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NE M PP
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Pubblicazione di informazione scientifica oncologica a cura di
EDIZIONE Online N° 5 – Gennaio 2018 Direttore Responsabile Giancarlo Martignoni Comitato di Redazione Antonio Ghidini Fausto Petrelli
Cancers of the Esophagus and Stomach Mario Scartozzi
Cancers of the Pancreas and Hepatobiliary tract Stefano Cascinu
Cancers of the Colon, Rectus and Anus Giuseppe Aprile
2018 GASTROINTESTINAL CANCER SYMPOSIUM–San Francisco
CANCERS OF THE ESOFAGUS AND STOMACH
Silvia Camera, Nicole Liscia, Anna Grazia Pireddu, Mara Persiano, Francesca Musio,
Stefano Mariani, Eleonora Lai, Andrea Pretta, Valentino Impera, Laura Demurtas, Dott.
Marco Puzzoni, Pina Ziranu, Mario Scartozzi.
Oncologia Medica, AOU Cagliari – Università di Cagliari
Per quanto riguarda la neoplasia gastrica ed esofagea non vi sono state importanti novita con impatto
immediato sulla pratica clinica quotidiana nell’ultima edizione del Gastrointestinal Cancer
Symposium, tenutasi recentemente a San Francisco. Gli abstract e i dati presentati nelle sessioni orali
del congresso confermano il ruolo emergente di recenti strategie terapeutiche e pongono le basi per
interessanti ipotesi di lavoro sia nel setting metastatico che nella malattia localmente avanzata. Qui di
seguito i quattro lavori che hanno suscitato il nostro interesse.
Perioperative chemotherapy with docetaxel, oxaliplatin, and fluorouracil/leucovorin (FLOT)
versus epirubicin, cisplatin, and fluorouracil or capecitabine (ECF/ECX) for resectable gastric
or gastroesophageal junction (GEJ) adenocarcinoma (FLOT4-AIO): A multicenter,
randomized phase 3 trial. Salah-Eddin Al-Batran, Nils Homann, Harald Schmalenberg et al.
Per quanto concerne il FLOT4-AIO, trial clinico di fase III che ha confrontato la chemioterapia
perioperatoria con Docetaxel, Oxaliplatino e 5-FU/LV (regime FLOT) vs Epirubicina, Cisplatino e 5-
FU o Xeloda (regime ECF/ECX) in pazienti affetti da adenocarcinoma gastrico o della giunzione
gastroesofagea resecabile, durante il recente ASCO GI, sono stati confermati e ribaditi i risultati in
termini di OS, PFS e pCR ottenuti con il regime FLOT e gia esposti in occasione dell’ultimo ASCO
2017. Nonostante l’assenza di novita in merito, è stato molto interessante l’intervento di Al-Batran
che ha fornito degli importanti spunti di riflessione.
Innanzitutto, dall’analisi dei sottogruppi è emerso che tutti i pazienti trattati con FLOT hanno
ottenuto un beneficio in OS. Questo risultato è valido anche per i pazienti anziani con eta ≥70 anni.
Per quanto riguarda i profili di tossicita, è stata evidenziata l’assenza di differenze in termini di morti
tossiche ed eventi avversi acuti tra i due regimi, ed è stata confermata la maggiore incidenza di
neutropenia G3/G4 con FLOT e di nausea e vomito G3/G4 con ECF/ECX. Non sono emerse
differenze in termini di tassi di complicanze e di reinterventi, di mortalità intraospedaliera (FLOT 2%
vs ECF 4%) e di mortalità a 90 giorni (FLOT 5% vs ECF 8%).
Analizzando la coorte di pazienti reclutata nello studio è stata evidenziata una relazione tra pCR e
istologia del tumore. In particolare, è emersa una differenza in pCR tra il sottotipo intestinale (16.1%)
e quello diffuso (2.7%); differenza che è stata confermata anche nel gruppo di pazienti trattati con
FLOT, ma con un beneficio che raggiunge il 23.1% nel sottotipo intestinale ed il 2.9% in quello
diffuso.
Durante la sessione orale, Al-Batran ha presentato un confronto molto interessante tra il FLOT4-AIO
ed altri trial clinici di chemioterapia perioperatoria. Dal confronto con lo studio MAGIC è emerso
che l’OS a 5 anni nella coorte di pazienti trattati con ECF è stata identica nei due trial e pari al 36%.
In maniera simile, la pCR nel gruppo di pazienti trattati con ECX nel trial STO3 è risultata pressoché
sovrapponibile a quella ottenuta nel braccio ECF/ECX del FLOT4-AIO (5% vs 6%). L’OS a 3 anni,
endpoint principale di questi ultimi due studi, è risultata simile nei vari bracci di trattamento, ad
eccezione del braccio sperimentale del trial FLOT4-AIO, dove, come noto, è stata raggiunta una
superiorità statisticamente significativa pari al 57%.
Presented By Salah-Eddin Al-Batran at 2018 Gastrointestinal Cancers Symposium
Dall’analisi dei pazienti affetti da tumore a cellule ad anello con castone non è emersa alcuna
differenza statisticamente significativa in OS rispetto agli altri sottogruppi. Questo dato offre uno
spunto di riflessione importante considerato che si è sempre pensato che questo sottotipo di tumore
necessitasse di regimi chemioterapici aggressivi. In maniera simile, non sono emerse differenze nelle
curve di sopravvivenza tra i pazienti affetti da adenocarcinoma della giunzione gastro-esofagea e gli
altri sottogruppi trattati con FLOT. Come mostrato dallo studio CROSS, per questi pazienti, esiste
un’altra opzione terapeutica, rappresentata dalla chemioradioterapia preoperatoria (Paclitaxel 50
mg/mq + Carboplatino AUC2 d1,8,5,22,29 + RT 23 x 1.8 Gy). Entrambi i regimi migliorano i tassi di
resezione R0, la pCR e l’OS (0.77 nel FLOT e 0.74 nel CROSS, nel solo sottogruppo
dell’adenocarcinoma). E’ da notare, però, che il miglioramento in OS nel FLOT4-AIO è stato
ottenuto confrontando due regimi chemioterapici, al contrario dello studio CROSS in cui il braccio
controllo è rappresentato dalla sola chirurgia.
Nei pazienti affetti da adenocarcinoma della giunzione gastroesofagea resecabile, oltre al FLOT
esiste un’altra opzione terapeutica che è rappresentata dalla chemioradioterapia preoperatoria.
Presented By Salah-Eddin Al-Batran at 2018 Gastrointestinal Cancers Symposium
Molto interessante anche l’intervento del Dr. Ajani Jaffer, dell’University of Texas MD Anderson
Cancer Center, che ha discusso alcuni possibili limiti del FLOT4-AIO:
• le dosi del FLOT non possono essere tollerate dalla maggior parte dei pazienti con
carcinoma gastroesofageo e questo si riflette in una maggiore tossicità,
• permangono alti tassi di mortalità a 30 e a 90 giorni dopo l’intervento in una popolazione di
pazienti potenzialmente curabile,
• il follow-up non è ancora maturo per trarre dati definitivi sull’OS.
In attesa di ulteriori risultati, il FLOT peri-operatorio rappresenta il gold standard nel trattamento dei
pazienti con tumore gastrico resecabile selezionati, pertanto i risultati presentati all’ASCO 2017 e
confermati all’ASCO GI del 2018 hanno cambiato la nostra pratica clinica.
ASCO GI Meeting 2018. Abstract# 9. Associations of PD-1 and PD-L1 expression with
mismatch repair status and prognosis in chemoradiotherapy-naïve esophageal and gastric
adenocarcinoma.
Maria Svensson, David Borg, Cheng Zhang et al. – J Clin Oncol 36, 2018 (suppl 4S; abstr 9)
Il ruolo degli immuno-checkpoints nell’inibizione della risposta immunitaria endogena è ormai noto.
L’iperespressione dei checkpoint da parte del tumore o delle cellule immunitarie può indurre il
meccanismo di tolleranza e di tumor immune escape. L’evidenza che il blocco del recettore
programmed cell death protein 1 (PD-1) e del suo ligando (PD-L1) con anticorpi monoclonali
determini il ripristino dell’immunita antitumorale ha dato il via ad una nuova era di sperimentazione
clinica. L’iperespressione di queste molecole nelle cellule tumorali si associa a una miglior tasso di
risposta agli inibitori degli immunocheckpoint. Tuttavia in vari trials si è osservata una risposta
indipendente dallo status immunoistochimico di PD-1 e PD-L1, verosimilmente dovuta alla presenza
di un alto tasso di neoantigeni tumorali e quindi a una maggiore immunogenicità.
Il sistema del mismatch repair (MMR) ha una importante funzione nella correzione del DNA durante
la replicazione. La perdita della funzione delle proteine che lo compongono (MLH1, MSH2, MSH6,
PMS2), principalmente per inattivazioni epigenetiche, può portare alla formazione di un alto tasso di
sequenze ripetute di DNA, i microsatelliti. L’instabilita dei microsatelliti (MSI), causata dal deficit
del sistema del mismatch repair (MMR deficiency - dMMR) può avere potere oncogeno quando
coinvolge regioni codificanti di geni implicati nelle funzioni replicative cellulari. Tumori associati a
dMMR presentano fino a 100 volte più mutazioni rispetto a quelli con sistema MMR competente,
portando a un carico di neoantigeni e quindi di maggiore immunogenicità. Per questa ragione tumori
dMRR risultano essere più responsivi agli anticorpi anti PD-1 come nivolumab e pembrolizumab.
L’associazione tra lo stato MMR e PD-1/PD-L1 non è stata ancora sufficientemente studiata nei vari
tipi di tumore.
La Dottoressa M. Svensson dell’Universita di Lund, Svezia, ha presentato all’ASCO GI 2018 i
risultati preliminari di uno studio retrospettivo di coorte, volto ad indagare questa associazione,
condotto su 174 pazienti affetti da adenocarcinoma gastrico e della giunzione gastroesofagea,
resecabili e naïve da trattamento chemio-radioterapico.
L’espressione di PD-L1 e lo stato del MMR sono presunti marker di risposta all’immunoterapia, ma
il loro valore prognostico rimane incerto. Pertanto, l’obiettivo di questo studio è stato quello di
valutare se l’espressione immunoistochimica di PD-L1 e del suo recettore PD-1 nelle cellule
tumorali (TC) e nelle cellule immunitarie che infiltrano il tumore (tumour infiltrating immune cells –
TIC), correlino con lo stato del MMR e con la prognosi dell’adenocarcinoma gastrico e della
giunzione gastroesofageo.
I risultati ottenuti indicano che l’espressione di PD-L1, ma non di PD-1, è significativamente
associato al deficit del sistema del MMR (p < 0.001 per entrambi), sia nelle cellule tumorali che nelle
cellule immunitarie peritumorali.
Nè il PD-1 espresso nelle TC nè lo stato MMR sono risultati effettivamente dei fattori prognostici.
Tuttavia l’elevata espressione di PD-1 (>10%) e di PD-L1 (>50%) nelle cellule immunitarie
peritumorali risulta significativamente associata a un prolungamento della sopravvivenza (hazard
ratio = 0.39, 95% c.i. 0.15-0.99), in particolare nei tumori gastrici o della giunzione gastro-esofagea
con MMR competente.
Presented by M. Svensson at at 2018 Gastrointestinal Cancers Symposium
Il valore prognostico di PD-L1 e PD-1 è stato esaminato anche a livello di mRNA nei 354 casi di
adenocarcinoma gastrico nel Cancer Genome Atlas. A livello transcrizionale, l’espressione di PD-L1
non è risultata prognostica, ma un’alta espressione di PD-1 è risultata significativamente associata
con un aumento di OS nell’adenocarcinoma gastrico (p=0.012).
Nonostante il graduale e progressivo incremento della sopravvivenza nei pazienti con carcinoma
gastrico e della giunzione gastro esofagea, attribuibile al miglioramento delle strategie terapeutiche,
questi continuano ad avere cattiva prognosi. L’individuazione di fattori prognostici risulta necessaria
e per questo largamente ricercata.
I risultati di questa analisi non permettono di trarre delle conclusioni definitive sul valore prognostico
dell’espressione di PD-1 e PD-L1. Tuttavia l’associazione tra espressione di PD-L1 e deficit del
MMR e l’evidente aumento di sopravvivenza nei pazienti che presentano un’alta espressione di PD-1
e PD-L1, in particolare in quelli con MMR competente, sottolineano la necessità di ulteriori analisi
per definire il loro valore prognostico e la relazione esistente tra essi.
ASCO GI Meeting 2018. Abstract#5. RAINFALL: A randomized, double-blind, placebo-
controlled phase III study of cisplatin (Cis) plus capecitabine (Cape) or 5FU with or without
ramucirumab (RAM) as first-line therapy in patients with metastatic gastric or
gastroesophageal junction (G-GEJ) adenocarcinoma.
Charles S. Fuchs, Kohei Shitara, Maria Di Bartolomeo et al. - J Clin Oncol 36, 2018 4S; abst 5)
Il ramucirumab, anticorpo monoclonale legante VEGFR-2, ha dimostrato l’efficacia sia come agente
singolo sia in combinazione con paclitaxel nel trattamento di seconda linea del carcinoma gastrico e
giunzione gastroesofagea.
Su questa base è stato disegnato lo studio RAINFALL, con l’obiettivo di valutare l’efficacia del
ramucirumab in prima linea, in combinazione con lo standard di trattamento nel paziente affetto da
carcinoma gastrico-giunzione gastroesofagea HER2 non amplificato. Si tratta di uno studio di fase III,
condotto in doppio cieco, randomizzato, placebo controlled. Il disegno dello studio comprende 2
bracci: cisplatino 80 mg/mq (Cis) + capecitabina 1000 mg/mq(Cape)/5fluorouracile 800 mg/mq d1-5
(5FU) + ramucirumab (RAM) q21 VS cisplatino (Cis) + capecitabina(Cape)/5FU+ placebo q21. In
entrambi i bracci la terapia è stata condotta fino a progressione o tossicità inaccettabile con
sospensione del cisplatino dopo il sesto ciclo. Come endpoint primario è stata identificata la PFS,
come endpoint secondari la OS, safety, QoL, ORR e duration of response.
Dr. Charles S. Fuchs, dello Yale Cancer Center, ha presentato i risultati dello studio, durante la
sessione orale dell’ASCO GI 2018. Dal gennaio 2015 fino a settembre 2016 sono stati selezionati
817 pazienti e, di questi, 645 sono stati randomizzati a ricevere il braccio sperimentale contenente
ramucirumab (n=323) vs il braccio di controllo contenente placebo (n=315). Nell’analisi intention to
treat è stato evidenziato un vantaggio modesto in termini di PFS statisticamente significativo nel
braccio sperimentale (HR, 0.75; 95% CI 0.63–0.91; p=0.0024; PFS mediana 5.85 vs 5.55 mesi). Per
quanto riguarda gli endpoint secondari, non è stato evidenziato un vantaggio statisticamente
significativo in termini di OS (HR, 0.96; 95% CI 0.80-1.16; p=0.68; OS mediana Ram vs PL = 11.17
vs 10.74) né di ORR e duration of response.
Presented by Charles S Fuchs, MD, at 2018 Gastrointestinal Cancers Symposium
Per quanto riguarda la safety il braccio sperimentale è stato gravato dagli eventi avversi G3 tipici del
ramucirumab (ipertensione, proteinuria, perforazione gastrointestinale) e dall’ incremento di
inappetenza e trombocitopenia. All’analisi per sottogruppi pre-pianificata, nella sottopopolazione
asiatica ed in quella con metastasi epatiche il vantaggio in termini di OS e PFS si è dimostrato più
marcato.
A fronte di una forte plausibilita biologica legata all’importanza della terapia antiangiogenetica nel
carcinoma gastrico e di una buona validità interna e discreta consistenza interna ed esterna (solo in II
linea), i dati messi in evidenza dallo studio non posso essere, ad oggi, considerati practice changing.
Il vantaggio in termini di PFS risulta infatti davvero modesto a fronte dei costi finanziari e
all’incremento di tossicita. Tuttavia in una popolazione ulteriormente selezionata clinicamente (etnia
asiatica, metastasi epatiche) e dal punto di vista molecolare (dati biomarker ancora non presentati), la
terapia di combinazione con ramucirumab in I linea potrebbe in futuro avere un ruolo definito.
ASCO GI Meeting 2018. Abstract# 68. Phase II trial of palbociclib in patients with advanced
esophageal or gastric cancer.
Thomas Benjamin Karasic, Mark H. O'Hara, Ursina R. Teitelbaum. – J Clin Oncol 36, 2018 (suppl
4S; abstr 68)
Le alterazioni del ciclo cellulare sono eventi frequenti nella patologia tumorale. Fisiologicamente,
durante il ciclo cellulare, la progressione dalla fase G1 alla fase S, è regolata dalle cicline D ed E che,
legandosi alle CDK 4/6 (cicline chinasi dipendenti), formano un complesso attivato in grado di
fosforilare la proteina Rb, (del retinoblastoma, un oncosoppressore che si trova attivo allo stato di
ipofosforilazione), disattivandola. Questo processo promuove il passaggio dalla fase G1 alla fase S e
di conseguenza favorisce la proliferazione cellulare. L’amplificazione dei loci della ciclina D e/o le
mutazioni attivanti delle CDK4/6, sono tra le cause più frequenti di proliferazione persistente ed
incontrollata delle cellule maligne (Figure 1).
In relazione a tale meccanismo, trova il razionale il presente studio di fase II che prevede l’utilizzo
del Palbociclib, (farmaco di nuova generazione, forte inibitore delle cicline 4/6), come opzione
terapeutica negli adenocarcinomi gastrici e della giunzione gastroesofagea.
L’obiettivo dello studio era quello di dimostrare l’efficacia di palbociclib nel bloccare i segnali di
proliferazione cellulare, arrestando la crescita delle cellule carcinomatose nei pazienti affetti da
carcinoma esofago-gastrico.
Lo screening ha compreso 38 soggetti con diagnosi di carcinoma esofageo, gastrico e della giunzione
gastroesofagea in cui era stata dimostrata, tramite immunoistochimica, l’espressione della proteina
Rb. Sono stati arruolati 21 soggetti (5 affetti da adenocarcinoma gastrico, 5 da carcinoma a cellule
squamose dell’esofago, 3 adenocarcinoma della giunzione gastroesofagea, 8 adenocarcinoma
esofageo). Quattro pazienti presentavano un’iperespressione di CCND1, dimostrata tramite tecnica
FISH.
I pazienti arruolati hanno ricevuto palbociclib 125 mg/die per os per 21 giorni con 7 giorni di pausa,
per un ciclo totale di trattamento di 28 giorni. Il tempo mediano di esposizione al trattamento è stato
di 1,7 mesi. Dopo i primi 2 mesi di trattamento, alla rivalutazione di malattia, 5 dei 12 pazienti in
studio hanno mantenuto una stazionarietà di malattia mentre per i restanti 16 vi è stata una
progressione di malattia rilevata clinicamente e/o mediante imaging. La durata massima di
esposizione al trattamento è stata di 5,5 mesi, per 2 soggetti in studio. Uno dei due, affetto da
adenocarcinoma gastrico HER2+, alla progressione dalla monoterapia con palbociclib ha proseguito
con l’associazione dell’inibitore delle cicline con il trastuzumab (anti HER2).
Per quanto riguarda gli eventi avversi registrati, la tossicità ematologica è risultata la più frequente.
Nel dettaglio citopenia G3/4 nel 43% (9/21) dei soggetti, dei quali il 38% (8/21) hanno manifestato
una neutropenia. Altre tossicita ematologiche sono state l’anemia nel 19% (4/21) dei pazienti e il 5%
(1/21) ha presentato una trombocitopenia. Uno dei pazienti ha presentato una piastrinopenia G4 con
conseguente sanguinamento gastrointestinale che è stato motivo di discontinuità nel trattamento.
In conclusione: palbociclib, in monoterapia, presenta una modesta attività nei carcinomi
gastroesofagei con espressione della proteina Rb.
È noto che l’utilizzo di palbociclib in prima e seconda linea nel carcinoma mammario metastatico
HR+/Her2- in associazione ad ormonoterapia (inibitori dell’aromatasi o fulvestrant) ha raggiunto
risultati eccellenti. Inoltre è stata recentemente dimostrata l’efficacia di tale farmaco, in vitro,
nell’indurre senescenza e autofagia nelle cellule del tumore gastrico.
I risultati di questo studio, purtroppo piuttosto modesti, non cambiano la nostra pratica clinica ma da
essi possiamo trarre alcuni interessanti spunti di riflessione per studi futuri.
A nostro parere, per poter espandere la finestra terapeutica in questo setting di pazienti è necessaria
una migliore comprensione dei processi cellulari che vengono implementati in risposta all'inibizione
di CDK4/6, al fine di superare lo sviluppo dei meccanismi di resistenza a questi farmaci.
2018 GASTROINTESTINAL CANCER SYMPOSIUM-San Francisco
CANCERS OF THE PANCREAS AND EPATOBILIARY TRACT Andrikou Kalliopi, Giulia Orsi, Maria Laura Riggi, Giuseppe Pugliese, Stefano
Cascinu
Dipartimento di Oncologia e Ematologia. Università di Modena e Reggio Emilia
Il Gastrointestinal Cancer Symposium tenutosi a San Francisco a Gennaio di quest’anno ha portato
ad interessanti novità prevalentemente nell’ambito dell’epatocarcinoma, mentre alcuni dati presentati
durante le sessioni orali del congresso vanno a rifinire alcune strategie di trattamento nell’ambito dei
tumori pancreatici e biliari. Qui di seguito quattro lavori, che a nostro parere, sembrano rilevanti.
KEYNOTE-224: Pembrolizumab in patients with advanced hepatocellular carcinoma
previously treated with sorafenib.
Zhu AX, Finn RS, Cattan S, et al. - J Clin Oncol 36, 2018 (suppl 4S; abstr 209).
L’immunoterapia continua a rivestire un ruolo centrale nelle strategie terapeutiche di molte neoplasie
del tratto gastrointestinale. In linea con i dati dello studio CheckMate 040 [1], che hanno portato
all’approvazione accelerata da parte di FDA del Nivolumab come trattamento di seconda linea
nell’epatocarcinoma, sembrano essere anche i risultati dello studio KEYNOTE-224[2]. Questo studio
di fase II, in aperto, a braccio singolo, ha valutato l’attivita di Pembrolizumab 200 mg Q3W in 104
pazienti con epatocarcinoma in stadio avanzato resistente al trattamento con sorafenib. L’endpoint
primario era il tasso di risposte obiettive (ORR) valutate secondo i criteri RECIST 1.1 e quelli
secondari erano: DOR, DCR, PFS, OS, sicurezza e tollerabilità. Nei 104 pazienti, valutati, la ORR è
stata del 16.3% (95% CI, 9.8 to 24.9) senza differenze nei vari sottogruppi, inclusi i pazienti con
infezione da HBV o HCV. Comunque, solo l’1% dei pazienti è riuscito ad ottenere l’eradicazione
della malattia, mentre la maggior parte dei pazienti (45.2%) ha ottenuto una stabilità di malattia. Il
tempo medio della risposta è stato di 2.1 mesi (range 1.8-4.8) ed il 94% dei pazienti responsivi hanno
mantenuto una risposta per più di 6 mesi. La DCR è stata del 61.5%, la PFS mediana di 4.8 mesi
(95% CI, 3.4 to 6.6), mentre la sopravvivenza mediana non è stata raggiunta. A 6 mesi, il 43,1% di
pazienti non era progredito e solo il 22.1% dei pazienti era deceduto. Il profilo di tossicità di
Pembrolizumab è risultato sovrapponibile con quello riscontrato ad altri studi. Ventisei pazienti (25%)
hanno presentato reazioni avverse di grado 3-5, con un solo decesso per tossicità.
Pembrolizumab sembra quindi funzionare anche in questo tipo di tumore con un buon impatto sulla
PFS e con risposte durature in tutti i sottogruppi di pazienti (sia HBV+ che HCV+), ma per definire il
suo ruolo nel panorama terapeutico, sempre più ricco, di questa patologia, dobbiamo comunque
aspettare i risultati dello studio di fase III KEYNOTE 220 attualmente in corso. Inoltre, in relazione
alla piccola percentuale di risposte ottenute (15,4% PR, 1% CR), sembra necessario identificare dei
biomarcatori predittivi che ci possano permettere di identificare il sottogruppo di pazienti che possa
beneficiare maggiormente da tale trattamento.
Cabozantinib (C) versus placebo (P) in patients (pts) with advanced hepatocellular carcinoma
(HCC) who have received prior sorafenib: Results from the randomized phase III
CELESTIAL trial.
Abou-Alfa GK, Meyer T, Cheng AL, et al. – J Clin Oncol 36, 2018 (suppl 4S; abstr 207).
Questo studio di fase 3, randomizzato, a doppio cieco, è stato disegnato per arruolare, in 19 paesi,
pazienti affetti da HCC avanzato e in progressione dopo al massimo due linee di trattamento, di cui
una doveva essere il sorafenib [3]. I pazienti sono stati randomizzati con un rapporto 2:1 a ricevere
cabozantinib (C) 60 mg/die o placebo (P) con una stratificazione in base alla eziologia del’HCC
(HBV, HCV, altro), regione geografica (Asia vs altre regioni), e presenza di diffusione extraepatica
e/o invasion macrovascolare (si o no). Inoltre, non era permesso il cross over tra i due bracci.
L’endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale e quelli secondari includevano la PFS
e la ORR valutata in base ai criteri RECIST 1.1. Inoltre, gli outcomes riportati dai pazienti, i
biomarkers e la sicurezza costituivano endpoint esplorativi. Nello studio CELESTIAL, il
cabozantinib ha mostrato un miglioramento clinicamente e statisticamente significativo in termini di
OS, endpoint primario dello studio, alla seconda analisi ad interim pianificata (pre-specified critical
p-value ≤ 0.021) nella popolazione dei pazienti sia di seconda che di terza linea. In effetti il
trattamento con cabozantinib ha migliorato la OS di 2.2 mesi rispetto al braccio di placebo (10.2
mesi vs 8 mesi) portando a una riduzione del rischio di morte del 24%; (HR 0.76, 95% CI 0.63-0.92;
p = 0.0049). Tale vantaggio è stato confermato anche per quanto riguarda gli endpoint secondari. La
PFS è stata più che raddoppiata, con 5.2 mesi rispetto 1.9 mesi a favore del braccio sperimentale
(HR, 0.44, 95% CI, 0.36-0.52; P <.0001), mentre la ORR è stata del 4% per il braccio sperimentale e
solo dello 0.4% per quello con placebo (P = .0086); includendo anche i pazienti con stabilità di
malattia, il tasso del controllo di malattia è stato del 64% vs il 33%, a favore del braccio con
cabozantinib.
Nella successiva analisi per sottogruppo dei pazienti che erano stati trattati con il solo sorafenib
(70% dei pazienti), il vantaggio in termini di OS è stato ancora più evidente per il braccio
sperimentale (11.3 mesi vs 7.2 mesi; HR, 0.70; 95% CI, 0.55-0.88). Anche in questo sottogruppo
veniva confermato il vantaggio in termini di PFS (5,5 mesi per il C vs 1.9 mesi con P; HR, 0.40; 95%
CI, 0.32-0.50). Dal punto di vista della tossicità, come era previsto, la incidenza di reazioni avverse
di grado 3/4 è stata superiore per il braccio di trattamento con cabozantinib rispetto a quello con
placebo, includendo la eritrodisplasia palmo-plantare (17% vs 0%), fatigue (10% vs 4%) elevazione
di AST (12% vs 7%) e diarrea (10% vs 2%).
Figura 1: Analisi OS nello studio CELESTIAL
Figura 2. Forest plot per OS e PFS nello studio CELESTIAL
Phase II LAPACT trial of nab-paclitaxel (nab-P) plus gemcitabine (G) for patients with locally
advanced pancreatic cancer (LAPC).
Hammel P, Lacy J, Portales F, et al. – J Clin Oncol 36, 2018 (suppl 4S; abstr 204)
Hammel ha presentato in questo ASCO GI i risultati definitivi dello studio LAPACT, fase II, a
braccio singolo, multicentrico, finalizzato a valutare l’efficacia e la sicurezza del trattamento di
induzione con nab-paclitaxel e gemcitabina nei pazienti affetti da carcinoma del pancreas localmente
avanzato non resecabili [4]. Il disegno di questo studio prevedeva una prima fase di induzione con 6
cicli della combinazione nab-Paclitaxel 125 mg/m+ Gemcitabina 1000 mg/m d 1, 8, and 15 q28,
seguita da una successiva fase in caso di mancata progressione di malattia; tale fase veniva decisa
dallo sperimentatore tra le seguenti opzioni: proseguire con lo stesso trattamento, chemioradioterapia
o chirurgia.
Il tempo mediano al fallimento terapeutico (TTF) è stato l’endpoint primario dello studio LAPACT,
mentre gli endpoint secondari erano rappresentati dal tasso di controllo di malattia (DCR), tasso di
risposta globale (ORR), sopravvivenza libera da progressione (PFS), e sopravvivenza globale (OS).
Dei 107 pazienti arruolati, quarantasei pazienti (43%) hanno proseguito alla seconda fase dello studio:
13 (12%) hanno continuato il trattamento chemioterapico, 17 (16%) hanno ricevuto
chemioradioterapia e 16 (15%) sono stati sottoposti a resezione chirurgica (R0, n = 7; R1, n = 9). Lo
studio LAPACT è riuscito a raggiungere il suo endpoint primario (TTF prefissato pari a 6.6 mesi)
con un TTF mediano pari a 8.6 mesi. Inoltre, i dati aggiornati degli endpoints secondari di questo
studio hanno riportato un DCR di ≥ 16 settimane e di ≥ 24 settimane pari al 77,6% e 65.4%,
rispettivamente. Inoltre, la ORR era del 32% e la OS a 12 mesi è stata pari a 72%.
Il profilo di tossicità era quello atteso da questa combinazione con gli eventi avversi più di grado 3
rappresentati da neutropenia (42%), anemia (11%), e fatigue (10%).
I risultati di questo studio sembrano molto incoraggianti nei pazienti affetti da carcinoma pancreatico
localmente avanzato e con un profilo di tossicità accettabile. Inoltre, in un setting ove l’obiettivo
principale fino a pochi anni fa era quello del prolungare la sopravvivenza, nell’era dei nuovi schemi
chemioterapici è sempre più evidente che possiamo avere anche una visione più aggressiva cercando
di ottenere un downstaging e di conseguenza una resezione radicale della malattia. La caratteristica
però che rende tale studio importante è il fatto che questo è il primo studio prospettico nel setting
della malattia localmente avanzata che comincia a dare delle risposte basate su evidenze scientifiche.
Ovviamente, tale panorama verrà definito meglio progressivamente con i nuovi dati dei vari trials
clinici attualmente in corso, incluso il GAP del GISCAD che prevede una randomizzazione tra lo
schema oggetto dello studio LAPACT e la gemcitabina.
Randomized phase III study of gemcitabine plus S-1 combination therapy versus gemcitabine
plus cisplatin combination therapy in advanced biliary tract cancer: A Japan Clinical
Oncology Group study (JCOG1113, FUGA-BT).
Morizane C, Okusaka T, Mizusawa J, et al. J Clin Oncol 36, 2018 (suppl 4S; abstr 205)
Lo studio FUGA-BT [5], disegnato sulla base dei risultati incoraggianti di uno studio di fase II, è uno
studio giapponese di fase 3, randomizzato che ha valutato la non-inferiorità in termini di OS
della combinazione Gemcitabina+S-1 (GS) rispetto al trattamento standard di prima linea
(Gemcitabina+Cisplatino-GC) in 354 pazienti affetti da carcinoma delle vie biliari avanzato.
L’obiettivo primario era la sopravvivenza globale mentre quelli secondari includevano PFS, RR,
tossicità. Lo studio ha raggiunto il suo endpoint primario di non inferiorità, raggiungendo una OS
mediana di 15.1 mesi nel braccio di GS e 13.4 mesi in quello standard (HR 0.95; 90% confidence
interval (CI), 0.78 to 1.15; P = 0.046 per non-inferiorità). Tale non-inferiorità è stata confermata
anche all’analisi di tutti i sottogruppi di pazienti. Per quanto riguarda gli endpoints secondari, la PFS
era 5.8 m in GC and 6.8 m in GS (HR 0.86, 95% CI, 0.70-1.07). Invece, la RR era superiore nel
braccio standard (32.4% in GC e 29.8% in GS). Entrambi i trattamenti sono stati ben tollerati, con
una lieve prevalenza degli eventi avversi clinicamente rilevanti per il braccio GC. Pertanto, gli autori
concludevano definendo lo schema GS come una valida alternativa terapeutica nel carcinoma delle
vie biliari avanzato, sottolineando la non necessità di una idratazione endovenosa, indispensabile
invece per lo schema GC.
I dati dello studio FUGA-BT hanno definito la non-inferiorità dello schema GS rispetto al
trattamento standard in una popolazione puramente asiatica e quindi attualmente non del tutto
riproducibile nella restante popolazione mondiale. Inoltre, dobbiamo ricordare che la p dello studio
risulta significativa per la non-inferiorità, ma in nessun caso è stata dimostrata la superiorità di tale
schema rispetto a quello standard. In conclusione, la importanza di questo studio, oltre ovviamente
ad offrire una valida alternativa terapeutica in questi pazienti, è stata quella di affrontare alcune
importanti questioni nel carcinoma delle vie biliari, sottolineando la loro eterogeneità e relativa rarità,
che purtroppo non permettono il disegno di importanti trials clinici e che probabilmente dovrebbe
spingerci a identificare quali sono i drivers potenzialmente utili nella selezione dei pazienti con
diversi sottotipi che con maggiore probabilità possano beneficiare di specifici trattamenti.
Figura 3. OS nello studio FUGA-BT
Per quanto l’insieme degli studi sembrano essere veramente molto interessanti per l’epatocarcinoma,
non sembrano invece portare a rivoluzioni nel trattamento delle neoplasie pancreatiche e biliari.
Finalmente, però la comunità scientifica ha sempre più chiaro il concetto della selezione del “miglior
paziente per il miglior trattamento” e stanno cominciando ad arrivare i primi risultati incoraggianti
anche in patologie che erano rimaste orfane di trattamenti per tanto tempo. Non ci rimane che
attendere i risultati dei diversi trials clinici in corso che speriamo possano portare ad ulteriori novità
nel corso del 2018.
Bibliografia
1. Nivolumab in patients with advanced hepatocellular carcinoma (CheckMate 040): an open-
label, non-comparative, phase 1/2 dose escalation and expansion trial. El-Khoueiry, Anthony
B et al. The Lancet, Volume 389 , Issue 10088 , pp 2492 – 2502. 2. KEYNOTE-224: Pembrolizumab in patients with advanced hepatocellular carcinoma previ-
ously treated with sorafenib. Zhu AX, Finn RS, Cattan S, et al. J Clin Oncol 36, 2018 (suppl
4S; abstr 209).
3. Cabozantinib (C) versus placebo (P) in patients (pts) with advanced hepatocellular carcinoma
(HCC) who have received prior sorafenib: Results from the randomized phase III CELES-
TIAL trial. Abou-Alfa GK, Meyer T, Cheng AL, et al. J Clin Oncol 36, 2018 (suppl 4S; abstr
207).
4. Phase II LAPACT trial of nab-paclitaxel (nab-P) plus gemcitabine (G) for patients with local-
ly advanced pancreatic cancer (LAPC). Hammel P, Lacy J, Portales F, et al. J Clin Oncol 36,
2018 (suppl 4S; abstr 204).
5. Randomized phase III study of gemcitabine plus S-1 combination therapy versus gemcitabine
plus cisplatin combination therapy in advanced biliary tract cancer: A Japan Clinical Oncolo-
gy Group study (JCOG1113, FUGA-BT). Morizane C, Okusaka T, Mizusawa J, et al. J Clin
Oncol 36, 2018 (suppl 4S; abstr 205)
2018 GASTROINTESTINAL CANCER SYMPOSIUM– San Francisco
CANCERS OF THE COLON, RECTUS AND ANUS
Giuseppe Aprile (1), Giovanni Gerardo Cardellino (2), Monica Cattaneo (2), Silvio
Ken Garattini (2)
1 Dipartimento di Oncologia Clinica, Ospedale San Bortolo, AULSS8 Berica, Vicenza
2 Dipartimento di Oncologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Udine
Abstract 557: Reverce: Randomized phase II study of regorafenib followed by cetuximab ver-
sus the reverse sequence for metastatic colorectal cancer patients previously treated with
fluoropyrimidine, oxaliplatin, and irinotecan.
Shitara K, Yamanaka T, Denda T, et al.
Lo studio nipponico affronta l’interessante tema della sequenza terapeutica in pazienti con neoplasia
colorettale avanzata pretrattati con chemioterapia sistemica, tema particolarmente caldo in Italia,
anche considerata la recente introduzione di tipiracil/triflorouridina nella pratica clinica. Questo
studio di fase II randomizzato includeva pazienti che pur avendo una biologia molecolare permissiva,
non erano stati in precedenza esposti a terapia con EGFR-inibitore (criterio di inclusione era l’essere
EGFR-inibitore naive), ma dovevano aver precedentemente ricevuto (e fallito) trattamento sistemico
con fluoropirimidina, oxaliplatino e irinotecan. La natura dello studio ha valenza esploratoria. Lo
studio prevedeva una sequenza obbligatoria per linee successive: i pazienti erano randomizzati 1:1 a
ricevere regorafenib con schedula classica (160 mg/die, 3 weeks on – 1 week off) ovvero cetuximab
(con o senza irinotecan); al momento della progressione o di tossicità inaccettabile i pazienti avevano
l’opportunita di switch al braccio alternativo. Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza
overall, mentre endpoint secondari erano il time to treatment failure, la PFS, il tasso di risposta e la
qualità di vita misurata a diversi timepoint. Nel complesso sono stati inclusi 180 pazienti (secondo lo
schema riportato in figura) e 101 inclusi nella analisi.
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Presented By Kohei Shitara at 2018 Gastrointestinal Cancers Symposium
L’eta mediana dei pazienti arruolati era di poco inferiore ai 70 anni e la grande maggioranza di essi –
come ragionevole attendersi – aveva una neoplasia primitiva localizzata nel colon sinistro. L’intera
popolazione aveva ricevuto bevacizumab. I dati sono stati presentati dopo un follow-up mediano di
circa 30 mesi. La sopravvivenza overall favoriva la sequenza regorafenib > cetuximab vs la sequenza
opposta, con una mediana di 17.4 mesi vs 11.6 mesi, HR 0.61, 95%CI 0.39-0.96, p=0.029; dato
confermato anche nei pazienti BRAF/RAS wild type. Tuttavia la PFS1 non differiva tra le due
strategie (HR 0.97), mentre vi era un netto vantaggio in PFS2 a favore della sequenza regorafenib >
cetuximab (HR 0.29). Mentre l’analisi dei biomarcatori era ongoing al momento della presentazione,
non si registravano tossicità inattese, con una sostanziale equivalente qualità della vita misurata nei
due bracci di trattamento.
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Presented By Kohei Shitara at 2018 Gastrointestinal Cancers Symposium
Sebbene condotto in terra asiatica, lo studio REVERCE suggerisce sia più vantaggioso l’utilizzo
dell’EGFR-inibitore dopo la terapia con regorafenib. Questa situazione, tuttavia è poco frequente
nella pratica clinica italiana dove la maggior parte dei pazienti con biologia molecolare permissiva e
buon Performance Status riceve la combinazione di chemioterapia e cetuximab o panitumumab in
prima linea, piuttosto che in trattamento di linea avanzata. Mancano tuttavia i fattori predittivi di
risposta alla terapia con il multitarget orale, che ora ha un competitor disponibile in pratica clinica.
Nivolumab in patients with DNA mismatch repair-deficient/MSI-high metastatic colorectal
cancer: long-term survival according to prior line of treatment from CheckMate-142.
Overman MJ, Bergamo F, McDermott R, et al.
Recenti evidenze di letteratura dimostrano che alcuni pazienti con tumore gastrointestinale possono
beneficiare dell'immunoterapia (Le DT, et al. N Engl J Med 2015). I pazienti che si giovano di questo
trattamento sono una frazione limitata (circa il 4-5% nel setting avanzato) e hanno una neoplasia con
specifiche caratteristiche: uno stato di deficienza del sistema di riparo del DNA (dMMR) o una
instabilità microsatellitare (MSI-H) che si traduce in un alto carico mutazionale, una elevata
produzione di neoepitopi presentati come antigeni, una spiccata infiltrazione di linfociti CD8 e una
up-regolazione dei checkpoint immunitari. Inoltre, una altra piccola quota di pazienti (2-3%) avrebbe
una malattia con caratteristiche biologiche o signature molecolare che suggeriscono potenziale
risposta all'immunoterapia (es: mutazione di POLE). Su queste basi gli autori hanno pianificato il
CheckMate 142 - uno studio di fase 2 globale a singolo braccio che rientra nel programma di
sviluppo del nivolumab - in cui pazienti selezionati potevano ricevere nivolumab single agent ovvero
in combinazione con ipilimumab. Dopo la prima pubblicazione (Overman MJ, et al. Nivolumab in
patients with metastatic DNA mismatch repair-deficient or microsatellite instability-high colorectal
cancer (CheckMate 142): an open-label, multicentre, phase 2 study. Lancet Oncol 2017), in questo
abstract viene presentato l’aggiornamento dell’outcome con un follow-up di 21 mesi (efficacia
valutata in cieco da commissione indipendente per 74 pazienti) e una sottoanalisi dei pazienti molto
pretrattati (53 su 74).
Pazienti con buon PS, dMMR o MSI-H e malattia resistente ad almeno una linea di terapia sistemica
ricevevano il trattamento con nivolumab (3 mg/kg ev ogni 2 settimane fino a PD radiologica/clinica,
tossicità o ritiro del consenso). Endpoint primario dello studio era la risposta valutata dagli
investigatori secondo criteri RECIST classici.
I 74 pazienti della coorte analizzata avevano età mediana di 52 anni, ECOG PS 0 nel 43% dei casi,
mutazioni di BRAF nel 16% dei casi, e di RAS nel 36%. Inoltre, un terzo dei pazienti inclusi (38%)
aveva una storia clinica positiva per sindrome di Lynch. I pazienti ricevevano un numero mediano di
28 dosi di nivolumab (range 1-78), a dimostrazione della buona tolleranza del trattamento. Il tasso di
risposte era del 34% (25/74) con un 9% di risposte complete (dato triplicato al follow-up di 21 mesi
rispetto a quanto riportato nella pubblicazione iniziale che aveva un follow-up mediano di 13 mesi)
con l’80% dei pazienti ancora in risposta al momento del data cut-off; il controllo di malattia con una
durata media superiore agli 8 mesi era raggiunto nel 62% dei pazienti trattati. Interessante anche
notare che il tempo mediano alla risposta era di poco inferiore ai 3 mesi. La PFS mediana, pari a 6.6
mesi, non rappresenta in modo preciso il beneficio clinico del trattamento: il tasso di sopravvivenza
libera da progressione a 12 e 18 mesi era infatti identico (44%). Ancora più strabiliante la curva di
OS: la mediana non è stata raggiunta ma il tasso di sopravvivenza overall a 12 e 18 mesi era
sostanzialmente invariato (68% vs 66%), come la curva di sopravvivenza avesse raggiunto un
plateau, senza sostanziali differenze tra pazienti che avevano ricevuto più o meno di 3 precedenti
linee di terapia sistemica. Un’analisi esploratoria ha inoltre dimostrato che vi è una relazione tra
risposta e chance di lungo-sopravvivenza.
Vi è inoltre la possibilità di beneficio clinico (con sopravvivenza superiore ai 12 mesi) anche nei
pazienti che inizialmente avevano riportato una progressione radiologica, dato che solleva l’enorme
problema della forbice tra valutazione radiologica e beneficio clinico potenziale nel paziente MSI-H
esposto a immunoterapia.
Gli effetti collaterali di grado 3-4 erano molto limitati, senza novità di rilievo.
Nivolumab + ipilimumab combination in patients with DNA mismatch repair-deficient/MSI-
high metastatic colorectal cancer: first report of the full cohort from CheckMate-142.
Andre T, Lonardi S, Wong KYM, et al.
Lo studio Checkmate-142, un trial di fase 2 non randomizzato con obiettivo primario il tasso di
risposta determinato dagli investigatori, prevedeva l'inclusione di pazienti con adenocarcinoma
colorettale metastatico pretrattato con almeno una linea di chemioterapia sistemica e MSI-H e il loro
trattamento con nivolumab single-agent (3 mg/Kg somministrato ev ogni due settimane) ovvero
nivolumab alla stessa dose combinato a ipilimumab (1 mg/Kg somministrato ev ogni 3 settimane)
per 4 dosi, poi seguite da trattamento con solo nivolumab alla dose di 3 mg/Kg. Il razionale della
combinazione tra PD-L1 inibitore e CTLA4 inibitore affonda solide radici negli studi di preclinica e
nei risultati degli studi clinici condotti in altre patologie, ad esempio nel melanoma.
I dati della seconda parte dello studio, presentati al Gastrointestinal Cancers Symposium 2018, sono
stati subito dopo pubblicati sul Journal of Clinical Oncology (Overman MJ, et al. Durable clinical
benefit with nivolumab plus ipilimumab in DNA Mismatch Repair-Deficient/Microsatellite
Instability-High metastatic colorectal cancer. J Clin Oncol 2018, epub Jan 20).
La coorte sottoposta alla terapia di combinazione ha incluso 119 pazienti, con range di età compreso
tra 21 e 88 anni, età mediana di 58 anni e ECOG PS 0-1. Il 45% dei pazienti era metastatici alla
diagnosi (53/119) e nel 55% dei casi la localizzazione della neoplasia primitiva era il colon destro.
Interessante sottolineare che sebbene tra i criteri di inclusione fosse previsto l’aver ricevuto (e fallito)
almeno una linea di terapia sistemica, il 76% dei pazienti aveva ricevuto almeno due linee di
trattamento e il 40% almeno tre, confermando che la popolazione inclusa nello studio era molto
pretrattata. Tuttavia va segnalato che i pazienti che avevano ricevuto antiangiogenici in precedenti
linee di terapia erano solo il 57%, solo il 9% dei pazienti inclusi era stato esposto a regorafenib e la
percentuale di pazienti che aveva ricevuto trifluridina/tipiracil era trascurabile.
La proporzione di pazienti BRAF mutati era prevedibilmente alta (25% circa). E’ noto infatti che un
paziente con mutazione V600E di BRAF ogni 3 ha instabilità dei microsatelliti e il 30% circa dei
pazienti con MSI-H risulta avere una neoplasia con mutazione di BRAF all'analisi molecolare. I
pazienti con storia clinica nota per sindrome di Lynch erano poco meno del 30%. I pazienti con
malattia all wild-type erano il 26%.
La risposta obiettiva misurata dall'investigatore (endpoint primario della sperimentazione) è stata del
55% (95%CI 45.2-63.8), con un 3.4% di risposte complete; il dato è stato di poco ridimensionato
dalla revisione centralizzata indipendente (ORR 49%); si registrava un decremento nel tumor burden
in quasi l’80% dei pazienti, con una analoga percentuale di soggetti che aveva un controllo della
malattia per almeno 3 mesi.
Il tasso di sopravvivenza overall a 12 mesi era del 85%, quello di sopravvivenza senza progressione
allo stesso timepoint era del 70%. La tossicità di grado 3-4 è stata nel complesso limitata, sebbene il
50% dei pazienti abbiano riferito effetti collaterali gastrointestinali lievi o moderati e il 20% dei
pazienti astenia. Il numero mediano di dosi ricevute di nivolumab era 24 (range 1-55) e quello delle
dosi di ipilimumab era 4 (range 1-4). I risultati in termini di qualità di vita confermavano il beneficio
del trattamento. In sintesi, la combinazione di nivolumab e ipilimumab è un trattamento di provata
attività in questa popolazione selezionata di pazienti con neoplasia colorettale avanzata e instabilità
microsatellitare (3-4% del totale), indipendentemente dall'espressione di PD-L1 (tasso di risposta del
54% se PD-L1 >1% vs 52% se PD-L1 <1%); si rimane in attesa dei risultati dell'immunoterapia in
pazienti non pretrattati. Sebbene non sia possibile un confronto diretto a causa della assenza di
randomizzazione e il follow.-up per OS sia ancora limitato, gli outcome della combinazione di
immunoterapia sembrano essere superiori a quelli del trattamento con solo nivolumab.
A phase Ib study of safety and clinical activity of atezolizumab and cobimetinib in patients with
metastatic colorectal cancer.
Bendell J, Bang Y-J, Chee CE, et al.
Stabilita l’efficacia dell’immunoterapia in pazienti con adenocarcinoma colorettale metastatico con
MSI-H nei quali il trattamento con PD-1 o PD-L1 inibitori ha prodotto risultati certamente deludenti,
il lavoro prende spunto dall’osservazione preclinica di effetto sinergico tra atezolizumab, un
anticorpo monoclonale ingegnerizzato che inibisce il legame tra PD-L1 e i suoi recettori PD-1 o B7.1,
e cobimetinib, un potente inibitore di MEK che promuove il riconoscimento immunitario, facilita il
recruitment di cellule T e previene il loro esaurimento. La combinazione delle due molecole potrebbe
amplificare la risposta immunitaria in assenza di instabilità dei microsatelliti.
Lo studio di fase IB prevedeva uno stage 1 con la coorte di dose escalation di 14 pazienti e un molto
più ampio stage 2 con una coorte di espansione di circa 120 pazienti. Nella coorte di espansione i
pazienti ricevevano atezolizumab alla dose di 800 mg ev e cobimetinib alla dose di 60 mg/die,
somministrato con due differenti schedule (21 giorni on e 7 giorni off per 60 pazienti; 14 giorni on e
14 giorni off per 20 pazienti). Endpoint primario dello studio erano la safety e la tollerabilità della
combinazione; endpoint secondari erano la risposta secondo criteri RECIST (determinata dagli
investigatori, senza controllo centralizzato in cieco), la PFS e la OS.
Sono stati presentati i dati di 84 pazienti con adenocarcinoma colorettale avanzato trattati con la
combinazione; l’eta mediana era di 56 anni, tutti avevano ECOG PS 0-1, 80% erano stati trattati con
almeno 5 precedenti linee di terapia e nel 60% dei casi non vi era instabilità microsatellitare (il dato
non era noto nel restante 40% dei pazienti). Il tasso di risposte è stato limitato (inferiore al 10%)
come anche il controllo globale di malattia (30% circa dei pazienti).
Ad un follow-up mediano di 17 mesi, la sopravvivenza mediana era di poco inferiore ai 10 mesi e il
tasso di sopravviventi a un anno del 43%, senza sostanziali differenze in dipendenza dallo stato di
mutazione di RAS.
Sebbene gli autori abbiano enfatizzato i risultati di efficacia in una popolazione ampiamente
pretrattata, non è chiaro quali terapie i pazienti abbiano realmente ricevuto e la combinazione non è
scevra da tossicità (tossicità di grado 3-4 indotta dal trattamento riportata nel 38% dei pazienti). La
prima evidenza di utilizzo dell’immunoterapia in pazienti senza instabilita microsatellitare presta
quindi il fianco a una serie di potenziali critiche (quanti sono i pazienti che mantengono performance
status ottimale dopo il fallimento di 5 linee terapeutiche?) ma sottolinea come vi sia per pazienti con
malattia colorettale avanzata pretrattati un importante unmet clinical need.
Innovazione. Passione. Coraggio. É grazie a questi valori che siamo diven-
tati leader mondiali nelle cure ematologiche e oncologiche, e oggi af-
frontiamo nuove sfide nelle malattie infiammatorie immunomediate. Per
questo investiamo il 40% del fatturato in ricerca e sviluppo. Per questo
in Italia sosteniamo 69 progetti di ricerca, 18 dei quali dedicati a ma-
lattie rare. Un lavoro minuzioso, infinito. Che coinvolge ognuno di noi. E
raggiunge milioni di pazienti.
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