Informatica giuridica. Repertorio teorico. · 2017. 6. 16. · Informatica giuridica. Repertorio...

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1 Informatica giuridica. Repertorio teorico. Di Alessandro Pizzo * the novelty of computer technology consists in its revolutioning impact on the work of the brain for purposes of human cognition * * la nuova prospettiva, che è stata aperta, consiste nella possibilità di valersi degli elaboratori elettronici per la soluzione di problemi d’ordine giuridico. Il termine di mediazione (…) che ha consentito di collegare la cibernetica alla giurisprudenza, è stato offerto dall’uso della logica simbolica nel terreno culturale degli studi giuridici * * * 1. Informatica e diritto, cenni storici. Il rapporto tra il diritto e l’informatica, oggi caratterizzato anche da mutui scambi conoscitivi 1 , non ha avuto, sin dagli albori dell’informatica moderna, vita facile. Anzi, sovente si è realizzato uno scontro “filosofico” (ideologico) tra i difensori del purismo giuridico e i sostenitori dell’utilità del medium informatico nelle comuni pratiche legali, anche al livello più neutrale di (mera) archiviazione di documenti legislativi o di informazioni legali. Sui motivi di tale opposizione, che certamente ha penalizzato non poco lo sviluppo di un’evoluzione (potenzialmente) positiva del mondo giuridico 2 (specie nel periodo in cui tutti gli altri settori della vita umana, scientifico e non, si lasciavano innovare, spesso proprio modificare, anche in profondità, dai nuovi strumenti che l’informatica metteva a disposizione 3 ) tanto per continuare a svolgere, sia pure in maniera nuova, le pratiche usuali quanto per cominciare a pensare modalità nuove di realizzazione delle professioni legate al diritto 4 . L’aspetto più importante di * Alessandro Pizzo è Dottorando di Ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Palermo. * * Von Wright 1992 p. 1. * * * Frosini 1978 pp. 13 – 4. 1 Affermazione confermata da Sartor 1996 p. 1: «l’informatica giuridica è una disciplina ormai matura, che offre un repertorio consolidato di problemi, tecnologie, e soluzioni». 2 V. ad esempio Frosini 1978 pp. 25 – 6 e 38 – 9. 3 È emblematica di questa tendenza, comune ad altri ambiti umani, in merito alla collaborazione tra scienza esatta e scienza umana, quanto si auspicava Martino 1989 p. 12: «i risultati conseguibili saranno positivi a condizione di realizzare un’effettiva conoscenza reciproca e un serio studio interdisciplinare, ma, soprattutto, se ci si convincerà della necessità d’abbandonare quel persistente dualismo metodologico per cui i cultori delle cosiddette scienze esatte ignorano quasi del tutto delle scienze umane e, reciprocamente, i cultori di queste ultime ignorano quasi del tutto delle prime, in particolare delle scienze formali». 4 Interessante risulta annotare in proposito le dichiarazioni dell’ANDIG (Associazione Nazionale Docenti Informatica Giuridica) secondo le quali sarebbe bene prevedere la materia in oggetto al primo anno degli studi giuridici onde evitare il rischio che si consideri l’informatica solo quale uno strumento della comune Sommario: 1. Informatica e diritto, cenni storici. 2. Chiarificazioni concettuali. 3. Problemi e prospettive. Appendice: La logica deontica come metodo per l’informatica giuridica.

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Informatica giuridica. Repertorio teorico.

Di Alessandro Pizzo∗

the novelty of computer technology consists in its revolutioning impact on the work of the brain for purposes of human

cognition∗∗ la nuova prospettiva, che è stata aperta, consiste nella possibilità di valersi degli elaboratori elettronici per la soluzione di problemi d’ordine giuridico. Il termine di mediazione (…) che ha consentito di collegare la cibernetica alla giurisprudenza, è stato offerto dall’uso della logica simbolica nel terreno culturale

degli studi giuridici∗∗∗

1. Informatica e diritto, cenni storici.

Il rapporto tra il diritto e l’informatica, oggi caratterizzato anche da mutui scambi

conoscitivi1, non ha avuto, sin dagli albori dell’informatica moderna, vita facile. Anzi, sovente si è realizzato uno scontro “filosofico” (ideologico) tra i difensori del purismo giuridico e i sostenitori dell’utilità del medium informatico nelle comuni pratiche legali, anche al livello più neutrale di (mera) archiviazione di documenti legislativi o di informazioni legali. Sui motivi di tale opposizione, che certamente ha penalizzato non poco lo sviluppo di un’evoluzione (potenzialmente) positiva del mondo giuridico2 (specie nel periodo in cui tutti gli altri settori della vita umana, scientifico e non, si lasciavano innovare, spesso proprio modificare, anche in profondità, dai nuovi strumenti che l’informatica metteva a disposizione3) tanto per continuare a svolgere, sia pure in maniera nuova, le pratiche usuali quanto per cominciare a pensare modalità nuove di realizzazione delle professioni legate al diritto4. L’aspetto più importante di

∗ Alessandro Pizzo è Dottorando di Ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Palermo. ∗∗ Von Wright 1992 p. 1. ∗∗∗ Frosini 1978 pp. 13 – 4. 1 Affermazione confermata da Sartor 1996 p. 1: «l’informatica giuridica è una disciplina ormai matura, che offre un repertorio consolidato di problemi, tecnologie, e soluzioni». 2 V. ad esempio Frosini 1978 pp. 25 – 6 e 38 – 9. 3 È emblematica di questa tendenza, comune ad altri ambiti umani, in merito alla collaborazione tra scienza esatta e scienza umana, quanto si auspicava Martino 1989 p. 12: «i risultati conseguibili saranno positivi a condizione di realizzare un’effettiva conoscenza reciproca e un serio studio interdisciplinare, ma, soprattutto, se ci si convincerà della necessità d’abbandonare quel persistente dualismo metodologico per cui i cultori delle cosiddette scienze esatte ignorano quasi del tutto delle scienze umane e, reciprocamente, i cultori di queste ultime ignorano quasi del tutto delle prime, in particolare delle scienze formali». 4 Interessante risulta annotare in proposito le dichiarazioni dell’ANDIG (Associazione Nazionale Docenti Informatica Giuridica) secondo le quali sarebbe bene prevedere la materia in oggetto al primo anno degli studi giuridici onde evitare il rischio che si consideri l’informatica solo quale uno strumento della comune

Sommario: 1. Informatica e diritto, cenni storici. 2. Chiarificazioni concettuali. 3. Problemi e prospettive. Appendice: La logica deontica come metodo per l’informatica giuridica.

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tale questione, sui quali presupposti lasciamo sia il lettore a farsi una ragione, è certamente costituito dalla (ed è consistito nella) opposizione al nuovo. La resistenza alla penetrazione del computer in ambito giuridico, per quanto questa strutturazione non sia la sola ma la riteniamo più rappresentativa dell’orizzonte generale che intendiamo comunicare, ha assunto il carattere di una difesa ad oltranza contro la novità (anche: una resistenza passiva), è apparsa così essere una forma di misoneismo alla quale, tuttavia, non si può non riconoscere una parte di ragione5. Infatti, quanti hanno difeso il diritto, per come si è strutturato nel corso dei secoli, al punto da poter vantare una tradizione forte, in nome della sua originarietà, proprio perché, ma non solo, connaturata alla sua lunghissima storia, hanno temuto che il trattamento automatico [cibernetica prima e telematica poi] della pratica legale potesse far venir meno il senso stesso del diritto che, in buona approssimazione, possiamo individuare nell’elemento di mezzo (aurea mediocritas) tra certezza della legge e buon senso (umano) delle decisioni legali. Introdurre massicciamente elementi di automazione entro i processi decisionali legali, per esempio, ha provocato in molti il timore di veder sostituita ad una legge umana, perché gestita, pensata, vissuta, decisa, da agenti umani e secondo criteri umani di vita, una legge automatica, quando non anche più dispreggiativamente macchinistica, che potesse andasse a detrimento della dignità della medesima disciplina (provocandone una crisi di identità foriera di peggiori conseguenze). Infatti, se il diritto, a causa della sua storia, identifica la sua identità con quanto è stato stabilito, e fissato, proprio nel corso della sua lunga evoluzione, l’informatica, modificando aspetti non trascurabili, sovvertendo l’immagine tradizionale del diritto a causa dell’opposizione tra i tempi lunghissimi di sviluppo di quest’ultimo di contro ai (relativamente) brevissimi tempi di sviluppo dell’informatica, congiunto alla potente pervasività del medium tecnologico, avrebbe potuto arrecare un danno più o meno duraturo all’idea classica di diritto, modificandone l’identità. Non che questa ragione possa essere condivisibile ma l’ostilità all’informatica ha, in certo modo, posto in passato (specie tra anni ’50 e anni ’80) il diritto su una posizione quasi retrograda, e comunque di ritardo, rispetto al contemporaneo sviluppo della cd. società dell’informazione6. Ad ogni modo, è bene osservare come tale opposizione ha pur sempre delle buone ragioni. Infatti, la cautela nell’adozione di procedure informatizzate è ispirata alla cura della disciplina onde evitare un suo snaturamento. Spezzata questa lancia a favore dell’ostilità, certamente non monolitica ma assai differenziata al proprio interno, a quanto potesse ponga in rapporto di contatto e/o di collaborazione diritto e informatica, resta il fatto che tale pratica ha in certo modo arretrato il diritto proprio nel momento in cui il resto della vita umana al contrario si informatizzava più o meno velocemente7.

attività giuridica, quando, invece, l’informatica giuridica indica una profonda trasformazione della modalità di vita e del mestiere stesso giuridici. Allora, collocarla al primo anno varrebbe a suggerire agli studenti la via migliore alla loro formazione giuridica. V. Borruso 1990 p. 46 e sgg. 5 Benché, in ogni caso, sia vero che Borruso 1990 p. 49: «come per tutte le grandi invenzioni, si può dire che il suo uso può essere volto tanto al bene, quanto al male e che sta all’uomo, ovviamente, la responsabilità della scelta». 6 Frosini 2000 p. 79: «il termine di “società dell’informazione” o di “società informatizzata” designa il carattere distintivo dominante della società tecnologicamente avanzata, quale si è venuto manifestando in forma sempre più evidente in questi ultimi anni del secolo ventesimo». 7 Non cogliendo la grande potenzialità che le nuove tecnologie rendevano possibile. Come, infatti, scrive Frosini 1978 p. : «è grazie alla presentazione logicamente impeccabile dei termini d’una questione, quale appunto la logica simbolica riesce a fare,che il giurista può rivolgersi a un elaboratore elettronico, per servirsene ai fini del calcolo logico». Ma per rendere comprensibili in linguaggio binario le questioni giuridiche, queste ultime devono giocoforza essere ridotte nelle formule, o simboli, sui quali l’elaboratore possa alla fine operare. È, forse, proprio tale riduzione ad apparire “pericoloso”, per la dignità della scienza giuridica, ai cd. puristi della legge, per i quali il computer può sì scimmiottare il ragionamento dei giuristi umani ma solo questi ultimi sono in grado di comprenderlo appieno, una comprensione del diritto che è ben oltre la mera computabilità che ne potrebbe dare un elaboratore. Innovativa, nel panorama italiano, è, allora, l’ assiomatizzazione del (della teoria del) diritto offerta da Ferrajoli 1970, il quale (p. 1), in maniera indicativa di tale atteggiamento critico nei confronti della novità simbolica (e quindi: algoritmica), scrive: «immagino

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Questa tendenza inoltre, da un’ottica propriamente giuridica, ha comportato il non garantire protezione in termini di diritti agli utenti, ad esempio, di servizi nuovi resi possibili solo dalla tecnica, realizzando quella che in gergo può chiamarsi una vacatio legis, arrecando nocumento ai malcapitati non adeguatamente protetti da un diritto che, per vari motivi, non poteva proteggerli. Il caso italiano poi è emblematico. Infatti, ci siamo dotati di un codice giuridico che contemplasse fattispecie nuove (p.e. la posta elettronica; la firma digitale; etc.) solo nel 1996 (L. 676/96).

Da allora è stato un rincorrere il diritto d’avanguardia statunitense e il recepire le direttive comunitarie in materia.

A livello accademico, se si vuole, le cose sono state ancor più difficili. Infatti, la storia della materia ‘informatica giuridica’ nel mondo universitario italiano non ha avuto vita facile8 e dove, a prezzo di enormi difficoltà, ha potuto contare su dei corsi è stata fatta più volte oggetto di critica e di negazione di opportunità. D’altra parte, ad un diritto che può contare su una tradizione secolare può sembrare un’astrattezza del tutto gratuita dedicare un intero curriculum nuovo a fattispecie che, sotto molti aspetti, possono essere considerati capitoli nuovi di materie già esistenti. Ad esempio, ai giuristi è apparso superfluo creare cattedre di informatica giuridica dal momento che le fattispecie addotte sopra a mo’ di esempio, seppur di nuova fattura, possono essere in qualche modo ricondotte o al diritto privato o al diritto pubblico, rendendo immotivata la necessità di coniare un nuovo settore disciplinare che possa rivendicare per sé una dignità accademica o una specificità rispetto alle altre materie che possono vantare, dal canto loro, una tradizione illustre. Il caso dei padri della materia in Italia è altamente emblematico, basti pensare alle vicissitudini di Frosini o di Losano. L’unico tentativo, in base alle nostre informazioni, riuscito nel dare un’impronta durevole alla ricerca accademica in questo settore, è stato il CIRSFID di Bologna ove, tuttavia, almeno inizialmente, l’informatica giuridica è stata intesa, e trattata, come subordinata, dunque non come materia a sé stante, all’ambito disciplinare della filosofia del diritto9.

Esempio: a Palermo la cattedra di informatica giuridica, presso la locale Facoltà di Giurisprudenza, fa parte del pacchetto didattico delle materie filosofiche sebbene siano tenute da esperti non provenienti dal mondo teoretico (mentre nella facoltà di Economia è concepita quale una materia che guarda alla normativa in merito alle fattispecie prodotte dalla tecnologia, specie se con ricadute nell’ambito economico).

Ne possiamo concludere che, almeno in Italia, lo stato della materia sia quello di una contiguità tra sapere filosofico e sapere informaticogiuridico10.

Ad ogni modo, sembra ormai assodato che tale materia abbia una sua dignità scientifica, circostanza accreditata dal fatto che ormai in tutte le principali università italiane si sono costituite cattedre di informatica giuridica, aprendo anche a ulteriore specializzazione in sottoambiti.

D’altra parte, altro elemento a suo sfavore è la confusione tra l’informatica giuridica e il diritto dell’informazione (anche: diritto dell’informatica)11. Se assimilati, infatti, il giurista non comprende la

che il progetto di una teoria assiomatizzata del diritto apparirà, al comune giurista, un’idea incomprensibile o stravagante». Mentre una critica della logica del diritto è espressa da: Lombardi Vallauri 1981 pp. 25 – 178. 8 Laddove, al contrario, sarebbe stato bene osservare che Giannantonio 1990 p. 93: «lo studio dell’algoritmo giuridico costituisce dunque l’oggetto che caratterizza l’informatica giuridica, ciò che le conferisce carattere autonomo rispetto alle altre discipline giuridiche e un valore formativo nell’ambito del corso di studi in giurisprudenza», e, aggiungiamo, non solo in questo, volendo, data la vastità degli aspetti della vita umana investiti da tale materia. 9 Questo è il parere di Martino – Chini 2000. 10 Infatti, dice bene Mangiameli 2000 p. 37: «una scienza che non voglia degenerare in un cieco rovistare tra dati di fatto, deve essa stessa anche filosofare, almeno tanto quanto basti ad acquisire il senso della sua stessa materia». 11 Come scrive Frosini 2000 p. 166: «vi è infatti il riconoscimento (…) di una nuova branca della dottrina giuridica, che è il diritto dell’informatica. Esso va distinto dall’informatica giuridica, la quale si occupa della

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ragione di costituire una cattedra a sé per una disciplina che rientra appieno in settori disciplinari già esistenti, sebbene con argomenti, temi e problematiche, nonché regolamenti, nuovi. Infine, ulteriore nota a suo sfavore è costituito dal cronico stato deficitario della ricerca in Italia, piaga sulla quale riteniamo utile non dilungarci oltre.

Per quanto riguarda invece l’aspetto più propriamente storico, inutile dire che vivendo del progresso dell’informatica, la disciplina ha avuto uno sviluppo osmotico rispetto alla tecnologia, derivandone slanci entusiasti e arretramenti. Infatti, dagli anni ’60 agli anni ’80 si sono realizzati per lo più prototipi o proposte di applicazioni, la cui operatività si è cominciata a testare con profitto solo nei primi anni ’8012. Questo perché v’è una difficoltà tecnica legata alla possibilità di riuscire a formalizzare entro forme digitali adeguate le norme giuridiche13, il fatto interessato, di volta in volta mutevole, e a rappresentare adeguatamente il ragionamento giuridico sul quale per altro non v’è accordo tra i tecnici. E, infine, la necessità che vi sia una componente intelligente, diciamo un “programma”, capace di collegare tutti questi elementi tra di loro e a restituire un risultato corretto e interessante. Fare tutto ciò in termini di linguaggi di programmazione, ad esempio, non apparve sufficiente, anche perché i risultati possibili apparvero da subito ostici da controllare e gestire14, quanto anche difficile apparve sostenere la necessità di un accostamento informatico al diritto a fronte di realizzazioni pratiche tutt’altro che funzionali. Peraltro la struttura prevista era difficilmente aggiornabile e le conoscenze, così come i risultati, erano non revisionabili. Ciò indusse a rivolgersi ai linguaggi di programmazione dedicati al settore che studia la riproduzione artificiale del comportamento intelligente della mente umana, come il LISP o il PROLOG. In alcuni casi, comunque, si tentò anche la costruzione di linguaggi ad hoc che potevano pure estendere versioni già esistenti al fine di coprire fenomeni non padroneggiabili coi precedenti sistemi. In ogni caso, ulteriore problema era quello dell’interfaccia con il quale l’operatore avrebbe potuto interagire con la macchina. Al riguardo vennero costruiti dei gusci [shells] aventi lo scopo non solo di facilitare l’interazione ma anche quello di estendere le potenzialità della piattaforma adoperata.

Queste ultime tendenze hanno condotto all’aspetto, forse, più interessante, anche nei termini di resa, nel settore. Infatti, lo sviluppo dell’informatica giuridica s’è legato allo sviluppo dell’intelligenza artificiale (AI), mutuandone tecniche e idee feconde. Al di là della metafora computazionale, secondo la quale il computer non fa altro che riprodurre esattamente tecnica e struttura della computazione umana intelligente (per cui l’hardware sarebbe copia esatta della struttura cerebrale umana mentre il software il suo programma di funzionamento), l’applicazione dei sistemi esperti al mondo legale, dando luogo ai cd. sistemi esperti legali, ha suggerito vie stimolanti alla ricerca di settore, consentendo, in qualche caso, anche il superamento di ostacoli sino ad allora inaggirabili. Il che, ovviamente, non è esente di sue ulteriori problematiche15. Costruire un sistema esperto legale vuol dire costruire un sistema informatico in grado di restituire risultati legali che potrebbero, a parità di casi, essere forniti da un esperto legale umano16. Ma ciò comporta la difficoltà aggiuntiva relativa al costruire non solo un linguaggio di programmazione (logica), difficoltà che si riverbera sulla distinzione di stili di programmazione, linguaggi dichiarativi vs. linguaggi procedurali, per il trattamento delle informazioni legali, ma anche quello di mettere a punto un sistema in grado di compiere

funzionalità pratica attribuita all’informatica come strumento operante nel campo del diritto (…) il diritto dell’informatica riguarda invece le questioni connesse all’impiego dell’informatica non come strumento ausiliario, ma come oggetto esso stesso di disposizioni normative e di indagini dottrinarie». 12 Sartor 1996. 13 Come, infatti, sostiene Sartor 1990 p. 53: «il problema della formalizzazione ha un’importanza centrale nella realizzazione di applicazioni giuridiche dell’intelligenza artificiale». 14 Una sufficiente introduzione alla problematica è contenuta in Sartor 1992. 15 Iaselli 1998. 16 Come infatti dice Giunchiglia – Bouquet p. 323: «uno degli obiettivi di lungo periodo dell’IA è quello di costruire delle macchine (dei programmi di computer) che esibiscano dei comportamenti che in esseri umani chiameremmo intelligenti».

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deduzioni (legali) su una data base di conoscenza [knowledge base] e in relazione ad un dato informativo casuale. Non si tratta, per intenderci, solamente di compiere deduzioni su liste o gruppi a combinazione semplice ma astrarre da dati complessi conclusioni corrette e a norma di legge. Talvolta anche di giustificare il proprio operato17 e i risultati conseguiti.

Storicamente, comunque, questa sostanziale dipendenza dal mondo informatico ha comportato che la ricerca si scindesse in vari tronconi, tra loro potenzialmente non ostili. Infatti, accanto al tentativo di riprodurre il comportamento intelligente umano si è registrato il tentativo di affiancare alla pratica legale i nuovi ausilii offerti dalla tecnica. Un esempio è dato dai programmi, oramai giunti ad un livello tale nella loro evoluzione da poter avere uno spazio di mercato, di redazione di documenti legali, senza i quali gli attuali studi di esperti del diritto, quali avvocati, notai, consulenti, etc. non avrebbero la fisionomia attuale, comportando tra l’altro un aumento dei tempi di consultazione dei testi cartacei e di redazione dei testi bollati, oltre al lungo periodo di ricerca delle informazioni giuridiche. Un altro esempio, assai più vicino alla nostra pratica quotidiana è certamente costituito dai sistemi di information retrieval che consentono o su basi di dati (archivi) locali o su risorse di rete (in genere: internet, sia nella rete generica sia su server specializzati) di ricercare codici, articoli, paragrafi, convenzioni, sentenze, consigli, indicazioni, esempi, etc. tutto materiale oggi fondamentale per orientarsi nella dimensione terra mariquae del diritto. Non a caso, già Simitis proponeva, come soluzione alla sua diagnosi di crisi del diritto l’utilizzo dell’informatica per ovviarne i problemi e superare le difficoltà del tempo, non contingenti ma connaturate all’evoluzione della modernità18.

Pertanto, la storia dell’informatica giuridica, che non pretendiamo di fornire dettagliatamente in questa sede, è stata originariamente concepita quale scienza dei concetti giuridici reputati come misurabili, in termini informativi19 (la cd. giurimetria), per poi passare nell’suo con la definizione di giuscibernetica20. In seguito, soprattutto grazie alle prime realizzazioni di circuiti intelligenti si è giunti all’idea di poter dotare gli operatori del diritto di nuovi, e più potenti, strumenti a sostegno della professione (specie come ausilio nelle decisioni legali).

Parallelamente, però, questa evoluzione ha portato ad una differenziazione di competenze, e conseguentemente di sfumature, sull’informatica giuridica. Infatti, ad un interesse più teorico, qual è il nostro, è corrisposto un interesse più pratico, o applicativo, oppure anche più specializzato in termini giuridici, consistente nell’intendere come materia di interesse non solo, quanto non tanto, le questioni teoriche e/o tecniche ma anche, e soprattutto, l’aspetto, oggi più dinamico di un tempo, delle interrelazioni, e di rimandi reciproci, tra un diritto che regolamenta anche le fattispecie tecnologiche nuove (il cd. diritto dell’informatica o anche il cd. diritto dell’informazione o diritto delle tecnologie) e il suo studio in connessione agli artefatti della tecnica, spostando l’attenzione più sulle leggi in materia che sul tentativo di automazione

17 In molti modelli esperti ciò consiste nel dimostrare i teoremi che la macchina tira fuori, consistenti nelle decisioni vere e proprie prodotte dall’automazione. 18 Simitis 1970. 19 L’idea alla base del progetto di automazione del – chiamiamolo così – calcolo giuridico, e giustificante dell’indirizzo di studi chiamato informatica giuridica all’inizio delle sue ricerche, trae forza proprio dalla natura “materiale” dei sistemi elettronici. Infatti, loro linguaggio base, e dunque convenzionale, è il linguaggio binario; il problema, dunque, consisteva nel trovare un modo per comunicare all’elaboratore le informazioni, e le istruzioni, necessari affinché egli potesse lavorare, ma anche questi ultimi dovevano essere espressi in termini comprensibili all’elaboratore. Pertanto, misurare i concetti giuridici, e i relativi dati, equivale ad esprimere in termini algoritmici i surrogati (artificiali) del ragionamento giuridico umano. Il termine stesso cibernetica rinvia a questa pratica: governo regolato, e ripetibile, della comunicazione (sotto la condizione che l’intero dominio della vita sia equiparabile ad un sistema (interconnesso) della comunicazione tra vari organismi. Questo elemento della predittività del comportamento futuro rientra nella statistica (matematica) alla base del funzionamento del calcolatore elettronico (lungo le sequenze binarie degli impulsi elettrici e lungo la sequenza predeterminata degli algoritmi di gestione degli impulsi medesimi (Frosini 1978 p. 17 e sgg). Invece, su questa caratteristica della logica moderna, v. Agazzi 1980. 20 V. Losano 1969.

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informatica della professione giuridica. Su queste, ed altre, differenze, ci baseremo nel prossimo paragrafo. Per il momento ci limitiamo a cenni storici sull’informatica giuridica.

Altra tappa importante, distinta ma non irrelata dalla storia di internet, è costituita dalla tecnica del documento ipertestuale [hypertextual document]. Infatti, se da un lato è tutta la rivoluzione culturale sommersa che stiamo vivendo21, ruotante attorno ai nodi e agli hosts, che gira sull’idea di ipertestualità, dall’altro l’ipertesto riassume in sé l’idea cardine dell’uso della tecnica informatica quale fruttuoso nella pratica giuridica22 (nonostante che chi scriva non abbia certo la presunzione di non avvertire i rischi insiti nella pratica delle cd. autostrade informatiche: la de-territorializzazione del diritto e il suo relativo depotenziamento in ordine a tutelare i diritti soggettivi dato che la forza del diritto moderno si fonda per l’appunto sulla nozione di spazio che internet sovverte, dislocando in altrove immateriali la sorgente dei comportamenti potenzialmente lesivi della legge ma che il diritto, inteso alla vecchia maniera, non è in grado di fronteggiare23). Mentre prima l’avvocato, per esempio, doveva leggere estesamente i codici e relativi commentari, aiutato soltanto al massimo dagli indici e dai nomi dei paragrafi, la struttura ipertestuale, per nodi e collegamenti non gerarchici tra oggetti, gli consente di entrare nel testo da dove preferisce, estrapolarne meglio e più in fretta le informazioni di cui necessita oppure compiere una ricerca comparata tra nozioni affini oppure ricercare le modifiche di una legge posteriori ad una data stabilita. Oppure, può mentre consulta un codice attivare un collegamento vicino e attingere in linea ai commenti al paragrafo attuale.

Dal 1993 al 1998, quando internet, posta elettronica e l’ipertesto entrarono nella casa di (quasi) tutti, si colloca un’altra tappa della storia dell’informatica giuridica, qui, per ovvie ragioni, solo accennata24.

Il periodo successivo è stato interessato, invece, dalle problematiche relative alla sicurezza del documento informatico e delle comunicazioni telematiche25. Non tanto, e non solo dalla nostra prospettiva, dal punto di vista della tutela legale delle parti in causa in queste pratiche (p.e. il fenomeno del pishing; oppure dei dialer; ancora: del trading on – line; o: della crittografia di posta e di comunicazioni con dati sensibili; etc.), benché il recepimento normativo italiano in proposito sia stato più diretto alla tutela del diritto all’intimità personale [right to privacy] degli utenti che non a cogliere la natura delle nuove fattispecie prodotte dalla tecnologia (specie nell’ambito della tutela dei diritti soggettivi coinvolti nelle nuove situazioni della comunicazione, intesa in senso larghissimo, informatica [p.e. la riservatezza delle comunicazioni elettroniche; la tutela dei dati di carta di credito nei vari negotia telematici; la sicurezza dei propri dati o dei propri strumenti informatici, equiparati a “beni”, dai vari crimini informatici [computer crimes]; etc.]), ma da quello dei nuovi sviluppi che la tecnologia comporta all’interno della disciplina.

Questa brevissima rassegna storica, che non ha in alcun modo la pretesa della completezza, ci riconsegna una disciplina non solo il cui sviluppo non è concluso, ma anche che rimodula il suo aspetto, come le sue funzioni e i suoi scopi, costantemente, restando dunque assai dinamica e restia ad assumere una forma fissa, che dipende alla fin fine dalla particolare

21 Mattelart 1998. 22 Ma che, in realtà, assomma in sé la nozione di cultura stessa della nostra stessa civiltà per la quale, infatti, la trasmissione culturale, così come la sua elaborazione, ha luogo non più soltanto sul mezzo testuale (e unidirezionale) ma attiva vari, ed innumerevoli, livelli di lettura, giocando la ricchezza dei contenuti nell’universo, e nelle relative potenzialità, multimediale, consentendo un accesso non rigido ma flessibile alle informazioni medesime (p.e. suoni; disegni; animazioni; grafi interattivi; collegamenti; livelli vari e interconnessi di lettura; etc.) (Ciaramella – Guidotti – Lucchesi – Mariani – Ragona – Tiscornia 1989; Di Giorni – Inghirani – Ragona – Nannucci – Archi 1989; Liori 1989; Wahlgren 1989). 23 Mangiameli 2000 p. 25. 24 Interessante, anche in chiave storica, appare Martino 1992. 25 Come spesso accade alla fase dell’espansione, anche tumultuosa di nuove pratiche umane segue una fase di “normalizzazione” durante la quale nodi irrisolti, o aspetti trascurati, vengono al pettine. Si comincia, cioè, ad affrontare la necessità di tutelare i diritti soggettivi toccati da tali nuove pratiche.

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concezione (filosofica) che del diritto l’utente, così come il costruttore dell’apparato finale, possiede. Ma forse, anzi sicuramente, nemmeno il diritto ha mai avuto una forma fissa ed immutabile, checché ne dicano coloro i quali si appoggiano ad una sua storia malintesa26.

2. Chiarificazioni concettuali.

Uno dei più entusiasti, ma anche dei più famosi sostenitori dell’informatica giuridica parla del

rapporto tra diritto e informatica come uno tra i più farfugliati e imbricati27, a riprova del parere secondo il quale da un lato dell’informatica oggi non si può fare a meno ma dall’altro, contemporaneamente e reciprocamente, è solo farfugliato poiché la sua intromissione (non si può parlare solo di supporto o subordinazione rispetto alla ben più nobile arte giuridica), non è tuttora ben vista o accettata in termini universali (permangono diffidenze e/o ostilità e/o resistenze di varia natura, e provenienza).

Noi ce ne occuperemo in termini teorici. Parlare di informatica giuridica pone il problema del rapporto tra la sfera informatica e la sfera

giuridica, rapporto sintetizzato nella disciplina finale. Infatti, qual è la quantità di elemento informatico che rientra nella trattazione digitale dell’informazione giuridica? E, al tempo stesso, quanto c’è di diritto nel momento in cui l’informatica detta le leggi del rapporto per via del primato che in essa ha la natura dell’apparato tecnologico? Non è nostro intento rispondere a queste domande, solo, partendo da esse, porre alcuni elementi che, a nostro dire, possono risultare utili per chiarire la natura della materia. Quando parliamo di informatica giuridica possiamo: o, a) intendere il concetto più orientato sul primo termine della locuzione, privilegiando l’aspetto tecnologico nel lavoro giuridico; oppure, b) enfatizzare il secondo termine, privilegiando la natura peculiare del dato giuridico benché trattato in termini computistici. Intendere la disciplina nel senso (a) significa attribuire all’informatica giuridica un ruolo molto subordinato alla tecnica; invece, col senso (b) s’intende, per lo più, una disciplina che operi sì con tecnologie informatiche ma che conservi comunque una sorta di primato, o particolarità, per il diritto. In altri termini, (a) intende la materia come aspetto della ben più vasta ricerca tecnologica, che può anche occuparsi di trattare elettronicamente informazioni con dati non meramente numerici; (b), invece, subordina la materia alla storia del diritto, e considera lo strumento informatico solo quale aiuto nell’espletazione di certi e limitati compiti della professione legale (la processione dei testi, ad esempio; oppure le basi di dati; o anche la ricerca su internet; etc.).

Distinta, ma in certi casi non irrelata, alla precedente è la distinzione tra una (1) informatica giuridica teorica e una (2) informatica giuridica pratica. Con (1) l’interesse del ricercatore è volto più alla natura concettuale, o modellistica, della materia, laddove, al contrario, con (2) s’intende una preoccupazione più applicativa dei modelli teorici, più la messa a punto di strumenti, programmi, reti, funzionanti. In altri termini, la distinzione tra (1) e (2) è speculare alla diversità di campi attivati nella nascita della disciplina: l’informatica e la teoria del diritto. Ad esempio, il nostro è un interesse volto più verso (1) che verso (2), sebbene senza i risultati raggiunti con (2) non si potrebbe porre (in altri termini: anche (2) può fornire parecchi elementi interessanti per la prospettiva (1)).

Con queste due distinzioni abbiamo, dunque, α) un’informatica giuridica intesa quale studio delle problematiche sollevate dall’accostamento

tra informatica e diritto; e,

26 Sulla storia del diritto, ma disgiunto dalla valutazione sopra esposta, v. Viola – Urso 1989. 27 V. Martino 2001.

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β) un’informatica giuridica considerata o quale praticamente può esseri utile o come

tecnologicamente realizzabile. Altra possibilità è costituita dal considerare (β) anche come un diritto dell’informatica, come

l’insieme delle leggi/regole relative, che disciplinano, le fattispecie relative all’informatica. Ancora possiamo definire l’informatica giuridica «quell’insieme di teorie, metodologie e

tecniche per conoscere, produrre, gestire, modificare, utilizzare il «diritto» con l’obiettivo: - di garantire la certezza del diritto stesso; - di contribuire a fare del diritto una speciale funzione sociale di integrazione di equilibrio e di evoluzione culturale del sistema sociale»28 oppure intenderla o in senso lato (ogni tematica rientrante nel vasto raggio dei rapporti tra informatica e diritto) o in senso stretto (quale informatica giuridica documentaria)29.

Senza completezza, l’informatica giuridica ha i seguenti ambiti di applicazione: A) il trattamento dell’informazione giuridica 1) ricerca dei dati [data retrieval] ; 2) redazione documenti [document process] B) l’automazione del ragionamento legale 3) sistemi esperti legali [expert legal systems]; 4) sistemi di aiuto alla decisione [aid legal decision systems] Con (A), generalmente si intendono tutte quelle pratiche, con mezzo informatico e dato

giuridico, atte a elaborare, ricercare, trasmettere, costruire, l’informazione giuridica. Si suddivide, infatti, in (1), indicando l’insieme dei sistemi, singoli o integrati, di ricerca delle informazioni (ricerca che può svolgersi o sul computer locale o su server remoto o su periferica locale), e, in (2), che indica l’insieme dei sistemi che consentono di costruire, modificare, comunicare, testi legali (non semplicemente comunque il processamento dei testi [word processing] o le basi di dati [data bases]).

Con (B), generalmente si intendono tutte quelle pratiche, con mezzo informatico, dato giuridico e apporti eterogenei di varia provenienza (logica; sociologica; psicologica; etc.), atte a elaborare (elettronicamente) quello che, nonostante la non univocità al riguardo, è comunemente detto il ragionamento legale (di giuristi; di avvocati; di notai; di consulenti; di legislatori; etc.) sia nella veste della riproduzione artificiale dello stesso sia nella messa a punto di vari sistemi a supporto della decisione nel ragionamento.

Per [Sartor 1996] è l’aspetto (3) ad aver maggiormente stimolato lo sviluppo dell’informatica giuridica, forse anche perché è il settore più interessante dal punto di vista teorico. Infatti, per sistema esperto legale s’intende un sistema informatico che effettua decisioni legali come le effettuerebbe un esperto legale umano (p.e. un giurista). La particolarità risiede nel fatto che, da un punto di vista teorico, che comunque ha una certa influenza sulla realizzazione concreta di tali apparati, la costruzione di modelli, e prototipi, ha l’indubbio pregio di fornire maggiore chiarezza sui procedimenti legali stessi, in primis quelli riguardanti il cd. ragionamento legale, che contribuiscono a far uscire dall’astrattezza la pratica giuridica.

Per di più, come scrive [Sartor 1996] l’ostacolo principale alla costruzione di sistemi esperti legali davvero funzionanti, non limitati dunque alla soglia di modello proposto in sede teorica,

28 Frosini 1990 p. 25. 29 Borruso 1990 p. 35.

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è certamente costituito dalla maniera di come formalizzare il diritto30, di come rappresentare la materia diritto in una forma computabile che preservi la sua identità e che possa dar luogo a procedimenti informatici corretti e dal punto di vista legale e dal punto di vista dell’informatica applicata al diritto31 (in termini suggestivi: il problema corrisponde a come sia possibile ridurre tutta l’estrema complessità del sistema diritto, preservando funzionalità e dinamiche sue proprie, al linguaggio binario composto da solo e semplici sequenze di 1 e 0). Si tratta di una questione assai delicata e dibattuta nella storia della teoria del diritto32 e che riveste un’importanza di non poco conto nelle tematiche informaticogiuridiche. Infatti, se non disponiamo di una maniera corretta, certa, sufficientemente potente, manipolabile in termini sintattici, che mantenga l’integrità dell’essere – diritto, non è possibile realizzare manufatti informatici applicanti il diritto33. Non si tratta, come viceversa è erroneo credere, di costruire sistemi che sostituiscano l’agente umano nelle decisioni legali con computer in sua vece (il computer può solo fornire un’estensione artificiale all’intelligenza umana, ma resta il fatto che vi siano pratiche che solo l’uomo è in grado di svolgere perché egli attinge al significato proprio di quanto compie, il computer, invece, si limita ad agire secondo procedure o a seguito di manipolazioni meramente sintattiche su dati), ma di realizzare sistemi che lo possano aiutare, anche mostrando percorsi decisionali diversi da quelli usuali, aiutando a progredire in consapevolezza nella decisione da prendere. D’altra parte, quantunque sia di maggior interesse teorico la realizzazione di sistemi esperti legali davvero funzionanti, è importante osservare come storicamente l’informatica giuridica si sia affermata in relazione alle applicazioni più di informatizzazione burocratica che del mondo legale vero e proprio34.

La problematica in oggetto coinvolge trasversalmente più discipline, sia quelle generali sia le loro ulteriori specializzazioni. Infatti, il come rappresentare il fenomeno diritto entro una cornice computabile e meramente sintattica, dato che sinora le macchine hanno raggiunto un “certo” grado di riproduzione del comportamento razionale umano ma senza che si possa parlare di intelligenze vere e proprie né appare vicino questo possibile scenario, coinvolge la teoria del diritto (p.e. quale modello ideale di diritto utilizzare?), la logica (p.e. quale forma logica adoperare nel rappresentare la conoscenza giuridica?), la filosofia (p.e. qual è il ruolo della computazione razionale nell’implementazione informatica?), la sociologia (p.e. quali sono gli effetti sociali delle decisioni non umane?), la politica (p.e. qual è l’indirizzo da conferire allo sviluppo ulteriore della disciplina?), la psicologia (p.e. qual è il senso di pratiche deumanizzate con ricadute su uomini?), l’etica (p.e. è giusto assegnare a macchine, per quanto pensanti, un ruolo decisionale che verte sui comportamenti umani?), etc.

Gli elementi costitutivi di un modello di sistema esperto legale, mettendo tra parentesi queste tematiche che non possiamo affrontare in questa sede, sono i seguenti:

A) Base di conoscenza [knowledge base] ; B) Motore inferenziale [inferential engine];

30 Il problema alla base delgi studi di informatica giuridica è quello se, e in che termini, sia possibile costruire il diritto in termini di algoritmo, cosa che, ovviamente, rinvia a notevoli problematiche circa il lavoro di preparazione e di predisposizione a tutte le possibilità da prevedere in merito al singolo caso e alle fattispecie previste dall’ordinamento. In merito Sartor 1990; 1996 paventa il rischio, assolutamente da evitare, dell’«esplosione combinatoria». 31 L’ informatica giuridica presenta senz’altro la problematica ulteriore di costruire sistemi intelligenti ma applicati al diritto, pensati per funzionare come attori esperti del sistema diritto, dato che caratteristica comune a molti settori di ricerca dell’intelligenza artificiale è l’idea di McCarthy: rappresentare la conoscenza. Il suo progetto scientifico risiede nell’idea che un’entità per potersi definire intelligente debba possedere una certa quantità di conoscenza sul proprio ambiente e debba essere capace di usarla per ricavarne di nuova e per orientare il proprio comportamento (Giunchiglia – Bouquet 1998 pp. 323 – 324). 32 A titolo esemplificativo su questa questione v. Pizzo 2005. 33 Per dirla con [Sartor 1990] il problema è quello della rappresentazione della conoscenza, ovvero di come render manipolabili in termini informatici e i dati mutevoli da caso a caso e le strutture decisionali del diritto. 34 V. [Knapp 1978].

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C) Apparato di input/output [input/output system]; D) Utente [user]. Con base di conoscenza s’intende la componente elettronica che formalizza il linguaggio

giuridico, le norme giuridiche e i dati inseriti dall’utente35. Con motore inferenziale s’intende la base elettronica di processazione che operi inferenze,

ovvero conclusioni legali, a partire da certe premesse (norme giuridiche e fattispecie concrete). Con apparato di input/uotput s’intende il sistema che consente l’interazione utente –

macchina sia a livello di inserimento delle questioni sia a livello di restituzione delle risposte. Infine, con utente s’intende l’operatore umano che utilizzi il sistema esperto. A questi elementi si possono aggiungere, variabile del modello prescelto, anche l’ingegnere

dell’informazione cui spetta il compito di consentire l’aggiornamento dell’interfaccia e del database della macchina ma anche del thesaurus giuridico della base di conoscenza, aspetto assai delicato in materia e uno di quelli che presentano maggiori problemi tecnici, oltre a controllare la correttezza dei procedimenti del motore inferenziale.

3. Problemi e prospettive.

L’interesse notevole suscitato dalle possibilità di applicazione dell’informatica al diritto non

deve indurre nell’errore chi legge che noi si sia nella condizione di disporre di applicazioni che realizzino il progetto alla base dell’informatica giuridica. Infatti, benché gli indubbi progressi e le potenzialità in oggetto, siamo ancora ben lungi dall’avere a disposizione sistemi esperti legali [SEL], ovvero sistemi che si comportino in maniera esatta come si comporterebbe esattamente un esperto legale umano nella valutazione (legale) delle stesse circostanze. Ben altro successo hanno avuto, invece, le applicazioni informatiche di ausilio nella redazione di documenti giuridici, seguendo anche l’onda lunga dell’informatizzazione delle società occidentali negli ultimi due decenni.

Possiamo, allora, distinguere due tendenze dell’informatica giuridica, senza ovviamente pretendere di esaurire qui la varietà di posizioni intermedie, che sostanziano le direttrici di ricerca in materia:

1) un’informatica giuridica forte; tendente a replicare in termini computazionistici il

comportamento intelligente umano nel campo del diritto (computer come simia hominis) 2) un’informatica giuridica debole; tendente ad affiancare la pratica giuridica con ausilii della

moderna tecnica (computer in funzione vicaria) La prima tendenza è quella che maggiormente suscita interesse teorico ma è quella che

presenta maggiori difficoltà, mentre la seconda tendenza, pur non essendo esente da problematiche, offre maggior possibilità d’impiego.

La linea (1) presenta un insieme di problematiche che possiamo riassumere nei termini seguenti:

a) problematiche tecniche: la tecnica dell’intelligenza artificiale non ha ancora raggiunto un

livello in termini di prestazioni tali da poter essere considerato un’alternativa valida alla computazione esperta umana;

b) problematiche di metodo: l’applicazione dei paradigmi, delle tecniche, degli strumenti dell’informatica, e in particolar modo dell’intelligenza artificiale, al diritto presenta il problema di

35 Sulle problematiche relative alla metafora consistente nel considerare il diritto quale un tipo di linguaggio v. Di Lucia – Scarpelli 1994 e Di Lucia 2003 mentre sulla problematica di formalizzare il linguaggio giuridico v. Sartor 1992.

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formalizzare il metodo giuridico sul quale, da parte sua, non v’è univocità su statuto, su fini, su effettivo funzionamento (p.e. “in cosa davvero consiste il ragionamento giuridico?”).

La linea (2) presenta un altro insieme di problematiche che possiamo riassumere nel modo

seguente: a) problematiche tecniche: la tecnica dell’information processing ha raggiunto un livello tale di

sviluppo da mettere in pericolo la specificità stessa del lavoro giuridico, rendendo di per sé difficile distinguere tra competenze dell’operatore e competenze del sistema ausiliario;

b) problematiche di metodo: l’applicazione delle tecniche informatiche al diritto presenta il problema di dovere ripensare il metodo giuridico, riaprendo una delle questioni più antiche della storia del diritto, oltre a suggerire attenzione nel momento in cui si utilizzino automazioni nella somministrazione di pratiche legali, per quanto attiene al momento del supporto alla relazione utente – operatore giuridico.

Ad ogni modo, le problematiche su indicate non esauriscono l’insieme di elementi che

caratterizzano la ricerca attuale ma danno un’idea quanto meno completa dello stato d’arte. A ciò bisogna aggiungere il problema del mancato standard delle ricerche. Infatti, come

mostra [Sartor 1990; 1996] storicamente abbiamo un susseguirsi di modelli teorici e prototipi applicativi che se da un lato mostrano la vivacità della ricerca dall’altro dimostrano come gli attori in campo siano incapaci di parlare una lingua comune, siano incapaci di fondare le loro proposte su supporti tecnologici comuni36. Ad esempio, non c’è pace sul modello teorico da adoperare (p.e. il metodo logico, tipico degli studi continentali in materia, o il metodo del case law, tipico degli studi anglosassoni in materia) né sui linguaggi di programmazione (p.e. il PROLOG o il LISP) né tantomeno sulla caratteristica sul quale deve essere basato il sistema intelligente (p.e. la cd. programmazione logica) oppure sul rapporto tra gli elementi interni di un sistema intelligente (p.e. tra utente ed ingegnere della conoscenza; tra motore inferenziale e base di conoscenza; etc.).

Queste, certo lacunose, indicazioni sugli aspetti problematici della materia non deve indurre nell’errore di lasciar andare ad eccessiva sfiducia sull’informatica giuridica, ma deve restituirci l’immagine corretta della situazione.

D’altro canto, l’immagine progressiva della scienza negli ultimi secoli suggerisce di pensare anche che sia solo questione di tempo e i problemi schematicamente indicati in precedenza saranno via via superati. Ma tutti sanno che senza volontà, personale e, in certi casi, anche politica, nessuna buona intenzione può diventare realtà.

Appendice

La logica deontica come metodo per l’informatica giuridica

Se un aspetto fondamentale dell’informatica giuridica è quello relativo alla formalizzazione del linguaggio giuridico naturale in linguaggio artificiale (o: convenzionale), rendendo possibile la sua manipolazione sintattica da parte di un elaboratore, dato che quest’ultimo è incapace di attingere al significato delle espressioni di cui comunemente facciamo uso, una delle possibili strategie di soluzione di questo problema è venuto nel tempo da parte di un «settore controverso» [Sartor 1990 p. 198] della logica: la logica deontica. Il parere di Sartor al riguardo è negativo37, e sotto due aspetti, distinti ma non irrelati, forse anche perché la logica deontica 36 Ad esempio, già la nostra presentazione teorica contribuisce alle divisioni tra coloro che lavorano all’ informatica giuridica tra teorici e pratici, sebbene la riteniamo utile a fini conoscitivi. 37 Parere ribadito anche in seguito in Sartor 1996 p. 87 ove si ribadisce che vero è che secondo un certo orientamento la logica deontica appare la logica più idonea alla formalizzazione del diritto ma si deve tener conto anche del fatto che «essa manca ancora di solide fondamenta logiche e filosofiche, come confermano i

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nasce, innanzitutto e per lo più, come tentativo storico di estendere il campo di applicazione della logica alle norme, le quali sono per definizione eterogenee alla logica38, cristallizzandosi nella questione del cd. dilemma di Jørgensen39, interessando più l’astratta faccenda dei rapporti tra logica e norme, che il compiere veri e propri progressi conoscitivi, cosa che all’informatico giuridico interessa solo in minima parte, non mancando di etichettare la logica deontica o «come settore controverso» della logica40 oppure ancora priva di un solido fondamento filosofico41 oppure anche non ancora sistemizzata in modo adeguato42. Laddove, invece, la logica moderna mostra indubbia attitudine a poter padroneggiare il funzionamento del diritto, a poter formalizzare il comportamento (logico) dei concetti normativi43 mentre la sua variante specialistica deontica non del tutto44. Infatti, secondo Sartor:

a) non esiste accordo sulla logica deontica; b) la logica deontica risponde in parte, ed anche minima, all’esigenza di estendere il campo

di applicazione della logica alle norme A questi due aspetti, se ne può aggiungere un altro: c) chiedersi se la logica si applichi alle norme è un compito sterile se non si tenta di

realizzare in pratica l’idea generale. La mancanza di accordo suggerisce allora anche la questione assai più spinosa ed insidiosa:

è possibile una logica deontica?45 Ovviamente, non sarà questo argomento della presente, ma è un aspetto di cui va tenuto conto nel momento in cui ci accingiamo a valutare la possibilità di utilizzo della logica deontica nel campo degli studi informaticogiuridici.

In queste sede cercheremo di rispondere alla questione, teorica come l’interesse complessivo dell’intero contributo, seguente: può la logica deontica costituire un metodo per l’informatica giuridica?

Per [Girle 2000 p. 171 ss.] sono principi della versione standard della logica deontica: DL. 1. Pp =DF ∼O∼p. DL. 2. (Pp∨P∼p). DL. 3. (P(p∨q) ≡ (Pp∨Pq)). DL. 4. non sono valide le seguenti formule: O(p∨∼p) e ∼P(p∧∼p). DL. 5. se p e q sono logicamente equivalenti, allora Pp e Pq sono logicamente equivalenti (DL. 2) è il cd. principio di permissione, alla base della costruzione von wrightiana, che esprime

l’impossibilità che sia p che q siano vietati.

paradossi che emergono in tutte le formalizzazioni della logica deontica» mentre secondo l’autore più adeguata appare la logica modale, specie in relazione allo sviluppo di sistemi intelligenti. 38 Celano 1994 p. 326. 39 Jørgensen 1937-8; Ross 1941; Martino 1997; Volpe 1999; Coyle 1999, 2002; Makinson 1999; Panzanella 2004. 40 Sartor 1990 p. 198. 41 Sartor 1996 p. 87. 42 Carcaterra 1969 p. 612. 43 V. anche Lindhal 1977 e Tammelo 1978. 44 E sarebbe proprio questa attitudine del formalismo logico – matematico ad interessare l’automazione giuridica. Tuttavia, se il linguaggio normativo (deontico) fosse trattabile logicamente, dando dunque luogo ad una logica deontica, sarebbe quest’ultima più adatta a fornire il medium con il quale, e per mezzo del quale, sarebbe possibile ricostruire in termini algoritmici il linguaggio giuridico. Al riguardo, v. Frosini 1978 p. 13 e sgg. 45 Grana 1990 p. 14; Coyle 2002; Ross 1978 p. 214.

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(DL. 3) è il cd. principio della distribuzione deontica, in virtù del quale l’operatore deontico si applica a tutti gli argomenti della sua predicazione singolarmente. Cioè, P(p∨q) è logicamente equivalente a Pp∨Pq.

(DL. 4) è il cd, principio di contingenza deontica, infatti le formule indicate sono contingenti dato che non sono deduttivamente derivabili entro la base assiomatica.

(DL. 5) è la cd. regola di estensionalità, ed esprime, detto brevemente, la possibilità di sostituzione di equivalenti materiali.

A questa versione originale si è successivamente affermata una variante, meglio nota come SDL [Standard Deontic Logic]46 che sostituisce a (DL. 4):

DL. 4’. ∼P(p∧∼p) Cioè la versione standard di logica deontica considera valida la formula originariamente

espunta da von Wright. La base minima di logica deontica proposta da [Girle 2000] non differisce da quella

presentata da [Meyer – Wieringa 1993]:

A0. tutte le tautologie del calcolo proposizionale; A1. Op≡∼P∼p; A2. Pp∨P∼p; A3. P(p∨q)≡Pp∨Pq; A4. p≡q/Pp≡Pq.

Cui bisogna aggiungere i teoremi base47 della SDL:

T1. Op≡∼P∼p; T2. O(p∧q)≡Op∧Oq; T3. ∼(Op∧O∼p) (non si può essere obbligati a realizzare azioni configgenti); T4. P(p∨q)≡Pp∨Pq; T5. Op∨Oq⊃O(p∨q); T6. Op⊃O(p∨q) [paradosso di Ross48] T7. P(p∧q)⊃Pp∧Pq; T8. Fp ⊃F(p∧q) [paradosso del penitente49]; T9. (Op∧Pq)⊃P(p∧q); T10. (Op∧O(p⊃q))⊃Oq; T11. (Pp∧O(p⊃q))⊃Pq; T12. (Fq∧O(p⊃q))⊃Fp; T13. Fq∧Fr∧O(p⊃(q∨r))⊃Fp; T14. ∼(O(p∨q)∧Fp∧Fq) ; T15. (Op∧O((p∧q)⊃r))⊃O(q⊃r); T16. O(∼p⊃p)⊃Op; T17. Oq⊃O(p⊃q) [obbligo derivato50]; T18. Fp⊃O(p⊃q);

46 Hansson 1969 p. 374; Mazzarese 1984 p. 443. 47 Lasciando per scontata la loro relativa dimostrazione. 48 Ross 1982 p. 89; Hibri Cox 1978 pp. 22 - 23; Mazzarese 1984 p. 444. 49 Hibri Cox 1978 p. 24. 50 Prior 1954; Mazzarese 1984 p. 445.

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T19. O∼p⊃O(p⊃q) [obbligo derivato51]; T20. ∼p⊃(p⊃Oq) [paradosso dell’obbligo condizionato]; T21. ∼O(p∧∼p) [obbligazione non contraddittoria]; T22. (Op∧O(p⊃q)∧(∼p⊃O∼q)∧∼p [(falso) paradosso di Chisholm52]; T23. p⊃q / Op⊃Oq [paradosso del Buon Samaritano53]

Com’è facile osservare, il verificarsi di paradossi è indice di limiti (formali) precisi della logica deontica54 (Grana 1990 p. 37), in genere incapace di render conto di ordinamenti giuridici reali55. D’altro canto, molti hanno scorto nella logica deontica una maniera più o meno utile, almeno in termini generali, relativa all’applicazione di un certo grado di formalizzazione, e di relativa automazione56 (che è poi anche la causa del sorgere di paradossi: la tensione tra «formalismo» e nostre «intuizioni» deontiche57), delle situazioni normative, specie quelle a base sanzionatoria58. Ad esempio, Di Bernardo 1969; 1972; 1979 scorge, nella logica deontica, la possibilità di fondare una considerazione sociologica del diritto, privilegiandone l’aspetto dell’obbligo e della sanzione connessa, riecheggiando il ben noto principio kelseniano d’imputazione [Kelsen 1952].

D’altro lato, il gran sviluppo della logica deontica nella seconda metà del XX sec. è da addebitare proprio a questa (forte) intenzione di applicare la disciplina o alle scienze umane normative o all’etica59. Ma questo interesse ha anche giocato un brutto scherzo, distogliendo dal momento propriamente fondativo della logica deontica, dando luogo a quelli che comunemente sono chiamati paradossi60, a causa, innanzitutto e per lo più, dello stesso limite strutturale che caratterizza l’informatica giuridica: la natura distanziata, in termini di formalizzazione, di logica del dovere e del dovere medesimo (speculare al problema informaticogiuridico: formalizzare il diritto, naturalmente cosa altra dal formalismo).

Sulla base di questo aspetto, dunque, dovremmo rispondere negativamente al quesito iniziale. Ma ciò non ha impedito a molti di continuare a vedere nella logica deontica una possibilità di formalizzare perlomeno un aspetto minore, ma non per questo non interessante,

51 Supra. 52 V. Chisholm 1963. Come dice Powers 1967 p. 396 e sgg.:«an adequate solution of Chisholm’s puzzle must contain an explanation precisely of the fact that appears to be more than one total relevant circumstances». 53 V. Al – Hibri 1978 pp. 23 – 4; Mazzarese 1984 p. 446. 54 Per come mostra bene Al – Hibri 1978. Mentre Prior 1955 pp. 220 - 227 punta l’indice di ciò contro l’infelice scelta semiotica di von Wright: la derivazione della logica deontica dalla logica modale. 55 Mazzarese 1989. D'altronde osserva Rescher 1969 p. 321 come SDL tratti dei concetti deontici in modo molto astratto, lasciando ad altre discipline, come p.e. l’etica, «the concrete question of exactly what acts or states of affaris are to be forbidden, permitted or the like», essa cioè, in qualità di branca della teoria logica, si limita a sistemizzare le relazioni puramente concettuali tra proposizioni nella sfera deontica mentre per Di Lucia 1992 la logica deontica può indicare la razionalità legislativa, ma senza pretendere di render conto di ordinamenti giuridici concreti. 56 D’altronde, precisa Frosini 2000 come condizione costitutiva dello sviluppo tecnologico della cd. società dell’informazione sia la meccanizzazione del trattamento delle informazioni, la presenza di apparati tecnologici che simulino il comportamento intelligente umano in modo autonomo rispetto al (potenziale) utente umano, base di ogni tentativo di applicazione sensata, e interessante, delle tecnologie moderne al diritto. 57 Von Wright 1981 p. 7. 58 Anderson 1956. V. anche, da un punto di vista più problematico, [Anderson 1967. 59 Leonardi 1983 p. 1. 60 Incoerenze che pongono legittimamente la domanda seguente: è la logica deontica una logica razionale? Grana 1990 p. 14. Lo stesso tema, che in sé costituisce anche un profondo mutamento di prospettiva, ha condotto i cultori di logica deontica dallo studio formale della stessa alla sua considerazione quale modello (ideale) in vista del quale valutare la razionalità degli ordinamenti giuridici reali (Mazzarese 1989) o la legislazione (Di Lucia 1992).

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del diritto: il metodo giuridico61. Infatti, se (Mazzarese 1989) ritiene essere la logica deontica più una considerazione (ideale) di ordinamenti giuridici perfetti (ovvero: deonticamente perfetti), rendendo comunque conto, grosso modo, della ratio giuridica, e (Comanducci 1992) tratta di una prospettiva metaetica, assai affine alla logica deontica, se (Hansson 1969 pp. 376 – 378; 381 – 383) sostiene anche che la logica deontica tratti di (astratti) mondi ideali, deonticamente perfetti, rispetto ai quali valutare quelli reali, e se (Åqvist 1964) indica la necessità di una interpretazione della logica deontica62, individuandone ben cinque possibili, al fine di collocarla nella suddivisione filosofica in uso teoretico, uso esterno che considera le enunciazioni deontiche come proposizioni asserenti che il parlante desidera, comanda, etc., e uso interno, che considera l’uso che delle formule deontiche si fa in modo simile al linguaggio naturale63 (aspetto frammisto all’epistemologia neopositivista64 consistente nell’idea di una distinzione «forte» tra proposizioni descrittive e proposizioni prescrittive, fondante del progetto deontico in [von Wright 1951] e problema fondamentale per la logica deontica65, che mette capo alla necessità di estensione del campo di applicazione comune della logica, interpretando in senso differente il significato delle costanti logiche66) resterebbe non spiegato come mai Sartor 1990 elenchi tra le discipline che possono contribuire positivamente alla formalizzazione del diritto proprio la logica deontica, pur non esitando a rimarcarne gli aspetti improduttivi e/o problematici. Infatti, fattore a sostegno dell’idea generale di consentire un utilizzo (seppur da precisare meglio) della logica deontica in informatica giuridica è quello secondo il quale «una logica per la rappresentazione della conoscenza giuridica dovrebbe comprendere logiche modali, deontiche, epistemiche, temporali, dell’azione, e ogni altra logica necessaria per affrontare i concetti del linguaggio comune. Infatti, il discorso giuridico è immerso nel linguaggio naturale e, a differenza dei linguaggi scientifici, ne conserva tutta la complessità»67.

Ad ogni modo, l’esame della letteratura al riguardo mostra come non sia la logica deontica di [von Wright 1951] ad esempio ad essere adoperata in una (ipotetica) formalizzazione dell’universo normativo, ma versioni più o meno modificate, anche ibride, messe a punto all’uopo, versioni assai larghe di logica deontica, integranti aspetti provenienti dalle logiche temporali68, dalle logiche nonmonotoniche, dalle logiche fuzzy, dalle logiche rilevanti, dalla logica paraconsistente69, dalla logica libera70, che appare la più utile, almeno da un punto di vista teorico, dato che mette capo alla possibilità di utilizzare, entro schemi formali, del linguaggio naturale senza incorrere nel problema connaturato ai sistemi di logica deontica (di non riuscire a catturare entro un linguaggio convenzionale le sfumature e la ricchezza espressiva del linguaggio naturale) e che mettano in evidenza aspetti trascurati da von Wright71: il tempo; la condizionalità; la gerarchia di fonti; l’agente interessato dal deontico72, la

61 Condizione ancor più comprensibile nel momento in cui si nota come gli operatori deontici siano «capiti» dal sistemi automatico nel senso che non sono considerati come sequenze arbitrarie di caratteri ma sono oggetto di speciali manipolazioni Sartor 1990 p. 174. 62 V. pure Powers 1967. 63 Trattasi di una posizione assai affine alla distinzione compiuta tra usi delle formula deontiche in Alchourròn – Bulygin 1981, speculare alla distinzione, compiuta da von Wright 1951 stesso tra usi delle formule deontiche: o utilizziamo le formule conducendo discorsi su tali formule o usiamo le formule deontiche al fine di esprimere la funzione stessa delle formule (p.e. comandare; desiderare; valutare; etc.). 64 Carcaterra 1969 e Celano 1994. 65 Makinson 1999. 66 Far così equivale a rispondere positivamente alla domanda se sia possibile costruire una logica deontica Coyle 2002. 67 Sartor 1990 p. 297. 68 Pizzi 1974. 69 Grana 1990. 70 Bencivenga 1981. 71 Parzialmente affrontati, pur senza giungere a compiute e soddisfacenti soluzione, nei sistemi via via emendati nei decessi seguenti, in von Wright 1963; 1964; 1968. 72 Brown – Carmo 1996 e Horty 2001.

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diffettibilità dei ragionamenti deontici73. È facile osservare, infatti, come siano propri questi aspetti, e non la generica logica di stati di cose [states of affaris] ad interessare l’informatica giuridica. Non è un caso, al riguardo, che le proposte di formalizzazione del diritto si siano collegate alle proposte teoriche di vedere i sistemi normativi reali nel modello teorico onnicomprensivo dei cd. normative systems74.

L’idea, alla base della cd. Computer Science applicata al diritto, di cui, forse, possiamo dire farne parte la biennale Deon, relativa ai rapporti tra informatica giuridica e logiche deontiche, risiede nel far uso, in posizione alla pari con altri contributi, di una logica deontica larga, in ogni caso una riformulazione estesa, anche nei presupposti fondanti, del progetto stesso di von Wright (1951), o di Becker (1952) o di Kalinowski (1953), ritenuti fondatori, non in relazione, della logica deontica moderna75. Inoltre, la presenza stessa di paradossi indica come il progetto iniziale di logica deontica di [von Wright 1951], proseguito senza molti cambiamenti, o senza cambiamenti che possano definirsi veramente innovatori, tranne, forse, l’idea di associare alla logica degli stati di cose deontici una logica dell’azione sin da [von Wright 1963], sia fortemente carente. Inoltre, va notato anche come, forse, è proprio la non specificazione dei contorni epistemici, ed eventualmente applicativi, a esercitare una profonda suggestione (filosofica) sulla logica deontica76. Ma in questa condizione essa appare capace senz’altro di essere tutto, e di tornare utile anche in termini applicativi, e di non essere nulla, e teoricamente e praticamente, una condizione, dunque, particolarmente infelice perché del tutto improduttiva.

Inoltre, è l’idea di logiche a statuto di verità defettibile, che esprima la predicazione, propria dei rapporti giuridici, in termini diadici, a interessare le eventuali proposte di formalizzazione giuridica. Tant’è che è solo dalle proposte della prima metà degli anni ’60 che von Wright può inizialmente essere preso in considerazione per i fini informaticogiuridici77, ma sempre nell’ottica di una sua modifica sostanziale.

Peraltro, l’aver luogo di formule paradossali, sfidanti anche le più ovvie, e banali, intuizioni78 (deontiche), che il senso comune può avere79, è sintomo di inadeguatezza, da parte della logica deontica, a formalizzare la ricchezza espressiva del linguaggio naturale, essendo la logica stessa, per parte sua, il tentativo di tradurre in formule ben formate il ragionamento umano80, di «portare a massima esplicitezza quella struttura ideale del ragionamento corretto»81. Da questo punto di vista, allora, sembra che la logica deontica, soffrendo degli stessi limiti espressivi della logica, ripresenti lo stesso problema alla base del mancato sviluppo degli studi informaticogiuridici verso esemplari davvero funzionanti di implementazione giuridica su macchine cd. intelligenti: ostacolo, rispetto al buon fine delle ricerche, costituito dallo scarto tra i linguaggi convenzionali (p.e. i linguaggi informatici e il linguaggio deontico) e il linguaggio naturale, nel quale si esprimono sia i ragionamenti comuni sia quelli giuridici. Pertanto, l’analisi (logica) del linguaggio normativo può contribuire a chiarificare i significati dei concetti deontici utilizzati nei discorsi giuridici ma non appare in grado di simbolizzarli in toto o di riprodurre, per il tramite di formule simboliche, il funzionamento complesso del diritto. Al di

73 Per esempio: Makinson 1999. 74 Alchourròn – Bulygin 1971. 75 von Wright 1999. 76 Von Wright 1957 p. vii: «philosophically, I find this paper [Deontic Logic] very unsatisfactory. For one thing, bacause it treats of norms as a kind of proposition which may be true or false. This, I think, is a mistake. Deontic logic gets part of its philosophical significance from the fact that norms and valuations, trough removed from the realm of truth, yet are subject to logical law. This shows that logic so to speak, ha a wider reach than truth». 77 Von Wright 1964. 78 Usberti 1980. 79 Castellani - Montecucco 1998. 80 Agazzi 1980. 81 Agazzi 1998 p. 63.

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là di questa analogia, che preserva comunque una differenza in termini di specificità, il tema della formalizzazione in logica deontica è un aspetto metateorico o intrasistematico, come per la logica in genere82, invece, in informatica giuridica è proprio l’oggetto del discorso, il soggetto delle varie ricerche dato che formalizzare vuol dire per l’appunto compiere appieno lo scopo delle ricerche apposite. Riemerge qui la differenza tra interesse teorico, proprio soprattutto delle ontologie regionali filosofiche, come la logica deontica appunto, e interesse pratico, proprio soprattutto della pratica giuridica.

Lo scarto tra linguaggi, formali vs. naturali, che ha ricadute sui limiti simbolici stessi della logica deontica, può anche essere spiegato con la scelta, al momento di fondare la logica deontica, di basarla sulla logica enunciativa del primo ordine83, un livello troppo elementare per poter render conto di livelli deontici ben più complessi, tant’è vero che restano fuori dal discorso deontico aspetti prima facie imprescindibili del dominio deontico stesso in primo luogo, e necessariamente giuridico (p.e. il nesso necessario tra illecito e sanzione; la natura dei rapporti giuridici; la natura degli istituti giuridici; la dinamica degli ordinamenti giuridici contemporanei; etc.) in secondo luogo, facendo mancare proprio l’obiettivo in vista del quale era sorto questo fronte logico: render conto dei concetti normativi (secondo la prospettiva attuale: i concetti giuridici)84. Da questo punto di vista più utile apparirebbe una logica deontica predicativa e temporalizzata.85.

Il sorgere di paradossi, può anche essere spiegato come la traduzione (deontica) di ben noti processi in logica modale86, lasciando irrisolta una delle questioni principali e più precoci della logica deontica: la questione della verità87.

Va osservato anche come storicamente il tumultuoso processo di sviluppo della logica contemporanea confermi in ciò l’idea, comune ai vari fronti di ricerca in informatica giuridica, di un allargamento della logica deontica; secondo l’ottica storica, infatti, «si assiste oggi ad una smisurata proliferazione di calcoli logici non standard (…) e di studi sulla loro trattabilità computazionale»88.

Ma se la nostra questione iniziale deve allora essere rideterminata, sulla base di quanto appena rilevato, la domanda diventa la seguente: a che livello della formalizzazione del diritto entrerebbe in gioco la logica deontica?

Secondo [Alchourròn - Bulygin 1992] la logica deontica può essere utile per tradurre in termini manipolabili computisticamente il linguaggio giuridico, o perlomeno quello che costituirà la base di conoscenza, l’insieme di dati su cui opererà il motore inferenziale di un sistema intelligente. Ma non ci sembra una strada percorribile.

Più agevole appare l’idea di formalizzare, sia pure parzialmente, il metodo giuridico, ben sapendo che parecchi elementi comunque sfuggono alla presa, costituendosi come elementi eterogenei al sistema alla formalizzato finale89. In quest’ottica, il ruolo della logica deontica nel piano d’opera dell’informatica giuridica risiederebbe nel mettere a punto un metodo, in modo tale da catturare quanti più fattori costituenti il diritto. Infatti, quale logica del linguaggio normativo, senza identificarsi con qualcuno dei sistemi storicamente elaborati, la logica deontica appare idonea a catturare la dimensione fondamentale del funzionamento concreto

82 Strawson 1961. 83 Di Bernardo 1972. 84 Agazzi 19904 pp. 320 – 321. 85 Van Eck 1981. 86 Prior 1955. 87 Che si collega strettamente al tema della semantica deontica (Di Bernardo 1977). L’idea di attribuire una semantica alla logica deontica conduce ai molti tentativi di costruire una generale interpretazione dei sistemi deontici, sia al fine di attribuire alla logica modale un senso umanamente intelligibile (Becker 1952) sia al fine di ricondurre il versante deontico dentro l’orizzonte modale vero e proprio (Governatori – Lomuscio – Sergot 2003). 88 Palladino 1998 p. 138. 89 Non c’è d’altra parte nemmeno univocità su cosa debba intendersi per metodo giuridico. V. Jori 1976.

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del diritto: il normativo (sia pure inteso in senso lato). In questo modo, attribuendo alla trattazione deontica la natura di assiomi e regole caratterizzanti nel processo inferenziale di sistemi giuridici intelligenti, ma anche a quelli di mero supporto alla pratica legale, la logica deontica formalizza, a patto comunque di esprimere ciò in maniera comprensibile per la macchina (rinviando ad altra sede la questione tecnica soggiacente), il metodo proprio del diritto.

In base a quanto abbiamo ritenuto di poter appurare, e discutere, in questa sede, ci sembra che la risposta al quesito iniziale sia per forza negativa: la logica deontica, infatti, non può fornire un aiuto fondamentale all’informatica giuridica, ma solo limitato al tema della formalizzazione del corpus legale in forme comprensibili, e trattabili, in termini computistici, e per di più come incorporazione del metodo (in senso largo) del diritto.

In ogni caso, è non un punto di arrivo (negativo), ma un punto di partenza per progredire nelle ricerche in informatica giuridica, e in quelle di logica deontica implementata su sistemi esperti90, nella comune tensione al conoscere che rende l’uomo un essere ragionevole91 e in cui consiste quella pratica che chiamiamo filosofia92.

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