che è a rischio di sfruttamento si aggrava per condizioni am-bientali ai limiti del tollerabile (aumento degli eventi estremi, inquinamento e cementificazione).

Cambiare rotta: globalmente e localmentePer mettere mano a tutto questo è necessaria una revi-sione del concetto di Governance globale. È possibile avere molti “Maître à penser” sui temi della globaliz-zazione, ma solo pochi “masters of puppets” come l'Organizzazione Mondiale del Commercio (sul multi-laterale) o gli Accordi commerciali bilaterali, capaci di imporre politiche ai Paesi ed ai Governi? Anche questo è il grande tema: sull'ambiente esistono in ambito Onu diverse Convenzioni (sul clima, sulla desertificazione, sulla biodiversità), alcune organizzazioni (come la Fao), alcuni programmi (come UNEP, sull'ambiente), ma nessuna di queste riesce ad avere la forza impo-sitiva della Wto e dei trattati commerciali. Così come non esiste, ancora, una vera e propria Organizzazioni Mondiale dell'Ambiente con capacità di intervento proattivo sulle politiche governative.Questo è, e sarà, argomento di discussione del futuro che verrà. Ma come si può capire, se l'aspetto della Go-vernance internazionale è ineludibile, (come si farebbe del resto a contrastare un fenomeno così globale come il cambiamento climatico con singoli piani nazionali? Il rischio del “carbon leakage” cioè della fuga delle produzioni più inquinanti verso i “paradisi ambientali” sarebbe molto forte, azzerando ogni sforzo di reale cambiamento) esso è assolutamente insufficiente, come dimostrano gli ultimi anni di Conferenze Onu.Serve una forte mobilitazione dal basso, come stanno facendo in questi anni le Organizzazioni contadine di mezzo mondo nel presentare reali alternative ai mercati globali, come la sovranità alimentare ed il bio-logico; o come stanno dimostrando i movimenti sociali di opposizioni alle grandi infrastrutture insostenibili o

i movimenti dell'economia ecologica e solidale che di fatto stanno sperimentando la transizione verso una società realmente ecologica.La Cupola dos Povos, a Rio de Janeiro è lo spazio condiviso, partecipato, dei movimenti sociali e della società civile internazionale. È l'ulteriore tappa per coordinare le attività e le azioni delle reti sociali per cambiare un modello di sviluppo che non funziona. Ma la palla sta passando ai territori, alle realtà locali, che dovranno essere capaci di rilanciare pratiche e teoria della transizione necessaria. Senza autoreferen-zialità né egemonismi, ma con la consapevolezza che o cambiamo rotta da subito o le conseguenze, per noi e per i nostri figli, potrebbero essere incalcolabili.

PER APPROFONDIMENTIDossier su clima ed economia di Altreconomia:http://www.altreconomia.it/pdx/dossier_clima.pdf

“Ri(e)voluzione”, il blog su clima e Rio+20 di Altreconomia:www.altreconomia.it/clima

8 risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche

di antonio tricarico, campagna per la riforma della banca mondiale – crbm

FINAN

ZA E POLITICA

Negli ultimi anni si è parlato tanto di economia verde. Per motivi diversi sembra un passaggio inevitabile per l'umanità per far fronte alle crisi ambientali sempre più gravi che viviamo, in primis quella dei cambiamenti climatici. Per alcuni può addirittura rappresentare la soluzione alla crisi economica strutturale che le econo-mie avanzate vivono. Per il settore privato alla ricerca di nuovi profitti è senza dubbio una strada interessan-te da esplorare.Insomma l'economia verde dovrebbe mettere tutti d'accordo o quasi, salvando ambiente e profitti, posti di lavoro e interessi delle comunità locali, l'economia e forse la stessa finanza.

Una bella favola, senza dubbio. Peccato che a pen-sarla e a scriverla sono stati in pochi –alcuni governi, qualche istituzione internazionale e molti attori delle lobby private– e sulla base di poche assunzioni quasi dogmatiche, quale ad esempio la centralità del ruolo del settore privato nella promozione dello “sviluppo so-stenibile” tramite la costruzione di un'economia verde.

Dal 20 al 22 giugno prossimi i governi di tutto il Pianeta si incontreranno a Rio de Janeiro in occasione del ventesimo anniversario della storica conferenza delle Nazioni Unite su sviluppo e ambiente delle Nazioni Unite che si tenne nella metropoli brasiliana nel 1992. Allora, all'indomani della fine della guerra fredda e della vittoria dell'Occidente sul blocco sovietico, si volle coniugare la questione ambientale con quella del mancato sviluppo economico e sociale dei paesi impo-veriti del Sud del mondo. “Il nostro futuro comune” si intitolava la dichiarazione finale del vertice. Nel 2002, la conferenza a dieci anni da Rio si svolse a Johanne-sburg, in Sud Africa, con il fine di sviluppare un piano di azione per l'ambiente e lo sviluppo. Al centro del

negoziato la definizione di partenariati tra pubblico e privato, le fatidiche PPP, che hanno prodotto poi risultanti modesti e spesso controversi.

A venti anni dal primo vertice, la comunità interna-zionale si ritrova oggi per negoziare un nuovo piano di azione, intitolato “Il futuro che vogliamo”. Al centro dell'agenda la proposta di monetizzare i servizi forniti dagli ecosistemi naturali, per renderli “commerciabili”, così come già avvenuto per i permessi di emissione di anidride carbonica nell'ambito dei cosiddetti “mercati del carbonio”. Quello che le principali banche del pia-neta hanno definito “capitale naturale” nella pomposa dichiarazione preparata per l'occasione.

Così come nel 1992 diversi analisti critici ed attori della società civile organizzata chiesero di chi fosse il “futuro comune” in discussione, oggi la stessa domanda rima-ne valida e ancora evasa: chi è quel “noi” che decide il futuro e le possibile “mercatizzazione” della natura? Di chi sarà l'economia verde di cui si dibatte oggi? Quale economia verde si sceglie? Quella che beneficerà i grandi attori transnazionali, i gruppi finanziari, e pochi Stati oggi egemonici nel mondo? Oppure, l'economia verde che mette al centro le comunità locali, che esclude il dominio della finanza sull'economia, che ridemocratizza i processi economici e ripensa il ruolo degli Stati e della politica?

La domanda non è futile, ma quanto mai urgente da dibattere prima che il mantra dell'economia verde, che attualizza quello ormai spompato dello sviluppo soste-nibile, diventerà la parolina magica che condirà ogni affermazione di governi e imprese. Tante economie verdi sono possibili, ma così come nel caso del dibatti-to del primo vertice di Rio del 1992, si può dire che due

Quale economia verde?

9manitese 478 | maggio-giugno 2012

A destra:progetto della diga di Gilgel Gibe III sul fiume Omo in Etiopia; impianto eolico marino.

A sinistra:due ragazzi keniani coinvolti in un progetto scolastico dell'ong locale Necofa, partner di Mani Tese nel Paese.

accezioni principali possono essere prese a riferimento. Una prima che vede l'economia verde –come per altro dice la stessa bozza negoziale per il nuovo vertice resa pubblica dalle Nazioni Unite– come un mezzo di attuazione dello sviluppo sostenibile, approccio quadro che cerca di coniugare lo sviluppo economico centrato sui mercati privati e l'integrazione mondiale come conosciuto fino a oggi con i limiti ambientali e le priorità di redistribuzione sociale, ossia una visione che salva capra e cavoli, che cambia mantenendo una continuità economica con la centralità della crescita come intesa nel processo di globalizzazione degli ultimi 30 anni. Dall'altro lato, una visione che intende trasformare profondamente l'intera società, rompendo con processi economici del passato e identificando proprio nella rottura di questi schemi la possibilità di rifondare processi economici intorno alla promozione dei beni comuni, spesso fuori logiche di mercato, e in contrasto con la visione accentratrice degli Stati.

La crisi finanziaria che ha investito l'intero pianeta dal 2007 in poi ha sollevato forti domande rispetto alla so-stenibilità economica dell'attuale processo di globaliz-zazione, in particolare sulla vera natura del cosiddetto capitalismo finanziario, o finanziarizzazione dell'eco-nomia, emerso negli ultimi 15-20 anni. Le economie dei Paesi ricchi, tranne poche eccezioni, non sono più in grado di crescere e di generare posti lavoro, a fronte delle economie emergenti che stanno aumentando progressivamente il loro peso nell'economia mondiale, nonostante tutte le debolezze e contraddizioni del ca-so. Senza dubbio il pendolo economico e politico della storia si continuerà a spostare dall'occidente verso l'Asia, processo forse inevitabile da una prospettiva storica delle relazioni internazionali negli ultimi secoli. Ciò non implicherà necessariamente un cambiamento

strutturale dei processi economici promossi dalla glo-balizzazione, per definizione incentrata sulla costru-zione di mercati globali al servizio di capitali globali, ormai senza bandiera nazionale.

Allora è giusto chiedersi di quale economia verde stia-mo parlando e se questa possa essere un'occasione per una trasformazione profonda dell'economia mondiale, oppure soltanto l'ennesimo bluff semantico, che cela ulteriori rischi associati alla mercificazione dell'intera natura.La lotta per un'autentica economia verde non può che essere una lotta per la giustizia sociale e la trasforma-zione dell'economia e della finanza e degli equilibri di potere che queste hanno instaurato a livello interna-zionale. Ossia, andando oltre quella distinzione tra ambiente, sociale ed economia nella canonizzazione dello sviluppo sostenibile, vuol dire affrontare invece la domanda di democrazia reale ed equità (tra Nord e Sud, tra comunità e Stati, tra chi ha e chi non ha) che ogni trasformazione sistemica solleva.

Capire cosa c'è oggi dietro la promozione dell'econo-mia verde –ben oltre l'esito probabilmente modesto che uscirà dal vertice di Rio– vuol dire perciò capire la trasformazione ulteriore che sta avvenendo nel capi-talismo finanziario e le sue implicazioni per i prossimi venti anni. Per evitare che tra venti anni la comunità internazionale, oramai in balia di eventi ambientali e sociali sempre più catastrofici, e forse dopo una nuova serie di crisi finanziarie ed economiche, si riunirà a Rio per negoziare un documento dal titolo che non si presti ad ambiguità e ulteriori domande: “Il futuro che vogliamo (per pochi)”.

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | progetti10

fai la differenza

a cura di claudia zaninelli, responsabile america latina mani tese

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

La necessità di redigere una “Legge della terra” in Ecuador, è uno degli obiettivi proposti dal mandato dell'Assemblea Costituente di Montecristi del 2008 e rappresenta una sfida tanto per lo Stato ecuatoriano quanto per le organizzazioni sociali e il movimento indigeno, dal momento che rimette in discussione il tema della redistribuzione della terra nel paese. In Ecuador l'accesso alla terra rappresenta uno dei prin-cipali fattori di ineguaglianza rispetto ad altri paesi del continente, secondo l'indice di Gini e riflette la crescita del latifondo oltre ad un crescente gap fra ricchezza-povertà economica. Il processo di riforma agraria nel paese iniziato negli anni '70, nonostante l'iniziale prospettiva di redistribuzione della terra, si è concluso nel 1994 con la “Legge di Sviluppo Agricolo” che ha invece risposto a una logica neoliberale convertendo l'acqua e la terra in mercanzie destinate alle mono col-tivazioni e all'agro negozio. Attualmente la possibilità di una nuova legge ritorna a mettere in primo piano gli interessi dei latifondisti che si scontrano con quelli dei piccoli produttori agricoli. Ad ottobre del 2009 il Governo di Rafael Correa ha promosso il “Piano di Pro-mozione dell'accesso alla terra per i produttori familiari dell'Ecuador”, conosciuto come il “Piano Terra” allo scopo di ridurre l'ineguaglianza della distribuzione del-la terra e che proponeva: la distribuzione di terre statali, l'espropriazione delle proprietà che non rispondano ad una funzione sociale ed ambientale; la creazione di un fondo per sostenere i produttori che si associano per acquistare terre; la creazione di meccanismi per acce-dere alla terra senza proprietà; la registrazione presso il catasto delle terre rurali . Al momento nessuno di questi punti è stato realizzato. L'unico passo che è stata mosso dal governo è rappresentato dalla conse-gna dei titoli di proprietà a contadini, che però non ha significato la consegna effettiva della terra né tanto meno può essere considerato come la prima fase di un processo di cambiamento intrapreso dal governo. Vale la pena ricordare che questa decisione è una risposta ai movimenti sociali e indigeni che negli ultimi mesi han-no intensificato l'aspetto “pubblico” delle loro richieste; si tratta quindi di un tentativo di placare i movimenti senza però dare effettiva soluzione al problema.Per i piccoli e medi contadini è fondamentale il com-pimento dei mandati dell'attuale Costituzione su temi quali la sovranità alimentare, la distribuzione delle risorse (terra/acqua/risorse minerarie), il rispetto dell'ambiente e della natura, come parte del processo di costruzione del Buen Vivir per tutti gli ecuatoria-ni. Per questo motivo le organizzazioni sociali e il movimento indigeno hanno promosso spazi di unità e partecipazione collettiva alla formulazione di proposte di legge sulla terra, acqua, biodiversità che portino a compimento ciò che la costituzione di Montecritsti ha stabilito. Nonostante ciò queste proposte non sono state raccol-te né dal governo né dall'Assemblea nazionale, sotto-stimando le richieste che vengono dal basso. Questo ha generato la necessità dei movimenti di far ascoltare

ecuador: la Legge

della terra

manitese 478 | maggio-giugno 2012 11

le proprie richieste e di rendere visibile tanto nel paese quanto all'esterno, il lavoro che i movimenti stessi stanno realizzando in vista di una riforma agraria effettiva: il 22 marzo è stata convocata la marcia per l'Acqua, la Vita e la Dignità dei Popoli che ha portato a Quito 15.000 persone da tutto il paese e che hanno presentato all'Assemblea Nazionale un documento in cui si richiede di concretizzare la formulazione della

“Legge della terra” e la “Legge dell'acqua”, rifiutando allo stesso tempo la criminalizzazione della protesta sociale che ha portato al giudizio di 200 dirigenti dei movimenti.

In questo contesto l'organizzazione Tierra y Vida, in collaborazione con FIAN Ecuador, ha promosso il Congresso dei Senza Terra, che a seguito di manife-stazioni nazionali quali la Marcia per la Dignità, ha attirato sempre più l'interesse di altre organizzazioni che si sono rese conto del potenziale di uno spazio di questo genere per formulare proposte con l'obiettivo di frenare l'accaparramento di terre, rendere effettiva una vera riforma agraria e promuovere produzioni nel rispetto della sovranità alimentare in quanto alternati-va alle monocoltivazioni. Il 20 di aprile si è tenuta nella città di Guayaquil “l'Assemblea dei popoli della zona costiera” che si è proposta di costruire un processo che possa incorporare più settori al dibattito. In questo modo si vuole stimolare la discussione in ciascuna delle organizzazioni per far convergere le proposte all'interno del Congresso dei Senza Terra. Questo panorama di movimenti sociali è tornato a Quito il 19 e 20 maggio, per presentare le proprie richieste di fronte all'Assemblea nazionale, includendo il rifiuto verso le politiche estrattive che il governso sta favorendo ad imprese straniere e che sul medio-lungo periodo porte-ranno al deterioramento delle risorse e all'impossibilità di costruire il Buen vivir in Ecuador.

Cosa fa Mani TeseFIAN (Food Information and Action Network) si è costituita nel 1986 ed è stata fra le prime organizzazio-ni di diritti umani a lottare per la promozione e tutela del diritto al cibo e ad una alimentazione adeguata. È presente in 50 paesi, fra cui l'Ecuador, e partecipa alla campagna globale per la riforma agraria; Mani Tese collabora con FIAN Ecuador da circa due anni sostenendo in differenti modi le campagne che l'orga-nizzazione porta avanti nel paese, legate al tema del diritto al cibo e della salvaguardia delle risorse naturali. In questo caso Mani Tese collabora con FIAN Ecuador nell'organizzazione del Convegno dei Senza Terra che è previsto si realizzerà nei prossimi mesi in Ecuador e che è una tappa del percorso che i movimenti sociali ecuatoriani stanno portando avanti con l'obiettivo di partecipare alla formulazione della Legge della Terra, in vista della costruzione di uno stato basato sulla logica del Buen vivir.

L'unico passo che è stato mosso dal governo è rappresentato dalla consegna dei titoli di proprietà ai

contadini, che però non ha significato la consegna effettiva della terra…

12 risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche

CAMPAG

NE

a cura di deborah lucchetti, coordinatrice nazionale campagna abiti puliti

Che si voglia o no la moda ci riguarda, e molto. Nella società della comunicazione dove tutto è immagine, il senso di apparte-nenza che produce indossare un marchio è un fenomeno non trascurabile. La moda si rivolge a tutti come consumatori pronti ad aderire a modelli di comportamento precisi, scollegati dalle implicazioni sociali e am-bientali legate ai prodotti che acquistiamo. Nella moda siamo spinti a desiderare qual-cosa che spesso non ci serve ma ci regala il piacere effimero di sentirci trendy, uguali alle star del cinema o della TV, conformi ad un sistema che riempie gli spazi fisici e so-ciali con le merci e scambia il bisogno uma-no di relazioni con la capacità di spendere per comprare status e identità rassicuranti. In questo contesto diventa stridente e pro-vocatorio chiedersi cosa si nasconde dietro le luccicanti passerelle della moda, quali biografie sociali si muovono lontane dai riflettori che illuminano un mondo irreale fatto solo di bellezza artificiale, ricchezza e successo. Dietro le quinte si muove la po-tente industria dell'abbigliamento, impero globale fatto di grandi marchi e milioni di realtà produttive dislocate ormai in tutto il mondo, secondo una geografia produttiva dettata dalla nuova divisione internaziona-le del lavoro imposta dalla globalizzazione. Ottanta milioni di lavoratori al servizio di una filiera articolata che concentra le attività produttive nei paesi a basso costo sociale, fiscale e ambientale, mentre trattiene le funzioni ad alto valore aggiunto nei centri di potere economico, i quartieri generali delle grandi multinazionali. Nella scala del potere che si riflette perfetta-mente nella catena del valore, troviamo al primo posto le grandi piattaforme logisti-che e distributive, i cosiddetti giganti della Grande Distribuzione Organizzata, seguiti dai marchi e poi dai produttori localizzati ormai prevalentemente nel Sud-Est asia-tico, in Nord-Africa, in America latina e nell'Europa dell'Est. All'ultimo posto della catena troviamo operai, in maggioranza donne, precarie e ultraflessibili, sottopa-gate, spesso vessate e soggette a molestie psicologiche e sessuali, costrette a ritmi di lavoro insostenibili per riuscire a mantene-re figli e famiglia con salari irrisori.

La Clean Clothes Campaign (www.clean-clothes.org) nasce ormai più di 20 anni fa per svelare questi meccanismi, denunciare i soprusi celati dietro le etichette opache dei nostri vestiti, evidenziare la possibilità di proteggere i diritti umani e le persone al lavoro attraverso una rete di solidarietà internazionale che lega chi produce a chi consuma. Un legame forte basato sul grande potere “politico” dei consumatori che possono dare voce alle istanze dei più deboli attraverso un presidio critico del mercato e un'azione organizzata di pressione sui marchi, molto interessati alla brand reputation per ragioni di marketing. La forte utilità della campagna, fra le più autorevoli e longeve a livello internazionale nell'ambito dei diritti umani e della corpo-rate accountability, risiede nella sua capaci-tà di lavorare su casi specifici in diretto contatto con le vittime delle violazioni. In assenza di regole vincolanti per le imprese e di conseguenti sanzioni che puniscono con certezza chi viola sistematicamente i diritti fondamentali delle persone al lavoro, la società civile internazionale si è organizzata per sollecitare la necessità di adottare misure concrete di protezione e promozione dei diritti umani da parte delle imprese e dei governi. Oggi la CCC (in Italia www.abitipuliti.org) è attiva in 15 paesi eu-ropei tramite coalizioni nazionali e lavora in rete con più di 250 realtà organizzate di base. Accanto al sistema dei casi urgenti,

meccanismo di azione diretta (riconosciu-to dalla Unione Europea come strumento attivo per la difesa dei diritti umani) per la risoluzione di controversie e violazioni che colpiscono i lavoratori nelle imprese, la campagna sviluppa campagne di pressione su temi specifici che vanno dalle condizio-ni di lavoro riscontrate nella produzione di gadget e prodotti tessili per grandi eventi come le Olimpiadi (vedi www.playfair2012.org), alla nota campagna per la cessazione della sabbiatura dei jeans finita anche in prima serata alle Iene.

La moda ci riguarda

13manitese 478 | maggio-giugno 2012

Clean Clothes Campaign

Deadly Denim

Sandblasting in the Bangladesh

Garment Industry

Per nessuna ragione è lecito morire. Tantomeno per dare a un paio di jeans quell'aspetto schiarito e vintage che piace tanto alla moda e, di conseguenza, ai con-sumatori di mezzo mondo. Sono stati i medici turchi a stabilire per primi un legame tra la silicosi, malattia professionale fatale antica e diffusa in diversi settori produttivi industriali, e il settore tessile. Le lastre dei giovani lavoratori sarebbero state classificate come casi di TBC, se non fosse stato che tutti avevano in comune lo stesso lavoro: quello di sabbiatori del denim, la stoffa usata in tutto il mondo per la produzione di jeans. Il caso ha suscitato grande scalpore e grazie alla Campagna Abiti Puliti è diventato di dominio pubblico a livello internazionale. Prima del 2011 infatti solo gli attivisti turchi del Solidarity Committee of Sandblasting Labourers avevano denunciato la tecnica potenzialmente fatale per i lavoratori, costringendo nel 2009 il governo turco a bandire l'uso della sabbiatura per la schiaritura dei jeans. Da allora in Turchia sono stati registrati 52 decessi per silicosi e 1.200 casi di malattia conclamata, ma i medici sospettano che le cifre reali siano di gran lunga superiori. Il fenomeno della sabbiatura riguarda tutta l'industria dei jeans e

numerosi paesi dove ancora si pratica perché auto-rizzata. Grazie alla campagna internazionale avviata nel 2011, molti grandi marchi sono stati costretti a dichiarare pubblicamente l'abbandono della tecnica, tra i quali H&M, Levis, Gucci, Esprit, Lee, Zara. Il problema tuttavia non è risolto perché nonostante il bando ufficiale dei leader della moda, la sabbiatura continua in paesi poverissimi e senza effettivi sistemi di controllo, dove i fornitori aggirano il bando imposto dai loro committenti, spostando gli impianti presso sub-fornitori o semplicemente utilizzando la sabbiatu-ra manuale (molto meno costosa e più veloce) durante i turni di notte. Conviene a tutti tranne ai lavoratori, che rischiano la pelle senza saperlo come dimostra la recente ricerca che abbiamo condotto in Bangladesh (vedi Deadly Denim su www.abitipuliti.org) in base alla quale abbiamo posto all'attenzione dell'opinione pubblica, dei governi e dell'ILO la necessità di vietare per legge la produzione e l'importazione di jeans sab-biati. Ci aspetta ancora un lungo lavoro di pressione e sensibilizzazione ma i risultati già ottenuti incoraggia-no a proseguire perché non possa più esistere il rischio di morire a vent'anni per un paio di jeans alla moda.

Morire di jeans

Le due immagini sono tratte dal rapporto “Deadly Denim” edito dalla Clean Clothes Campaign (vedi la copertina sotto), presentano due diverse lavorazione del Denim.

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | approfondimento14

UN PIANETA DA DIFENDEREDal 1964 Mani Tese combatte gli squilibri tra nord e sud del mondo mettendo tutto il suo impegno nella concreta promozione di un futuro di giustizia e di equità per tutti i popoli del nostro pianeta. Un pianeta che oggi ci chiede di riportare alla luce la sobrietà come valore fondamentale, come stile di vita necessario per proteggere, tutelare e preservare la nostra terra, gli elementi naturali e i popoli che la abitano. Cambiamenti climatici, ipersfruttamen-to delle risorse naturali, inquinamento, sprechi, sovrapproduzione di rifiuti sono solo alcuni dei problemi che devono essere affrontati al più presto.Diventare promotori di un urgente cambia-mento è l'imperativo che oggi Mani Tese vuole assumersi come impegno responsa-bile attraverso il Bando SottoSopra, rea-lizzato in collaborazione con Fondazione Culturale Responsabilità Etica e con il so-stegno dell'Unione Europea. Una proposta per la promozione di nuove pratiche a basso impatto ambientale e ad alto valore sociale, attraverso la realizzazione di progetti che fa-voriscano modelli di consumo alternativo e consapevole destinati, in particolare, alla prevenzione e alla riduzione dei rifiuti.

Il tema dei rifiuti rappresenta il cuore del Bando SottoSopra, che Mani Tese vuole affrontare promuovendo progetti che si focalizzano sulle 5R:

1. RiduzioneRidurre la produzione di rifiuti attraverso il cambia-mento degli stili di vita.

2. RiusoRiusare un oggetto più volte per prolungarne la durata facendo in modo che sia usato anche da qualcun'altro.

3. RiutilizzoRiutilizzare lo stesso prodotto più volte attraverso ricariche e ripristini.

4. RecuperoRecuperare oggetti ripensando a utilizzi diversi e impieghi differenti.

5. RisparmioRisparmiare l'utilizzo di oggetti quantificando la parsimonia di consumo di risorse naturali, utilizzo di energia e deterioramento del territorio.

PROGETTIAMO INSIEMEMani Tese attraverso il Bando SottoSopra darà vita a progetti di piccola scala sul territorio nazionale. Possono partecipare enti no profit regolarmente costituiti e registrati di tutto il territorio nazionale in grado di cofinanziare per il 25% l'ammontare totale dei costi del progetto, che deve essere compreso tra un minimo di € 7.000 e un massimo di € 12.000. I progetti potranno avere dura-ta massima di un anno, con partenza il primo settembre 2012.

Scarica il Bando SottoSopra completo su www.manitese.it Per informazioni e domande scrivi a [email protected]

Attenzione! Il termine per la presentazione dei progetti è il 30 giugno 2012 alle ore 24:00.

sottosopra!Un bando per la promozione di nuove pratiche a basso impatto ambientale e ad alto valore sociale

GRABBING DEVELOPMENT. Towards new models of North/South relations for a fair exploitation of natural resources. DCI NSA-ED/2011/239-451. Questo bando è realizzato con il contributo finanziario dell'Unione Europea. I suoi contenuti sono unicamente responsabilità di Mani Tese e in nessun caso si può considerare che riflettano la posizione dell'Unione Europea.

LA STRATEGIA DELLE 5R

manitese 478 | maggio-giugno 2012 15 di annalisa stagni, area advocacy mani tese

DO

SSIER

20.104 è il calcolo a spanne dei chilometri percorsi complessivamente dal gruppo dei volontari. Anche se un numero in sé non racconta nulla, rende bene però l'idea del percorso fatto, dei chilometri che man mano si sono accumulati così come può far intuire il numero delle persone incontrate, delle informazioni raccolte, delle domande fatte e delle risposte ascoltate, dei paesaggi visti.

Il primo workshop internazionale “Grab-bing Development” di Mani Tese si è svolto in India dal 30 marzo al 14 aprile, e ha coinvolto 15 volontari italiani, 2 partner bengalesi e 10 partner indiani. L'obiettivo del workshop era quello di dare l'oppor-tunità ai partecipanti di approfondire le tematiche della giustizia ambientale e dell'accaparramento delle risorse naturali, mettendole in relazione da un lato con l'impatto sulle comunità locali e dall'altro con l'adozione di un certo stile di vita da parte delle popolazioni ricche.

I primi giorni stanziali a Chennai sono serviti per dotarci di un po' di strumenti:

lenti e chiavi di lettura che poi abbiamo utilizzato nelle visite sul campo. Innanzi-tutto abbiamo approfondito e analizzato il concetto di giustizia ambientale per Mani Tese; abbiamo poi ristretto il focus ad alcuni casi studio. Abbiamo incontrato uno scrittore attivista indiano, Nityanand Jayaraman, che ci ha mostrato come la storia recente dell'India come potenza eco-nomica emergente con crescita a doppia cifra porta con sé grandi contraddizioni, travolgendo una grossa fetta della popola-zione e devastando grandi territori. Infatti qual è il senso di una crescita che ha creato fenomeni come quello della Tata, passata dall'impiegare 70.000 persone trattando 1 miliardo di tonnellate di acciaio nel 1995, ai 7 miliardi di tonnellate lavorate nel 2009, impiegando però 20.000 lavoratori? Karen Coelho, professoressa al Madras In-stitute of Development Studies, ci ha inve-ce parlato di Chennai e dell'ecologia urbana, ovvero quel processo in corso in molte città indiane che sta promuovendo la riqualifi-cazione dell'ambiente attraverso l'espul-sione, o il dislocamento forzato, di ampie

fette di popolazione povera. Il risultato è che non si risolvono le cause profonde del degrado ambientale urbano e si riqualifica nascondendo alla vista la povertà. I partner del Bangladesh ci hanno portato un caso concreto di accaparramento delle risorse, cioè come viene sottratta alla popolazione locale la terra fertile, ora destinata alle coltivazioni di gamberetti per l'export anziché all'agricoltura per il mercato locale. Sono poi stati presentati dai nostri partner indiani e italiani i tre casi di cui i volontari hanno potuto fare esperienza diretta in cinque giorni di visita sul campo, e di cui potete leggere nelle pagine seguenti. La conclusione del workshop infine è avvenuta al Centro di Assefa, dove ci siamo ritrovati nuovamente tutti per scambiare riflessioni e approfondimenti sulle visite effettuate. Dopo quindici giorni in India siamo tornati a casa con più consape-volezza sulle conseguenze derivanti dai meccanismi che legano il Nord al Sud, con più informazioni, con ancora più voglia di rafforzare il nostro impegno di giustizia, sociale, economica e ambientale.

Da questo rapido resoconto non possono emergere purtroppo i colori, i volti, il caldo, l'intensità dell'esperienza vissuta. Grazie ai partecipanti e a tutti i partner che con i loro contributi hanno reso possibile un fertile ed interessantissimo workshop!

Di ritorno dall'IndiaOvvero un'esperienza “speziata” di giustizia ambientale

…e se vi siete persi il workshop indiano, seguiteci sul sito e Facebook, ne stiamo organizzando un altro, ma si cambia continen-te: Sud America!

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | dossier16

do

ssier

di patrizia politi, maddalena gregori, michela baldi, fiorella lazzari, daniela del bene

Diga di Maan, una delle grandi dighe del progetto della Valle del Narmada. È per protestare contro la sua costruzione che Ramkuwar nel 2007 è rimasta immersa in acqua per 10 giorni, rischiando la vita. (Foto di Michela Baldi)

Il movimento Narmada Bachao Andolan da decenni si batte strenuamente contro la realizzazione di dighe che costringerebbero circa un milione di persone a lasciare le proprie terre.

La Narmada è uno dei fiumi sacri della tradizione hindu: fin dall'antichità i defunti vengono condotti alle sue acque purificatrici per l'ultimo saluto. È anche uno dei maggiori fiumi dell'intero subcontinente, con i suoi 1300 chilometri che attraversano tre Stati dell'India

–Madhya Pradesh, Maharashtra e Gujarat.Negli anni ‘60 è iniziato un colossale progetto di utilizzo delle sue acque a fini idroelettrici e irrigui che prevede la realizzazione di quasi 3200 dighe (30 grandi, 135 medie e oltre 3000 piccole) interessando fiume e affluenti. Tali dighe creano laghi artificiali che sommergono vaste estensioni di terre, foreste e villaggi, costringendo le persone che vi vivono a lasciare terre e case. Ciò ha dato il via a una strenua lotta contro la realizzazione del progetto riunita nel movimento Nar-mada Bachao Andolan (NBA) e divenuta un simbolo della lotta per la giustizia sociale e ambientale.Il nostro viaggio-studio è iniziato il 5 aprile sotto la guida di Daniela, che ha trascorso diverso tempo nella valle creando legami di amicizia con numerosi attivisti. Tra questi Alok e Sylvie, che ci hanno ospitato nella loro casa condividendo con noi lunghe ore e raccontandoci del progetto e delle sue conseguenze: le trasformazioni del fiume, le ingiustizie, gli scioperi della fame, il carcere, le battaglie legali, le sconfitte, le vittorie e le prospettive future. La loro protesta non-

violenta dura da 25 anni e fonde un'analisi sociopoli-tica di taglio marxista a una visione gandhiana basata sull'amore, che riconosce anche nell'avversario l'essere umano. L'ingiustizia perpetrata a danno delle popola-zioni, sfollate dalla loro terra senza rispetto della legge dello Stato che prevede una serie di precise procedure e compensazioni, è vissuta dagli attivisti con una profonda sofferenza, da cui però scaturisce l'energica motivazione a proseguire nella lotta, persino fino al possibile estremo sacrificio del Jal Satyagraha (il lasciarsi passivamente annegare nelle acque restando nei villaggi durante l'allagamento). Con Alok abbiamo visitato i villaggi di Sulgaon, presso la diga di Maheshwar, e di Dharaji, presso la diga Indira Sagar; le comunità ci hanno accolto con calore raccontandoci della lotta per salvare terra e case –ov-vero la loro vita–, del ruolo fondamentale assunto dalle donne e di come tale esperienza comune abbia permesso loro di compiere un percorso di consape-volezza sociale, politica e individuale che ha portato anche al superamento delle tradizionali divisioni di casta e di genere. Infine, al villaggio di Kehdi presso la diga di Maan, abbiamo avuto l'onore di conoscere Ramkuwar, donna minuta e forte che durante un Jal Satyagraha nel 2007 rimase immersa nelle acque del fiume per ben 10 giorni! fino ad ottenere un incontro con le autorità dello Stato.Durante il nostro “tour” abbiamo avuto modo di visi-tare anche alcuni luoghi sacri che punteggiano il corso della Narmada. Come la città di Omkareshwar, col-locata su una penisola a forma di Om, con un tempio dedicato a Shiva. O come il forte di Maheshwar, dove viene venerata come santa la saggia regina del XVI se-colo Ahlilyabai; sempre nel forte abbiamo visitato una cooperativa di donne che tessono stoffe preziose con antichi telai in un silenzioso luogo che pare sospeso fuori dal tempo. La nostra visita è durata pochi giorni e ha interessato solo un breve tratto della valle, ma l'esperienza della vita del fiume e della sua gente è stata intensa: le donne che lavano i teli colorati stendendoli sulle rive, i bimbi che giocano, gli uomini che compiono i rituali lavacri; ma anche i pescatori, gli scavatori di sabbia e i contadini che lavorano la terra. Tutto un mondo che la modernità chiede di sacrificare in nome dei suoi nuovi idoli. Un sistema di valori in cui forse qualcosa va ripensato.

Il fiume violato

manitese 478 | maggio-giugno 2012 17 di nicola arrigoni, chiara mariotti, eléonore grassi

Mercato settimanale del villaggio di Kondamadalu. Le comunità locali che attualmente dipendono completamente dalle risorse naturali presenti nella Valle del Godavari e dai fenomeni atmosferici (come i monsoni e l'andamento delle piene) che la caratterizzano, con la dislocazione verrebbero a perdere le basi per la propria sussistenza.

L'India è vicina: la più popolosa demo-crazia del mondo, seconda economia per crescita a livello globale; meta da anni di un turismo tra lo spirituale e l'avventuroso, a tu per tu con il fascino di millenni di cul-ture sedimentate a sé nel subcontinente; luogo in cui ancora oggi puoi vedere le radi-ci della lingua europea e un buon porto per fare affari, produrre manufatti e sostenere l'economia mondiale.Siamo diretti a Chennai, la città ci appare rumorosa, sporca e caotica, come sempre tende ad apparire l'India all'europeo. Ab-biamo qualche giorno per capire dove sia-mo e perché. Viviamo tre giorni densissimi di approfondimenti su cosa sta accadendo in questa parte di mondo e per prepararci a capire quel che vedremo durante la visita al nostro case study. Quest'ultimo è la diga Polavaram sul fiume Godavari: una valle che sarà sommersa da un bacino d'acqua originato dalla costruzione di una diga che costringerà una popolazione considerevole (150.000 persone per 295 villaggi) ad ab-bandonare casa, terra e lavoro per ricomin-ciare tutto altrove.Da Chennai ci vogliono 22 ore per arrivare a Polavaram. Non ci sono strade a collegare le comunità tribali del Khammam district o dell'East-Godavari district al resto del mondo. Ci sono degli sterrati, funzionali al trasporto di prodotti agricoli dalle pian-tagioni che costeggiano il fiume, ci sono i battellini in legno, rumorosi, pilotati da adolescenti che con una tanica segata al vertice svuotano di acqua le sentine.Sotto la guida di Pagano Didla, direttore dell'ong Seeds, visitiamo 4 villaggi che dal-la diga verranno sommersi ed incontriamo le popolazioni tribali che lì vivono. A loro chiediamo cosa pensino di quanto si sta progettando, come vivano questa situa-zione e attendiamo risposte che sembrano sempre incomplete, parziali. Questi incon-tri alimentano dubbi, piuttosto che placarli e facciamo fatica ad avviare un minimo scambio di opinioni, complici anche pro-

blemi di lingua. I cantieri per la costruzione della diga sono fermi da due anni, i benefici dell'opera andranno lontano da questa regione sperduta e scollegata da tutto il resto, i luoghi dove verranno spediti anche i più fortunati sono inadeguati a mante-nere stili di vita, lavoro e sussistenza delle comunità. Eppure Sonia Gandhi in persona ha dichiarato che le colonie sono eccellenti e che compenseranno pienamente quanto i tribali Konda Reddy stanno per perdere, il fiume, la foresta, sé stessi. Le grandi opere che portano il progresso, qui, si stanno annunciando in questo modo, sottotono e senza strepiti, ma attra-verso il controllo capillare del territorio da parte delle forze di sicurezza e in un clima surreale. Infatti, si continua a scavare il Right Canal che porterà acqua al fiume Krishna, mentre mancano i fondi per erigere la grande diga e da due anni non si muove una mosca, nella grande spianata prospiciente la città di Polavaram. Qui siamo fuori dal mondo e la sensazione è che il progresso comunque passerà sopra a quei 295 villaggi che nessuno rappresenta, stretti nella morsa delle speculazioni e già adesso in lotta per la sopravvivenza.Torniamo a Chennai. Dopo Eluru, dopo gli insediamenti che costellano l'autostrada, la grande città sembra un piccolo paradiso di palazzi, grandi magazzini, benessere, pulizia e case eleganti.Il fiume Godavari torna nel suo anonimato distante e silenzioso, mentre per noi si apre il quesito fondamentale, di come si possa cambiare il corso di tutta questa storia, di come rendere il fiume Godavari una parte delle nostre esistenze e non un trascurabile evento lontano, che tutto sommato non riguarda nessuno.

La diga PolavaramEnnesimo esempio di sviluppo ineguale

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | dossier18

do

ssier

di laura colombo, giancarlo fumagalli, maria damin, antonella catalano, valentina malaguti, luca simonazzi, soledad ballada

Inquinamento dell'acqua nelle città di Ambur, a destra, e Tirupur, a sinistra. (Foto di Antonella Catalano)

Milton Friedman, Premio Nobel per l'eco-nomia nel 1976, sostiene che “The business of business is business”, gli affari dell'a-zienda sono i soldi. Con la curiosità di poter mettere in discussione questa visione individualista e materialista dell'economia siamo partiti per Tirupur e Ambur, due città nello Stato del Tamil Nadu, note per la produzione e l'esportazione, rispettiva-mente, di capi di cotone e di pelle. 6250 unità produttive tessili e oltre 700 concerie al servizio delle grandi firme del mercato europeo e statunitense come Fila, Diesel, Gucci, Timberland, Bugatti, Lacoste, ecc.A Tirupur abbiamo incontrato Mr. Alex e Mr. Williams, due sorridenti operatori del CCSR (Center for Corporate Social Respon-sibility), un centro che da due anni si occupa di promuovere e diffondere il concetto di Responsabilità Sociale d'Impresa (RSI) tra le imprese del distretto. Sotto la loro paziente guida abbiamo visitato un'industria tessile a Tirupur e tre pelletterie ad Ambur. La fragilità dei rap-porti che legavano il CCSR e le imprese era evidente, per la delicatezza dell'argomento e per l'impatto delle imprese sulla società. Era infatti proibito fare domande e scattare fotografie, avremmo potuto poi confrontar-ci con i nostri partner sul pullman o in altri luoghi dove nessuno potesse sentire. Nelle fabbriche tessili di Tirupur solo il 7% degli occupati è assunto a tempo indeterminato. Il 93% dei lavoratori è personale tempora-neo non qualificato, senza tutela sindacale

(sindacati peraltro, spesso corrotti) e senza i diritti più elementari. Il tutto con paghe che si aggirano dalle 400 alle 600 rupie al giorno (da 6 a 9 €), con orari di lavoro anche di 72 ore alla settimana. Tirupur è esplosa in pochi anni. È un non-sense di asfalto, cemento, rifiuti e fogne a cielo aperto. Senza nemmeno l'ombra di una pianificazione urbana gli edifici e le baracche sono spuntati gli uni sugli altri. Ci si ritrova disorientati in un caos di clacson insistenti. L'uomo scompare nella città, perde la sua dignità, la sua storia. Costretto a vivere ai margini delle strade, a ridosso dell'immondi-zia. Costretto a utilizzare, per lavarsi e per vi-vere, le acque altamente inquinate del fiume Noyyal. I diritti fondamentali sono calpestati e i legami fondamentali con l'ambiente natu-rale e la comunità sono totalmente recisi. Ambur non è molto differente da Tirupur, ma qui la vita è anche più difficile. Le pelletterie e le concerie hanno inquinato con i loro scarichi al cromo: fiumi, falde, servizio idrico della città e dei 27 villaggi del distretto, nonché migliaia di ettari di terra rubandoli all'agricoltura. Anche l'aria è irrespirabile a causa dell'incenerimento degli scarti di lavorazione del pellame. In luoghi come Tirupur e Ambur si avverte una forte sensazione di impotenza e di ras-segnazione. Ma nonostante ci sembri una condizione senza speranza, guardandosi attorno si vedono bambini sorridenti che salutano e chiedono di essere fotografati con genitori orgogliosi.

Il CCSR è l'unico istituto del distretto di Tirupur che si occupa di RSI, un lavoro complesso, gravoso, lento e rischioso, con risultati per ora impercettibili, ma è indispensabile per tentare di sviluppare un embrione di coscienza civile su questi temi, tra le imprese ma anche tra gli stessi cittadini che eleggono i governi e che sono ugualmente consumatori. Ad Ambur e Tirupur, come in qualsiasi area industriale del Nord o del Sud del mondo, va spostato il percorso di responsabilità sociale dalla domanda “quanto mi costa?” alla convinzione culturale di chiedersi “in quanto mi rende?”. Infatti se un'azienda, ad esempio, decide di investire in un impianto di produzione di energia rinnovabile dovrà sostenere un esborso iniziale, ma nel tem-po ne trarrà beneficio anche l'ambiente. È necessario che le aziende che delocalizzano cessino di sfruttare la mancanza di regole sul lavoro e sull'ambiente nei paesi in via di sviluppo; sarebbe auspicabile che avessero l'obbligo di produrre rispettando le princi-pali normative dei paesi occidentali.

Occorre unificare i rapporti sociali ed economici per iniziare a riflettere sull'op-portunità che responsabilità e profitti non sono contrapposti anzi. E che il pensiero neoliberista del “ The business of business is business”, favorendo la delocalizzazione senza regole, ha causato catastrofi ambien-tali, sociali e finanziarie. Tiripur e Ambur sono emblematici.

Tirupur e AmburRiflessioni sulla Responsabilità Sociale d'Impresa

19manitese 478 | maggio-giugno 2012

a cura di samuele tini, coordinatore di mani tese in guinea bissau

AGG

IORN

AMEN

TO PAESI

Dal 12 aprile scorso la Guinea Bissau vive come para-lizzata e in una bolla. I fatti sono noti, l'attacco dei mili-tari alla casa del primo ministro e vincitore del primo turno delle presidenziali, la cattura del presidente ad interim e di membri del governo. Le intimidazioni e i saccheggi di case a persone vicine al governo deposto.E poi un impasse lunga quasi un mese, con tentativi di proposta, prima transizione di 2 anni con esclusione del partito di governo, poi inclusione, poi 1 anno di transizione, poi chissà…

Nel frattempo il paese, già molto precario si blocca. Il porto, gli aerei, i ministeri. Dopo una settimana ripren-dono i collegamenti aerei, mentre il porto funziona ancora a singhiozzo e e importazione ed esportazione di beni sono pressoché bloccate.Questo cade in un momento di grande importanza per il paese, in quanto la Guinea Bissau esporta principal-mente anacardi e i mesi di aprile, maggio e giugno sono cruciali per la buona riuscita della campagna, che già è compromessa, con prezzi in picchiata e, in prospettiva, seri problemi per le popolazioni dell'interno, che vive dello scambio riso per anacardi.Nondimeno i funzionari pubblici non stanno rice-vendo il salario da aprile e continuano nello sciopero generale. I ministeri sono bloccati e con essi le normali funzioni di governo.

Come agisce Mani Tese in questa situazione? Mani Tese e i suoi partner, in primis ADIM, sono in prima fila per cercare di alleviare le difficoltà alle persone. Alcune organizzazioni stanno pensando di andare via… ma come possiamo andare via, come possiamo tener fede al nostro motto “un impe-gno di giustizia”, se proprio adesso abbandoniamo la gente? Ecco che concretamente Mani Tese e ADIM hanno partecipato al forum delle ONG locali e internazionali, dove quasi tutti gli attori, uniti e unanime-mente, hanno condannato il golpe con un comunicato forte e hanno creato gruppi di lavoro secondo le aree di appartenenza per seguire le emergenze che si stanno creando.

Dall'altro lato, all'interno del sistema UN-Unione Europea, Mani Tese partecipa attivamente ai lavori del Protection-Human Rights group.E poi gli atti concreti. Il ministero della Giustizia ci informa che con la crisi non ha più fondi per i prigionieri e le guardie. Con una missione con-giunta, Mani Tese, UN e Commissio-ne Giustizia e Pace, abbiamo visitato le carceri e Mani Tese, attraverso il progetto cofinanziato UE, ha offerto alimenti e un piccolo fondo per assi-stenza per tamponare l'emergenza, in attesa che la situazione trovi una soluzione.

A Cacine abbiamo continuato le nostre attività, riparando la fabbrica del gelo che aveva avuto un proble-ma, continuando il nostro appoggio ai pescatori e alla cooperativa e continuando le attività, fornendo alle associazioni di donne trasformatrici, delle reti e una canoa.Con il progetto agricolo, dove Mani Tese è partner di LVIA, è continuato il miglioramento strutturale dei centri servizi rurali e l'appoggio alle associazioni locali. Prossimo passo la distribuzione dei semi, se le condi-zioni lo permetteranno.È infatti cruciale una buona cam-pagna agricola, evitare che i con-tadini, per la fame, non seminino ma consumino il riso e le sementi. Questo può portare a gravi situazioni di insicurezza alimentare. Mani Tese con LVIA segue anche il gruppo tematico creato per seguire l'emer-genza alimentare.

Tutta l'equipe, locale e non, sta bene e sta andando, condizioni permet-tendo, sul terreno. Questa è anche una testimonianza nei confronti dei guineensi del nostro impegno e del continuo nostro supporto.Un abbraccio di speranza da tutta l'equipe di Mani Tese in Guinea.

Il golpe in Guinea Bissau

Sopra: Il Primo Ministro uscente Carlos Gomez Junior, vincitore al primo turno delle elezioni.Sotto: riunione di un gruppo di donne che partecipano al progetto di Mani Tese a Cacine.

20 risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche

di elias gerovasi, capo area cooperazione mani tese

LA COO

PERAZION

E DEL FU

TURO

Dopo aver avuto un ruolo chiaro e comprensibile per più di 50 anni sembra che per la cooperazione allo sviluppo sia arrivata la crisi di mezza età. Nel mondo si moltipli-cano iniziative più o meno istituzionali per ragionare sul futuro della cooperazione internazionale, tutti guar-dano alla data fatidica del 2015 quando qualcuno dovrà fare il bilancio alla scadenza degli obiettivi del Millennio. Le stesse Nazioni Unite iniziano a lavorare su Beyond 2015…ovvero come rilanciare la lotta alla povertà, come disegnare un futuro all'aiuto allo sviluppo? Sarà difficile parlare di obiettivi raggiunti anche se in diversi campi i numeri mostrano sensibili miglioramenti. Certo dal 2000 ad oggi lo scenario globale, soprattutto quello economico, è cambiato parecchio. Il peso dei paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina) sul Pil mondiale è passato dall'11% all'attuale il 25%. Questa crescita economica dei BRIC sta rovesciando ogni logica anche nelle sedi istituzionali transnazionali anche se i paesi del nord stentano a prenderne atto.Pensate solo a cosa rappresenta oggi la Cina in Africa, agli investimenti massicci nel settore privato e nelle infrastrutture. Accanto a dove la nostra cooperazione cerca di sostenere le comunità in faticosi percorsi di sviluppo, la Cina costruisce linee elettriche, telefoniche, strade, stadi di calcio e palazzi a vetri in pochi mesi. In cambio porta via materie prime ed energia per la sua vorace economia.

Per fare cooperazione oggi bisogna rendersi conto di questo quadro, completamente mutato rispetto ad alcuni anni fa. La novità è che non siamo più al centro del mondo e che il nostro benessere non è più sconta-to. Probabilmente è finito il tempo in cui la solidarietà internazionale era unidirezionale, come fosse un flusso ininterrotto dagli eterni ricchi agli eterni poveri e non la possibilità di uno scambio paritario di relazioni, valori, esperienze, capitali.

Prima di avventurarsi verso un futuro di cambiamen-ti, dobbiamo essere orgogliosi di quello che è stato raggiunto. Le ONG e la cooperazione hanno innega-bilmente giocato un ruolo importante negli ultimi 50 anni, pensate alla lotta contro le dittature, l'apartheid, le innumerevoli crisi umanitarie. E come sarebbe la

situazione in molti paesi del mondo sul ruolo della donna, l'accesso al credito, l'educazione, l'accesso all'acqua potabile e l'agricoltura rurale senza il contri-buto innovativo delle organizzazioni non governative? È certo che guardando al futuro, dobbiamo costruire un percorso basato sulla nostra storia che dimostra nei fatti il ruolo potenziale della cooperazione.

Alcuni critici sostengono che la crisi d'identità della cooperazione allo sviluppo sia causata dalla fine di un generale, onnicomprensivo paradigma della povertà. Non esiste oggi una narrativa globale della povertà e lo dimostrano le cronache delle economie emergenti come India e Brasile, che stavano lottando per evitare la morte per fame di milioni di loro cittadini solo pochi anni fa. Oggi sfornano nuove élite e classi medie e stan-no sfidando il concetto di ciò che è definibile un paese povero. Oggi problemi come il cambiamento climatico,

La crisi d'identità della CooperazioneAnche di questo si è parlato a Scandicci il 21/22 Aprile durante l’ultimo incontro per volontari e soci di Mani Tese

La novità è che non siamo più al centro del mondo e che il nostro

benessere non è più scontato.

21manitese 478 | maggio-giugno 2012

l'approvvigionamento energetico, lo sfruttamento delle risorse naturali e la migrazione stanno cambiando il racconto della povertà e dello sviluppo.

Probabilmente dobbiamo abbandonare anche l'idea che ci possa essere una narrativa globale della povertà che giustifica uniformemente il lavoro delle ONG. Oggi due terzi dei poveri vivono in paesi a reddito medio ma è chiaro che affrontare la povertà in India è comple-tamente diverso da affrontare il post-conflitto in Sud Sudan, la violenza in Guatemala o le migrazioni in Bangladesh.La stessa strategia d'intervento potrebbe non essere efficace davanti alle diverse realtà odierne e alle così dette nuove povertà, non solo la fame quindi. Ci sarà bisogno di strategie e partenariati mirati in grado di svi-luppare programmi specifici e tematici che rispondano a necessità particolari.

Ma in futuro il ruolo delle ONG non perderà certo di importanza. Nel nuovo scenario globale, dove i cittadini sono sempre più facilmente in comunicazione, le reti globali della società civile diventeranno sempre più importanti. In un mondo in cui i beni comuni globali stanno diventando uno dei temi principali del futuro, non credo che la cooperazione diventerà irrilevante. La

disuguaglianza e l'ingiustizia sociale sono sempre più una minaccia onnipresente per la stabilità sociale anche e soprattutto nei contesti a forte crescita economica. Le organizzazioni della società civile sono e saranno gli attori principali nella lotta contro la povertà e l'emargi-nazione.Ambiente, energie, diritti dei lavoratori, regole dell'e-conomia e della finanza, beni comuni sono tutti ambiti globali e davanti alla crisi economica non è possibile pensare alla salvezza di un singolo paese dal default. So-lo una visione globale dei problemi, soprattutto di quelli che affliggono i poveri, potrà dare una svolta a questo mondo e risolvere le ingiustizie sociali nel sud come nel nord del mondo. La cooperazione può essere lo stru-mento di questa grande battaglia globale, di un'alleanza fra popoli che si batte per costruire un mondo più giusto.

Questo potremmo cercare di trasmettere all'opinione pubblica italiana quando spieghiamo il perché della cooperazione di Mani Tese, soprattutto ora che si moltiplicano anche nel panorama italiano le voci di chi vuole fermarsi a riflettere e disegnare la strada per la cooperazione e la solidarietà del futuro. In Mani Tese questo percorso lo abbiamo portato avanti negli anni specialmente con i due convegni internazionali di Riva del Garda, nel 2006 e nel 2008. Il dibattito sui centri e le periferie del mondo vs la concezione di nord e sud e la domanda sugli equilibri della fame: la cooperazione è davvero la risposta? Per questo l'associazione continuerà questo percorso nel prossimo triennio convinta di poter contribuire ade-guatamente ad un dibattito che oggi è quasi planetario.

La cooperazione può essere lo strumento di questa grande battaglia globale, di un'alleanza fra popoli

che si batte per costruire un mondo più giusto.

Oggi due terzi dei poveri vivono in paesi

a reddito medio…

22 risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche

OSSERVATO

RIO EU

ROPEO

di stefano squarcina, gruppo gue/ngl del parlamento europeo

Sembra assurdo, ma loro non sanno che sapore abbia il cioccolato. Eppure lo pro-ducono! Per essere più precisi, garantisco-no il primo stadio della produzione, quello decisivo: la raccolta delle fave di cacao senza le quali non esisterebbero la Nutella, i Mars, gli After Eights e tante altre tavolet-te magiche che rendono meno triste la nostra vita. Si tratta dei due milioni di bambini lavoratori, sotto i quindici anni, ridotti in condizione di schiavitù, coinvolti in Africa Occidentale nell'industria del cacao. Le multinazionali agroalimentari

–Ferrero, Nestlé, Kraft, Cadbury, Hershey e tante altre– realizzano miliardi di euro di profitti sullo sfruttamento di questi bambini, complice l'assenza d'informazio-ne che tiene i consumatori all'oscuro della situazione. Per fortuna qualcosa d'im-portante si sta muovendo nella denuncia delle condizioni di sfruttamento di questi bambini, grazie al lavoro delle ONG che stanno ottenendo i primi successi in ter-mini di riorientamento dei comportamenti produttivi delle grandi aziende mondiali coinvolte in questo ingranaggio.

L'Africa Occidentale garantisce il 70% della produzione mondiale di cacao, in particolare la Costa d'Avorio (40%) ed il Ghana (20%). Un altro colosso del settore è l'Indonesia, che insieme ad altri Paesi asiatici rappresenta il 14% del mercato; l'America Latina –in particolare il Brasile– occupa un altro 14%, mentre all'Oceania rimane il 2%. L'UNICEF certifica che quasi un milione di bambini nella sola Costa

d'Avorio è coinvolto nella produzione di cacao: sia per le peculiari caratteristiche della raccolta delle fave, selezionate a ma-no da un gran numero di lavoratori minori; sia per la struttura a conduzione spesso comunitaria –di villaggio– della produ-zione; ma soprattutto per il vero e proprio traffico di esseri umani che si registra nella regione, gestita da faccendieri senza scrupoli che in tal modo garantiscono alle multinazionali prezzi minimi di acquisto della materia prima. La povertà, la man-canza di altre fonti di reddito, l'assenza di un'adeguata tutela giuridica dei bambini, la loro esclusione dal sistema scolastico, la corruzione ed il malgoverno sono tra i fattori socioeconomici e politici alla base di tale sfruttamento. Con l'aggravante che questa manodopera infantile –pratica-mente gratuita– viene esposta anche all'azione nociva per la salute umana dei numerosi agenti chimici usati nella produ-zione di cacao –pesticidi e fungicidi– per nulla regolamentati sul piano ambientale e sanitario. La complicità delle multinazio-nali agroalimentari è totale, si comportano come le tre famose scimmiette, “non vedo, non sento, non parlo”.Meno male che la rinegoziazione dell'ac-cordo internazionale sul cacao, approvato dal Parlamento europeo lo scorso 14 marzo in sostituzione del vecchio trattato del 2001, ha permesso di evidenziare una situazione insosteni-

bile sul piano umano e politico. L'Unione europea, infatti, ha delle responsabilità particolari in questo settore: l'UE maci-na e consuma il 40% della produzione mondiale di cacao, l'80% delle sue impor-tazioni proviene dall'Africa Occidentale, l'industria europea del cioccolato è la più importante al mondo. Le ONG di sviluppo e cooperazione hanno preso la palla al balzo –la rinegoziazione dell'accordo– e hanno saputo organizzare un'importante campagna d'informazione e di lobby poli-tica nei confronti delle istituzioni europee. Sostenute in particolare dal Parlamento europeo, che aveva minacciato di non ratificare l'accordo in assenza d'impegni precisi da parte dalle multinazionali del settore, hanno almeno ottenuto l'impegno solenne da colossi come Ferrero e Mars di produrre il 100% di cioccolato “child labour free” entro il 2020. L'Europarlamen-to, che “condanna fermamente il ricorso al lavoro minorile nelle piantagioni di cacao”, chiede anche “a tutti i soggetti coinvolti nella coltivazione e lavorazione delle fave di assumersi le rispettive responsabilità nella lotta contro ogni forma di lavoro forzato minorile e la tratta dei minori”.

L'obiettivo del 2020 fissato da Ferrero o Mars può essere letto, come spesso accade, in vari modi: da una parte, è certamen-

Cacao & lavoro infantile

23manitese 478 | maggio-giugno 2012

te un'assunzione di responsabilità nei confronti di un problema politico dalle numerose implicazioni sociali ed economi-che, e ciò va salutato; d'altro canto, però, la gravità della situazione è tale che non si ca-pisce perché bisogna aspettare ancora otto anni per raggiungere un obiettivo “minimo”, ovvero la fine dello sfruttamento di bambi-ni impegnati in attività economiche illegali secondo i criteri dell'Organizzazione Inter-nazionale del Lavoro (OIL). Le convenzioni n.138 e n.182 dell'OIL sono alla base della definizione giuridica mondialmente accet-tata “sull'età minima per l'accesso al lavoro” e “sulla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e le azioni immediate per la loro eliminazione”: le multinazionali agroalimentari devono rispettare queste norme senza indugi ed ulteriori scuse, in base anche al principio della responsabilità sociale delle imprese definita dall'Unione europea. Le ONG che hanno incalzato que-ste multinazionali hanno annunciato che continueranno a monitorarne le politiche e verificheranno nel tempo la messa in pratica dei loro impegni; le ONG vogliono comunque fare della Ferrero e della Mars degli esempi da seguire, dato che mancano

ancora all'appello numerose grandi indu-strie del cioccolato.

È necessario anche andare oltre il semplice approccio volontaristico, come quello del

“Protocollo Harkin-Engel” che negli Stati Uniti lascia libere le aziende di conformar-si agli obiettivi “child labour free”. Nelle intenzioni dei due congressmen americani la loro iniziativa doveva trasformarsi in legge vincolante, ma –guarda caso– l'azio-ne delle lobby industriali ha fatto saltare il voto finale nel Senato USA e declassato l'iniziativa a semplice protocollo volontario. Bisogna invece imporre la fine della schia-vitù infantile all'industria del cacao, è una questione di umanità e di decenza politica. L'Unione europea ha gli strumenti giuridici per farlo: è necessario che la Commissione di Bruxelles imponga un meccanismo di tracciabilità sociale del cioccolato prodotto e commercializzato in Europa; sull'e-sempio del “logo bio”, l'esecutivo europeo può anche proporre una certificazione

“child labour free”, imporre un'adeguata informazione dei consumatori usando la cosiddetta “etichettatura sociale” del cacao, promuovere ulteriormente il commercio

equo e solidale a garanzia della sostenibi-lità sociale del prodotto; soprattutto, può imporre con una direttiva una data molto più ravvicinata del 2020 per raggiungere gli obiettivi di abolizione totale del lavoro minorile in quel settore. L'UE ha anche strumenti di pressione nei confronti dei Paesi produttori di cacao, sia in termini di cooperazione commerciale (sistema delle preferenze generalizzate) che di coope-razione allo sviluppo (finanziamento di progetti agricoli socialmente sostenibile). Come si vede, molto rimane ancora da fare per togliere al cioccolato quel gusto di ama-ro che gli conferisce il lavoro infantile.

sembra assurdo, ma loro non sanno

che sapore abbia il cioccolato.

eppure lo producono!

sembra assurdo, ma loro non sanno

che sapore abbia il cioccolato.

eppure lo producono!

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | approfondimento24 di giacomo petitti, responsabile ecm e formazione volontari mani tese

Crescere diritti. educazione per una cittadinanza mondiale.

“Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”, diceva Albert Einstein. Il Centro Ricerca Educazione Allo Sviluppo (CRES) di Mani Tese ha sempre implicitamente condiviso questo principio, traducendolo nell'idea che i cittadini di domani dovranno saper leggere la realtà e gli accadimenti del mondo da diverse angolazioni, imparando a superare le vecchie categorie. Del resto l'Educazione alla Cittadinanza Mondiale risponde proprio a questo bisogno: provare a raccontare un'altra storia, una narrativa diversa capace di ribaltare e decostruire le ricette classiche dell'egemonia culturale del pensiero unico, per nulla in grado di dare risposta ai problemi e ai drammi del nostro tempo.E dove se non nella scuola? È in classe che si formano le donne e gli uomini del futuro, è lì che si può ancora giocare a decolonizzare l'immaginario per costruire qualcosa di nuovo. Educare alla Cittadinanza Mondiale non è quindi semplice testimonianza di quanto avviene nel Sud del mondo, ma un vero e proprio processo pedagogico, in cui il ruolo dell'insegnante è centrale e imprescindibile. Per questo il Cres di Mani Tese propone percorsi di apprendimento per temi e problemi strategici, capaci di collegare le discipline alle Educazioni (alla pace, all'ambiente, ai diritti, etc.), con l'obiettivo di:

• Stimolare un processo attivo di appren-dimento che susciti curiosità e permetta di leggere la varietà e la complessità dei problemi del mondo in cui viviamo.

• Mettere in relazione lo sguardo globale con quello locale, accostando centri e pe-riferie del mondo come facce di una stessa medaglia.

• Far scoprire agli studenti le connessioni esistenti fra problemi collettivi e stili di vita individuali e comprendere l'impor-tanza dell'impegno personale e dell'azione informata.

• Dimostrare che ben-essere non corrispon-de a ben-avere e valorizzare le realtà degli

“altri mondi possibili”.• Superare l'astrattezza disciplinare e la

separazione tra le materie.

manitese 478 | maggio-giugno 2012 25

ANNO SCOLASTICO 2012-2013

Percorsi didatticiper studenti

Dalle risorse ai beni comuniL'accesso alle risorse naturali rappresenta una delle principali cause di tensione e diseguaglianza tra i popoli. L'utilizzo stesso del termine risorse (cioè fonti di ricchezza) per indicare il suolo, i mari e le foreste tradisce l'intenzione di sfruttarle per generare profitto, spesso ben al di sopra della loro biocapacità. Ci chiederemo cosa cambierebbe se imparassimo a gestirle con l'intento di mantenerle e preservarle per le generazioni future, in quanto si tratta di beni indispensabili per l'esistenza e quindi diritto di tutti.

Acqua libera tuttiL'acqua è base della vita, come l'aria. Per questo parliamo di un bene comune, che dovrebbe essere diritto e non merce, disponibile per tutti e proprietà di nessuno. Ci immergeremo nel mondo di una goccia d'acqua, mettendoci nei suoi panni per riflettere sul valore di una risorsa preziosa e universale.

Le parole della crisiCosa significa spread? Non sono in molti a saperlo, eppure è stata (subito dopo cre-scita) la seconda parola più utilizzata dai principali telegiornali nazionali nel 2011. Racconteremo la crisi cercando di dare un significato al vocabolario usato dai media per descriverla e scopriremo che se voglia-mo uscirne siamo condannati a continuare a crescere e ad avere sempre più cose. Ma è davvero l'unica alternativa?

Donne che reggono il mondoSecondo la FAO un miliardo di persone vive sotto la soglia di povertà; il 70% sono donne, eppure sulle loro spalle si regge spesso l'intera economia familiare, il futuro dei loro figli e lo sviluppo sociale ed econo-mico dei loro paesi. Metteremo al centro i temi dell'istruzione e della parità di genere, capiremo perché nascere donna oggi può essere ancora una “sfortuna” e quanto il di-ritto all'educazione sia imprescindibile per combattere la spirale dello sfruttamento.

Il cibo dei popoliViaggio alla scoperta del più grande para-dosso dei nostri tempi, che ad un miliardo di persone affamate ne contrappone almeno un altro che si nutre troppo e male. Durante il laboratorio ci confronteremo con i concetti chiave della sovranità alimentare, per arrivare a scrivere e discutere la carta di identità di alcuni prodotti che acquistiamo abitualmente al supermercato.

Migranti di un pianeta in movimentoCosa succedeva quando eravamo noi italia-ni a migrare? E cosa spinge oggi un abitante del corno d'africa a rischiare la vita per cercare di raggiungere le nostre coste? A partire dalla decostruzione degli stereotipi tipici sullo “straniero” ci confronteremo sulle cause delle migrazioni, individuan-done le connessioni con la povertà e gli squilibri tra nord e sud del mondo.

Corsa all'AfricaNegli ultimi anni la crisi economica, l'au-mento costante della popolazione mon-diale e la necessità di cercare nuove fonti di energia hanno innescato una repentina corsa alla conquista di nuove e strategiche risorse: prima l'oro, poi il petrolio ora le terre fertili, i mari pescosi e le abbondanti riserve idriche. Un viaggio tra i paesi del continente africano per scoprire nuove forme di colonialismo che rischiano di rendere ancora più povero un territorio già storicamente preso d'assalto, per sfatare i miti della povertà, e mostrare come le nostre scelte quotidiane possono influen-zare chi vive in paesi ancora in fondo alla classifica dello sviluppo.

Le proposte sono progettate per tutti i cicli scolastici, dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado, e sono organizzate in laboratori formativi di durata flessibile (si consiglia un minimo di due incontri di due ore ciascuno).

Il CRES propone anche corsi di formazione per inse-gnanti (vedi Strumenti cres n.59, pagg. 10 e 11) e pubbli-ca la rivista di approfondimento pedagogico-didattico Strumenti cres.

Per conoscere le nostre attività visita il sito: www.manitese.it/educazione o scrivici a [email protected]

26 risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche

a cura di domenica mazza, area attività interne e volontariato mani tese

VOLO

NTARIATO

È importante organizzare un campo Mani Tese perché è divertente!!E divertirsi allunga la vita e mantiene giovani. In un mondo che butta è bello riciclare, in un mondo che spre-ca è bello recuperare: mi piace andare contro corrente, ma non andarci da sola. In un mondo individualista mi piace con-dividere, in un mondo con la musica nelle cuffiette mi piace stare seduti in cerchio e cantare accompagnati da una chitarra. Partecipare ad un campo è un'esperienza che ti resta nel cuore, ma organizzarlo ti radica nel tuo territorio, ti mette in moto il cervello, ti apre a nuove prospettive locali e globali.

Paola Organizzatore campo Vicenza

Organizzare il campo di Mani Tese è un'opportunità da pren-dere al volo per dare il proprio contributo nella ricerca della giustizia e dell'equità. Attraver-so i vari momenti di studio e di lavoro cerchiamo di proporre uno stile di vita più sobrio e trattenuto negli sprechi. Simbolo di questi ideali è il mercatino dell'usato che fa da contorno a ogni campo di Mani Tese Verbania e permette di educare i visitatori al riutilizzo. È importante, quindi, portare avanti una simile tradizione (a Verbania Mani Tese è presente da 30 anni) e impegnarsi ogni anno in una vacanza… diversa.

Emanuele Organizzatore campo Verbania

La maggiore particolarità del campo di Ontignano (FI) po-tremmo ritrovarla nell'età dei partecipanti e del gruppo di or-ganizzatori, che sarà compresa tra i 15 e i 20 anni: similmente allo scorso anno, questo vedrà la partecipazione di 15 ragazzi e ragazze da tutta Italia che si uniranno al gruppo giovanile di adolescenti di Firenze che stanno portando avanti da vari anni una significativa attività insieme a Mani Tese Firenze. Alla domanda sul perché fare un campo risponderemmo che è un'ottima opportunità per fare un'esperienza che sia in contemporanea divertente e formativa e che risulti sia una possibilità di fare un'opera im-portante sia una “vacanza” al-ternativa basata sui valori della semplicità, dell'impegno, della vita in comune e dell'amicizia.

Organizzatori campo di Ontignano

Il campo di volontariato di Mani Tese è un laboratorio di idee dove si mettono in gioco testa, cuore e mani, per sperimentare teorie e pratiche di quel cambiamento che vogliamo realizzare nel mondo e che animano la mission della nostra associazione: giustizia sociale, sovranità alimentare, sobrietà, diritti. È una straor-dinaria proposta formativa che mette insieme persone diverse che hanno voglia di mettersi in gioco, di confrontarsi, di dire, fare e capire che cosa può fare ognuno di noi per contribuire al sogno di un mondo diverso e migliore.

Caterinaorganizzatrice campo in Kenya

I campi estivi di Mani TeseMani Tese organizza campi di volontariato dal 1968, una data lontana nel tempo che fa la differenza. Lo spirito è quello della solidarietà e dell'impegno, del lavoro, dello studio e del divertimento. Un'esperienza per sostenere concretamente progetti di sviluppo e di promozione sociale nel sud del mondo ma anche un ambito di conoscenza e approfondimento delle cause degli squilibri mondiali, della giustizia ambientale, sociale ed economica. È possibile vivere in un modo diverso, è possibile fare “vacanza” con sobrietà. Un campo di Mani Tese lo dimostra con coerenza.Ecco perché continua a credere nei campi di volontariato, nel 2012 come nel 1968.

Perché è ancora importante organizzare un campo di volontariato di Mani Tese? Rispondono alcuni organizzatori…

27manitese 478 | maggio-giugno 2012

di giovanna tedesco, responsabile relazioni con i donatori mani tese

SPAZIO D

ON

ATORI

Fino a maggio 2013 Mani Tese sarà impe-gnata nella Campagna inTRATTAbili in sinergia con i partner locali di Filippine, Cambogia, Thailandia, Myanmar, ovvero i Paesi di transito e destinazione della tratta degli esseri umani, con l'obiettivo di sensibilizzare le comunità locali, formare gli operatori delle ong locali partner di Mani Tese, promuovere programmi di accoglien-za e protezione dei bambini a rischio e traumatizzati e di prevenzione del fenome-no del trafficking, informare e sensibilizzare in Italia e nel nord del mondo.Il Trafficking, o tratta degli esseri umani, continua a mietere centinaia di migliaia di vittime e ad alimentare un inaccettabile mercato che, ogni anno, genera redditi sulla pelle dei più fragili, dei bambini e delle don-ne. In Cambogia il Trafficking è una grave problematica che minaccia il futuro e la vita stessa delle famiglie più povere che subisco-no i soprusi delle bande criminali e vengono costrette con l'inganno dai trafficanti a consegnare i propri figli, destinandoli a un futuro di violenze e di abusi.Da diversi anni Mani Tese è impegnata in Cambogia, in particolare a Poipet, nel nor-dovest del Paese a confine con la Thailandia e a Sihanoukville, una delle principali mete turistiche, con progetti di protezione e pre-venzione, di sostegno all'istruzione primaria dei bambini di strada, di accoglienza dei minori vittime di Trafficking, di supporto alle madri dei bambini sfruttati.

Per fermare questa piaga inaccettabile, per proteggere le fragili esistenze di tanti bambini venduti, abusati, sfruttati e traumatizzati sottratti a famiglie estre-mamente povere Mani Tese ha messo in campo diverse iniziative di raccolta fondi.

Grazie alla partecipazione di 68 corridori, abbiamo aderito alla Milano City Mara-thon che si è svolta domenica 15 aprile 2012. 14 staffette e 12 maratoneti hanno corso per Mani Tese con un obiettivo comune: dire STOP AL TRAFFICKING!

Attraverso la Maratona non solo i corridori sono diventati i veri protagonisti della raccolta fondi a favore di Mani Tese! I nostri volontari, i nostri sostenitori, Aron Marzetti attore di Cento Vetrine, hanno creato una propria pagina web sul portale di Rete del Dono www.retedeldono.it invitando amici, conoscenti, colleghi e parenti a sostenerli e a sostenere il progetto di lotta al trafficking di Mani Tese.Ad oggi, se sommiamo alle donazioni dei sostenitori le quote di adesione dei nostri runners, abbiamo raggiunto oltre 1.000 Euro!La Maratona è solo l'inizio: ci proponiamo di raccogliere entro l'anno la quota di € 7.100 a copertura completa delle spese di accoglienza (cure mediche, psicologiche, pasti, istruzione primaria, attività ludico-formative, materiali didattici) per 10 bambini del Centro di Poipet per un anno!

Per raggiungere questo importante traguardo abbiamo bisogno di te!Non solo è possibile sostenere la Campa-gna attraverso una donazione libera.Tu puoi essere il nostro personal fundrai-sing! Puoi aiutarci a trovare nuovi amici che sostengano la causa di Mani Tese, puoi essere protagonista attivo e lanciare su Re-te del Dono la tua iniziativa a favore della Campagna inTRATTAbili, in occasione di un momento speciale come la celebrazione di un'impresa sportiva, una ricorrenza importante (compleanno, anniversario, laurea, lista nozze per un matrimonio), la decisione di commemorare una persona cara, l'organizzazione di un aperitivo, una cena, una festa di raccolta fondi.

In molti hanno già aderito! Un grazie particolare a chi ha contributo in occasione della Maratona: i nostri runners!E grazie anche a Arte&Solidarietà, Rotary Club - Monza Est, Agraria Laurenzi, ai dipendenti della Nielsen a tutti i nostri affezionati sostenitori che insieme a Mani Tese dicono STOP AL TRAFFICKING!

stop trafficking.La Campagna inTRaTTabili di Mani Tese

Unisciti a noi per proteggere i bambini vittime di trafficking in Cambogia! Un tuo contributo, anche libero, può davvero fare la differenza.

Con 12 euro garantisci cure mediche a un bambino vittima di trafficking per un mese.

Con 50 euro contribuisci alla for-mazione scolastica di un bambino e all'acquisto di materiale didatti-co per il centro d'accoglienza.

Con 125 euro fornisci l'alimenta-zione ad un bambino per un anno.

Fai la diFFerenza

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | progetti28

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Per far fronte a questa problematica, Mani Tese ha deciso di promuovere un programma che coinvolga diverse organizzazioni di piccoli contadini in Guatemala e in Nicaragua attraverso l'intervento congiunto di 3 partner locali: Conavigua e l'Associazione Santiago di Jocotan in Guatemala e INPRHU Estelì in Nicaragua. I piccoli contadini e produttori di Guatemala e Nicaragua sono costretti a fare i conti con numerose difficoltà legate alla malnutrizione: il cambiamento climatico, la sproporzionata distribuzione delle terre, la mancanza di conoscenze e nozioni tecniche nella produzione, l'educazione nutrizionale, l'isolamento delle comunità nei periodi di piogge con conseguente impossibilità di rifornimenti alimentari.

Il tuo aiuto è fondamentale per sostenere la formazione professionale necessaria ai produttori locali, per garantire la fornitura di sementi e piante e per permettere la realizzazione di strutture adeguate!

Il tuo aiuto è fondamentale per i piccoli produttori!

Campagna Coltiviamo il futuroFormazione e orti per garantireil diritto al cibo in America Latina

In America Latina il 21% della popolazione abita in aree rurali e il 70% vive sotto la soglia della povertà.Paesi dell'America Centrale, come Guatemala e Nicaragua, devono fare i conti con gravi problemi, primo su tutti la malnutrizione cronica.

I dati non lasciano scampo, specialmente per i bambini sotto i 5 anni: in Guatemala 1 su 2 soffre di malnutrizione cronica, in Nicaragua 1 su 5.

La malnutrizione implica non solo un ritardo nello sviluppo fisico ma anche considerevoli difficoltà di apprendimento che accompagneranno il bambino nel corso della vita, peggiorandone le condizioni psico-fisiche.

Il problema nutrizionalein Guatemala e Nicaragua.

manitese 478 | maggio-giugno 2012 29

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

GUATEMALA

Creazione di orti familiari.Mani Tese, con la collaborazione di Covanigua, supporterà 30 famiglie indigene nel dipartimento del Quichè nella creazione di orti familiari con un sistema specifico per la raccolta dell'acqua e per l'irrigazione. Beneficiarie dirette saranno le donne che verranno istruite sulle tecniche di coltivazione e sul valore nutrizionale delle verdure che coltiveranno.

Formazione su tecniche agro ecologiche e salute nutrizionale.Mani Tese, insieme all'Associazione Santiago di Jocotan, lavorerà con 225 famiglie indigene chortì per combattere la malnutrizione cronica. L'obiettivo è di formare figure professionali di contadini per lo sviluppo della produzione agro-ecologica. Inoltre verranno formate le madri di famiglia nella disciplina di educazione nutrizionale, promuovendo la creazione di piccoli orti per la preparazione di cibi naturali e nutrienti.

NICARAGUA

Allevamento di animali da cortile.Mani Tese, in collaborazione con il partner locale INPRHU, sosterrà 100 contadini nell'area rurale del Dipartimento di Estelì, nel nord del Nicaragua, nella creazione di allevamenti per animali da cortile. Lo scopo è di aumentare l'apporto proteico alla dieta, con la fornitura di animali e materiali per la realizzazione di piccoli recinti.

Insieme a teci occuperemo di …

Per coltivare una nuova vita abbiamo bisogno di te!

Con 12 euroacquisti 3 galline per un allevatore in Nicaragua.

Con 24 eurofornisci 30 piantine di manioca, 20 di ananas e 5 alberi da frutto a un agricoltore in Guatemala.

Con 45 eurofornisci a una famiglia l'attrezzatu-ra per iniziare l'attività di apicoltu-ra in Nicaragua.

Con 100 eurocontribuisci a un intercambio di esperienza fra gruppi di donne produttrici in Guatemala.

Con 250 europermetti la realizzazione di 10 la-boratori di educazione alimentare in Guatemala.

Non la solita vacanza!Quest’anno dai una svolta alla tua estate...

Partecipa ai

diFarai un’esperienza unica e divertente, potrai sperimentare uno stile di vita sostenibile, approfondire tematiche legate alla giustizia ambientale, sociale ed economica, sostenere progetti di cooperazione internazionale.

Visita il nostro sito www.manitese.it/campi-volontariato e scegli il campo che fa per te

Per informazioni e iscrizioni:uffi cio gruppi e volontariatoTel. 02 [email protected]

vicenza

Dal 5 al 12 ag

osto

da 0 a 99 anni

per famiglie

"Dai diamanti non nasce

niente, dagli scarti nascono

i fi ori"

o

Ontignano (FI)dal 28 giugno al 7 luglioda 15 a 19 anni per adolescentiCibo, acqua, risorse: bene comune?nieni fi ori"

verbaniadal 2 al 13 agostoda 18 a 35 anni

“A proposito di politica... c’è

qualcosa da mangiare?” Diritto

al cibo e Sovranità Alimentare

all’interno dei festeggiamenti dei

30 anni di Mani Tese Verbania

omune?

o

dei a

bulciago (lc)

dal 29 luglio

al 5 agosto

da 18 a 99 an

ni

DRITTE PER SVOLTARE - Percorsi di

decrescita. Andiamo verso il futuro

avendo come guida il passato e

riscoprendo le pratiche dei nonni:

per vivere meglio, con meno e

senza l’incubo dello spread!

nti

vicchio (FI)

dal 26 al 31 ago

sto

da 18 a 30 anni

Mi accaparro il Sud e

rifornisco il Nord! Come posso

combattere l’apPROFITTO?Nre l’apPROF

Kenyadal 25 agosto al 8 settembre

In Marcia per la Sovranità Alimentare

In collaborazione con la Campagna Sudan

Fai la diFFerenza

risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | progetti30

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Vi ricordate del ciclone Laila?

Cari Sostenitori ,le persone che abbiamo aiutato con questo progetto non c'è dubbio

che del ciclone se ne ricordano.Noi abbiamo fatto quanto possibile per dar loro una mano, ma lutti ,

devastazioni, disastri non si dimenticano e non si superano tanto

facilmente. Il nostro partner locale ASSIST ha fornito loro, oltre ad un aiuto materiale, gli strumenti psicologici e comunitari per ricominciare.

Ma in definitiva toccherà soprattutto a loro essere protagonisti del

proprio cammino di rinascita. Noi continueremo a sostenere queste comunità attraverso i progetti

di sviluppo avviati nel Distretto e a fare il tifo per loro: anche questa

è solidarietà e ha una straordinaria valenza fra esseri umani.

Grazie per il vostro sostegno, continuate a sostenerci!

L'antefattoIl 20 maggio 2010 lo Stato meridionale indiano dell'Andhra Pradesh venne colpito da una forte tempesta tropicale formatasi nel Golfo del Bengala. Dopo aver assunto sempre più potenza, la tempesta si è abbattuta sulle coste dello Stato con piogge violentissime e ven-to molto forte, fino a trasformarsi in un vero e proprio ciclone. Il vento, che ha raggiunto la velocità di 125 km/h, ha sradicato alberi e pali elettrici, mentre onde enormi hanno colpito la costa, causando distruzioni e inondazioni.Nel distretto di Prakasam ASSIST, partner locale di Mani Tese, ha partecipato alle opera-zioni di primo soccorso in stretto coordinamento con l'amministrazione distrettuale. L'in-tervento di ASSIST si è concentrato nei 4 campi nei quali sono stati trasferiti gli abitanti dei villaggi maggiormente colpiti.

In sintesi, come si è operatoIn questi casi è estremamente importante il superamento del trauma psicologico dovuto alla perdita dei propri poveri averi, delle proprie fonti di sostentamento ed in certi casi delle proprie abitazioni. È un trauma che lascia allocchiti, sconvolti, disperati e che toglie la capacità di reazione. Sono state quindi organizzate attività di consulenza psicologica per tutte le vittime del ciclone.Anche il consolidamento della comunità, disgregata dal disastro, è fondamentale per ini-ziare il cammino di recupero e quindi particolare attenzione è stata portata alla formazio-ne ed al rafforzamento delle organizzazioni comunitarie.Un'altra attività tutt'altro che trascurabile è stata la sensibilizzazione comunitaria per prevenire la dispersione scolastica ed il trafficking di bambini.Oltre a ciò il personale ed i volontari di ASSIST si sono dati da fare per assistere circa 4.800 persone con cibo, acqua potabile, cure mediche, assistenza speciale per categorie particolarmente a rischio (bambini, donne incinte, anziani, invalidi) per tutto il periodo di permanenza nei campi.Il governo ha poi fornito 25 kg di riso, olio ed altre provviste per tutte le famiglie al loro ritorno nei villaggi di origine.

a cura di giovanni mozzi, mani tese progetto 2223, india

LocalitàDistretto di Prakasam, Andhra PradeshPartnerASSISTImporto€ 11.400

PeR sOsTeneRe I PROGeTTI DI ManI Tese• Conto Corrente Postale

n° 291278 intestato a Mani Tese P.le Gambara 7/9, 20146 Milano

• Assegno bancario• Bonifico Bancario

Banca Popolare Etica, codice IBAN: IT 58 W 05018 01600 000000000040

• Domiciliazione bancaria tramite RID

• Carta di Credito sul sito www.manitese.it

• Destinazione del 5x1000 della dichiarazione dei redditi codice fiscale 02343800153

• Lascito Testamentario

BeneFICI FIsCaLITutte le donazioni effettuate a nome di Mani Tese godono dei benefici fiscali previsti dalla legge. Ricordati di conservare la rice-vuta di versamento!

Non la solita vacanza!Quest’anno dai una svolta alla tua estate...

Partecipa ai

diFarai un’esperienza unica e divertente, potrai sperimentare uno stile di vita sostenibile, approfondire tematiche legate alla giustizia ambientale, sociale ed economica, sostenere progetti di cooperazione internazionale.

Visita il nostro sito www.manitese.it/campi-volontariato e scegli il campo che fa per te

Per informazioni e iscrizioni:uffi cio gruppi e volontariatoTel. 02 [email protected]

vicenza

Dal 5 al 12 ag

osto

da 0 a 99 anni

per famiglie

"Dai diamanti non nasce

niente, dagli scarti nascono

i fi ori"

o

Ontignano (FI)dal 28 giugno al 7 luglioda 15 a 19 anni per adolescentiCibo, acqua, risorse: bene comune?nieni fi ori"

verbaniadal 2 al 13 agostoda 18 a 35 anni

“A proposito di politica... c’è

qualcosa da mangiare?” Diritto

al cibo e Sovranità Alimentare

all’interno dei festeggiamenti dei

30 anni di Mani Tese Verbania

omune?

o

dei a

bulciago (lc)

dal 29 luglio

al 5 agosto

da 18 a 99 an

ni

DRITTE PER SVOLTARE - Percorsi di

decrescita. Andiamo verso il futuro

avendo come guida il passato e

riscoprendo le pratiche dei nonni:

per vivere meglio, con meno e

senza l’incubo dello spread!

nti

vicchio (FI)

dal 26 al 31 ago

sto

da 18 a 30 anni

Mi accaparro il Sud e

rifornisco il Nord! Come posso

combattere l’apPROFITTO?Nre l’apPROF

Kenyadal 25 agosto al 8 settembre

In Marcia per la Sovranità Alimentare

In collaborazione con la Campagna Sudan

510

00

Des

tina

il tu

o

a M

ani T

ese

Bas

tano

la t

ua

firm

a e

il no

stro

C.F

. 023

438

00

153

Non

cos

ta n

ulla

ma

vale

mol

tissi

mo!