Liberalismo, neo-giusnaturalismo, eticità. Il problema ...

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EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, II, 2 (2013), pp. 97-119. ISSN 2280-7837 © 2013 Editoriale Anicia, Roma, Italia. Liberalismo, neo-giusnaturalismo, eticità. Il problema dell’individuo in Carlo Antoni Francesco Mattei Università degli Studi Roma Tre Department of Education Via Manin, 53 - 00185 Roma [email protected] Parva mei mihi sint cordi monimenta sodalis, at populus tumido gaudeat Antimacho. Catullo, Carme XCV 1. Sul soggetto: Croce, Gentile, Antoni Il dibattito sulla postmodernità ha investito in mo- do prepotente, nelle sue provocazioni di fondo, la figu- ra del soggetto e la sua antica e consolidata configura- zione. Al soggetto, all’io, all’individuo, alla persona – lemmi differenti ma usati spesso con significato vaga- mente sinonimico – sono state via via attribuite caratte- ristiche fisse, determinate, determinanti, un tempo me- tafisiche. E tali connotazioni hanno fatto del soggetto, nel canone cartesiano e post-cartesiano, il centro del di- scorso e della realtà sociale, religiosa, metafisica (alme- no nella determinazione heideggeriana dell’Essere co- me Dasein, come esser-ci del Sein che si “limita”, si oggettiva e si svela). Così il soggetto, sia esso subjectum o puro , si è sempre ritrovato ad esistere, a pensare e ad essere pensato, come sospeso ed appeso all’ e al j. E via via, laicizzato il suo rappor- to con l’Essere e con (un) Dio, ha vissuto su di sé ma-

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EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, II, 2 (2013), pp. 97-119. ISSN 2280-7837 © 2013 Editoriale Anicia, Roma, Italia.

Liberalismo, neo-giusnaturalismo, eticità. Il problema dell’individuo in Carlo Antoni Francesco Mattei

Università degli Studi Roma Tre Department of Education

Via Manin, 53 - 00185 Roma [email protected]

Parva mei mihi sint cordi monimenta sodalis,

at populus tumido gaudeat Antimacho. Catullo, Carme XCV

1. Sul soggetto: Croce, Gentile, Antoni

Il dibattito sulla postmodernità ha investito in mo-do prepotente, nelle sue provocazioni di fondo, la figu-ra del soggetto e la sua antica e consolidata configura-zione. Al soggetto, all’io, all’individuo, alla persona – lemmi differenti ma usati spesso con significato vaga-mente sinonimico – sono state via via attribuite caratte-ristiche fisse, determinate, determinanti, un tempo me-tafisiche. E tali connotazioni hanno fatto del soggetto, nel canone cartesiano e post-cartesiano, il centro del di-scorso e della realtà sociale, religiosa, metafisica (alme-no nella determinazione heideggeriana dell’Essere co-me Dasein, come esser-ci del Sein che si “limita”, si oggettiva e si svela). Così il soggetto, sia esso subjectum o puro , si è sempre ritrovato ad esistere, a pensare e ad essere pensato, come sospeso ed appeso all’ e al j. E via via, laicizzato il suo rappor-to con l’Essere e con (un) Dio, ha vissuto su di sé ma-

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scheramenti e smascheramenti, volta a volta legati a concezioni filosofiche, giuridiche, religiose, politiche, sociali.

Si è insomma di fronte ad antropologie mutanti. E mutando, esse hanno mutato anche il volto dell’io. Tal-volta innalzandolo alle altezze inebrianti e terribili del-l’Io puro (fichtiano), talaltra riducendolo ad un fascio psichico che trova nella mente o nel super-io il luogo della provvisoria sua koinè e di una fragile (in)con-sistenza1. Non è mancato chi ha parlato, ed è certo po-sizione originale, di «persona come metafora»2, guar-dando alla persona come ad «un modo di dire», ad un trpos, ad «un concetto che non rimanda né a una so-stanza, né a un principium firmissimum (sia questo un absolutum reale, o un’assoluta “idea”)»3. Ma non è man-cato nemmeno chi ha vincolato la persona ad una pro-fonda radice teologico-metafisica: sulla scia di Aristotele o di Tommaso, di Boezio o di Riccardo di S. Vittore, che quella radice hanno pensato nei lunghi secoli della

1 Cfr. Vattimo e l’abusato ma non stantio «pensiero debole», in cui

si desostanzializza l’essere e con levitas lo si dice. Ma su ciò, mi sono già soffermato. Segnalo soltanto, per un suo valore ricostruttivo, G. Vattimo con G. Paterlini (Non essere Dio. Un’autobiografia a quattro mani, Reggio Emilia, Aliberti, 2006), dove questo décalage dell’essere e del pensare è testimoniato con efficacia.

2 Cfr. M. Manno, La persona come metafora. Itinerari di una metafisica personalistica, Brescia, La Scuola, 1998.

3 Id., «Presupposti teorici del “Personalismo critico”», in G. Flo-res d’Arcais (a cura di), Pedagogie personalistiche e/o pedagogia della persona, Brescia, La Scuola, 1994, pp. 255-256. E continua: «L’io è persona quando, e soltanto quando, riesca a rideterminare come sua mon-danità concreta una capacità di “eccedenza” (o “trascendenza”, o “non-intera-deducibilità”, o “di-più”)» (ibidem). Per altre declinazioni sulla persona, cfr. F. Cambi (a cura di), Soggetto come persona, Roma, Ca-rocci, 2007, e soprattutto, dello stesso Cambi, «Oltre i personalismi» (ibid., pp. 37-47).

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tradizione occidentale4. Venne poi il personalismo di conio francese, nelle versioni di Mounier e di Maritain. E quella tradizione conobbe, forse fuori stagione, un’altra fioritura (ora in stato di silente ridimensionamen-to od oblio, perché il pensiero teologico-metafisico aveva assunto altre lontane declinazioni).

Dunque, reso alla tradizione ciò che è della tradi-

zione, evidenziate le polisemie semantiche ed erme-neutiche della persona, dove va a collocarsi Antoni? In quale scia ritrova il tema dell’individuo e della sua liber-tà costitutiva?

La risposta è semplice. Essa è presente fin dal-l’inizio nella sua sequela (non inerte) di Croce e nella sua antitesi con Gentile. Ma i due maestri del neoidea-lismo hanno un comune antenato, lo Hegel che radica lo spirito soggettivo nel j universale, nella ragio-ne che dispiega la sua libertà nella storia, là dove essa si costituisce come spirito assoluto. Antoni, invece, come scrive Sasso, pensa in termini di « buona». Lavo-ra ad una antropologia non «alienata» (o almeno, non ra-dicalmente deietta). Perciò batte le strade di un neogiu-snaturalismo non vanamente nostalgico.

Dice dunque Antoni, ripercorrendo le tappe ge-netiche della storiografia crociana: «Più che mai allora, sotto la suggestione del Marx, il Croce avvertiva il fasci-no della filosofia romantica della politica, in dispregio a qualsiasi ideologia umanitaria e ad ogni forma di giu-

4 Rinvio, per necessaria brevitas, a F. Mattei, «La radice e il

frutto. Sulla filosofia dell’educazione di M. Manno», in Id. (a cura di), Itinerari filosofici in pedagogia. Dialogando con M. Manno, Roma, Anicia, 2009, p. 145 e sgg.

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snaturalismo democratico»5. Ma non tralascia (come avrebbe potuto?) di sottolineare l’influenza di Gentile sul filosofo napoletano6, proprio in virtù di quella iden-tificazione di essere e divenire, ragione e storia, eterno e contingente che costituisce l’anima profonda dell’attua-lismo gentiliano. Ed è, questa, anima hegeliana, derivante dall’«atteggiamento teologico» di Hegel, un atteggia-mento che induce tanto Hegel che Gentile a ridurre «la realtà a storia». Un tentativo audace e generoso. Un ri-sultato non ben riuscito, a parere di Antoni, giacché alla radice sta, minacciosa ed instabile, la deduzione dell’io, la sua assoluta autodeterminazione.

Così Antoni si tiene alla larga dalle grandi “dedu-zioni”. Che minerebbero l’io nel suo fondamento, dato che, instabile tra l’ideale eterno e il continuo venire all’esistenza, il soggetto non troverebbe mai la radice della sua concretezza. La coscienza si muoverebbe nello spazio della astratta indeterminazione. Perciò scrive:

Per quanto intendesse l’atto come divenire storico, in quanto lo scorgeva proporsi incessantemente compiti e problemi sto-ricamente concreti, il Gentile non ammetteva che questo “pro-porsi” fosse contemplazione, bensì senz’altro lo definiva come creazione ed azione. Lo svolgimento era, cioè, inteso da lui co-me piena ed assoluta “autoctisi”, autodeterminazione dell’io, nella quale ogni momento era un’affermazione dell’io in una

5 C. Antoni, Studi sulla teoria e la storia della storiografia, in

AA. VV., Cinquant’anni di vita intellettuale italiana, 1896-1946, a cu-ra di C. Antoni e R. Mattioli, Napoli, E.S.I., 1950, p. 65 (c.m.).

6 Così Antoni: «Si deve al Gentile l’enunciazione d’un princi-pio, che è divenuto di capitale importanza in Croce: quello dell’iden-tità di storia e filosofia». E ancora: «Ma la grande efficacia esercitata dal Gentile nella formazione del pensiero crociano è consistita nell’as-serzione instancabile di quell’unità dialettica dello spirito, che la teo-ria della distinzione delle forme dello spirito, quale si andava sviluppando nel pensiero del Croce, sembrava compromettere» (Ibid., p. 68).

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nuova forma e però un reale annullamento dell’io nella for-ma in cui era prima determinato7. La conclusione è d’obbligo: lo spirito è storia,

perché svolgimento dialettico; ma non è storia, perché atto eterno. E da questa antinomia, sempre incombente, Gentile non poteva uscire che in nome dell’assoluto, sempre in nome della dizione aurorale: la «sola vera sto-ria è l’eterna»8. 2. Sul fondamento: Hegel-Gentile-Croce

Fin qui Gentile. Ma Croce, nonostante le infinite

polemiche e le estenuanti “distinzioni”, non si allontana troppo, sul punto, dal più giovane amico di Castelvetra-no: un identico radicamento hegeliano li accomuna. Perciò Antoni scrive:

E come già la filosofia di Hegel, anche quella di Croce ri-schia di apparire una teologia dello Spirito del mondo, do-ve gli individui sono assorbiti dal tutto9. Dunque, tanto in Croce quanto in Gentile, a ragione

della comune radice fichtiana ed hegeliana, l’individuo rischia il naufragio, la scomposizione interna della sua unità. E conseguentemente, il disprezzo di «ogni ideo-logia umanitaria e di ogni forma di giusnaturalismo de-mocratico». Questa la curvatura politica, il destino di una soggettività mal piantata. Ma tutto ciò inerisce alla ristrutturazione concettuale, prima che storico-sociale, del principio o del cominciamento del soggetto nella co-

7 Ibid., p. 67. 8 Ibidem. 9 Id., Commento a Croce, Venezia, Neri Pozza, 1955, p. 100 (c.m.).

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stituzione della sua identità: il destino politico, ma anche quello sociale, non possono che seguire la natura del co-minciamento del soggetto.

Si dice “cominciamento”, e il pensiero va alla logica hegeliana, ma è al “fondamento” che si fa riferimento. E se l’uno è l’assolutamente indeterminato – unbestimmtes Sein –, il puro essere vuoto – leeres Sein –, l’altro è ciò che si dà come principium inconcussum veritatis). E qui ha origine il “dispregio” per l’individuo intravisto da Antoni in Croce e da lui denunciato. Ma si tratta di una preoccupazione sempre presente nel filosofo triestino. Perciò l’approdo concettuale al giusnaturalismo etico-giuridico, e al conseguente liberalismo etico-politico, rappresenta soltanto un tentativo di ricollocare il sogget-to10, di conferirgli un radicamento stabile, di sottrarlo alla precarietà della sua costituzione in terreni resi franosi dalle “deduzioni” e dalle scissioni ammalianti degli esi-stenzialismi. Le derive politiche hanno radice nelle costi-tuzioni ontologiche. Minate queste, quelle necessaria-mente seguono.

Detto ciò, non è certo detto a quale “fondazione” rivolgere la propria inclinazione metafisica. Né è detta la via regia per interpretare la “posizione-costituzione” della realtà e della soggettività. Ma è detto, ed appare evidente, che un problema del fondamento è ancora presente. Come pure è detto, e in forma esplicita, che la morfologia dell’io è parte rilevante nella costruzione

10 Non apro qui il tema del rapporto liberalismo etico-politico e liberismo economico. Mi limito a rinviare alla polemica Einaudi-Croce, di cui mi sono occupato altrove (cfr. F. Mattei, La dimensione etica tra storicismo e giusnaturalismo. Studio su C. Antoni, Roma, Ani-cia, 19992, p. 163 e sgg.) e ricordo il lavoro di A. Touraine (Come li-berarsi del liberismo, Milano, il Saggiatore, 2000) in cui l’A. critica con radicalità gli eccessi del liberismo economico come ladro e di-struttore di soggettività.

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storico-politica della realtà. Ad essa è rivolta e da essa è formata. Dissolta quella morfologia, è anche dissolto lo scenario epocale che si è soliti chiamare modernità, profondamente contrassegnata dalla signoria dell’Io e dall’unitarietà delle sue manifestazioni.

Stupirà, forse, questa insistenza sulla soggettività.

E stupirà ancor più il riferimento a Gentile. Chi ha letto qualche pagina del filosofo triestino, però, sa bene che il nome di Gentile non ricorre quasi mai nei suoi scritti. E per una necessità interna, quasi biografica, del crociano Antoni. Impossibile tuttavia sottrarsi a questa ermeneu-tica su Gentile. Questi appare ad Antoni ancora profon-damente legato alla “teologia hegeliana”. Il suo attuali-smo guadagna la soggettività per via deduttivo-trascen-dentale – nel senso indicato da Gentile ne La riforma della dialettica hegeliana –, ma quella autoctisi ha in sé, interno e necessitante, il germe del “reale annullamen-to”. Da questo sorgere della coscienza non si dà dun-que vera libertà. E non si dà, conseguentemente, libera-lismo etico-politico.

Se questa è la distanza da Gentile, e se ne compren-dono le ragioni, un intervallo non dissimile Antoni in-terpone tra sé e il rispettatissimo Maestro Croce, quan-do si avvede che l’io crociano può essere fagocitato, e proprio a causa del suo cominciamento, nei tentacoli (politicamente) democratici, ma pur sempre (ontologi-camente) inglobanti dello Spirito assoluto. E dunque, salvare l’io vuol dire sostanzialmente salvare il suo “ini-zio”, far salva una radice che non avveleni sul nascere la conseguente e consequenziale infiorescenza storico-po-litica.

Posta in questi termini, la questione assume una inquietante attualità. Anzitutto, si tolgono separatezze tali, tra teoria e prassi, che anche posizioni classiche

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non hanno disdegnato di praticare, riducendosi con ciò ad analisi descrittive di costruzioni sostanzialmente ideologiche. In secondo luogo, per dirla con Rovatti, si prende atto che la “posta in gioco” è rappresentata dal-l’immagine e dalla consistenza della soggettività. In terzo luogo, dal punto di vista storiografico, ma anche più squisitamente teoretico, si finisce ancora una volta con il dover fare i conti con l’attualismo gentiliano. Ed a questo è doveroso guardare, pena il rischio di lasciare in ombra uno dei nodi essenziali per comprendere questi intrecci teorici e storico-pratici. Troppe sono infatti le eredità manifeste, e talvolta riconosciute, e troppe le deri-vazioni carsiche confluite poi in movimenti dalla genealo-gia non sempre limpida.

L’allusione è al marxismo11. Ma è anche alla centra-lità dell’interpretazione attualistica. Questa sta come ul-tima declinazione di una signoria. Di quella signoria dell’io che si autopone all’inizio della modernità e che tutta l’attraversa. E quando questa sfuma, quella si dis-solve. Così Natoli:

L’indugiare di Gentile entro i “termini” della soggettività molto ci istruisce sul lento disfarsi del moderno o quanto meno di quella modernità contrassegnata dalla signoria dell’“Io”12. Il che significa, in sostanza, non andare troppo lon-

tano dall’ultima posizione di Del Noce, quando questi leggeva nell’attualismo gentiliano l’ultimo bagliore del-l’immanentismo, un immanentismo «inteso nel senso

11 Per quanto riguarda il rapporto Gramsci-Gentile, rinvio a F.

Mattei, Sfibrata paideia, Roma, Anicia, 2009, p. 180 e sgg. Per il “cominciamento teologico” in Gramsci, cfr. A. Broccoli, Il potere tra dialettica e alienazione, Cosenza, Pellegrini, 1983, p. 370.

12 S. Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, p. 11.

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letterale del Deus manet in nobis» e «come filosofia ne-gante insieme la trascendenza religiosa e il materiali-smo»13 (e dunque, necessitato a proporsi come riforma religiosa e insieme politica).

È in questa linea di radicamento-dissoluzione del

soggetto che si aprono i dubbi di Antoni. E il già vene-rato Maestro Croce non può sfuggire allora alla sua critica. E così scrive:

[...] in fondo l’equazione (individuo-egoismo) ricompare nel-lo stesso pensiero crociano, là dove l’individuo è identificato col momento vitale-economico. Era necessario, pertanto, spez-zare l’equazione, così da porre a base di un nuovo giusnatu-ralismo il concetto dell’individuo come fonte di tutti i valori universali e da sostituire al concetto del patto sociale [...] questo universale concetto14. Ecco dunque il legame che unisce il concetto di

individuo con il giusnaturalismo. Nell’individuo, An-toni vede la fonte dei diritti, intesi non in senso astratto e intellettualistico, ma come luogo di nascita e di crea-zione di valori universali. E attorno a tale nodo teorico prendono significato anche i concetti di giusnaturali-smo e di storicismo, concetti che Antoni indaga prima per via storiografica, poi con taglio più marcatamente teoretico. E allora, la categoria etica apparirà centrale in quell’universale concreto che è l’individuo, e lo co-stringerà ad andare oltre Croce.

Scriveva Antoni nel 1953, un anno dopo la morte di Croce, in Storia di un fagiolo:

13 A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filo-sofica della storia contemporanea, Bologna, il Mulino, 1990, p. 10.

14 C. Antoni, La restaurazione del diritto di natura, Venezia, Neri Pozza, 1959, pp. 9-10.

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Dell’infinita vita era una creatura singolare, unica, quale mai prima si era prodotta e quale mai più si riprodurrà. Ed il suo valore perciò era immenso, ché, la vita, cioè il valore, si ma-nifesta soltanto così, singolarmente15. E ancora: Chiuse così anch’essa il suo breve ciclo, la sua apparizione in questo mondo, che non fu vana, ma a suo modo anch’essa importante: ché che cos’è poi il mondo se non un susseguirsi innumerevole di queste apparizioni? Che cos’è la vita, se non questo sforzo di essere, di produrre, di tramandarsi, soffrendo e gioendo e compiendo l’immenso dovere di darsi al mondo?16. La prosa è semplice, i temi rilevanti. Infatti, Antoni

si sofferma qui in modo nuovo sulla singolarità e sul-l’individuazione del valore e dell’universale. Ma è proprio su questo concetto di individuo e sulla sua struttura che si interrompe il consenso di Antoni nei confronti di Croce. Nonostante i dovuti riconoscimenti alla filosofia crociana («una celebrazione dell’individua-lità»), ne svela poi incongruenze e aporie, rinvenendo in essa posizioni e ascendenze marcatamente hegeliane. Così la filosofia crociana, nella sua interpretazione, fi-nisce con il negare l’individualità e con il ridurla a me-ra vitalità. Scrive Antoni:

Ancora una volta l’esistenza individuale, come già nello sche-ma hegeliano, non sembra degna di appartenere alla vera realtà. E come già la filosofia di Hegel, anche quella di Croce ri-schia di apparire una teologia dello Spirito del mondo, dove gli individui sono assorbiti dal tutto17.

15 Id., Gratitudine, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, p. 107. 16 Ibid., p. 108. 17 Id., Commento a Croce, cit., p. 100. Chioserà Sasso: «Nella

sua concezione della storia l’offendeva l’idea della provvidenza, della logica necessaria delle cose che, schiacciando inesorabile le aspirazio-ni, i propositi, i “diritti” degli individui, assumeva addirittura il volto fo-

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Ma questo provvidenzialismo crociano comportava ai suoi occhi una svalutazione dell’individuo e della sua libera creatività: un offuscamento inaccettabile della cen-tralità della dimensione etica individuale. Non si era in-fatti lontano, qui, dall’immanentismo hegeliano e da quello gentiliano. Un immanentismo che non faceva sal-va, per Antoni, la singolarità dell’individuo. Croce si li-mitava a dare autonomia all’individuo proprio sul piano della vitalità, ma nella struttura unitaria dell’individuo egli scindeva le tre categorie spirituali da quella econo-mico-vitale, la sola a cui riconosceva autonomia reale. Così Antoni:

A suo tempo Croce aveva sacrificato l’individuo alla Categoria, ma ora è proprio l’individuo che mette a repentaglio la cate-goria, ché, riducendo la categoria della vitalità agli “individui che si susseguono nel mondo”, chiusi ciascuno nella partico-lare cerchia dei propri aspetti, si fa di essa una pluralità di en-ti incomunicabili, radicalmente diversi18. Ma si tratta di un sacrificio inaccettabile per An-

toni. Perciò egli pensa di ristabilire l’unità di indivi-duale e universale non già nel rapporto tra l’astratto indi-viduo e le sue opere (che, in quanto espressione dello spirito, sono legate alla Categoria e alla universalità), ma nella concretezza dell’individuo. Un compito a cui l’uni-versalità dell’opera crociana, l’antico Spirito oggettivo hegeliano, non riesce a far fronte. Perciò essa gli appa-re “vuota e inerte”. E perciò va ripensata:

sco e sanguinario di una dea ispiratrice delle terribili tirannidi con-temporanee. E da questo punto di vista Hegel diventava il profeta di quanto di peggio il mondo moderno avesse prodotto nel secolo vente-simo» (L’illusione della dialettica. Profilo di C. Antoni, Roma, Edizioni Ateneo, 1982, pp. 166-67).

18 Ibid., p. 107.

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La struttura dello spirito è un’infrangibile unità organica, di cui le categorie sono articolazioni, che è sempre reale e concepibile solamente come Io individuale. Le categorie fungono dentro questa individualità e non fuori o al di sopra di essa, sicché ca-tegorie che appartengono soltanto allo Spirito assoluto e non all’individuo, non si possono concepire19. E ancora: Nel pensiero crociano (…) la coscienza soggettiva è tollerata, in maniera imprecisa, come strumento, oppure è degradata a mera vitalità (...) è resa estranea alla realtà dei valori universali20. Contro tale “volatilizzazione dell’individuo” An-

toni prende posizione, modificando notevolmente il pensiero del Maestro, e così scrive:

In realtà l’universale non è generico Spirito, non è una serie di categorie, ma è l’Io. L’Io è il concetto medesimo, l’a priori, la categoria universalissima, ma è, altresì, immediatamente co-scienza ed affermazione di sé come individuo. È l’universale concreto, determinato, cioè individuato, pur conservando la propria formale universalità. Separare i due termini è un atto d’astrazione che crea l’insolubile problema del rapporto tra im-manenza e trascendenza poste come piani separati21. Antoni nega una possibile “deduzione” dell’Io. L’Io

è immediato e universale. Non deriva da un ipotetico Io trascendentale, che resterebbe astratto e mai troverebbe realtà e concretezza. Nelle sue ultime pagine, è uno dei temi più ricorrenti. E per un accenno al tema, egli prende spunto da una nota di poche pagine apparsa su «Pensiero», nel ‘57, e dedicata al collega Bariè, da po-co scomparso.

19 Ibid., p. 109. 20 Id., Storicismo e antistoricismo, a cura di M. Biscione, Napo-

li, Morano, 1964, p. 142. 21 Ibid., pp. 142-43.

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C’è in quella pagina un notevole spostamento di prospettiva. E ritorna centrale, in lui, la funzione della coscienza e la percezione immediata come valenza filo-sofica positiva, contro le deduzioni e le mediazioni della filosofia hegeliana e crociana. Da qui, credo, quella scelta decisa di neo-giusnaturalismo che avrebbe potu-to farlo apparire, nel clima filosofico italiano, e ne era cosciente22, un po’ anacronistico. La polemica contro l’esistenzialismo e una certa declinazione della feno-menologia (di Heidegger, Camus e Sartre) aveva la-sciato in lui segni di disagio e di disapprovazione fin troppo evidenti:

L’io nella sua singolarità è un immediato, e soprattutto è quanto di più soggettivo si possa immaginare: non può essere “posto” come un oggetto. L’io, l’universalissimo, è anche l’in-dividualissimo, e i due momenti sono entrambi, con pari im-mediatezza, nella coscienza, che solo in tal modo, in questa unità di universale e individuale, è concreta. La separazione dei due termini è intellettualistica e conduce, come in Fichte, in Hegel, in Gentile, in Croce, alla metafisica di uno Spirito puro, d’un Io trascendentale, d’uno Spirito del mondo, solo soggetto, quindi alla soppressione degli individui, alla sop-

22 Id. La restaurazione…, cit., Premessa. In quel torno di tempo,

ancora caratterizzato da un diffuso neoidealismo con uscite verso il marxismo o l’esistenzialismo dalle molte sfumature, si faceva largo, nell’orizzonte della filosofia del diritto, una permanenza del positivi-smo giuridico o del giusnaturalismo. L’uno era stato visto, in tempi di fascismo, come garanzia di diritti legati alle regole, e dunque come di-fesa dagli eccessi totalitari o autoritari del fascismo. L’altro, legato ad una idea illuministica dei diritti di natura, tendeva a salvaguardare i diritti individuali e collettivi dalle pieghe storiche che aveva assunto la fisiono-mia storico-giuridica durante il fascismo, e dunque delegittimare le norme positive codificate durante il periodo autoritario. Per una discus-sione sul tema, cfr. N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, Edizioni di Comunità, 1965; N. Bobbio, M. Bovero, Società e Stato da Hobbes a Marx, Torino, Clut, 1973.

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pressione di quel nostro io singolo ed unico che sentiamo di essere: la nostra esistenza23. Non stupiscono, perciò, interpretazioni molto se-

vere su queste filosofie fenomenologico-esistenzialiste che avanzavano prepotentemente sulle ceneri della signo-ria dell’Io, e che prendevano il posto di un idealismo or-mai esangue o di un marxismo che voleva farsene erede: tutte uscite di sicurezza che non convincevano Antoni. E le citazioni, in materia, potrebbero essere copiose. Mi limito perciò ad un solo accenno ad Heidegger, a cui dedicava il suo ultimo corso universitario del ‘58-’59 e che così concludeva:

Può sorprendere la fortuna che ha incontrato siffatto neo-elea-tismo. A mio avviso questa singolare fortuna è dovuta al mito, con cui Heidegger ha dato una significazione metafisica al senso di angoscia, che grava sulle coscienze contemporanee (...). Per questo suo carattere d’interprete di stati d’animo Heidegger ap-partiene alla storia del nostro tempo, e ciò soltanto giustifica il lungo studio, che abbiamo dedicato alla sua opera24.

23 Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 227. Ma sulle aporie

di questa posizione, e sul dilemma identità-differenza, si potrà util-mente vedere Sasso (op. cit., pp. 178-185). E ancora, ben evidenziando la difficoltà della conciliazione di particolare e universale nell’imme-diatezza: «Non si avvedeva (Antoni) che se la coincidenza è un’im-mediata identità, l’“attuarsi”, nell’io individuale, dell’“universale vi-ta” dev’essere inteso come un originario ‘essersi attuato’; ché, in caso contrario, il processo stesso dell’“attuazione” si porrebbe, fra io indi-viduale e io universale, come elemento di non coincidenza, e quindi di semplice identità, o, meglio, identificazione, ad infinitum dei due ter-mini» (ibid., p. 180).

24 Id., L’esistenzialismo, a.a. 1958-59, Roma, La Sapienza, 1959, p. 270. L’esistenzialismo appare ad Antoni una «cattiva difesa della individualità», che vede l’individuo come un «brandello psichi-co», una creatura «finita, precaria e debole, nata dal nulla, riempita dal nulla, destinata al nulla». E così raccomanda: «Piantino il loro al-bero gli esistenzialisti e si redimeranno dall’angoscia o, per lo meno,

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Ma pari fastidio egli esprime nei confronti di Sar-tre. Anche in lui il soggetto è ridotto, per dirla con Croce, a pura vitalità, a deiezione, a destinazione per il nulla, a nausea per un universale non raggiungibile25. Ma questa riduzione radicale dell’individuo, questa sopravvalutazione di una categoria sulle altre, espone il soggetto a gravi rischi. Lo fa strumento devitalizzato e impotente nelle mani delle grandi Potenze (la Nazione, lo Stato, la Classe, il Partito26).

Ed è questo l’errore del nichilismo, dell’esistenzia-lismo, del volontarismo, che misconosce l’universalità e la positività fondamentale dell’individuo umano: gli chiede ciò che, in quella prospettiva, non può assolu-tamente dare27 e perde definitivamente il senso dell’u-manesimo crociano28. L’io trascendentale, che è mo- cesseranno dal diffonderla intorno a sé» (Id., Il tempo e le idee, a cura di M. Biscione, Napoli, E.S.I., 1967, p. 394).

25 «(...) sono allora apparse le grandi Potenze etiche, che non hanno esitato a calpestarlo e a massacrarlo per i loro fini. In realtà so-no comparsi i grandi Sacerdoti, interpreti spietati dei sacri decreti di quelle Potenze: della Libertà, della Giustizia, dell’Umanità. Dopo di che viene un graeculus, un Sartre ad esempio, a spiegarci che le vitti-me dei processi di Mosca meritavano la punizione perché non aveva-no saputo interpretare l’oggettività della storia: ripetendo la condanna dei vinti, che oltre un secolo fa già formulava Hegel, ma con una teologia della storia, che qui manca» (C. Antoni, La restaurazione…, cit., p. 94).

26 Cfr. Id., Il tempo e le idee, cit., p. 391. 27 «(...) hanno chiesto alla vitalità ciò che questa non può dare:

la verità dell’universale pensiero e una ragione morale di vivere. L’in-dividuo è stato visto nella sua pura animalità (…). Il suo nulla era la sua mancanza di universalità. L’errore è, anche qui, l’identificazione dell’individuo con la sola ed esclusiva vitalità» (Id., La restaurazione…, cit., p. 93).

28 «L’umanesimo crociano è questo senso dell’armonia, questa capacità di comprensione e valutazione di tutte le forme della vita» (Id., Commento a Croce, cit., p. 155). Al contrario, dice Antoni, l’esi-stenzialismo seguiva uno Hegel che aveva scisso essenza ed esistenza, scissione fatta propria anche da Kierkegaard, che nel suo esistenziali-

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mento dell’universalità, è la percezione della coscienza della propria identità con il Tutto, e non soltanto con le altre autocoscienze, un Tutto che non è un radicale altro, «ma che può essere penetrato, inteso, pensato». L’io è perciò singolare e irrepetibile ecceità. E in questa con-cretezza assume significato l’universalità. Che non può essere, per Antoni, “vuota astrattezza”:

La parola io non avrebbe senso senza questa esperienza o intui-zione della propria assoluta individualità, che non è fatto psico-logico o empirico, ma un dato a priori. L’io trascendentale sa-rebbe una vuota ed astratta universalità formale, impensabile, se non fosse concretamente riempita da questa ecceità29. È quanto coglie Calogero, che gli fu amico e col-

lega, e che così scrive in Chiose all’estetica: (...) nelle sue trattazioni di questi ultimi anni s’incontra sem-pre più spesso l’idea che la libera comunicazione tra gli indi-vidui sia il primo fondamento di ogni altra libertà e civiltà. Si può quindi supporre che egli venisse sempre meglio scorgen-do come quanto egli difendeva richiamandosi all’antico ideale giusnaturalistico aveva la sua ultima radice appunto in quella volontà di comunicare e d’intendere, mercé la quale ciascuno di noi varca i confini di sé medesimo, e comprendendo gli al-tri ne instaura e difende il diritto30. Tanto basta, credo, per dar conto dell’andatura che

andava prendendo ormai il pensiero di Antoni. Che si incamminava oltre Croce e oltre le filosofie che si an- smo non era riuscito a superare l’esistenza individuale hegeliana (Cfr. Id., Il tempo e le idee, cit., p. 392).

29 Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 228. 30 G. Calogero, Premessa a C. Antoni, Chiose all’estetica, Ro-

ma, Opere nuove, 1960, p. 28. A conferma, scriveva Antoni: «L’Io, come individuo isolato, come monade, non esiste, ma esiste come centro attivo di relazioni determinate» (Id., Storicismo e antistorici-smo, cit., p. 143).

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davano imponendo. Ed è viva, in ciò, non soltanto una preoccupazione teoretica o politica, ma anche una esi-genza più squisitamente pedagogica, così espressa alla fine del Commento a Croce:

Devo confessare che proprio nell’atto di professare questa dottrina crociana della nostra irresponsabilità, ho avvertito la tremenda responsabilità che mi assumevo verso le coscienze, ingenue, che mi ascoltavano come un maestro31.

3. Istanza giusnaturalistica e prospettiva etica

Con queste premesse, la continuità Croce-Antoni

appare superata. Altro è l’individuo, altra la coscienza, altro il giusnaturalismo. E non tanto per la dichiarata avversione di Croce al giusnaturalismo e all’illumi-nismo, quanto piuttosto per i concetti su cui esso si fonda. A questo tema Antoni ha dedicato pagine severe in La restaurazione del diritto di natura, là dove tenta un incontro tra la posizione storicistica e quella giusna-turalistica.

Tale esigenza discende dalla necessità di armoniz-zare il giudizio storico con gli altri concetti sopra evi-denziati: individuo, libertà, responsabilità, coscienza, ve-rità, storia. Anziché rivolgersi all’immanenza totale, come fa lo storicismo crociano, Antoni tenta di armo-nizzare la progressiva scoperta della verità con l’antica istanza giusnaturalistica. L’idealità giusnaturalistica – l’antica ratio o natura – si dialettizza con la scoperta

31 C. Antoni, Commento a Croce, cit., p. 242. Ma maestro lo fu

a lungo Antoni, e intervenne anche in merito a temi più squisitamente scolastici. Cfr. La facoltà degli spostati, Le facoltà della seconda lau-rea, Otto anni, Educazione unitaria, I dottori si moltiplicano: tutti in Il tempo e le idee, cit.

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che l’uomo fa di sé nella sua storia etica. E il progresso filosofico-religioso si traduce in ideali ed imperativi etici.

La critica allo storicismo hegeliano lo aveva spinto ad accentuare il valore e la posizione dell’individuo. L’attenzione all’individuo lo spinge a stabilire legami, fuori dall’utilitarismo e dal contrattualismo, con norme sovra-individuali, ma legate alla sua natura universale. Perciò imputa le due grandi catastrofi della nazione te-desca alla sua polemica contro il diritto di natura. E la stessa cultura italiana, da Machiavelli a Croce, necessi-ta di una radicale revisione. Perciò tenta di trovare nel-lo storicismo stesso la risposta all’esigenza intrinseca nell’antico giusnaturalismo.

Di questo distingue due forme. Quello utilitaristico, che per salvaguardare la libertà dei cittadini dall’ar-bitrio dello Stato ha dato origine al “contratto sociale”, (ma che ha generato una nuova forma di totalitarismo e di assolutismo, identificata con il nuovo Leviatano del-la “volontà generale”). Una seconda forma, invece, quel-la di Grozio, Althusius e Thomasius, tendeva a salvare comunque la libertà, in un mondo in cui crollavano le vecchie libertà derivate dai privilegi.

Pur con le medesime basi razionalistiche (l’ugua-glianza della natura umana in tutti gli individui), essi si differenziano nel concetto più specifico di natura uma-na: nella prima forma essa è intesa come egoista e sel-vaggia, e trova, nell’alienazione della liberta naturale nella “volontà generale”, una nuova forma di sicurezza e di libertà civile; la seconda, invece, si richiama al-l’«antica tradizione stoico-cristiana della scintilla divina immanente nell’anima dell’individuo umano» e attribui-sce all’individuo diritti inalienabili e una dignità morale a cui non può abdicare. Nell’una si forma la persona giuri-dica, nell’altra quella etica. L’idea di diritto di natura rappresenta allora, in questa tradizione, l’esigenza di un

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universale ideale morale, il dover essere che mai è soddi-sfatto di fronte al reale. E da questa rivendicazione parte il rifiuto della posizione di Hegel e di Rousseau, anche se riconosce che, in essi, è già presente un tentativo di forma-zione di personalità morale e non meramente giuridica32.

Responsabile della perdita delle esigenze giusnatu-ralistiche è stato lo storicismo ottocentesco: enfatizzò la concretezza storica degli “istituti” e trascurò la dimen-sione etica dell’individuo (in favore di quella giuridica). Ma così, esso ha perso l’originalità dell’individuo da-vanti alla forza politica e lo ha lasciato in suo potere. Così Antoni:

la dottrina del diritto di natura, proclama, contro il mero po-tere, contro la mera forza politica, l’esistenza di un valore o principio, che è appunto l’eticità della natura umana ed essa esi-ge che di questa si tenga conto come di un valore assoluto33. Naturalmente, qui nascono le perplessità. E vi ho

accennato sopra, ricordando le pagine di Bobbio sulle ambiguità della posizione storicistica e di quella giu-snaturalistica. Antoni segue invece la sua linea di criti-ca allo storicismo tedesco, relativistico, e tenta di sal-vare, forse troppo generosamente, quello crociano:

Lo storicismo crociano, proprio in quanto, a differenza di quello relativistico tedesco, asserisce l’identità dello spirito e dei suoi valori universali nella varietà delle opere, nella diversità degli stili, delle tradizioni, dei costumi, è fondamentalmente giusnatu-ralistico. Ma lo è in senso storico e dinamico, in quanto ammette la progressiva rivelazione e scoperta della ratio34.

32 Per quanto concerne il pensiero di Antoni su Rousseau, cfr. F.

Mattei, Il Rousseau di Carlo Antoni, in «Studi sulla Formazione», XVI (2013), 1, pp. 197-209.

33 Id., Il tempo e le idee, cit., p. 547. 34 Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 160.

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E per concludere, voglio accennare alle ultime le-zioni di Antoni. Nel corso universitario del ’56-’57 egli legge, in modo singolare, le Lezioni sulla filosofia della religione di Hegel, e vi torna ancora sopra in La reli-gione di Hegel, pubblicato lo stesso anno su «Pensie-ro». Non è un corso estemporaneo, giacché gli ultimi anni del suo insegnamento sono dedicati proprio al commento di quelle Vorlesungen. E tenta, cosa piuttosto insolita per l’interpretazione corrente, una lettura “perso-nalistica”35 di quello stesso Hegel sempre considerato padre del totalitarismo e dell’annullamento dell’indi-viduo.

Il tono è molto personale. La polemica con Hegel è attutita. Antoni sembra avvicinare il problema reli-gioso con particolare cura e acribia, fino a rileggere i ripensamenti hegeliani dopo i primi moti rivoluzionari del 1830 parigino. Si ha l’impressione di una coscienza più affinata e perplessa. In Hegel, egli dice, non è pos-sibile separare il momento teologico da quello storicisti-co. La consacrazione della storia è possibile soltanto in riferimento all’assoluto. E lo storicismo dialettico è chiamato a pensare questa unione. La sua razionalità si spiega e dispiega con la finale identificazione della storia con l’assoluto. E se la filosofia del diritto ha contribui-to a “finitizzare” la storia e la politica (e l’individuo che ne partecipa), la filosofia della religione è chiamata a re-stituirgli la sua universalità, in quanto teoria non più del cittadino o del suddito, ma dell’uomo. E così essa reintegra l’uomo nella sua “personalità piena”.

Con un movimento mistico negativo, non ignoto alla tradizione filosofica tedesca, Dio si annulla nell’Io, che

35 Dice Antoni: «Hegel dà qui un inatteso rilievo al concetto del-la personalità, di cui non c’è traccia nelle sue opere precedenti» (Il si-stema di Hegel, p. 182).

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si spoglia nella sua finitezza, per diventare pensiero universale e concretezza dell’Assoluto. Perciò dice An-toni: «L’ultima e piena realtà di Dio è l’Io in quanto per-sonalità»36. In esso Hegel raggiunge la vera realizza-zione dell’universale concreto.

Qui il finito e l’infinito si incontrano e coincidono: ciò che è nel tempo attinge il non temporale, l’assoluto. L’Io umano si identifica con l’Io divino. Ma se si libera dalla sua umana fi-nità, non perde la sua personalità, che è una cosa sola con l’Assoluto. Qui Hegel conclude, si può dire, il travaglio di tutta la sua vita risolvendo finalmente il problema dell’“alie-nazione” del soggetto di fronte al trascendente Oggetto, ri-solve il problema della libertà dell’uomo di fronte a Dio (...). La storia ha un senso e carattere sacro, ma il culmine, l’atto perfetto e supremo dell’assoluto nell’uomo, è la apoteosi sfol-gorante dell’Io; in quanto personalità religiosa37. Dio ha qui bisogno del mondo e con esso si ricon-

cilia. Ma qui il mondo è la coscienza dell’uomo. Conclusione aporetica? Potenza della dialettica?

Forse. Ma nonostante le critiche aperte e radicali alla dialettica hegeliana, è difficile affermare che egli non ne abbia subito il fascino38. Anche se, fino alla fine, vedrà l’esperienza filosofico-religiosa legata alla ten-sione e all’ulteriorità. E dunque, contraria alla conclu-sione del movimento dialettico, anche nella ritrovata identità dello Spirito nell’Io religioso.

Ciononostante, chiude le sue lezioni (e il suo Hegel) con una venatura non eticistica, non totalitaria, non as-sorbente. Con un riconoscimento non usuale alle ultime

36 Id., Il sistema di Hegel, Roma, la Sapienza, a.a. 1956-57, pp.

193-194. 37 Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 178. 38 Id., Considerazioni su Hegel e Marx, Napoli, Ricciardi, 1946,

pp. 1-20.

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pieghe hegeliane sull’eticità dello Stato e sulla perso-nalità. La prima, l’eticità dello Stato,

deve provenire dalla religione della totale libertà dell’Io. L’indi-viduo, quindi, deve ubbidire allo Stato, ma lo Stato deve avere per suo principio etico-religioso la libertà. Uno Stato che non obbedisca a questo principio, è un cattivo Stato, che ha una cat-tiva religione, cattive leggi, una cattiva costituzione39. La seconda, la coscienza della personalità, «libera,

autonoma, sovrana nella sua assolutezza, deve risultare superiore allo Stato»40.

Ma se così fosse, lo Hegel teorizzatore dello Stato etico avrebbe fatto qui (definitivamente) il suo tempo. Non so se per hegeliano pentimento, o per generosa er-meneutica antoniana.

39 Id., La religione di Hegel, cit., p. 196. 40 Ibidem.

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Riferimenti bibliografici Ricordo alcuni studi di Antoni. Per una bibliografia più am-

pia rinvio a F. Mattei, La dimensione etica tra storicismo e giusnatu-ralismo. Studio su C. Antoni, Roma, Anicia, 19992. Il problema estetico, Casella, Napoli 1924. Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, Sansoni, 1940, 19732. La lotta contro la ragione, Firenze, Sansoni, 1940. Considerazioni su Hegel e Marx, Napoli, Ricciardi, 1946. Lo storicismo da Hegel a Croce, a.a. 1948-49, Roma, 1949. La filosofia di Hegel, a.a. 1954-55, Roma, 1955. La teodicea di Hegel, a.a. 1955-56, Roma, 1956. Il sistema di Hegel, a.a. 1956-57, Roma, 1957. Lo storicismo, Torino-Roma, ERI, 1957. L’esistenzialismo, a.a. 1958-59, Roma, 1959 (ora in L’esistenziali-

smo di M. Heidegger, Napoli, Guida, 1972). La restaurazione del diritto di natura, Venezia, Neri Pozza, 1959. Gratitudine, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959. Chiose all’estetica, Roma, Opere nuove, 1960 (con presentazione-

ricordo di G. Calogero). Storicismo e antistoricismo, Napoli, Morano, 1964 (a cura di M.

Biscione, saggi che vanno dal 1931 al 1957). Il tempo e le idee, a cura di M. Biscione, Napoli, E.S.I., 1967 (in-

terventi apparsi su «Il Mondo»). Lezioni su Hegel. 1949-57, a cura di M. Biscione, Napoli, Biblio-

polis, 1989. Carteggio Croce-Antoni, a cura di M. Mustè, Bologna, il Mulino,

1996 (con Introduzione di G. Sasso).

Socrate né fu dispregiatore degli iddii patrij né introduttore di nuovi. Io mi sono spesse volte maravigliato per quali ragioni gli accusatori di Socrate persuasero agli Ateniesi lui essere alla città debitor della morte. Perché l’accusa contro di lui era quasi in questi termini concepita: Socrate offende la giustizia perché non ha per Dei quelli che la città per iddii riconosce, e nuovi altri numi introduce. Offende ancor la giustizia viziando la gioventù. Primieramente dunque che egli non ricono-scesse per Dei quelli che la città come tali rico-nosceva, di quale argomento si sono serviti mai? Perché chiaramente egli spesso in casa sua, spesso ancora sopra i comuni altari della città sacrificava, e apertamente si valeva della divinazione. [Senofonte, Dei Detti memorabili di Socrate, Libro I, capo 1, trad. di Michel-Angelo Giaco-melli pistoiese, Casa editrice M. Guigoni, 1876, con note e variazioni di A. Verri].