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Il rito, in continuità con il mito fondatore, implicitamente tende a stabilire un continuum senza tempo e ricrea una relazione tra il passato e un presente che sempre cambia: “establish a timeless continuity between the moment of origins and the present day”. La parola rituale dà il senso e spiega la causa del mito come azione cultica. Il rito è creativo, non conservativo (al contrario del mito); è una forma di potere sociale e di comunicazione performativa “su cose che non potrebbero essere espresse in altro modo”, perché combina un contenuto minimale con una formalizzazione estetica (performance teatrale) persuasiva. L’immaginario del partecipante rende costantemente creativo il rapporto mito/rito. Troviamo un esempio funzionale di questo rapporto nella struttura storica e simbolica del Natale Cristiano. Ma andiamo per ordine. Il 17 dicembre, tutte le nazioni legate alla civiltà romana affacciate sul Mediterraneo celebravano l’inizio dei Saturnalia, una grande festa in onore del dio Saturno e della dea Ops, i patroni della ricchezza della terra, della libertà e dell’età dell’Oro, in cui l’umanità era felice e non afflitta da guerre e carestie. Per una settimana, ogni cosa era permessa e tutti gli uomini, liberi e schiavi, si comportavano da eguali. Il 24 dicembre, era invece un giorno di silenzio e purificazione dagli eccessi precedenti e il 25 la popolazone offriva un sacrificio pubblico al Sol Invictus per la grande festa del Sole, detta “Natalis Invicti”, la Nascita dell’Invincibile. Veniva illuminato l’Albero del Mondo, si cantavano inni ad Apollo e all’Eroe fondatore della città (nel caso di Roma, ad Enea),si eseguivano giochi, ci si vestiva di bianco, si scambiavano libagioni e doni dorati. La religione cristiana conosce una liturgia del Natale a partire dalla prima metà del IV secolo d.C. In un elenco datato intorno al 336, la Depositio Martyrum del Calendario di Filocalo (336 d. C.) in testa all’elenco dei vescovi di Roma (martirologionecrologio con data della loro morte) si annota al 25.12 “VIII Kalendas Januarii natus Christus in Betleem Judaeae”. La parte civile del calendario, il Cronografo Romano (a. 354) in cui tale elenco era confluito, nota ancora alla stessa data la celebrazione pagana “Natalis (Solis) Invicti”. Le due forme del mito natalizio non erano ancora fuse e a Roma si evidenzia l’aspetto storico, umano e martiriale della figura di Gesù. Ancora s. Agostino considera tale nascita una memoria, un anniversario, non un “sacramentum”, un segno sacro di dimensione extraumana come accadeva già per la celebrazione della Pasqua. Il Natale ricorda solo la comparsa carnale di un uomo, non della salvezza derivata dalla sua morte e resurrezione. Natale è commemorazione catechetica, non teologica! Più tardi, circa un secolo dopo, il Natale si sarebbe trasformato in una “festa di idea”, l’evocazione di una verità fondamentale legata alle due nature del Cristo, proclamate come dogma nel 451 dal Concilio di Calcedonia. Il simbolismo della luce rimane rilevante nella festa pagana in cui si inserisce il senso della luce del mondo; ma ancora il Natale non viene visto come mistero: Apollo offusca Gesù Bambino. La teologia tardo antica era metafisicamente avanzata e compiuta rispetto a quella cristiana. Ne sia un esempio l’inno dell’Imperatore e Pontefice Massimo Giuliano ad Helios Re, diffuso in tutto l’impero come omelia celebrativa per il natale pagano: in esso si dice che l’uomo è generato dall’uomo e da Helios, allo scopo che si rivela nelle anime secondo il genere di vita che hanno scelto. I poteri, le energie, i benefici del sole trasmessi attraverso tutte le manifestazioni cosmiche possono essere osservati ed anche sperimentati da coloro che si rendono capaci di vedere “il simile attraverso il simile”. Helios è “rampollo del Bene, che il Bene ha generato a sua somiglianza, luce la cui fonte è l’incontaminata energia dell’universo” (Platone Rep 508 B). Contemporaneamente, la teologia cristiana dei Padri Cappadoci si alimentava di questi stessi temi, per spiegare il mistero della Theofaneia, dell’apparizione del logos. Dio non nasce, si manifeNATALE di ∆∆ Il nostro Marco Magheri ci propone un articolo denso di contenuti che ricerca le origini dei simboli del nostro Natale nella tradizione pagana antica. 16 SPECIALE NATALE 2009

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Il rito, in continuità con il mito fondatore, implicita‐mente tende a stabilire un continuum senza tempo e  ricrea una  relazione  tra  il passato e un presente che sempre cambia: “establish a timeless continuity between  the  moment  of  origins  and  the  present day”. La parola rituale dà  il senso e spiega  la causa del mito come azione cultica.  Il rito è creativo, non conservativo (al contrario del mito); è una forma di potere sociale e di comunicazione performativa “su cose  che  non  potrebbero  essere  espresse  in  altro modo”, perché combina un contenuto minimale con una formalizzazione estetica (performance teatrale) persuasiva.  L’immaginario  del  partecipante  rende costantemente  creativo  il  rapporto mito/rito.  Tro‐viamo  un  esempio  funzionale  di  questo  rapporto nella struttura storica e simbolica del Natale Cristia‐no. Ma andiamo per ordine. Il 17 dicembre, tutte le nazioni  legate alla civiltà romana affacciate sul Me‐diterraneo  celebravano  l’inizio  dei  Saturnalia,  una grande  festa  in  onore  del  dio  Saturno  e  della  dea Ops, i patroni della ricchezza della terra, della liber‐tà  e  dell’età  dell’Oro,  in  cui  l’umanità  era  felice  e non afflitta da guerre e carestie. Per una settimana, ogni  cosa  era  permessa  e  tutti  gli  uomini,  liberi  e schiavi,  si comportavano da eguali.  Il 24 dicembre, era invece un giorno di silenzio e purificazione dagli eccessi precedenti e  il 25  la popolazone offriva un sacrificio pubblico al Sol Invictus per la grande festa del  Sole,  detta  “Natalis  Invicti”,  la  Nascita dell’Invincibile. Veniva  illuminato  l’Albero del Mon‐do, si cantavano  inni ad Apollo e all’Eroe fondatore della città (nel caso di Roma, ad Enea),si eseguivano giochi, ci si vestiva di bianco, si scambiavano libagio‐ni e doni dorati. La  religione cristiana conosce una liturgia del Natale a partire dalla prima metà del  IV secolo  d.C.  In  un  elenco  datato  intorno  al  336,  la Depositio Martyrum  del Calendario di Filocalo (336 d.  C.)  in  testa  all’elenco  dei  vescovi  di  Roma (martirologio‐necrologio con data della  loro morte) si annota al 25.12 “VIII Kalendas Januarii natus Chri‐stus  in Betleem  Judaeae”. La parte civile del calen‐dario, il Cronografo Romano (a. 354) in cui tale elen‐co era confluito, nota ancora alla stessa data la cele‐brazione pagana “Natalis (Solis) Invicti”. Le due for‐me del mito natalizio non erano ancora fuse e a Ro‐

ma si evidenzia l’aspetto storico, umano e martiriale della  figura  di Gesù.  Ancora  s.  Agostino  considera tale nascita una memoria, un anniversario, non un “sacramentum”,  un  segno  sacro  di  dimensione  e‐xtraumana  come  accadeva  già  per  la  celebrazione della Pasqua. Il Natale ricorda solo la comparsa car‐nale di un uomo, non della  salvezza derivata dalla sua morte e resurrezione. Natale è commemorazio‐ne catechetica, non teologica! Più tardi, circa un se‐colo dopo,  il Natale  si  sarebbe  trasformato  in una “festa  di  idea”,  l’evocazione  di  una  verità  fonda‐mentale legata alle due nature del Cristo, proclama‐te come dogma nel 451 dal Concilio di Calcedonia. Il simbolismo della  luce rimane rilevante nella festa pagana in cui si inserisce il senso della luce del mon‐do; ma ancora  il Na‐tale  non  viene  visto come mistero:  Apol‐lo offusca Gesù Bam‐bino. La teologia tar‐do antica era metafi‐sicamente  avanzata e  compiuta  rispetto a quella cristiana. Ne sia un esempio l’inno dell’Imperatore  e Pontefice  Massimo Giuliano  ad  Helios Re,  diffuso  in  tutto l’impero  come  ome‐lia  celebrativa  per  il natale pagano: in esso si dice che l’uomo è generato dall’uomo e da Helios, allo scopo che si rivela nelle anime secondo  il genere di vita che hanno scelto.  I poteri, le energie, i benefici del sole trasmessi attra‐verso tutte  le manifestazioni cosmiche possono es‐sere osservati ed anche sperimentati da coloro che si  rendono  capaci  di  vedere  “il  simile  attraverso  il simile”. Helios è “rampollo del Bene, che il Bene ha generato  a  sua  somiglianza,  luce  la  cui  fonte  è l’incontaminata energia dell’universo” (Platone Rep  508 B). Contemporaneamente,  la  teologia cristiana dei  Padri  Cappadoci  si  alimentava  di  questi  stessi temi,  per  spiegare  il  mistero  della  Theofaneia, dell’apparizione del logos. Dio non nasce, si manife‐

NATALE di ∆∆

Il nostro Marco Magheri ci propone un articolo denso di contenuti che ricer‐ca le origini dei simboli del nostro Natale nella tradizione pagana antica. 

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sta!  Per  questa  ragione  l’Oriente  Cristiano  rimane sostanzialmente  fedele  alla  festa dell’Epifania, al 6 di gennaio, la ricorrenza di tipo più astratto e matu‐ro che considera  il Natale come manifestazione del Cristo,  luce  del Mondo.  Tuttavia  la  non  definitiva cognizione delle due nature  influisce  sulla  celebra‐zione rituale, che è  il modo diretto di manifestazio‐ne di un dogma. La festa di Natale del 25 dicembre proviene dall’uso romano e si stabilizza a partire dal 360; negli anni a partire dal 384 al 400 è attestata a Milano, in Gallia, Spagna, Africa Proconsolare; passa in Oriente alla fine del IV sec. E nel 430 anche a Ge‐rusalemme; nel 432 Cirillo di Alessandria la introdu‐ce in Egitto. Nel corso del IV secolo, a Gerusalemme, Costantinopoli,  Asia Minore  ed  Egitto  la  solennità dell’Epifania ha per oggetto  insieme e  la nascita di Gesù  e  il  suo  battesimo,  dunque  il  suo  riconosci‐mento sia come uomo che come “Cristo”, l’Unto del Signore,  il Re della Gloria. E’ considerata una “festa delle  luci”,  ta photà.  In Siria  il 6 gennaio si celebra l’incoronazione del Signore. Ma  il 6 gennaio,  in Ar‐menia  Egitto  Arabia  veniva  celebrata  una  festa  in onore di Aiôn / Aeternitatis,  il dio “presente”  figlio della Vergine Kore, che si mostra in relazione astrale con il Solstizio di Inverno. A Roma nel ciclo di Natale si  inserisce anche  la celebrazione di Cristo Re, della sua gloria di persona divina, per contrastare la visio‐ne  ariana  di Gesù  che  tentava  di  diminuire  la  sua funzione deifica come persona Trinitaria subordina‐ta al Padre. Per  la stessa ragione apologetica Roma adotta  la  festa di Natale anche  secondo  la data o‐rientale,  l’Epifania,  in cui Gesù appare come  rex a‐dorato  e  riconosciuto  dai  reges  della  terra.  Nel  V sec.  Due  feste  di  tema  identico,  ancorché  isolate, furono  riconosciute  in  tutto  l’Occidente,  ma  non ancora  equiparate  al  medesimo  grado  liturgico  e teologico  della  Pasqua.  In Oriente,  al  contrario,  la “Santa  Notte”  dell’Epifania  fu  onorata  allo  stesso rango  della  Pasqua,  come  festa  battesimale; l’apparizione del “Lumen Christi” si con‐fondeva con l’illuminazione  iniziatica  del  neofita  che  riceveva  il battesimo  “nello  stesso  momento”  metafisico.  A partire dal 567‐568,  la  festività  liturgica del Natale viene  accolta  in  Oriente  accanto  a  quella dell’Epifania.  Il dogma delle Due Nature ha modifi‐cato sia il Mito che il Rito. Il Natale come Incarnazio‐ne  si  affianca  all’Epifania  come manifestazione del Dei Filius, la sua nascita eterna aiôn, deus praesens, parousia come generazione eterna del verbo. Il rito liturgico  adegua  le    parole  e  le  lectiones.  “Ecce  a‐dvenit  Dominus”  ingloba  i  due  dominî  umano 

(grotta “officium pastorum”) e quello divino (cosmo ricurvo come la volta di una grotta, “officium stella‐e”). Papa Leone Magno (440‐461) rende teologico il Natale sottolineandone il mistero del passaggio dal‐la morte alla vita con Cristo; e la sua liturgia si arric‐chisce del  senso della divino umanità:  Tit 2, 11‐15 “Apparuit gratia Dei”; Es 16, 6‐7 “oggi saprete che il Signore viene a salvarci; domani vedrete la sua Glo‐ria”. Verso il 400 la festa dell’Epifania, il vero natale orientale, era celebrato a Gerusalemme con un so‐lenne Officio Notturno che prevedeva, a partire dal‐la  Città  Santa,  un  pellegrinaggio  a  Betlemme (Peregrinatio  Aetheriae)  con Messa  di mezzanotte celebrata sopra  la Grotta della Natività, nella basili‐ca edificata da Costantino. Alle prime  luci dell’alba, sempre  in  processione,  si  tornava  a Gerusalemme per una seconda messa. Tale celebrazione fu imitata a Roma . Dopo il 431 papa Sisto III ricostruì la Basili‐ca  Liberiana  sub  titulo  Ad  Sanctam Mariam Maio‐rem, e la fece dotare di una cappella laterale imitan‐te  la  Grotta  della  Natività  di  Betlemme  detta  “ad Presepem”;  qui  veniva  cantato  lo  stesso  Officium celebrato sulla strada di ritorno da Bethlem a Geru‐salemme, conservato oggi nel Graduale della Secon‐da Messa  in die natalis domini: “Benedictus qui ve‐nit  in nomine domini”.  La Messa di mezzanotte di Bethlem venne a Roma celebrata nel IV secolo nella Basilica  di  sant’Anastasia  costruita  apud  Luperca‐lem, sopra  la grotta  in cui  il natale romano‐pagano del  Sol  Invictus  celebra  Cristo  come  il  nuovo  Sole che  sorge  dalle  tenebre  del  vecchio  mondo  e dell’antica grotta di Romolo e Remo.  Correlazione mitologica e rituale del natale Romano che si modifica nel tempo tramite una trasformazio‐ne  liturgica nella  localizzazione e nell’azione stessa. In principio  vi  era uno  Spazio  Sacro  consacrato da una  tradizione  millenaria:  Roma  Quadrata (Tetraktys della scuola pitagorica  italica di Ennio) – Templum  Apollinis  –  Sylva  Apollinis  –  Lupercal (grotta  lupa e  gemelli;  ara di  Fauno;  Janus, Pan) – Maenianum  (Tribuna  dalla  quale  la  corte  del  prin‐ceps presiedeva ai giochi del Circo Massimo, dedica‐to al dio Helios); poi lo spazio stesso viene modifica‐to ma non  troppo per accogliere  la  “nuova  versio‐ne”,  la  “buona  novella”  dell’evangelo  cristiano:  il primo  piano  del Maenianum  fu  trasformato  e  ria‐dattato nel Titulus Anatasiae, chiesa a pianta cruci‐forme sui modelli dell’Asia Minore (V sec: riuso del‐lo  spazio  di  superficie  quadrangolare  del Maenia‐num). Anastasis  fu  titulus  della  prima  piccola  cap‐pella  cristiano  ortodossa    a  Costantinopoli  in  cui 

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venne insediato Gregorio di Nazianzo da Teodosio I nel  380).  Attesta  Ambrogio  vescovo  di  Milano: “Forma  Crucis  Templum  Est,  Templum  Victoria Christi Sacra, Triumphalis Signat Imago”. I titula ec‐clesiae all’inizio  indicavano sedi di culto domestico privato e  in questo caso, essendo ubicato nella zo‐na  delle  domus  imperiali,  si  tratta  della  cappella ufficiale della corte del princeps costruita sul terre‐no palatino della Domus Augustana. Santa Anasta‐sia era statio della seconda messa delle tre celebra‐te nel V  sec. A Roma:  Santa Maria Maggiore  (per analogia con Gerusalemme); S. Anastasia (per ana‐logia con Betlemme); S. Pietro (per analogia con  la nuova Gerusalemme). S. Anastasia esisteva già sot‐to papa Damaso  (336‐384) che  la  fece ornare con pitture; forse il suo programma politico fu quello di contrastare le tre sedi del famosissimo culto patrio: quello di Apollo Febo nella casa di Augusto, il culto del Sole al Circo Massimo (di fronte al maenianum) culto di Fauno / Pan nella grotta del Lupercale. A‐nastasia,  so‐rellastra  di Cos tant ino , figlia  di  Co‐stanzo  Cloro (amico  del logos, ma non cristiano)  e  di Teodora  prin‐cipessa  Siria‐na, fu sposa al Cesare Bassiano,  fatto uccidere da Costantino per la sua fedeltà al cesare pagano Licinio. Il titulus per Anastasia, forse legata al palazzo di Augusto, fu ria‐dattato probabilmente nel 326, epoca del soggior‐no di Costantino a Roma (poco accettato dalla capi‐tale ancora  fedele alla  tradizione  religiosa antica). E’ possibile  che  in occasione di questo  soggiorno, papa Silvestro (314‐335) e Costantino abbiano deci‐so di affiancare le due festività, il Natale cristiano e il  Sole del  Solstizio d’Inverno, assimilando  il  Sol al Cristo  come  sole della  verità e della  resurrezione. Anche qui si fa opera conciliatoria di due miti e due riti  con  il  recupero  del  tema  della  “grotta”  (la “spelonca” cara ai riti mitraici di gran parte dei sol‐dati  dell’esercito  imperiale),  equiparando  Betlem‐me, grotta della natività, ex grotta sacra ad Adone e  il  Palatino,  grotta  Lupercale,  in  un  isomorfismo sincretistico: epifania di Romolo (grotta dei pastori) epifania di Cristo (grotta dei pastori), manifestazio‐ne della regalità terrena e divina,  il rex divi filius a 

Roma e a Betlemme. Miscuglio di Natività e di Epi‐fania  è  la  forma  liturgica  più  antica  del Natale.  Il passaggio  dal  Sole  al  Cristo  fu  graduale.  Nel  310 Costantino  si pose  ad  ultimo  restauratore del Re‐gnum Apollonis Augusteo prima di renderlo cristia‐no, sempre nel tema del “regno”. Fino al 317 furo‐no coniate monete costantiniane con il sol invictus sopra la croce. La festività liturgica del Natale sem‐bra sia stata istituita poco dopo Nicea (325). Duran‐te  l’ultima  visita  a  Roma  (luglio  326),  Costantino snobba  le  feste  pagane  e  costituisce  il  “doppio” della basilica di Betlemme,  iniziativa che sconcerta un popolo ancora tradizionalista. La chiesa di Ana‐stasia  fu verosimilmente terminata per  l’occasione del  primo Natale  celebrato  a  Roma  e  nel mondo cristiano dal vescovo Silvestro il 25.12.326, assente Costantino,  presente  Anastasia.  Il  segno  esteriore sottolineante tale programma di rinnovamento po‐litico e religioso fu l’isomorfismo culturale delle Du‐e Grotte di  epifanie  fondatrici,  la pagana  e  la  cri‐stiana,  sentite  come  collegate  fra  loro  anche  dai cristiani del IV sec. San Girolamo, che fu a Roma tra il 382 e il 385, tornato a Gerusalemme paragonò la “casa  Romuli”  al  “Lupercal”:  Hieronym  In  Didimo de  Spiritu  Sanctu  105  Illico  ego  velut  Postliminio, Jerosolymam  sum  reversus; et post Romuli  casam et  ludorum  Lupercalia, diversorium Mariae et  sal‐vatoris  spelonca aspexi. Dies Natalis celebra  il  rito della  rinascita del sole e sembra spesso affiancato al glifo della spelonca, alla tenebra sotterranea do‐ve si nascondono le forze del caos. Prima di passare alla  figura del Cristo,  l’Europa Mediterranea unifi‐cata dalla cultura tardo romana e dalla civiltà mili‐tare composita  che  la  sosteneva, era portatrice di nozioni sincretiche relative al Sol Invictus, di origine indoeuropea, presente fino dalla letteratura vedica (dio  del  contratto  personificato=del  rapporto/analogia con  l’umano). E’ noto  il magnifico  Inno al Sole del filosofo stoico Cleante, a cui fece da paral‐lelo  uno  stesso  Inno  (parola  che  vale  come “preghiera”) da parte del vescovo cristiano Grego‐rio  di Nazianzo.  Il  dio  delle  legioni  tardo  antiche, prima di divenire il biblico “dio degli eserciti” fu ap‐punto Sol Invictus, il dio Mithra iranico, il Sol Aure‐liani. Con il poeta Stazio (Tebaide 1, 717‐720) com‐pare per la prima volta  nella letteratura romana la figura semidivina di Mitra,  il sol  invictus domatore del  toro  nell’antro  persico.  Il  suo  culto  è  segreto, nel senso di “tenuto  in disparte”, noto solo  fra gli adepti  nei  loro  vari  gradi  iniziatici.  A  Roma  sono state  trovate  sale  simposiali nei mitrei di San Cle‐

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mente e delle Terme di Caracalla; ma c’è un esem‐pio  antico  anche  in Giordania,  a  Piccola  Petra:  un rettangolo  con  panca  murata  e  sullo  sfondo l’immagine del dio.  Il Mithra  iranico è nato  il 25 di‐cembre  in  una  grotta,  come  “luce  dalla  roccia”.  Il suo messaggio è quello della creazione che  si  rige‐nera uccidendo le forze del caos (il toro della liturgia mitraica). E’ un dramma di  salvezza  rivissuto come religione  attiva  da individui  dinamici, come  si  rileva  da  un graffito  di  un mitreo romano:  “tu  ci  salva‐sti  (servasti)  versan‐do  il  sangue”.  Nel corso   dei sec.  II e  III d.C.  il  sincretismo romano,  tollerante verso  tutti  i  credi, tende  ad  inglobare,  unificare,  gerarchizzare, “orientalizzare”  (a partire dagli  imperatori punici e siriani,  i  Severi  ed  Eliogabalo).  Dopo  la  vittotia dell’imperatore Aureliano su Palmira, viene portata a  Roma  una  statua  di  baal  shamim  e  posta nell’enorme  tempio  al  Campo Marzio,  consacrato nel 274 al “Sol  Invictus”.  In tal modo, seguendo un antichissimo uso romano di votare un tempio al dio portatore di vittoria,  l’imperatore, nella sua qualità di pontifex maximus, instituisce un nuovo culto affi‐dato  ai  sacerdoti de  Sole,  la  cui  celebrazione  cade il25 dicembre, giorno del “Natalis Invicti”.  In questa teologia  romana  del  sole,  il  deus  praesens  viene rappresentato nella  figura dell’imperator; Costanti‐no e Teodosio e gli altri imperatori cristiani, una vol‐ta  risultati vincitori col  favore del  loro dio,  faranno altrettanto, sostituendo il XRS al nome o al simbolo dell’antico astro.  Il  culto del  sole  invincibile è eno‐teista, mistico‐filosofico e universale  (una  forma di deismo, si direbbe oggi; ma già  l’antichità  latina di‐ceva “quisquis es”alla divinità, sempre ignota finché non si degna di manifestarsi), come da un esempio di  iscrizione greca alle  terme di Caracalla: “Unico è ZEUS  SERAPIS  HELIOS,  il  dominator  mundi, l’invincibile”. Tutta questa tradizione, che affonda le radici nella preistoria della civiltà dei megaliti euro‐pei, proviene nella sua cifra metafisica dalla teologia solare  platonica  (Apollinea,  orfico‐pitagorica)  e  di‐viene  tradizione  unica  della  philosophia  perennis, fino al Rinascimento di Marsilio Ficino, Niccolò Cu‐sano;  fino  ai  Cavalieri  Templari,  Jakob  Böhme  etc. Porfirio scrisse un trattato Sul Sole, oggi perduto, da 

affiancare  agli  insegnamenti  di  Plotino  protetto dall’imperatore  Gallieno.  Julianus  Imperator  il  25 dicembre 362 per la festa del Natalis Invicti celebra‐ta  in Roma, compone e recita un  inno‐logos al Sole Re. Macrobio, Saturnalia (dialogo fra amici alla ma‐niera platonica durante un simposio per le feste dei Saturnalia 383‐384),  insegna che Sol è  il culto degli altri déi uniti (forze minori derivanti da un’unica for‐za  infinita):  Apollo,  Liber  Pater,  Mars,  Mercurius, Aesculapius,  Hercules,  Serapis,  Adon,  Attis,  Osiris, Horus, Pan (Iunus  Ianus) Saturnus, Juppiter. Hadad. E’  il pontifex maximus Praetestatus  che presiede a tutti  i  culti  “sacrorum  omnium”.  La  riunificazione intellettuale  delle  funzioni  divine  riconduce  facil‐mente e fatalmente alla ricostruzione di un monote‐ismo stretto in cui subentra  il concetto della divini‐tà gelosa, di un Pater YHVH che anche come  impe‐rator impone un unico credo facile da comprendere per un mondo  fondato, cristianamente, sugli umili, gli oppressi,  i  sofferenti  e  gli  ignoranti,  a  cui  va di diritto  indirizzato un  logos comprensibile ed accet‐tabile; così il sole astratto dei pitagorici, attraverso il passaggio nelle grotte orfiche e mitraiche, si cristal‐lizza  nella  figura  del  Presepio  e  di Gesù  Bambino, che per i duemila anni della sua storia ha continuato e  continua  a  salvare  efficacemente  il  mondo nell’immaginario  collettivo  dell’umanità  e  dei  suoi semplificati schemi teologici.  Il mito resta eterno,  il rito si modifica nel corso dei tempi per spiegare con modi diversi la stessa realtà di nascita e di divinizza‐zione proposta all’uomo “di buona volontà”! Pitago‐ra:  la vita umana partecipa del calore universale ed è  in  risonanza  col  sole,  portatore  di  vita.  Anche l’amore del cristiano può produrre il Fuoco del Sole, il  luogo  dove  “Numen  inest,  habitat  deus”,  “Puer natus est nobis, puer aeternus”! Si tratta in definiti‐va di un invito al trionfo sulla morte, di cui resta co‐munque centrale (sia pur nella stella di Betlemme) il calore  del  fuoco  solare  come  simbolo  di  vittoria  e rinascita. Le insegne universali dell’esercito romano tardo  antico  contenevano  simboli  solari  celtici (ruota,  cerchi  concentrici,  croce  uncinata),  illirici, germanici  (mezzaluna,  disco  su  sostegno  a  verga). Sull’arco di Costantino si vede raffigurato il dio sole che guida  l’esercito accanto alla Vittoria  (Helios A‐pollo Fuoco Agni!). Nei Symbola di Horapollo,  il ge‐roglifico  del  sole  indica  l’eternità.  Anche  il  Natale spiegato  ai bambini niente perde della  ricchezza e nell’infinità di tutti  i simboli antichi raccolti nel Pre‐sepio. 

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Tantissimi Auguri di Buone Feste a tutti!!!