Indagine sui produttori artigianali di salumi · 2009-10-13 · base di carne è rappresentato da...

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SALUMI 1 Industrie Alimentari - XLIV (2005) aprile SUMMARY The Italian sector of meat-based product processing is represented by a variety of small and medium- sized enterprises. They experience technical and financial difficulties in complying with official food safety regulations (Directive 93/43 EEC). Sanitary standards, in particular, generally defined for large processing plants, are not always compatible with such small production units. With the purposes to investigate the socio- economic and technological aspects of dry and fermented sausage production, a survey on traditional workshops has been carried out in five Provinces of the Pianura Padana, in order to clarify the meaning of these artisanal enterprises within the traditional agro-food production system. The paper contains the results of the conducted survey, which focuses on: - characteristics of the workshops (type and amount of production, people involved, link with farm); - production technology (raw materials, processing, characteristics of the products); - marketing organization (place, packaging, prices). The results show the importance of the small enterprises on the market of typical meat production and, at the same time, the great differences of preparations present in the region, that are part of the rooted gastronomic culture, not cancelled by new production techniques and modern technology. SOMMARIO In Italia il settore della lavorazione di prodotti a base di carne è rappresentato da una molteplicità di piccole e medie aziende, nonostante le difficoltà di queste ultime nel rispettare la normativa igienica, pensata per unità produttive di tipo industriale. Lo scopo del lavoro è stato quello di valutare l’entità del piccolo artigianato dei prodotti di salumeria presente nella Pianura Padana e la tipologia dei piccoli salumifici, raccogliendo informazioni sulle caratteristiche socio-economiche e l’organizzazione del marketing, nonché sulle tecnologie di produzione e le caratteristiche dei prodotti. I risultati della ricerca hanno evidenziato l’importanza dei piccoli produttori nel panorama delle produzioni tradizionali, in particolare in quella dei prodotti a base di carne fermentati (salami). È stato, inoltre, possibile mettere in risalto le notevoli differenze esistenti sul territorio, presenti sia tra le province considerate, sia tra le tipologie di produzione. Tutte queste differenze fanno parte della radicata cultura enogastronomica e del ricchissimo panorama di biodiversità agro- alimentari italiani. È, quindi, importante garantire sicurezza, qualità e diversità e al contempo tutelare i prodotti di “nicchia”, coniugando tradizione ed innovazione. MAURO CONTER - EMANUELA ZANARDI - SERGIO GHIDINI PAOLA PEDRELLI - ROBERTO CHIZZOLINI Dipartimento di Produzioni Animali, Biotecnologie Veterinarie, Qualità e Sicurezza degli Alimenti Sezione di Sicurezza degli Alimenti - Università degli Studi di Parma - Via del Taglio 8 - 43100 Parma - Italia JONATHAN RASON Departement Qualité et Economie Alimentaires - Unité de Recherche Typicité des Produits Alimentaires Ecole Nationale d’Ingenieurs des Travaux Agricoles de Clermont Ferrand (ENITAC) Site de Marmilhat - 63370 Lempdes - Francia Indagine sui produttori artigianali di salumi Valutazioni socioeconomiche e tecnologiche Traditional dry sausage producers of Northern Italy: a comprehensive analysis INTRODUZIONE Gli ultimi decenni hanno visto un re- cupero delle produzioni tipiche, con la riscoperta dei sapori e delle identità locali, particolarmente significativa per quei territori dove le tradizioni gastro- nomiche hanno avuto da sempre una forte valenza culturale. Il settore della lavorazione di prodotti a base di carne, ancora estraneo alla forte concentrazione presente nell’agro-ali- mentare, è rappresentato da una mol- teplicità di piccole e medie aziende, che continuano a ritagliarsi il proprio spazio nell’universo di lavorazioni radicate nel- la tradizione italiana. Sono ben 3.500 le aziende che in Italia producono salumi, comprese quelle a carattere artigianale. La frammentazione è quindi ancora una caratteristica del settore, soprattutto per la produzione del prosciutto crudo e del salame (IVSI a). Dal punto di vista geografico, gran parte degli stabilimenti di produzione (il 67%) si concentra in quattro regioni dell’Italia settentrionale: Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte. Questo è dovuto sia a motivi di tradizione produttivo-gastronomica, sia perché in queste aree è particolar- mente diffuso l’allevamento dei suini (il 71% del patrimonio nazionale è allevato in queste quattro regioni). La produzione italiana di salumi ha rag- giunto 1.148.000 t nel 2003 per un con- trovalore di 7.165 milioni di euro. La cre- scita dello 1,1% è lievemente superiore rispetto a quella del 2002, ma inferiore a quella del decennio precedente (IVSI b). In merito alla produzione dei singoli salumi, il prosciutto cotto rappresenta il prodotto leader attestandosi nel 2003 poco al di sotto delle 285 mila tonnel- late, seguito a distanza dal prosciutto crudo che supera per la prima volta la soglia delle 260 mila tonnellate. Il terzo posto è occupato da mortadella e wür- stel con poco più di 229 mila tonnellate prodotte nel 2003. Ancora più lontani appaiono salami (108 mila t), pancette stagionate (54 mila t), coppa (45 mila t), speck (28 mila t), e bresaola (15 mila t) (tab. 1). Queste cifre riguardano la sola produzione industriale e sono, quindi,

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SALUMI

1Industrie Alimentari - XLIV (2005) aprile

SUMMARYThe Italian sector of meat-based product processing is represented by a variety of small and medium-sized enterprises. They experience technical and financial difficulties in complying with official food safety regulations (Directive 93/43 EEC). Sanitary standards, in particular, generally defined for large processing plants, are not always compatible with such small production units.With the purposes to investigate the socio-economic and technological aspects of dry and fermented sausage production, a survey on traditional workshops has been carried out in five Provinces of the Pianura Padana, in order to clarify the meaning of these artisanal enterprises within the traditional agro-food production system.The paper contains the results of the conducted survey, which focuses on:- characteristics of the workshops (type and amount of production, people involved, link with farm);- production technology (raw materials, processing, characteristics of the products);- marketing organization (place, packaging, prices).The results show the importance of the small enterprises on the market of typical meat production and, at the same time, the great differences of preparations present in the region, that are part of the rooted gastronomic culture, not cancelled by new production techniques and modern technology.

SOMMARIOIn Italia il settore della lavorazione di prodotti a base di carne è rappresentato da una molteplicità di piccole e medie aziende, nonostante le difficoltà di queste ultime nel rispettare la normativa igienica, pensata per unità produttive di tipo industriale.Lo scopo del lavoro è stato quello di valutare l’entità del piccolo artigianato dei prodotti di salumeria presente nella Pianura Padana e la tipologia dei piccoli salumifici, raccogliendo informazioni sulle caratteristiche socio-economiche e l’organizzazione del marketing, nonché sulle tecnologie di produzione e le caratteristiche dei prodotti.I risultati della ricerca hanno evidenziato l’importanza dei piccoli produttori nel panorama delle produzioni tradizionali, in particolare in quella dei prodotti a base di carne fermentati (salami). È stato, inoltre, possibile mettere in risalto le notevoli differenze esistenti sul territorio, presenti sia tra le province considerate, sia tra le tipologie di produzione. Tutte queste differenze fanno parte della radicata cultura enogastronomica e del ricchissimo panorama di biodiversità agro-alimentari italiani. È, quindi, importante garantire sicurezza, qualità e diversità e al contempo tutelare i prodotti di “nicchia”, coniugando tradizione ed innovazione.

MAURO CONTER - EMANUELA ZANARDI - SERGIO GHIDINIPAOLA PEDRELLI - ROBERTO CHIZZOLINIDipartimento di Produzioni Animali, Biotecnologie Veterinarie, Qualità e Sicurezza degli AlimentiSezione di Sicurezza degli Alimenti - Università degli Studi di Parma - Via del Taglio 8 - 43100 Parma - Italia

JONATHAN RASONDepartement Qualité et Economie Alimentaires - Unité de Recherche Typicité des Produits AlimentairesEcole Nationale d’Ingenieurs des Travaux Agricoles de Clermont Ferrand (ENITAC)Site de Marmilhat - 63370 Lempdes - Francia

Indagine sui produttori artigianali di salumiValutazioni socioeconomiche e tecnologiche

Traditional dry sausage producersof Northern Italy: a comprehensive analysis

INTRODUZIONEGli ultimi decenni hanno visto un re-cupero delle produzioni tipiche, con la riscoperta dei sapori e delle identità locali, particolarmente significativa per quei territori dove le tradizioni gastro-nomiche hanno avuto da sempre una forte valenza culturale.Il settore della lavorazione di prodotti a base di carne, ancora estraneo alla forte concentrazione presente nell’agro-ali-mentare, è rappresentato da una mol-teplicità di piccole e medie aziende, che continuano a ritagliarsi il proprio spazio nell’universo di lavorazioni radicate nel-la tradizione italiana. Sono ben 3.500 le aziende che in Italia producono salumi, comprese quelle a carattere artigianale. La frammentazione è quindi ancora una caratteristica del settore, soprattutto per la produzione del prosciutto crudo e del salame (IVSI a). Dal punto di vista geografico, gran parte degli stabilimenti di produzione (il 67%) si concentra in quattro regioni dell’Italia settentrionale: Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e

Piemonte. Questo è dovuto sia a motivi di tradizione produttivo-gastronomica, sia perché in queste aree è particolar-mente diffuso l’allevamento dei suini (il 71% del patrimonio nazionale è allevato in queste quattro regioni).La produzione italiana di salumi ha rag-giunto 1.148.000 t nel 2003 per un con-trovalore di 7.165 milioni di euro. La cre-scita dello 1,1% è lievemente superiore rispetto a quella del 2002, ma inferiore a quella del decennio precedente (IVSI b). In merito alla produzione dei singoli salumi, il prosciutto cotto rappresenta il prodotto leader attestandosi nel 2003 poco al di sotto delle 285 mila tonnel-late, seguito a distanza dal prosciutto crudo che supera per la prima volta la soglia delle 260 mila tonnellate. Il terzo posto è occupato da mortadella e wür-stel con poco più di 229 mila tonnellate prodotte nel 2003. Ancora più lontani appaiono salami (108 mila t), pancette stagionate (54 mila t), coppa (45 mila t), speck (28 mila t), e bresaola (15 mila t) (tab. 1). Queste cifre riguardano la sola produzione industriale e sono, quindi,

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rettifi cabili, con l’apporto del piccolo artigianato che sfugge a queste rileva-zioni. È un artigianato attorno al quale si è creato in questi anni un certo movi-mento di opinione pubblica, nonostante molti piccoli esercizi siano stati costretti a chiudere anche a seguito delle vessa-zioni sanitarie. I laboratori artigianali, infatti, incontrano grosse diffi coltà a rispettare alla lettera la normativa igie-nica (Decreto Legislativo 26 maggio 1997, n. 155), che è stata pensata per unità produttive di tipo industriale, sia per le tipologie di rischio sanitario che per gli aspetti relativi alle tecnologie di produzione, alle strutture ed alle attrez-zature. Sembra, invece, importante la conservazione di una rete di piccoli pro-duttori distribuiti sul territorio, specie se in zone economicamente svantaggiate o marginali come quelle collinari, visto gli effetti positivi sulle economie locali per la salvaguardia dell’occupazione e la presenza di comunità attive in zone a rischio di spopolamento. Considerando che al fi ne di garantire un elevato livello di sanità pubblica, l’Unione Europea e gli Stati Membri hanno fatto della sicurez-za alimentare una delle grandi priorità del programma politico europeo (Libro bianco sulla sicurezza Alimentare, 2000) diventa importante valutare la diffusio-ne di questi piccoli produttori e l’entità della loro produzione, per capire qual è il loro contributo al rischio causato dal consumo di prodotti di salumeria.

Tabella 1 - Produzione e consumi dei salumi in Italia (Fonte: IVSI a).

Salume Tonnellate prodotte 2003 % Consumo** totale 2003

Prosciutto Crudo 262.000 21,3Prosciutto Cotto 286.000 26Salame 108.000 8,9Mortadella/würstel 223.000 20,1Bresaola 15.000 1,3Altri salumi 249.000 22,4Totale Salumi* 1.148.000 100,0

*Al netto della variazione delle scorte;**Consumo apparente = produzione - esportazioni + importazioni.

Lo scopo del lavoro è stato, quindi, valu-tare l’entità del piccolo artigianato pre-sente sul territorio della Pianura Padana e la tipologia dei piccoli salumifi ci, racco-gliendo informazioni sulle caratteristiche socio-economiche e l’organizzazione del marketing, nonché sulle tecnologie di produzione e le caratteristiche dei prodotti.L’indagine si è confi gurata come primo stadio di una ricerca più ampia in quanto si colloca nell’ambito di un progetto eu-ropeo tuttora in corso e volto a studiare le problematiche igieniche e sanitarie di alcuni salumi tipici ottenuti dai piccoli produttori di diverse aree dell’Europa del Sud tradizionalmente note per le loro produzioni (Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Grecia).

MATERIALI E METODIIndagine

Nello studio sono stati presi in consi-derazione salumifi ci artigianali ovvero stabilimenti di prodotti a base di carne con capacità produttiva inferiore a 7,5 t/settimana. In questo modo sono stati individuati piccoli laboratori, macellerie o aziende agricole nei quali si produ-cono prodotti di salumeria fermentati, in particolare salame, localizzati in una zona compresa tra Lombardia ed Emilia

Romagna ed estesa tra la Pianura Padana e l’Appennino tosco-emiliano. In parti-colare gli stabilimenti sono stati indivi-duati in 5 province: Cremona, Manto-va, Parma, Piacenza e Reggio Emilia. La distribuzione degli stabilimenti nelle 5 province è mostrata nella tab. 2.Una lista degli stabilimenti artigianali è stata preparata in collaborazione con i Servizi Veterinari delle Aziende Unità Sanitaria Locale (AUSL). Ogni stabili-mento è stato visitato e le visite sono state condotte nella quasi totalità dei casi in presenza del veterinario uffi ciale responsabile dell’area o degli stabili-menti. Durante la visita, il proprietario o il responsabile della struttura sono stati sottoposti ad una intervista volta a raccogliere le informazioni necessarie. Complessivamente sono state raccolte 154 interviste corrispondenti a 154 sta-bilimenti visitati, tutti a capacità limitata, rientrando nel limite produttivo di 7,5 t di materia prima carnea lavorata per settimana, come previsto dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 537 e dal Decreto del Ministero della Sanità 31 ottobre 1994. Alcuni di questi pro-duttori, inoltre, non sono in possesso del bollo sanitario “L”, ma lavorano in ottemperanza della Legge 30 aprile 1962, n. 283. In particolare, 87 salumi-fi ci (pari al 56,5%) sono in possesso del bollo “9-L” (in seguito indicati come “9-L”), mentre i restanti 67 (43,5%) non lo sono (in seguito indicati come “283”). La maggioranza dei “9-L” sono situati nella provincia di Cremona (20 salumifi ci), mentre, nel caso dei “283”,

Tabella 2 - Distribuzione dei salumifi ci nelle 5 province considerate.

Provincia “9-L” “283” Totale

Cremona 20 11 31Mantova 17 15 32Parma 18 12 30Piacenza 17 23 40Reggio Emilia 15 6 21Totale 87 67 154

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la maggioranza (23) è situata nella pro-vincia di Piacenza.

Analisi statistica

L’analisi statistica è stata eseguita con il programma SPSS ver. 11.5.1 (SPSS Inc. Chicago, Illinois). L’analisi della cor-relazione lineare è stata effettuata per valutare la relazione tra due variabili. Il coeffi ciente di correlazione lineare di Pearson (P) indica l’intensità ed il senso del legame lineare tra variabili. Esso può assumere valori compresi tra 0 e 1 (0 indica assenza di correlazione, 1 indica forte correlazione) e può avere segno positivo o negativo (P positivo indica correlazione diretta, mentre P negativo indica correlazione inversa). Nella tab. 3 vengono riportati i valori che sono stati assegnati alle variabili nominali, per fa-cilitare la comprensione dei valori di P ottenuti con le correlazioni.

RISULTATICaratteristiche socio economiche dei produttori

La produzione di salumi complessiva de-gli stabilimenti presi in considerazione è pari a 5.899 t annue, mentre la produ-zione di salame è pari a 3.026 t annue.

Fig. 1 - Produzione annua di salumi e di salami, a seconda della tipologia di stabilimento o a seconda della provincia.

Tabella 3 - Valori assegnati alle variabili nominali utilizzate per il calcolo delle correlazioni di Pearson.

1 2 3 4 5Provincia Cremona Mantova Parma Piacenza Reggio Emilia

Tipologia del salumifi cio “9-L” “283” - - -Stagionalità della produzione sì no - - -Percentuale di magro o 0% da 1 a 25% da 26 a 50% da 51 a 75% da 76 a 100%di grasso nell’impastoImpiego dei vari tagli per da 0 a 20% da 21 a 40% da 41 a 60% da 61 a 80% da 81 a 100%il magro o il grassoAggiunta di colture starter sì no - - -o ac. ascorbicoTipo di budello Colon Retto Vescica Piccolo intestino CiecoStagionatura Naturale Condizionata - - -

La produzione totale di salumi e di sa-lame sono mostrate nella fi gura 1. Le differenze principali, come era ipotizza-bile, si riscontrano tra i “9-L” e i “283”: per i primi la produzione di salumi media è 62.135 kg/anno, mentre per i secondi la media è 7.363 kg/anno. La provincia con la media di produzione più bassa è Mantova: 16.794 kg/anno rispetto a una media delle province ri-manenti di circa 43.700 kg/anno. Per quanto riguarda la sola produzione di salame, la provincia che si differenzia di più è Cremona, la cui produzione è 40.793 kg/anno, mentre le altre

province hanno una media di 14.000 kg/anno.I 154 salumifi ci sono distribuiti in un intervallo di altitudine variabile da 13 a 930 m sul livello del mare. Nel 65,6% degli stabilimenti la produzione avvie-ne durante l’intero anno, mentre nel 34,4% è stagionale (prevalentemente durante il periodo autunno-invernale). Notevoli sono, a questo proposito, le differenze tra i “9-L” e i “283”, visto che tra i primi, il 94,3% produce tutto l’anno, mentre tra i secondi, solamente nel 28,4% dei casi la produzione av-viene durante l’intero anno. Per que-

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sto motivo, data la notevole presenza di “9-L” nella provincia di Cremona e, al contrario, il numero consistente di “283” in quella di Piacenza, la produ-zione è più spesso distribuita nell’arco dell’intero anno nella prima provincia ed è prevalentemente stagionale nella seconda.Complessivamente, le persone coin-volte nella lavorazione in questi salu-mifici sono 546. Il numero medio di persone addette alla produzione è 3,6 (da un minimo di 1 a un massimo di 12) e in molti casi si tratta di familiari. Anche per questo aspetto, le differenze tra i “9-L” e i “283” sono significative. Il 24% dei salumifici sono dotati di un impianto di macellazione, mentre il re-stante 76% è dedicato esclusivamente alla produzione di prodotti a base di carne. La provincia caratterizzata dal più alto numero di suini macellati per produttore è Reggio Emilia (media = 1.529,05/anno).Il 19,5% dei salumifici è connesso ad una azienda agricola. L’allevamento, se presente, è costituito da suini (85-100%). Il suino pesante (97,6%) e la scrofa (0,9%) sono le tipologie di suino prevalentemente impiegate nella pro-duzione del salame, macellati rispetti-vamente, in media, a 10 mesi d’età ad un peso di 148 kg e a 16 mesi d’età ad un peso di 172 kg.In conclusione, per quanto riguarda le caratteristiche socio-economiche dei salumifici, è evidente che la tipo-logia del salumificio, cioè il possedere o meno il bollo sanitario “9-L”, è alta-mente correlata alla produzione totale di salumi (coefficiente di correlazione di Pearson, P = -0,433), alla produzio-ne totale di salame (P = -0,372), alla stagionalità (P = 0,688) e al numero di persone coinvolte nella produzione (P = -0,520). In altre parole, rispetto a chi non ha il bollo sanitario, i salu-mifici che ne sono in possesso, hanno una produzione più elevata ed estesa durante l’intero anno e il numero di persone coinvolte nella produzione è maggiore.

La produzione di salame

Materie primeNormalmente le carni non vengono congelate prima dell’impiego. L’87% dei produttori separa le frazioni magre da quelle grasse. La proporzione del magro nell’impasto è, mediamente, del 77,5%, variabile dal 60 al 91% a seconda delle tipologie di salame prodotto e, quindi, della provincia. Il coefficiente di correla-zione di Pearson tra Provincia e Propor-zione del magro nell’impasto è, infatti, 0,544: ciò indica che il salame prodotto nella provincia di Cremona è quello con la minor percentuale di magro nell’im-pasto, mentre quello con la percentuale di magro maggiore è il salame prodotto nella provincia di Reggio Emilia.La fig. 2 mostra la percentuale di ma-gro nell’impasto a seconda della pro-vincia considerata, mentre le fig. 3a e 3b mostrano quali sono i tagli utilizzati rispettivamente per il magro e per il grasso. Nel caso dei tagli per il magro, solo in pochi casi vanno intesi come ta-gli interi, ma spesso si tratta di rifilature provenienti dalla produzione di tagli interi stagionati (prosciutto, culatello, coppa, ecc.). Le rifilature magre proven-gono principalmente dalla coscia, dalla spalla, dal lombo. Percentuali minori si

Fig. 2 - Percentuale di magro nell’impasto a seconda della provincia considerata.

ricavano dalla pancetta e dal collo. C’è, infine, una parte di tagli magri, ottenu-ti soprattutto dai muscoli intercostali, dalla parte finale del lombo (fondello) e dalla parte più interna della spalla (sottospalla), nonché da tagli specifici ottenuti dalla pancetta (trito di banco). Relativamente al grasso, la maggior par-te proviene dalla pancetta, seguita dalla gola, dal lardo, dalla coscia, dalla spalla e dal collo.È interessante notare come alcuni tagli siano altamente correlati con la tipologia di salumificio, come indicato nelle fig. 3a e 3b. In particolare sono altamente correlati ai “9-L” quei tagli prodotti in-dustrialmente, quali quelli indicati con “Altri” (P = -0,291) per il magro e la pancetta per il grasso (P = -0,298). Al contrario sono correlati con la tipolo-gia “283” i tagli ottenuti da lavorazioni artigianali, in particolare il grasso di co-pertura della spalla (P = 0,210) e della coscia (P = 0,223) e il grasso di gola (P = 0,268).Il coefficiente di correlazione tra i tagli utilizzati nella produzione e la provin-cia in cui si situa il salumificio permette di evidenziare ulteriori informazioni. In particolare, per la parte magra dell’im-pasto, Cremona è la provincia dove i tagli ottenuti dalla spalla raggiungono

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le percentuali più elevate (41,13%), Cremona e Mantova sono caratterizzate da percentuali relativamente elevate di tagli ottenuti dal collo (8,87 e 10,78% rispettivamente), mentre i salumifici di Parma e Reggio Emilia usano percentuali elevate di “altri” tagli (rispettivamente 34,67 e 30,38%). Per quanto riguarda i tagli grassi, il lardo viene spesso utilizza-to a Reggio Emilia (34,76%), la pancetta a Parma (80,83%), mentre la gola è il taglio più utilizzato a Piacenza (44,13%). Queste differenze, oltre ad essere legate alle ricette classiche delle varie province, dipendono anche dall’utilizzo di alcuni tagli per la produzione di altri salumi tipicamente locali (prosciutto, coppa, pancetta, ecc.).

LavorazioneIl 91,6% dei produttori utilizza il tritacar-ne per macinare i tagli carnei, mentre il cutter è utilizzato dall’1,3% dei salumifi-ci (2 produttori, entrambi “9-L” e situati nella provincia di Cremona). Soltanto uno (0,6%) presente nella provincia di Piacenza taglia esclusivamente con col-tello gli ingredienti carnei, mentre 10 produttori (6,5%) (di cui 6 nella provin-cia di Piacenza e 4 in quella di Reggio Emilia) associano il tritacarne al taglio

Fig. 3a - Tagli magri utilizzati nella produzione del salame.Coefficienti di correlazione di Pearson relativamente alla tipologia

del salumificio:* La correlazione è significativa al livello 0,05.** La correlazione è significativa al livello 0,01.

Fig. 3b - Tagli grassi utilizzati nella produzione del salame.Coefficienti di correlazione di Pearson relativamente alla

tipologia del salumificio:* La correlazione è significativa al livello 0,05.** La correlazione è significativa al livello 0,01.

manuale con coltello. In quest’ultimo caso, generalmente il tritacarne viene utilizzato per le parti magre, mentre il taglio manuale viene eseguito sulle parti grasse. Tra gli 11 produttori che utilizzano il taglio manuale con coltello delle materie prime, uno solo (a Reggio Emilia) è un “9-L”. Il diametro medio dei fori delle piastre del tritacarne è 9 mm, variabile da 4 a 18 a seconda del-la tipologia di salame prodotto e della provincia in cui sono situati i salumifici. La correlazione tra la dimensione dei fori delle piastre e la provincia di appar-tenenza, infatti, è elevata (P = 0,510). Il salame cremonese è quello macinato più fine (dimensione dei fori pari a 6 mm), mentre quello piacentino è quello a gra-na più grossa (13 mm).Il 21,4% dei produttori aggiunge star-ter microbici all’impasto. L’aggiunta di starter è molto più frequente nei “9-L” rispetto ai “283” (32,2 e 7,5% rispettiva-mente), come dimostrato anche dall’ele-vato fattore di correlazione riscontrato tra la tipologia e la pratica di aggiungere colture starter (P = 0,299). Il 6,5% dei produttori, inoltre, inocula la superficie dei salami con muffe. Tra questi, sola-mente uno è un “283”.Il 25,3% dei salumifici prevede l’ag-

giunta di zuccheri all’impasto (il 18,2% usa saccarosio e il 9,1% glucosio). Una piccola percentuale (5,19%) non usa né nitriti, né salnitro (potassio nitrato). La maggioranza (91,6%) usa salnitro, men-tre solamente il 7,1% usa nitrito di sodio. Tra gli ingredienti, tutti aggiungono il pepe, il 94,8% l’aglio (fresco nell’82,2%, in polvere nel 17,8%), il 63,6% le spezie. Il vino è aggiunto dal 69,5% dei salumi-fici, mentre il 32,5% usa altri ingredienti, tra cui prevalentemente miscele di zuc-cheri ed acido ascorbico. L’aggiunta di miscele di zuccheri ed acido ascorbico è più frequente nei “9-L” che nei “283” (47,1% rispetto al 13,4%), con un coef-ficiente di correlazione (P) di 0,357.Solamente 4 produttori (2,6%) usano budelli sintetici (di cui 3 a Cremona e 1 a Mantova). La tipologia di budello naturale utilizzata (fig. 4) è altamente correlata con la provincia (P = 0,347), considerando anche che la scelta del tipo di involucro naturale, come anche di altre caratteristiche, dipende prin-cipalmente dalla tipologia di salame prodotto e, quindi, dalla zona di pro-duzione. Dai vari tratti intestinali si ot-tengono involucri che prendono nomi particolari: l’intestino tenue viene co-munemente chiamato torto, dal colon

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si ottengono il crespone, il cresponetto e la fi lzetta (procedendo dal tratto pros-simale a quello distale), mentre il retto corrisponde al cosiddetto gentile. I sa-lami cremonese e mantovano vengono prodotti col crespone o col cresponetto, mentre i salami parmigiano e reggiano sono tipicamente insaccati nella fi lzetta o nel gentile. Infi ne il crespone o il sot-tocrespone e, meno frequentemente, la fi lzetta e il gentile sono i budelli utilizzati per insaccare il salame piacentino.Dopo l’insacco, la tecnologia di produ-zione prevede generalmente tre fasi: stufatura, asciugatura e stagionatura. La durata, la temperatura e l’umidità

Fig. 4 - Tipo di budello naturale utilizzato nelle 5 province considerate.

relativa di queste tre fasi sono riporta-te nella tab. 4. Il 33,8% dei produttori prevede una fase di stufatura, anche se esistono notevoli differenze tra i “9-L” e i “283”: tra i primi, infatti nel 46% viene eseguita la stufatura, mentre tra i secondi tale procedura viene attuata solo nel 17,9% dei casi. Due produttori (pari al 1,3%), situati rispettivamente nelle province di Mantova e di Reggio Emilia non distinguono l’asciugatura dalla stagionatura. Da notare è che la temperatura delle sale di asciugatura è altamente correlata con la tipologia dei salumifi ci (P = -0,193) ed in parti-colare è mediamente più alta nei “9-L”.

Anche il tipo di stagionatura (naturale o condizionata) e la durata di questo periodo sono altamente correlate con la tipologia dei salumifi ci, avendo un coefficiente di correlazione rispetti-vamente di -0,251 e 0,498. Infatti, la stagionatura è naturale solamente nel 27,6% dei salumifi ci “9-L”, mentre tale percentuale è del 64,2% nei “283”; la durata della stagionatura è superiore alle 7 settimane nel 56,3% dei “9-L” e nell’82,1% dei “283” (fi g. 5a e 5b).Il peso e il diametro medio dei salami, a fi ne stagionatura, sono altamente cor-relati con la provincia di appartenenza del salumifi cio (P = -0,486 e -0,543 ri-spettivamente). La correlazione negati-va indica che le province di Cremona e di Mantova sono caratterizzate da pesi e diametri maggiori rispetto alle altre province.

Confezionamento e venditaSolamente il 13% dei produttori con-feziona il salame al momento della vendita. In particolare, il 9% utilizza carta alimentare, mentre il 91% utiliz-za fi lm plastici. Il 51,3% dei produttori aggiunge un’etichetta, ma c’è una no-tevole differenza tra i salumifi ci “9-L” e i “283”, in quanto i primi appongono l’etichetta nel 64,4% dei casi, mentre i secondi solamente nel 34,4%. Il 5,2% dei salumifi ci producono un salame pro-tetto da Denominazione di Origine Pro-tetta (DOP) (Salame piacentino DOP), marchio presente, nella nostra indagine, esclusivamente nei salumifi ci in possesso del bollo sanitario.Solamente l’11% conserva il prodotto in cella frigorifera prima della vendita, a fi ne stagionatura.Il 55,8% dei produttori vende esclusiva-mente salami interi; il rimanente 44,2% li vende anche in tranci e/o affettati. Relativamente alla vendita, la maggio-ranza vende ad altri negozi (41,19%), il 33,7% vende a ristoranti o gastronomie, il 15,84% possiede uno spaccio, l’8,51% vende a supermarket, mentre raramente la vendita avviene attraverso internet o la spedizione.

Tabella 4 - Durata, temperatura ed umidità relative delle fasi di produzione del salame.

Stufatura Asciugatura Stagionatura

% di produttori 33,8 98,7 Naturale: 43,8 Controllata: 43,8 Entrambi: 12,4Durata Media 13 ore 6,5 giorni 11,3 settimane Min.-max 2-72 ore 1-50 giorni 2-36 settimaneTemperatura Media 22°C 15,7°C 13,4°C Min.-max 18°-30°C 2°-25°C 5°-20°CUmidità relativa Media - 71% 80,9% Min.-max - 50-87% 70-100%

SALUMI

7Industrie Alimentari - XLIV (2005) aprile

La composizione degli acquirenti è mo-strata nella tab. 5.La vendita avviene durante tutto l’anno nell’88,3% dei salumifi ci considerati. Negli altri casi la vendita avviene sola-mente nel periodo primaverile-estivo o autunno invernale.Il prezzo medio del salame (altamente correlato con la tipologia del salumifi cio: P = 0,635) è 12,84 €/kg, con un minimo a 5 €/kg e un massimo a 33 €/kg. L’am-pia divergenza nei prezzi rilevati dipende dal fatto che, nel caso di produttori che non effettuano vendita al dettaglio, sono stati riferiti i prezzi all’ingrosso.

DISCUSSIONELa normativa igienica cui i prodotti tradizionali devono fare riferimento è innanzitutto quella prevista per qual-siasi soggetto che produca, trasformi, commerci e distribuisca sostanze ali-mentari, (L. 30 aprile 1962, n. 283,

Fig. 5a - Durata della stagionatura nei salumifi ci “9-L”. Fig. 5b - Durata della stagionatura nei salumifi ci “283”.

Tabella 5 - Tipologia di acquirenti.

%

Clientela locale 64Cittadini 27Turisti 19

DLgs 26 maggio 1997, n. 155), spesso calibrata sulle unità produttive di tipo industriale, in particolare per le tipo-logie di rischio sanitario. Per impedi-re la scomparsa di alcune produzioni tradizionali, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MI.P.A.F.), rece-pite le tante istanze provenienti dalle categorie e associazioni interessate, ha emanato alcune norme, in particolare il DLgs 30 aprile 1998, n. 173 e il suc-cessivo Decreto 8 settembre 1999, n. 350 (rivisto col Decreto del MI.P.A.F. del 14/6/2002). Di rilievo, in questi decre-ti, è la possibilità di accesso ad alcune deroghe, in particolare la possibilità di attuare “…procedure operative in gra-do di assicurare uno stato soddisfacente di igiene e disinfezione dei materiali di contatto e dei locali nei quali si svolgo-no le attività produttive, salvaguardan-do le caratteristiche di tipicità, salubrità e sicurezza del prodotto, in particolare per quanto attiene la necessità di pre-servare la fl ora specifi ca” (art. 4 del De-creto 350 del 1999). Anche il recente Regolamento CE 852/2004 prevede una “certa fl essibilità per poter conti-nuare ad utilizzare metodi tradizionali” nelle varie fasi della produzione degli alimenti, ma tale “fl essibilità non do-vrebbe compromettere gli obiettivi di igiene alimentare”.L’aumento dei consumi dei prodotti tradizionali, evidenziato in questi ultimi

anni, accanto alla necessità di salvaguar-dare le produzioni tipiche, derogando in alcune situazioni la normativa igienica, possono essere fonte di rischio per il consumatore. Per questo è importante conoscere la diffusione dei piccoli pro-duttori, l’entità e le caratteristiche della loro produzione, per valutare il loro con-tributo al rischio causato dal consumo di prodotti di salumeria.Attraverso l’indagine che è stata effet-tuata circa 200 piccoli produttori di salame tradizionale sono stati censiti in cinque province (Parma, Reggio Emi-lia, Piacenza, Cremona, Mantova), di cui 154 sono stati visitati. Questo dato, insieme alle quantità di salumi che ven-gono prodotte annualmente, evidenzia l’importanza che tali produttori rive-stono nel panorama delle produzioni tradizionali e testimonia l’impatto che essi possono avere sul territorio e l’eco-nomia locale.L’indagine, inoltre, ha messo in evi-denza le notevoli differenze esistenti sul territorio della Pianura Padana, pre-senti sia tra le province considerate, sia tra le tipologie di produzione. In gene-rale si può affermare che nei laboratori che lavorano in ottemperanza della L. 30 aprile 1962, n. 283, la produzione è più tradizionale, rispetto agli stabi-limenti in possesso del bollo sanitario “9-L”, dove, invece, ci si avvicina, in alcuni casi, ad una produzione di tipo

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SALUMI

semi-industriale. Ad esempio nei pic-coli salumifici è spesso il proprietario ed i suoi familiari, che eseguono la lavorazione. La produzione è meno spinta dal punto di vista tecnologico, relativamente ai tempi e alle tempera-ture di asciugatura e di stagionatura e prevede più spesso l’utilizzo di tagli di tipo industriale. L’aggiunta di col-ture starter o di miscele di zuccheri è piuttosto rara e la produzione è quasi sempre stagionale e quantitativamente limitata. Tra le province, le differenze sono legate principalmente alla tipo-logia di salame prodotto. In questo modo si diversifica la tipologia di bu-dello utilizzato, il tipo di macinatura, il peso e la lunghezza del prodotto, ma anche i tagli carnei impiegati.Tutte queste differenze fanno parte del-la radicata cultura enogastronomica e del ricchissimo panorama di biodiver-sità agro-alimentari italiani. È, quindi, importante garantire sicurezza, qualità e diversità, e al contempo tutelare i pro-

dotti di “nicchia”, coniugare tradizione ed innovazione e trasferire alle giovani generazioni questo panorama di saperi e di gusti, che significa identificazione culturale, sviluppo economico e socia-le, conservazione e caratterizzazione ambientale, e si traduce in sintesi in alta aspettativa occupazionale e qua-lità della vita.

RINGRAZIAMENTI

Gli autori ringraziano tutti i veterinari dei Servizi Veterinari delle Aziende USL di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Cremona e Mantova, che hanno collaborato alla stesura delle liste degli stabilimenti artigianali e alle visite nei salumifici.La ricerca è parte del Progetto “Assessment and improvement of safety of traditional dry sausages from producers to consumers” (N. QLK1-CT-2002-02240) finanziato dalla Unione Europea nell’ambito del Quinto Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico in Europa.

BIBLIOGRAFIA 1. Decreto Legislativo 155 del 26/05/1997.

Gazzetta Ufficiale 136 del 16/06/1997. 2. Decreto Legislativo 173 del 30/04/1998.

Gazzetta Ufficiale 265 del 05/06/1998. 3. Decreto Legislativo 286 del 18/04/1994.

Gazzetta Ufficiale 111 del 14/05/1994. 4. Decreto 350 dell’08/09/1999: Gazzetta

Ufficiale 240 del 12/10/1999. 5. Decreto del 14/06/2002. Gazzetta Ufficiale

167 del 18/07/2002. 6. IVSI a (Istituto per la valorizzazione dei

Salumi Italiani). I salumi italiani, Gli indica-tori economici. http://www.salumi-italiani.it/ivsi/salumi_italiani/indicatori.asp.

7. IVSI b (Istituto per la valorizzazione dei Salumi Italiani). I salumi italiani, I numeri del mercato. http://www.salumi-italiani.it/ivsi/salumi_italiani/numeri.asp.

8. Legge 283 del 30/04/1962. Gazzetta Ufficiale 139 del 04/06/1962.

9. Libro Bianco sulla sicurezza alimentare. COM 1999 (719) def.

10. Regolamento CE 852 del 29/04/2004. Gazzet-ta Ufficiale Serie L 139/1 del 30/04/2004.