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Direttore

Gaetano CUniversità degli Studi di Torino

Comitato scientifico

Gianluca CUniversità degli Studi di Torino

Nicholas DUniversity of Dundee

Federico LUniversity of North Carolina at Chapel Hill

Jeff MUniversity of Tasmania

Roberto SUniversità degli Studi di Torino

Gianni VProfessore emerito Università degli Studi di Torino

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trópoς profili

MONOGRAFIE

Le collane “trópoς orizzonti” e “trópoς profili” estendonola proposta nata con la rivista «trópoς» attraverso la pub-blicazione di opere collettanee (nella sezione “orizzonti”)e monografiche (nella sezione “profili”) che riflettono sutemi della tradizione ermeneutica, ma che si prestano al-tresì a interagire con altri ambiti disciplinari, dall’esteticaall’architettura, dalla politica all’etica.

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Matteo Losapio

Pavel A. Florenskij

I due mondi dell’icona fra prospettiva rovesciatae metafisica concreta

Presentazione diAnnalisa Caputo

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I edizione: maggio

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A ciascun volto rivelatosi icona di vita, in questa iconostasi della mia storia.

Grazie!

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L'immagine di te. L'immagine di te è un desi-derio che non fa spegnere l'amore che fa impazzire gli dèi.

Radiodervish, L'immagine di te

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Indice

11 Presentazione: Per rovesciare prospettive di Annalisa Caputo 17 Introduzione: L'icona, un linguaggio della filosofia 29 Capitolo I Sofia, donna di fuoco

1.1. Sofiologia è interrelazione ipostatica, 29 – 1.2. Solov'ëv: il corteggiatore della Sofia, 30 – 1.3. La Sofia ne La Colonna e il fondamento della verità, 34 – 1.4. Filosofi filocalici, 49

53 Capitolo II Prospettiva rovesciata, ontologia dell'icona

2.1. Antimeccanicismo, 53 – 2.2. Cultura, 56 – 2.3. Culto, 60 – 2.4. Magia, mito, rito, 64 – 2.5. Icona e rito, 68 – 2.6. Illusione e finzione, 73 – 2.7. Colore: filosofia del materiale e simbologia, 78 – 2.8. Iconografi, 87 – 2.9. Chi guarda chi: due prospettive a con-fronto, 94 – 2.10. Angolazione e scorcio, 104 – 2.11. La dialettica del volto, 109 – 2.12. Icona e avanguardia, 116

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Indice

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129 Capitolo III Metafisica concreta, ontologia nell'icona

3.1. Volto, luce, archetipo, 129 – 3.2. Platone: maestro erotico cer-catore, 132 – 3.3. L'infinito nel finito, 140 – 3.4. Gli universali: una conoscenza epistemica, 146 – 3.5. Il simbolo: logos, logoi, dialogoi, 149 – 3.6. Il numero e l'icona, 152 – 3.7. Il sogno e l'ico-na, 161 – 3.8. Il tempo e l'icona, 171 – 3.9. Lo spazio e l'icona, 181 – 3.10. La parola e l'icona, 189 – 3.11. Essere nome: contro l'ano-nimia, l'omonimia, la sinonimia, 196 – 312 Icone oggi: concludere per ripartire, 204

207 Concludere in bellezza 211 Bibliografia

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Presentazione Per rovesciare prospettive

di Annalisa Caputo È un titolo complesso, che potrebbe scoraggiare i lettori che

non conoscono già Florenskij e il suo mondo. Al contrario, è un testo che, senza perdere di scientificità, è

indubbiamente scorrevole nella lettura e capace di condurre per mano all’interno di un universo per certi versi poco noto, per al-tri molto affascinante.

Lo leggeranno con piacere gli amanti della cultura russa (let-teraria e cinematografica, e non solo filosofica), perché trove-ranno elementi per comprenderla meglio ed amarla di più.

Lo leggeranno con piacere tutti quelli a cui piacciono le ico-ne, e hanno desiderio di comprenderne i segreti e gli scenari.

Lo leggeranno con piacere gli studiosi di teologia, che rice-veranno spunti per pensare e arricchire il dialogo tra Oriente e Occidente.

Ma lo leggeranno con piacere soprattutto quanti amano la fi-losofia (e la sophia), perché Losapio riesce con sapienza a mo-strare i fondamenti filosofici della cultura, dell’iconografia, del-la teologia e della sophia di Florenskij, ponendola a confronto (ed in continuo dialogo) con la tradizione filosofica occidentale.

L’originalità dell’impostazione in realtà è proprio in questo: nell’aver dipanato e messo in luce i diversi ‘linguaggi’ di cui è impastata la proposta florenskijana, e poi nell’averli messi in dialogo tra loro. «I vari λόγοι [sono] intrecciati, ovvero [sono]

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δια-λόγοι» e questi dialoghi «portano ad una ermeneutica infi-nita, non perché illimitata o nihilista o relativista», ma perché continuamente aperta all’alterità [p. 95].

E veniamo dunque al titolo. Pavel Florenskij. La sua biogra-fia viene da subito presentata da Losapio, con una chiave di let-tura interessante: quella che rende il pensatore russo una sorta di ‘icona della resistenza’. Malgrado tutto e malgrado forse se stesso.

Una prima ‘resistenza’ è quella che egli conduce – da pensa-tore – contro il positivismo, e contro la riduzione della realtà a ‘fatto’. Mentalità ‘scientifica’ e tecnica (nel 1930 collaborerà anche all'elettrificazione della Russia), Florenskij non rinneghe-rà mai la propria passione e i propri studi giovanili (la matema-tica e la fisica); però cercherà sin da giovane, come mostra Lo-sapio, di coniugarli con la poetica e la simbolica. Da qui il pas-saggio agli studi teologici (legati anche alla sua conversione al cristianesimo ortodosso, scelta che lo condurrà a diventare an-che presbitero).

Una seconda ‘resistenza’ è quella che Florenskij conduce contro i dualismi classici del pensiero filosofico occidentale. Ma anche in questo caso senza rifiutarne il senso originario: ba-sterà pensare a tutti gli studi che Florenskij dedica al padre della metafisica greca, Platone; e anche a Kant.

Una terza resistenza è quella morale e politica, vissuta du-rante gli anni della Rivoluzione Sovietica, quando Florenskij compie la scelta difficile di non andare in esilo ma rimanere a ‘scrivere’ nella sua patria e nella sua ‘Lavra’ di san Sergio. Di questa resistenza ci piace ricordare la raccolta I nomi, che – co-me scrive Losapio – diventa un po’ una «risposta al cambia-mento dei nomi dei luoghi e delle persone messo in atto dal re-gime sovietico». Da qui (e non solo da qui) un primo (breve) ar-resto nel 1925 e poi i lavori forzati nei gulag, a partire dal 1933 (in cui ancora Florenskij continua a scrivere di scienza, filosofia e teologia), fino alla fucilazione del 1937.

Resistendo anche all’oblio, i suoi lavori, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, sono tornati alla luce, a diffondere la propria luce.

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Noi non ci accontentiamo che si risponda alla domanda "perché?", ed esi-giamo una risposta alle domande "a che scopo?", "con quale fine?". Sì, la vita è fatta in modo che si può dare qualcosa al mondo solo pagandone poi il fio con sofferenze e persecuzioni. E più il dono è disinteressato, più crudeli sono le persecuzioni, e dure le sofferenze. Tale è la legge della vi-ta, il suo assioma di base. E anche se nel tuo intimo hai coscienza dell'ir-revocabilità e dell'universalità di questa legge, quando ti scontri con la realtà, con ogni caso specifico, resti colpito come se fosse qualcosa di im-previsto e nuovo. […]. Anche i filosofi si trovano nella stessa situazione (per filosofi intendo non coloro che parlano di filosofia, ma coloro che pensano in modo filosofico), cioè sono perseguitati, circondati da ostacoli, hanno la bocca tappata.1 Per entrare dentro questa vita filosofica affascinante, polie-

drica e complessa, Losapio sceglie una ‘porta’ particolare, che è quella dell’icona, nella convinzione che sostando su questa so-glia sia possibile trovare il nodo in cui convergono i diversi fili, i diversi linguaggi, i diversi interessi di Florenskij.

Da qui il sottotitolo del testo: I due mondi dell’icona. Fra prospettiva rovesciata e metafisica concreta. I due mondi sono l’umano e il divino. E vengono analizzati nel capitolo che segue quello introduttivo, dal titolo: Sofia, donna di fuoco. Sofia (la Sapienza), infatti, nella cultura orientale-russa è proprio quel ‘qualcuno’, desiderato e amato (filo-sofia), che tiene insieme il mondo terreno e quello celeste: anima del mondo. Il suo essere ‘femminile’ la rende insieme energia divina e creatura prima (come aveva già detto Vladimir S. Solov’ëv): soglia appunto della porta che mette in comunicazione il bello con il Bello.

L’icona ‘è’ questa sophia, in cui la comunicazione diventa unità. Unità che non parte dall’uomo, ma dal Divino stesso e dalla sua luce. In quest’ottica comprendiamo il senso della ‘pro-spettiva rovesciata’: espressione in qualche maniera perfino fuorviante, visto che nell’icona non c’è proprio prospettiva. Il rovesciamento, quindi, è tale solo ai nostri occhi occidentali, abituati, dal Rinascimento in poi, a costruire le immagini e le

1 P. A. FLORENSKIJ, Non dimenticatemi. Lettere dal gulag del

grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2013, p. 374-375.

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opere d’arte a partire dal punto di fuga del nostro sguardo. Ma per le icone non è così. Non è mai stato così. Non guardiamo un’icona: ne siamo guardati. E perciò risulta rovesciata anche la prospettiva filosofica classica della modernità. Come fa notare bene Losapio, qui il problema non è quello del fenomeno (come appaiono a noi le cose? Come appare a noi il divino?), ma è quello del noumeno (come le cose si rendono visibili? Come giungono a noi?). L’icona è la risposta. Perché l’icona non è so-lo un oggetto-quadro. È la possibilità che l’Altro ha di giungere a noi; è il prendere ‘corpo’ della Luce; è incarnazione; è (scrive Losapio) «il coagulo di una esperienza», che è l’esperienza dell’incontro «della creatura-uomo con il suo Creatore-Dio». Ecco, quindi, il secondo capitolo, dedicato a: La prospettiva ro-vesciata: ontologia dell’icona; capitolo in cui, quasi come se si trattasse di un prisma, Losapio mostra le sfaccettature proprie dell’esperienza iconica (l’antimeccanicismo, il rapporto con il culto e la cultura; la relazione con la ritualità; ecc.).

E, così, il salto nell’ultimo capitolo: Metafisica concreta: ontologia nell’icona. Il passaggio dal genitivo specificativo allo stato in luogo (dell’icona – nell’icona) segna il passaggio dalla questione dello sguardo alla questione dell’idea; e dall’esperienza ‘fisica’ dell’icona al dato metafisico del simbo-lo. Metafisico, sì, ma pur sempre concreto. L’icona è simbolo perché getta insieme (syn/ballein) e tiene in unità i due mondi del Celeste e dell’Umano. Ma in questo si fa simbolo universale della relazione stessa tra i due mondi, una relazione che è sem-pre simbolica. Ecco che quindi, in questo capitolo, Losapio met-te in dialogo (a partire da Florenskij) l’esperienza dell’icona con altre esperienze simboliche (i numeri, i sogni, il senso del tempo e dello spazio, il valore dei nomi). Trova posto qui il confron-to/dialogo con Platone e più in generale con il tema del rapporto tra finito e infinito; e atto e potenza.

Va infine sottolineato come entrambi i capitoli sull’icona si concludano con un riferimento all’attualità (Icona e avanguar-dia; Icone oggi: concludere per ripartire): paragrafi in cui Lo-sapio mostra come, attraverso Florenskij e oltre Florenskij, l’icona dia da pensare. Perché in fondo l’icona non è che il sim-

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bolo di ogni relazione: «in cui l’altro rovescia le nostre prospet-tive per non farle chiudere in schemi tautologici e ci spinge a ri-flettere partendo dalla nostra esperienza. (…) Un legame di lu-ce».

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Introduzione L'icona, un linguaggio della filosofia

Che meraviglia! Nel film ОСТРОВ (Ostrov) del regista russo Pavel Lungui-

ne, in uno spaccato di immenso silenzio interrotto solo dal ru-more continuo e costante delle onde del mare, ecco che padre Filaret, monaco ortodosso, guarda con intensità una tavola che tampona con dell'olio. Passa uno straccio su quella tavola e pian piano compare sempre più nettamente l'immagine di un volto. Quando la luce attecchisce pienamente sulla tavola, ecco che il volto è quello del Cristo. Una voce emerge dal silenzio, è padre Iov che esclama: "Che meraviglia!".

L'arte della pittura iconica è una delle più antiche forme espressive non solo estetiche ma anche spirituali. L'icona è for-ma d'arte ma, soprattutto, percorso ascetico circondato di bel-lezza, un percorso filocalico. Questo amore-per-la-bellezza, non è autocompiacimento o ricerca del soddisfacimento del proprio gusto individuale, ma consapevolezza di una realtà che ci viene incontro e che ci cattura. Vogliamo metterci in ascolto di questa meraviglia attraverso la vita ed il pensiero di uno dei più grandi filosofi russi: Pavel A. Florenskij.

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Pavel A. Florenskij: un'icona di resistenza La filosofia russa rimane ancora una landa ricca di sorprese

e di spunti di riflessione. Una landa ricca di contraddizioni e che fa della contraddizione il suo statuto epistemologico. Florenskij è uno dei massimi rappresentanti di questa filosofia. Uomo, pre-sbitero e pensatore scomodo per il suo tempo e solo recente-mente scoperto.

Pavel Florenskij nasce nel 1882 ad Evlach in Azerbaijan, fi-glio di Aleksandr, ingegnere delle ferrovie, e di Ol'ga, di fami-glia armena. Compie i suoi studi a Tiblisi fino a quando, nel 1900, si iscrive alla Facoltà di Matematica e Fisica all'Universi-tà di Mosca. Qui conoscerà il filosofo-matematico Nikolaj V. Bugaev, padre di uno dei suoi maggiori amici, il poeta simboli-sta Andrej Belyj. Bugaev lo introdurrà agli studi di monadolo-gia e di ritmologia. In questo periodo, Florenskij verrà attratto maggiormente dalle teorie sugli insiemi, del matematico Georg Cantor, le quali lo porteranno a superare la rigida impostazione positivista diffusa nella cultura russa fra Ottocento e Novecento. D'altronde già nelle sue Memorie, scritte per i suoi figli, Floren-skij narra delle percezioni della realtà nelle sua infanzia. Leg-giamo:

Pescavamo le meduse coi bastoni. Quei bei fiori dalle corolle opa-

lescenti colme di luce che dondolavano nell'acqua, delicatamente orla-te di viola. Sapevamo che potevano irritare, ma sapevamo anche che così doveva essere: non ci si può accostare al mistero impunemente. Quando le tiravamo fuori si scioglievano sui sassi caldi in un muco senza colore, e non ne restava nulla. Qualcuno ci aveva detto che se si mettevano ad essiccare le meduse tra due fogli di casa assorbente, cambiandoli spesso, rimaneva un reticolo colorato. Non lo mettevo in dubbio, ma mi sembrava una favoletta lontana, mentre l'esperienza di-retta diceva che le meduse erano creature di quello stesso mare, fatte dalla stessa acqua e nulla più, e che perciò nell'acqua nuotavano. Nella terra c'era acqua, dentro di me c'era acqua, e anche le meduse erano acqua… Eravamo diversi d'aspetto, ma tutt'uno quanto a sostanza.2

2 P. A. FLORENSKIJ, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano

2011, p. 82.

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Questa percezione della realtà già nella sua infanzia, ci per-

mette di comprendere come Florenskij giunga a rifiutare il posi-tivismo, per aprirsi ad una dimensione religiosa, convertendosi al cristianesimo ortodosso. Così, nel 1904, dopo la laurea in Matematica frequenterà l'Accademia Teologica di Mosca. Fra il 1904 e il 1906, Florenskij pubblica i suoi primi saggi: Lo spiri-tismo come dottrina anticristiana; Su un presupposto della con-cezione del mondo; Sui simboli dell'infinito. Saggi sul pensiero di Cantor; Sui tipi di crescita; Il concetto di Chiesa nella Sacra Scrittura.

Nel 1909 sposa Anna Giacintova e nel 1911 verrà consacrato presbitero ortodosso. Svolge un'intensa attività di ricercatore presso l'Accademia Teologica tenendo lezioni di storia della fi-losofia, concentrando i suoi studi sul pensiero platonico, venen-do nominato direttore della Bogoslovskij Vestnik (Rivista Teo-logica). In questi anni scriverà: Le radici dell'idealismo comuni a tutta l'umanità; I primi passi in filosofia; Le antinomie cosmo-logiche di Kant; I limiti della gnoseologia. Nel 1914, a seguito della sua dissertazione di dottorato, Florenskij pubblicherà la sua opera principale: La colonna e il fondamento della Verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere. Sempre nel 1914 pubblica anche la raccolta delle lezioni platoniche, Il significato dell'idealismo.

Il fulcro di tutta la sua riflessione filosofica, teologica, scien-tifica è e rimarrà costantemente il simbolo. Non solo come con-cetto o forma espressiva ma come percezione intima del mistero della realtà. Nel racconto della sua infanzia, Florenskij stesso racconterà una sua particolare esperienza:

Probabilmente era verso sera, o forse non c'era il sole: mi è rima-

sta una sensazione come di crepuscolo. Fu allora che, sul marciapiede di pietra coi ciuffi d'erba, erba d'autunno forse - ce l'ho davanti agli occhi come se fosse ieri, quel marciapiede - vidi qualcosa. O meglio, qualcosa sentii: uno strano suono che non avevo mai udito prima. E mi spaventai. Ma la curiosità e l'audacia ebbero la meglio. Decisi di farmi più vicino e di raggiungere la mèta. Correvo avanti con gli occhi strizzati, poi, di colpo, mi immobilizzai. Di fronte a me c'era un ag-

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geggio mai visto. Al suo interno c'era qualcosa che girava velocemen-te, che fischiava, strideva e sprizzava faville vivide da una ruota. E, quel che è peggio, accanto all'aggeggio c'era un uomo, una sagoma scura contro il cielo della sera, imperturbabile, impavido e intrepido, che imbracciava qualcosa… Io me ne stavo lì, come incantato dallo sguardo di quel mostro. Di fronte a me si schiudevano i misteri tre-mendi della natura. Davanti agli occhi avevo ciò che a un mortale non era dato di vedere. La ruota di Ezechiele? I vortici di fuoco di Anas-simandro? L'eterno ruotare, il fuoco noumenale… Ero impietrito, ter-rorizzato, preso da una curiosità tra l'audace e l'impertinente, conscio che non avrei dovuto né vedere né sentire quel che, invece, stavo ve-dendo e sentendo. Ma davanti a me si schiudeva la viva realtà delle forze misteriose della natura, l'Urgrund di Böhme, le madri di Goethe. E colui che stava accanto a quell'aggeggio che sprizzava faville, quella sagoma scura, non era certo un uomo, né un qualsivoglia essere terre-no; era lo spirito della terra, un essere gigantesco, se paragonato a me. Probabilmente, non mi aveva neanche notato… Non so quanto dura-rono la scoperta e lo stupore.3 Questo è l'incontro che il piccolo Florenskij fa con un arroti-

no, che ai suoi occhi diviene il mistero di una Realtà di Fuoco che ciascuno di noi può incontrare nei simboli. Per questo il simbolo è il fulcro dell'incontro fra l'uomo e la realtà.

Gli anni dell'insegnamento presso l'Accademia Teologica sono i più fecondi del pensiero florenskijano e padre Pavel sce-glierà di dimorare presso uno dei luoghi che resteranno sempre nel suo cuore: la Lavra della Trinità e di san Sergio presso Ser-giev Pošad. Vero e proprio tesoro della spiritualità ortodossa, la Lavra sarà il luogo che eserciterà più fascino su Florenskij.

Intanto arrivano gli anni della Rivoluzione Sovietica e Flo-renskij comprende bene di essere un personaggio scomodo in quanto presbitero ortodosso. Tuttavia, non sceglie la via dell'e-silio ma resterà in Russia. Nel 1917, inizierà a scrivere le sue Memorie dal titolo Ai miei figli. Memorie dei giorni passati, opera in cui Florenskij ripercorre la sua infanzia e la sua con-versione al cristianesimo ortodosso, con l'obiettivo di raccontare ai suoi figli il suo percorso di crescita e di formazione.

3 Ibidem, p. 63-64.

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Nel 1918 verrà nominato responsabile della Commissione per la salvaguardia dei monasteri della Lavra di san Sergio. In seguito, nel 1921 riceverà la cattedra presso l'Atelier Superiori Tecnico-Artistici di Stato (VChUTEMAS) a Mosca collaboran-do alla rivista Makovec. In questi anni scriverà: La lavra della Trinità e di San Sergio e la Russia; La prospettiva rovesciata; Il rito ortodosso come sintesi delle arti; La filosofia del culto ri-masta incompiuta. In seguito, fra il 1919 e il 1922 scriverà la sua opera principale sull'icona, Le porte regali e inizierà a com-porre la raccolta I nomi come risposta al cambiamento dei nomi dei luoghi e delle persone messo in atto dal neo regime sovieti-co. Intanto continuerà l'insegnamento al VChUTEMAS dedi-candosi all'arte figurativa e scrivendo dal 1922 al 1925, Gli im-maginari in geometria e Analisi della spazialità e del tempo nelle opere d'arte figurativa. Così verrà arrestato una prima vol-ta nel 1925, a causa dei suoi scritti, poi subito rilasciato.

Intanto, dal 1920 al 1930, Florenskij concentra i suoi studi nella sua opera più grande, rimasta incompiuta: Agli spartiac-que del pensiero. Lineamenti di metafisica concreta. Florenskij riuscirà a completare solo la prima parte di quest'opera che comprenderà: La scienza come descrizione simbolica; La dialet-tica; Le antinomie del linguaggio; Il termine; La struttura della parola; La natura magica della parola. In questa prospettiva, padre Pavel traccerà nuovi percorsi filosofico-scientifici che da-ranno vita all'opera L'incarnazione della forma. Azione e stru-mento comprendente dei saggi: Homo faber;Il prolungamento dei nostri sensi; La proiezione degli organi; La simbolica delle visioni; Lo strumentario; Macrocosmo e microcosmo.

Nel 1930, collabora anche all'elettrificazione della Russia fornendo le sue conoscenze di ingegnere. In tutti i contesti pro-fessionali si presenterà sempre con l'abito talare, divenendo così una contraddizione vivente: uno dei più grandi intellettuali del primo periodo sovietico appartiene alla Chiesa Ortodossa, tac-ciata di oscurantismo e di collaborazione con il potere zarista.

Nel 1933, padre Pavel viene condannato a dieci anni di lavo-ri forzati e viene spedito nel gulag di Skovorodino presso il fiume Amur, in Siberia. Qui continua le sue ricerche sul gelo

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perpetuo e sull'estrazione dell'agar-agar scrivendo anche delle lettere ai suoi familiari, oggi raccolte in italiano con il titolo Non dimenticatemi. Lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo. Nel 1934, sarà trasferito nel gulag delle isole Solovki, sul mar Bianco, fino a quando nel 1937, la trojka di Leningrado condannerà Florenskij come nemico del popolo. L'8 dicembre dello stesso anno verrà fucilato in un bo-sco presso Leningrado e i suoi lavori condannati all'oblio.

Solo nel 1990, con la caduta dell'Unione Sovietica, sono stati riaperti gli archivi del regime e si è potuto ri-conoscere il lavoro di Florenskij a tal punto da essere soprannominato il "Leonardo da Vinci della Russia" o il "Pascal Russo".

Nella vita di Florenskij possiamo ritrovare la sua grandezza non solo nella poliedricità del suo pensiero ma perché egli ha fatto della filosofia il suo modus vivendi, divenendo grande an-che attraverso la sofferenza. In una delle sue ultime lettere dal gulag delle Solovki, Florenskij scriverà:

Retaggio della grandezza è la sofferenza, sofferenza che viene dal

mondo esterno, e sofferenza interiore, che viene da noi stessi. Così è stato, è, e sarà. Perché sia così, è del tutto chiaro: è una sfasatura; sfa-satura della società rispetto alla grandezza, e sfasatura della persona rispetto alla propria grandezza; cioè, una crescita diseguale, inadegua-ta, e la grandezza è proprio il distinguersi dalle caratteristiche medie della società e della propria struttura, poiché anch'essa appartiene alla società. Ma noi non ci accontentiamo che si risponda alla domanda "perché?", ed esigiamo una risposta alle domande "a che scopo?", "con quale fine?". Sì, la vita è fatta in modo che si può dare qualcosa al mondo solo pagandone poi il fio con sofferenze e persecuzioni. E più il dono è disinteressato, più crudeli sono le persecuzioni, e dure le sofferenze. Tale è la legge della vita, il suo assioma di base. E anche se nel tuo intimo hai coscienza dell'irrevocabilità e dell'universalità di questa legge, quando ti scontri con la realtà, con ogni caso specifico, resti colpito come se fosse qualcosa di imprevisto e nuovo. […]. An-che i filosofi si trovano nella stessa situazione (per filosofi intendo non coloro che parlano di filosofia, ma coloro che pensano in modo fi-losofico), cioè sono perseguitati, circondati da ostacoli, hanno la bocca tappata.4

4 P. A. FLORENSKIJ, Non dimenticatemi. Lettere dal gulag del grande matematico,

filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2013, p. 374-375.

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Nella sua grandezza ritroviamo già una vita divenuta icona

di resistenza, malgrado tutto. Sarà proprio Pavel Florenskij ad analizzare i tratti dell'icona e vogliamo addentrarci in questo mistero filosofico attraverso la sua ontologia. Da una parte un'ontologia dell'icona che si esprime nel linguaggio della pro-spettiva rovesciata. Dall'altra parte un'ontologia nell'icona che si esprime nel dialogo con gli altri linguaggi in una metafisica concreta.

Sofia Nell'icona si cela una bellezza eterna che è possibile ricerca-

re e conoscere solo attraverso l'amore per la Sapienza, attraver-so la filo-sofia. Ricordiamo, appunto, che per il mondo russo, la Sofia non è qualcosa ma un qualcuno o, meglio, una qualcuna.

Una donna di cui innamorarsi come è avvenuto per Vladimir S. Solov’ëv, vero filo-sofo. Una donna che, per il mondo terre-no è energia divina mentre per il mondo celeste è la creatura primigenia. Una donna di fuoco in cui anche Florenskij si im-batterà durante la sua vita e soprattutto nella composizione della sua opera principale La colonna e il fondamento della Verità. Lo stesso Florenskij avrà la percezione della Sofia già nei suoi primi anni di vita. Infatti, nelle sue Memorie scrive, a proposito del mare:

Già, io vedevo e sentivo che il mare viveva, e la sua vita la recepi-

vo come un dato di fatto che non necessitava di ulteriori spiegazioni; percepivo il mare così come percepivo la mia stessa vita. Quando chiedevo il perché dei serpentelli verdi, della mutevolezza di colore sulla superficie del mare, del ritmo spezzato della risacca, dei pali le-vigati dall'acqua e di una quantità di altri fenomeni simili, quel che vo-levo sentire era prima di tutto una conferma a quanto già sapevo da solo, e cioè che il mare viveva, che era un essere vivente e misterioso.5

5 P. A. FLORENSKIJ, Ai miei figli, op. cit., p. 91-92.

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Molti pensatori russi rifletteranno sulla Sofia dandone letture diverse. Tuttavia, ciò che ci colpisce è questo carattere vivente della Sofia, questo suo essere l'anima del mondo. La Sofia con-nette e tiene insieme i due mondi, quello dell'Uomo e quello di Dio, rivelando, reciprocamente, la bellezza dell'uno nell'altro.

Prospettiva rovesciata La bellezza insita nell'icona è quella della luce che riesce a

trasfigurare la vita, che penetra nelle profondità più intime e che traspare dallo sguardo di chi contempla un'icona. Uno sguardo limpido che diviene simile a colui che viene contemplato. In-somma, contemplato e contemplante si scambiano reciproca-mente di posto affinché il contemplante assuma la luce del con-templato. È questo il segreto recondito della prospettiva rove-sciata. Non una nostra prospettiva sulla realtà che porterebbe ad una distinzione netta fra fenomeno e noumeno. Nella prospetti-va rovesciata è il noumeno che penetra nel fenomeno e lo illu-mina, gli dona senso. Florenskij stesso nelle sue Memorie scrive per i suoi figli:

L'incognito nutriva la mente, mentre quel che non meravigliava,

che non generava meraviglia, era una sorta di pula secca priva di so-stanze nutritive. Del resto c'era assai poco di non-supefacente e di non-particolare, mentre quel che i grandi disdegnavano toccavano la mente e rimaneva impresso nella sua protoimmagine. Tale Urphäno-menon diveniva poi uno strumento della conoscenza, una categoria, un concetto filosofico fondamentale attorno al quale tutto si raggruppava e si coordinava, accanto al quale si cristallizzava l'esperienza. Fu così che sin dalla più tenera età nella mia mente si formarono le categorie del sapere e i principali concetti filosofici. La successiva riflessione non solo non li rafforzò né li approfondì ma, al contrario, in un primo momento lo studio della filosofia li scosse e li eclissò senza offrire nulla in cambio, se non un senso di amarezza. A poco a poco, però, approfondendo i concetti basilari della concezione generale del mondo e rielaborandoli in senso logico e storico, mi trovai su un terreno sal-do, e quando mi guardai intorno mi risultò che era lo stesso terreno su cui mi trovavo sin da piccolissimo: dopo lunghe peregrinazioni menta-li il cerchio si era chiuso e io mi trovavo al punto di partenza. In verità

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non avevo scoperto nulla di nuovo, ma avevo solo "rammentato"; già, avevo rammentato i fondamenti della mia personalità formatasi sin dall'infanzia o che, per meglio dire, erano stati il seme di ogni mia cre-scita spirituale sin dai primi barlumi di consapevolezza. Per tutta la vi-ta ho pensato, in sostanza, a una sola cosa: al rapporto tra fenomeno e noumeno, al rinvenimento del noumeno nei fenomeni, alla sua mani-festazione, alla sua incarnazione. Sto parlando del simbolo. E per tutta la vita ho riflettuto su un solo problema, il problema del simbolo.6 L'ontologia dell'icona, il suo essere, è in questa capacità e

possibilità che offre nel rivelarci un mondo altro, il mondo noumenico, il mondo di Dio, immerso di luce, una luce corposa, una luce consistente che avvolge sia l'immagine presente nell'i-cona, sia colui che guarda l'icona. Una luce resa sapientemente con il colore, espressa e non creata dal colore. La bellezza dell'icona, così, è il coagulo di una esperienza della creatura-uomo con il suo Creatore-Dio, una esperienza che viene scritta nei volti dell'icona.

Metafisica concreta La relazione continua fra guardante e guardato, contemplan-

te e contemplato non è apparenza ma apparizione ovvero rela-zione viva fra i due mondi. Apparizione che, in un percorso fi-losofico, diviene consapevolezza della rivelazione di Dio nel mondo dell'uomo. In questa apparizione-rivelazione emerge il valore dell'icona come simbolo.

L'icona è una porta fra i due mondi e, per questo, συν-βαλείν (sun-balein), ponte gettato, finestra che permette il passaggio di luce e che, quindi, garantisce un legame fra i due mondi. Questo legame è λόγος non inteso nelle sue accezioni riduttive come semplice ragione o come atto mentale ma come vero e proprio legame attraverso cui poter scorgere il mondo dell'Eterno. Per questo parliamo di una ontologia nell'icona. L'essere nell'icona è questa capacità di essere un simbolo-λόγος in grado di dia-

6 Ibidem, p. 200-201.

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logare con altri simboli come: il numero algebrico, il sogno, il tempo, lo spazio, la parola fino a giungere ad un μέτα-λόγος, ad un fine di ogni conoscenza che è quello del nome. In questo dia-logo fra simboli si gioca la metafisica concreta. Una metafisica che è visione del mondo come insieme, come dialogo di simboli. In una sua lettera Florenskij scriverà che questo è stato lo sguardo che ha avuto per tutta la sua vita.

Che cosa ho fatto io per tutta la vita? Ho contemplato il mondo

come un insieme, come un quadro o una realtà unica, ma in ogni istan-te o, più precisamente, in ogni fase della mia vita, da un determinato angolo di osservazione. Ho esaminato i rapporti universali in un certo spaccato del mondo, seguendo una determinata direzione, in un de-terminato piano, e ho cercato di comprendere la struttura del mondo a partire da quella sua caratteristica, di cui mi occupavo in quella fase. I piani di questo spaccato mutano, tuttavia un piano non annulla l'altro, ma lo arricchiva, cambiando: ossia con una continua dialettica del pensiero (il cambio dei piani in esame, con la costante dell'orienta-mento verso il mondo come un insieme). Ho cercato in modo troppo astratto e generale. In concreto, però, si tratta di aver studiato il signi-ficato, in tutte le sfere della natura, di uno o di un altro elemento chi-mico, composto, tipo di composto, tipo di sistema, forma geometrica, combinazione, tipo biologico, formazione ecc., per cogliere l'aspetto di questo elemento della natura come qualitativamente singolare e in-sostituibile. Contro il meccanicismo rude e il meccanicismo fine che nega la qualità, si evidenzia la natura originale qualitativamente parti-colare dei singoli elementi, universali per il loro significato e indivi-duali per la loro essenza. "Che cos'è l'universale? È un caso particola-re" (Goethe). Lavoro sempre nell'ambito dei casi particolari, ma ve-dendo in essi una manifestazione, un fenomeno concreto dell'universa-le, cioè esaminando l'εῖδος platonico-aristotelico (Urphänomenon, Goethe).7 Una metafisica che si contrappone all'astrattismo meccanici-

sta o positivista, che sa penetrare nella viva realtà quotidiana e qui sa cogliere la luce dell'Eternità. La metafisica concreta, allo-ra, è la possibilità di far interagire i diversi linguaggi e questa interazione avviene nella visione filosofica del mondo, guar-dando tutto come unità, ritrovando l'Uno nei molti e l'Uno nel

7 P. A. FLORENSKIJ, Non dimenticatemi, op. cit., p. 379-380.

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tutto. Ecco perché l'icona arriva a caratterizzarsi come linguag-gio della filosofia in grado di sviluppare una propria riflessione sul suo essere.