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NOVEMBRE 2017 Anno XXI Numero 223 www.avvenire.it Supplemento ad Avvenire del 26 novembre 2017 Poste Italiane Sped. in A.P. DL 353/2003 conv. L.46/2004, art.1,c., DCB Milano In collaborazione con il Movimento per la Vita “Amoris laetitia” solo in versione digitale € 2,99 www.avvenire.it E-book Alle radici della violenza «Se lui ti soffoca, liberati» CONVEGNO CAV 2017 ACCOLTE 30MILA DONNE 8 SU 10 SONO IMMIGRATE «Più gli dicevo di lasciarmi, più lui stringeva il cerchio. Gli chiedevo un poʼ di respiro, lui rispondeva con rabbia. Tutto è cominciato così...». Sono i racconti di ragazzine i cui primi rapporti dʼamore h anno avuto esito drammatico. Insensate tragedie, troppe negli ultimi anni, di cui si stanno occupando anche convegni e progetti educativi in ambito universitario. Obiettivo? Offrire ai giovanissimi dei nostri giorni gli strumenti per comprendere quando il legame diventa tanto stretto ed esclusivo da diventare patologico AMORIS LAETITIA COSCIENZA E NORMA CINQUANTA TEOLOGI A CONFRONTO ANZIANI ASSISTENZA A CASA PER I FAMILIARI AIUTI INSUFFICIENTI

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NOVEMBRE 2017Anno XXI

Numero 223

www.avvenire.it

Supplemento

ad Avvenire

del 26 novembre

2017

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A.P

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353

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In collaborazione con il Movimento per la Vita

“Amorislaetitia”solo in versione digitale

€ 2,99

www.avvenire.it

E-book

Alle radici della violenza«Se lui ti soffoca, liberati»

CONVEGNO CAV 2017

ACCOLTE 30MILA DONNE8 SU 10 SONO IMMIGRATE

«Più gli dicevo di lasciarmi, più lui stringeva il cerchio.Gli chiedevo un poʼ di respiro, lui rispondeva con

rabbia. Tutto è cominciato così...». Sono i racconti diragazzine i cui primi rapporti dʼamore h anno avutoesito drammatico. Insensate tragedie, troppe negli

ultimi anni, di cui si stanno occupando ancheconvegni e progetti educativi in ambito universitario.Obiettivo? Offrire ai giovanissimi dei nostri giorni glistrumenti per comprendere quando il legame diventatanto stretto ed esclusivo da diventare patologico

AMORIS LAETITIA

COSCIENZA E NORMACINQUANTA TEOLOGI A CONFRONTO

ANZIANI

ASSISTENZA A CASAPER I FAMILIARI

AIUTI INSUFFICIENTI

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on ho mai apprezzato lapolitica dei bonus e più

volte ho preso posizione controquesto impiego a spot del dena-ro pubblico. Ho criticato la mi-sura del bonus bebé quando fu in-trodotta, giudicando preferibiliinterventi di finanza pubblica cer-ti e stabili rispetto a quelli sem-pre incerti da rinnovare a sca-denza. Ciò malgrado, ho prova-to un istintivo moto di rabbia nelconstatare il mancato rifinanzia-mento del bonus bebé nella pros-

sima legge di bilancio. Una rab-bia cresciuta ulteriormente per-ché nella stessa legge di bilancionon vi è alcuna traccia dell’atte-sa svolta nelle politiche familia-ri. Nessun piano integrato di mi-sure strutturali. Nessuna inver-sione di tendenza, neanche dopola III Conferenza Nazionale sul-la Famiglia per un ambito, quel-lo della famiglia, rispetto al qua-le l’Italia resta il fanalino di co-da dell’Ue. In tema di famiglia,la legge di bilancio non esce dal-

la logica dell’assistenzialismo,prevedendo soltanto stanzia-menti per il reddito di inclusio-ne delle famiglie più povere, aparte il nuovo fondo di 100 mi-lioni per le politiche familiari. Sitratta di misure evidentementeinsufficienti per muovere un pas-so, anche timido, verso un fiscoa misura di famiglia e ancor me-no sufficienti per arrestare la ten-denza all’estinzione del nostropaese, afflitto dal dramma delladenatalità. Deplorevole poi che ilpoco che viene dato con una ma-no venga tolto con l’altra. Perso-nalmente non credo che una mi-sura del genere abbia potuto in-durre una coppia a mettere almondo dei figli. Per questo oc-correrebbero certezze sulle prov-videnze a lungo termine che loStato assicura alla famiglia perfarsi carico della crescita e l’e-

ducazione di un figlio. Questodovrebbe fare uno Stato convin-to che il bambino che nasce è undono per tutta la società. Il bonusbebé può però aver aiutato qual-che donna, rimasta incinta suomalgrado, a scegliere per la vita,a dare un futuro al figlio che por-ta in grembo. In fondo è quantoi Centri di Aiuto alla Vita fannoin Italia, sin dall’attivazione delProgetto Gemma nel 1994. Ognianno la fondazione Vita Novaraccoglie tra i 2-2,5 milioni dieuro, riuscendo ad assegnare cir-ca 800 Progetti Gemma ad al-trettante mamme in difficoltà. Sitratta di 160 euro al mese per 18mesi. Solo una carezza, ma suf-ficiente a dire alla donna in dif-ficoltà per la sua maternità: nonsei sola, la vita di tuo figlio è pre-ziosa anche per noi. Piccola co-sa, ma sufficiente per salvare u-

na vita. Male dunque che, in as-senza di interventi sistematici edi lungo periodo, lo Stato abbiarinunciato a darla questa carez-za, lasciando più sole le mammee sulle nostre deboli spalle ilcompito della solidarietà. Tantopiù necessario dunque che la fon-dazione Vita Nova possa incon-trare la generosità di molti. Conun progetto Gemma si salva unavita, anzi, se ne salvano due,quella del figlio sottratto allamorte e quella della madre sot-tratta alla disperazione per unascelta non voluta. Si avvicinail Natale. A Natale accogli laVita che nasce. Anche un pic-colo aiuto potrà essere utile(Progetto Gemma: Tel: 02-48702890; e-mail: [email protected] [email protected])

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N

EDITORIALE

LETTEREAL

POPOLODELLAVITA

Il fisco a misura di famiglia?Non pervenuto

Gian LuigiGigli

on c’è niente che addolora di più un credente che la sofferenza patitada qualche fratello nella fede preoccupato per le sorti della sua Chiesa.

Tutti abbiamo a cuore la Chiesa fondata da Gesù Cristo che ci ha donato laParola di Dio e i Sacramenti. Tutti crediamo che la Pietra sulla quale poggianon vacillerà, che le forze del male non prevarranno contro di essa. Per uncattolico la figura del Papa è fondamentale. Il Papa, non il Papa che mi piace,che dice quel che vorrei sentirmi dire, il Papa che asseconda le mie idee.Non si comprende il motivo per cui alcuni credenti temono che la Chiesavenga, come dire, "sciolta" nella società, smarrisca la sua missione se prestapiù attenzione ai problemi concreti degli uomini, si fa più vicina e intendedare risposte. La domanda è: più attenzione alla persona o alla dottrina?Atteggiamento più paterno e pastorale o più dogmatico e astratto? È tristeper me prete assistere impotente alla fine di un matrimonio celebratoqualche anno prima. La vita di coppia è difficile, lo è sempre stata, ma oggilo è in modo particolare. Sono cadute, infatti, quelle barriere protettive che lasocietà di un tempo ergeva a difesa della famiglia. Barriere, occorre dirlo consincerità, a volte un tantino ipocrite. Tante famiglie del passato, a cominciaredalla mia, sono rimaste unite solo per l’ eroismo, la santità di uno deigenitori, il più delle volte della mamma che ha subito, ha sopportato, hasofferto, ha ingoiato bocconi amari per amore dei figli e per l’impossibilità dipoterli sfamare se avesse abbandonato il tetto coniugale. Una persona che hasubito con dolore una separazione non ha la stessa colpa del coniuge che l’ha provocata, né tutti gli sposi avevano la consapevolezza del sacramentoche stavano celebrando quando salirono l’altare. E se, dopo gli anni dellasolitudine, una nuova gemma sboccerà sull’antico ramo dell’amore, comeaccoglierà la madre Chiesa questa sua figlia che ha tanto sofferto? Laignorerà, la condannerà o anche a lei allargherà le braccia? I fratelli e lesorelle omosessuali per secoli hanno dovuto nascondersi. Per paura, perdifendersi, per non diventare lo zimbello del paese. Hanno sofferto, hannopianto, sono stati derisi, umiliati, emarginati, mortificati. La società civile edi conseguenza anche la Chiesa hanno taciuto su di loro, hanno fatto fintache non esistessero. Non credo che sia stato un bene, primadell’orientamento sessuale viene l’uomo, l’uomo creato a immagine di Dio.L’uomo che è sempre mio fratello. L’uomo per il quale Gesù Cristo è morto.Oggi che il Papa li guarda negli occhi, stringe le loro mani, li riconoscefratelli, si mette in ascolto, dona loro speranza e invita noi credenti a fare lastessa cosa, non dovremmo gioire? Non ho mai visto una mamma cacciarefuori una figlia separata, un figlio omosessuale. Al contrario, quanto piùgrande fu il disagio, tanto più grande è il bisogno di sanarlo con l’amore.Papa Francesco vuole portarci su questa strada. Perché chi ha ricevuto di piùdeve donare di più. Senza paure, senza ipocrisie. Consapevole che «la farinadella giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà».

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LE RUBRICHE

SOM

MA

RIO

NOIn.

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nov

embr

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17

famiglia vita

5 AMORIS LAETITIAVangelo dellʼamoretra coscienza e diritto

Luciano Moia

24 DISABILIFragilità, terapiaper la speranza

Jean Marie Le Méné

27 ANALISIEutanasia, blabla bla

Gian Luigi Gigli

28 CONVEGNOCav, braccia apertealle immigrate

Viviana Daloiso

30 MATERNITÀIn sala partosenza dignità?

Enrico Busato

34 ETICADepressione e morteLegame da spezzare

Eugenio Borgna

6 AMORIS LAETITIAIl cardinale Müller:«Eucaristia possibile»

Luciano Moia

12 VIOLENZAMa poche le donneche denunciano

Paola Molteni

14 ANZIANIVicini ai nonnimeglio se in casaAnnalisa Guglielmino

18 WELFARETra figli e anzianiLe fatiche "di mezzo"Barbara Garavaglia

16 WELFAREIo, mamma caregiverda 30 anni sono sola

Annalisa Gugliemino

20 STORIEMalattia e cadutaDoppio “miracolo”

Edoardo Tincani

21 STORIEUn figlio per 7 oreLa gioia più grande

Irene Trentin

22 DISABILILa fede che renderisorse anche le ferite

Laura Capantini

19 MICROCOSMI 2.0 Diego Motta

31 CERCO FAMIGLIA Daniela Pozzoli

37 LA SALUTE NEL PIATTO Caterina e Giorgio Calabrese

39 LETTI PER VOI

39 QUELLO CHE I VOSTRI FIGLI NON DICONO Roberta Vinerba

8 HUMANAE VITAELʼenciciclatra radici e futuro

Emilia Palladino

MaurizioPatriciello

La Chiesa è madreche abbracciatutte le fragilità

10 VIOLENZASe lʼamoresoffoca la libertà

Viviana Daloiso

32 MEDICIAppello mondiale«No allʼeutanasia»

Antonio G.Spagnolo

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novembre 2017 5NOI famiglia vitaChiesa e famiglia. Cosa cambia?

Quale postoper l̓ amoretra normae coscienza?

opo le due edizioni del maggio edell’ottobre 2016, l’Ufficio

nazionale Cei per la pastorale dellafamiglia ha proposto sabato 11novembre la terza edizione del Simposiosu Amoris laetitia. Una sessantina diteologi e di esperti di scienze umane aconfronto su un tema di grande interessee altrettanta complessità, "Il Vangelodell’amore tra norma e coscienza".Sintetico ma profondo nei suoiriferimenti evangelici e nel suo profilopastorale il videomessaggio del Papa (sipuò guardare sul nostro sito) che haaperto il confronto. Di grande spessore ledue relazioni principali, quella di padreManuel Jesus Arroba Conde e dimonsignor Giuseppe Lorizio, che hannoofferti spunti per i lavori di gruppo. Itempi di impaginazione e di chiusuranon ci consentono in questo numerospazi maggiori. Ne pubblicheremo ampistralci su "Noi" di dicembre (in edicolacon Avvenire domenica 17). Grandeconcretezza nei cinque laboratori chehanno calato il problema del rapportocoscienza-norma in altrettanti casi di vitavissuta (anche di questi daremo contocon ampiezza sul prossimo numero). Insomma, tanti davvero gli spunti e leriflessioni di grande interesse che fannocapire come l’Esortazione postsinodalesulla famiglia racchiuda una ricchezzae una varietà di argomenti tali da nonpoter essere esaurita in poche battute. La sintesi più efficace di tutta lagiornata potrebbe essere ricercata indue battute. La prima è uno scambiotra la teologa Iva Siviglia e il cardinaleGualtiero Bassetti, presidente dellaCei. La seconda è arrivata al terminedella giornata, nelle conclusionitracciate dal vescovo Pietro MariaFragnelli, presidente dellaCommissione episcopale per lafamiglia, la vita, i giovani. Prima situazione. Al termine dellamattinata, ultimata la parte riservata alledue relazioni-guida, si è aperto tra gliesperti un dibattito davvero denso. Tragli altri hanno preso la parola teologimorali dello spessore di don AntonioAutiero, don Antonio Repole, canonisticome padre Gianfranco Ghirlanda e tantialtri per offrire spunti di riflessione aquestioni di grande complessità: piùimportante il bene legato alla coscienza oquello legato alla norma? E come siinserisce in questo binomio ildiscernimento? Possibile che l’eserciziodel discernimento renda accettabile perla coscienza ciò che la norma noncomprende? E qual è la gerarchia deldiscernimento alla luce della coscienza?E quando è una coppia ad avviarsiinsieme sulla strada impervia dellariflessione profonda – ne ha parlatoFlavia Marcacci – come armonizzare lediverse sensibilità delle due coscienze?Poi è intervenuta Ina Siviglia, docente diantropologia teologica a Palermo, che hariassunto la questione con uno slogan digrande efficacia: «La pastorale senza

teologia è "pastorizia", la teologia senzapastorale è astrattezza». A lei il cardinaleGualtiero Bassetti, che aveva aperto ilavori con un breve ma inteso contributo– anche questo testo troverà spaziointegralmente sulnumero didicembre –, hariservato l’unico"brava" a scenaaperta. Come asottolinearel’esigenza di unavia mediana tra lediverse posizioni.Teologia epastorale, comecoscienza e norma,puntano sempre al bene della persona edella coppia. E devono stare insieme. Lacoscienza ha bisogno della norma pertenersi al riparo dal soggettivismo e lanorma non può fare a meno dellacoscienza per evitare di esprimere il benein modo passivo, con disposizionigenerali che ignorano la varietà e lacomplessità delle situazioni. Il secondo spunto fulminante, comedetto, è arrivato dal vescovo Fragnelli:«Ragionando su coscienza e norma allafine abbiamo recuperato il Vangelodell’amore. Dal bene fondante siamoarrivati al bene possibile». Un modo di

esprimere in termini efficacissimi laconcretezza di Amoris laetitia, che sisforza in ogni pagina di mettere da parteinutili astrazioni per arrivare sempre aindicare ciò che è opportuno permodulare al meglio la vita concreta dellepersone, a cominciare dalle relazionifamiliari. Non ignora che esiste untraguardo ideale – il "bene fondante" – acui occorre tendere anche nella vitamatrimoniale. Ma nel lungo cammino difede che ci vede tutti incerti e arrancanti,il "bene possibile" è cioè che ci èconsentito in quel particolare momento,nelle nostre condizioni di vita,scegliendo al di là dei nostri limiti ilVangelo dell’amore. Un modo anche –come ha fatto notare don Paolo Gentili,direttore dell’Ufficio Cei per la pastoraledella famiglia – per "restituire" alpopolo, da cui è nata, Amoris laetitia.All’origine dell’Esortazione postsinodalec’è stata infatti una doppia consultazionedi popolo – in Italia vi hanno preso parte158 diocesi nella prima indagine e 144nella seconda – oltre alle due relatio-synodi e al confronto tra i padri sinodali,«che hanno prodotto nelle Chiese d’Italiaun oceano di iniziative e un vero fiumedi Grazia. L’Amoris Laetitia è tornata alpopolo – ha fatto sottolineato – perché ènata dal popolo».

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Il video messaggio del Papa,le parole del cardinaleBassetti, le relazioni di

Arroba Conde e di Lorizio, i lavori dei laboratori. Tappe

del terzo Simposio Cei suAmoris laetitia, sul percorso

del "bene possibile"

DLuciano

Moia

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ono stati numerosi in questi mesi gliinterventi del prefetto emerito della

Congregazione per la dottrina della fede,Gerhard Ludwing Müller, su Amoris laetitia.Dichiarazioni, interviste, brevi risposte a mar-gine di convegni spesso dedicati ad altri temi.Difficile però, alla luce delle diverse sfuma-ture che connotavano i suoi interventi, capirecome il teologo di origini tedesche la pensas-se davvero. Una complicazione accresciutadal fatto che la maggior parte delle dichiara-zioni sono state rese in tedesco, con tradu-zioni non sempre fedeli all’originale, abil-mente sbilanciate talvolta pro e talvolta con-tro Amoris laetitia. Così si è rafforzata l’opi-nione secondo cui la mancata riconferma diMüller al vertice dell’ex Santo Uffizio fosselegata anche alle sue critiche – vere o presunte– all’Esortazione postsinodale e alla sua im-postazione apparentemente negativa verso leaperture del documento di Francesco nei con-fronti della possibilità di riammettere ai sa-cramenti, a determinate condizioni, i divorziatirisposati. Ebbene, non era così. Amoris laeti-tia sembra non avere alcun collegamento conla decisione del Papa di sostituire il cardina-le tedesco con l’arcivescovo spagnolo LuisFrancisco Ladaria Ferrer, già numero due deldicastero vaticano. Il motivo è evidente: Müller è del tutto con-vinto che l’Esortazione postsinodale sia pie-namente ortodossa, in linea con la dottrinae con la tradizione della Chiesa. Lo scrivelui stesso e ne argomenta le ragioni, in unampio saggio introduttivo (circa 30 pagine)al libro del filosofo Rocco Buttiglione, Ri-sposte amichevoli ai critici di Amoris laeti-tia (Ares, pagg.208, euro 14) arrivato in li-breria da un paio di settimane. Il titolo dell’intervento ne rivela pienamen-te obiettivi e contenuti: “Perché Amoris lae-titia può e dev’essere intesa in senso orto-dosso”. Esplicita la tesi fondamentale: «A-moris laetitia non implica nessuna svoltamagisteriale verso un’etica della situazionee quindi nessuna contraddizione con l’enci-clica Veritatis splendor di Giovanni Paolo

II». Müller dichiara in questo modo di ri-spondere anche ai Dubia a proposito dell’e-sistenza di norme morali assolute alle qua-li non si dà nessuna eccezione. E ancora: «Èevidente che Amoris laetitia (artt.300-305)non insegna e non propone di credere in mo-do vincolante che il cristiano in una condi-zione di peccato mortale attuale e abitualepossa ricevere l’assoluzione e la Comunio-ne senza pentirsi per i suoi peccati e senzaformulare il proposito di non peccare più incontrasto con quanto dicono Familiaris con-sortio (art.84), Reconciliatio et Paenitentia(art.34) e Sacramentum Caritatis (art.29)». È possibile quindi cogliere – spiega il cardi-nale – una linea coerente tra l’Esortazione po-stsinodale di papa Francesco e i documentimagisteriali che in precedenza hanno affron-tato lo stesso tema. La dottrina quindi non cambia, anche se nonbisogna cadere nell’errore, come ricorda sanTommaso, di pensare che l’atto di fede abbiail suo compimento finale nell’enunciato e nonnel contenuto. Sbagliato quindi, ammette Mül-ler in linea con Amoris laetitia, l’applicazio-ne di dottrine dogmatiche alla situazione con-creta di ogni uomo. Quindi anche dei divor-ziati risposati che desiderano tornare all’ab-braccio con la Chiesa. Soprattutto di coloroche, in coscienza, sono convinti che il loroprecedente legame non fosse valido come sa-cramento, mentre l’attuale unione «sia un au-tentico matrimonio davanti a Dio». In que-sti casi, spiega Müller: «è possibile che latensione che qui si verifica tra status pub-blico/oggettivo del “secondo” matrimo-nio e la colpa soggettiva possa aprire, nel-la condizioni descritte, la via al sacra-mento della penitenza e alla santa Comu-nione, passando attraverso un discerni-mento pastorale in foro interno». E, qualche riga dopo a proposito della famo-sa nota 351: «Se il secondo legame fosse va-lido davanti a Dio, i rapporti matrimoniali deidue partner non costituirebbero nessun pec-cato grave ma piuttosto una trasgressione con-tro l’ordine pubblico ecclesiastico, quindi unpeccato lieve». Un ragionamento serrato, insomma, e la con-vinzione che le analisi approfondite di Roc-

co Buttiglione spiegate nel libro «aprono por-te e costruiscono ponti verso i critici di A-moris laetitia e aiutano a superare i loro dub-bi dall’interno». Un obiettivo per cui non

ino a ieri la Chiesa escludeva i divorziati risposati dallapossibilità di ricevere il sacramento dell’Eucaristia anche

nel caso in cui per ipotesi il confessore avesse dato lorol’assoluzione riconoscendo che essi non erano inpeccato mortale a causa di attenuanti o esimentisoggettive». E oggi, cosa cambia se è vero che lateologia del matrimonio indissolubile è sempre lastessa? È la domanda che accompagna lungo oltre 200pagine il testo che raccoglie, oltre al saggio introduttivodel cardinale Gerhard Ludwing Müller, prefetto emeritodella Congregazione per la dottrina della fede, anche trelunghi articoli del filosofo Rocco Buttiglione, oltre alla"Guida per i perplessi", già pubblicata con il medesimo titolo inTerapia dell’amore ferito in «Amoris Laetitia» (Ares)scritto dallostesso Buttiglione insieme al cardinale Ennio Antonelli. Ma allora

cosa cambia secondo Buttiglione: «I divorziati risposati vengonoammessi non alla Comunione, ma alla confessione. Nelconfessionale potranno dire le loro circostanze attenuanti e, se il

confessore le riterrà sufficienti darà loro l’assoluzione eprescriverà loro una penitenza. Prima vigeva un divietodi ascoltare le loro ragioni. Erano, diciamo così,peccatori speciali. Adesso sono peccatori ordinari chevengono trattati come tutti gli altri peccatori. Questa è lanovità di questo documento, una novità certamente nonteologica ma disciplinare. Si può essere d’accordo o nond’accordo; si può considerare questa innovazioneopportuna o inopportuna ma non si può vedere in essa

una eresia perché non altera nulla né della teologia del matrimonioné della teologia del sacramento».

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SLuciano

Moia

novembre 2017

NOI6

famiglia vita L’Esortazione postsinodale

Buttiglione: dottrina e sacramento non vengono alterati

La svolta delcardinale Müller:

possibile per i divorziati

risposati «la via al

sacramentodella penitenza

e alla santaComunione,

passandoattraverso

un discernimentopastorale in

foro interno»

«Amoris laetitia è nel solco

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servono «reciproci rimproveri e sospetti».Ma è davvero importante il saggio scrittoda Müller?Non solo importante, ma fondamentale. Cidice innanzi tutto che ritenere che questo pon-tificato sia fuori o contro la tradizione è im-morale, per il semplice fatto che ad avanzaretale interpretazione sono persone teologica-mente colte o che si ritengono tali. Al contra-rio – osserva monsignor Giuseppe Lorizio,docente di teologia fondamentale all’Univer-sità Lateranense, membro del Comitato na-zionale per gli Studi superiori di teologia e diScienze religiose della Cei – è dentro la tra-dizione, che è dinamica perché è la vita stes-sa della Chiesa. E la vita, come diceva il car-dinale Newman, si sviluppa secondo un per-corso coerente.È d’accordo sulla linea retta che il cardi-nale tedesco traccia tra l’Esortazione po-stsinodale di Francesco e il magistero pre-cedente? Certo, c’è continuità tra Amoris laetitia, Fa-miliaris consortio e addirittura il Concilio di

Trento. Perché già a Trento si dice che il giu-stificato può mettere in pratica la legge di Dioper quanto lo consenta la condizione umana.E quindi c’è un’apertura alla situazione uma-na che ci vede particolarmente attenti rispet-to alle fragilità che tutti presentiamo. Quali le motivazioni più importanti ad-dotte da Müller per spiegare la possibilitàper i divorziati risposati di accedere al-l’Eucaristia? Argomenta che la persona, in coscienza, puòavere la certezza che il proprio precedentematrimonio sia nullo, anche se non ha il mo-do per dimostrarlo sul piano giuridico. In quelcaso i rapporti coniugali nell’attuale situazio-ne non sarebbero contro la legge divina, masemplicemente, contro la disciplina ecclesia-stica. Quindi peccati quasi “veniali”. Lui ri-corre all’aggettivo "lieve" ma il significato èquesto.In più punti Müller ammette la possibilitàper il divorziato risposato “pentito” di ac-cedere al sacramento della penitenza, ot-tenere il perdono e ricevere l’Eucarestia.

Come va letto questo invito al pentimento? Come la scelta di riconoscere la propria fra-gilità. Una persona che si trova con un matri-monio distrutto, fallito, o magari anche nul-lo non può non riconoscere il fatto che, inuna scelta fondamentale della sua esisten-

za, ha commesso un erroregrave. E quindi questo rico-noscimento è il punto di par-tenza per il pentimento. At-traverso un atto di contrizio-ne perfetta può accedere al-l’Eucarestia. E questo è undato che si inserisce perfetta-mente nella tradizione.C’è un passaggio in cui, ri-flettendo sul punto 305 e inparticolare sulla nota 351, ilprefetto emerito imputa ad"Amoris laetitia" una certamancanza di chiarezza perquanto riguarda "l’argo-mentazione teologica". Èproprio così?

Dobbiamo riconoscere che l’Esortazione po-stsinodale non è un trattato di teologia. Più chemancanza di chiarezza parlerei di incompiu-tezza che ora spetta ai teologi colmare, comedel resto lo stesso papa Francesco sollecitaall’inizio di Amoris laetitia. Abbiamo il do-vere di continuare a riflettere, nelle diversescuole scuole teologiche e con vari approcci,ma sempre nel rispetto reciproco. Accusare dimodernismo e di luteranesimo, come abbia-mo sentito in questi mesi da parte di alcuni,coloro che accolgono positivamente il docu-mento del Papa, anche da punti di vista diversi,significa essere in malafede.A proposito dell’affermazione secondo cuil’Eucarestia non è «un premio per i per-fetti», Müller spiega che essa però non a-pre affatto, per coloro che si trovino in u-na condizione di peccato grave, la via del-la Comunione sacramentale. Cosa signifi-ca? Non è vero allora che, come si legge inAmoris laetitia, «è un generoso rimedio peri deboli»? È chiaro, si dice che l’Eucarestia non è unpremio per coloro che conducono una vi-ta perfetta ma è anche sostegno per la fra-gilità. E quando parliamo di fragilità nonci riferiamo al peccatore incallito (pecca-to grave) che comunque ritiene di esserenel giusto. La persona che si riconosce fra-gile – nel nostro caso un divorziato rispo-sato che cerca la sua strada per essere rein-tegrato nella Chiesa – ammette di averebisogno anche del sostegno dei sacramen-ti per andare avanti nel processo della gra-zia e nella vita cristiana. Non dimenti-chiamo che la grazia è un percorso, non u-no stato acquisito per sempre, come giàspiegato dal concilio di Trento nel decre-to sulla giustificazione. E infatti Müller di-ce che i sacramenti si possono ricevere inmodo efficace solo se "non si chiude allagrazia attraverso il peccato". Cioè solo senon ci si convince di essere comunque nelgiusto e di essere autosufficienti.

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Il teologo donGiuseppe Lorizio: se lapersona, in coscienza,può avere la certezzache il proprioprecedentematrimonio sia nullo, irapporti coniugali nonsarebbero contro lalegge divina, masemplicemente,contro la disciplinaecclesiastica

Il cardinaleGerhardLudwing MüllerA sinistra "La famiglia",dipinto di TullioGarbari (1931,CollezioneIannaccone)

novembre 2017 7NOI famiglia vita L’Esortazione postsinodale

della tradizione della Chiesa»

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amiglia e generazione cin-quant’anni dopo l’Humanae vi-

tae. Una riflessione urgente. Un contri-buto fondamentale per la società dei no-stri giorni. È il senso dell’iniziativa or-ganizzata dalla Facoltà di Scienze socia-li e dal Dipartimento di Teologia moraledella Pontificia Università Gregoriana. Sitratta di un corso pubblico, costituito dauna serie di conferenze mensili che si ten-gono di giovedì, dalle 17 alle 18.30. Laprima conferenza si è tenuta giovedì 19ottobre, la seconda (vedi box a fondo pa-gina) giovedì 16 novembre. Con questacadenza si andrà avanti fino al maggio2018. "Il cammino della famiglia a cin-quant’anni da Humanae Vitae", questo iltitolo della proposta, intende celebrare inmodo degno e riconoscente – proprio inquanto Università Pontifi-cia – l’anniversario dellapubblicazione, il 25 luglio1968, dell’enciclica di Pao-lo VI (qui il programma:www.unigre.it/Univ/even-ti/eventi_it.php). Questocorso è anche parte inte-grante della formazioneproposta nel Diploma inTeologia pratica con spe-cializzazione in Pastoralefamiliare, che già da tre anni è offerto inGregoriana. L’iniziativa inoltre segue u-no schema collaudato e con un buon ri-scontro di pubblico: la proposta di ciclidi conferenze aperte a tutti su un temaspecifico, che coinvolge nel dialogo cul-turale docenti esperti della materia tantointerni, quanto esterni, di altri Istituti teo-logici o di Università statali e laiche. Va detto che il ricordo degli anniversaridei documenti magisteriali è usato a vol-te anche dallo stesso Magistero come oc-casione di riflessione e approfondimen-to. A titolo di esempio, l’enciclica RerumNovarum di Leone XIII (15 maggio 1891)è stata ricordata da Pio XI nella Quadra-gesimo Anno (1931), da Pio XII nel Ra-

diomessaggio per il 50° anniversario(1941), da Giovanni XXIII nella Mater etMagistra (1961), da Paolo VI nell’Octo-gesima Adveniens (1971), da GiovanniPaolo II nella Centesimus Annus (1991).Inoltre, il passaggio dei cinquant’anni dalConcilio Vaticano II (1962-1965) è statooccasione di numerose iniziative eccle-siali, anche simboliche: si ricorderà, adesempio, che la Porta Santa dell’Annodella Misericordia è stata aperta il 7 di-cembre 2015, proprio cinquant’anni do-po il giorno in cui Paolo VI chiuse il Con-cilio, il 7 dicembre 1965.La Chiesa è mossa dalla convinzione cheil bene di tutti passi dal ricordare che lasua voce accompagna la storia, che que-sta può condurre l’umanità lungo stradeche in passato non si sarebbero potuteprevedere e che i bisogni concreti dei po-poli richiedono che tali strade siano co-nosciute e ulteriormente spiegate, per nonlasciare gli uomini e le donne di oggi pri-ve di guida, sostegno e orientamenti nel-la vita di tutti i giorni.In questa dinamica, che richiama sia ilprincipio di Incarnazione, sia il discepo-lato cristiano, un ruolo fondamentale loricoprono i luoghi dove si studia, si ri-flette, si osserva e si cerca di servire laChiesa e il mondo proponendo, discu-tendo, aprendo prospettive, arricchendomente e cuore, come appunto sono le i-stituzioni accademiche. In una sinergiacomune di ruoli e funzioni, guai a pri-varsi di chi studia, di chi è disposto a pie-garsi e a rischiare per conoscere, così co-me guai a privarsi di chi educa, di chi ge-nera, di chi amministra, di chi difende, dichi costruisce, di chi comunica, di chiscopre, di chi imprende, di chi lavora, dichi vigila, etc. Il motivo di fondo per cui i cinquant’an-ni dall’Humanae Vitae è celebrato in Gre-goriana con un corso pubblico è quindievidente: servire la Chiesa e tutti gli uo-mini e le donne di oggi con un contribu-to interdisciplinare e sinergico – già benrodato da alcuni docenti del Diploma inpastorale familiare – che sfida l’approc-cio classico che viaggia sul binario uni-

co della propria disciplina e propone in-vece un dialogo non scontato, ma stimo-lante, fra scienze differenti, proposte cul-turali diversificate, orientamenti eteroge-nei. Questo sforzo, intellettuale e cultu-rale, pare quanto mai necessario in unmondo in continua trasformazione, mul-

Non si tratta di decidere se

lʼenciclica di Paolo VIsia "vecchia" o "nuova",

ma riflettere in modosereno sulle

trasformazioni diquesti decenni

’Humanae vitae rappresenta uno spartiacque fondamentale nelrapporto tra la Chiesa e la famiglia. In un’epoca di grandi

trasformazioni come il ’68, l’enciclica di Paolo VI, sollecitògrandi speranze ma produsse anche grandi delusioni. Nei mesisuccessivi alla pubblicazione, furono decine le Conferenzeepiscopali nazionali che presero posizione con documentiinterpretativi molto spesso più possibilisti rispetto alla "via stretta"indicata da Humanae vitae per quanto riguarda la regolazionedelle nascite. Ma non solo. Furono numerosi i teologi che scelserouna posizione critica e decisero di farsi da parte. Ma ancora piùnumerose le coppie che vissero con difficoltà quelle norme. Unafrattura tra le indicazioni del magistero e la vita reale dellefamiglie che non è più sanata. Ecco perché tornare a riflettere suitemi di Humanae vitae alla luce delle trasformazioni di questi 50

anni è giusto e doveroso. Il percorso proposto dalla PontificiaUniversità Gregoriana va proprio in questa direzione. Dopo ilprimo appuntamento dello scorso 19 ottobre – a cui accennaEmilia Palladino nell’articolo qui sopra – giovedì 16 novembre èintervenuta Mariagrazia Contini, del Dipartimento di Scienzedell’educazione dell’Università di Bologna su "Relazioni dicoppia e famiglie: disincanto, resistenze e speranze". La replica èaffidata a padre Miguel Yanez, direttore del Diparimento diteologia morale della Gregoriana. Daremo conto delle riflessioniemerse sul numero di dicembre di "Noi". Il corso proseguirà poigiovedì 14 dicembre con l’intervento di don Maurizio Chiodi,docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’ItaliaSettentrionale, su uno degli snodi più interessanti e delicati dellaquestione: "Rileggere Humanae vitae a partire da Amoris laetitia".

L

FEmilia

Palladino*

novembre 2017

NOI8

famiglia vita A 50 anni dall’Humanae vitae

Un percorso di riflessione che proseguirà fino a maggio 2018

Amore e vita al tempo di papa

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tiforme, faticoso, spesso dilaniato dallesue profonde differenze, sociali, cultura-li, economiche, politiche, antropologi-che, che segnano una globalità inevitabi-le, a tratti entusiasmante, ma anche in nonpochi casi molto sofferta. Tanto più que-sto è vero se la riflessione converge su al-cuni tra i temi più complessi e delicatidegli ultimi anni, quello della famiglia,delle relazioni di coppia, della decisionedi generare e di come crescere nella re-lazione intergenerazionale, tutti ben pre-senti al cuore del Magistero. Tra i docu-menti più noti dell’ultimo secolo si ri-cordano la Casti connubi di Pio XI(1930), il Messaggio di Pio XII (1958),la Gaudium et spes del Concilio Vatica-no II (1965) l’Humanae Vitae appunto, laFamiliaris Consortio di Giovanni PaoloII (1981) e l’Amoris Laetitia di France-sco (2016).L’iniziativa delle conferenze sull’Huma-nae Vitae non intende affatto stabilire sel’enciclica paolina sia "vecchia" o "gio-vane", del resto non è lecito nemmeno im-maginare di usare questi termini. Semmai

intende rendere onore allo sforzo di Pao-lo VI, utilizzando proprio i temi centralidel suo documento come una griglia diriflessione, su cui poi inserire una visio-ne, dialogica e critica a un tempo, dei cin-quant’anni appena trascorsi. Non potràinfatti sfuggire che il ’68 ha aperto una sta-gione prima inimmaginabile, che ha por-tato con sé fermento e instabilità, auto-nomia e incertezza – così come detto daStella Morra, del Dipartimento di teolo-gia fondamentale della Pontificia Uni-versità Gregoriana, nella prima relazionedel 19 ottobre – in un continuo rincorrer-si di sinonimi e contrari, che hanno ca-ratterizzato l’evoluzione del pensiero edella prassi politica, culturale e sociale,soprattutto europea, degli anni a venire.La famiglia di "ieri" non è quella di "og-gi"; se non altro in Occidente, una certaforma di famiglia, di società e di Chie-sa è entrata in crisi. L’esercizio dell’au-torità si accompagna necessariamenteall’autorevolezza, l’educazione dei figliad una loro forte auto-determinazione, lasolidità dell’istituzione familiare ad un

contenuto affettivo che non può più pas-sare in secondo piano. Gli studiosi, in-fatti, parlano da circa vent’anni di "fa-miglie", racchiudendo in questo termi-ne al plurale promesse e difficoltà diun’istituzione basilare per l’uomo e ladonna di oggi e di ieri.Cinquant’anni fa era inimmaginabile losviluppo scientifico e tecnologico suc-

cessivo, la sua ricaduta sul-le tecniche per la fertilità ele importantissime doman-de etiche ad esso connesse,anch’esse impensabili al-l’epoca.L’Humanae Vitae parla e-splicitamente della neces-sità di politiche in favoredella famiglia; dopo cin-quant’anni, in molti Paesidel mondo (anche in Italia)

ancora non si riescono (o non si voglio-no) trovare strategie politiche, sociali edeconomiche che favoriscano le famigliee il loro formarsi.Il fenomeno migratorio cinquant’anni fanon aveva la dimensione e la portata diquello di oggi. Nessuno poteva immagi-nare l’impatto che la commistione di po-poli e culture avrebbe avuto sulla convi-venza e sulle famiglie; oggi dobbiamo in-vece farci i conti, in una dimensione ac-cogliente che rispecchi la cultura vissutadella parabola del buon samaritano.Cinquant’anni fa la crescita economicasembrava essere sufficiente a garantire ilbene di ciascuno; oggi le famiglie pove-re sono una realtà drammatica in moltiPaesi del mondo e le risorse per tutti so-no nelle mani di pochi. Ieri la famiglia a-veva "desideri", oggi per la gran parte ha"bisogni", come giustamente ricordava ilGiuseppe Bonfrate – del Dipartimento di

teologia dogmatica dellaPontificia Università Gre-goriana – nella seconda re-lazione del 19 ottobre.L’anniversario dell’Huma-nae Vitae chiede di con-frontarsi con il presente econ il passato, con la Chie-sa in uscita di papa Fran-cesco, con la conversionedi chi crede, con il futurodelle ultime generazioni,riconoscendo l’odiernadifficoltà della trasmissio-

ne dei valori, la cui tutela il Magisteroassume per servire la realizzazione diquei desideri più profondi e umaniz-zanti, che nella società tecnologica ri-schiano di perdere rilevanza e signifi-catività. A questo il corso pubblico of-ferto in Gregoriana prova ad offrire uncontributo di approfondimento e rifles-sione che sia significativo e utile, macertamente non risolutivo e completo.

*Facolta di Scienze sociali,Pontificia Università Gregoriana, Roma

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Lʼanniversario del documentorappresenta unospunto importanteper inquadrare le dinamiche coniugalinelle questionifondamentalidella società di oggi

Non possiamoignorare le profondetrasformazioni vissutedalle famiglie in questidecenni con il passaggio dai"desideri" ai "bisogni"

Emilia Palladino(Pontificia UniversitàGregoriana)

novembre 2017 9NOI famiglia vita A 50 anni dall’Humanae vitae

Francesco. Le radici e il futuro

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a dove inizio? È successo tutto co-sì in fretta. All’inizio mi sembrava

una favola.... Claudia ha 15 anni appena, Fi-lippo tre in più. È un amico di suo fratello.«Credevo che nemmeno mi vedesse. E in-vece un giorno mi ha chiesto di andare alcinema. La serata più bella della mia vita.Tutto il tempo abbracciati, primo bacio».Eccolo, l’amore adolescente che nasce: mil-le chiamate al giorno, mille messaggi, «ioero così contenta. Mi dicevo “non gli bastomai!”. Mi sembrava impossibile che non sistufasse di me».Claudia sta talmente bene con Filippo, e Fi-lippo con Claudia, che piano piano inizia-no ad uscire sempre da soli. «Mi diceva chenon avevamo bisogno di nessun altro. E ioall’inizio credevo avesse ragione lui. Mi fa-ceva sentire come una principessa». Ma poiClaudia comincia a sentire il desiderio di a-vere spazi suoi. Poter parlare con le amichesenza averlo sempre vicino. E qui comin-ciano i problemi. Comincia, quasi imper-cettibile, la violenza. Clau-dia la vede appena, ma nonsa come chiamarla, è trop-po piccola: «Lui sembravaproprio non sentire quelloche gli dicevo. Sembravache più gli dicevo di la-sciarmi un po’ di spazio,più lui stringeva ancora dipiù il cerchio attorno ame». Filippo cambia. Ini-zia a controllare il telefo-nino di Claudia, la chia-ma di notte, le impediscedi uscire con altre perso-ne, vuole addirittura scegliere gli indu-menti che indossa: «Ho iniziato a sentir-mi sempre peggio. Provavo a spiegargliche non stavo bene, ma lui sembrava noncapire e cominciava ad avere sempre piùfrequenti reazioni molto forti di rabbia.Ho cominciato ad avere paura».Prima degli insulti, prima delle botte e deifemminicidi, c’è l’ombra drammatica del-la teen dating violence. Gli esperti la chia-mano così, la storia di Claudia: è quella del-la violenza nelle coppiette di adolescenti,quella che sboccia indisturbata e inosser-vata sui banchi di scuola, alle feste di com-pleanno, sulle spiagge d’estate, mentremamme e papà chiacchierano sotto l’om-brellone. Bravi ragazzi che incontrano bra-ve ragazze, è sempre successo, eppure inquasi la metà di questi rapporti ora si sco-pre che c’è già qualcosa che non funziona.Il possesso, la sottomissione. Il carnefice,la vittima.In Italia il fenomeno esiste, ha già consu-mato persino le sue insensate tragedie: Noe-mi, uccisa a 16 anni a Specchia dal fidan-zatino qualche mese fa; Fabiana, bruciata vi-va nel 2014, sempre a 16 anni, sempre dalsuo grande amore. Ad occuparsene c’è un’é-quipe di giovani psicologhe dell’Università

di Trieste, guidate dalla veterana PatriziaRomito. Che sul dramma delle “piccole”donne ha svolto – sola nel nostro Paese –uno studio a campione, in Friuli VeneziaGiulia: 700 gli studenti dell’ultimo anno disuperiori intervistati, decine i gruppi di a-scolto e di dibattito organizzati. Risultato:più di una ragazza su dieci, molto primadella maggiore età e per di più al di fuori diparticolari contesti di disagio sociale, ha giàvissuto esperienze di violenza nella coppia.Controllo, ossessione, rapporti sessuali for-zati persino «perché sei la mia ragazza, melo devi». Una drammatica normalità.Di più: il 16% delle intervistate friulaneha subito «gravi e ripetute violenze psi-cologiche o persistenti comportamenti didominazione e controllo», il 14% addirit-tura «violenze o molestie sessuali». E suquesti dati si inserisce, con tutta la suaportata di ulteriore violenza, il cyberbul-lismo: che proprio nelle ex fidanzatine tro-va un bersaglio facilissimo e che già dai10 anni comincia a mietere le sue piccolevittime, poco più che bambine.«Ci si fa male, e proprio in quelle prime di-

namiche relazionali capa-ci poi di condizionare i mo-delli comportamentali pertutta la vita – spiega LuciaBeltramini, tra le respon-sabili della ricerca –. L’a-spetto più grave che abbia-mo riscontrato è poi che aqueste prime violenze sicollegano problemi fisici:disturbi alimentari, esauri-menti nervosi, ansie e for-me di stress precoci». Leragazze, proprio comeClaudia, raccontano di non

aver capito all’inizio perché si sentivanomale, perché non volevano più magiare, o– in altri casi – perché il sabato sera co-minciavano a bere senza misura, persino adassumere sostanze. La spirale della violen-za che, negli adolescenti, tutto risucchia etutto solleva: i disturbi patologici, le di-pendenze, nei casi più estremi persino l’au-tolesionismo.L’esperienza di Trieste non si è fermata al-la raccolta dei dati. Nel corso degli anni lepsicologhe dell’università hanno raccoltotestimonianze e affrontato quanto emerso infase di test con colloqui individuali e digruppo nelle scuole «scoprendo che queicomportamenti in moltissimi casi non sononemmeno considerati come violenze – con-tinua la psicologa –: i ragazzi spesso nonconsiderano il controllo ossessivo delle chate del telefonino come un abuso, le ragazzeaddirittura lo interpretano come una formadi amore e di interessamento: mi cerca, mivuole, mi aggredisce, allora valgo per lui».Serve cambiare allora, innanzitutto il loromodo di guardare a queste dinamiche.L’università, che ha potuto proseguire le suericerche grazie ad alcuni fondi della Pro-vincia e al sostegno economico di una fon-dazione privata spagnola (a Valencia il mo-

dello adottato in Friuli fa scuola), ha tra-sformato l’impegno di studio anche in stru-menti di formazione e prevenzione: il ri-sultato è un tour nelle scuole di ogni ordi-ne e grado («cominciamo con le medie, an-zi sarebbe l’ideale partire sempre già da lì»)

«Mi vuole tutta persé, mi controlla anche

il telefonino e nonvuole che esca

neppure con le amiche»

Dai racconti degliadolescenti una

ricerca dellʼUniversitàdi Trieste

DVivianaDaloiso

Su twitter un miliardodi twitt contro le donne

Nellʼera del web la violenza corre an-che in Rete e le donne, spesso pro-prio le più giovani, sono le principa-li vittime del “discorso dellʼodio” on-line. Non solo: secondo il recenteprogetto delle Mappe dellʼintolle-ranza curato da Vox ‒ lʼOsservatorioitaliano sui diritti che attraversoTwitter è riuscito a geolocalizzare do-ve razzismo, odio verso le donne, o-mofobia e discriminazione verso i di-versamente abili sono maggior-mente diffusi ‒ uno dei social più at-tivi nel condividere lʼodio verso ledonne è Twitter, con oltre 1 miliardodi tweet sessisti rilevati (su un cam-pione di oltre 2 miliardi complessivi).Secondo la ricerca di Vox, i tweetcontro le donne sono i più numero-si. Si twitta lʼodio in tutta Italia: Mi-lano, insieme a Roma, sono le cittàpiù intolleranti (rispettivamente con8.134 e 8.361 tweet misogini).

L’A

LLA

RME

novembre 2017

NOI10

famiglia vita Alle radici della violenza

Ragazzi, affetti ad alto rischio

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ficacia – conclude Beltramini –: percorsiformativi di questo tipo non solo hanno lacapacità di educare i ragazzi a rapporti “sa-ni” ma anche di trasformarli in esempi, cioèstrumenti di educazione fra i loro coetanei».Moltiplicare il bene, prima che il male met-ta radici. Intercettare il male quando è an-cora “seme”. Sul sito si fa attraverso im-magini disegnate in stile fumetto, pensate erealizzate apposta per intercettare un pub-blico giovane. E con un linguaggio chiaroe diretto: titoli dei sottocanali «La violen-za», «La riconosco?», «So cosa provoca?»,«Storie come la mia» e ancora «Mi serveaiuto». Dentro una vera e propria guida al-le piccole vittime, coi link ai servizi di a-scolto e di accoglienza sui territori, con vi-deo e proposte di approfondimento intelli-genti (come quella di fermarsi a pensare al-le parole delle canzoni del momento, chespesso raccontano storie di violenza, di rap-porti di coppia basati sul possesso, sulla ge-losia, sul farsi male: «Ve ne viene in men-te qualcuna? – chiede il sito –. Condivide-tele con noi»).Il portale ideato dall’università di Trieste èuno strumento concreto, mirato. Forse ilprimo di questo tipo, in Italia. Il fatto chequalcuno ci abbia pensato racconta di unanuova sensibilità, che andrebbe scoperta evalorizzata dalle istituzioni. La violenzacontro le donne nel nostro Paese ha nume-ri sempre più impressionanti: sono quasi in7 milioni ad averla subita nel corso dellapropria vita, quasi una donna su tre. Capi-re come evitare che nasca, prima che fer-marla, è la sfida che l’Italia deve vincerenei prossimi anni. Guardando alle nuovegenerazioni.

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e un portale dedicato agli adolescenti(www.units.it/noallaviolenza) che attraver-so un linguaggio semplice e storie vere ac-compagna i ragazzi alla scoperta del rispettoreciproco. «Quello che si ottiene con gli a-dolescenti è sorprendente in termini di ef-

Arriva anche un portale per spiegare alle giovanissimecome scoprire gesti e comportamenti ambigui,prima che il male metta radici

La violenza sulle donne costa 17 miliardi l̓ annouando si parla di violenza, si parla di persone. E quando si parla diviolenza di genere, si parla – si deve parlare – di donne. È l’assunto da

cui parte ogni progetto di accoglienza e di recupero, il motore di ogni percorsodi sostegno delle vittime. Guai, entrando in un Centro antiviolenza, o in unaqualsiasi realtà che si faccia carico del problema, a dimenticare la centralitàdella donna con le sue domande, le sue paure, le sue risorse. A sentir parlare dicosti, investimenti, ritorni, chiunque sia impegnato sul campo della cura alla

persona fa un salto sulla sedia. Eppure ilfenomeno della violenza sulle donne, nelnostro Paese, un costo ce l’ha eccome. Oltre17 miliardi di euro all’anno per l’esattezza,quantificati per la prima volta in una ricercaeffettuata nel 2013 dall’associazioneWeWorld e intitolata appunta "Quanto costail silenzio?". All’epoca – era l’anno

dell’approvazione della legge sul femminicidio – i dati snocciolati dalla onlusdestarono un certo scalpore: anche perché a fronte di quella voragine (di cuiquasi 2,3 miliardi riguardavano i costi diretti dei servizi e oltre 14 miliardi dieuro quelli umani e di sofferenza) si scoprì un investimento della società civilepari ad appena 6,3 milioni di euro per cercare di contrastare e prevenire laviolenza sulle donne. In sostanza, nulla.Sull’onda di quella prima analisi “economica” del problema – per certi versipiù utile per ricavare elementi conoscitivi atti ad elaborare scelte politicherealmente efficaci – si è mossa anche una seconda indagine pubblicata da

WeWorld quest’anno e dedicata stavolta proprio al tema degli investimentimessi in campo nel nostro Paese per prevenire e contrastare la violenza digenere. Nel dossier intitolato "Violenza sulle donne. Non c’è più tempo" èemerso così un dato se possibile ancor più forte di quello sul costo dellaviolenza: se lo Stato cioè si impegnasse in un piano di prevenzione serio earticolato (attraverso campagne di sensibilizzazione, formazione nelle scuole enei centri, linee telefoniche e strutture dedicate) arriverebbe a risparmiare oltreun miliardo di euro. Per dirla in manieraancora più chiara: 1 euro appena, speso inprevenzione, permetterebbe di rimetterne incircolo altri 9 tra risparmi per sanità, servizisociali e costi giudiziari, ma ancheconsiderando la maggiore produttività delledonne che non subiscono violenze.Lo sforzo delle due ricerche, «che nonhanno affatto la pretesa d’essere esaustive e rappresentative della complessitàdi un problema sociale che affonda le proprie radici nella cultura del nostroPaese – spiega il presidente di WeWorld Marco Chiesara –, chiama in causatanto il legislatore quanto l’amministratore pubblico e gli attori sociali a dotarsidi strumenti di policy, programmazione, finanziamento e valutazione coerentitra loro». Mettersi a tavolino e fare i conti può allora aiutare anche nelladefinizione di quei percorsi di cura e di attenzione alla persona imprescindibiliper sconfiggere la violenza sulle donne. Far arrivare i fondi dove devono, per imotivi che devono. Investire, prima e oltre che curare.

Q

Già nel 2013WeWorld parlava di oltre 14 miliardi per i danni derivantidalle sofferenze

Un euro speso in prevenzione ne

farebbe risparmiarenove in sanità, costi

sociali e giudiziari

novembre 2017 11NOI famiglia vita Alle radici della violenza

se l̓ amore soffoca la libertà

149femminicidi nel 2016 in Italia

774femminicidi

negli ultimi 5 anni

7%donne

che sporgono denuncia

62,7%omicidi commessi

da partner o ex

31,5% donne tra 16 e 70 anni

che hanno subìto in qualche modo violenza

74,5%assassini italiani

I NUMERI

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l coraggio da solo non basta. Nonè sufficiente uscire allo scoperto,

ribellarsi alla sopraffazione fisica, a quellapsicologica e a quella economica. Per direno alla violenza una donna deve contare suun’arma più forte: sapere di non essere so-la, avere la certezza che oltre il salto dellasua denuncia non ci sarà il vuoto assolutoma una rete di protezione e un sistema diaccoglienza. Perché, al con-trario, è proprio l’isolamentoche crea e alimenta la spiraledella violenza: spezzarlo è lachiave di volta per salvarsi l’e-sistenza e riprenderla tra leproprie mani. Ma per riuscirea farlo, per elaborare il dram-ma e costruire nuovi percorsidi vita le donne hanno biso-gno di aiuto, di luoghi di a-scolto, di persone, di servizi. È opinione condivisa dipsicologi, avvocati e assi-stenti sociali, riuniti di re-cente a Rimini in occasio-ne del convegno promosso dal CentroStudi Erickson "Affrontare la violen-za sulle donne. Prevenzione, ricono-scimento e percorsi di uscita". Durante il quale si è ampiamente sostenu-to l’importante ruolo di avamposto e soste-gno che spetta ai centri antiviolenza. At-tualmente 160, presenti in tutto il territorionazionale (http://comecitrovi.women.it), at-tivi da oltre vent’anni, sono spazi autono-mi gestiti da organizzazioni che accolgonodonne di tutte le età che vengono maltrat-

tate o si sentono minacciate, e sostengonoi percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Lofanno attraverso il supporto telefonico, icolloqui personali, l’ospitalità presso caserifugio, strutture a indirizzo segreto che ac-colgono le donne nel delicato passaggio dal-la dimora condivisa con il compagno vio-lento a una nuova autonomia abitativa. Lel-la Palladino, sociologa, esperta in temati-che di genere, è stata nominata di recentepresidente dell’associazione nazionaleD.i.Re, Donne in rete contro la violenza, la

prima realtà italiana che rac-coglie in un unico progetto ol-tre 80 organizzazioni femmi-nili che affrontano il drammadella violenza maschile sulledonne secondo l’ottica delladifferenza di genere. «Che si-gnifica attivare processi di tra-sformazione culturale e inter-venire sulle dinamiche strut-turali da cui originano abusi emaltrattamenti», spiega Palla-dino. E prosegue: «Alla nostrarete si rivolgono più di 16 mi-la donne all’anno anche se nonabbiamo dati esaustivi e real-

mente rappresentativi. Arrivano spontanea-mente oppure su invio del 1522 che è il nu-mero governativo di riferimento contro laviolenza di genere, dalla rete territoriale deiservizi socio-sanitari oppure dalle forze del-l’ordine. Il lavoro è complesso – spiega l’e-sperta – Garantiamo alle donne che si ri-volgono a noi riservatezza e anonimato. Of-friamo ascolto, supporto psicologico indi-viduale e di gruppo, lavoriamo anche tra-mite i gruppi di mutuo-aiuto, assicuriamoconsulenza legale e sostegno ai minori che

sono vittime di violenza assistita. E contri-buiamo alla costruzione di prospettive peril futuro, agevolando l’orientamento al la-voro e l’autonomia abitativa». La respon-

La denuncia di Lella Paladino,presidente della

prima realtàitaliana che

raccoglie in ununico progetto

oltre 80organizzazioni

femminiliantiviolenza

«Educare alla parità, antidoto agli abusi»ondizionano ancora significativamentegli ambienti di lavoro ma sopravvivono

anche tra le pareti domestiche e influenzanoidee, comportamenti e linguaggi, bastipensare che caratterizzano il 50%dell’industria pubblicitaria indirizzandogusti e orientamenti. E soprattutto rendonofertile il terreno dal quale nascono omicidi emaltrattamenti contro le donne. Stiamoparlando degli stereotipi di genere,fondamentali nella riflessione sulla violenzacompiuta dagli uomini. Lo spiega ChiaraVolpato, docente di psicologia socialeall’Università di Milano Bicocca, autrice dinumerosi studi sulla diseguaglianza e sulpregiudizio.«La violenza sulle donne è prima di tutto unfatto culturale. Ha radici che affondano nellastorica, ma ancora attuale, disparità dipotere tra uomini e donne. In tutti i Paesioccidentali, in cui assistiamo alcambiamento della condizione femminile,facciamo i conti anche con una sorta dicontrattacco maschile che punta a

ridimensionare l’emancipazione delladonna. Non è un caso che molti atti violentiavvengano proprio a causa della ritorsionedel compagno a fronte di un abbandono. Daun punto di vista culturale, sessismo edelegittimazione femminile sono dinamicheche ancora agiscono sulle rappresentazioni esulle relazioni sociali e spesso purtroppoportano alla devianza quando nonaddirittura alla condotta criminale».L’esperta non nasconde la difficoltà di uncambiamento. «Abbandonare gli stereotipiacquisiti durante l’infanzia e l’adolescenzadal contesto familiare non è semplice.Richiede un lavoro paziente e soprattuttocostante perché, anche quando sono stati

rifiutati a livello consapevole, gli stereotipitendono a ripresentarsi nella nostra mente ea lavorare come guida ai nostricomportamenti. Per evitare di ricadere nellatrappola dei condizionamenti bisogna quindiessere attenti all’ascolto e all’utilizzo deidiscorsi quotidiani che spesso reiterano imodelli sessisti». Secondo la psicologa partedunque dal riconoscimento degli stereotipi ilrinnovamento culturale necessario percontrastare la violenza sulle donne.«Un compito importante spetta ai media chedevono proporre rappresentazioni realistichee non parziali di uomini e donne. Esoprattutto bisogna puntare sull’educazionecon bambini e adolescenti, per promuovereil cambiamento nelle nuove generazioni.Ma ricordiamoci che tutti possiamocontribuire nel nostro quotidiano a liberarela cultura dagli stereotipi di genere esostenere la condanna sociale deldesiderio di possesso e del dominiodell’uomo sulla donna» (P.Mo.)

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C La psicologa Volpato: un problema soprattutto

culturale. Ci sono stereotipidi genere che ancora parlano

di supremazia maschile

IPaola

Molteni

«Donne, ora alziamo la voce»novembre 2017

NOI12

famiglia vita Alle radici della violenza

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sabile lamenta la mancanza di risorse eco-nomiche: «Motivo per cui non tutti i centrirestano aperti 24 ore su 24 impedendoci co-sì di poter garantire ovunque la reperibilità

cambia praticamente da 10 anni. Sempresecondo gli indicatori Istat, sono 6 milio-ni e 788 mila le donne che hanno subitonel corso della propria vita una qualcheforma di violenza, fisica o sessuale (par-liamo del 31,5% della popolazione fem-minile nella fascia di età compresa tra i 16e i 70 anni). Cresce pure il fenomeno del-lo stalking, il 16% delle donne lo ha subi-to: 1 milione e 524 mila dall’ex partner, 2milioni e 229 mila da sconosciuti.Ma chi sono le donne che si rivolgono ai

centri antiviolenza? «Sono i-taliane e migranti, di ogni pro-venienza socioculturale, ditutte le età, con o senza figli»,informa la sociologa che sot-tolinea la natura "trasversale"del fenomeno. «La vera origi-ne di questo male è profonda-mente strutturato nella nostrasocietà, riguarda uomini diqualsiasi età, titolo di studio,reddito e occupazione – con-clude Lella Palladino –. Eccoperché nel nostro Paese biso-gna lavorare ancora molto, so-prattutto a livello istituziona-

le, per sensibilizzare sul tema della violen-za maschile contro le donne, nonostante ne-gli ultimi anni si sia finalmente rotto il si-lenzio che ha negato per lungo tempo que-sta drammatica realtà. Occorre continuarea operare affinché la coscienza collettivametta una volta per tutte in connessione laviolenza contro le donne e l’asimmetria dipotere tra i generi e condanni le discrimi-nazioni che attraversano la realtà femmini-le in tutti i contesti relazionali e di lavoro».

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per l’emergenza. In più c’è un problema didisomogeneità: le sedi restano più numerosenelle regioni del Centro e del Nord rispet-to a quelle del Sud». La Palladino informaquanto ancora si è lontani dalla coperturadei bisogni, sia rispetto al numero ancorainsufficiente delle case rifugio sia alla qua-lità dei servizi che ancora non possiedonoi requisiti minimi dettati dalle prescrizio-ni europee. E aggiunge: «Sarebbe impor-tante che il mondo della comunicazione ele istituzioni valorizzassero maggiormen-te il lavoro che viene svoltodai centri: aiuterebbe le don-ne in difficoltà a riconoscer-ci e a trovare protezione e so-stegno. Per molte invece an-cora oggi la paura della soli-tudine è più forte di quellaper le botte e le minacce». A questo proposito va ricor-dato che solo sette donne sucento, secondo gli ultimi da-ti Istat, sporge denuncia. Eancor meno lo fanno le don-ne violentate da familiari, a-mici e conoscenti. Che sonole più numerose: oltre il ses-santa per cento degli stupri (130 mila traquelli tentati e quelli effettivamente inflit-ti) è infatti attribuibile a uomini legati af-fettivamente alle vittime. La "matrice" fa-miliare riguarda anche gli omicidi, chevengono commessi nel 62,7% dei casi dapartner o ex, nel 3,6% da parenti e nel 9,4%da amici. E intanto il girotondo delle vit-time non smette di allargarsi. Muore unadonna ogni tre giorni per mano di un uo-mo. Sono infatti 149 gli omicidi di donneavvenuti nel 2016, e il dato in Italia non

«Alle nostrerealtà

si rivolgonoogni anno

169mila donneOffriamoascolto,

supportopsicologico,

gruppi di mutuo-aiuto»

«Bambini che guardano. Doppia sofferenza»poi ci sono loro, i bambini. Spettatori innocenti di violenza,

costretti ad assistere agli abusi familiari. Tanti, troppi i casi: 50mila all’anno secondo l’ultima rilevazione di Save the childrenche segnala un preoccupante aumento di episodi in Italia. Più che testimoni, vere vittime di violenza assistita perchésubiscono un trauma che li segna esattamente come chi subisce ilmaltrattamento in prima persona. Come se non bastasse, circa il

60% degli uomini che maltrattano lecompagne sono violenti e commettonoabusi anche verso i figli. I quali soffronodoppiamente: per la violenza inflitta aidanni della madre e per la consapevolezzadi avere un padre violento. Ansia,depressione e somatizzazioni varie sonosolo alcuni dei danni cui va incontro il loro

benessere psico-fisico. «I minori che vivono questa condizionerestano nell’incubo che gli episodi di violenza si ripetano, perciòmettono in atto una serie di comportamenti di difesa verso séstessi e il genitore», spiega Maria Grazia Apollonio, psicologa epsicoterapeuta, responsabile del centro antiviolenza Goap, Gruppooperatrici antiviolenza e progetti di Trieste, che ha in carico circa300 nuove donne all’anno. «Bambini e ragazzi non voglionoallontanarsi da casa perché temono che in loro assenza possanoverificarsi di nuovo le violenze e, prefiggendosi un compito di

protezione verso la madre, arrivano ad assumere un ruoloadultizzato che sconvolge il loro percorso di crescita». L’espertasottolinea quanto sia importante che i giovani, insieme allemamme, escano da questi contesti disagiati. «Quando arrivanoalle case rifugio sono inizialmente spiazzati per l’allontanamentoda casa ma ben presto trovano sollievo: i sintomi dei malesseriregrediscono, riprendono a mangiare, a dormire, tornano ascuola». Sono due le sedi di accoglienzadel centro e possono ospitare fino a unmassimo di otto nuclei ogni anno. «Sitratta di donne che stanno risolvendo lafase acuta del disagio ma nonpossiedono ancora un lavoro e una casapropria. Il nostro obiettivo è quello divederle tornare alla loro vita incondizioni di assoluta autonomia per scongiurare un rientronella spirale della violenza». Al centro si lavora anche alsostegno alla genitorialità in condizioni di violenza domestica.«Una mamma che subisce maltrattamenti è traumatizzata espesso depauperata delle sue funzioni genitoriali, perdeautorevolezza perché tutta concentrata nel compito diprotezione verso i figli. Noi aiutiamo queste madri a recuperarele loro competenze educative e l’equilibrio personale» (P.Mo.)

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E

Anche ansia,depressione esomatizzazionivarie tra i danniriportati dai minori

novembre 2017 13NOI famiglia vita Alle radici della violenza

Ma ancora poche denunciano

Apollonio: aiutiamole mamme

violentate a recuperarecompetenze

educative

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umenta l’aspettativa di vita e, propor-zionalmente, cresce la domanda di as-

sistenza sanitaria a lungo termine. L’Italia è piùlongeva ma non per questo più in salute. Anzi:secondo l’ultima delle indagini nei Paesi euro-pei ad alto e medio reddito (Eu statistics on in-come and living conditions, pubblicata sulla ri-vista medica online Bmj Open) nel giro di 30 an-ni tra gli over 65 una donna su 4 e un uomo su 6convivranno con una disabilità fisica in grado diminare l’autonomia nelle attività quotidiane. U-no scenario a cui la sanità pubblica sa di non po-tere rispondere con la sola offerta delle struttureospedaliere. La via maestra èl’assistenza domiciliare. No-me per esteso: assistenza do-miciliare integrata (Adi), unservizio che in Italia, senzadifferenze tra Nord e Sud, saraggiungere picchi di eccel-lenza quando funziona e dovefunziona a dovere, e toccare ilminimo della prossimità al pa-ziente laddove mancano mez-zi e organizzazione. Una Ba-bele. Una macchina complessa e dalle enormi po-tenzialità, ma minata dalla incomunicabilità e di-sparità tra regione e regione su cui ha appena fat-to luce la prima mappatura organica, La Babeledell’assistenza domiciliare in Italia: chi la fa,come si fa, pubblicata da Italia Longeva, la retenazionale di ricerca sull’invecchiamento e la lon-gevità attiva. Istituita nel 2011 dal ministero del-la Salute, con la Regione Marche e l’Irccs Inrcaper favorire la centralità degli anziani nelle poli-tiche sanitarie, Italia Longeva nella sua analisi nonfa sconti: «A fronte della sempre crescente do-

manda di assistenza sanitaria a lungo termine –avverte il presidente Roberto Bernabei – la for-mula ospedale-centrica risulta inadeguata e co-stosa. Nonostante l’impegno di alcune regioni diaprire gli ospedali verso il territorio, la sensa-zione è che l’offerta di assistenza nel Paese evolvatroppo lentamente rispetto al modificarsi delladomanda e che gli ospedali rimangano motoreimmobile della salute italiana». Le proiezioni Istat inchiodano il Paese: tra il2045 e il 2050 un terzo della popolazione ita-liana (34%) avrà più di 65 anni. «Il processod’invecchiamento è da ritenersi certo e inten-so», dice l’istituto di statistica. Già oggi, conun’aspettativa media di vita pari a 80 anni pergli uomini e 85 anni per le donne l’Italia sia col-

loca tra i paesi più longevi delmondo e il primo in Europa. Nonostante aumenti il nume-ro di anni vissuti in buona sa-lute (o quanto meno in assen-za di limitazioni funzionali) itermini assoluti aumentano icittadini in stato di disabilitàfisica o intellettiva. L’Adi rientra fin dal 2001 neiLivelli essenziali di assisten-za (Lea). L’aggiornamento

dei Lea del 2017 ha definito che le prestazionidi aiuto infermieristico e di assistenza profes-sionale sono a carico del Servizio sanitario na-zionale per i primi 30 giorni dopo la dimissio-ne ospedaliera protetta e per una quota pari al50% nei giorni successivi. Il resto è carico deiComuni. Asl e Comuni possono essere eroga-tori “diretti”, o affidare il compito a terzi (coo-perative, onlus, realtà non profit e profit) attra-verso l’accreditamento, o, ancora, optare per ivoucher. «Nell’erogazione – denuncia il rap-porto – può verificarsi che l’integrazione si at-

tui nella persona stessa dell’assistito, pur sod-disfatto destinatario di una serie importante diattività ma assolutamente non coordinate». Equesto avviene nelle Asl dell’Alto Adige comein quelle di Catania, Salerno e Roma 1. Eterogeneo è anche il tipo di prestazioni garanti-te. Accanto a quelle immancabili (prelievi ema-tici, igiene della persona, gestione dei cateteri ve-

Una ricerca su invecchiamento e longevità mette

in luce le emergenze di una realtà sempre

più allarmanteTroppe le diversità

tra regione e regione

Lʼanalisi. Ma la vicinanza umana esige anche cosa nota che "Babele" simboleggi caos,confusione, dispersione, miscuglio di

lingue (linguaggi) ed è altrettanto noto chedalla sua Torre si butti giù chi non è gradito, inquanto espressione della superbia umana.Utili, per chiunque, gli ammonimenti alriguardo: Abramo, «torna a te stesso»;Sacerdoti di Menfi, «ascolta il tuo cuore »;Eraclito, «conosci te stesso»; Hesse(Siddharta) «diventa ciò che sei» ; Nietzsche(Zaratustra) «fai luce nella tua interiorità»;Confucio «la regola è dentro di te». Si sa, o sidovrebbe sapere, pure un aspetto nonsimbolico che appartiene alle cose del mondo,al piano di realtà: la "condizione dinecessario" e la "condizione di sufficiente",che possono essere in relazione simmetrica enon, ossia ciò che è necessario è anchesufficiente per l’evento oppure ciò che ènecessario non è sufficiente.Le due premesse potrebbero apparire nonpertinenti all’indagine condotta da "ItaliaLongeva" circa l’Assistenza domiciliareintegrata (Adi) e il progetto di Piano di

assistenza personalizzato (Pai), ma da unpunto di vista psicologico non credo sia così.All’interno del caos e della "superbia" umana,si fa il necessario per portare assistenza a chine abbia bisogno, coinvolgendo le agenzieterritoriali. L’indagine dimostra che il"necessario" non basta ad essere necessario alfabbisogno della popolazione che – nel bene enel male – è sempre più longeva. Dati allamano. Vi è una situazione di babilonia dentrol’indagine e così come Dio scompigliò i pianidel Re di Babele, ci deve essere"qualcuno/qualcosa" che desidera che ilinguaggi siano differenti e che la gente (il"costruttore") si disperda per formare non ununico territorio, bensì una vasta Terra. Chi

potrebbe essere questo "qualcuno/qualcosa"?A parer mio, è la "condizione di sufficiente"che sbilancia quella di necessità. E, dunque,cosa c’è di "insufficiente" nell’equazione conla "necessità"? Inconsciamente, credo che sipensi che fare tutto il necessario siasufficiente: questo è vero! Ma solo nell’ordinepsichico di sentirsi a posto con i sensi di colpa(collettivi e istituzionali) che, per definizione,non esistono; pertanto il soggetto operatore delnecessario è salvo. Non è certo unaprovocazione, la mia; è solamente unaprospettiva differente che tenta di contribuirealla eliminazione (per quanto possibile) delcaos e dell’onnipotenza ("facciamo tutto ilnecessario, di più non si può"). Invece si può:ricordiamo gli ammonimenti suggeritiall’inizio e aggiungiamo il concetto di empatiaumana che è cosa ben differente dal compito:l’empatia è un sentimento! Che si adoperaperché venga fatto il necessario, pensa alcompito di mettere in atto sistemi che possanoridurre il disagio, e – in altri termini –soddisfare i bisogni. Non credo sia una

È Spesso fare «tutto il necessario» dal punto

di vista tecnico, non è sufficiente per chi desidera

soprattutto relazioni personali

AAnnalisa

Guglielmino

Se il nonno chiede aiutonovembre 2017

NOI14

famiglia vita Il Paese che invecchia

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scicali, e altre...) ci sono prestazioni a volte indi-sponibili (procedure diagnostiche complesse, e-motrasfusioni, dialisi peritoneale, logopedia, rie-ducazione respiratoria, supporto psicologico). Un altro limite è la cartella clinica, nella maggiorparte dei casi esclusivamente cartacea (l’Umbriaha adottato la cartella digitale), anche se un pro-cesso di digitalizzazione è stato localmente av-

per caso trattato in Friuli Venezia Giulia e Tosca-na, alle 54 ore del Molise. Anche nell’incidenzadel costo dell’Adi le differenze sono notevoli: dalvalore più basso in Valle d’Aosta (0,7% sul tota-le della spesa sanitaria) a quelli più alti in Friuli(6,2%) ed Emilia Romagna (5,6%). La media na-zionale è del 2,4%. Nonostante l’iniquità di fatto tra aree geografiche,l’asimmetria tra domanda e offerta, tra esigenzedel paziente e capacità di supporto reale, l’inda-gine mette tuttavia in luce il «potenziale» del ser-vizio. Un modello in cui andrebbe «incanalata»sempre di più la «creatività territoriale» e le so-luzioni «su misura» di cui le Asl in alcuni casi sisono dimostrate capaci.Per il Ministero della salute, interpellato da Noi,«il progressivo invecchiamento della popolazio-ne e il contestuale aumento di patologie cronichee di disabilità, imporrà al Servizio sanitario di po-tenziare la risposta domiciliare sia sotto il profi-lo quantitativo che qualitativo; ciò consentirà siauna progressiva riduzione dei ricoveri ospedalie-ri sia una riduzione delle giornate di degenza: perun verso, infatti, molti malati potranno rimanereal proprio domicilio anche al verificarsi di episo-di acuti non gravi, per altro verso molti malati po-tranno ritornare più rapidamente al proprio do-micilio nell’ambito di una dimissione protetta».Detto ciò, precisa la Direzione della program-mazione sanitaria, «è importante non confonde-re e sovrapporre le cure domiciliari sanitarie, va-le a dire l’insieme delle prestazioni mediche, in-fermieristiche, riabilitative e di aiuto infermieri-stico, anche di elevata complessità, erogate daprofessionisti sanitari ad un malato cronico nonautosufficiente, con l’aiuto fornito dall’assistentefamiliare (badante) o dal familiare stesso, nellosvolgimento delle attività della vita quotidiana(cura e igiene della persona e dell’ambiente, pre-parazione dei pasti, aiuto nella deambulazione,supervisione nell’assunzione della terapia far-macologica. Questo tipo di supporto, spesso in-dispensabile per mantenere le persone al lorodomicilio e per evitare il ricovero in strutture re-sidenziali o in ospedale, non è garantito dal Ser-vizio sanitario nazionale ma deve essere forni-to dal Comune, nell’ambito delle sue compe-tenze di assistenza sociale. Solo se sarà garan-tito questo tipo di supporto a tutti coloro che nehanno bisogno, sarà possibile che l’Adi espri-ma il massimo delle sue potenzialità».

«Se provassimo – è lasintesi affidata a Ber-nabei – a uscire dal-l’associazione logicaormai ampiamentesuperata secondo laquale “salute ugualeospedale” e a porre alcentro della sanità

pubblica il trend demografico che ci vede sem-pre più longevi, ci renderemmo conto di esse-re di fronte all’improcrastinabile necessità dirivolgere ogni sforzo a migliorare ed ampliarel’assistenza sanitaria per la cura dei pazienticronici a casa propria. La partita della salute deicittadini si gioca sulla long-term care e sullacapacità del nostro servizio sanitario nazionaledi declinarsi sul territorio».

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viato. Inesistente è l’utilizzo della domotica (an-che se i nuovi Lea introducono novità nel con-trollo dell’ambiente: sistemi di infrarossi, con-trollo vocale e radio frequenza la cui eventuale in-stallazione è a carico del disabile).Le Regioni hanno risposto all’aumento progres-sivo di pazienti trattati in Adi riducendo le oremedie erogate per ogni caso. Si va dalle 7/8 ore

Tutto risulta ancora troppoincentrato sullʼospedale Così la spesa per il sostegno domestico appare in calo in tutta Italia

altre attenzioniquestione personale soggettiva, pensopiuttosto che sia il sistema a volere ciò (laGrande Torre).Ma chi pensa ai desideri dei necessitanti? Ilnecessario non è sufficiente. Il bisogno vasoddisfatto, pena – a volte – la vita stessa; ildesiderio va esaudito, pena la sofferenzapsichica. Se si potesse, come si può, metteredentro, inserire, interiorizzare il doveredell’uguaglianza necessario-sufficiente, forsesi farebbe un gran bel passo avanti. Pocoimporta se una Regione sia meglio o menoattrezzata di un’altra o se disponga più o menodi risorse. Così si perde di vista l’aspettoumano! Le indagini, le statistiche servono adimostrare lo stato dell’arte, non certamente adescrivere l’animo umano. Perchénell’indagine non esiste la casellina del «malei (essere umano!) è soddisfatto? E cosaprova rispetto ai suoi desideri?». Certo, dovela metti la risposta? Ma forse è un’altra storia,un’altra indagine....

Grazia Aloi, psicoanalista© RIPRODUZIONE RISERVATA

370.546gli anziani che godono

dellʼassistenza domestica(2016)

2,8%lʼaumento rispetto al 2014

0,4%in Valle dʼAosta

4,2% in Emilia Romagna

1,5%in Umbria

2,8%in Toscana

novembre 2017 15NOI famiglia vita Il Paese che invecchia

meglio l̓ assistenza in casa

I NUMERI

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ssistono in casa disabili gravi e gra-vissimi 24 ore su 24, 365 giorni al-

l’anno. Non hanno ferie, riposi, festività. Ma-gari fuori casa svolgono una professione, omagari no, perché per occuparsi di un fami-liare hanno lasciato l’impiego, scelto un parttime, o non hanno mai lavorato. Hanno, nelcalcolo scientifico della biologa, Premio No-bel, Elisabeth Blackburn, un’aspettativa divita che va dai 7 ai 17 anni in meno, per lo«stress da lavoro di cura». Hanno un nome,ancora troppo poco conosciuto: caregiver(letteralmente «colui che si prende cura»).Quello che non hanno, almeno in Italia (per-ché in Europa va diversamente), è un rico-noscimento giuridico. Lo chiedono davent’anni, da quando cioè il primo coordi-namento delle famiglie con disabili gravi egravissimi ha chiesto tutele previdenziali, sa-nitarie e assicurative per chi assiste una per-sona cara non autosufficiente. «Attenzione,non vogliamo un’assunzione come badanti,non vogliamo uno stipendio, ma diritti»: Ma-ria Simona Bellini, presidente del Coordina-mento, attende l’esito dell’iter parlamentaredi un testo unico, appena presentato, e natocon una disinvoltura forse eccessiva alla vi-gilia di una tornata elettorale, dall’unione ditre distinti disegni di legge presentati all’i-nizio del 2017. «È un testo vuoto – denun-cia Bellini –. Prevede solo un riconoscimen-to formale, non norma l’aspetto contributi-vo, il prepensionamento per chi assiste il pro-prio caro con un’intensità insostenibile pertutta la vita, la copertura assicurativa in ca-so di malattia dello stesso caregiver...». Bel-lini fa l’esempio di una mamma che come lei

da quasi trent’anni assiste la figlia Letizia.«La sollevo dal letto tutti i giorni e ho l’er-nia al disco. Se devo fare una Moc lombarepago il ticket, mentre le badanti no: hanno ilriconoscimento della malattia professionaleper il fatto di sollevare le persone allettate».

Quello che non deve acca-dere, per i caregiver fami-liari, è che lo Stato «appro-fitti dell’amore e della de-dizione» che solo un con-giunto sa offrire indefessa-mente e gratuitamente. Articolato, il disegno di leg-ge proposto dalla senatriceLaura Bignami definiva ilcaregiver come colui o co-lei che si occupa di un fa-miliare o affine fino al 2°

grado o di un minore affidato, purché convi-vente, invalido al 100% e necessitante diun’assistenza di almeno 54 ore settimanali. Oltre al vantaggio umano per la persona di-sabile di essere accudita da un familiare, ilcaregiving permette un notevole risparmioper la Sanità pubblica. Nel 2014 l’Emilia Romagna si è dotata diuna legge apposita calcolando una popola-zione di circa 300mila caregiver. Ma la nor-mativa è «inadeguata» sostengono le fa-miglie. Per il nuovo testo unico – su cui co-munque gravano molti emendamenti – si te-me l’effetto del «Dopo di noi», il provve-dimento del 2016 sull’assistenza alle per-sone con disabilità grave dopo la morte deiparenti. «Un fondo risicato che risponde apoche esigenze, spesso di chi è ricco, mache ha funzionato come cartello elettora-le», dice Bellini. Tutti i Paesi europei hanno legiferato sui ca-

regiver. Perfino Grecia, Romania, Bulgaria,considerate meno evolute nel welfare, han-no capito che investire significa risparmiare.L’Europa è consapevole del gap italiano edialoga con le associazioni familiari che chie-

Maria SimonaBellini, presidentecoordinamentodei familiari: per noi non cʼèriposo, non cʼèvita socialee non è possibileammalarci

LʼEmilia apripista: varate le linee guida

AAnnalisa

Guglielmino

«Io, mamma “caregiver” da 30novembre 2017

NOI16

famiglia vita Il Paese che invecchia

a Regione Emilia Romagna ha lanciato unappello al governo per l’istituzione di un

Fondo nazionale destinato alla figura delcaregiver familiare. «Sarebbe un’innovazionerivoluzionaria per il nostro Paese e per i milionidi persone, in gran parte donne, che si occupanoda mattina a sera, con un carico psicologico efisico enorme, di chi ha costante bisogno diassistenza e di aiuto – ha detto la vicepresidentecon delega al welfare Elisabetta Gualmini –.Destinare per la prima volta ai prestatori di curafondi statali, sia per contributi diretti sia perl’anticipo pensionistico, darebbe una rispostanecessaria e urgentissima a famiglie stremate daun’assistenza molto pesante e costosa. Leistituzioni pubbliche non devono scaricare sullefamiglie compiti e funzioni di welfare spessonon sostenibili». L`Emilia-Romagna ha da pocoapprovato le linee guida della Legge regionalesui caregiver familiari varata tre anni fa: hadisposto informazioni sui bisogni assistenziali edi cura, sui servizi di relativo supporto e sullapossibilità di usufruire di adeguati percorsi diformazione. Un’iniziativa di misura, lodevole

negli intenti, che non avendo ancora destinatofondi specifici ai caregiver, attinge al Fondo perla non autosufficienza. Da qui l’importanza diuna la legge nazionale per il riconoscimento dicoloro che assistono un familiare disabile chepreveda oltre a specifiche misure in tema dilavoro, sgravi fiscali, previdenza per sostenerela figura del caregiver, e istituisca un appositoFondo nazionale. Il parlamentare Pd EdoPatriarca, componente della Commissione affarisociali e firmatario, insieme al collega IgnazioAngioni, di uno dei disegni di legge sulcaregiving familiare poi confluiti nel testo unicodiscusso in Senato ha chiesto più volte per icaregiver un «welfare che viene dal basso e che

riconosca il lavoro di cura». La creazione di unfondo, aveva detto nella recente discussionesulla legge di bilancio «sarebbe un segnaleimportante, un punto in qualche modo di svoltarispetto a quanto succede ora. Serve riconoscereil lavoro del caregiver attraverso un quadronormativo ma anche attraverso finanziamenticerti e periodici. Se la maggioranzaraggiungesse un risultato in tal senso, farebbeun gran servizio al paese». A favore dei cargivermolti gli emendamenti alla Legge di bilancio indiscussione al Parlamento. Maurizio Sacconi,presidente della Commissione Lavoro alSenato, e promotore di un fondo da 100 milioniper il caregiving, è fiducioso che quella cheuscirà sarà una «legge pensata per sostenere lapersona che assiste il familiare – spiega a Noi ilsenatore di Area popolare – se alle Regionispetta l’inserimento della figura del caregivernelle reti assistenziali, competenza dello Stato èdisporre benefici come contributi figurativi,modulazione dell’orario, forme di telelavoro».

Annalisa Guglielmino© RIPRODUZIONE RISERVATA

L Nel documento disposteinformazioni sui bisogni

assistenziali e di cura, sui servizi di relativo

supporto e sui percorsi di formazione

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ra di un fondo da un milione per i caregivernel Def (Documento di econonomia e finan-za, ndr). Stimiamo 500mila assistiti: che co-sa si fa con 2 euro all’anno?». E, a proposi-to di stime, non essendoci riconoscimentogiuridico non è possibile dire quanti siano icaregiver familiari in Italia. Si calcolano cir-ca 3 milioni di persone che accudiscono fi-gli con gravi patologie congenite o anzianigravi. Molti non sanno di essere caregiver,considerando «privata» la propria condizio-ne e non pensando di avere diritto a un aiu-to da parte della collettività.«Bisogna distinguere tra chi assiste un disa-bile completamente non autosufficiente e lediverse forme di invalidità, i permessi 104,le indennità di accompagnamento... così si ar-riva ai 9 milioni di disabili di cui parla qual-cuno. La nostra realtà ha numeri molto piùridotti», sottolinea la presidente del Coordi-namento. Non è una sottigliezza: i fondi na-zionali per la non autosufficienza vengonogestiti dalle Regioni, il criterio per l’asse-gnazione è sulla base dei residenti e non del-le persone con disabilità, e spesso il soste-gno che viene assegnato al caregiver vienetolto al disabile, perché di fatto le due figu-re vengono sovrapposte. Localmente ci sono le buone prassi delle A-sl, e di assistenza domiciliare integrata (ser-vizio nella pagina precedente) ma il soste-gno ha i tempi della cooperativa o del gesto-re del servizio: praticamente non esiste assi-stenza nel fine settimana, o di notte. «C’ètanta stanchezza perché non c’è ascolto –conclude Maria Simona Bellini –. Vent’annisono tanti per una legge di civiltà. E ama-reggia vedere che siamo a fine legislatura perla quarta volta ancora».

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dono si possa «avviare una procedura d’in-frazione dei diritti umani». La petizione è ar-rivata fino all’Onu. Non esiste «il diritto alriposo, alla salute, alla vita sociale» per il fa-miliare di una persona malata.

Ma c’è poca volontà di parlarne. «L’invisi-bilità non crea difficoltà politiche – com-menta Bellini –. Così ci si può concentraresu altre minoranze, o trovare in una notte imiliardi per per salvare le banche. Si vocife-

Piccoli robot per accompagnare le fragilitàa sanità del futuro, prossima ai reali bisogni del paziente e dellasua famiglia, è quella che migliaia di giovani ingegneri biomedici

stanno immaginando in questi anni. Se la vita di milioni di malati e dichi li assiste potrà essere diversa – in meglio – il merito sarà deglistartupper che applicano la tecnologia al servizio della salute delcittadino. Alcune settimane fa, la Lombardia ha fatto il punto nelcorso del convegno «Tecnologie a servizio della sanità », che ha

riunito a Cinisello Balsamo (Mi) imprese,banche, università e amministrazioni insiemeai protagonisti del cambiamento: spessogiovani, a volte appena laureati, pronti acredere in un’idea innovativa e a scommetterciil proprio futuro. Come Filippo Pantalena,creatore di Hospital at home, un vero mini«ospedale a casa», un dispositivo ingombrantequanto un normale comodino, che si affianca

al letto del paziente cronico, e direttamente al suo domicilio rileva 24ore su 24 i parametri vitali, fornisce ossigeno, cure medicheprogrammate e comunica con le strutture sanitarie. La Avanix, impresa nata a Scanzorosciate in provincia di Bergamo,progetta dispositivi «indossabili» per il monitoraggio dei malati diAlzheimer e per agevolare i caregiver. Il paziente indossa unapparecchio che misura postura, cadute accidentali, temperatura delcorpo, umidità, attività e direzione di spostamento, e i dati sono

trasferiti al computer che li elabora. Avanix sta testando modelli inaudiofrequenza, senza l’uso di wifi e bluetooth. La start up, ha ancherealizzato un ciuccio sempre connesso per monitorare il bebè e inviareallo smartphone della mamma informazioni sul respiro, la temperaturae la posizione del bambino.Supportare la fragilità delle persone e la loro gestione quotidiana:Sanity è l’app ideata da Claudio Ke per evitare la coda al Prontosoccorso, e permettere al personalesanitario di valutare a distanza lecondizioni del paziente.A Bologna dal 30 novembre al 2 dicembresi svolge Handimatica, la mostra-convegnodi Fondazione Asphi dedicata alletecnologie digitali al servizio delladisabilità. Realizzata in collaborazione conla Regione Emilia-Romagna, lasupervisione scientifica dell’Università di Bologna ed il patrocinio dellaFederazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) e dellaFederazione tra le associazioni nazionali delle persone con disabilità(Fand) punterà i riflettori accesi sul mondo dell’infanzia e dell’etàscolastica (quello che riesce ad ottenere attenzione e "cura") perseguirlo fino ai problemi dell’età adulta, con percentuali bassissime diimpiego e scarsa capacità di inserimento sociale. (A. Gu.)

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L

Cʼè il "comodino"che rileva24 ore su 24i parametri vitali e"parla" con i medici

Arrivano anche lestart up che aiutanomalati di Alzheimer,

persone nonautosufficienti e varie

forme di disabilità

novembre 2017 17NOI famiglia vita Il Paese che invecchia

anni, non ho né diritti né aiuti»

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Aiutare chi aiutaLa mano e il cuore

rendersi cura degli altri ed esser-ne schiacciati. Questo è quanto

accade a una fetta di popolazione, preva-lentemente femminile, che si trova in mez-zo a due, se non più, incombenze: la cu-ra dei genitori anziani, l’accudimento deipropri figli ancora gravitanti sul nucleofamiliare, in alcuni casi il lavoro, e in al-tri anche la presenza attiva con i nipoti. Èquesta la "generazione sandwich", costi-tuita, secondo alcune stime, da 15 milio-ni di persone, di età compresa tra i 45 e i55 anni di età. Questo identikit può com-prendere anche persone più adulte, anco-ra attive, che nella propria rete parentalehanno sia i grandi anziani che i bambini.Perché l’età media aumenta e tutto, ancheil fenomeno della generazione sandwich,è spostato più avanti.Prendersi cura di genitori, spesso non piùautosufficienti, e insieme di figli e nipo-tini non è semplice. La persona si ritrovaad affrontare una serie di problemi con-creti, di difficoltà relazionali e psicologi-che, e a veder assottigliare sempre piùquel tempo per sé che dà os-sigeno alla giornata. Inol-tre, in Italia, non è sistema-tico un supporto da partedegli enti pubblici e un ri-conoscimento del proprioruolo a livello legislativo(vedi articoli nelle pagineprecedenti).«Come faccio?», è la do-manda che sorge in questepersone e che abbisogna di una risposta,anche a livello sociale e non solamentepersonale. «È importante l’ascolto, l’ac-compagnamento, l’aiuto dei caregiver –spiega Loredana Ligabue, segretaria del-l’associazione Carer di Carpi e operatri-ce della cooperativa sociale Anzianie-nonsolo – . La società è cambiata. Oggi,accudire un anziano non autosufficientepuò essere una azione che si protrae perdieci, vent’anni. Le famiglie sono cam-biate, ci si sposta e ci sono familiari lon-tani dai propri cari che vivono situazio-ni traumatiche. Occorre trovare moda-lità di conciliazione, perché tutti hannodiritto a dare valore alle relazioni e tut-ti, sia chi ha bisogno, sia chi cura, devo-no aver dei diritti». L’associazione Carer – che tra le diverseiniziative promuove il Caregiver day –propone percorsi di formazione, gruppi diauto-mutuo-aiuto, e si adopera per trova-re soluzioni, anche tecnologiche, che sup-portino coloro che si prendono cura dei fa-miliari più deboli, dalla app per organiz-

zare al meglio la giornata, a quella per tro-vare facilmente la farmacia di turno, alcontrollo a distanza…Perché è complesso occuparsi degli an-ziani, salvaguardando la qualità delle re-lazioni intergenerazionali e salvaguar-dando la quotidianità fatta anche di lavo-ro, di amicizie, hobby, di svago. La Cari-tas decanale di Monza, guidata da don Au-gusto Panzeri, è molto attiva sul fronte an-ziani e da una decina d’anni porta avantiun progetto incentrato sul supporto al ca-regiver familiare. Si tratta di un gruppo diauto-mutuo-aiuto, che ha come referenteGiovanna Perucci, psicologa: «Proponia-mo – spiega – un’attività di supporto ai ca-regiver con familiari non autosufficienti,perché ci siamo accorti come sia impre-scindibile sostenere coloro che sono an-cora il punto forte nella cura familiare.Non è facile coinvolgere queste persone,perché faticano a trovare spazio e tempoper riflettere sulle fatiche e sulle strategieattivate per superare i problemi nell’ac-cudimento». Non è semplice comprende-re, quindi, di aver bisogno di aiuto, e inprima battuta la richiesta riguarda la so-luzione di problemi pratici. «Il problemaaffettivo – prosegue la psicologa – è peròcentrale. La famiglia perfetta esiste sola-mente nelle pubblicità, la realtà è diffe-rente. Si riaprono ferite, emergono diffi-coltà nei rapporti che con la vita autono-ma si erano stemperati. Ci sono sovrac-carichi di incombenze, stanchezze chepossono portare al maltrattamento psico-logico dell’anziano, non per cattiveria, eviceversa, quando si è di fronte ad anzia-ni arrabbiati e poco riconoscenti. Bisognaperciò curare i rapporti, a tutto tondo».Le persone che sono "in mezzo" e chedebbono rispondere alle esigenze dei pro-pri familiari, si ritrovano pertanto con unfardello di impegni e di responsabilità daportare avanti quotidianamente. Ma que-sto porta anche delle positività: «In realtà– osserva infatti Donatella Bramanti, do-cente all’Università Cattolica di Milano,tra i responsabili del Centro di ateneo distudi e ricerche sulla famiglia – c’è unaqualità di relazione che è elemento di-stintivo. Se sussiste uno scambio tra ge-nerazioni, ciò aiuta ad aumentare la sod-disfazione personale e dà al caregiver piùanziano un minor senso di invecchiamen-to». Quindi, coloro che si prendono curadei componenti più deboli della propria fa-miglia, più che un "sandwich", dovreb-bero sentirsi una "cerniera" nello scambiocontinuo di affetti, di conoscenze ed e-sperienze. Una recente ricerca sugli an-ziani attivi, condotta dal Centro di ateneodi studi e ricerche sulla famiglia, ha deli-neato un ritratto leggermente differente

del caregiver: «Tutto si sposta più avanti– illustra in proposito Donatella Braman-ti –. Vent’anni fa la "generazione sandwi-ch" era composta da cinquantenni, oggiabbiamo caregiver di 65-74 anni. Anchegli over 65 infatti attualmente hanno re-sponsabilità di cura su figli non autono-mi, oppure su nipoti, con la presenza digrandi anziani (over 85) che hanno biso-gno di un supporto, essendo quest’ultimauna fascia di età condizionata da croni-cità e da non autosufficienza. La genera-zione sandwich aumenta di età, o megliole donne non si emancipano mai: dai qua-rant’anni in su, hanno carichi sulla di-scendenza e sull’ascendenza. Carichi di-versi a seconda delle situazioni. C’è inquesto un elemento di positività: i caregi-ver sono una cerniera nello scambio tra ge-nerazioni. Coloro che riescono a ricom-porre le relazioni sono più soddisfatti,mentre chi non ci riesce ha tratti di mag-giori difficoltà». Tre elementi, individuala docente, incidono sulla ricomposizio-ne delle relazioni: la sfera culturale, la sa-

Si chiama «generazionesandwich» e spesso

risulta schiacciata trabambini, anziani.

Sostegno in rete ebuone relazioni per

agevolare il compito

PBarbara

Garavaglia

novembre 2017

NOI18

famiglia vita Il Paese che invecchia

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lute (per quanto riguarda i caregiver chehanno oltre sessant’anni), i soldi.Nel futuro, però, questa schiera di perso-ne che si mettono a servizio dei propri fa-miliari, cercando di conciliare la cura deifigli, il lavoro, l’accudimento degli anzia-ni, si assottiglierà: «Il supporto e lo scam-bio generazionale sono punti che acco-munano le società occidentali. Sono peròruoli a rischio nel futuro, perché si gene-rano sempre meno figli e quindi avremobambini che si troveranno un esercito dianziani di cui farsi carico. Sarà una gene-razione sempre più schiacciata».Ne discende l’importanza di puntare suwelfare e sui contesti di vita. «Esiste u-na premialità per coloro che si occupanodei propri familiari? Per ora no – con-clude Bramanti –. Inoltre è urgente unalungimiranza delle amministrazioni lo-cali che conoscono i propri territori. Nonè facile infatti vivere da anziani e aiutar-li sia nei nostri bei paesini arroccati chenelle grandi città».

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La psicologaDonatella Bramanti:

sfera culturale,salute e disponibilità

economiche sono itre fattori che fanno

la differenza

Italia è il Paese piùanziano d’Europa, il

secondo al mondo dietro alGiappone. Secondo leprevisioni dell’Organizzazionemondiale della sanità, nel 2050un italiano su tre avrà più di 65anni, alzando così lapercentuale attuale che già siattesta al 25 per cento. È questal’altra faccia di un Paese chenon fa più figli (la media è di1,35 bambini per donna) eassiste colpevolmente daspettatore all’avventodell’inverno demografico. Maquanto potrà durare ancora la"glaciazione" e soprattutto cosaoccorre fare nell’attesa chenuove politiche e soprattutto uncambiamento di paradigmaculturale possano invertire larotta? Chi si è mosso per primo– e ciò non deve stupire – èstato il mondo dell’impresa edei servizi. Si sta cioèragionando, nel mondodell’alta finanza così come nelsettore delle assicurazioni edella previdenza, sul fenomenodella "Silver economy",l’economia che si stasviluppando e che si svilupperàgrazie al progressivoinvecchiamento dellapopolazione: al centro cisaranno brizzolati cinquantennie settantenni super-attivi, nelpieno degli anni durante "l’etàd’argento". Saranno loro ipotenziali protagonisti delmercato di domani ed è sulleloro abitudini, sui loro costumidi vita e sulle loro scelted’acquisto che si stannoorientando significativamentesia il segmento della cura dellapersona sia il comparto dellacultura e dell’educazione. Nonsolo: come dimostra ilsempreverde dibattito sullepensioni, è lo Stato stesso, allavoce spesa pubblica, il soggettoforse più interessato acomprendere meglio e prima dialtri il fenomeno sociale degliultrasessantenni.Le stime diffuse recentementeda Assoprevidenza dicono chetra i 55 e i 64 anni il 40% dellefamiglie italiane dispone di unaricchezza netta superiore ai250mila euro, che nel 30% deicasi ha mezzi economici e

’Ltempo sufficiente per aiutare ifamiliari, che nell’ultimodecennio ha aumentato laconoscenza di Internet e lapartecipazione ad attivitàculturali. L’impatto della"Silver economy" sul Pil èaddirittura stato stimato in 620miliardi, l’Unione europea hagià varato programmi ad hoclegati alla salute eall’assistenza invitando lepiccole e medie imprese ainvestire in progetti ad altocontenuto innovativo destinati apersone anziane.Tutto questo però non basteràse le ricadute saranno soltantodi tipo economico. Alcontrario, sarà necessariointrecciare i numeri dellafinanza con le dinamiche dellasocietà civile, che negli ultimi20 anni ha peraltro giàanticipato queste tendenze.Nelle città e nei paesi, ibenefici arrivati grazie allapresenza di pensionati chehanno saputo farsi carico dinipoti sono stati evidenti, ancordi più negli anni dellarecessione. Di fatto, le paginedi un nuovo welfare, necessariotanto più in tempi di finanzepubbliche meno generose, sonostate scritte in anticipo suitempi e la capacità degli over60 di fare da "cuscinetto" tra legenerazioni, attenuando i rischidi uno scontro sociale, è statafondamentale.In futuro, il "mondo adulto"sarà chiamato sempre di più arelazionarsi e a trarre beneficiodal confronto con le nuovegenerazioni. Alla Rsa SantaLucia di Milano un gruppo distudenti della Scuola Europa haguidato gli ospiti della strutturain un percorso diapprendimento delle nuovetecnologie, dall’uso dei tabletalle modalità di navigazioneonline. "Nativi digitali" da unaparte e over 65 dall’altra:l’incontro tra i due mondidiventerà un elementoindispensabile di coesionesociale, soprattutto fuori dallarealtà virtuale.

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Denatalità e over 65Prove dʼorchestraper il nuovo welfare

MICROCOSMI

2.0

novembre 2017 19NOI famiglia vita Il Paese che invecchia

DiegoMotta

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La malattia e la cadutaIl doppio miracolo di Ann

hristy Wilson e Kevin Beam abi-tano nel Texas. Lui è veterinario,

lei ha fatto l’insegnante per cinque anni,poi ha dovuto dedicarsi a tempo pieno aisuoi cari. Sono sposati da 22 anni e han-no tre figlie: Abigail, abbreviato Abby, lamaggiore, sempre a suo agio nel dibatti-to, poi Annabel, detta Ann, gentile e sag-gia, e la piccola, gioiosa, Adelynn. Mam-ma le chiama le sue sirenette, perché a-mano nuotare, o anche "scimmiette", per-ché sono abili a salire sulle piante. I co-niugi Beam sono testimoni oculari di unastoria eccezionale. Sei anni fa la loro vitaè stata toccata da Gesù, non diversamen-te da alcuni genitori di cui sappiamo dalVangelo, con la prodigiosa guarigione del-la secondogenita da un male cronico. Ann,oggi 15enne, ha iniziato a soffrirne a par-tire dal 2006. Li incontro alcune settima-ne fa a Rubiera, in provincia di Reggio E-milia, dove il parroco don Carlo Sacchet-ti li ha chiamati per una testimonianza inpiazza che ha radunato circa 800 persone.È la loro prima uscita in Europa.L’impressione che trasmettono subito èquella di un profondo affiatamento inte-riore: quello di chi ha visto la morte di u-na figlia da vicino e ha temprato la sua fe-de. «Kevin è la mia roccia, colui che miincoraggia sempre», dice la moglie delmarito. Quanto a Christy, è lei – come tan-te mamme – l’anima della comunicazio-ne con l’esterno, lei che si è incaricata difar conoscere al mondo il dono straordi-nario ricevuto in un libro diventato prestoun best seller. «Prima che Ann si amma-lasse – racconta – eravamo una famiglianormale e molto impegnata»: amici a ca-sa, il football, le liturgie della comunità e-vangelica e il gruppo di preghiera setti-manale. «Io e Kevin abbiamo sempre cre-duto nei miracoli… in teoria. Il nostro ma-trimonio era forte – dice ancora Christy –ma non era ancora stato messo alla pro-va». Ann comincia ad accusare mal di pan-cia, vomita sempre. Il suo malessere è sot-tovalutato dai medici, finché la bimba, 5anni, non rischia la pelle e viene sottopo-sta a interventi chirurgici. Arriva la dia-gnosi: pseudo ostruzione intestinale e i-pomotilità antrale: praticamente il cibo siblocca fra stomaco e intestino. Per quat-tro anni e mezzo Kevin e Christy vivonoun calvario. Dopo mesi di telefonate e let-tere, la madre ottiene finalmente udienzada Samuel Nurko, un pediatra gastroen-terologo che lavora a Boston. Ogni 4-6settimane accompagna Ann per i ricoveriin clinica, mentre Kevin, a casa, si arra-batta con le altre figlie, accumula debiti,arriva a vendere pick-up e motocicletta.

uno dei pioppi neri del parco di casa, il piùmaestoso, alto 30 metri. «Per i nativi a-mericani il pioppo è l’albero della vita»,sorride Christy. Le sorelle riescono ad ar-rampicarsi per nove metri e si siedono suun ramo secco, che però inizia a spezzar-si; a quel punto Abby urla ad Ann di ripa-rarsi in una cavità del fusto, che si rivelaun’insidia, perché la corteccia cede e labambina malata precipita all’interno deltronco cavo, «battendo la testa tre volte»,come scandisce Christy per sottolineareche la caduta poteva essere letale. Ann, tral’altro, rimane imprigionata all’ingiù nel-l’albero per diverse ore, svenuta. Quandoriprende coscienza, è serena al punto cheriesce a partecipare attivamente al suo stes-so salvataggio, seguendo le istruzioni deisoccorritori che calano nel tronco cavol’imbragatura che la farà uscire sostan-

zialmente illesa. Primo miraco-lo, dunque. L’altro si manifestadurante l’osservazione in ospe-dale: l’addome della bambina sisgonfia, la vitalità ritorna, i me-dicinali vengono ridotti e poi so-spesi. Cos’è successo "là den-tro" l’ha spiegato Ann solo do-po la guarigione clinica: mentreera nel pioppo è uscita dal suocorpo, si è trovata (benissimo) inparadiso, è stata seduta sulle gi-nocchia di Gesù. Lui le ha dettoche la sua ora non era arrivata,che avrebbe dovuto tornare in-dietro e che grazie alla compa-gnia dello Spirito Santo e del-l’angelo custode non sarebbe piùstata malata. Così è avvenuto. Idottori hanno parlato di remis-sione spontanea, ma il fenome-no rimane inspiegabile per la na-tura e per la scienza. Christy pre-ferisce chiamarlo miracolo dal

cielo. «I primi tempi – spiega – mi inner-vosivo con chi si rifiutava di credermi, poiho smesso di scompormi: io so com’erala mia vita prima e com’è oggi, so che ilSignore è fedele. E tu che ora non credi,mi limito a dire, un giorno crederai». Altempo stesso Christy insiste per aprire gliocchi di chi incontra sui miracoli che av-vengono sulla terra, vicino a noi, ogni gior-no: sono i gesti di amore silenziosi, le per-sone che si offrono gratuitamente di dareuna mano per rendere meno difficile la vi-ta a qualcun altro o di condividere per untratto del cammino la croce dell’altrui sof-ferenza. I coniugi texani ci tengono a ma-nifestare la loro vicinanza spirituale ai ge-nitori che attraversano tempi di turba-mento, lanciando un messaggio di spe-ranza: «Guardatevi intorno e vedete gliaiuti che il Signore vi dà: Dio è fedele».

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«Non ho mai messo in discussione la miafede – confessa Christy – ma mi chiede-vo: dove sei Dio? Non vedi cosa sta ac-cadendo a questa bambina? Durante que-gli anni ho imparato ad affidarmi ad altrepersone e alla loro preghiera, a dire: sì, hobisogno di aiuto». Intanto in clinica Ann confeziona una cro-ce di carta per contrassegnare il suo letti-no e infondere negli altri fiducia in Gesù,e inizia a confidare alla madre di non vo-lere più vivere, perché in paradiso stareb-be meglio che qui. Nemmeno il guruNurko può fare "miracoli" per questa gra-ve situazione. Finché a risolvere la que-stione provvede Gesù in persona. Il mo-do è rocambolesco. Dunque Ann è a casatra un ciclo di cure e l’altro, rannicchiatain posizione fetale sul divano; benché de-bilitata, accetta l’invito di Abby a salire su

CEdoardo

TincaniLʼincredibile

storia di una bimba

texana,“salvata” due

volte in situazioni

drammaticheI genitori,

evangelici:«Gesù ci

ha aiutato»

Best seller in tutto il mondoSuccesso anche per il film

La guarigione di Annabel e la testimonianzadella sua famiglia sono raccontate dalla ma-dre Christy Wilson nel libro Miracles fromHeaven, tradotto in quattordici lingue, edi-to in Italia da Piemme ("Miracoli dal cielo", ot-tobre 2016, 192 pagine). La storia ha com-mosso lʼAmerica e in breve tempo dal libro èstato tratto lʼomonimo film drammatico,scritto da Randy Brown e diretto da PatriciaRiggen. Tra i "miracoli" collaterali si può an-noverare la conversione di Jennifer Garner,lʼattrice che nel film impersona Christy af-fiancata da Martin Henderson nei panni diKevin Beam e da Kylie Rogers in quelli dellaprotagonista. (E.Tin.)

IL L

IBRO

La famigliaBeam

novembre 2017

NOI20

famiglia vita Buone notizie/1

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Un figlio per 7 oreIl dono più grande

i può vivere anche poche ore, malasciare un segno indelebile. Gia-

como non sarebbe mai dovuto nascere.Almeno, stando a tanti medici che ave-vano visitato la madre, Silvia, durante lagravidanza. Eppure. «7 ore e 44 di vita.Vita pura e piena. 7 ore e 44 minuti digioia e di pace. Di abbandono totale nel-le mani di Dio», scrive lei nel suo diario,alle 3 di notte del 29 febbraio 2016. Ilpiccolo è morto da qualche istante.La diagnosi prenatale era una sentenza i-nappellabile: anencefalia, mancanza cioèdella scatola cranica, aspettative di vitapraticamente nulle. Eppure Silvia e Ro-berto hanno deciso di portare avanti lagravidanza. «I figli ti sono dati da Qual-cun altro che o è una presenza viva cheporta speranza – racconta Silvia – o vie-ne meno tutto. Perché da soli non si ge-nera, non siamo nemmeno capaci di rap-porti di amicizia. La nostra fede e la com-pagnia della Chiesa ci hanno permesso,pur nel dolore, di stare davanti alla mor-te di nostro figlio».Silvia Fasana, 37 anni, originaria di Co-mo, il miracolo della vita lo conosce be-ne, ne aveva fatto una vocazione: ha la-vorato a lungo come ostetrica, prima ditrasferirsi a Dubai, nel 2011, insieme almarito Roberto Avallone, ingegnere, inseguito a una proposta di lavoro negli E-mirati Arabi, dove ora vivono. Dal ma-trimonio nascono tre bambine, Viola cheoggi ha 7 anni, Rachele 6 e Stella 3. Sil-via decide di smettere di lavorare per de-dicarsi interamente alla famiglia. Duran-te le vacanze estive in Italia, nel 2015,scopre di essere di nuovo incinta. Sonomomenti di gioia, fino alla sentenza del-la ginecologa di Dubai: anencefalia. Se-guono ore di angoscia, dolore, lacrime. Eanche di forti dubbi. Si chiede anche leise sia il caso di interrompere la gravi-danza. A un tratto, le viene in mente Chia-ra Corbella, la giovane madre morta do-po aver rifiutato di curare un carcinomaalla lingua, in modo da far nascere cosìil figlio Francesco. Negli Emirati arabi, Paese a grande mag-gioranza islamica in cui erano andati an-che con l’idea di testimoniare la loro fe-de, l’aborto è vietato. Tranne proprio ilcaso di anencefalia. «Ma le vie del Si-gnore sono le sue e non ti lascia solo; dav-vero quelle ore con lui sono state di unabellezza e di un’intensità tale che non di-menticheremo mai». Dal loro coraggio-so sì, è fiorita una rete di rapporti e ami-cizie, che – da vicino o anche da moltolontano – ancora li sostiene. Tra questeElvira Parravicini, neonatologa italiana

se islamico». Così, quando, alle 7 e 16del 28 febbraio, Giacomo nasce, Rober-to lo battezza (come previsto per i laiciin caso di pericolo imminente di morte)tenendo con dolcezza le sue manine, e lomette in mezzo fra lui e Silvia sul diva-no letto della camera dell’ospedale.«Quel momento è stata una gioia condi-visa con tutti quelli che ci hanno aiuta-to. Quando poi siamo rimasti io e Ro-berto da soli, abbiamo vissuto una paceindescrivibile, sentivamo di aver fattotutto quel che potevamo fare. Eravamotranquilli e potevamo metterlo nelle brac-cia di Dio. E abbiamo compreso quale siail vero compito dei genitori, accompa-gnare i figli al loro destino».«Sapevo fin dall’inizio che il mio tempocon Giacomo sarebbe stato breve – rac-conta commosso Roberto –. Appena na-to la prima preoccupazione è stata con-trollare che fosse vivo, per poterlo bat-tezzare in braccio alla dottoressa. Che èmusulmana, ma ci ha seguito in tutto. Ri-pensando a questo gesto, anche in rap-porto alle nostre tre figlie, capisco beneil mio compito di padre, cioè di intro-durre loro alla realtà. Come avvenuto perGiacomo, dandogli il dono più grandeche potevo». Ora Silvia e Roberto sono in attesa delquarto figlio: sarà un’altra bambina. E difronte alle domande delle loro figlie chechiedono, in continuazione, se questa so-rellina rimarrà con loro o andrà in Cielopure lei, Roberto risponde che «il male ela morte non sono l’ultima parola. È sta-ta la scoperta più grande di tutta questavicenda. Lasciano il segno, ma non sonol’ultima parola».

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del Morgan Stanley children’s hospitaldi New York, che si occupa del comfortcare per i casi di bambini con patologieincompatibili con la vita. E poi, suor Ra-chele, una religiosa comboniana italianain missione a Dubai. Anche mettere al corrente le figlie che illoro fratellino non sarebbe stato con lo-ro se non poche ore, diventa un passo "na-turale", per andare tutti insieme al cuoredel mistero della vita. Lunga o brevissi-ma che sia. Silvia decide di fissare ogniistante di quella di Giacomo in un diario,che è diventata anche un libro – Giaco-mo, il mio piccolo missionario, edizioniItaca, pagg. 136 – il cui ricavato sarà de-stinato proprio al "Neonatal comfort ca-re program", del Morgan Stanley chil-dren’s hospital di New York, perché al-tre donne non siano lasciate sole in un’e-sperienza simile. Scattano tante foto per ricordare il tem-po dell’attesa, stampano magliette conla scritta "Waiting for Giacomo" e "Bornte be loved", preparano i berrettini percoprirgli la testa subito dopo la nascita.Scrivono anche al Papa per raccontare diquesta loro esperienza. E dopo la suamorte, pranzano con amici e parenti, co-me se fosse una festa, certi che Giaco-mo sia già in Paradiso. «Pensando a cose grandi, non avrei pen-sato a te, Giacomo. Invece forse sei la co-sa più grande che mi è mai capitata – di-ce oggi Silvia –. Abbiamo peregrinatoper la città chiedendo un posto dove far-lo nascere, battezzarlo e tenerlo con noi– ricorda –. "Non vi vogliamo" ci dice-vano. Dopo mesi siamo riusciti a trova-re un posto dove fosse possibile anchebattezzarlo, cosa non scontata in un Pae-

SIrene

Trentin

Silvia eRoberto si

erano trasferitidallʼItalia a Dubai,

quando lei si è scoperta

incinta. Poi la diagnosi

infaustaIl diario

di quei novemesi

è diventato un libro

Una diagnosi di anencefalia,

lo sgomento, la preghiera, poi

la decisione di portarea termine

la gravidanzacon la forza della fede

SilviaFasanacon il piccoloGiacomo

novembre 2017 21NOI famiglia vita Buone notizie/2

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Sono la piccola suor Veronique.Ho ricevuto la chiamata del Si-

gnore. Ero agli sport invernali quando michiamò. Ho compreso la sua voce nel miocuore. Mi chiamò col mio nome: Veroni-que. Vieni e seguimi. Sono parole di una limpidezza disar-mante quelle con cui suor Veronique, contrisomia 21, sussurra la sua chiamata al-la vita religiosa. In un’Europa in cui lepersone con sindrome di Down sembra-no minacciate di estinzione, l’esperien-za delle Piccole Suore Discepole dell’A-gnello di Blanc, in Francia, una piccolacomunità che accoglie giova-ni religiose con trisomia 21,ci mostra in che modo le per-sone con disabilità possanoveramente essere un donospeciale per la comunità cri-stiana. Una luce per la fede. È quanto ci raccontano MadreLina e le sue piccole sorellecon sindrome di Down al con-vegno su "Catechesi e perso-ne con disabilità: un’atten-zione necessaria nella vita quotidiana del-la Chiesa" proposto dal Pontificio Con-siglio per la Promozione della Nuova E-vangelizzazione, che si è tenuto all’Uni-versità Urbaniana di Roma dal 20 a 22ottobre. Come sottolinea l’arcivescovoRino Fisichella all’apertura dei lavori:«In un tempo come il nostro in cui la di-sabilità vive di momenti alterni, a causadelle diverse situazioni storico, sociali,politiche e culturali, suscitare l’interessedella Chiesa (…) appare non solo obbli-gatorio, ma urgente». Ecco allora che per la prima volta in Va-ticano si sono raccolte quasi cinquecen-to persone provenienti da tutto il mondoper condividere esperienze e riflessionidi cristiani che si adoperano per una Chie-sa a misura di disabile in cui «nessuno si

senta straniero a casa propria» e in cui «lepersone con disabilità possano essere lo-ro stesse catechisti, anche con la loro te-stimonianza, per trasmettere la fede inmodo più efficace», come si augura pa-pa Francesco nel discorso rivolto in Sa-la Clementina ai partecipanti all’evento.Probabilmente è questa catechesi spe-ciale, quella che la famiglia cristiana spe-rimenta nell’incontro con la disabilità ilcontributo più profetico e il rovescia-mento di prospettiva che emerge dal Con-vegno. Si potrebbe parlare di una sorta dipedagogia speciale rovesciata, operantenella condivisione di momenti di vita conle persone disabili, che trasforma la no-stra vita, portandoci ad un’autentica con-versione, ad un cambiamento di sguardosu noi stessi e la realtà della fede.Perché, come spesso ci ricorda Jean Va-nier, profeta dell’accoglienza e della con-divisione della vita con le persone vul-nerabili, l’incontro con la disabilità peril cristiano non è una difficoltà in più dafronteggiare, ma una ricchezza inesti-mabile che ci permette di tornare all’es-senziale della fede nel Salvatore. Il corpo e la mente ferita, infatti, che piùda vicino partecipano del mistero delCrocifisso Risorto, possono costituire unluogo privilegiato di incontro con il Si-gnore: con la tenerezza dell’amore di Dioper le sue creature più fragili e con il mi-stero del Cristo vivente in loro, che ci po-ne come a Pietro la domanda: «Mi amitu più di costoro?», «Puoi amarmi, cosìcome sono?». Una domanda che "buca"le tenebre di ognuno di noi, che ci mettein contatto con le nostre ferite più segre-te e con la paura di essere a nostra voltarifiutati, "scartati" e abbandonati per lenostre inadeguatezze e imperfezioni. Unincontro che, oltre ogni intellettualismo,sollecita l’intelligenza del cuore e spri-giona un’esperienza poliedrica d’accet-tazione e d’amore. Al di là di ogni di-stinzione tra abilità e disabilità, ci sco-priamo infatti tutti accomunati da una

fragilità sostanziale, inesauribilmente as-setati d’amore e pervasi dal desiderio diquella felicità che è segno del nostro piùautentico desiderio di Dio. Perché nes-

Nel convegno in Vaticano

le testimonianze dichi non si è arreso

alla fragilità e hatrovato nuove strade

per proseguire ilcammino cristiano

È «ancora troppo forte nellamentalità comune unatteggiamento di rifiuto» delladisabilità come se questacondizione «impedisse di esserefelici e di realizzare se stessi».Così Francesco ai partecipanti alconvegno “Catechesi e personecon disabilità: un’attenzionenecessaria nella vita quotidianadella Chiesa” per denunciare una«falsa concezione della vita»: èquella che esclude i deboli e ifragili e che purtroppo domina «alivello culturale» traducendoci in«espressioni che ledono la dignitàdi queste persone». E afferma con

forza: «Lo prova la tendenzaeugenetica a sopprimere i nascituriche presentano qualche forma diimperfezione». Invece, aggiunge ilPontefice,«tutticonosciamotante personeche, con le lorofragilità, anchegravi, hannotrovato, pur confatica, la strada di una vita buona ericca di significato. Come d’altraparte conosciamo personeapparentemente perfette edisperate». E chiarisce: «È un

pericoloso inganno pensare diessere invulnerabili. Come dicevauna ragazza che ho incontrato nelmio recente viaggio in Colombia,

la vulnerabilitàappartieneall’essenzadell’umano».Dinanzi a certetendenze chealimentano lacultura dello

scarto, il Papa propone come«risposta» l’«amore». «Nellamisura in cui si è accolti e amati,inclusi nella comunità eaccompagnati a guardare al futuro

con fiducia, si sviluppa il veropercorso della vita e si faesperienza della felicità duratura»,sottolinea Francesco. E ricorda che«la fede è una grande compagna divita quando ci consente di toccarecon mano la presenza di un Padreche non lascia mai sole le suecreature, in nessuna condizionedella loro vita». Poi il richiamo.«La Chiesa non può essere“afona” o “stonata” nella difesa epromozione delle persone condisabilità». Ed è vicino allefamiglie che aiuta a superare lasolitudine.

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SLaura

Capantini

novembre 2017

NOI22

famiglia vita Vangelo senza handicap

Il Papa: no allʼeugenetica che vuole cancellare lʼimperfezione

La fede trasforma in risorse

«Tutti conosciamopersone che, pur conle loro fragilità, hanno

trovato la strada di unavita ricca di significato»

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suno è troppo disabile per la gioia e in-sieme ci riconosciamo bisognosi di quel-la pace che solo l’abbraccio misericor-dioso di Dio può donarci.La persona disabile, inoltre, costante-mente dipendente dall’altro a causa deisuoi handicap, svela l’inganno del mitodell’individualismo e dell’autosufficien-za e si rivela per il cristiano una vera epropria preghiera vivente, una testimo-nianza permanente di affidamento. Chiabbia qualche volta partecipato ad espe-rienze di preghiera in cui sono vivamen-te coinvolte persone con disabilità – co-me quelle proposte al Convegno grazieall’animazione, tra le altre realtà, di Fe-de e Luce, della Comunità dei Sordi Eu-ropei e delle Persone con Sindrome del-lo Spettro Autistico – ben conosce l’av-volgente e trascinante energia che puòcaratterizzarle. Volti attenti e rispostetempestive, mani che si cercano e vociesultanti nel canto, sguardi radiosi ecorpi pulsanti annunciano la gioia in-contenibile dell’incontro con Gesù edella comunione con i fratelli.

Celebrazioni nelle quali si coglie quan-to possa essere potente l’intuizione mi-stica del Signore, l’empatia naturale dimolte di queste persone e che rivelanoimmediatamente la verità evangelica percui nessuno si salva da solo, ma insiemesi attraversa l’esistenza prendendosi cu-ra, facendosi compagni e custodi l’unodell’altro. Vivendo ogni giorno per co-struire un Regno fondato su pietre scar-tate, in una esperienza misteriosa di re-surrezione che non lascia alla morte l’ul-tima parola, ma sempre cerca di conver-tire il mortifero e la vulnerabilità in vi-talità, lo svantaggio in occasione di cre-scita, l’handicap in attivazione di risorsenascoste e potenzialità d’amore.È questa la catechesi quotidiana che si vi-ve condividendo la vita con le personegravemente disabili, come ci ricorda donGabriele Pipinato, fondatore del SaintMartin Catholic Social Apostolate di Ta-litha-Kum e delle comunità dell’Arca aNyahururu (Kenia) : «Nella comunionedel vivere insieme si diventa una fami-glia e cadono tutte le barriere: cade la

barriera della disabilità bisognosa di aiu-to ed emerge la persona bisognosa di a-more, cade l’ossessione di fare il bene-fattore ed emerge la gioia di essere fra-tello, cade la presunzione di insegnare avivere a chi ha un ritardo mentale ed e-merge l’umiltà di imparare proprio daqueste persone a essere felici». Una fe-licità sorprendente, delicata e commo-vente, che non cancella il dolore e la sof-ferenza, ma che sostiene e sospinge real-mente il cammino, di chi si fa compagnodella fragilità. Un cammino profondamente trasforma-tivo, nel dono di una fede che, come di-ce san Paolo, diventa operosa e si ac-compagna a faticosa carità e ferma spe-

ranza, nella ricerca instan-cabile di nuove vie di an-nuncio della buona notizia,rivolte a tutti, inclusive perognuno. Se, come sottoli-nea Fiorenza Pestelli, col-laboratrice del settore di-sabili dell’Ufficio catechi-stico Cei, «includere è ri-conoscere chiunque comefratello e sorella, è fare spa-zio alle esigenze dell’altro,

è camminare con i tempi e modi della fra-gilità, è parlare e usare linguaggi e mo-di di esprimersi differenti», allora sicomprende quanto in questi anni si pos-sa essere sprigionata la creatività perrealizzare sussidi, strumenti, metodolo-gie e pratiche che aiutino ad incontrareGesù attraverso le vie del cuore, cosìcome ben documentato dalle esperien-ze internazionali presentate al convegnoe dalla mostra "Il Catechismo dellaChiesa Cattolica Accessibile. Strumen-ti pastorali e catechetici per l’inclusio-ne delle persone con disabilità".

Ecco allora delinearsi unacatechesi della tenerezzanella reciprocità tra di-verse abilità. Strumentodelicato e potente, strug-gente e concreto di unaChiesa che davvero si famadre e cerca incessante-mente di parlare al cuoredi ogni uomo: modulan-dosi e accordandosi sulla

tonalità dei suoi figli più fragili e, at-traverso di essi, rivelando veramentel’operato di Dio in Gesù Cristo, la suascelta di minorità, di vulnerabilità, diunità, perché tutti siano una cosa sola. E così siamo grati al sorriso di suor Ve-ronique e suor Camille, le piccole suoredi Le Blanc con trisomia 21, alla lorogioia semplice e autentica, alla dolcezzae amorevolezza dei loro sguardi, vera ca-techesi di quella tenerezza che, come ciricorda costantemente papa Francesco,ispira il sorriso di Dio su di noi, la suacarezza sul nostro volto, la sua gioia perla nostra esistenza.

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Le persone disabilirappresentano con le loro difficoltà una sorta di pedagogiarovesciata cheinterroga lʼefficientismodella società

La catechesi devetrovare le parole e le modalitàpiù adatte perinfondere nel cuore diogni uomo, in qualsiasicondizione si trovi,segni di speranza

novembre 2017 23NOI famiglia vita Vangelo senza handicap

le ferite della disabilità

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i intitola “Animatori difelicità, sulle orme di San

Paolo” il corso annuale diformazione Animatema di

famiglia, promosso dall’Ufficionazionale per la pastorale della famigliadella Cei, in programma all’Abbaziadelle Tre Fontane di Roma, dall’8 al 10dicembre. Il corso è rivolto a ragazziche hanno già compiuto 18 anni e nonne hanno ancora compiuti 28 e chehanno già una buona esperienza dianimazione in diocesi o in parrocchia,oltre che agli animatori di Animatemadi famiglia.«Il corso – spiegano i promotori –richiede motivazioni interiori profondeper vivere un così bel momento dispiritualità in cui formarsi al serviziodei più piccoli. Per chi si iscrive èprevista la partecipazione a tutti imomenti formativi del corso».Info: www.chiesacattolica.it/famiglia.

S

utto porta a credere che le per-sone disabili o portatrici di han-

dicap hanno bisogno del nostro aiuto. Enella vetrina del mondo moderno ci pia-ce contemplare le opere caritative che lasocietà mette a loro disposizione.La Chiesa si è interrogata sul loro postonella catechesi, nel corso del convegno«Catechesi e persone portatrici di handi-cap», tenutosi in Vaticano occasione del25° anniversario della promulgazionedel Catechismo della Chiesa Cattolica(ne parliamo diffusamente anche nellepagine precedenti). Papa Francesco si èrivolto ai partecipanti il 21 ottobre scor-so, al fine di sottolineare questo para-dosso del nostro tempo: la contraddi-zione tra un atteggiamento di facciatasempre più aperto ai disabili e una realtàche vede i portatori di handicap sparirea vista d’occhio.«Conosciamo – ha dichiarato il Papa – ilgrande sviluppo che si è verificato negliultimi decenni riguardo all’handicap»:sviluppo per quanto riguarda discorso sul-l’inclusione e il rispetto delle persone por-tatrici di handicap, sostituzione di defi-nizioni stigmatizzanti come "cieco","monco", "mongoloide" con altre menooffensive, come non vedente, persona amobilità ridotta, o affetta da trisomia 21.Queste nuove denominazioni sono ac-compagnate dalla approvazione di nor-me per l’accoglienza dei disabili nellospazio pubblico, per la diffusione di tra-smissioni sottotitolate o accompagnatedal linguaggio dei segni, per l’educazio-

ne alla tolleranza e al rispetto dell’altro,soprattutto se diverso.Pur avendo ben presente tutto ciò, il Pa-pa denuncia tuttavia una realtà ben più tra-gica: «Un atteggiamento di rifiuto di que-sta condizione, come se essa impedissedi essere felice e di realizzarsi, è ancoratroppo forte nella mentalità comune. Latendenza eugenetica a sopprimere i na-scituri che presentano qualche forma diimperfezione ne è la prova». Poiché, amonte dello sviluppo dei servizi sociali,

sono al lavoro i tecnici diun preteso progresso perl’umanità: coloro che pro-ducono i test prenatali peravvertire sui rischi di infer-mità del feto; coloro chepraticano gli aborti seletti-vi per evitare la nascita diun bambino ritenuto trop-po pesantemente gravato dahandicap per poter esserefelice; coloro che militanoper spegnere l’esistenza dei

sofferenti, degli agonizzanti, degli ab-bandonati dalla fortuna, schiacciati dalcarico troppo pesante della loro disabilità. Due tipi di amore hanno costruito due di-versi modelli di città. La città del XXIsecolo rifiuta le fondamenta poste dall’a-more di Dio e si costruisce su quelle del-l’amore di sé.Due diverse visioni governano il rappor-to dell’uomo moderno con il portatore dihandicap, afferma il Papa: il narcisismoe l’utilitarismo. «Una visione sovente nar-cisistica e utilitaristica conduce sfortu-natamente molte persone a considerare iportatori di handicap come marginali,

senza cogliere in essi la loro multiformericchezza umana e spirituale».In una città modellata dal mercato, che o-rienta le sue aspirazioni al progresso tec-

na Chiesache annun-

cia il volto di Cristonell’amore: per unapastorale familiareche avangelizza”. Èil tema dell’incontrodi formazione pro-mosso dalla Pastora-le familiare delladiocesi di Verona,per domenica 3 di-cembre, a San Fi-denzio. Relatore ildirettore del Cpf,don Francesco Pillo-ni. Informazioni:www.famiglie.dio-cesiverona.it.

U“ l Centro di spiri-tualità domestica

Santuario diSant’Antonio di Bo-ves (Cuneo), propo-ne un fine settimanadi spiritualità percoppie e famiglie,dall’8 al 10 dicem-bre. Tema: “Sce-gliersi per potersi ri-scegliere”. La duegiorni sarà guidatadai coniugi MariaGrazia e UmbertoBovani. Per info:www.santantoniobo-ves.it.; [email protected].

I

isagio familiare: problema oopportunità?”. È il titolo del

seminario, promosso dalla Federazio-ne no profit Progetto famiglia onlus, inprogramma a Potenza il 7 dicembre.L’incontro si terrà presso la Caritasdiocesana dalle 9 alle 14 ed è accredi-tato da Cnoas per la concessione dicrediti formativi. Per informazioni: [email protected].

D“

Nelle virtù teologali si rivela la veritàdellʼhandicap. I disabilihanno bisogno dellaChiesa poiché essimanifestano nei loro stessi corpi la vulnerabilità iscrittanella natura umana

TJean Marie

Le Méné*

Animatema, corsodi formazione

Verona, annunciarenellʼamoreil voltodi Cristo

Boves,due giorniper coppie:impararea scegliersiIN BREVE

Disagio familiare:seminario a Potenza

Fragilità, terapia per riscoprirenovembre 2017

NOI24

famiglia vita Vangelo senza handicap

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ncora troppe donne non “sfruttano” ilmomento della gravidanza per smette-

re per sempre con le sigarette. Attualmente inItalia il 26% delle fumatrici, che ha avuto unfiglio, continua con questo pericoloso vizio.

Per questo parte la campagnaantifumo “Speriamo che sia…l’ultima”, la prima rivolta alledonne in gravidanza e alle neo-mamme, promossa da WalceOnlus, l’associazione dei pa-zienti affetti da tumori toracici.

A

nici, il cittadino è un Narciso, innamora-to del suo corpo e della sua salute, desi-deroso dell’immagine che gli rimanda lospecchio televisivo. Nella vetrina dove

nifesta nella debolezza». Questa verità ètrasmessa, da un’epoca all’altra, da coloroche siamo soliti chiamare "i più fragili",ma che sono in realtà i nostri maestri: ibambini, i poveri, i malati, i disabili. Larisposta della fede è la certezza che an-che l’uomo più miserevole è fatto a im-magine di Dio. La risposta della carità èil movimento verso il basso dell’uomoche si umilia a servire il suo simile. Larisposta della speranza è la persona disa-bile, che l’innalza scoprendo in essa ilvolto di Cristo, nascosto nella sua infer-mità. È il Papa a dichiararlo: «Nessun li-mite fisico o psichico potrai mai esseredi impedimento a questo incontro, poichéil volto di Cristo rispende in ogni perso-na». È proprio questo volto che l’uomomoderno può e deve ritrovare.Tutto porta a credere che le persone por-tatrici di handicap abbiano bisogno di noi.In realtà siamo noi ad aver bisogno di lo-ro per ricordare che la felicità vera si in-contra su un cammino di sofferenza. L’a-nima umana, fatta a immagine del suoSalvatore, lascia cadere la maschera del-l’orgoglio e ritrova il suo vero volto, vol-to di un’umanità ferita, salvata dell’in-carnazione del suo Dio, che assumendocarne umana ha santificato ogni infer-mità, handicap, disabilità, passata e futu-ra, donando loro il potere di rendere piùgrandi coloro che ne sono portatori, in-sieme a quello di illuminare coloro chead essi si avvicinano. L’avevano ben in-tuito gli artisti che raffigurarono il bam-bino Gesù con i lineamenti radiosi di unbambino trisomico.

*presidente Fondazione Jerome Lejeune© RIPRODUZIONE RISERVATA

sono esposti gli handicappati, egli con-templa il suo riflesso: generoso senza fa-re sforzi e magnifico nel confronto. Sod-disfatto della sua semi-divinità, egli puòconsentire un groppo di emozione allagola per le persone sfavorite e per i piùdeboli. Compatisce coloro che gli sonopresentati in lontananza. In essi egli ri-vede eternamente il Mozart assassinato,e questo pensiero narcisistico è per lui ri-voltante. E dunque immorale che l’uo-mo, così bello e così potente, possa sof-frire in tal modo. Occorre che ciò abbiafine. Allora l’utilitarismo può finalmen-te imporre la sua legge sovrana: è moral-mente buono ciò che massimizza il be-nessere per il maggior numero di perso-ne. Il vizio è rappresentato dalla soffe-renza, dalla malattia, dalla disabilità. Ri-spetto a questo attacco su due fronti, ilruolo della Chiesa è di far ascoltare la ri-sposta che portano le persone inferme odisabili: la risposta della fede, della ca-rità, della speranza. È nelle tre virtù teo-logali, citate dal Papa, che si rivela la ve-rità dell’handicap. I portatori di handicaphanno bisogno della Chiesa poiché essimanifestano nei loro stessi corpi la vul-nerabilità iscritta nella natura umana.Essi hanno bisogno della Chiesa poichéla Chiesa rivela loro, nel suo insegna-mento, che la loro condizione non è unvizio della natura, ma porta una rivela-zione: la manifestazione della grandezzadella natura umana nella sua fragilità. Ela fede a insegnarlo, attraverso la paroladel Padre presente nell’anima dei suoi fi-gli, attraverso questa parola indirizzata asan Paolo duemila anni fa: «Ti basti lamia grazia. Poiché la mia potenza si ma-

La carezza di undisabile al Papa

naugurato a Bologna il Centro arti escienze Golinelli, una nuova iniziativa a

vocazione sperimentale e internazionale,la cui progettazione architettonica è stataaffidata a Mario Cucinella Architects. «O-biettivo di Opificio Golinelli –si legge in una nota – è di-ventare una Città per la cono-scenza e la cultura, un centrovocato in maniera integrata aeducazione, formazione, cul-tura, ricerca e impresa».

I

Korian Italia e Gribaudo presentano l’an-tologia di racconti dal titolo “Nonno, miracconti una storia?”, di Antonella An-tonelli e Laura Locatelli, con illustrazio-ni a cura di Chiara Raineri. La raccolta,

che racchiude trenta racconti, mette afrutto il lavoro degli educatori delle Rsadel Gruppo Korian, che hanno intervi-stato più di cinquecento nonni ospiti dicirca quaranta residenze in tutta Italia.

ontribuire a migliorare la qualità divita dei piccoli pazienti attraverso

degli allenamenti calibrati. È quello che fail progetto di ricerca Sport Therapy per imalati di leucemia ospiti del Centro MariaLetizia Verga di Monza. Il progetto, partitosei mesi fa anche grazie alla collaborazionedei medici dello sport dell’Università diMilano-Bicocca, prevede uno specialeprogramma di allenamento e riabilitazionemotoria studiato ad hoc per bambini eragazzi in terapia oncologica. Importanti inumeri raggiunti: 47 partecipanti per oltre500 sessioni di allenamento. Che hannoportato al miglioramento della capacitàaerobica, alla riduzione del temponecessario per salire e scendere le scale,all’aumento della forza e al miglioramentodi motricità e tempi di reazione.

C

Bologna, arti e scienze:apre Centro Golinelli

Donne, dopo il partobasta con le sigarette

Lo sportaiuta ibambinimalati dileucemia

Raccolte in un volume le storie di 500 nonni

novembre 2017 25NOI famiglia vita Vangelo senza handicap

il mistero di speranza e carità

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novembre 2017 27NOI famiglia vitaL’analisi

Eutanasia senza limitiOra tocca agli anziani?

a cultura eutanasica si fonda sull’e-sasperazione del concetto di auto-

determinazione, sebbene in tutto il mondo lespinte a favore dell’eutanasia facciano levasul dolore insopportabile e sul rifiuto della vi-ta in condizioni di presunta indegnità. Studi importanti (l’ultimo, canadese, pub-blicato sul New England Journal of Medici-ne del 27 maggio scorso) mostrano tuttaviache la richiesta di essere aiutati a morire nonè causata dalla presenza di dolori insoppor-tabili, ma piuttosto dalla preoccupazione diperdere l’autonomia e la capacità di con-trollo. Secondo i ricercatori canadesi, la mo-tivazione principale delle richieste di porrefine alla propria vita era, infatti, il "distressesistenziale", cioè la fatica del vivere. Vi è un paradosso in tutto ciò, vi-sto che la rivendicazione dell’au-todeterminazione è in contraddi-zione con il disagio esistenziale econ i condizionamenti che accom-pagnano la fatica del vivere.È davvero libero chi è stanco di vi-vere, chi si sente un peso, chi è de-presso? Anche quando è in gradodi darsi la morte da solo, è davve-ro libero il suicida?E per quanto riguarda l’espe-rienza già accumulatasi sul ter-reno, erano davvero liberi di sce-gliere la morte i malati psichia-trici la cui richiesta di esseremessi a morte è stata approvatain Belgio e in Olanda? Eranodavvero liberi gli italiani che,giudicando inaccettabile la lorocondizione, hanno ottenuto aiu-to per suicidarsi nelle asettichestanze di Dignitas a Zurigo? Nei casi estremi il paradosso è e-vidente. In California, il suicidioassistito è ammesso solo se «il pa-ziente non presenti una riduzionedelle sue capacità di giudizio acausa di un disturbo mentale».Grazie però al nuovo "End of Li-fe Option Act" anche i malati ter-minali ricoverati negli ospedalipsichiatrici ne avranno diritto.L’evidente contraddizione è stata risolta con-sentendo al malato terminale internato permalattia mentale di chiedere al Giudice diessere dimesso dalla custodia.In Belgio una nota psichiatra, Lieve Thien-pont, è stata invitata dalla pur permissiva com-missione nazionale per l’eutanasia, a rivede-re la facilità con cui autorizza l’eutanasia dimalati psichici. Ma anche una rete di ospedalipsichiatrici cattolici, quella dei Fratelli dellaCarità, ha ritenuto opportuno adeguarsi allatendenza, ignorando tutti i richiami.

no l’opzione normale con cui concludere lapropria esperienza terrena quando il disagioesistenziale toglie ogni speranza e prospetti-va alla vita ed essa diventa solo fatica, stan-chezza del vivere.I tempi sono dunque maturi per una nuovalegge ed è pronto un progetto di iniziativa go-vernativa che allargherà il diritto di eutanasiaanche alle persone in salute che ritengono diaver «completato la propria vita», per «potervimettere fine nella maniera dignitosa che ri-tengono opportuna». I ministri della Sanità edella Giustizia, Edith Schippers e Ard van deSteur, hanno spiegato che i beneficiari delprovvedimento saranno gli anziani, cioè lepersone più afflitte da solitudine e incertezzadelle prospettive e più a rischio per la perdi-ta di autonomia e di sicurezza.Solitudine che nelle società moderne interes-sa larghe fasce della popolazione: si stima ad-

dirittura il 45% dei pensionati a-mericani. Fenomeno che è desti-nato ad aggravarsi nelle nostre so-cietà sempre più invecchiate e ca-ratterizzate da coesione socialesempre più debole. Solitudine cheaumenta significativamente il ri-schio di malattia e il rischio di mor-te. Solitudine soprattutto che rap-presenta il vero tarlo che corrode,capace, più della malattia stessa, ditogliere ogni senso e gioia alla vi-ta. Solitudine, piaga silenziosa chenon risparmia neanche i giovani.Ma possono eutanasia e suici-dio assistito essere la rispostaalla solitudine e alla dispera-zione? Potrà la medicina man-tenere la sua vocazione di curase il medico potrà essere anchecolui che toglie la vita?È significativo che proprio pochesettimane or sono, la World Medi-cal Association abbia sentito il do-vere di chiedere con forza ai Par-lamentari dello Stato di Victoria inAustralia di votare contro il pro-getto di legge che introdurrebbel’eutanasia, invitando i medici ditutto il mondo a non partecipare aprocedure eutanasiche, anche do-ve la legge lo consentirebbe, per-ché l’eutanasia «creerà una situa-

zione di diretto conflitto con i doveri etici delmedico e corromperà il "tono etico" dellaprofessione» (vedi articolo di Antonio Spa-gnolo in questo numero). Il disagio e la ma-lattia mentale costituiscono un utile paradig-ma per rispondere a queste domande. La de-pressione, infatti, è malattia che tende a ri-solversi e che può essere ben curata, avendooggi a disposizione un armamentario tera-peutico ampio e diversificato (ne parla Eu-genio Borgna su questo numero).

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Nella vicina Olanda, nel 2015 sono stati re-gistrati come eutanasia per disturbi psichia-trici 56 casi (15 in più dell’anno preceden-

te) e 109 per demenza (erano81 nel 2014). Ad essi bisognaaggiungere certamente alcunidei casi registrati come seda-zione profonda continua, unaprocedura che è applicata or-mai in oltre il 18% dei casi dimorte in Olanda e che si ri-tiene serva anche per eluderenorme e controlli per i casi dieutanasia sprovvisti dei re-quisiti per l’autorizzazione.

L’esperienza olandese indica chiaramente cheil tema non ha più niente a che fare con la ma-lattia terminale o con il dolore incontrollabi-le e che le diverse modalità di morte medi-calmente assistita stanno diventando pian pia-

LGian Luigi

Gigli

Efficientismo e narcisismoinducono a spostare

sempre più in là il confinedella "dolce morte"

Ora può coinvolgere malatidi mente, domani anche

anziani soli?

Due ministri olandesihanno spiegato il progetto di un provvedimentoper coloro che, anche in salute, pensano di «aver completato la propria vita»

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Cav, nuova identitàper sfide più difficili

’era una volta l’Italia in cui l’a-borto era la prima emergenza. E

c’è ancora. All’aborto, però, s’è aggiun-to tutto il resto del male che travolge ledonne: la violenza degli uomini, la po-vertà, la precarietà lavorativa, la mancan-za di una casa, la necessità di scappare daPaesi lontani per cercare speranza e futu-ro, qui. Così che salvare una vita è diven-tato solo l’inizio.Contro tutto e tutti i Cav continuano a far-lo: 8.301 volte, per l’esattezza, è nato unbimbo che non doveva nascere nel 2016,a fronte di oltre 30mila richieste di aiutoraccolte, per circa la metà da parte di ge-stanti. Le sfide, però, superano i numeri equelle emerse nel corso del 37° Convegnonazionale di Milano appena concluso so-no tutte da affrontare.La prima è proprio quella dell’identità deiCav: cosa stanno diventando? E cosa in-vece dovrebbero essere? I numeri diconoche anche l’anno scorso a presentarsi fi-sicamente agli sportelli di aiuto sono sta-te soprattutto le donne straniere (8 su 10).Col loro carico di bisogni sempre più di-versificati: la gravidanza, certo, ma anchela mancanza di documenti, di una casa, diun lavoro, di un compagno (spesso rima-sto nel Paese d’origine, spesso chissà do-ve sistemato in Italia dal malconcio ser-vizio di accoglienza nostrano). Non è uncaso se, specie nelle periferie delle gran-di città o nelle province più coinvolte daiflussi migratori, i Cav stanno sopperendoalle voragini istituzionali trasformandosiin veri e propri sportelli assistenziali, pernon dire veri e propri ospedali da campo:«A me piace chiamarli vivai del nuovo u-manesimo, perché qui all’umano vieneancora dato un valore e uno spazio – spie-ga il presidente del Movimento per la vi-ta Gian Luigi Gigli –, ma è evidente chesi tratta di un processo di snaturalizza-zione del nostro ruolo».Tutto il contrario di quello che accade,invece, in Rete e al telefono, dove ai vo-lontari di Sos Vita a rivolgersi sono nel96% donne – e donne giovanissime – i-taliane. È una spaccatura netta «di cuidobbiamo prendere atto, bisogni diversiche ci chiedono risposte diverse – com-menta la coordinatrice di Sos Vita, Ma-ria Luisa Ranallo –. Concretamente si-gnifica che dobbiamo cambiare “tempo”,perché quando qualcuno si presenta incarne ed ossa c’è tempo per una relazio-ne diretta e per la formulazione di una ri-sposta, oltre che di un progetto. Onlinee alla cornetta no».Il tempo, nell’era dei social e delle do-

mande poste alla barra di ricerca di Goo-gle, è adesso. La domanda, invece che"tengo o butto via questo bambino?", è"cosa faccio se sono rimasta incinta?". O,nel 32% dei casi, " cosa faccio se la miacompagna è rimasta incinta?". Già, per-ché online ai Cav si rivolgono anche gliuomini, quelli che alla porta dei 349 cen-tri sparsi in tutta Italia non bussano mai.«È il potere della “paura del concepi-mento” – continua Ranallo – e anche inquesto caso siamo innanzi a un cambia-mento: le donne e anche alcuni uominici contattano in fase di “rischio”, cioèprima di trovarsi nella condizione di sce-gliere se tenere un figlio e no». Il chesposta anche l’orizzonte d’azione dellacultura della vita: ci si deve armare perarrivare prima, in quel terreno ancoratroppo inesplorato dalle agenzie educa-tive e dove purtroppo si stanno facendolargo in modo allarmante il rimedio fai-da-te. Cioè l’impiego delle pillole.

Ed eccola, l’altra frontieradell’emergenza, che nonguarda in faccia nemmenoil passaporto. Straniere e i-taliane, giovani o meno gio-vani, migliaia di donne sichiudono in casa e decido-no di affrontare tutto – lapaura, il rischio e anche l’a-borto – da sole. I numeri del“successo” farmaceuticodella pillola del giorno do-po e di quella dei 5 giornidopo sono ormai noti – nel2016 si è attestato a un+686% rispetto all’annoprecedente – e ora comin-

ciano a farsi notare anche nei Cav: dove,l’allarme è stato lanciato proprio al con-vegno milanese dalla Fondazione Vitanova (che si occupa dell’erogazione deiProgetti Gemma), gradualmente le do-mande di aiuto economico stanno di-minuendo. «La flessione di richieste cidice che meno donne si trovano nellasituazione di dover decidere se tenere unfiglio – spiega il presidente, Gianni Vez-zani –, che è quella in cui i volontaripropongono appunto l’attivazione di unProgetto Gemma. Questo vuol dire chele donne a quel punto non ci arrivanopiù, abortiscono prima».Prima, ecco di nuovo la parola chiave: «Èil passo più in là che siamo chiamati a fa-re, la frontiera educativa che dobbiamosfondare nella società, nelle scuole, per lastrada – continua Gigli – uscendo daglistessi Centri per andare dove la vita ha bi-sogno più che mai d’essere sostenuta».La vita chiama, i Cav rispondono.

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Sono soprattuttoimmigrate (8 su 10) le mamme chebussano alle porte deiCentri di aiuto alla vita,ma in rete e al telefonosono al 96% italianeDal convegno di Milano un quadrodei nuovi bisogni,insieme drammatico e confortante

CVivianaDaloiso

novembre 2017

NOI28

famiglia vita Volontari per la vita

349Cav in Italia

30milaDonne accolte nel 2016

80%Le straniere

8.301 Bambini nati nel 2016

400Posti letti

nelle 41 case dei volontari

I NUMERI

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l momento non sono previste inizia-tive di comunicazione riguardanti in

particolare il parto in anonimato. Tuttavia, sul"portale" del Ministero della salute sono pre-senti specifiche informazioni sulla tematicain questione». Così il Governo, per boccadel sottosegretario alla Salute, Davide Fa-raone, ha risposto a una domanda sempli-ce-semplice: quali iniziative intende avvia-re il Governo per scongiurare gli infantici-di e gli abbandoni dei neonati? Risposta:nessuna, appunto. Non è in atto nessunacampagna di informazione per diffondere laconsapevolezza che parto-rire in totale anonimato sipuò e che è un diritto. Néper tv, né per radio. Zero.A porre il quesito in Com-missione Affari Socialidella Camera posto daldeputato Gian Luigi Gi-gli, presidente del Movi-mento per la vita italiano.Che a riguardo non hamancato di sottolineare ilproprio disappunto, riba-dendo invece a gran vocel’opportunità «di un’ini-ziativa in tale ambito perrendere consapevoli le gestanti in diffi-coltà, in particolare quelle che non com-prendono pienamente la lingua italiana, eper prevenire fatti drammatici come l’ab-bandono di neonati o l’infanticidio».Eppure, la cronaca fornisce quasi ogni gior-no notizie di infanticidi e di abbandoni di neo-nati in condizioni che non ne garantiscono lasopravvivenza. Cassonetti, marciapiedi, viuz-ze deserte. E tutto questo nonostante in Italiavi sia una legge che garantisce il parto ano-

A« nimo in ospedale e nonostante la rete di cul-le termiche per la vita, che consentono l’e-ventuale abbandono del neonato in condizionitali da assicurare la sua sopravvivenza. In par-ticolare, per i parti anonimi in ospedale si re-gistra un preoccupante calo nel numero didonne che ne usufruiscono. Che temono di ri-correre a strutture pubbliche, con il rischio digravi conseguenze. È chiaro che tutte questesituazioni siano, almeno in larga parte, cau-sate dal fatto di non sapere dell’esistenza de-gli strumenti a disposizione delle madri indifficoltà. È sotto gli occhi di tutti che man-

ca un’informazione capillarededicata a un’informazionecorretta su quanto tema. E ilministero della Salute che fa?Si limita a dichiararsi «pie-namente d’accordo nel pro-muovere interventi di sanitàpubblica finalizzati al conte-nimento di episodi di infanti-cidio e abbandono di neona-ti». Già, ma intento l’Esecu-tivo non muove un dito. E nonscuce nemmeno un centesi-mo. Allora è opportuno ri-cordare che, dal 2010 al 2014,sono state promosse iniziati-

ve da varie associazioni per il progetto "A-dozione: un’alternativa all’aborto", per pro-muovere la tutela della maternità e della vitanascente anche attraverso la pratica del par-to in anonimato. Il progetto, finanziato anchecon fondi pubblici, aveva tra l’altro prodottoun filmato da utilizzare proprio allo scopo diattivare una campagna televisiva della "Pub-blicità progresso". Mai andata in onda.

Luca Finocchiaro© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gli avamposti dell̓ accoglienza alla vitaanno gambe e braccia, i Centri di aiuto allavita. Perché il cuore a un certo punto non ba-

stava più: alle mamme che decidevano di tenere unfiglio serviva anche una casa dove stare, una fa-miglia in cui inserirsi, un progetto da cui ripartire.Sono nate così le Case di accoglienza, all’inizio ap-partamenti messi a disposizione direttamente daivolontari, poi strutture sempre più ampie e ospita-li. Oggi il Movimento per la vita ne conta 40, conuna superficie media di 345 metri quadrati e 344posti letto a disposizione.La prima, nel 1979, nasceva a Belgioioso. C’eraallora, e c’è oggi col suo impegno instancabileGiovanna Vitali: «Nelle donne ho visto cambia-re l’Italia. Prima la gravidanza era il problema,il motivo per cui arrivavano da noi – racconta –e ci venivano volontariamente. Oggi spesso amandarcele sono i tribunali, o i servizi sociali: sitratta di realtà ancora più problematiche, perché

H dobbiamo convincerle a stare qui». Il lavoro quo-tidiano con le donne, e coi loro bambini, è diffi-cilissimo. Spesso poi nelle case a rimanere sonosoltanto i bambini: «Li lasciano qui, oppure cichiamano perché li hanno abbandonati da qual-che altra parte», spiega Angela Fabbri, respon-sabile della Casa di accoglienza "La Tenda" diForlì. Al momento ne ospita 5: la più piccola ha9 mesi, e i genitori a disintossicarsi in una co-munità, il più grande 9 anni, una disabilità daportarsi dietro tutta la vita senza la sua mamma.Il Convegno dei Cav di Milano è stato un momentodi riflessione anche per le Case di accoglienza. A

presentare i dati sulla loro attività il vicepresiden-te del Movimento per la vita Roberto Bennati, chegestisce insieme alla moglie Maria anche la casadi Viterbo: «Nel corso del 2016 abbiamo registra-to 245 presenze di donne con 295 figli. Nelle Ca-se sono nati 43 bambini». Significativa anche la ri-partizione dell’utenza: nelle strutture infatti la pre-senza di donne straniere si ferma al 45%, segno chedi rifugio e accoglienza, oltre che di progetti di so-stegno a lungo termine, hanno bisogno in manie-ra consistente anche le donne italiane.Il costo medio giornaliero per mamma com-preso il figlio? È pari a 50 euro, 30 dove è pos-sibile operare grazie alla presenza dei volon-tari. Un “risparmio”, sul fronte della vita, or-mai riconosciuto dagli enti pubblici. Che trop-po spesso, ancora, per le mamme in difficoltànon prevedono aiuti. (V.Dal.)

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Abbandono dei neonatiDal Governo nessuna idea

Sono 40 le "case" del MpV cheospitano donne in difficoltà

Problemi moltiplicati al di là della gravidanza

novembre 2017 29NOI famiglia vita Volontari per la vita

Alla fine ilsottosegretario

ammette: non è inatto nessunacampagna di

informazione perdiffondere la

consapevolezzache partorire in

totale anonimato sipuò ed è un diritto

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egli ultimi anni ha preso semprepiù vigore il tema della violen-

za ostetrica, che può essere definita co-me un insieme di comportamenti da par-te del personale sanitario (in cui rien-trano ad esempio l’eccesso di interven-ti medici, le cure senza consenso o an-che la mancanza di rispetto nei confrontidella paziente) che riguardano la saluteriproduttiva e sessuale delle donne, mache nell’accezione comune, si intendo-no generalmente riferiti solo al momentodel parto. È vero d’altro canto, che stiamo semprepiù assistendo a un approcciarsi con vio-lenze verbali (e non solo) al personalesanitario da parte di pazienti e familia-ri. La Doxa, per conto dell’Osservato-rio sulla Violenza Ostetrica in Italia, hapubblicato quest’anno l’indagine na-zionale "Le donne e il parto", dalla qua-le si evince che per molte donne, (addi-rittura il 41%) l’assistenza al parto è sta-ta per certi aspetti lesiva della propria di-gnità e integrità psicofisica. Il traumache ciò ha comportato è stato tale da farsi che circa il 6% delle donne, non vuo-le più avere gravidanze.Sono questi numeri importanti, chemettono in evidenza un problema fi-no ad ora taciuto.La sala parto è una realtà ospedalieracomplessa in cui non si fornisce assi-stenza a pazienti malate, ma a donneche stanno portando a termine la lorogravidanza, evento fisiologico nellamaggior parte dei casi, patologico so-lo in una minoranza. Spesso però, inambito ostetrico il limite tra fisiologiae patologia non è netto e allo stessotempo, il passaggio da una condizionedi normalità ad una patologica mater-na o fetale, anche grave, può essere re-pentino. È per questo che personale me-dico e ostetrico adeguatamente forma-to può e deve essere sempre pronto adintervenire, anche in modo inaspettato,ma tempestivo, per garantire la salutedella madre e del nascituro.La tutela della salute materna però, nonsi può limitare solo all’ambito fisico, madeve comprendere anche quello psichi-co, ed è per questo che, se il concetto diviolenza ostetrica esiste ed è addirittu-ra così diffuso come riportato dall’in-dagine Doxa, significa che è necessarioun cambiamento di rotta nell’assistenzadel parto.Già da tempo, il reparto di ginecologiae ostetricia dell’Azienda ospedaliera diTreviso, in un’ottica di ritorno alla di-mensione fisiologica del travaglio e del

parto, ha modificato le procedure perl’assistenza al parto, in modo da cerca-re di umanizzare quanto più possibile iltravaglio-parto, così da far assumere al-la madre, il ruolo centrale che le spetta.Questo si concretizza nell’introduzio-ne di un percorso di assistenza al trava-glio fisiologico gestito, per tutta la suadurata, dal solo personale ostetrico, a-deguatamente istruito a rispettare i tem-pi naturali del travaglio e del parto, co-sì da ridurre l’intervento medico ai so-li casi patologici. Il tutto in un am-biente sicuro e protetto qual è l’ambi-to ospedaliero.L’assistenza o-stetrica si avvaleanche dell’espe-rienza acquisitacirca le posizio-ni libere che ladonna può assu-mere durante iltravaglio-parto,aiutandola nellasopportazione del dolore e coinvolgen-do anche il compagno, sempre presen-te in sala travaglio/parto. È garantita i-noltre la partoanalgesia in travaglio,qualora richiesta dalla paziente.

Questa nuova visione del parto fisiolo-gico ha compreso, tra le altre cose, an-che una rivalutazione del ruolo dell’e-pisiotomia, con una drastica riduzione ditale pratica, che, da quanto riportato nel-l’indagine Doxa, viene spesso vissutadalla donna come una forma di meno-mazione o di atto medico coercitivo. Considerando il parto un evento na-turale, intimo, riservato, non solo perla donna ma per la coppia di genitori,tutto il travaglio di parto viene esple-tato in una stanza adeguatamente adi-bita per accogliere la madre e il padre,

NEnrico

Busato* Drammatici dati dellʼIndagineDoxa: per quattro donne sudieci lʼassistenza ospedalieranella fase terminale dellagravidanza è risultata traumatica

Ma le buone prassi non sonoimpossibili: basta umanizzare

accoglienza e travaglio,rivalutare i percorsi fisiologici,

escludendo gli atti coercitiviche purtroppo non mancano

novembre 2017

NOI30

famiglia vita Maternità a ostacoli

iolenza ostetrica, fe-nomeno forse sotto-

valutato, sicuramente"sommerso" ma che si starivelando molto diffuso.Secondo l’indagine con-dotta dalla Doxa su ini-ziativa dell’Osservatoriosulla Violenza ostetrica inItalia – presentata nellescorse settimane – negliultimi 14 anni circa un mi-lione di mamme italianeha vissuto un’esperienzadi violenza ostetrica du-rante il parto o il travaglio.Ma cos’è la violenza o-stetrica? La prima defini-zione arriva nel 2007, in

V«Ventimila bambini non nati a causa

Venezuela. Si tratta di unaforma di «appropriazionedel corpo e dei processi ri-produttivi della donna daparte del personale sanita-rio che si esprime in untrattamento disumano,nell’abuso di medicaliz-zazione». Un tema su cuiAlessandra Battisti, avvo-cato e membro dell’Os-servatorio sulla Violenzaostetrica Italia, e ElenaSkoko, ideatrice dellacampagna #bastatacerelanciata nel 2016, e anchelei dell’Osservatorio, de-dicano grande impegno.«Dai racconti che molte

donne ci avevano fatto –ha spiegato Elena Skoko,fondatrice e portavoce del-l’Osservatorio – l’assi-stenza al parto era stata u-na esperienza traumatica.Per questo lo scorso annoabbiamo promosso lacampagna #bastataceresui social media. Ora sap-piamo che il fenomeno èancora più diffuso». Se unmilione di donne hannodenunciato di essere statein qualche modo vittimedi violenza ostetrica, ci so-no state anche donne chehanno scelto di non voleraltri figli dopo aver vissu-

Sos in sala partoOffese alla dignità

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che ha il fondamentale compito di so-stenere la partoriente. Questo facilitaanche l’instaurarsi di un rapporto di-retto e di fiducia con l’ostetrica, cheassiste a tutto il travaglio. Inoltre, ap-pena avvenuta la nascita, in caso diparto fisiologico, si effettua lo "skinto skin", ovvero il neonato, viene po-sto sul petto della madre, per un con-tatto pelle a pelle, il cui valore per ilbenessere della madre, del neonato eper uno sviluppo salutare della lororelazione, è ormai assodato. Ciò fa-vorisce anche il precoce attaccamen-

to al seno da parte del neonato.L’obiettivo di tutto questo resta sempree comunque, la tutela della salute dellamadre e del neonato, sia per quanto ri-guarda il benessere fisico, che quellopsichico materno in modo tale che unmomento così importante per la donna,possa essere ricordato, come un’espe-rienza positiva e da rivivere.

*Direttore Dipartimento Materno Infantile UOC Ginecologia e Ostetricia

Ospedale di Treviso AULSS2 Marca Trevigiana

novembre 2017 31NOI famiglia vita Maternità a ostacoli

aria è una ragazzinavivace e socievole,

frequenta la terza elementare,purtroppo con scarsissimoprofitto. I suoi genitori sonoseparati da molti anni e datempo lei non vede più il papà.Vive in comunità da due annicirca, ma il suo desiderio difamiglia oggi la porta a esseremolto insofferente rispetto alcontesto comunitario: chiedemolte attenzioni e qualcunoche si occupi esclusivamentedi lei. Che sappiacomprenderla e rassicurarla,recuperando una dimensionedi fiducia e di affetto.Mantiene rapporti regolari conla madre in uno spazioprotetto, ma non siintravvedono possibilità dirientri nel nucleo d’origine. PerMaria il Progetto affidi Mowglicerca una famiglia affidatariache si possa occupare di lei atempo pieno, preferibilmentecon figli grandi o senza figli,residente nelle province diMonza e Brianza, Milanoanche per dare continuità alprogramma di sostegnopsicologico che sta seguendo.Info: Progetto affido Mowgli,Arcore, via N. Sauro, 12.Tel.: 039.6882285 (lunedì,martedì, mercoledì e venerdìdalle 9.30 alle 15.30;giovedì dalle 14 alle 18.30)email:[email protected]

Vanessa e Carlo, gemellinida non dividereVanessa e Carlo, due gemellidi 6 anni, sono bambinisplendidi, di cui tutti siinnamorano, che purtroppohanno alle spalle una storiamolto faticosa. La mamma e ilpapà, per i loro problemi, sonodecaduti dalla potestàgenitoriale, e i due bambinisono ospitati in una casa-famiglia. Il Cam cerca per loro unafamiglia residente a Milano onell’hinterland che li accolga,per farli crescere in unambiente accogliente e nelcontempo formativo, con unclima amorevole e sereno. Info: Ufficio affidi del Cam.,via Vincenzo Monti 11; 20123

Milano (chiedere di FrancaAssente). Tel.: 02.48513608,dal lunedì al venerdì, dalle9.30 alle 12.30, oppure inviareuna e-mail: [email protected].

Due appelli dalla San VincenzoSofia ha 7 anni e vive inEcuador. La mattina si alzaprestissimo, esce dalla suacasa, una baracca di lamiera ecartone, e si incammina lungostrade sterrate e piene di fango.Le occorre un’ora e mezza perraggiungere la sua scuola. Suopapà si chiama Emilio e lavorain una piantagione: ogni giornocarica nei grossi containercentinaia di casse di platano,un banano che serve come ilpane una volta cucinato inacqua. E questo è anche il ciboquotidiano di Sofia. Kiangainvece ha 9 anni e abita aLakka, in Sierra Leone. Lamamma ha un piccolo chioscosulla spiaggia, ma è sola e devesostenere anche i nipoti e lesorelle che arrivanodall’interno del Paese dovenon c’è alcuna speranza ditrovare un lavoro. Come Sofiae Kianga altri 4.500 bambinicon le loro famiglie vengonoaiutati in oltre 70 Paesi delmondo grazie alle adozioni adistanza della Società di SanVincenzo De Paoli. Unsostegno che si offre dalontano a chi è povero e privodi tutto: il più delle voltel’"adottato" è un bambino conmamma e papà. Un bimboche non solo non può pagarsigli studi, ma che spesso nonpuò neppure acquistare vestitie scarpe per andare a scuola.È possibile contribuire conuna donazione fiscalmentededucibile di 155 eurol’anno, meno 50 centesimial giorno. Info: Settore solidarietà egemellaggi della Società diSan Vincenzo De Paoli, via G.Ziggiotti, 15¸ 36100 Vicenza.Tel.: 0444. 514455; email:[email protected];http://www.sanvincenzoitalia.it/

M

«Noi, insieme»Lʼappellodi due gemellini

CERCOFAMIGLIA

DanielaPozzoli

delle varie forme di “violenza ostetrica“»to una esperienza trauma-tica: si parla di 20milabambini all’anno non na-ti. Da quanto emerge dal-l’indagine, durante la fasedel parto la pratica dell’e-pisiotomia è "subita" daoltre la metà (54%) dellemamme intervistate. Untempo considerata un aiu-to alla donna, per agevo-lare l’espulsione del bam-bino, oggi, l’Oms la defi-nisce pratica «dannosa,tranne in rari casi». Si trat-ta a tutti gli effetti di un in-tervento chirurgico checonsiste nel taglio dellavagina e del perineo per

allargare il canale del par-to nella fase espulsiva. Diepisiotomia senza con-senso informato si parlaper ben 1,6 milioni di par-torienti in Italia. Capitoloimportante quello relativoal parto cesareo: in Italia,spiega la ricerca, vi ricor-re il 32% delle partorien-ti. Di queste, per il 15% siparla di cesareo d’urgen-za, per il 14% di un inter-vento richiesto dal medi-co, mentre solo il 3% èstato richiesto delle don-ne. Infine il 27% delle ma-dri lamenta una carenza disostegno e di informazio-

ni sull’avvio dell’allatta-mento, il 19% di man-canza di riservatezza. Ingenerale, il 72% delle in-tervistate si affiderebbe al-la stessa struttura, ma il14% cercherebbe sicura-mente una opzione diver-sa. Infine, l’11% delle ma-dri riferisce di aver ri-mandato di molti anni lascelta di vivere una nuo-va gravidanza, con conse-guenze significative sullafertilità. Per il 6% del to-tale il trauma è stato cosìforte da decidere di non a-vere altri figli.

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l tema dell’eutanasia e del suicidioassistito dal medico è diventato

sempre più attuale in questi anni in relazio-ne a casi pietosi trasformati ad arte in even-ti mass-mediatici nei quali viene esaltato ilturismo tanatoforo dei malati che si recanoall’estero in Paesi dove eutanasia e suicidioassistito sono permessi dalla legislazione,con la finalità di sensibilizzare l’opinionepubblica e la politica sullamateria e spingere versol’emanazione di leggi piùpermissive.E i medici, in primo luo-go, sono chiamati in cau-sa e sono sfidati nelle ri-chieste di eutanasia e sui-cidio assistito, quasi chesanitarizzando l’uccisio-ne di una persona si ren-da più asettico anche il si-gnificato morale che c’èdietro queste azioni. Si tratta di una deri-va delle medicina perché ad essere in gio-co è proprio la competenza medica nellagestione della fine della vita. L’Associazione medica mondiale (Wma), lapiù alta autorità etico-deontologica dei me-dici, ha sempre ribadito nel corso degli an-ni, durante le sue assemblee riunite nei di-versi paesi del mondo, il forte rifiuto dell’i-dea di un intervento da parte del medico cheaffretti intenzionalmente il processo natura-le della morte. In particolare con la Dichiarazione sull’eu-tanasia, adottata dall’assemblea a Madrid(Spagna) nel 1987 e riaffermata dal Consi-

glio a Divonne-les-Bains (Francia) nel 2005,come pure la Risoluzione adottata dall’as-semblea a Washington, DC, (Usa) nell’otto-bre 2002 e riaffermata dal consiglio Wma aBali (Indonesia) nel 2013, è stato inequivo-cabilmente affermato che: «L’eutanasia, cioèl’atto di deliberatamente finire la vita di unpaziente, anche su richiesta del paziente osu richiesta di parenti stretti, non è etica».Una Dichiarazione specifica sul suicidiomedicalmente assistito è stata, invece, a-dottata dall’assemblea a Marbella (Spagna)

nel settembre1992 e rivi-sta dal consiglio a Divon-ne-les-Bains (Francia) nelmaggio del 2005, e affer-ma che: «Il suicidio assi-stito dai medici, comel’eutanasia, non è etico edeve essere condannatodalla professione medica.Quando l’assistenza delmedico è intenzionalmen-te e deliberatamente diret-ta a consentire a un indi-

viduo di porre fine alla propria vita, il me-dico agisce in modo non etico».Ma c’è un aspetto che deve essere sottoli-neato: nella Risoluzione del 2002 a Wa-shington, DC, l’assemblea mondiale dei me-dici, oltre a riaffermare la ferma convinzio-ne che l’eutanasia sia in conflitto con i prin-cipi etici fondamentali della pratica medica,ha anche incoraggiato tutte le associazionimediche nazionali ad astenersi dal parteci-pare all’eutanasia anche se le leggi nazionalila permettessero o la depenalizzassero ad al-cune condizioni. Non è stato solo un invitoalla "obiezione di coscienza": è stato riba-dito il dovere dei medici di svolgere un ruo-

LʼAssociazionemedica

internazionale(Wma) ribadisce

ferma opposizioneanche nei Paesidove sono state

approvate leggi favorevoli

«Voglio vivere, il Papa mi ha abbracciato»utti abbiamo vissuto almeno unincontro che ha cambiato la nostra vita.

Quello, però, vissuto da Consuelo Cordobala vita gliel’ha ridata. Come e dove èavvenuto questo "miracolo"? Chi ne è statol’artefice? Durante il suo viaggio inColombia, presso la Nunziatura di Bogotà,papa Francesco ha incontrato una donnache aveva chiesto un appuntamento perconfidargli il suo grande dolore echiedergli una benedizione prima dicompiere un suo gesto eclatante. La donnadi 56 anni, che vive nel Nord-Ovest delPaese, si è presentata davanti al Ponteficecon un passamontagna in tessuto colorcarne che, da 17 anni, copre il suo viso perproteggerla dal sole e dalla vergogna, e hainiziato a raccontare la sua tragedia. Nel 2000, Dagoberto Esuncho, l’excompagno, l’ha aggredita in casabuttandogli dell’acido su tutto il corpo. Idanni maggiori Consuelo li ha subiti sulvolto, con il distacco della pelle e ildanneggiamento dei denti. Da quel

momento è iniziato il suo calvario: hasubito 87 interventi, si alimenta solo concibi liquidi, respira grazie a tubi nellenarici, vive di carità perché anche i suoisogni sono andati in frantumi. Ha dovutodire addio alla possibilità di diventarestilista e aprire un salone di bellezza.Nell’ultimo periodo le sue condizioni disalute sono addirittura peggiorate. I medicile hanno diagnosticato un’infezionecerebrale che le comporta crisi epilettichee paralisi. A causa di questo aggravamento,è caduta nel baratro più totale e ha decisodi farla finita, ricorrendo all’eutanasia chein Colombia è consentita in circostanzeeccezionali. Ma l’appuntamento con la

morte, fissato per venerdì 29 settembre, èsaltato un paio di settimane prima grazie,appunto, a papa Francesco. Durante il loroincontro, il Pontefice prima le ha negatoogni approvazione per il suo proposito epoi, abbracciandola a sorpresa, le hasussurrato, secondo quanto riferito dalDaily Mail: «No, tu non lo farai. Seicoraggiosa e anche bella». Queste parole equesti complimenti, a cui non era piùabituata, hanno permesso a Consuelo dicambiare immediatamente idea e visionedella sua esistenza. «Ora voglio vivere – hadichiarato la donna ad alcuni media locali– non farò più l’eutanasia perché Dio staper portare qualcosa di grande nella miavita. Si è compiuto un miracolo. Il mediconon mi aspetti, può preparare l’iniezioneper qualcun altro». Per Consuelo settembrenon è stato più il mese della morte, madella vita, della sua nuova vita nonostantele infinite difficoltà quotidiane.

Antonietta Oriolo© RIPRODUZIONE RISERVATA

T Consuelo Cordoba, sfiguratadallʼacido lanciato dal suo ex,

aveva già programmatolʼeutanasia. Poi lʼincontro conFrancesco e la svolta decisiva

IAntonio

G. Spagnolo

Dai medici appello mondialenovembre 2017

NOI32

famiglia vita Fine vita

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lo attivo nell’impedire che legislazioni diquesto tipo vengano approvate o nel contri-buire a farle abrogarle laddove in vigore. Sitratta di una forte convinzione che il 27 ot-tobre scorso si è tradotta in una presa di po-sizione in relazione ad un disegno di leggein discussione nello stato di Vittoria in Au-stralia. L’Associazione mondiale dei medi-ci unitamente all’Associazione medica au-straliana, hanno infatti ribadito la loro lun-ga opposizione al suicidio assistito dal me-dico e all’eutanasia sulla base del fatto cheessi costituiscono una pratica non etica del-la medicina.La Wma ha invitato, infatti, pubblicamente,la Camera Alta dello stato di Vittoria (Au-stralia) a rigettare il disegno di legge sullamorte assistita volontaria, richiamando lesue dichiarazioni sull’eutanasia e il suicidioassistito prima ricordate. L’Associazione mondiale dei medici ha an-che espresso la sua preoccupazione sull’e-ventualità di un’approvazione del disegnodi legge. Se la proposta vittoriana doves-se passare si creerebbe una situazione diconflitto diretto con gli obblighi etici deimedici nei confronti dei pazienti e dan-neggerebbe il "tono etico" della profes-sione. Lo stesso consesso mondiale dei me-dici ha infine messo in guarda sul fatto chele persone vulnerabili verrebbero messe arischio di abuso e che verrebbe a stabilir-si un precedente quasi a lasciare intende-re che l’eutanasia e il suicidio assistito sia-no eticamente accettabili. Un coraggiosointervento di questa assise mondiale cheauspichiamo possa intervenire anche in al-tri Stati dove si cominciano a discutere di-segni di legge di questo tipo.

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Wma, un impegno eticoche prende il via nel ʼ52

Il rapporto tra etica e medi-cina è sempre stato al centrodelle preoccupazioni del-lʼAssociazione medica mon-diale ‒ Wma secondo lʼacro-nimo inglese ‒ . Ancora pri-ma della fondazione ufficia-le, a Parigi il 17 settembre1947, il Wma aveva solleci-tato la formazione di unacommissione di studio perpreparare una "Carta Eticadella Medicina" da adottarecome giuramento o promes-sa per tutti i medici del mon-do allʼinizio della professio-ne. Il Wma è formato da 122associazioni mediche nazio-nali e rappresenta più di 10milioni di medici. La sede èFerney-Voltaire in Francia.Già nel ʼ52 il Wma ha istitui-to un comitato permanenteper lʼetica medica che non hamai smesso di monitorare lequestioni più calde: dai cri-mini commessi dai medici intempi di guerra, alla speri-mentazione umana non eti-ca, ad altri problemi nel cam-po dellʼetica medica, ancheriguardo ai diritti dei medicistessi. Oggi il tema dellʼeu-tanasia è oggetto di fre-quenti interventi.

DA

SA

PERE

novembre 2017 33NOI famiglia vitaFine vita

«Diciamo no allʼeutanasia»

Il piccolo embrione che cercava la mamman preparazione al triste anniversario deiquarant’anni dall’approvazione della leg-

ge 194 il Movimento per la vita esce condue interessanti libri: Michiamo U-Nico e Loscienziato che amavala Vita. Itinerario spi-rituale con JérômeLejeune. Due libri condue target diversi, ri-spettivamente, perbambini e per unpubblico più maturo.Mi chiamo U-Nicoè, appunto, la storia

di Nico, un embrioneche compie il suo viaggio verso la nascitaimpaziente di stringere la sua mamma. Unracconto con testi e immagini può diventa-re un ottimo modo per trasmettere ai nostripiccoli la bellezza della vita e il mistero chela avvolge. La versione inglese, dal titolo"Unique", è stata prodotta dalla Fiamc la Fe-derazione internazionale delle associazio-

I ni dei medici cattolici, con il contributo del-l’autrice, Patricia Diaz, e le illustrazionidalla nota disegnatrice Marietina. Il Movi-mento per la vita ha ottenuto la possibilitàdi tradurlo e diffonderlo in Italia. L’edizio-ne italiana è stata interamente curata dallaredazione della neonata Agenzia Vitanews(www.vitanews.org), grazie al minuziosolavoro di Elena Lecci, Melissa Maioni eFlavia Magliocchetti. Lo scienziato che amava la Vita. Itinerariospirituale con Jérôme Lejeune, tradotto dalfrancese dalle suore della Fraternità dellaS.S. Vergine Maria di Bagnoregio (Viter-bo), è stato composto da Aude Dugast, a-

mica della famiglia Lejeune e postulatricedella causa di beatificazione del fondatoredella citogenetica, messo in crisi dalle suestesse scoperte, quandodovette rendersi contoche la possibilità di dia-gnosi prenatale non sa-rebbe stata usata percurare, ma per elimi-nare i nascituri affet-ti da malattie cromo-somiche. Il libro rac-conta la storia diLejeune e le suescoperte scientifi-che, senza tralasciare ledinamiche personali e familiari dello scien-ziato, fino a proporre al lettore un itinera-rio spirituale. Due libri per continuare apromuovere la cultura della vita in un mo-mento di forte attacco contro il concepito ela sua dignità.

Massimo Magliocchetti© RIPRODUZIONE RISERVATA

In due libri promossi dal MpVla cultura della vita declinata

secondo target diversiPer i piccoli cʼè "U-Nico",

per gli adulti la storia del grande Jerome Lejeune

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on si fa, oggi, se non parlare didepressione, considerata la ma-

lattia del secolo, che la porterebbe a in-teressare, almeno in Occidente, un quar-to, o un quinto, della popolazione; ma,in questo modo, si fa di ogni erba un fa-scio. La depressione non può non esse-re disarticolata in alcune sue dimensio-ni: la prima ne indica la significazioneesistenziale, il suo fare parte della vitadi ciascuno di noi, il suo nascere e il suomorire, correlati con gli avvenimenti do-lorosi della vita, la malattia, la manca-ta realizzazione di una meta desiderata,la morte di una persona cara; ed è, que-sta, una depressione del tutto normale:espressione di sensibilità e di gentilez-za dell’anima, di attenzione e di parte-cipazione al dolore e alle sofferenze,non solo alle proprie ma anche a quelledegli altri. La seconda depressione ècontraddistinta dal suo essere motivatada avvenimenti interiori ed esteriori, co-me lo è la prima, ma è accompagnata daun malessere che si esprime con sinto-mi psichici come la inquietudine dell’a-nima, l’insicurezza, il piangere, il maledi vivere, il venire meno delle speran-ze, e con sintomi somatici come la in-sonnia, la diminuzione di appetito, e lastanchezza. Sono sintomi abitualmentetemporanei che non possono in alcunmodo essere considerati come malattia:anche se si accompagnano a tristezza, ead ansia. Se nella prima condizione de-pressiva, i farmaci antidepressivi nonhanno alcuna ragione d’essere, in que-sta seconda sono talora, e per brevi pe-riodi, consigliabili. La cosa davvero pe-ricolosa è quella di considerarle comedepressioni tout court: come malattiecapaci di condurre al suicidio: come puòavvenire nella terza, e ultima, condizio-ne depressiva, la meno frequente, che lapsichiatria chiama psicotica, e che en-tra a fare parte delle depressioni bipo-lari nelle quali la depressione si alternacon un’esperienza ad essa antitetica:quella maniacale contrassegnata dalla

presenza di una euforia patologica. Inquesta ultima forma di depressione i sin-tomi psichici si accentuano radical-mente: l’insonnia dilaga, non ci sonostimoli a nutrirsi, svanisce la speranza,non si vive più se non nel passato, sof-frendo di colpe che non si sono mai com-messe, le emozioni si inaridiscono, e sivive in una condizione di profonda so-litudine. Questa è la sola condizione de-pressiva, che possa essere consideratapatologica, e che è nutrita di sofferenzae di disperazione che fanno nascere il de-siderio e l’impulso a scegliere la mortevolontaria come sola soluzione alla fa-tica di vivere.Quando si parla di depressione, senzaindicare a quale delle tre forme de-pressive ci si riferisce, si compie ungrave errore: la generalizzazione è fon-te di ambiguità. Non esiste allora la de-pressione ma esistono le depressioniche hanno un andamento clinico di-verso, ed esigono una diversa terapia:non farmacologica quella della de-pressione esistenziale, talora farmaco-logica quella della depressione moti-

vata, e sempre farmacologica quelladella depressione psicotica: della de-pressione che è malattia.Queste premesse sono indispensabili al-la riflessione sul suicidio che interessaabitualmente la depressione psicotica, enon quella esistenziale e quella motiva-ta. Allora parlare genericamente di de-pressione come se fosse una malattia ta-le da giustificare un suicidio assistito, as-secondando la richiesta di una pazien-te, o di un paziente, è cosa clinicamen-te inammissibile. Non solo: a ciascunaforma depressiva è comune la tendenzaalla guarigione: la diagnosi differenzia-le fra le depressioni e le esperienze schi-zofreniche è stata proposta dalla gran-de psichiatria tedesca del secolo scorsosulla base della costante guaribilità del-le prime, e della incostante guaribilitàdelle seconde. Insomma, di depressio-ne, anche di depressione psicotica, siguarisce: tanto più oggi sulla scia deifarmaci antidepressivi di ultima gene-razione; e guarendo vengono meno ildesiderio e l’impulso al suicidio. Sì, cisono depressioni che si estendono nel

La cronaca registra i casi di persone recatisi in Svizzera peressere aiutati a morire senza altre sofferenze se non il vis-suto di una condizione di salute giudicata inaccettabile. InBelgio una nota psichiatra è stata invitata dalla pur per-missiva commissione per l’eutanasia a rivedere la facilità concui autorizza l’eutanasia di malati psichici. In Olanda il Go-verno sta mettendo un appunto per garantire l’accesso al-l’eutanasia a tutte le persone affette dalla stanchezza del vi-vere. Su depressione, suicidio assistito ed eutanasia, pub-blichiamo una riflessione dello psichiatra Eugenio Borgna.

«Come fa un medico, unopsichiatra, a non sentire il dovere

di aiutare una persona depressa aresistere, anche settimane, o mesitalora, a una malattia, che ha in sé

la tendenza a guarire?Oggi contesti ambientali e contagi

psichici sono determinanti»

NEugenioBorgna

novembre 2017

NOI34

famiglia vita Sofferenza e morale

Depressione e morteLegame da spezzare

Eugenio Borgna è nato aBorgomanero(Novara) nel 1930.Tra i più notipsichiatri italiani, èsaggista econferenzierericercatissimoÈ libero docentealla "Clinica dellemalattie nervose ementali"dell’UniversitàStatale di Milanoed è primarioemerito dipsichiatriadell’OspedaleMaggiore diNovara.Esponente dellapsichiatriafenomenologica, ècritico versol’interpretazionenaturalistica dellepatologie mentaliche ricerca lecause dellapsicosi nelmalfunzionamentodei centri cerebrali

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tempo, e che sono nondimeno sempresuscettibili di guarigione. In un libro digrande interesse clinico e umano, ungrande psichiatra olandese, Piet Kuiper,direttore della Clinica psichiatrica uni-versitaria di Amsterdam, ha descritto lastoria della sua depressione psicoticache si è estesa nel corso di tre anni coninsistenti tendenze auto-aggressive, eche è completamente guarita.Non si è liberi nel momento in cui la de-pressione psicotica ci fa desiderare echiedere di morire, e un medico nonpuò assecondarne la scelta imposta dal-la malattia, e destinata a scomparirequando questa si risolva. Non c’è, inpsichiatria, esperienza umana più scon-volgente di quella che si ha quando u-na paziente, o un paziente, risale dagliabissi della depressione psicotica, del-la fascinazione della morte volontaria,e un sorriso rischiara improvvisamenteun volto divorato, un istante prima, dal-l’angoscia e dalla disperazione. Comefa un medico, psichiatra o non psichia-tra, a non sentire il dovere di aiutare u-na persona depressa a resistere, anche

settimane, o mesi talora, ad una de-pressione, ad una malattia, che ha in séla tendenza a guarire?Nel concludere queste mie considera-zioni, non potrei non dire, e non sono ilsolo, che nel desiderare di morire, neldesiderare di mettere fine alle sofferen-ze conseguenti ad una depressione conil suicidio assistito, entra anche in gio-co il contesto ambientale, e la climaxsociale, in cui si vive, che tendono og-gi a considerare non più degna di esse-re vissuta la vita segnata da sofferenze,che si estendono nel tempo. Non si puòinsomma escludere l’importanza che hanella richiesta di un suicidio assistito ilcontagio psichico: quello, che si è avu-to dopo la pubblicazione del capolavo-ro di Goethe, I dolori del giovaneWerther, al quale è conseguita, come sisa, una cascata di suicidi. In ogni caso,considerare la depressione, anche soloquella psicotica, come ragione possibi-le di eutanasia, è tesi umanamente escientificamente inconciliabile con gli o-rizzonti ideali della coscienza medica.

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on si smette mai di essere mamma», dice l’ar-zilla centenaria inglese Ada Keating che, noti-

zia dei giorni scorsi, si è trasferita nella clinica dove è ri-coverato il figlio Tom, ottantenne, per assisterlo e curar-lo come ha sempre fatto. Commovente la foto che li ri-trae insieme, un’immagine che da sola mostra una inte-ra vita di amore, servizio, sacrifici. Gente come Ada ci riconcilia col mondo, con la storia, conla società. Gente che nella propria vita ha fatto spazio ad al-tre vite. Gente che in molti modi è morta: ai sapori, alle co-se, a sé stessi, perché altri potessero vivere. Gente che nonera coraggiosa ma ha avuto il coraggio di imbarcarsi in u-na avventura senza fine. Gente che non ha fatto conti per

valutare se un nuovo arrivo era conveniente:ha aperto semplicemente le braccia e spa-lancato gli occhi colmi di commozione quan-do ha visto per la prima volta quel nuovo, in-cantevole arrivo. Gente che non ha fatto testprima di accettare, ha accettato ed era di-sposta ad accettare, comunque fosse. Perchéavrebbe e ha detto, con gioia e tenerezzagrandi, "bimbo mio" anche se quel bimbofosse stato malato o deforme. Gente che haraccontato storie di fate e giganti anche sequelle orecchie non potevano ascoltare quel-le storie, quegli occhi non potevano vederelibri di fiabe, quelle mani non avrebbero maiavuto la forza di stringere e accarezzare. Per-ché talvolta la natura scorda la regola della

"normalità" e dona doni differenti. Gente che al mattino presto ha regalato con dolcezza anco-ra un altro sorriso a chi non li aveva fatti dormire un minu-to la notte. Gente che ha imparato a cucire, cucinare, faremaschere di Carnevale, giocare a rugby e studiare storia, ri-parare biciclette e cullare bambole, cantare sogni e poesie,tutto questo solo per riempire di gioia il cuore dei loro bim-bi. Gente che ha passato interi fine settimana sui campi dagioco unicamente per rispondere "sì!" alla domanda: "Mihai visto mamma?". Gente che ha insegnato a ringraziare ea pregare per ringraziare. Gente con un cuore così grandeda contenere tutte le delusioni, le incertezze, i fallimenti, lerisalite, le rivincite. Gente che ha pianto grandi lacrime, sen-za che i figli sapessero delle lacrime piante. Gente capace di sopportare pazientemente l’adolescenzadei loro bimbi cresciuti, che provano vergogna a farsivedere dagli amici in compagnia dei genitori. Genteche ha mantenuto la calma quando i loro bimbi cre-sciuti andavano a spasso con una nuova innamorata daicapelli verdi. Gente che si gira di scatto appena sentedire "Mamma!" anche se i capelli ormai sono grigi e lerughe profonde sul volto. E così, dopo aver affrontato una vita piena di sfide, condavanti un orizzonte ormai sempre più breve, i capelligrigi e radi, e ancora un sorriso sulla bocca per il suoTom, Ada non trova il tempo per passare le giornate la-mentandosi degli acciacchi che l’età avanzata si portaappresso: nel figlio riscopre invece il piacere di di-menticarsi di sé e dei propri guai, gettandosi in un o-rizzonte fatto ancora di storie emozionanti, contagiatedall’allegria e dalla voglia di vivere sua e del figlio.

Mario Sberna© RIPRODUZIONE RISERVATA

Storie esemplari:mamma centenariae figlio ottantenne

Lo stuporedellʼamorematerno: leisi è trasferitanella clinicain cui lui èricoverato percontinuare adassisterlo,come ha fattoper tutta la vita

novembre 2017 35NOI famiglia vita Sofferenza e morale

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’esame del ddl sulle Disposizionianticipate di trattamento (Dat) pro-

cede a rilento e continua a presentare ele-menti oscuri che continuano a far discute-re. Il testo licenziato dalla Camera lo scor-so aprile è al vaglio del Senato, mentre con-tinua il braccio di ferro tra le forze politiche.Una pioggia di emendamenti fanno trema-re i promotori della legge,tanto da portare alle dimis-sioni la relatrice De Biasi: u-na mossa finalizzata ad ag-girare gli emendamenti. «Itempi non consentono diproseguire l’esame in com-missione», ha dichiarato DeBiasi in una nota, «la miadecisione ribadisce ulte-riormente l’importanza diapprovare una legge rile-vante e attesa». Ora la pal-la passa alla Conferenza deiCapigruppo che deciderà lacalendarizzazione in Aula.E mentre 57 sindaci e alcu-ni Senatori a vita continua-no il pressing sui colleghi diPalazzo Madama, lo spet-tro di fine legislatura trasforma l’iter in unacorsa contro il tempo. La partita resta aper-ta. «Accogliamo positivamente le dimissio-ni da relatrice di Emilia Grazia De Biasi»,hanno ribadito Filomena Gallo e MarcoCappato, segretario e tesoriere dell’Asso-ciazione Luca Coscioni, i quali in una notasi sono appellati al presidente del Senato,Pietro Grasso, affinché «si possa arrivare auna decisione secca». Dura la reazione delfronte contrario alla legge. Il presidente del

Movimento per la vita, Gian Luigi Gigli, hadefinito il passaggio in Aula per aggirare ledifficoltà in Commissione «una prova mu-scolare inaccettabile in una materia così de-licata, come confermato dal parere dellaCommissione Affari Costituzionali».I promotori del testo sul biotestamento con-tinuano a eludere il fondamentale parere del-la Commissione Affari Costituzionali chealla fine di settembre ha concentrato l’at-tenzione su due aspetti rilevati dall’esten-

sore del parere, il senatoreRomano, il quale auspicache siano presi in conside-razione nei lavori parla-mentari. Al di là di tutto, ri-mane l’ipotesi di realizza-zione di un atto eutanasicodi tipo omissivo per inter-ruzione di sostegni vitalicome l’idratazione e l’ali-mentazione artificiale.Sotto un primo profilo laCommissione Affari Co-stituzionali nota che neltesto è bene che ci sia unbilanciamento tra il prin-cipio della inviolabilitàdella libertà personale e ildiritto alla salute come di-ritto fondamentale della

singola persona e come interesse dalla col-lettività. Nel testo licenziato da Monteci-torio si assiste ad uno sbilanciamento ver-so l’autodeterminazione del paziente cheanticipatamente documenta la sua volontà– con tutti i problemi del caso – in un at-to vincolante per il medico, il quale è te-nuto a eseguire la decisione del pazientediventando un burocrate della medicina.Svanisce così quella relazione di fiduciae di cura tra paziente e medico che fino-

ra ha orientato le scelte terapeutiche.Il secondo punto rilevato dalla Commissio-ne Affari Costituzionali attiene alla naturadella volontà anticipata. Tra le proposte delfronte intenzionato a resistere alla dramma-tica deriva eutanasica del testo si chiede chela parola "disposizioni" sia sostituita con "di-chiarazioni", al fine di valorizzare la rela-zione di cura e di fiducia medico-paziente.Tale suggerimento trae le mosse da un au-torevole parere del Comitato nazionale dibioetica (Cnb) del 2003. Il Cnb specifica chenel caso di dichiarazioni anticipate di tratta-mento viene escluso per il medico il rigidovincolo di eseguire quanto scritto nel docu-mento, tanto più in mancanza dell’obiezio-ne di coscienza. La dichiarazione anticipatadi trattamento infatti rispecchia il prolunga-

L

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Supplemento didel 26 novembre 2017

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novembre 2017

NOI36

famiglia vita Fine vita

Per il discusso ddlsi attende lʼarrivo in Aula al Senato

anche se in commissionenon sono state

risolte tutte le perplessità, a cominciare

da idratazione enutrizione definite

sempre«trattamenti

sanitari»

MassimoMagliocchetti

Dat, la leggeva avantiI dubbi restano

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mento della relazione medico-paziente e ser-ve al sanitario per orientare la sua attivitàprofessionale considerando anche il deside-rio del paziente. Le "dichiarazioni", quindi,frenano la deriva eutanasica. Rimangono,tuttavia, importanti problemi sulla mancatacontestualità tra dichiarazione e trattamen-to, oltre al principio della disponibilità dellavita umana che, di fatto, stravolge comple-tamente il nostro ordinamento. «Permane un forte dibattito sul tema della nu-trizione e idratazione artificiale, classificatenel disegno di legge come trattamenti sani-tari, che sarà oggetto di approfondite valu-tazioni nel percorso della legge al Senato»,ha dichiarato Romano a margine del parere.Le osservazioni approvate dalla Commis-sione Affari Costituzionali aprono a un con-creto sviluppo della legge nell’ottica dellarelazione di cura, nonostante l’aberrante qua-lifica di alimentazione e idratazione artifi-ciali come trattamenti sanitari, e non comecure e sostegni vitali. In questo modo si spa-lanca la strada all’eutanasia omissiva, comeil MpV ha da sempre denunciato da questecolonne.La difesa della vita è alla base della demo-crazia. Abdicare a questo principio significaaccettare che non tutte le persone sono u-guali nella loro dignità, sulla base della loroefficienza o qualità. L’abbandono del mo-rente, come l’accanimento terapeutico, se-gnano una sconfitta per la medicina e per ildiritto. Quindi per tutti noi.

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novembre 2017 37NOI famiglia vitaFine vita

Rimane anchelʼesigenza

di sostituire"disposizioni" con

"dichiarazioni" al fine

di valorizzare la relazione di cura

medico-paziente e di frenare

una tendenza cheaprirebbe la strada

allʼeutanasiaomissiva

già da fine settembre chela pubblicità ammicca al

Natale con l’evidente speranzadi dare il via agli acquististraordinari. Un tempo,neanche troppo lontano, lafestività dei Santi segnava lostart, ora non più. Il rischio èquello di cominciare ifesteggiamenti troppo prestocon panettone, pandoro,torrone, datteri, noci, nocciole,arachidi, ecc… Chi è in buonasalute rischia solo unsovrappeso che può resisterefino a Pasqua ed oltre. Poimagari si è costretti a drastichediete last minute, a voltefortemente punitive e inapparenza miracolose, ma piùspesso deleterie. Chi invecesoffre di qualche malattiacorre maggiori pericoli. Tutti iprodotti natalizi nominatiprima sono ricchi di calorie ese non ci si limita agli assaggi,diabetici, cardiopatici, e chisoffre di malattie metabolichevarie, può far registrarescompensi pericolosi. Allora come occorreprepararsi al Natale? Il primo"consiglio dietetico" è diriscoprire la parte spiritualedel Natale, che irrobustiscel’anima e la mente. Èimportante insegnare aibambini il piacere dell’attesa,legare poi dei piatti particolaria momenti di festa li faapprezzare di più rispetto allapossibilità di averli tutti igiorni a disposizione. Lescorpacciate classiche dellefeste, troppo prolungate,appesantiscono il corpo edistraggono la mente. Ilsecondo consiglio, valido pertutte le età, che aiuterà a farripartire il metabolismo inmodo equilibrato, è quello diincrementare la quota dilegumi, frutta, verdure eortaggi di stagione, nellagiusta alternanza, ovvero nonsostituendo tutti i vari nutrienticon le sole verdure. Le fibresono le nostre migliori alleateper impedire l’assorbimentodegli eccessi di grassi ezuccheri. Tutto questo permettere l’organismo nellamigliore predisposizione perassorbire meglio gli eccessi

delle feste. Le abbuffatenatalizie vanno a sollecitareorgani come il pancreas per igrassi contenuti nei dolci eanche il fegato rimanesovraffaticato. I consiglisuggeriti concorrono a ridurrela velocità del metabolismo.Carciofi e limoni sono buonialleati per depurarsi. Unlimone spremuto in unbicchiere d’acqua tiepidabevuta al mattino svolgeegregiamente questo compito.Il citrato contenuto in questofrutto aiuta ad attivare iprocessi metabolici e astimolare e purificare il fegato.Anche i carciofi aiutano agestire meglio il metabolismo:la sera, prima di coricarvi, fatebollire poche foglie dicarciofo, poi filtrate tutto eottenete così una tisana daglieffetti detox. È possibiletrovare ancora un aiuto in unatisana a base di cannella, unaspezia detossinante utilizzatasoprattutto in Medio oriente.Se alla cannella si aggiunge unpo’ di scorza di limone siaumentano gli effetti positivi.Le tisane bevute dopo pranzo,specie se abbondante,assicurano un ottimo effettodigestivo e una grande caricaenergetica. Infine i dolci, unatentazione per grandi e piccini.Nel periodo prefestivo è beneconsumarli solo ad un pasto ascelta tra colazione (questo è ilmomento più indicato perchéin genere non si abbonda conaltri cibi) pranzo oppure cena.Infine occorre abbinare sempreun maggior movimento,rispetto alla sedentarietà. Unminimo esercizio fisico comeuna semplice passeggiatagiova all’umore, infatticamminare è un grandeantidepressivo. Per riattivare ilmetabolismo è necessario fareun’attività fisica aerobica peroltre 30 minuti a sessione. Vabene anche un’attività fisica adaltissima intensità: aerobica,zumba, fit dance, cardio-fitness o la nuovissima pole-dance …

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È

Di corsa verso NataleScelte di sobrietàe dieta intelligente

LASALUTE

NELPIATTO

Caterina e GiorgioCalabrese

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novembre 2017

NOI38

famiglia vita Il mestiere di educare

n’esperienza maturata nella forma-zione dei genitori: una missione più

che una professione quella di Osvaldo Poli,psicologo e psicoterapeuta. Occasione di in-contro con l’esperto è l’ultima pubblicazio-ne – Mio figlio mi dice tutto. Dalla confi-denza alla responsabilità (San Paolo,pagg.144, euro 12,5) – in cui affronta il te-ma del dialogo con i figli, approfondendo lediverse forme di "dialogo". E, come intuibi-le già dal titolo, il testo – lontano da toni re-criminatori o colpevolizzatori e senza alcungiudizio – grazie ad una struttura pedagogi-ca solida, invita i genitori a riappropriarsi dellegittimo ruolo educativo e ad assumersi laresponsabilità anche della "dovuta" autorità,non temendo l’antipatia da parte dei figli edevitando di perdere di vista l’obiettivo ulti-mo, che non è né essere simpatici né saperetutto quello che li riguarda. Le pagine di Poli rappresentano un vero eproprio vademecum: una guida di riferimen-to in condizioni di indecisioni, un confrontocon situazioni comuni «L’incondizionata fi-ducia che i piccoli nutrono verso i genitori ra-senta l’ingenuità e fa in modo che sponta-neamente rivelino anche ciò che non tornaloro utile, essendo un atteggiamento dettatodall’innocenza e non forzato», spiega l’auto-re, evidenziando la discrepanza con l’età a-dolescenziale, durante la quale i genitori –non cogliendo o non accettando il cambio distagione dei ragazzi – leggono le loro confi-denze come indicatore della bontà del rap-porto, quando, invece, costituiscono un ter-mometro molto parziale della relazione edu-cativa. Dunque, si può essere ottimi genitorisenza necessariamente sapere tutto dei figli:«Il dialogo di confidenza è destinato ad e-clissarsi nell’adolescenza: anzi, un’eccessiva"apertura" dovrebbe lasciare perplessi – pro-segue Poli – essendo un giovane, per ten-denza, portato all’evasività, a chiudersi, ascomparire dai "radar" della casa». E quan-do ciò avviene, come regolarsi? I suggeri-menti dell’esperto sono due: evitare di in-fliggersi sedute di autocoscienza su eventua-li errori nel rapporto con i propri ragazzi e diinsistere all’inverosimile per estorcere, be-nevolmente o meno, informazioni dai figli. In questo contesto, modello assai diffuso èquello della "mamma amica": secondo Poli«un ibrido contro natura e pericoloso nellaversione io e mia figlia siamo sullo stesso pia-no, perché innesca dinamiche istintivamenteinnaturali, soprattutto, per i maschi, che pro-vano repulsione a questa intimità con la fi-gura materna, mentre le femmine la giocanoa loro favore». Il secondo schema, illustratodall’autore nel libro, è quello del dialogo dipersuasione, che costituisce la forma più co-mune di rapporto con i figli e abbraccia uno

anche il giovane lo faccia proprio». Solitamente l’adulto ha una diagnosi (perchéaccade cosa) ed una terapia (cosa fare ora) deltutto personale, che costituiscono un "pac-chetto software" non trasferibile, però, al fi-glio, «che ha un hard disk non compatibilerispetto a quello del genitore, per dirla in ter-mini informatici e l’operazione copia/incol-la non può che fallire». Secondo Poli, il mo-mento più delicato consiste nel "fare luce"sul pensiero dei figli, che «hanno retro pen-sieri, zone d’ombra, convinzioni e paure in-dicibili, perché sbagliate o biasimevoli, ma so-no queste a guidare le azioni. Dunque, l’o-perazione di svelare il segreto, il non detto,l’implicito, prima di convincere della validitàdi altre argomentazioni è il primo passo deldialogo, composto da altri 2 momenti», con-clude Poli. Nel secondo passaggio del con-fronto, il genitore può esporre le proprie e-ventuali ragioni di perplessità, contrastando,se necessario, la posizione del figlio: «Se av-verte, però, dall’altra parte, un atteggiamen-to irremovibile e rigido, dovrebbe accettarele decisioni personali ed andare incontro al-le conseguenze del caso», dice l’autore, sin-tetizzando il terzo momento del dialogo. Si suggerisce, quindi, un approccio tipo: hocompreso ciò che pensi, non lo condivido pertali motivi, agisci come ritieni e assumiti laresponsabilità che questo comporta, da nonsviluppare in modo, però, meccanico, ma at-traverso sospensioni, rilanci in diversi conte-sti e pause. Quali vantaggi in un confronto,così giocato? «L’adolescente è aiutato ad at-traversare tre fasi caratterizzanti dell’età: ca-pirsi, valutare se stesso, decidere. Inoltre, ap-prezza lo sforzo di comprensione (non la mor-bidezza), perché non forza e non li minaccianella loro libertà».

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spettro di atteggiamenti che comprende e-sortazione, ammonimento, disapprovazione,predica, minaccia, castigo e, talvolta, rasen-ta l’arte del ricatto. «Ha molte varianti – ri-flette Poli – del tipo "Conto fino a tre" o "Nien-te cellulare per una settimana", che appar-tengono al repertorio educativo degli adulti,sono le armi convenzionali e insostituibili acui si ricorre per indurre alla scelta giusta e afuggire i comportamenti sbagliati». Tutti que-sti interventi sono accomunati dal filo rossodi "fare pressione", che significa forzare l’a-desione al bene del figlio. D’altra parte, il ri-ferimento a nobili valori, alle proprie espe-rienze, alle conseguenze negative di com-portamenti irresponsabili, non funziona cosìfacilmente. «La convinzione secondo cui coni sani principi si guidi il percorso dei figli, èun’illusione che presto i genitori abbando-nano: è improbabile che un figlio si rivolgaai genitori ringraziandoli della loro durezza,sapendo che il loro intervento è teso al pro-prio bene». Questo tipo di approccio portatalvolta ad un vicolo cieco, in cui gli adulti siritrovano limitati ad una serie di moniti oprovvedimenti punitivi che non modificanol’assetto interiore e le motivazioni profondedei giovani; in compenso, il dialogo di per-suasione innesca spesso tensioni irrimediabili.«Il prezzo della persuasione può essere mol-to alto, perché ne risentono equilibrio e sere-nità, soprattutto, in presenza di altri figli,creando i presupposti di una visione del ge-nitore al pari del gendarme dello sfinimentoad oltranza».Esiste una terza via? Poli la individua neldialogo di confronto, in cui la prospettiva ècapovolta: «Il genitore cerca di comprendereil ragionamento interiore del figlio, primadi esporre il proprio punto di vista, persua-dendolo della sua bontà nel tentativo che

USilvia

Camisasca

Lʼultimo libro dellopsicologoOsvaldo Poli:pretenderedi fare gli "amici" dei figli è pericoloso econtronaturaPunti fermi?Ascolto,fermezza ecomprensione

«Genitori, non illudeteviLoro non vi dicono tutto»

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a ancora senso, oggi, parlare di stile “paterno”e “materno” nell’educazione? I cambiamenti

sociali e antropologici a cui è sottoposta la famigliamettono a dura prova il sistema, spiega Ezio Aceti in“Papà non dirlo alla mamma” (San Paolo, 174 pagi-ne, 14,50 euro), eppure padri e madri non debbono ri-nunciare o smarrire il proprio ruolo. «È arrivato il mo-mento di realizzare – spiega l’autore, psicologo dell’etàevolutiva, attualmente consulente del Comune di Milano e di molti co-muni delle province di Milano, Como e Lecco – quello che ormai mol-ti operatori sociali ed educativi sperano: l’alfabetizzazione genitorialeobbligatoria». Se, infatti, la madre rappresenta per ciascun bambino lasicurezza, la tranquillità, «è grazie al padre che il bambino potrà, unavolta separato dalla madre e rassicurato dalla interiorizzazione della fi-gura femminile, entrare davvero nella società e nella realtà», spiega A-ceti. «Solo un padre che “separa” il bambino dalla madre potrà aiutar-lo a divenire autonomo», è la consegna dell’autore ai genitori. «Educa-re – scrive Aceti – significa aiutare i bambini e i ragazzi a raggiungerela capacità di vivere da soli, di stare a tu per tu con i grandi, di essereautonomi. Occorre – aggiunge – che il padre faciliti questo percorso ver-so l’autonomia e che entrambi i genitori esercitino mediante l’ascolto,la parola, il sacrificio e il sostegno quella empatia necessaria per con-durre i figli verso la vera libertà».

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Educare alla libertà:i genitori di oggialla prova dei figli

LETTIPER VOI

l bullismo femminile non ècosì visibile, ma non per que-

sto meno pericoloso. Prende lemosse da qui, “Quando il bul-lismo è al femminile” (Paoline,115 pagine, 11 euro), di Ema-nuela Calandri e Tatiana Be-giotti, psicologhe dell’Univer-sità di Torino. «Se non emergela violenza fisica – scrivono leautrici – quella psicologica è al-trettanto pesante e devastante.Per questo è urgente farlo e-mergere in tutta la sua verità».

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novembre 2017 39NOI famiglia vitaLe rubriche

Quando il bulloè una ragazza

e mie preghiere di ogni giornoin Lis”, a cura di Marisa Bo-

nomi, con illustrazioni di Cristina Piet-ta (Paoline, 57 pagine, 8 euro) offre i te-sti delle preghiere tradizionali, accom-pagnati da illustrazioni e soprattutto daisegni, perché i bambini sordi possanoimpararli e rivolgersi al Signore usan-do la loro specifica lingua: la Lis, laLingua italiana dei segni. «Nulla, nep-pure la sordità – scrive la curatrice delvolume –può impedire la bellezza di u-na preghiera vissuta insieme».

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a nonna della mamma diCaterina è tornata alla casa del

Padre e alla bimba, cinque anni, lanotizia apre la voragine didomande sulla vita e sulla morte, omeglio, sul Paradiso che è la casadi Gesù. Per lei Gesù è un amico,tanto che la mattina del 31 ottobrequando si è svegliata tuttaelettrizzata, ha detto alla mamma,riferendosi alla festa delpomeriggio in Oratorio: «Chebello oggi il Pigiama Santy. Perchéc’è anche Gesù alla festa, è veromamma?». Tuttavia la morte per laprima volta la tocca da vicinoperché la bisnonna, nella propriafamiglia, era una presenza tenera,anzi è in effetti il primo incontroper lei con questa partenzamisteriosa che chiamiamo morte.La mamma mi racconta che, allanotizia, la bimba è scoppiata inlacrime e poi ha iniziato a faredomande, quelle serie di quesitiche i bambini sanno fare e chechiedono agli adulti di prendereuna posizione chiara, anchedavanti a se stessi. Chiedo alloraalla mamma di raccontarmi ledomande di Caterina che mi diceruotino tutte attorno all’argomento"Paradiso". Sono incuriosita dicosa muova, in una bimba cosìpiccola, la morte di una personacara. Ho poi pensato alla nostrarubrica che ha come titolo: "Quelloche i vostri figli non dicono", e misono detta che è importante anchequello che i nostri figli "dicono",quelle domande che nella lororadicale semplicità ci chiedono unsupplemento di creatività e unabuona dose di onestà verso di loroe verso di noi. A volte le lorodomande ci spingono ad un vero eproprio esame di coscienzatoccando le corde più profonde delnostro vissuto. Ecco, allora,direttamente dal resoconto dellamamma, alcune delle tantedomande di Caterina. Cosaavremmo risposto?«In Paradiso avremo il corpo deivecchi o il corpo di quandoeravamo piccoli?».«La nostra casa la portiamo inParadiso? Perché Gesù vuole chele famiglie stiano unite e quindiserve la casa!».«Ha detto il papà che in Paradisoci fanno stare uniti, è veromamma?».«Passeremo pure noi in mezzo alle

mura come Gesù risorto?». (Lamamma le aveva detto di alcunecaratteristiche dei corpi gloriosi). «In Paradiso ci saranno deipavimenti morbidi?» (A questacuriosa domanda la mamma le harisposto che non lo sapeva e alperché di questo interrogativo.Caterina risponde "così se unocade non si fa male").«La nonna è già in Paradisosecondo te mamma?».«Ma il suo corpo è nella bara?»Che cosa lasciano intendere leparole della bimba? Mi pare che cisiano alcune cose che le stannoparticolarmente a cuore: restareinsieme, non essere separati. Lapremura di avere ancora la casanon è ancora per lei lapreoccupazione di portare con sé ibeni, la roba di Verga, per capirci,ma le persone! Ai bimbiinteressiamo noi, non le cose, nonvogliono essere sommersi digiochi, se non perché sono il segnodella presenza delle persone amatee da cui sono amati. Ecco allora lapremura di sapere dove si trova orala nonna, è sintomatica di unasemplice, cristallina convinzione:la nonna non è sparita, bisognasolo capire dove si trova, perché larelazione con lei si è modificatama non interrotta.L’altra cosa che mi colpisceriguarda i pavimenti morbidi: cosacuriosa che mi ha fatto venire allamente l’Apocalisse, là dove la vitanella Gerusalemme celeste èdescritta come una condizionedove Dio asciugherà le lacrime e ildolore e l’affanno non saranno più(cf. Ap. 21,4). Quando un bimbocade si fa male e ogni sbucciaturaè "coronata" da un pianto che è unmisto di dolore e di paura. IlParadiso allora è sperato, ancheper Caterina così piccola, come illuogo dove non ci saranno piùaddii e dove ogni dolore saràconsolato e ogni lacrima asciugataperché Dio ci solleverà e ci terràcon sé come fa un papà quando ilfiglio piange perché è caduto. Mipare che questa di Caterina è unalezione di altissima teologia,quella dei piccoli che sannonaturalmente riconoscere lapresenza di Gesù in mezzo a noi.

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«Ma in Paradisoi pavimentisono morbidi?»

QUELLO CHE

I VOSTRI FIGLI NON

DICONORobertaVinerba

Pregarecon la Lis:i segni perparlarecon Gesù

a a che cosa servono gli uomini?». Nella nostrasocietà complessa il cosiddetto “sesso forte” si

sta rivelando, invece, quello più fragile. I maschi odierniono disorientati di fronte alle sfide che li attendono, pri-

ma tra tutte la paternità. Dalla sua esperienza di psicote-rapeuta, Mariolina Ceriotti Migliarese ha studiato l’universo dei maschiin una prospettiva femminile, evidenziandone le criticità e le molte risor-se: la sua riflessione, in “Maschi - Forza, eros e tenerezza” (edizioni Ares,144 pagine, 12 euro) è un invito appassionato perché gli uomini continui-no a essere portatori di quella «potenza buona, feconda e fecondante di cuiil mondo e anche la donna continuano ad avere estremo bisogno».

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Alla scoperta dei maschi:forza, eros e tenerezza

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