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IL DRAMMA DELLA CHIESA IN CATERINA DA SIENA Summarium. - Laboribus plurimis, virtutibus eximiis, praecellenti doctrina et experientia S. Catharina Senensis mysterium Ecclesiae vixit et illustravit. Aspectus praecipui huius insignis spiritualitatis ecclesialis hic breviter et or- ganice exponuntur. Fontes sunt ipsa scripta Sanctae, praesertim Dialogo et Le Lettere. I. - Imprimis consideratur charisma supernae illuminationis et vocationis ecclesialis, ut pateat quam intime connectantur in S. charisma mysticum, experientia spiritualis et communicatio doctrinae. II. - Aspectus praecipui doctrinae circa Ecclesiam: natura, structura, sanctitas, necessitas, pulchritudo, etc. ex imaginibus et similitudinibus a Catharina splendide ach hibitis, in lucem ponuntur. III. - Praecipui aspectus activitatis ecclesialis huius insignis foeminae commemorantur: eius interventus ut Summus Pon- tifex, Avenionensi civitate relieta, tandem rediret ad Sedem Romanam; eius navitas in adiuvandis Gregorio XI et Urbano VI prò Ecclesiae reformatione quantum ad pastores Ecclesiae et vitam religiosorum ; eius cooperatio cum Urbano VI tempore schismatis occidentalis. Tandem mirifica consummatio huius vitae prò bono Ecclesiae. Indubbiamente Caterina da Siena deve essere annoverata tra le anime che, in tutti i tempi, più hanno amato, sofferto e lavorato per la Chiesa. Vedremo, anzi, che può essere considerata letteral- mente immolata per la Chiesa, caduta intrepidamente sulle trincee per la difesa del Papato in uno dei più drammatici momenti della sua storia, al tramonto del medioevo e all’alba del rinascimento, sulle sponde del Tevere e quasi sul sagrato di S. Pietro. In Caterina da Siena troviamo splendenti al massimo grado, intimamente legate e fuse, esperienza, dottrina, azione; e se ricor- diamo a quale livello tali qualità si siano manifestate e siano state impiegate per la riforma della Chiesa, possiamo capire l’interesse che la letteratura spirituale cristiana debba sentire per questa personalità. A noi sembra che tra le altre domande che ella suscita non le meno importanti siano le seguenti: 1. In quale misura la dottrina ecclesiologica della Santa derivi da un particolare ed eccezionale carisma e in quale misura riveli e traduca il maturarsi della sua vita spirituale e mistica; 2. Quali aspetti della Chiesa dottrina ed esperienza contengano in maniera predominante, da un punto di vista generale; 3. Come Caterina abbia vissuto il dramma al vertice della Chiesa: in altre parole, quale sia stata la sua azione nei riguardi del Papato; 4. Quale sia stato il suo intervento per la riforma della Chiesa con particolare riferimento al sacerdozio e alla vita religiosa. Ephemerides Carmeliticae 17 (1966/1-2) 231-283

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IL D R A M M A D E L L A C H IE S A IN C A T E R IN A D A S IE N A

S u m m a r iu m . - Laboribus plurimis, virtutibus eximiis, praecellenti doctrina et experientia S. Catharina Senensis mysterium Ecclesiae vixit et illustravit. Aspectus praecipui huius insignis spiritualitatis ecclesialis hic breviter et or- ganice exponuntur. Fontes sunt ipsa scripta Sanctae, praesertim Dialogo et Le Lettere. I. - Imprimis consideratur charisma supernae illuminationis et vocationis ecclesialis, ut pateat quam intime connectantur in S. charisma mysticum, experientia spiritualis et communicatio doctrinae. II. - Aspectus praecipui doctrinae circa Ecclesiam: natura, structura, sanctitas, necessitas, pulchritudo, etc. ex imaginibus et similitudinibus a Catharina splendide ach hibitis, in lucem ponuntur. III. - Praecipui aspectus activitatis ecclesialis huius insignis foeminae commemorantur: eius interventus ut Summus Pon- tifex, Avenionensi civitate relieta, tandem rediret ad Sedem Romanam; eius navitas in adiuvandis Gregorio XI et Urbano VI prò Ecclesiae reformatione quantum ad pastores Ecclesiae et vitam religiosorum ; eius cooperatio cum Urbano VI tempore schismatis occidentalis. Tandem mirifica consummatio huius vitae prò bono Ecclesiae.

Indubbiam ente C aterina da Siena deve essere annoverata tra le anim e che, in tu tti i tempi, più hanno am ato, sofferto e lavorato per la Chiesa. Vedremo, anzi, che può essere considerata lettera l­m ente im m olata per la Chiesa, caduta in trepidam ente sulle trincee p er la difesa del Papato in uno dei più dram m atici m om enti della sua storia, al tram onto del medioevo e all’alba del rinascim ento, sulle sponde del Tevere e quasi sul sagrato di S. Pietro.

In Caterina da Siena troviam o splendenti al m assim o grado, intim am ente legate e fuse, esperienza, dottrina, azione; e se ricor­diam o a quale livello tali qualità si siano m anifestate e siano state im piegate p er la riform a della Chiesa, possiam o capire l ’interesse che la le ttera tu ra spirituale cristiana debba sentire per questa personalità. A noi sem bra che tra le altre dom ande che ella suscita non le meno im portanti siano le seguenti:1. In quale m isura la do ttrina ecclesiologica della Santa derivi da

un particolare ed eccezionale carism a e in quale m isura rivelie traduca il m aturarsi della sua vita spirituale e m istica;

2. Quali aspetti della Chiesa do ttrina ed esperienza contengano inm aniera predom inante, da un punto di vista generale;

3. Come Caterina abbia vissuto il dram m a al vertice della Chiesa:in altre parole, quale sia stata la sua azione nei riguardi delPapato;

4. Quale sia stato il suo intervento per la riform a della Chiesacon particolare riferim ento al sacerdozio e alla vita religiosa.

Ephemerides Carmeliticae 17 (1966/1-2) 231-283

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Sono le dom ande alle quali intendiam o rispondere. Sentiam o però già dai prelim inari il dovere di p recisare che qui non inten­diamo fare un lavoro di fondo, il quale richiederebbe ben altra ampiezza di studio e di docum entazione; noi presentiam o un sag­gio, e quasi direm m o uno scorcio, affinché non m anchi la presenza di Caterina nella presentazione di alcuni astri di prim a grandezza nel vivere e nelTesprimere attraverso gli scritti la realtà m isteriosa della C hiesa.1.

I - CARISMA ED ESPERIENZA NELLA SPIRITUALITÀ’ ECCLESIALE DI S. CATERINA

Il lettore degli scritti cateriniani, a m ano a m ano che si inoltra nella le ttu ra del Dialogo, delle Lettere o delle Preghiere, non può so ttrarsi all’im pressione della potenza e della continuità di quel suo rito rno al tem a della Chiesa. Perciò sorge spontaneam ente il quesito sull’origine della sua do ttrina e della sua azione. Poiché ci sem bra un aspetto im portante e nello stesso tem po m eno messo in rilievo negli studi che abbiam o potu to leggere sull’argomento, crediam o utile iniziare la nostra rapida visione proprio da qui. L’utilità che vi troviam o è molteplice. Prim a di tu tto noi potrem o conoscere la causa di questa sapienza, e questo ci sem bra come un attingere acqua alla sorgente. In secondo luogo ci sarà pos­sibile leggere più addentro nel pensiero, perché la sua origine ne segna necessariam ente anche la fisionomia. In terzo luogo sarem o portati a rivalutare più giustam ente un elem ento della spiritualità che ha sofferto negli ultim i tem pi della le tte ra tu ra sp iritu a le2 m a che oggi la teologia tende, se non erriam o, a rim ettere in onore : il dato carism atico .3 E' noto che nella ecclesiologia paolina la m ultiform e donazione carism atica elargita dall’unico e medesimo

1 Poiché il nostro lavoro non è di stretta ricerca scientifica, e poiché, d’altra parte, non esistono edizioni critiche degli scritti cateriniani, ci ser­viamo delle fonti comuni. Per il Dialogo ci serviremo dell’edizione curata dal P, I n n o c e n z o T a u r is a n o , Ed. Ferrari, Roma 1947. Il modo di citare sarà il seguente: la lettera D. significa Dialogo, il primo numero si riferisce al capitolo, il secondo alla pagina. Le Lettere, salvo avviso contrario, saranno citate nell'edizióne curata dal P. L u d o v ic o F err etti [Lettere di S. Caterina da Siena, vergine domenicana], in 5 volumi. Siena 1918-1930. Per le citazioni la lettera L. con il numero che segue indica l’ordine, il secondo numero si riferisce al volume, il terzo alla pagina. Per le Preghiere citiamo Preghiere ed Elevazioni, a cura del P. T a u r is a n o , 2. ed. Ferrari, Roma 1932. Mancando le edizioni critiche conserviamo la grafia fedelmente come la troviamo nelle predette pubblicazioni.

2 Di questo fenomeno ci si può accorgere scorrendo i manuali e altri scritti simili di teologia spirituale. Il fatto è andato sempre più accen­tuandosi. . . . . . ■ . .;

3 Tra gli altri teologi da K. R a h n e r , Visionen und Prophezeiungen, Innsbrock 1958; e da L. V ólkEn , Les révélations dans l’Eglìse. Mulhouse 1961.

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Spirito — lo Spirito di Cristo — non viene minimizzata, anche se la carità rim anga il dono incom parabilm ente più elevato e per­fetto. 4 II carisma, nella sua varietà resa necessaria dalla m ulti­form e necessità del Corpo m istico ,5 denuncia la ricchezza e la potenza dello S p ir ito 6 e si afferma come una magnifica testim o­nianza del Cristo glorificato — asceso al cielo per riem pire di sé tu tte le co se7 — e rende visibile il vario e arm onico apporto non solo dei pastori m a anche dei fedeli alla costruzione del Popolo di Dio. Secondo le nostre im pressioni è stato operato un im po­verim ento e quasi un com pleto svuotam ento del fa tto re carism a­tico, considerandolo un elemento assolutam ente m arginale, a volte pericoloso per le facili illusioni e contraffazioni;8 più sicuram ente com m isurandolo ad un comune e ordinario impegno di doveri di s ta to .9 Una più equilibrata parola è stata pronunciata nella Enci­clica Mystici Corporis da Pio XII, a proposito dell'economia straord inaria che lo Spirito divino m ette in a tto nel governo della C hiesa;10 m a una maggiore im portanza sem bra a ttribu ire al ca rism a il Concilio Vaticano II, specialmente nella Costituzione dog­m atica Lum en Gentium, la quale nel grandioso quadro che, su sfondo biblico, traccia della Chiesa, non minimizza il compito profetico di Cristo, che viene partecipato e continuato, sotto il soffio libero dello Spirito della Pentecoste, nella com unità del Popolo di D io .11

4 Una valutazione complessiva ci viene offerta da S. Paolo, I Cor. 12-13.’ Così Rom. 12, 6-8; 1 Cor. 12, 4-31.6 Rientra nella divina economia della storia della salvezza, secondo gli

annunci profetici dei tempi messianici, l’abbondante effusione dello Spirito Santo per la santificazione del Popolo di Dio. Così in Atti, 2, 17 ss.

7 Ef. 4, 7-16.8 Non si può negare che la psicologia umana facilmente si fa sugge­

stionare dal meraviglioso e dallo straordinario ; ciò impone molta pru­denza nei direttori e molto distacco nelle anime spirituali, che inoltre non devono scambiare l’essenziale con l’accessorio. La severità di S. Giovanni della Croce in questo campo mira appunto a stabilire l’ànima in tale li­bertà di spirito che le consenta di vivere la vita teologale con pienezza, ricavando nello stesso tempo l ’utilità cui Dio mira elargendo i carismi.

9 L’insistenza sui doveri di stato come norma del progresso spirituale è pienamente valida, e la grazia di stato, in certo senso, può essere rife­rita al carisma; ma non bisogna dimenticare che a volte il Signore chiama delle anime a missioni ardue e straordinarie, sproporzionate alla loro nor­male condizione. In questi casi il carisma assume altre proporzioni.

10 Egli parla di un governo arcano e straordinario: « ... quando (spe­cialmente nelle circostanze più diffìcili) suscita dal grembo della Madre Chiesa uomini e donne che, spiccando con il fulgore della santità, siano di esempio agli altri cristiani e di incremento al suo Corpo mistico ». Cf. peril testo latino AAS 35 (1943 ) 213. Circostanze difficili erano indubbiamente quelle in cui visse Caterina.

11 La Costituzione più di una volta parla dei carismi: così, nel n. 4 dice che lo Spirito Santo «istruisce e dirige (la Chiesa) con diversi doni ge­rarchici e carismatici»; nel n, 7 ricorda la dottrina paolina dell’unico Spi­rito « il quale per l ’utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei mini-

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Un carattere o, meglio, un valore che m olti santi attestano nel dono carism atico è il nesso e l’influsso che di fa tto esso ha esercitato nella evoluzione e nella irradiazione della loro vita spi­rituale, e non soltanto della loro missione pubblica. Ci sem bra che più di ogni altro « caso » questo si verifica in S. Paolo : nelle sue rivelazioni, nell’apparizione del Cristo glorioso, nel rapim ento che lo portò alle soglie del paradiso ad udire parole che non è dato all’uomo r id ire ,12 ma la cui luce indubbiam ente giunge fino a noi, filtra ta com unque si voglia, attraverso le sue Lettere. Ma sarebbe un controsenso pensare che quei m irabili carism i siano stati soltanto fonte di luce per noi e non anche sorgente d ’am ore per loro, irradiantesi dalle fiamme lum inose del m istero di Cri­sto. 13

Questa troppo lunga prem essa ha uno scopo: richiam are l’a t­tenzione sull’esistenza evidente di un elevato carism a in Caterina da Siena, il quale com anda la sua superiore sapienza e la sua azio­ne eccezionale nella Chiesa; m a bisogna aggiungere che si tra tta di un carism a intim am ente operante e connesso con la sua s trao r­dinaria esperienza religiosa e con la sua san tità esistenzialm ente considerata.

E ’ proprio quanto ci proponiam o di sottolineare.Come a fonte non farem o ricorso ai suoi biografi. Essi vanno

ritenuti degni di fede e validi testi; tu ttavia le loro affermazioni non valgono quelle che la Santa fa di se stessa nei suoi scritti r i­velatori di una personalità assolutam ente eccezionale. I m ate­riali che essi ci offrono sono di una grande ricchezza; evidente­m ente le nostre saranno p iuttosto spigolature. Ci appelliam o p ri­ma di tu tti al Dialogo, forse meno vivo e concreto delle Lettere, ma dove l’attestazione è straord inariam ente consapevole e conti­nua per quanto riguarda il carism a, e m olto trasparen te per quan­to riguarda l’esperienza e la sp iritualità vissuta.

Dalle prim e b a ttu te il Dialogo ci introduce in questo clima. « Dialogo della divina Provvidenza », « Libro della do ttrina », Bre­viario di perfezione » : com unque lo si voglia caratterizzare, il libro cateriniano non meno giustam ente lo si può chiam are un dialogo di am orosa contem plazione e di preghiera per la Chiesa.

steri », e ricorda in particolare il dono degli Apostoli « alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici ». In modo particolare, par­lando dell’ufficio profetico di Cristo partecipato al Popolo di Dio, attuato anche attraverso i carismi, il Concilio insegna: « E questi carismi, straor­dinari e anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto adat­tati e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione. I doni straordinari però non si devono chiedere impruden­temente, né con presunzione si devono da essi sperare i frutti dei lavori apostolici; ma il giudizio sulla loro genuinità e ordinato uso appartiene all’Autorità ecclesiastica, alla quale spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono » (n. 12).

12 Vedere, ad es., l’apologia che di se stesso fa S. Paolo nella 2 Cor. 12, 1-5.13 E' trasparente la ricchezza interiore che l'alta rivelazione del piano

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L’inizio stesso ne è una rivelazione :

« Levandosi una anima ansietata di grandissimo desiderio verso l'o­nore di Dio e salute delle anime, esercitata per alcuno spazio di tem­po nella virtù, abituata e abitata nella cella del cognoscimento di sé, per meglio cognoscere la bontà di Dio in sé; perché al cognosci­mento seguita l’amore, amando cerca di seguitare e vestirsi della Verità. E perché in veruno modo gusta tanto ed è illuminata di essa verità quanto col mezzo de l'orazione umile e continua, fon­data nel cognoscimento di sè e di Dio... » (D. 1, 1).

In questo incalzare di sentim enti, in questo accavallarsi di movimenti verso il divino c'è tu tta Caterina. La prim a cosa che colpisce il lettore è l’affermazione, così naturalm ente e per im ­pulso spontaneo della scrittrice, m essa in tu tta evidenza: quel levarsi im petuoso dell’anim a « ansietata di grandissim o desiderio verso l’onore di Dio e salute delle anim e ». Il capitolo si chiude riferendo quattro petizioni nate appunto dall’ansietato desiderio: per lei stessa, Caterina; per « la reform azione della santa Chiesa » (D. 1, 3); per tu tto il mondo, specialmente per i popoli cristiani in guerra fra di loro e ribelli alla Chiesa; e per un caso particolare che la Santa affidava ad una provvidenza speciale di D io .14

La ragione del Dialogo in fondo è nell’appello a Dio per la salvezza del mondo, cioè concretam ente p er la Chiesa. La Santa Vi si sente im plicata, e vuole esserlo sino in fondo, come uno s tru ­m ento di mediazione. Si può capire, così, che tu tto lo svolgi­mento, potentem ente dram m atico, del Dialogo, gira intorno a que­sto nodo essenziale. Se vi sarà il dispiegarsi grandioso dei disegni della divina Provvidenza,15 se saranno com unicate verità altissi­me quasi a com porre una « somma » dei m isteri c ris tian i,16 se verranno scritte con inchiostro di fuoco le pagine degli avveni­m enti contem poranei,17 se verranno spiegate con im pressionante

della salvezza e del mistero di Cristo e della Chiesa comunica a Paolo: cf. Ef. 3, 1-19.

14 Nella lunga L. 272, v. 4, p. 176-196 scritta da Caterina a fra Raimondo c'è come l’abbozzo del Dialogo.

15 II tema della Provvidenza, svolto come uno sguardo alla storia della salvezza, costituisce l’argomento di un apposito « trattato » che abbraccia i cc. 135-153.

16 Realmente la maggior parte dei dogmi fondamentali del cristianesimo sono toccati nel Dialogo: la creazione, il peccato originale, la necessità e il valore della Incarnazione redentiva, la santità e il valore delle opere di Cristo in forza della divinità, i vari problemi della grazia e del libero arbi­trio, i sacramenti, la fede con le altre virtù teologali, la preghiera e il pro­gresso spirituale, la permissione del male, il giudizio e la condizione degli eletti e dei reprobi: tutti questi misteri del cristianesimo, oltre natural­mente quelli del sangue di Cristo e della Chiesa su sfondo trinitario, sono presenti nella grande « visione » della Santa.

17 Nel D. è presente la situazione spirituale della Chiesa; avvenimenti e personaggi sono descritti vivamente nelle Lettere.

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realismo le profondità del m istero del Sangue e dell’anim a um a­na : 18 tu tto ciò convergerà verso la riform a per un nuovo splendo­re della Chiesa.

In tan to si può notare, collegato alla finalità ecclesiale cui sarà destinato il carisma, il complesso di circostanze e di disposi­zioni che ci profilano nitidam ente l’esperienza che del carism a viene a risultare, nello stesso tem po, radice e fru tto . La Santa è spinta alla ricerca di un dialogo dalla fiam m a della carità. Questa si è accesa gradualm ente nella solitudine in teriore e nella p re­ghiera, dal conoscim ento di sé e di Dio, dall’um iltà e dalla sa­pienza. Quando l'am ore cresce, non solo si alza verso Dio m a si dilata progressivam ente verso il mondo; esso tende ad assum ersi l’onerosa responsabilità della salvezza.19 Qui dunque siam o in un clima di elevata vita teologale, nelle condizioni di apertu ra ad ogni esperienza divina. A sua volta, se l ’am ore di Dio viene a ve­stirsi di carism a non po trà non ripercuotersi in esperienza che arricchisce la santità.

E ’ quello che realm ente avviene in Caterina, e noi possiamo seguire agevolmente, condotti dal filo del Dialogo già nei prim i capitoli, il com penetrarsi del carism a e dell’esperienza vitale nel suo aprirsi agli orizzonti della Chiesa. Spinta dal desiderio, ella chiede di espiare su di sé le colpe degli uom ini : « E perché delle pene che debba portare il prossim o mio, io p e r li miei peccati ne so’ cagione, però ti prego benignam ente che tu le punisca sopra di me » (D. 2, 4). Il desiderio, già grande e continuo, « m olto mag­giorm ente crébbe, essendo m ostrato dalla prim a Verità la neces­sità del mondo, ed in quanta tem pesta e offesa di Dio egli era » (D. 2, 3). Poiché Caterina sente che nella com unione eucaristica l’anim a più intim am ente si unisce a Dio e penetra nella sua verità — « perché l ’anim a allora è in Dio e nell’anima, sì come il pesce che sta nel mare, e il m are nel pesce » (D. 2, 4) — ella sceglie il mom ento cultuale e m istico per raccogliersi nel più profondo conoscimento di sé e di Dio, del peccato e della purezza, per rivol­gere la sua dom anda di u n ’offerta vittim ale. « Allora la Verità eterna, rapendo e tirando a sé più forte il desiderio suo » (D. 3, 4) m andava all’anim a « il fuoco della clemenzia dello Spirito S an to 20

18 Per Caterina il mistero del sangue di Cristo è una via meravigliosa per penetrare nella profonda conoscenza delle perfezioni divine, della Chiesa, dei sacramenti, e per illuminare il cammino spirituale dell’anima. Perciò il mistero del sangue ritorna continuamente sotto la sua penna; anzi, senza mancare di riverenza e usando la terminologia della Santa, diciamo che ella scrive tutte le sue lettere nel sangue di Cristo.

19 Questo movimento, quasi legge ed esigenza, dalla pienezza dell’amore di Dio all’amore « redentivo » per la Chiesa è evidente, ad es., in Teresa del Bambino Gesù, nelle fiammeggianti pagine della Storia di un’anima (cf. Manoscritti Autobiografici, Roma, Ancora, 1957, Man. « B » pp. 234-245),

20 Spesso Caterina usa il vocabolo «clem enzia» come nome di «appro­priazione» dello Spirito Santo.

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e rapiva il sacrifizio del desiderio che ella faceva di sé a lui... » (D. 3, 5); Incominciava così l’iniziazione al profondo m istero di Dio e di Cristo nella Chiesa. G radualm ente il m agistero carism a­tico va rivelando alla Santa che non è la penitenza il principio for­m ale dell'espiazione né la radice profonda della solidarietà sopran­naturale, m a l’am ore dell'anim a il quale, in Cristo, attinge all’Amo­re increato e infinito :

« Sì come il desiderio ed ogni virtù, vale ed à in sé vita per Cristo Crocifisso Unigenito mio Figliuolo, in quanto l’anima à tratto l’a­more da Lui e con virtù seguita le vestigie sue, per questo modo vagfiono, e non per altro; e così le pene satisfanno alla colpa col dolce e unitivo amore, acquistato nel cognoscimento dolce della mia bontà, e amaritudine e contrizione di cuore, cognoscendo sé mede­simo e le proprie colpe sue » (D. 4, 6).21

Il lungo cammino e l'ardua ascesa cui il Padre vuol condurre Caterina è, nel suo nucleo vitale, la rivelazione della carità nella quale Dio ha am ato la sua creatura, con ineffabile compiacenza e m isericordia, nella creazione e nella grazia, nella redenzione per il sangue di Cristo e nella Chiesa. Il conoscere e il credere è via all’amore, ma anche l’am ore conduce alla conoscenza; sicché l ’ani­m a si muove lungo tu tta la sua vita dentro di sé dall’um iltà al­l’amore, penetrando sem pre più addentro nel m istero del Sangue:

« Niuna virtù può avere in sé vita, se non dalla carità; e l’umiltà è balia e nutrice della carità. Nel cognoscimento di te ti umilierai, vedendo te per te non essere, e l’essere tuo cognoscerai da me, che v’ò amati prima che voi fuste. E per l’amore ineffabile che Io vi ebbi, volendovi ricreare a grazia vi ò lavati e ricreati nel Sangue de l’Unigenito mio Figliuolo sparto con tanto fuoco d’amore. Questo Sangue fa cognoscere la verità a colui che s’è levata la nuvola de l’amore proprio per lo cognoscimento di sé, ché in altro modo non la cognoscerebbe. Allora l’anima si accenderà in questo cognoscimen­to di me con un amore ineffabile, per lo quale amore sta in continua pena, non pena affligitiva, che affligga né dissecchi l’anima, anco la ingrassa, ma perché à cognosciuta la mia verità e la propria colpa sua, e la ingratitudine e cecità del prossimo; à pena intollerabile, e però si duole perché m ’ama; ché se ella non mi amasse non si dorrebbe» (D. 4, 7 s).22

2! Una bella teologia che fonda l’efficacia e l’estensione della espiazione non direttamente nella penitenza, nella sofferenza ecc., ma nella carità. Anche nei riguardi della efficacia espiatrice della passione di Cristo il fon­damento è sempre visto nella sua infinita carità e non nelle sue sofferenze « finite ». Cf. D. 11, 27 ss.

22 Uno dei temi cari a Caterina, fondamentale nella sua spiritualità, è il mutuo integrarsi e compenetrarsi dell’amore e della conoscenza, quindi della volontà e dell’intelletto, della fede e della carità. L’insistenza alla co­noscenza di sé neU’intimità dell’anima è giustificata dalla luce che di qui scaturisce sui rapporti d’amore che già per la creazione nascono tra Dio e l'anima.

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In questa am pia visione si com prendono le ragioni dell'insi­stenza divina a suscitare m ediatori e cooperatori per l'opera della salvezza, come si com prende l’urgenza dell’espiazione e il fonda­m ento della sua efficacia; perciò Dio stesso ne trae le conseguenze :

« Subito che tu e gli altri servi miei avrete per lo modo detto co- gnosciuta la mia verità vi converrà sostenere in sino alla morte le molte tribolazioni, ingiurie e rimproveri, in detto e in fatto, per glo­ria e loda del nome mio; si che tu portarai e patirai pene » (D. 4, 8).

Amore, dolore e redenzione sono indissolubilm ente collegati nel piano divino:

« Costretto sono di farlo dalla inestimabile carità mia, con la quale Io li creai, e dall’orazioni e desideri e dolore de’ servi miei, perché non sono spregiatore della lagrima, sudore e umile orazione loro, anco, gli accetto, però che Io sono colui che gli fo amare e dolere del danno dell’anime » (D. 4, 9).

La conclusione, per quanto riguarda Caterina, viene tra tta dal Signore stesso:

« Sì che cresce il fuoco del desiderio tuo, e non lassare passare punto di tempo che tu non gridi con voce umile e continua orazione dinanzi a me per loro» (D. 4, 12).

E con estrem a chiarezza Dio traccia il program m a a Caterina e a quelli che le sono uniti con i vincoli di una famiglia spiritua­le; 23 un program m a che non è solo azione esteriore ma, e prim a di tu tto , eroica tensione spirituale:

« Molto è piacevole a me il desiderio di volere portare ogni pena e fadiga infimo alla morte in salute dell’anime. Quanto l’uomo più sostiene più dimostra che m’ama, amandomi più cognosce della mia verità, e quanto più cognosce più sente pena e dolore intollera­bile dell'offesa mia. Tu dimandavi amore, lume e cognoscimento della verità, peroché già ti dissi, che quant'era magiore l’amore, tanto cresce il dolore e la pena; a cui cresce amore cresce dolore . . . Adunque portate virilmente, altrimenti non dimostreresti d’essere né sareste sposi fedeli e figliuoli della mia verità né che voi foste gustatori del mio onore e della salute dell’anime » (D. 5, 12 s).

Tutto il resto del Dialogo — la stessa do ttrina è nelle Lettere — non è che variazioni e sviluppi dei motivi p resentati in questo tem a: variazioni e sviluppi sem pre più am pi e grandiosi a m i­sura che si affermano, dom inatori, il Cristo e la Chiesa. Tuttavia occorre sottolineare che ogni sviluppo è sim ultaneam ente co­

23 Sulla « famiglia spirituale » di Caterina si può vedere P. C h i m i n f . l l i , S. Caterina da Siena (Sales, Roma 1951), c. 9, pp. 131-197.

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municazione, e si potrebbe dire una straord inaria « teofania », e u n ’assimiliazione vitale in tu tto l’essere della S an ta: ella viene come im m ersa nel m are di luce, e la sua in teriore trasfigurazione si esprim e abitualm ente in elevazioni e preghiere che raggiungono altissim e vette di poesia e di fervore m istico. Esemplifichiamo. Ella viene am m aestrata che v irtù e vizi, bene e m ale generalm ente l'uom o opera con qualche relazione con gli a ltri uom ini : 24 odio e carità, orgoglio e um iltà, avarizia e larghezza, ambizione e mo­destia, ira e pazienza, sensualità e purezza. Tutto ciò illum ina nel­l’anim a il valore dell’uomo, la fecondità del bene fraterno, la forza tenebrosa e crudele del peccato e specialm ente delTorgoglio, e dell’am ore di sé che ne è la rad ice ,25 la bellezza della v irtù e p a r­ticolarm ente dell’um iltà e della carità che ne sono la sorgente. Ella com prende sopra ttu tto la stupenda parola che scopre la radice di tu tte le opere di Dio e di ogni bene:

« . . . ti pensa, che l’anima è un arbore fatto per amore, e però non può vivere d’altro che d'amore. E' vero che, se ella non à amore divino di vera e perfetta carità, non produce frutto di vita ma di morte. Conviensi che la radice di questo arbore, cioè l'affetto del­l'anima, stia e esca del cerchio del vero cognoscimento di sé, il quale cognoscimento di sé è unito in me, che non ho principio né fine, si come il cerchio tondo; ché quanto tu ti vai ravollendo den­tro nel cerchio non trovi né fine né principio, e pure dentro vi ti truovi » (D. 10, 25).

Ella ha ascoltato, insieme al ricordo della Provvidenza nella creazione, quella più alta della m isericordia e della redenzione nel Sangue di Cristo, e che l'am ore m isericordioso è senza pentim ento e non solo è disposto a perdonare m a suscita e dolcem ente co­stringe i suoi servi fedeli alla preghiera e alla espiazione affin­ché questo dolce fiume dell'am ore possa soddisfare il suo desi­derio di com unicarsi alle sue creature, nella Chiesa che è com u­nione di carità.

Quale doveva essere la logica reazione di Caterina? Ella, ele­vata « per desiderio coll’occhio dell'intelletto a raguardarsi nello specchio dolce di Dio, per la pu rità che vede in lui, meglio cogno- sce la m acula della faccia sua » (D. 13, 35). Questa luce, questo fuo­co splendono sul m ondo scuotendo possentem ente i lim iti della fragile na tu ra um ana. Ecco una magistrale descrizione caterin iana :

« E sì come il fuoco cresce quando gli è dato la materia, così crebbe il fuoco in queU'anima, per sì fatto modo che possibile non

m Cf. D. cc. 6-7, pp. 13-20.25 « ... l’amore proprio, il quale lolle la carità e dilezione del prossimo,

è principio e fondamento d'ogni m ale» (D. 7, 16). Scriva a papi o a re, a religiosi o a laici Caterina torna sempre a questa asserzione. Vedere le forti espressioni della L. 272, v. 4, 179.

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era a corpo umano a potere sostenere che l'anima non si partisse dal corpo. Unde se non era cerchiata di fortezza da Colui ch’è som­ma fortezza non l’era possibile di camparne mai. Purificata l’anima dal fuoco della divina carità, la quale trovò nel cognoscimento di sé e di Dio, e cresciuta la fame colla Speranza della salute di tutto quanto il mondo e della reformazione della santa Chiesa, si levò con una sicurtà dinanzi al sommo Padre, avendole mostrato la lebra della santa Chiesa e la miseria del mondo, quasi colla parola di Moisè, dicendo : — Signore mio, volgi l’occhio della misericordia tua sopra il popolo tuo e sopra il corpo mistico della santa Chiesa, per­ché più sarai tu gloriato di perdonare a tante creature e dar loro lume di cognoscimento (ché tu tte ti darebbero laude, vedendosi campate per la tua infinita bontà dalle tenebre del peccato mortale e dell’eterna dannazione) che solamente di me miserabile che tanto t ’ò offeso, la quale so’ cagione e Strumento d’ogni male. E però ti priego, divina, eterna carità, che tu facci vendetta di me e fa mi­sericordia al popolo tuo; mai dinanzi dalla tua presenzia non mi

. partirò, infine che io vedrò che tu li facci misericordia. E che fa­rebbe a me che io vedessi me avere vita eterna e il popolo tuo la morte? e che la tenebra si levasse nella Sposa tua, che è essa luce, principalmente per i miei difetti e dell’altre tue creature? » (D. 13, 35 s).

E dopo aver ricordato a Dio « L’am ore inestim abile col quale raguardasti in te medesimo la tua c reatu ra e innam orastiti di le i ;26 e però la creasti per am ore e destile l’essere accioché ella gustasse il tuo sommo ed eterno bene » (Ivi), nonché l’accondiscendenza della Incarnazione e della Redenzione nel Sangue, Caterina sem­bra esser presa da un pianto dell’anim a ed esclam a:

« O abisso di carità! Quale cuore si può difendere che non scoppi a vedere l’altezza discesa a tanta bassezza quant’è la nostra umanità? Noi siamo immagine tua e tu immagine nostra, per l’unione che à fatta nell’uomo, velando la deità eterna colla miserabile nuvola e massa corrotta l’Adam. Chi ne fu cagione? L'amore. Tu, Dio, sei fatto Uomo, e l’Uomo è fatto Dio. Per questo, amore ineffabile, ti costringo e prego, che facci misericordia alle tue creature » (D. 13, 37).

E ’ innegabile che simili elevazioni rivelino una comunicazione soprannaturale che è ben lontana dal rim anere su un piano p u ra­m ente im perativo e profetico. M entre l’intelligenza viene aperta

26 Nella preghiera alla Trinità, ché chiude il D. così dice la Santa: « ... io ò gustato e vèduto, col lume dell’intelletto nel lume tuo, l ’abisso tuo, Trinità eterna, e la bellezza della creatura tua. Unde raguardando me in te, vidi me essere imagine tua, donandomi della potenzia di te, Padre eterno, e della sapienzia tua ne l'intelletto; la quale sapienzia è apropriata all’Unigenito tuo Figliuolo. Lo Spirito Santo che procede da te e dal Fi­gliuolo tuo, m ’à data la voluntà, chè sono atta ad amare. Tu Trinità eterna sei fattore ed io fattura; ò cognosduto, nella recreazione che mi facesti nel sangue del tuo Figliuolo, che tu sei innamorato della bellezza della tua fattura » (D. 167, 500 s).

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al m istero, nella volontà viene accesa la fiamma dell’am ore; tu tto l’essere viene come im m erso in Dio non per trovarvi il suo essere solitario, m a per incontrarvi, nella luce della Trinità, il m istero della Chiesa e il mondo nella sua quasi con tradd itto ria condizione esistenziale. Ciò spiega come il colloquio di C aterina trabocchi di appassionato, o come a lei piace dire, « ansietato » oppure « cro­ciato » amore, e che la risposta dell’In terlocutore divino sia pa­terna espansività e tenerezza; come lo rivelano queste parole così tipiche nel linguaggio cateriniano:

« Allora Dio vollendo l’occhio della sua misericordia, verso di lei, lassandosi costringere alle lagrime e lassandosi legare alle fune del santo desiderio suo, lagnandosi, diceva: — Figliuola dolcissima, la lagrima mi costringe perché è unita colla mia carità, ed è gittata, per l’amore di me, e mi legano i penosi desideri vostri. Ma mira e vedi come la Sposa mia à lordata la faccia su a . . .» (D. 14, 38 s).

Questa nostra esemplificazione, anche solo stando al Dialogo, potrebbe essere continuata a lungo. Il rapporto varia m olto d’in­tensità e di profondità, m a la s tru ttu ra sostanzialm ente si ripete. Dalla parte di Dio è la rivelazione, è l’invito, è la prom essa, è la p ressante insistenza; da parte della Santa è sorpresa, è accetta­zione, è impegno, è grido di dolore o è anche estasi trasfigurante.

« Tolli dunque le lagrime, il sudore tuo, e trailo dalla fontana della mia divina carità, tu e gli altri servi miei, e con esse lagrime lavate la faccia alla Sposa mia, che Io ti prometto che con questo mezzo le sarà venduta la bellezza sua, [non con coltello, né con guerra, né con crudeltà riavarà la bellezza sua] 27 m a con la pace e umili e con­tinue orazioni, sudori e lagrime gittate con ansietato desiderio da’ servi miei. E così adempirò il desiderio tuo con molto sostenere, gittando lume la pazienza vostra nelle tenebre degl’iniqui uomini del mondo » (D. 15, 44).

Descrivendo il suo stato C aterina si confessa « come ebbra e quasi fuori di sè », beata e dolorosa : beata, gustando la bontà di Dio e « tu tta annegata nella sua m isericordia »; dolorosa, ve­dendo offendere una sì ineffabile bontà; g rata a Dio, perché a ttra ­verso la rivelazione dei peccati degli uom ini la incitava alla ripa­razione; radicata nella do ttrina dell’alta perfezione che le apriva l’intelletto a specchiarsi nella divina carità e leggervi la dolce e stringente legge dell’assoluta dedizione alla gloria di Dio e al ser­vizio del prossim o; così rinnovata nel sentim ento della deità, così im m ersa nel « santo e am oroso fuoco, che il sudore dell’acqua, il quale ella gittava per la forza che l’anim a faceva al corpo », de­siderava si cambiasse in sudore di sangue (Cf. D. 19, 48 s ) .28

27 Vedere le stesse affermazioni nella L. 272, v. 4, 179.28 Cf. testo parallelo nella L. 272, v. 4, 180.

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Quando Caterina è scesa nelle profondità della conoscenza di Cristo raffiguratale dal Padre nel paragone del ponte che va dalla te rra al cielo e sul quale è s ta ta costru ita la Chiesa p er la vita di tu tti gli uomini, questa conoscenza accende nel suo spi­rito una delle più alte preghiere alla m isericordia divina che riem ­pie il cielo e la terra , raggiunge perfino l'inferno, sop ra ttu tto ar­ricchisce la Chiesa del Sacram ento eucaristico.

« O m isericordia. Il cuore ci s’affoga a pensare di te, che ovun­que io m i vollo a pensare non trovo altro che m isericordia » (D. 30, 70).

Il viaggio della Santa, guidato dalla eterna Verità, nel mondo soprannaturale è quanto m ai vario e complesso. Esso tocca, e a volte quasi di un volo, il m ondo di Dio e quello dell’uomo, lo spa­ventoso adden trarsi degli' uom ini nelle tenebre della colpa e della dannazione, travolti e annegati dal fiume im petuoso scatu­rito dal peccato orig inale.29

La luce divina le fa scandagliare le tortuose vie del demonio nella perversa opera della guerra ai disegni di Dio, la corruzione e il disfacim ento che i vizi e i peccati causano nella na tu ra um a­na. Non meno penetrante è la luce profetica che le discopre i fe­nomeni così complessi e delicati dell’antropologia soprannatu­rale, con i gradi e m odi dello sviluppo spirituale, dal tim ore ini­ziale alle altezze vertiginose dove l’anim a sem bra già da questa te rra quasi trasform arsi in Dio e sentire nella bocca il sapore del­la vita e te rn a .30 ,

Ma si può dire che lo sfondo di questo im m enso quadro che le viene dispiegato in visione è la Chiesa, cioè il m ondo da salvare per la divina m isericordia e nel Sangue di Cristo operan ti nella Chiesa. Questa prospettiva che rim ane costante sotto gli occhi della veggente spiega che, a m ano a m ano che si succedono i gran­diosi a tti della visione, la relazione spirituale di Caterina, benché varia di toni e di accenti, è sostanzialm ente preghiera ardente per la Chiesa. Così, ad esempio, dopo che l’eterna Verità, quasi dida­scalicam ente le ha fa tto un 'ord inata e lim pida ricapitolazione di im portanti dottrine, leggiamo una conferm a della m issione che il Signore le affida e che desidera sia com piuta con m agnanim ità :

« Tutto questo t ’ò dichiarato per farti crescere il fuoco del santo desiderio e la compassione e dolore della dannazione deH’anime, ac­ciò che il dolore e l’amore ti costringano a strignere me con la­grime e sudori; lagrime dico dell’umile e continua orazione offerta a me con fuoco d’ardentissimo desiderio. E non solamente in te

29 L’argomento viene trattato nei cc. 31-42 del D.30 Di questa intricata e delicata fenomenologia della vita spirituale,

anzi della stessa psicologia umana, tratta mirabilmente a lungo il D. dal c.. 56 al c. 106.

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ma per molte altre creature e servi m iei31 che udendolo saranno costretti dalla mia carità, così insiememente tu e gli altri servi miei, di pregare e strignere me a fare misericordia al mondo e al corpo mistico della santa Chiesa per lo quale tu tanto mi preghi» (D. 86, 201 s).

Poiché le parole di Dio sono fuoco è del tu tto scontato che C aterina venisse a ttra tta verso in alto « come ebbra, sì p er l’unio­ne che era fa tta in Dio e sì per quello che aveva udito e gustato dalla prim a dolce Verità » (D. 87, 203). Un altro di questi mo­m enti altam ente dram m atici, quasi b attu te del dialogo tra Dio e la Santa, lo ritroviam o nei cc. 107 e 108. Dio rinnova l’appello con parole brucian ti:

« E così ti dico che Io voglio che tu facci: che tu non allenti mai il desiderio tuo di chiedere l’aiutorio mio, né abbassi la voce tua di chiamare a me, che Io facci misericordia al mondo; né ti ristare di bussare alla porta della mia Verità, seguitando le vestigie sue; e dilettati in croce con Lui, mangiando il cibo dell’anime per gloria e loda del nome mio. E con ansietà di cuore mugghiare32 sopra il morto del figliuolo de l’umana generazione, il quale vedi condotto a tanta miseria che la lingua non sarebbe sufficiente a narrarla. Con questo mugghio e grido vorrò fare misericordia al mondo. E que­sto è quello che io richieggo dai servi miei, e questo mi sarà segno che in verità m ’amino » (D. 107, 262).

Notiam o l'im pressione nella Santa:

«Allora quell’anima come ebbra veramente, pareva fuori di sé, e alienati i sentimenti del corpo suo, per l’unione de l’amore che fatta avea nel Creatore suo, levata la mente e speculando nella Verità eterna con l’occhio de l’intelletto suo, e avendo cognosciuta la veri­tà, s’era innamorata della verità » (D. 108, 262).

Segue una nobilissim a e um ilissim a elevazione a Dio nella qua­le ella indugia so p ra ttu tto nel ringraziare per la comunicazione di verità che guidano alla più alta perfezione m orale, sop ra ttu tto nel campo della verità m assim am ente necessaria a lei così in teressata alla situazione della Chiesa. Doveva essere estrem am ente facile in quei tem pi turbolenti, in quel groviglio inestricabile di rivolte, di congiure, di corruzione dare libero corso a giudici su persone e istituzioni, erigersi a giudici e condannare. Caterina doveva essere preservata dalla sm ania pseudo-riform atrice; la sua azione, così de­

31 Simili pressanti inviti, e si direbbero suppliche, da parte di Dio, mentre rivelano l ’ineffabile misericordia di Dio per la Chiesa e per il mondo, non lasciano dubbi sulla missione affidata alla Santa e sui mezzi — eminen- mente spirituali — che si dovevano impiegare per l’auspicata riforma.

32 Espressione potente, cui fanno riscontro queste parole rivolte ad un grande prelato: « Gridate con cento migliaia di lingue » (L. 16, v. 1, 85).

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cisiva in tan ti fa tti della Chiesa e della società, doveva essere asso­lutam ente pura, spirituale, d isinteressata, in form ata alle più alte esigenze della verità e della c a r ità .33 Perciò commuovono e nello stesso tem po suonano garanzia della sua m issione parole come queste :

« . . . io ti ringrazio, somma ed eterna Bontà, che nel manifestare la tua verità e lo inganno del dimonio e la propria passione m ’ài fatto conoscere la mia infermità. Unde io t ’adimando per grazia e mise­ricordia che oggi sia posto il termine e fine che io mai non esca dalla dottrina tua, data a me dalla tua bontà e a chiunque la vorrà seguitare, però che senza te neuna cosa è fatta. A te dunque ri­corro e rifuggo, Padre eterno, e non te l’adimando per me sola, Pa­dre, ma per tutto quanto il mondo, e singolarmente per lo corpo mistico della santa Chiesa: ché questa verità e dottrina riluca nei ministri tuoi, data da te, Verità eterna, a me miserabile. E anco t ’adimando spezialmente per tutti coloro i quali m ’ài dati che io ami di singulare amore; i quali ài fatti una cosa con meco; però che essi saranno il mio refrigerio per gloria e loda del nome tuo, veden­doli correre per questa dolce e dritta via schietti e morti ad ogni loro volontà e pareri, senza alcuno giudicio o scandalo o mormo­razione del prossimo loro » (D. 108, 263 s).

Una conferm a che costituisce quindi una validissim a docum en­tazione, che il carism a della illum inazione profetica e della cono­scenza p re ternatu ra le com portava in Caterina da Siena una s trao r­dinaria ricchezza spirituale m istica l ’abbiam o nel capitolo 134 del Dialogo. Lì, dopo di avere fissato lo sguardo, supernam ente acuito, sul m ondo lum inoso del m inistero sacerdotale e sul m ondo te­nebroso di m olti sacerdoti indegni, l’anim a di Càterina prorom pe in una preghiera per la Chiesa che forse non conosce l'eguale nella le tte ra tu ra cristiana e rivela non solo la sua divorante passione per la Chiesa m a anche l’altissim o livello della sua v ita m istica.

Per la sua bellezza e p e r la sua efficacia di testim onianza alla nostra valutazione l'abbiam o voluta rip rodurre, m a d ata la sua estensione, l’abbiam o ripo rta ta in nota, in fondo all’articolo.

Un ultim o tocco da questo incom parabile docum ento della sp iritualità cristiana che è il Dialogo della quasi analfabeta popo­lana senese. C aterina ha spaziato largam ente p e r le vie piene di am ore e di m istero della Provvidenza divina che presiede, dirige e riem pie di sè la storia della salvezza. H a contem plato nella m ente divina l ’estasi am orosa che ha « generato » la c reatu ra « che à in sè ragione » — come usa dire la Santa — poi l’uragano e la tem ­pesta del peccato onde è nato il fiume vorticoso che trasc ina gli uomini servi della colpa alla perdizione; ha contem plato, fuori di sè p er la m eraviglia e per l’am ore, il ponte dall’a rca ta im m ensa

33 II richiamo alla legge della carità nel giudicare persone e situazioni ritorna anche nelle Lettere; vedere, ad es., L. 65, v. 1, 366 ss.

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gettata dalla umile sponda della creatu ra alla T rin ità infinita ed ivi la Chiesa generata, nu trita , splendente nel Sangue dell'Agnello: ha contem plato le inestricabili vicende um ane nella incessante lo tta del bene e del male, e sop ra ttu tto nell’ardua ascesa verso la per­fezione fino a tuffarsi nel m are pacifico di D io.34 Alla fine del suo viaggio nel mondo di Dio e dell’uomo, di Cristo e della Chiesa, qué­sta veggente arricchita di incom prensibile carism a ha elevato l’ul­tim a sua preghiera. Ma essa, p u r m enzionando la Chiesa, è in tu tta la sua ampiezza un inno alla Trinità, m are profondo e pacifico, fuoco e abisso di carità, luce infinita, sapienza e verità e te rn a .35 Non si poteva meglio sigillare una m issione universale che offrendo alla Chiesa uno specchio che riflette così al vivo il m istero di Dio che nell’effusione trin itaria, nel Verbo incarnato e nella Chiesa, chiam a l’uomo alla dolcezza della sua intim ità. Abbiamo detto che non si poteva sigillare meglio questa m issione di salvezza; ci cor­reggiamo, afferm ando che v'è un più autorevole sigillo: la m orte di Caterina consum ata dalla passione per la Chiesa. Ne parlerem o nelle ultim e pagine di questo studio.

II - ALCUNI ASPETTI ECCLESIOLOGICI GENERALI

La parte più viva, più vissuta e sofferta del pensiero, dell'am ore e dell’azione di Caterina per la Chiesa è quella riguardante il Som­mo Pontefice e i m inistri e pastori, ai quali la Senese volse la sua missione per la riform a. A questo fine m irano specialm ente le sue Lettere, e anche i tra tti del Dialogo che più d irettam ente riguar­dano la Chiesa. Tuttavia non sarà inutile staccare alcuni aspetti ge­nerali della visione ecclesiale cateriniana, perché essa così po trà apparire più intim am ente radicata nelle s tru ttu re fondam entali del­la sua spiritualità.

Caterina Benincasa, non possedendo una vera e p ropria cultu­ra, e parlando il linguaggio vivo della gente, ricevendo una cono­scenza carism atica e un ’esperienza fa tta di im mediatezza e con­cretezza vitale usa volentieri, e con originalità, un linguaggio figu­ra to e immaginoso per esprim ere le grandi verità possedute e la sua passione in te rio re .36 Questa straord inaria potenza di immagini viene adoperata specialm ente nelle descrizioni dei m isteri di Cri­

34 II c. 166 del D. fornisce un limpido riassunto della « visione » cate­riniana.

35 La preghiera, che costituisce l ’ultimo c. del D. riassume, nello stile, tutto fremiti, di un’altissima contemplazione, la conoscenza ricevuta sulle mirabili comunicazioni naturali e soprannaturali fatte da Dio all’uomo per condurlo alla più trasfigurante assimilazione deifica.

36 Per il linguaggio mistico di S. Caterina vedere l’interessante studio di G i o v a n n i M. B e r t i n i , Nota sut linguaggio di Caterina da Siena e di Te­resa d ’Avita in « Studi di varia umanità in onore di Francesco Flora », pp. 175-190, Mondadori 1963.

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sto : dell’Incarnazione, della Redenzione, del Sangue, dell’Eucari­stia. Forse le espressioni più appassionate e più incandescenti sono riservate al Sangue di Cristo, m istero che ha riem pito tu tta la sua spiritualità e devozione, tanto che non sarebbe esagerato chiam are la sua m istica la m istica del Sangue.

Ma anche parlando della Chiesa ella ricorre volentieri ad im­magini e m etafore, a volte gentili, a volte meno, m a sem pre inte­ressanti e m ediatrici di un pensiero profondo. Così la Chiesa ò la sposa, il giardino, la vigna, il corpo m istico, la « bottega » del San gue. Q uest’ultim a immagine è indubbiam ente originale e incon­sueta e rievoca allusioni che hanno, a distanza di secoli, un tim bro assai diverso da quello di C aterina .37

Incom inciam o proprio da questa. Essa è nel contesto della fa­mosa allegoria del ponte che Caterina sfru tta con incom parabile perizia lungo tu tto il Dialogo. Possiamo dire che viene prepara ta dal capitolo 21, p er risu ltare com piutam ente costru ita nel capitolo 27. Compendiamo il pensiero della Santa. La strada che portava l’uomo nel seno della T rin ità fu ro tta e sconvolta dal peccato. Poi­ché non si poteva realizzare la verità — ossia il disegno — di Dio sull’uomo, che cioè come sua immagine arrivasse alla vita eterna a fru ire della dolcezza e bontà di Dio, questi getta un ponte che va dalla te rra al cielo, dall’um anità a Dio, scavalcando il « fiume tem ­pestoso » (D. 21, 51) che sem pre percuote l’uom o con le sue onde e l’inghiotte nei suoi vortici: «... voglio che raguardi il ponte dell’U­nigenito mio Figliuolo; e vedi la grandezza sua che tiene dal cielo alla terra, cioè raguarda ch’è un ita colla grandezza della deità la te rra della vostra um anità » (D. 22, 52). La grande im presa del co­s tru tto re divino lascia l’anim a di Caterina senza fiato, non solo per la magnificenza m a sop ra ttu tto p er l’am ore che detta a Dio le sue m irabili invenzioni, ed ella esce in questa esclamazione ard ita : « Se io veggo bene, som m a ed eterna Verità, io so’ il ladro e tu sei l’im piccato per me, però che veggo il Verbo tuo Figliuolo confitto e chiavellato in croce, del quale m ’ai fatto ponte ... Per la quale cosa il cuore scoppia e non può scoppiare per la fame e desiderio che à concepito in te » (D. 25, 58). Il ponte è levato in alto, m a non sepa­ra to dalla te rra : trasparen te m odo di afferm are la « esaltazione » di Cristo sulla croce per subirvi la m orte espiatrice, rim anendo sem­pre congiunta la divinità all’um anità del S alvato re .38

Secondo la potente espressione della Santa il Padre volle che il Figlio fosse innalzato sulla croce « facendone una incudine dove si fabricasse il figliuolo dell’um ana generazione, per tollergli la m orte è restitu irlo alla vita della grazia » (D. 26, 60). E aggiunge una frase

37 II linguaggio, cioè, offensivo e vituperoso dell’anticlericalismo.38 La « esaltazione » di Cristo sulla Croce, e quella gloriosa dell’ascen­

sione sono viste da Caterina in funzione della santificazione della Chiesa. Cf. D. cc. 21-22.

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non meno bella : « E però trasse ogni cosa a sè per questo modo, per d im ostrare l’am ore ineffabile che v’aveva; perchè il cuor del­l’uomo è sem pre tra tto per am ore » (Ivi).

Proseguendo e perfezionando la sim ilitudine Caterina vede ed apprende che il ponte ha p ietre m urate affinché la pioggia, percuo­tendolo con le sue ondate, non lo distrugga. Le pietre son le virtù che dal Cristo hanno coesione e valore:

* Ma poi che le pietre furono fatte e fabbricate sopra al corpo del Verbo del dolce mio Figliuolo. . . egli le mura e intride la calcina per murarle col sangue suo, cioè che il sangue è intriso con la cal­cina della deità e con la fortezza e fuoco della carità » (D. 27, 61).

In Cristo sono m urate tu tte le nostre v irtù : ossia tu tte le virtù sono collaudate in Cristo e nella sua passione, e nessuna nostra virtù ha valore di grazia e di m erito se non da lui. Da questo prin­cipio scaturisce la conseguenza che la perfezione dell’uomo, come l’unica strada della salvezza, è nella partecipazione alle v irtù del m ediatore, come la sua do ttrina è norm a di perfezione m orale :

« Egli ha maturate le virtù ed egli l’ha piantate come pietre vive, murate col sangue suo, acciò che ogni fedele possa andare espedita- mente e senza veruno timore servile di piova della divina giustizia, perché è ricoperto con misericordia » (D. 27, 62).

A questo punto Caterina introduce l’inconsueta m etafora della bottega :

« Si che vedi che il ponte è murato ed è ricoperto con la misericor­dia, e sù v’è la bottega del giardino della santa Chiesa, la quale tiene e ministra il pane della vita, e dà bere il sangue acciò che i viandanti peregrini delle mie creature stanchi non vengano meno nella vita. E per questo à ordinato la mia carità che vi sia ministrato il sangue, il corpo dell’Unigenito mio Figliuolo, tutto Dio e tutto uomo » (D. 27, 52).

Caterina non dim entica la sua m etafora e quando, nel capitolo 66, quasi all’inizio del « tra tta to dell’orazione » va avviando l ’anim a spirituale a questo soave e intim o incontro con Dio per gustarne l’abbondanza della carità, ella si ricorda della « bottega » poiché ri­corda insieme la rivelazione dell’am ore di Dio nel sangue di Cristo, « Il quale sangue inebria l’anim a e vestela del fuoco della divina carità, e dàlie il cibo del sacram ento, il quale v’ò posto nella bot­tega del corpo m istico della santa Chiesa ... p er dare il cibo e con­fortare i viandanti e peregrini che passano per la do ttrina della mia verità, acciò che per debolezza non vengano meno » (D. 66, 148 s).

In fondo, a ben pensarci, questa m etafora, certam ente incon­sueta, finisce con l ’esprim ere il profondo nesso tra Cristo e la Chie­

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sa. Essa, anzi, ci dà un concetto am pio del com pito m ediatore della Chiesa, quando si rifletta che Cristo-ponte abbraccia il m iste­ro dell’Incarnazione e Redenzione, della E ucaristia e della Verità : in una parola tu tta la sua mediazione per la quale egli congiunge il divino e l’um ano non solo nella realtà della sua persona m a an­che nella realtà che conferisce all'uomo. Il ponte è in immagine, dalla spazialità infinita e ricca di meraviglia, l’evangelica afferma­zione di Gesù : « Io sono la via, la verità e la vita » .39 Effettivamente Caterina riallaccia alla immagine del ponte tu tta la do ttrina di ve­rità che costituisce la sapienza della perfezione c ris tian a .40 P ertan­to, la m etafora della bottega accentua non solo il potere di santifi­cazione attraverso i sacram enti e principalm ente l'Eucaristia, ma anche il com pito di offrirci nella sua in tegrità e purezza l'insegna­m ento della prim a Verità. In una parola, la vita nostra che è tu tto Cristo, ci viene com unicata esclusivam ente dalla Chiesa. E poiché qui tocchiamo la necessità e la universalità della m issione della Chiesa non possiam o non ricordare qualche categorica afferm a­zione della Senese. Nella Lettera 371, probabilm ente d ire tta ad Ur­bano VI, così ella propone la sua do ttrina avuta in visione :

«< Essendo io ansietata di dolore per crociato desiderio, il quale s’era nuovamente conceputo nel cospetto di Dio, perché il lume del­l’intelletto si era speculato nella Trinità eterna; e in quello abisso si vedeva la dignità della creatura che ha in sé ragione, e la miseria nella quale l’uomo cade per la colpa del peccato mortale, e la ne­cessità della santa Chiesa, la quale Dio manifestava nel petto suo; e come neuno può tornare a gustare la bellezza di Dio neH’abisso della Trinità, senza il mezzo di questa dolce Sposa, perocché tutti ci conviene passare per la porta di Cristo crocifisso, e questa porta non si trova altrove che nella santa Chiesa, vedeva che questa Sposa porgeva vita, perché tiene in sé vita tanta, che neuno è che la possa uccidere; e che ella dava fortezza e lume, e che neuno è che la possa indebilire e dargli tenebre quanto in sé medesima. E vedeva che il frutto suo mai non manca, ma sempre cresce » (L. 371, v. 5, 296 s).

Ai Signori di Firenze, richiam andoli alla necessità dell’obbe­dienza al Papa e a por term ine alla ribellione, ella scrive:

« perché in altro non possiamo avere salute, che nel corpo mistico della santa Chiesa, il cui capo è Cristo e noi siamo le membra. E chi sarà inobbediente a Cristo in terra, il quale è in vece del Cristo in cielo, non partecipa il frutto del sangue del figliuolo di D io. . . E non possiamo andare per altra via, né entrare per altra p o rta ... colui che ribella come membro putrido alla santa Chiesa, e al padre no­stro Cristo in terra, è caduto nel bando della m o rte . . .» (L. 207,

• v. 3, 270 s).

39 Gv., 14-16.40 Nel c. 29 D. Caterina riallaccia la presenza e l ’azione dello Spirito S. nel

mondo in modo particolare alla permanenza e all’efficacia di comunicare la dottrina del Verbo per la santificazione della Chiesa,

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II. DRAMMA DELLA CHIESA IN CATERINA DA SIENA 249

Né meno esplicitam ente dichiarava alla regina d ’Ungheria che la Chiesa è di tale eccellenza che néssun m em bro che sia tagliato e staccato da lei, può ricevere né pascersi del fru tto di Cristo (Cf. L. 145, v. 2, 349).

Un’altra immagine cara a Caterina e da lei frequentem ente usata è quella della « vigna ». Questa immagine evoca lavoro duro, m a anche la dolcezza del fru tto m aturo e abbondante, La vigna è una « creatura » m olto cara al padrone che non vi risparm ia fa­tica; il fru tto è squisito e generoso; gli operai che vi sono im pegnati non hanno mai tem po per dorm ire e riposare, tan te sono le cure che la sua cu ltura esige. L 'immagine è m agistralm ente valorizzata nel Dialogo, assieme a quella del ponte, sop ra ttu tto nel senso della necessità di attendere al lavoro e all’aspetto dei profondi nessi che stringono Cristo alla Chiesa. Dice il Padre alla Santa:

«Voi siete miei lavoratori, che v’ò messi a lavorare nella vigna della santa Chiesa. Voi lavorate nel campo universale della religione cristiana, messi da me per grazia, avendovi dato il lume del santo battesimo, il quale battesimo aveste nel corpo mistico della santa Chiesa per le mani de' ministri i quali Io ò messi a lavorare con voi. Voi siete corpo universale, ed essi sono nel corpo mistico,41 posti a pascere l’anime vostre, amministrandovi il sangue che rice­vete da lei; traendone essi le spine de’ peccati mortali e piantandovi la grazia. Essi sono miei lavoratori nella vigna delle anime vostre, legati nella vigna della santa Chiesa» (D. 23, 53).

L’immagine, così biblica, così calda, della vigna viene applicata alle anime come alla Chiesa, e secondo queste diverse prospettive viene esaltato o ra il lavoro dei singoli, accentuando la responsa­bilità e capacità predom inante del libero arb itrio fortificato dalla fede e dal b attesim o ,42 ora il lavoro dei m inistri e della com unità ecclesiale da essi guidata. NeH'una e nell'a ltra prospettiva viene messo in evidenza il ruolo vitale di Cristo, vite vera p ian ta ta nella te rra della nostra um anità, e il ruolo fontale del Padre: il grande lavoratore da cui procedono e vite e vigna e fecondità ed ebbrezza di operai. Ecco le forti affermazioni con le quali si traccia il piano di questo celeste lavoro di grazia:

« .. .Io so’ il lavoratore, però che ogni cosa che à essere è escilo ed esce da me. La potenzia mia è inestimabile, e con la mia potenzia e

41 La distinzione, propria alla Santa, tra « corpo mistico » e « corpo uni­versale » nella Chiesa non viene utilizzata per speciali motivi dottrinali. Sem­bra che Caterina voglia esprimere il diverso ufficio dei sacerdoti e dei pastori della Chiesa.

42 E’ notevole l ’insistenza con la quale la Santa, che pure ha tanta co­scienza del nulla della creatura e delle conseguenze del peccato originale, riaffermi la forza del libero arbitrio e della volontà umana sia nel bene che nél male.-

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virtù governo tutto l’universo mondo; niuna cosa è fatta o gover­nata senza me. Si che io sono il lavoratore che piantai la vite vera dell'Unigenito mio Figliuolo nella terra della vostra umanità, ac­ciò che voi, tralci, uniti con la vite, faceste frutto » (D. 23, 54).

Scavando ancora in profondità addita il term ine di questo iti­nerario, o meglio il fru tto squisito di questo lavoro:

« . . . stando nel Verbo del mio Figliuolo state in me, perché io sono una cosa con lui ed Egli con meco. Stando in lui seguiterete la dot­trina sua; seguitando la sua dottrina partecipate della sustanzia di questo Verbo, cioè partecipate della deità eterna unita nell’umanità, traendone voi uno amore divino dove l'anima s’inebria; e però ti dissi che partecipate della sustanzia della vite» (D. 23, 55).43

Nel capitolo seguente l’immagine della vite e della vigna viene presentata nella prospettiva della divina pedagogia u sata dal cele­ste coltivatore potando, a mezzo delle prove e delle tribolazioni, specialmente quei tralci da cui vuol tra rre un raccolto più abbon­dante e un vino più generoso.44 E ribadito il concetto di una co­mune universale chiam ata al lavoro nella carità, e di un più p res­sante invito ai prescelti, la voce della Verità ci lascia questa affer­mazione lapidaria:

« Di tutti quanti voi è fatta una vigna universale, cioè di tutta la congregazione cristiana, i quali siete uniti nella vigna del corpo mistico deila santa Chiesa, unde traete la vita. Nella quale vigna è piantata questa vite dell’Unigenito mio Figliuolo, in cui dovete es­sere innestati. Non essendo voi innestati in lui, siete subito ribelli alla santa Chiesa e siete come membri fagliati dal corpo che subito impudridisce » (D. 24, 56).

Veram ente non sappiam o se più am m irare nel linguaggio ca- teriniano la vivacità e bellezza delle immagini, o la trasparenza e profondità della do ttrina teologica in esse racchiuse, o la forza di convinzione che contengono. Chi potrebbe negare la presenza e l’azione dello Spirito di Dio?

Un’altra immagine della Chiesa, adoperata frequentem ente dal­la Santa, meno carica forse di significazione dottrinale m a più gen­tile, è quella del « giardino ». Caterina, come riferiscono i biografi, amava i fiori, specialm ente quelli rossi che evocavano per lei il san­gue di Cristo. Nella sua adolescenza e giovinezza aveva passato in­tense ore di silenzio e di preghiera nel piccolo quieto giardino della

43 Bello e profondo questo concetto che attraverso l’umanità del Salvatore noi traiamo « la sostanza della vite », cioè la grazia che ci proviene e ci as­simila alla divinità del Verbo.

44 Tra le altre considerazioni cateriniane sulla Provvidenza una delle più lucide è quella della misericordia e della lode divina che Dio sa e intende trarre dalla permissione del male e dalle prove sia fisiche sia spirituali e mistiche.

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casa paterna, a Fontebranda. Aprendosi alla visione della Chiesa le piaceva pensarla come il giardino di Dio e di Cristo. Il giardino si- gnica fiori, profum i, bellezza, poesia; m a significa anche lavoro ap­passionato, paziente, condotto con arte. Sotto am bedue gli aspetti la Chiesa poteva essere assom igliata ad un giardino. Ma la Chiesa so­cietà di uomini che Caterina aveva sotto gli occhi assumeva, sotto alcuni aspetti, tu t t ’a ltro che la form a di un giardino leggiadro e profum ato. Giardino leggiadro e giardino inselvatichito e incolto, fiori profum ati e fiori m arciti e m aleodoranti: un contrasto s tri­dente che Caterina ci descrive, una realtà che la rallegra e la ra t­trista . La verità che viene più frequentem ente significata è la neces­sità di lavorare alacrem ente il giardino e di adornarlo della fra­grante bellezza della virtù. Si com prende da ciò che la m etafora viene nella immaginazione e nella penna di Caterina quando ella pensa o scrive della m issione dei sacerdoti e dei religiosi nella Chie­sa. 45 Ma ella ne usa con libertà. I fedeli son « pecorelle che si pa­scono nel giardino della santa Chiesa » (L. 16, v. 1, 84); i santi pa­stori furono di questo giardino « buoni ortolani e lavoratori » (L. 88, v. 2, 104). A Biringhieri degli Arzocchi, Pievano di Asciano, Ca­terina dice che deve essere un fiore odorifero p er po ter « g ittare odore nel cospetto dolce di Dio », m a ella gli ricorda che il fiore quando è stato m olto nell’acqua non m anda odore, m a « puzza » che disgusta (cf. L. 24, v. 1, 121); ammonizione rivolta anche ai monaci di Passignano che ella desidera vedere « fiori odoriferi p ian tati nel giardino della san ta religione » (L. 67, v. 1, 382), non già fiori m ar­citi che nauseano Dio, gli angeli e gli uomini. Di questa attraen te ed efficace sim ilitudine ella si serve con le persone più diverse per a ttra rle a ll’am ore e al lavoro per la Chiesa. Scrive alla regina di Ungheria, E lisabetta di Polonia, invitandola al generoso am ore delle anime, fru tto m aturo e dolce che si m angia nel « giardino della santissim a Chiesa. In questo giardino si pascono tu tti e' fe­deli cristiani; però che ine è p iantato l'arboro della croce, dove si riposa il fru tto dell'Agnello svenato per noi con tanto fuoco d ’a­more... » (L. 145, v. 2. 401 s). Ne scrive alla fam igerata Giovanna regina di Napoli, favoritrice dello scisma, dicendole che il Signore ci ha congregati e « uniti nel giardino della san ta Chiesa » (L. 362, v. 5, 252). A Gregorio XI, con forza e libertà esortandolo a sradicare dal giardino delle Chiesa « li fiori puzzolenti, pieni d ’immondizia e di cupidigia, enfiati di superbia ... che attossicano e im putridiscono questo giardino (L. 206, v. 3, 2ó3); e nello stesso spirito ad Urba­no VI affinché si consacri a rifare « il giardino di nuovo, della vo­stra Sposa, di buone e virtuose piante » (L. 291, v. 4, 268). Ne parla

+5 A volte la Santa congiunge l'immagine dei fiori e del giardino con quella del corpo mistico o del sole, riferita anche questa ai ministri della Chiesa. L’accumularsi delle immagini rivela la pienezza di sentimento e con­ferisce vivacità alle descrizioni. Un esempio l'offre il lungo c. 119 del D.

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a fra Raimondo suo padre spirituale nell’ultim a le ttera da lei det­tata, « con desiderio di vedervi una colonna nuovam ente fondata nel giardino della santa Chiesa» (L. 373, v. 5, 311), ricordan­dogli « i gloriosi lavoratori » che spinti dall’am ore « inaffiavano que­sto giardino di sangue » (ivi 312).

Ne parla con sem plicità a Tommaso d'Alviano, uno dei tanti capitani di ventura, spiegandogli che « Dio m ette i suoi lavoratori in questo glorioso giardino » (L. 191, v. 3, 186); che la Chiesa « è il giardino dei cristiani, dove essi si dilettano, e onde essi traggono la vita della Grazia »; m a che oltre a questo com pito di tu tti i fe­deli vi sono i pastori « che sono posti a lavorare in questo giardino per m in istri» (ivi, p. 187), pascendo sp iritualm ente i fedeli con i sacram enti, con la dottrina, con l'esempio. Con la stessa semplicità e schiettezza scrive al cardinale Giacomo Orsini, uomo non privo di ambizioni, proponendogli l’ardente am ore di Cristo come l’odore soave « che dovete gittare alla sposa dolce di Cristo che si riposa in questo giardino » (L. 101, v. 2, 172).

Caterina servendosi dell'im m agine del giardino non indulge, dunque, a com piacim enti estetici e sentim entali, ma, da mistica, coglie insieme la bellezza e il valore soprannaturale della Chiesa. Lo dim ostra il seguente brano di una sua preghiera che la porta ben in alto nella sua contem plazione:

« In questa virtù, o Trinità eterna, sembrano essere create tutte le cose, le quali hanno l’essere... : nel tuo lume si conosce che tu sei quel sommo ed eterno giardino, che tieni in te racchiusi i fiori e i frutti; perché sei fiore di gloria, il quale rendi gloria a te medesimo, rendi frutti a te medesimo » (Preghiere..., 17, p. 166 s).

Terminiam o questa specie di « excursus » sulla simbologia cate- riniana della Chiesa ricordando la m etafora della sposa. Poco fre­quente nel Dialogo,46 ricorre frequentem ente nelle Lettere. Non ci pare che C aterina vi elabori in torno una dottrina, p iu ttosto ci si sente, vorrem m o dire, il battito del cuore, cioè l’espressione di un affettò filiale profondo e tenero insieme, destinato a com unicarsi ai suoi corrispondenti, così diversi so tto tan ti pun ti di vista, ed interessarli a ll’am ore e al servizio della Chiesa. Accanto alTamore e al servizio ella ricorda la vita che ci viene data dalla Chiesa come da una m adre; spesso però, specialm ente quando scrive ai pastori o dei pastori, ci p resen ta la sposa quasi negletta ed offesa proprio da coloro che più le sono debitori. Comunque questa parola sulla

46 Cf. D. 12, 33; 110, 266; 117, 288; specialmente 132, 360 ove Dio si lamenta contro quei ministri che « succhiano il sangue a la Sposa mia, cioè alla santa Chiesa. Unde per li loro difetti essi da impallidiscono, cioè che l’amore e l’affetto della carità che debbono avere a questa sposa, l ’àrmo posto a loro medesimi, e non attendono ad altro che a piluccarla e a tram e le prelazioni e le grandi rendite, dove essi debbono cercare anime ».

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penna e sul labbro di Caterina sem bra acquistare una tenerezza commovente. Ecco, ad esempio, la preghiera rivòlta a P ietro Cardi­nale di Ostia:

« Io Catarina, serva e sch iava de’ servi d i G esù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi u om o virile e non tim oroso, acciocché virilm en te serv iate alla Sposa di Cristo adope­rando per onore di D io sp iritua lm ente e tem poralm ente, secon d o che nel tem po d ’oggi questa dolce Sp osa ha b iso g n o » (L. 11, v. 1, 51).

Al ricordato card. Giacomo Orsini ella non solo sottolinea che la « dolce sposa » si d iletta delle vere v irtù dei suoi m inistri, ma lo am m onisce che solo un tale m inistro è « figliuolo legittimo, e però ella il pasce e notrica al petto suo, dandogli il la tte della Di­vina Grazia... » (L. 101, v. 2, 172). Da Pisa sollecita il R ettore della Chiesa della M isericordia di Siena di correre affam ati dell’onore di Dio e della salvezza delle anim e « perocché è perseguitata la sposa di Cristo da’ Cristiani, falsi m em bri e pu trid i » (L. 137, v. 2, 370); m entre alla fedele regina di Ungheria parla con traspo rto della «sposa bagnata nel sangue dell’Agnello », la cui necessità è tale che chi viene separato da lei non può pascersi del « dolce e saporoso fru tto , cioè il dolce e buono Gesù » (L. 145, v. 2, 402). Il linguaggio di C aterina: « dolce sposa di Cristo » (L. 191, v. 3, 186; L. 216, v. 3, 331; L. 242, v. 4, 10, ecc.), « dolce sposa sua » (L. 227, v. 3, 397) è per se stesso rivelatore. Ma a Gregorio XI esitante a to rnare a Ro­m a scrive con accento più commovente : « andate tosto alla Sposa vostra, che vi aspetta tu tta im pallidita, perché gli poniate il colo­re » (L. 231, v. 3, 411); altrove> scrivendo allo stesso, p arla « della sposa di Cristo e del Vicario suo » (L. 267, v. 4, 155), m entre, in pieno scisma, scrivendo al duca Carlo d’Angiò, stim m atizzava i car­dinali trad ito ri del legittim o papa Urbano VI, rim proverando loro di « sm em brare la dolce Sposa di Cristo » (L. 372, v. 5, 310), e nello stesso soavissimo nome chiedeva veglie, lacrime, preghiere alle monache di M ontepulciano (cf. L. 8-381, v. 5, 354).

In conclusione, questa e le altre im magini della Chiesa, varie e tu tte belle e vivide, rivelano la in tensità della presenza, la passione, la profondità con cui Caterina ha contem plato, vissuto, sofferto il m istero della Chiesa, come m istica e come anim a d ’azione.

I l i - PER LA RIFORMA DELLA CHIESA

La profondità con la quale Caterina, per la contem plazione e l’esperienza, ha conosciuto e la in tensità con la quale ha am ato la dolce Sposa di Cristo, congiunte alla tendenza all’azione, dovevano connaturalm ente po rtarla ad agire per la Chiesa. Le condizioni dram m atiche, e si potrebbe dire più giustam ente tragiche, nelle

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quali questa si trovava in quei tem pi, volgevano quasi necessaria­m ente questo intervento in messaggio e azione di riform a. Ma quello che si può osservare negli scritti cateriniani è la più pura ortodossia, senza la m inim a incrinatura : ortodossia non solo nella visione dottrinale della Chiesa, m a altresì nella valutazione della dignità, del compito, dei d iritti di coloro ai quali veniva così pe­rentoriam ente rivolto il messaggio di riform a. Una fiam m a purissi­m a ardeva nel cuore della Senese m entre tu tta la sua esistenza di­ventava preghiera, espiazione, parola p er il rinnovam ento della Chiesa; m a un pensiero non meno limpido e una fede cristallina, che si riaccendevano continuam ente al carism a della prim a Verità, guidavano la sua missione.

1 ) . Al vertice della Chiesa

Il pensiero e l’azione di Caterina per la Chiesa hanno rag­giunto la più alta e sofferta espressione nel dram m a che visse ai suoi tem pi il papato. Sotto due papi, e in due situazioni simili nel problem a della riform a, dissimili nelle condizioni della Chiesa, si svolse la m issione della Santa : con Gregorio XI p er chiudere l’am a­rissim a parentesi dell’esilio di Avignone, con U rbano VI per com­battere la scisma. In am bedue i casi la personalità di Caterina da Siena occupò il prim o piano. Il com pito da lei realizzato ha for­m ato oggetto di am pi studi, di esposizioni, di rievocazioni: com ’è n a tu ra le .47 Le stesse Lettere della Santa, non poche né brevi, ai due sommi pontefici, a cardinali, a principi, ad ogni categoria di per­sone, form ano un docum ento di eccezionale im portanza. Le idee che vi balenano, gli am m aestram enti, le proposte, i consigli che vi si contengono form ano una testim onianza così com plessa e viva, che è difficile esporla anche in uno studio dettagliato; riassum erlo poi in poche pagine è assolutam ente impossibile. In conform ità all'indole di questi saggi cercherem o sop ra ttu tto di fissare alcune idee più direttam ente attinenti alla visione spirituale della Chiesa.

Due verità devono essere tenute presenti nel ricostru ire il con­testo della riform a prom ossa da C aterina: la p rim a riguarda il valore assoluto della Chiesa, la seconda la purezza del suo contenuto vitale. La prim a enunzia il rapporto tra la Chiesa e Cristo : rapporto intim o e inscindibile, come si è visto nelle pagine precedenti. Ma più fortem ente viene enunziato in una fam osa le tte ra di Caterina a Nieeolò Soderini, che, nella sua carica di Priore delle Arti, era uno dei capi della Repubblica fiorentina in stato di rivolta al Pontefice. Scrive tra l’altro la Santa:

« . . .con sollecitu d in e d ’andare a dim andare l’ad iutorio del Padre,cioè di Dio, convien celo addim andare ed avere dal V icario suo; però

47 Si può vedere P. C h im in e lli, op. c., pp. 540-545.

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che Dio gli ha date nelle mani le chiavi del cielo, e a questo portinaio ci conviene far capo. Perocché quello che egli fa, è fatto, e quello che egli non fa, non è fatto; sì come disse Cristo a Santo P ie t ro .P o i , dunque, che gli è tanto forte questo Vicario, e di tanta virtù e po­tenzia, che serra ed apre le porte di vita eterna; noi membri putridi, figliuoli ribelli al padre, saremo sì stolti, che facciamo contra a lui? Ben vediamo che senza lui non potiamo fare. Se tu se’ contra alla Chiesa santa, come potrai participare il sangue del figliuolo di Dio? ché la Chiesa non è altro che esso Cristo. Egli è colui che ci dona e ministra i sacramenti, i quali sacramenti ci danno vita, per la vita che hanno ricevuta dal sangue di Cristo... chi spregia questo dolce Vicario, spregia il sangue; ché chi fa contra l'uno, fa contra l'altro, però ch’essi sono legati insieme. Come mi dirai tu che se tu offendi uno corpo, che tu non offenda il sangue che è nel corpo? Non sai tu, che tiene in sé il sangue di Cristo? » (L. 81, v. 3, 88 s).48

Qui dunque viene enunziata una verità fondam entale nella « teo­logia » cateriniana sulla Chiesa : « la Chiesa è lo stesso Cristo ». Il brano riferito si potrebbe dire un prototipo di innum erevoli altri che da questo principio esplicitano le conseguenze sulla grandezza del Papa nella Chiesa quale sorgente divinam ente voluta per tu tta la m issione e l’opera santificatrice nel corpo mistico.

Un altro principio norm ativo della riform a lo troviam o enun­ciato nel capitolo 12 del Dialogo — am piam ente ripetu to o commen­tato altrove — proprio quando, inculcando e prom ettendo la ri­form a, il Signore dice a Caterina : « Non che abbi bisogno il fru tto di questa Sposa di essere riform ato, perché non dim inuisce né si guasta m ai per i d ifetti de' m inistri... » (D. 12, 33 s). Viene così afferm ata come verità inconcussa l’intim a incorru ttib ilità della Chiesa nella sua m issione salvifica e nel suo m istero di comunione teologale, nel sangue di Cristo. Non è senza motivo che Caterina non dice mai « la Chiesa », m a « la san ta Chiesa ».

Ferm i e inconcussi questi principi, la riform a della Chiesa non poteva che essere una coerenza delle opere — in p ra tica dei co­stum i — alla fede; una fedeltà alla do ttrina di Cristo; un m inistero apostolico che fosse in tu tto e per tu tto un « m inistrare » degna­m ente il sangue dell'Agnello. La Chiesa in tu tta la sua vita doveva essere realm ente una professata com unione di fede, di speranza, di carità.

La riform a deve essere prom ossa dal Papa, coadiuvata dai car­dinali, dai vescovi e sacerdoti, dai religiosi, da ogni vero cristiano, nella possibilità e secondo la grazia che Dio concede.49

Caterina insiste m olto sull’iniziativa del Papa. Nei rapporti con i Scmmi Pontefici si deve tener conto di non pochi elem enti per

48 Tutta la lettera è una rivelazione della chiarezza a proposito dei rap­porti tra Chiesa e società civile.

m Ciò spiega la varietà dei destinatari delle Lettere, nelle quali è doveroso rilevare anche l'alto ideale di vita proposto pure ai semplici fedeli.

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abbracciare la com plessa m issione della Santa. Em erge anzitutto l’elevato concetto della dignità e au to rità divina del Papa. Una sin­tesi, nella quale si tratteggia anche la dignità di tu tti i m inistri, la troviam o nel capitolo 115 del Dialogo, ove tu tto il potere viene rial­lacciato alla mediazione di Cristo, il quale ci fece bagno del sangue suo. L 'autorità e dignità può essere trovata o meglio definita dal Padre con « la chiave del sangue de l’Unigenito m io Figliuolo ». Se­gue u n ’esposizione lim pida e serena, che si direbbe di un manuale di teologia:

« A cui ne lassò le chiavi di questo sangue? Al glorioso apostoio Pie­tro e a tutti gli altri che sono venuti o verranno di qui all'ultimo dì del giudicio; ànno e avaranno quella medesima autorità che ebbe Pietro. E per neuno loro difetto non diminuisce questa autorità, né tolle la perfezione al Sangue né ad alcuno sacramento, perché già ti dissi che questo Sole per neuna immondizia si lordava, e non perde la luce sua per tenebre di peccato mortale che fusse in colui che il ministra o in colui che il riceve... Sì che Cristo in terra tiene le chiavi del Sangue... Sai che Io ti posi il corpo mistico della santa Chiesa quasi in forma d’uno cellaio50 nel quale cellaio era il sangue de l’Unigenito mio Figliuolo; nel quale sangue vagliano tutti i sa­cramenti, e ànno vita in virtù di questo sangue. A la porta di questo cellaio era Cristo in terra, a cui era commesso a ministrare il San­gue e a lui stava di mettere ministratori che l’aitassero a ministrare per tutto l’universale corpo della religione cristiana. Chi era accet­tato e unto da lui n’era fatto ministro e altri no. Da costui esce tutto l’ordine chericato, e messili ciascuno ne l'affizio suo a mini- stare questo glorioso Sangue. E come egli gli à messi per suoi aita­toli, così a lui tocca il correggerli de’ difetti loro; e così voglio che sia, che per l’eccellenzia ed autorità che Io l'ò data. Io gli ò tratti della servitudine, cioè subiezione della signoria de' signori tempo­rali » (D. 115, 282 s).

Questo altissim o concetto dell’au to rità e dignità del Papa nella Chiesa di Cristo facilm ente giustifica i m olti titoli che Caterina gli dà, la sua dedizione totale, la sua filiale riverenza, il suo amore; giustifica la confidenza e la libertà con cui parla; sop ra ttu tto fa com prendere perché la Santa insista affinché senta l’urgenza e si accolli il peso gravoso della riform a della Chiesa. Se il Papa è il Vicario di Cristo e « il dolce Cristo in te rra » : non dim entichiam o che Caterina term ina tu tte le sue lettere con le parole : « Gesù dol­ce, Gesù am ore». Se la Chiesa è la sposa, il Papa giustam ente è suo sposo; se la Chiesa è un giardino, il Papa è il giardiniere o l’ortolano; se la Chiesa è una vigna, il Papa ne è il principale agri­coltore e lavoratore; se la Chiesa è la nostra m adre, il Papa sarà chiam ato « padre santissim o di tu tti i fedeli cristiani » (L. 364, v. 5, 265).

so Da « cella vinaria », il luogo dove si conservava il vino. Il rapporto tra vino e sangue lo troviamo nel Nuovo Testamento a proposito dell’Eucaristia.

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C aterina non aveva tim ore di nessuno quando si tra ttava di rivendicare l’au to rità del Pontefice. Così, ad es., all’orgoglioso e crudele signore di Milano Bernabò Visconti, che sperava nelle sue buone grazie presso la corte papale di Avignone, ella in una nobi­lissim a le tte ra rispondeva: « ... stolto è colui che si dilunga o fa contra questo Vicario, che tiene le chiavi del sangue di Cristo cro­cifisso. Eziandio se fusse dimonio incarnato, io non debbo alzare il capo contra a lui ...Egli ha la potenzia e l’au torità; e veruno è che gliela possa tó rre delle mani, perocché gli è data dalla prim a dolce Verità » (L. 28, v. 1, 149 s, 152).

Amando il Papa con lo stesso appassionato e filiale am ore della Chiesa, Caterina lo chiam a con titoli che sem brerebbero perfino troppo confidenziali. Così a Gregorio XI : « dolcissimo Babbo mio »; « 0 Babbo mio, dolce Cristo in te rra » (L. 185, v. 3, 160, 161); o ancora: « Oh santissim o Babbo mio dolce» (L. 196, v. 3, 210). La stessa confidenza usa con Urbano VI : « Santissim o e dolcissimo Padre in Cristo dolce Gesù» (L. 364, v. 5, 261); e ancora: « Padre mio santissim o e dolcissimo » (L. 351, v. 5, 185). Questa a rd ita con­fidenza è così naturale e spontanea, così in arm onia con il tono delle sue lettere e con l’um anità del suo cuore aperto, che nulla tolgono alla riverenza della suddita, m a la rendono più delicata e pura. Si sentono in quelle espressioni la fede e l ’am ore di un 'anim a che non vede altri dinanzi a sé che il Signore som m am ente am ato.

Ma Caterina parla ai Pontefici anche con quella stupefacente schiettezza e libertà che è p ropria delle grandi anim e spirituali. Perciò le sue lettere a Gregorio XI e ad Urbano VI costituiscono un docum ento forse unico nel loro genere. La schiettezza del linguag­gio si attagliava bene alla grande causa della riform a della Chiesa che era in cima a tu tti i desideri della Santa. Come le era evidente l’urgenza della riform a p er il d isorientam ento degli spiriti, p e r il rilassam ento generale di costum i nel popolo e sop ra ttu tto nel clero e negli stessi ordni religiosi, così le era evidente che essa non era possibile se non ci poneva m ani il Papa, anzi se non cominciava la riform a da se stesso, dalla sua famiglia, dalla sua corte; le era, in­fine ugualm ente evidente che non si poteva parlare di riform a sino a che il Papa fosse rim asto nella fastosa e com oda corte di Avi­gnone, lasciando l’Italia e la stessa Sede Rom ana in balìa delle lotte, delle soperchierie, delle fazioni arm ate, p reda del malgover­no anche da parte dei legati papali. Questa situazione, insiem e poli­tica, m orale e religiosa, era intollerabile e recava danni immensi alla Chiesa, alla stessa au to rità del Papa, sop ra ttu tto al rifiorire della p ietà cristiana. Caterina ne m oriva dal dolore. E quando, m a­tu ra ta dall’alta esperienza m istica, arricch ita di carism i e di sopran­naturale saggezza, divenuta illustre e venerata a Siena, a Firenze, a Pisa ecc., p ressata dall’im pulso in teriore e dalla chiam ata divina, scoccò la sua ora, ella si gettò con il suo tem peram ento di fuoco nella grande im presa della pacificazione civile e più ancora della

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riform a della Chiesa agendo so p ra ttu tto su Gregorio XI, poi su Ur­bano VI. Non si possono leggere senza una profonda emozione le sue lettere infuocate, tenere e sublimi. Da p rim a ella insistette con Gregorio XI scrivendogli dall’Italia. Poi nel maggio del 1376, andò am basciatrice dei F iorentini ad Avignone, m a gli interessi politici furono considerati da lei meno im portanti di quelli religiosi, i quali avevano p er cardine la riform a e come presupposto il rito rno a R om a.31

Già nella prim a lettera v’è tu tta l'anim a di C aterina: l'alta visione dell’am ore di Dio verso l’uom o com unicatoci in Cristo, l’esigenza di una robusta vita spirituale nei pastori della Chiesa, guastati allora troppo spesso dall’am ore di se stessi, delle cose tem porali e pavidi nel governo; l ’ansia della riform a non più pro- crastinabile. E già si m ostra la santa libertà di Caterina : « Voglio dunque che siate quello vero e buono pasto re che se aveste cento migliaia di vite, vi disponiate tu tte a darle per onore di Dio, e per salute delle crea tu re» (L. 185, v. 3, 161). R isuona anche l’appello per il rito rno : « Confortatevi, confortatevi e venite, venite a con­solare li poveri, li servi di Dio, e figliuoli vostri. Aspettiamovi con affettuoso e am oroso desiderio » {Ivi, 165). Un m otivo ricorrente in queste lettere a Gregorio XI — se ne conservano 14 — è l’esorta­zione a specchiarsi nella carità del Buon Pastore, m otivo giustifi­cato dalla circostanza che Caterina si era assunta la m issione di riappacificare il Papa con le c ittà toscane sollevate dalla ribellione. E ’ am m irabile l’arte di Caterina nel dipingere al Pontefice il quadro dell’am ore che è la grande legge delle opere di Dio e dell’agire um ano per condurlo a gettare anch’egli « l'am o dell’am ore » per riconquistare le pecorelle alla Chiesa. La sapienza divina, ella scrive, nel ricondurre l’uomo dalla ribellione « trova un modo piacevole, e più dolce e am oroso che trovare possa; perocché vede, che p er neuno m odo si traie tanto il cuore dell’uomo, quanto per amore; però ch’egli è fatto per am ore. E questa pare la cagione che tanto ama, perché non è fatto altro che d ’amore, secondo l’anim a e secondo il corpo. Perocché p er am ore Dio il creò alla immagine e sim ilitudine sua; e per am ore il padre e la m adre gli diè della sua sustanzia concependo e generando '1 figliuolo. E però, vedendo Dio che tanto egli è a tto ad am are, d rittam ente gli g itta l’amo dell’amore, donandoci il Verbo dell’Unigenito Figliuo­lo, prendendo la nostra um anità p er fare una grande pace » (L. 196, v. 3, 208 s). Il pensiero è di una trasparenza uguale alla sua efficacia: il Papa dovrà prendere i figli ribelli con l’am ore: essi « m etterannovi il capo in grem bo» {Ivi, 211): questo sarà il più bel trionfo di un padre. Poi Caterina rito rna al suo accorato la­m ento p er l'assenza del Papa da Rom a:

51 Per questo aspetto dell'azione di Caterina si può vedere P. Chim inei.li, op. c., pp, 373-408.

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« Qimé, padre, io muoio di dolore, e non posso morire. Venite, ve­nite, e non fate più resistenzia alla volontà di Dio che vi chiama: e le affamate pecorelle v’aspettano che veniate a tenere e possedere il luogo del vostro antecessore e campione, apostolo Pietro. Peroc­ché voi, come vicario di Cristo, dovete riposarvi nel luogo vostro proprio » {Ivi, 212 s).

La Santa tocca abilm ente anche questioni delicate. Non solo per i pastori della Chiesa v’è un grave problem a delle cose tem po­rali agognate (cf. L. 206, v. 3, 264), m a anche per il Papa il dominio tem porale può creare una situazione difficile. E lla tra tta l’argo­m ento senza complessi. Non v’è dubbio sul d iritto del Pontefice a conservare e riconquistare i beni legittim i, m a in certe situa­zioni non bisogna esitare a sacrificare i beni m ateriali per conser­vare gli spirituali. « Il tesoro della Chiesa — scrive — è il sangue di Cristo, dato in prezzo per l’anim a »; perciò ella conclude che se è legittim o riconquistare i beni m ateriali, « m olto m aggiorm ente sete tenuto di riacquistare tan te pecorelle, che sono un tesoro della Chiesa; e troppo ne im poverisce quand’ella le perde » (L. 209, v. 3, 280).52 Per riconquistare i figli ribelli egli deve venire « come agnello m ansueto » (L. 209, v. 3, 265), nella sem plicità e bon tà di cuore e non nella potenza e nello sfarzo, offrendo il perdono e non minacce : « Pace, pace, pace, babbo mio dolce, e non più guerra! » (L. 128, v. 3, 344).

Non era facile persuadere Gregorio XI, irresoluto, affezionato alla Francia, alla corte di Avignone e a ttorn iato da in teressati e pavidi consiglieri. C aterina era so rre tta da quello zelo che le fa­ceva scrivere a fra Raimondo, il padre dell’anim a sua, allora pro­babilm ente ad Avignone per desiderio di lei stessa:

« : .. io non mi vorrei restare, infino che io mi vedessi che per onore di Dio mi giungesse imo coltello che mi trapassasse la gola, sicché il sangue mio rimanesse sparto nel corpo mistico della santa Chie­sa» (L. 226, v. 3, 390).

Pertanto senza stancarsi tornava alla carica; e annunziandogli la sua partenza per Avignone, gli ripete, a nom e di Cristo croci­fisso, che venga a R om a: possibilm ente prim a di settem bre, al­m eno non oltre. « E non m irate a veruna contraddizione che voi aveste, m a come uomo virile e senza alcuno tim ore, venite. E guar­date, per quanto voi avete cara la vita, voi non veniate con sfarzo di gente, m a con la croce in mano, come agnello m ansueto » (L. 299, v. 3, 404). Egli non doveva ascoltare il consiglio di cardinali pau­rosi; se non si sente di battagliare con loro, usi « un santo ingan­no », gli dice Caterina : faccia come se la partenza dovesse rim an­darsi « e farlo poi subito e tosto » (L. 231, v. 3, 410). P er im pedire

52 Sul primato del bene spirituale per la Chiesa cf. anche L. 11, v. 1, 57; L. 196, v. 3, 211; L. 206, v. 3, 264 ecc.

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la partenza del Papa si tentò di m ettergli addosso la pau ra che a Roma l ’aspettasse un assassinio, il veleno o qualche avventura del genere. Caterina s’indignava verso quei « perversi consiglieri fon­dati in am ore proprio » e assicurava : « E io vi dico da parte di Cristo crocifisso, dolcissimo e santissim o padre, che voi non te­m iate per nessuna cosa che sia. Venite sicuram ente: confidatevi in Cristo dolce Gesù... Su virilm ente, padre! :... Voi dovete venire. Venite dunque. Venite dolcem ente senza veruno tim ore » (L. 233, v. 3, 414 s).

Ella rafforzò i propositi del Papa non solo con le lettere ma anche a viva voce durante il suo soggiorno ad Avignone dal giugno al settem bre 1376.53 Gregorio XI finalm ente lascia Avignone il 13 settem bre, s’im barca a M arsiglia il 2 o ttobre, il 18 è a Genova, da dove, superata una crisi di tim ore, rip arte il 28 p er Livorno giun­gendovi il 7 settem bre; il 15 è a Piombino, il 30 a Orbetello, il 6 dicem bre a Corneto. Caterina si era incontra ta segretam ente con il Pontefice a Genova, poi era rip a rtita per Siena. E lla era in tre ­pidazione finché non avesse saputo Gregorio a Roma. Così a Corneto gli scrive « con desiderio di vedere il cuore vostro ferm o e stabile, e fortificato in vera e p erfe tta pazienzia, considerando che il cuore debile, volubile e senza pazienza, non potrebbe venire a fare li grandi fa tti di Dio » (L. 252, v. 4, 49). T utta la le ttera è un incoraggiamento al Papa e un elogio della fortezza in um iltà e amore, p ropria del Vicario di Cristo. « Chè voi sapete bene, santis­simo Padre, che come voi pigliaste per sposa la san ta Chiesa, così pigliaste a travagliare p er lei, aspettando li m olti venti contrari di m olte pene e tribulazioni, che si facevano incon tra a com battere con voi p er lei» {Ivi, 51). Il 17 gennaio 1377 si compiva uno dei più ardenti desideri di C aterina : Gregorio XI era arrivato « al luogo ... delli gloriosi Pietro e Paolo » {Ivi, 54). Caterina, artefice non certo u ltim a del grande avvenimento, non partecipò al trionfo del Pontefice a Rom a: ella era to rna ta d irettam ente, e con tu tta semplicità, a Siena.

Da Roma Gregorio avrebbe dovuto, secondo il desiderio più profondo di Caterina, procedere alla riform a della Chiesa, alla pa­cificazione dell’Ita lia specialmente della Toscana, e al « santo pas­saggio »,54 cioè alla crociata che per la Santa avrebbe avuto l’ef­fetto di riunire i paesi cristiani nella pace e di po rtare la luce del Vangelo e le ricchezze ineffabili del Sangue a coloro che ne erano privi, m a che p u re ne avevano diritto . E ra u n ’opera grande m a som m am ente ardua. Richiedeva cuori m agnanim i e volontà perse­veranti. Ella non fece m ancare a Gregorio il suo consiglio, ì’inco­

53 II temperamento e la finezza di Caterina si manifestano al vivo nella L. 239 (v. 3, 439-447), nella quale mette in ridicolo i raggiri e le manovre con cui si cercava di intimorire Gregorio XI affinché non tornasse a Roma.

54 II progetto della crociata ritorna molto frequentemente nelle Lettere, ma noi l'omettiamo perché non riguarda in profondità il tema della Chiesa.

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raggiamento, qualche volta anche l ’am m onizione: sem pre però con um iltà, con riverenza, con sconfinato am ore verso la Chiesa e verso il Papa. Ecco, ad es. come l’esorta alla im prorogabile riform a della Chiesa:

« Oimé, oimé, babbo mio dolcissimo, perdonate alla mia presun­zione, di quello ch'io vi ho detto, e dico: son costretta dalla dolce prima Verità di dirlo. La volontà sua, Padre, è questa e così vi di­manda. Egli vi dimanda che facciate giustizia dell’abbondanzìa delle molte iniquità che si commettono per coloro che si notificano e pa­scono nel giardino della santa Chiesa; dicendo che l’animale non si debba nutricare del cibo degli uomini. Poiché esso v'ha data l’au­torità, e voi l’avete presa; dovete usare la virtù e potenza vostra: e non volendola usare, meglio sarebbe a refutare quello che s’è pre­so: più onore di Dio, e salute deU'anima vostra sarebbe » (L. 255, v. 4, 71).

Questo era il linguaggio di C aterina: esaltare l’au to rità del Papa come vicario di Cristo, confessarne e ricordarne i suprem i poteri sacri sulla Chiesa, eccitarne lo zelo Con i più alti motivi della salvezza delle anime, tracciare una regola di vita spirituale degna del suprem o pastore, p rofessare illim itata devozione e te­nero amore. E ra un linguaggio indubbiam ente forte, m a non po­teva dispiacere. Del resto ella sapeva addolcire il tono della sua voce : « Non posso più. Perdonate a me, padre santissim o, la mia presunzione : scusimi l ’am ore e il dolore dinanzi a voi » (L. 270, v. 4, 172). L’u ltim a le ttera indirizzata a Gregorio XI è un appassio­nato appello al suo cuore di padre affinché, « im parando dallo svenato e consum ato Agnello, la cui vece tenete », con am ore e benignità accolga i figli ribelli nella sua obbedienza. Come am ba­sciatrice dell’Italia e come figlia della Chiesa, ella scriveva al Papa queste parole piene di um ana e soprannaturale saggezza :

« Sappiate, santo Padre, che in altro modo non si unì Dio nell'uomo, se non col legame dell’amore; e l’amore il tenne confìtto e chiavellato in croce: perché l’uomo, che era fatto d’amore, non si traeva in veruno modo sì bene, quanto per amore... Avanzi la benignità,Pa­dre: ché sapete che ogni creatura che ha in sé ragione, è più presa con benignità che con altro; e specialmente questi nostri Italiani di qua » (L. 285, v. 4, 242 s).

Caterina in tan to lavorava alacrem ente in Toscana p e r il bene della Chiesa; m a tra i servizi che le rese dopo il rito rno da Avi­gnone, forse il più grande fu il suo im m ortale Dialogo, dettato in estasi ai suoi segretari e discepoli. Avrebbe voluto incontrarsi con Gregorio XI a R om a.55 Questo incontro non avvenne. Grego­

55 Dalla villa di Beicaro, presso Siena, donatale da un certo Ser Vanni — un suo convertito — e da lei trasformata in monastero, scriveva al Papa:

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rio XI moriva il 21 marzo 1378. Allora incominciò una dolorosa e lunga « passione » per la Chiesa, che fu anche il Calvario di Caterina da Siena: lo scisma d ’Occidente.

L’8 aprile 1378 Bartolom eo Prignani, Arcivescovo di Bari, ve­niva eletto Papa e prendeva il nom e di Urbano VI. Cinque mesi dopo, il 20 settem bre, i cardinali a lui ostili e scontenti della sua severità, adunatisi a Fondi dichiararono illegittim a la sua ele­zione e nom inarono il cardinale Roberto di Ginevra che fu l’an­tipapa Clemente V II .56 Si apriva così il p iù doloroso dram m a che si possa pensare nella Chiesa : la scissione al vertice che spacca in due una società che per sua na tu ra è com unione — e un ità — nella stessa fede, nella stessa speranza, nella stessa carità. L’avveni­m ento rivelò tu tta la grandezza d ’anim o e tu tto l’am ore di Ca­terina da Siena p er la Chiesa.

Prim a che si profilasse lo scism a ella aveva scritto ad Ur­bano VI « con desiderio di vedervi fondato in vera e perfe tta ca­rità, acciocché, come pastore buono, poniate la vita per le pecorelle vostre » (L. 291, v. 4, 263). C aterina indugia lungam ente sulla fe­condità di un tale generoso e d isin teressato am ore nei pastori, quando si accom pagna con la m isericordia, con la lim pida giu­stizia, con il profondo conoscim ento di sé e di Dio che genera l ’um iltà, il tu tto « concepito nell’obietto di Cristo crocifisso » (Ivi, 266). E ’ la tipica tem atica spirituale cateriniana, com m isu­ra ta alla grandezza del suprem o ufficio pastorale. Concreta come sempre, Caterina invita il Pastore a gettare imo sguardo al suo gregge, e qui le idee ossessionanti della Santa rito rnano con la con­sueta dram m aticità.

La Chiesa, specialm ente nei suoi pastori e m inistri, ha bisogno urgente di riform a. L’iniquità ha straripa to e inonda più che in a ltri tem pi « sì nel corpo della san ta Chiesa, e sì nell’univer­sale corpo della religione cristiana » (Ivi). Il quadro che ne traccia è fosco. Ciò impone uno scasso profondo nel giardino della Chiesa, ripu litu ra energica, piante novelle. E ra un invito ad un governo pastorale virile, con l ’assunzione in proprio delle responsabilità. Poi la pacificazione perseguita con perdono m agnanimo, degno del padre di tu tta la cristianità. Non per nulla l’ideale sp irituale che form a il tem a della le tte ra è la p erfe tta carità. E lla fin da ora è com pletam ente disponibile : « e io starò, e adopererò infino alla m orte con l’orazione, e con ciò che si potrà, p er onore di Dio, e per pace vostra e de’ vostri figliuoli » (Ivi, 271)

Per chi è in alto non è sem pre gradevole ascoltare suggeri-

« Grande desiderio ho di ritrovarmi dinanzi alla Santità vostra. Molte cose v’ho a ragionare. Non son venuta, per molte occupazioni buone e utili per la Chiesa, che ci sono avute a fare » (L. 270, v. 4, 173).

36 Non rientra nel nostro compito soffermarci sulle cause di questi dolo­rosi avvenimenti.

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m enti. Anche Urbano VI forse non si sentiva sem pre a suo agio con chi l’inform ava sullo stato della Chiesa e suggeriva provve­dim enti. Caterina difese questi servi di Dio che non avevano bi­sogno di poco coraggio per parlare, e delicatam ente faceva osser­vare al Papa che ascoltare è di somma im portanza perché dà luce, e gli enuncia questa norm a piena di saggezza :

« . . . se li legittimi figliuoli non fussero solliciti di ragguardare all’o­nore e utilità del padre, spesse volte sarebbe ingannato. E così è, santissimo Padre. Voi siete padre e signore dell’universale corpo della religione cristiana: tutti stiamo sotto l’ale della Santità vostra; ad autorità potete tutto, ma, a vedere, non più che per uno; onde è di necessità che li figliuoli vostri vedano e procurino con schiet­tezza di cuore, senza timore servile, quello che sia onore di Dio, salute e onor vostro, e delle pecorelle che stanno sotto la verga vostra. E io so che la Santità vostra ha grande desiderio d’avere degli aiutatori, che v’aitino: ma convienvi aver pazienza nell’udire » (L. 302, v. 4, 328).

Presto grosse nuvole si andavano addensando su Roma, Il buio e il freddo si faceva intorno a Urbano VI : « La tenebra della bugia e dell’eresia », scrive Caterina (L. 305, v. 4, 341). Egli non deve cedere né lasciarsi prendere dal panico; la situazione, anzi, reclam a più urgentem ente la riform a. Ella confessa : « con pena e dolore e grande am aritudine e pianto scrivo questo... Chè, do­vunque io mi volgo, non ho dove riposare il capo mio » {Iv i, 343). Incoraggia e conforta anche se egli vede m ancargli coloro che de­vono essere le colonne (Cf. ivi, 344); si circondi di uomini santi ed illum inati; ella stessa è p ron ta ad un cenno: « Non vorrei più parole, ma trovarm i sul campo della battaglia, sostenendo le pene, e com battendo con voi insieme per la verità infino alla m orte, per gloria e loda del nom e di Dio, e reform azione della san ta Chiesa » (I v i, 346). Scoppiato apertam ente lo scisma, con il cuore lacerato, m a non abbattu ta , C aterina scrive una nobilissim a lettera al provato Pontefice. La sua è una professione di speranza, perché « i colpi degli iniqui m iserabili am atori di loro non offen­deranno, l’affetto dell’anim a vostra non atterreranno , né la sposa della santa Chiesa... » (L. 306, v. 4, 347); è un grido di sdegno: « Ho inteso che li dimoni incarnati hanno eletto non Cristo in terra, ma fatto nascere an ticristo contra voi Cristo in te rra » (I v i, 348); è una prom essa di fedeltà a lui, solo vicario di Cristo, solo « mini- stra to re » del sangue dell'Agnello. Ella, con i suoi, chiede di en­trare nella m ischia: « O r oltra, santissim o Padre! senza tim ore s’en tri in questa battaglia... E io come schiava ricom prata del sangue di Cristo, e tu tti quelli che sono acconci a dare la vita per la verità, li quali Dio m ’ha dati ad am are di singulare am ore, e avere cura della loro salute, siamo acconci tu tti ad essere obe- dienti alla S. V., e sostenere infino alla m orte; aiutandovi coll’arm e dell'orazione santa, e con sem inare e annunciare la verità in qua­

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lunque luogo piacerà alla volontà dolce di Dio, e alla S. V. » (Ivi, 349). Ella è im paziente di stare vicino al Papa « perché ho voglia di m ettere il sangue e la vita, e distillare le medolle dell’ossa nella santa Chiesa; poniam ochè degna non ne sia. Prego la infinita bontà di Dio, che me, e li altri che la vogliono dare, ce ne faccia degni ora, ch’è il tem po che li fiori de’ san ti desideri si debbon aprire, e m ostrare chi sarà am atore di sè o della verità » (Ivi, 351). Ella attende solo una parola. Urbano può contare incondizionatam ente su di lei.

Il Papa, com prendendo quale « ausiliaria » la Provvidenza m et­teva a disposizione sua e della Sede Romana, gradì l’offerta; e così verso gli ultim i di novem bre del 1378, dopo che in ottobre aveva term inato il Dialogo, C aterina accom pagnata con alcuni della sua « famiglia spirituale » veniva a R om a,57 con un ordine di Urbano VI trasm essole da fra Raimondo. Essa visse ancora appe­na 17 mesi, m a furono i più grandi della sua vita. Il 29 novem bre Urbano VI teneva concistoro cui partecipavano i 29 cardinali di nuova elezione in luogo degli scom unicati elettori dell’antipapa. Caterina, arrivata il giorno prim a, venne am m essa e tenne un di­scorso, come lo poteva tenere u n ’anim a piena di D io .58 L’im pres­sione sul Papa e sui cardinali fu grande : un senso di fiducia e di forza si sprigionava dalle parole di quella fragile c rea tu ra : la lo tta per la verità doveva continuare e con essa la riform a della Chiesa. L’avvenimento costituì per la Benincasa anche una pre­sentazione ufficiale alla Curia e alle personalità di Roma, ciò che l’agevolava nella sua battaglia p er il Papato e per la Chiesa.

Già nella prim a lettera ad Urbano VI Caterina aveva sug­gerito che si circondasse di un gruppo di degni saggi e virtuosi cardinali (Cf. L. 291, v. 4, 268 s) — cosa purtroppo realizzata in ritardo —; o ra gli raccom andava, come aveva già consigliato a Gregorio XI, di chiam are vicino a sè anim e d’intensa vita spiri­tuale che portassero il validissimo insostituibile aiuto della pre­ghiera, dell’espiazione, del buon esempio Perciò Caterina stessa, per incarico del Pontefice, trasm ise questa volontà a non poche persone affinché venissero a Roma a « fa r m uro » p e r il legittim o vicario di Cristo. Per lei non v’erano ragioni che tenessero per rifiutarsi alla richiesta del Papa, poiché le necessità urgentissim e della Chiesa dovevano prevalere su ogni motivo personale, fosse anche >— e C aterina era la persona più ad a tta per com prenderne il valore — la dolce quiete dell’orazione e della contemplazione. E ’ bello vedere, ad es. come il 15 dicem bre sollecita due suoi cari

57 Sulle persone che accompagnarono la Santa a Roma cf. C h i m i n e l l i , op. c., p. 471 s.

58 Su questa circostanza cf. la Legenda Maior, nella volgarizzazione di Bernardino Pecci (Roma 1866), p. 209 ss.

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amici, il M aestro Guglielmo Flètè e il suo compagno fra Antonio da Nizza che per am ore della solitudine di Lecceto non avevano accettato l ’invito del Papa : « Avedrommi se in verità abbiam o con- ceputo am ore alla reform azione della san ta Chiesa; perocché se sarà così in verità, seguiterete la volontà di Dio e del vicario suo, escirete dal bosco, e verrete ad in trare nel campo della battaglia. Ma se voi none ’1 farete, vi scorderete 59 della volontà di Dio » (L. 326, v. 5, 22). Ricevuto ancora un rifiuto, ella replica facendo dell’iro­nia su quella p ietà che cerca consolazioni proprie, non l’onore di Dio; che lega Dio ai tempi, ai luoghi, ai boschi; che preferisce il proprio riposo spirituale alle fatiche cui ci chiam a l ’obbedienza: « ... trovo, che al vero servo di Dio, ogni luogo gli è luogo e ogni tem po gli è tempo. Onde, quando egli è tem po d ’abbandonare la p ropria consolazione e abbracciare le fatiche per onore di Dio, egli fa; e quando egli è tem po di fuggire il bosco p e r necessità del­l’onore di Dio, egli il fa... » (L. 328, v. 5, 24). Poi da loro una stoc- catina: «Troppo sta a ttaccato leggiero lo spirito, se, per m utare luogo, si perde. Pare che Dio sia accettatore di luogo, e che si trovi solam ente nel bosco, e non altrove nel tem po della neces­sità » (Ivi, 32). Nella le ttera precedente, forse con una pun ta di garbata ironia, aveva loro detto : « E non dubitate di non avere del bosco: chè qui ha de' boschi e delle selve» (L. 326, v. 5, 23).

In questo tem po Caterina fece una cam pagna attivissim a con le sue lettere che prendevano ogni direzione: dei conventi e mo­nasteri, della nobiltà, dei capi m ilitari come Alberico da Balbiano vincitore delle milizie antipapali a M arino ,60 ai reggitori di Pe­rugia, di Firenze, di S ien a61 ricordando loro il dovere di aiu tare la Santa Sede, a Carlo V di Francia con una difesa energica di Urbano VI (L. 350, v. 5, 172-181), a Carlo di Durazzo invitandolo a venire in aiuto di Urbano (L. 372, v. 4, 303), a Ludovico il Grande Re di Ungheria e di Polonia (L. 357, v. 4, 222), so p ra ttu tto a Gio­vanna I, Regina di Napoli, la principale sostenitrice dell’antipapa, donna dalla politica torbida e versipelle. Caterina, cui la p ru ­denza del Papa e di fra Raimondo non perm isero di recarsi a N apoli,62 cercò disperatam ente di richiam arla alla verità e all’ob­bedienza a Urbano. Tra le altre lettere, la quinta che le scrisse è forse la più forte delTepistolario cateriniano. Eccone un b rano:

« Oimé, oimé, piangere si può sopra di voi come morta, scacciatadalla vita della Grazia; morta all’anima e m orta al corpo, se voinon uscite di tanto errore... avete seguitato il più miserabile e vi-

59 Nel significato di « discordare ».« Vibrante lettera di congratulazioni e saggi consigli scritta il 6 maggio

1379 (L. 347, v. 5, 111-157).61 Rispettivamente L. 339, v. 5, 90; 337, v. 5, 78; L. 377, v. 5, 336; L. 367, v.

5, 279.62 Ne parla la Legenda Maior, p. 210 s.

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tuperoso consiglio (avendolo mandato in operazione), che già mai potessi avere. E che maggior vergogna si può ricevere, che d’una che fussi cristiana, tenuta cattolica e virtuosa donna, e poi faccia come il cristiano che rinega la fede, esce de’ buoni e santi costumi e debita riverenzia usata » (L. 217, v. 4, 436 s).

E dopo una travolgente difesa della legittim ità di Urbano VI e una requisitoria contro l’antipapa, i suoi elettori, il voltafaccia della Regina, prosegue:

« Se voi non mutate modo, e non correggete la vita vostra uscendo di tanto errore, e in ogni altra cosa; il sommo Giudice. . . ve ne darà siffatta punizione, che vo i sarete posta in segno a dare tremore a chi volessi mai levare il capo contro a la santa Chiesa. . . Voi do­vete morire, e non sapete quando. Non ricchezza, né stato sì grande, né dignità mondana, né baroni né popoli, che sono vostri sudditi quanto al corpo, vi potranno difendere dinanzi al sommo Giudice; né riparare alla divina giustizia. Ma alcuna volta Dio gli fa mettere per manigoldi, perché facciano giustizia del nemico suo. Voi avete invitato e invitate il popolo e tutti e’ sudditi vostri ad essere più contro a voi, che con voi; avendo trovata nella persona vostra poca verità, non condizione d’uomo con cuore virile, ma di femmina senza nessuna fermezza o stabilità, siccome femmina che si volle co­me la foglia al vento . . . O miserabile passione! quel male che avete in voi, volete dare a loro. E come credete che essi vi possono amare ed essere fedeli a voi, quando essi veggono che voi siete loro ca­gione di partirgli dalla vita, e conducergli nella morte, dalla verità mettergli nella bugia? Separategli da Cristo in terra, e voletegli le­gare col dimonio, e con Anticristo, amatore e annunziatore della bugìa egli, e voi, e gli altri che il seguitate » (Iv i, 441 s).

A qualcuno po trà sem brare eccessivo o anche dispiacere que­sto linguaggio della Senese; p o trà trovare dura la requisitoria in­viata, al loro tranquillo rifugio a Tagliacozzo, dopo i tragici avve­nim enti dello scisma, ai cardinali P. Corsini, Simone di Borzano, G. Orsini conniventi, con il loro silenzio, della elezione dell’an ti­papa voluta dai cardinali francesi.63 Non si può negare che Ca­terina li apostrofa come ciechi, ambiziosi, « ingrati, villani, mer- cennai », « vili e m iserabili cavalieri » che hanno pau ra della loro stessa om bra, colonne che l’am or proprio « ha fa tti peggio che paglia »; « Non fiori che gittate odore, m a puzza, che tu tto il mondo avete appuzzato », « contam inatori della fede », « stolti, degni di mille m orti », « menzogneri e idolatri ». Bisogna tu ttav ia leggere tu tte in tere le sue lettere. Si sentirà allora quanta passione di am o­re esse contengono e che in tale passione bruciano tu tti i rim ­proveri e le « invettive ». E ’ verissimo quanto afferm a proprio in questa terribile le tte ra : « Non vi p arrà duro se io pungo con le

63 E’ la L. 310, v. 5, 369-381. Poche Lettere rivelano la personalità di Cate­rina come questa.

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parole, che l’am ore della salute vostra m ’ha fa tto scrivere » (L. 310, v. 5, 381). Non bisogna dim enticare im plorazioni come questa: « Non fate più resistenzia alle lacrim e e a sudori che gittano li servi di Dio per voi, che dal capo a’ piedi ve ne lavereste » (/vi, 380). Non bisogna dim enticare l’alta concezione cateriniana della Chiesa del sangue di Cristo in cui solo si trova la salvezza, nè l’alto concetto della dignità e della libertà um ana e della fedeltà al proprio dovere, e sopra ttu tto della legge fondam entale della società cristiana di vivere nella fede e nell'am ore verso i 'ra teili. In questa prospettiva lo scisma, voluto dall’ambizione e dalla cu­pidigia degli uomini di Chiesa e dei signori del mondo, per Cate­rina era un male e un dolore che non hanno nome. Questa vi­sione della Chiesa spiega come la um ile vergine di Fontebranda, nella piena coscienza di una m issione ricevuta da Dio e prem ente dall’interno, non si peritasse di parlare con tu tta libertà agli stessi Pontefici, servire e obbedire ai quali era per lei legge di vita. Così delicatam ente ammoniva Urbano VI : « M itigate un poco per l’am ore di Cristo crocifìsso quelli movimenti sùbiti, che la natura vi porge ... Come Dio v’ha dato il cuore grande naturalm ente; così vi prego, e voglio, che v’ingegniate d ’averlo grande soprannatu­ralmente... » (L. 364, v. 5, 265). E appena tre mesi prim a della m orte raccom andava al Papa prudenza e dolcezza nel tra tta re 1 popolo rom ano per conservarlo all'obbedienza alla Santa Sede, « perocché qui è il capo e il principio della nostra fede » (L. 370, v. 5, 293). E aggiungeva, pure nella più profonda um iltà : « S ia­tem i tu tto virile, con uno tim ore santo di Dio; tu tto esem plano nelle parole, nei costum i e in tu tte le vostre operazioni. Tutte appariscono lucide nello cospetto di Dio e degli uomini; siccome lucerna posta in sul candelabro della san ta Chiesa, alla quale rag- guarda e debbe ragguardare tu tto il popolo cristiano » (Ivi, 294).

2)- Per la riforma dei sacerdoti

Queste ultim e osservazioni sulle condizioni speciali di tempi, di situazioni sociali e religiose nelle quali operava quella giovane donna arricchita di straord inari carismi, ci aiutano a capire il suo atteggiam ento in m erito ad un problem a di grande interesse, che assum e negli scritti della Santa u n ’im portanza eccezionale e non è privo di scabrosità: il problem a dei pastori e m inistri della Chiesa e quello degli ordini religiosi. M inistri della Chiesa e reli­giosi, m a sopra ttu tto i prim i, sono presenti negli scritti, nelle p re­ghiere, nelle lacrime, nella m issione di C aterina e nella sua grande azione per la riform a della Chiesa. Il problem a m eriterebbe am pia trattazione, m a qui noi possiam o accennarvi m olto som m aria­m ente. Come fonti ci lim itiam o quasi esclusivam ente al Dialogo. Opera della piena m atu rità spirituale di Caterina, dettato in stato

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di alta infusione carism atica,64 dopo m olti anni di esperienza e di azione apostolica, destinato sop ra ttu tto alla riform a della Chiesa, il Dialogo ha inoltre il m erito di tra tta re l’argom ento am piam ente e quasi in modo organico. Non manca, quindi, il m ateriale p er farci conoscere il pensiero della Santa (m ateriale che ovviamente abbon­da anche nell'epistolario); se mai la difficoltà è di condensarlo in qualche pagina. Ma veram ente qui non pensiam o a com pendiare u n ’esposizione così ricca e p resen tata in quello stile cateriniano as­solutam ente inim itabile; nei lim iti del presente saggio noi ci ac­contentiam o di cenni sommari.

Il Dialogo parla del nostro argom ento dal capitolo 110 al 132, ai quali fanno quasi da prologo i capitoli 108-109 >— introduzione alla « visione » — e da epilogo il capitolo 133 che inoltre spiega lo scopo di queste comunicazioni : eccitare lei ed altre anim e spiri­tuali alla preghiera, a ll’espiazione riparatrice, all’azione della ri­forma. Il prim o « quadro » della « visione » riguarda la dottrina sull’eccelsa dignità, missione, responsabilità e vocazione alla san­tità dei sacerdoti e m inistri della Chiesa: ciò che com porta, come conseguenza, il rispetto e la som m a riverenza che loro devono tu tti i cristiani, indipendentem ente anche dalla loro san tità personale. La comunicazione di questa d o ttrina viene fa tta non solo a ttra ­verso l'esposizione teorica della dignità sacerdotale, m a anche at­traverso ima descrizione avvincente della vita e del m inistero dei santi sacerdoti.

Al prim o « quadro », tu tto luce, segue il secondo, il quale sem­b ra sostanziato di tenebra e di dolore tan to è cruda la m anifesta­zione delle condizioni spirituali dei sacerdoti e m in istri di quel tem ­po. Dal confronto dei due « quadri » viene autonom aticam ente giu­stificata la necessità di una radicale riform a della Chiesa che pro­prio in questo organo prim ario aveva il letale focolaio d ’infezione. Leggendo quelle pagine, e tenendo presente tu tto il pensiero cateri­niano sulla Chiesa del Verbo Incarnato, sulla dignità dell’uomo, sul fine della creazione e sull’am ore infinito di Dio, si com prenderanno anche le più « terribili » pagine scritte da questa eccezionale figlia della Chiesa.

Sentiamo qualche b a ttu ta di questo colloquio che assum e le vesti del carism a « profetico ». La voce di Dio :

« ... acciò che tu meglio possa cognoscere la verità, apri l’occhio de l’intelletto tuo e raguarda l’eccellenzia loro, e in quanta dignità Io gli ho posti. E perché meglio si cognosce l’uno contrario per l’altro, voglioti mostrare la dignità di coloro che esercitarono in virtù il tesoro che Io loro misi fra le mani, e per questo meglio vedrai la miseria di coloro che oggi si pascono al petto di questa sposa ».

64 Per le informazioni relative alla composizione del Dialogo cf. il T a u r is a n o nella introduzione all'opera, pp. xi-xxiv, oppure il C h i m i n e l l i , op. c., pp. 447-460.

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« Allora quella anima, per obbedire, si specolava nella verità dove vedeva rilucere le virtù nei veri gustatori ».« Allora Dio eterno diceva : •— Carissima figliuola, prim a ti voglio dire la dignità loro, dove Io gli ò posti per la mia bon tà . . . » (D. 110, 266 s).

Dopo aver ricordato l ’am ore per tu tti gli uomini per la crea­zione e per la Incarnazione redentiva, Dio descrive la m issione dei prescelti al sacerdozio :

« . . . m a tra questi ò eletti i miei ministri per la salute vostra, acciò che per loro vi sia ministrato il sangue de l’umile e immaculato A- gnello Unigenito mio Figliuolo. A costoro ò dato a ministrare il Sole, dando loro il lume della scienza, il caldo de la divina carità, il colore unito col caldo e col lume, cioè il Sangue e il Corpo del mio Figliuolo. Il quale Corpo è un sole, perché è una cosa con meco, vero Sole » (Ivi, 267).

Caterina ha trovato u n ’altra di quelle immagini ard ite che di­ventano espressive di grandi verità. Il sacerdote è s ta to dunque costituito m inistro del Sole. Ciò che im m ediatam ente significa il sole è il Corpo e il Sangue di Cristo; m a il pensiero costante di Caterina è fisso all’Anima e alla Divinità: specialm ente alla Divi­n ità perché è questa l’infinita sorgente della luce e della vita. A lei prem e in trodurre più addentro possibile nei m istero della Deità : perciò il contesto im m ediato en tro il quale deve sorgere la realtà sacerdote è l’Incarnazione, ed il contesto più am pio e profondo è l’infinita T rinità:

« Cosi questo Verbo mio Figliuolo, il sangue dolcissimo suo, è un sole, tutto Dio e tutto uomo, perché egli è una medesima cosa con meco e Io con lui. La potenzia mia non è separata dalla sapienzia sua, né il calore, fuoco di Spirito Santo, non è separato da me Pa­dre, né da lui Figliuolo, però che egli è una medesima cosa con Noi, perché lo Spirito Santo procede da me Padre e da lui Figliuolo, e siamo imo medesimo Sole. Io sono quel Sole, Dio eterno, unde è proceduto il Figliuolo e lo Spirito Santo » (Ivi, 267 s).

Sicché abbiam o una linea che va dalla T rinità all’Incarnazione, alla Eucaristia, alla Chiesa, al sacerdozio. La Santa è abilissim a e di una fe rrea logica a tra rre le conseguenze da questa alta visione teologale del sacerdozio che viene tu tto im m erso nella luce solare dell’Eucaristia. Pensando a ciò che fu p er lei l’E ucaristia possiamo capire in quale mondo di grazia e di san tità ella dovesse contem ­plare il sacerd o te .65 Una conseguenza è la riverenza som m a che ogni

65 Qui difatti la Santa apre come una parentesi (cc. 111-112), nella quale, rievocando anche una visione avuta nella sua giovinezza (cf. c. I l i , 273), détta una elevata « teologia » sulla efficacia incontaminata del Sacramento, della ricchezza di grazia che vi effonde e delle disposizioni interiori per unir­

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fedele e ogni au torità terrena deve rendere al sacerdote, anche se la sua vita personale non corrisponde all’altezza della vocazione. E' sintom atico che Caterina, veemente e quasi cruda nello scoprire le piaghe morali degli ecclesiastici del suo tem po e nel reclam arne la riform a, sia intransigente su questo punto. Come ha cura di m ette­re in evidenza che la san tità dei sacram enti e l'efficacia degli atti m inisteriali non soffrono diminuzione dalla vita indegna dei m ini­stri (cf. D. 115, 281), così non cessa dal ribadire il dovere alla rive­renza verso di loro, chiunque siano e qualunque sia la loro con­dotta. Il principio è ferm o e convincente : la riverenza e la irrive­renza, l’onore e il disonore non cadono sulla persona, cioè sull'uom o che è nel sacerdote, m a in Cristo e nel suo sangue: « ... la reveren- zia è mia e di questo glorioso Sangue ... così la irreverenzia » (D. 116, 283). Ogni motivo di condannare e di spregiare è, così, d istru tto alla radice. La voce divina com m ina riprovazione contro coloro che ingiuriano i m inistri della Chiesa, e li abom ina come dispregiatori e persecutori del Sangue, « m em bri putridi, tagliati dal corpo m i­stico della santa Chiesa » {Ivi, 284).

Il Signore giunge perfino a dire, in m erito ai dispregiatori del­la Chiesa: « ... se tu tti gli a ltri peccati che essi ànno commesso fossero da l’uno lato e questo solo da l'altro, mi pesa più questo uno che gli a ltri {Ivi, 286). Perciò egli parla « della persecuzione che è fa tta a questo glorioso e prezioso Sangue » {Ivi) : m otivo di mag­giore sdegno della giustizia divina e di più urgente bisogno di espia­re. La condanna generale che viene pronunciata da Dio contro que­sta diabolica e tenebrosa congiura contro la Chiesa e i suoi m ini­stri è di una estrem a gravità (cf. D. 117, 287 s). Essa, aggiungiamo noi, vale per tu tti i tem pi ed è attuale anche oggi, poiché è comune ai persecutori di ogni epoca voler giustificare le loro ingiustizie distinguendo tra Cristo e la Chiesa.

Ma non bisogna pensare che alla Santa stia a cuore solo la riverenza dovuta ai sacerdoti e pastori della Chiesa; è la necessità di una santità proporzionata ad interessarla m aggiormente. Del resto la perfezione della vita dà rilievo anche all’eccellenza dello stato (cf. D. 115, 280).

Il Dialogo ci offre pagine distensive e serene quando sem brano sfogliare gli annali gloriosi delle gesta dei santi e grandi pastori della Chiesa. Essi, per usare la sim ilitudine di Caterina, si sono ve­stiti di sole: « Esercitando in virtù questa dignità, sono vestiti di questo dolce e glorioso Sole il quale Io loro diei a m inistrare » (D. 115, 280). Sem bra che Dio abbia voluto invitare la sue serva a ripo­sarsi nella soave contemplazione dei santi sacerdoti e m inistri, per

si al Verbo. Si noti questa affermazione originale: « Chi lo tocca? La mano de l’amore. Con questa mano si tocca quello che l'occhio ha veduto e cogno- sciuto in questo sacramento. Per fede il tocca con la mano de l’amore, quasi certificandosi di quello che per fede vide e cognobbe intellettualmente. Chi li gusta? il gusto del santo desiderio » (D. Il i , 875).

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darle un po’ di refrigerio e m itigarle il dolore di tan ti mali che af- fligevano la com unità cristiana (cf. D. 119, 290): « Apri l’occhio de l’in telle tto tuo e raguarda in me, sole di giustizia, e vedrai i glo­riosi m inistri i quali avendo m inistrato il Sole, anno preso la con­dizione del Sole... » (Ivi).

Le pagine che détta la Santa sem brano ridarci lo scorrere di un fiume luminoso che scaturisce dal seno della T rinità e fecondando la Chiesa risalga m aestoso verso il m are tranquillo della Divinità. Non è possibile com pendiare perché v’è troppa pienezza di dot­trina e calore di sentim ento. I sacerdoti ed i pastori, « presa la condizione del Sole » come em ergenti dalla luce incandescente del m istero del Cristo, nel giardino della san ta Chiesa effondono i fiu­mi della verace conoscenza di Dio nel lume della santissim a fede, di una speranza che fa getto delle ricchezze per la superiore sicu­rezza della povertà per il regno dei cieli, di un am ore che muove ad abbracciare la do ttrina della perfezione del Verbo e a consu­m arsi p er la fame e la sete delle anime. Ecco fiaccole arden ti nel solco lum inoso:

« Se tu ti vòlli ad Agustino ed al glorioso Tomaso, Jeronimo e gli altri, vedrai quanto lume ànno gittato in questa Sposa, stirpando gli errori, sì come lucèrne poste in sul candelabro con vera e perfetta umiltà. E' come affamati de l’onore mio e salute de l’anime, questo cibo mangiavano con diletto in su la mensa della santissima croce; i martiri col sangue, il quale sangue gittava odore nel cospetto mio e con l’odore del sangue e delle virtù e col lume della scienza facevano frutto in questa Sposa, dilatavano la fede; i tenebrosi venivano al lume, e riluceva in loro il lume della fede; i prelati posti nello stato della prelazione da Cristo in terra, mi facevano sacrifizio di giustizia con santa e onesta vita... Con umiltà conculcavano la superbia e andavano come angeli a la mensa de l’altare; con purità di cuore e di corpo e con sincerità di mente celebravano, arsi nella fornace della carità» (D. 119, 292 s).

Vengono descritti i santi sacerdoti e pastori integri in quella giustizia incorruttibile d ’am ore che tanto piace alla Santa, perché fonte di zelo vigilante, di lavoro indefesso, di disinteresse p e r le ricchezze e per gli onori che rendono schiavi delle opinioni e della stim a degli altri, di mitezza e di forza insieme : in una parola, fonte lim pida e abbondante della fervente vita del gregge cristiano. Essi sono ancora gli uom ini della incessante preghiera, della beneficenza generosa e lieta, sudditi anche se prelati, inferm i anche se forti, servi di tu tti anche essendo signori. Visione di bellezza che sfocia in un m are di gloria:

« La lingua tua non sarebbe sufficiente a narrare le virtù di costoro, né l’occhio de l’intelletto tuo a vedere il frutto che essi ricevono nella vita durabile, e riceverà chiunque seguiterà le vestigie loro. Essi sono come pietre preziose e così stanno nel cospetto mio, per­ché Io ò ricevute le fadiche loro e il lume che essi gittarono e misero

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con l'odore della virtù nel corpo mistico della santa Chiesa. E però gli ò collocati nella vita durabile in grandissima dignità, e ricevono beatitudine e gloria nella mia visione, perché dièro esempio d’one­sta e santa vita e con lume ministràro il Lume del Corpo e del San­gue de l’Unigenito mio Figliuolo e tutti gli altri sacramenti. E però sona molto singularmente amati da me, sì per la dignità nella qua­le Io gli ò posti, ché sono miei unti e ministri, e sì perché il tesoro che Io loro misi nelle mani non l’anno sotterrato per negligenzia e ignoranzia, anco l’ànno riconosciuto da me e esercitatolo con sol­lecitudine e profonda umiltà, con vere e reali virtù. E perché Io in salute de l’anime gli avevo posti in tanta eccellenzia, non si rista­vano mai, sì come pastori buoni, di rimettere le pecorelle ne l’ovile della santa Chiesa. Unde essi per affetto d’amore e fame de l'anime si mettevano a la morte per trarle dalle mani delle dimonia » (Ivi, 299).

Brani come questo, che celebrano la grandezza della dignità e le virtù dei santi sacerdoti, ci fanno presagire con quale anim o e con quali espressioni sarà descritta la condotta di sacerdoti e pa­stori indegni i quali erano, agli occhi di Caterina, in sì gran nu­m ero che ella non tem e di trascrivere queste parole dettele dalla voce di Dio in m erito della situazione della Chiesa :

« ... da qualunque lato tu ti volli, e secolari e religiosi, chierici e pre­lati, piccoli e grandi, giovani e vecchi e d’ogni altra maniera gente, non vedi altro che offesa; e tutti mi gittano puzza di colpa di pec­cato mortale » (D. 121, 303 s).

Noi risparm iano ai letto ri anche solo il riassunto delle 60 p a­gine (303-362) — le più am are, inquietanti e sconvolgenti del Dia­logo >— nelle quali vengono m esse a nudo le piaghe della classe sacerdotale del suo tempo. L’am ore di sè e l’orgoglio — radice in­fe tta di questo albero di m orte — l'am bizione delle prelature, la cupidigia delle ricchezze, l’avarizia fonte di ingiustizie, l ’usura, la si­m onia con il tu rpe com m ercio delle cose sacre, il servilismo verso i poteri tem porali, il tim ore servile, l'abbandono del gregge dei fedeli, la dim enticanza dei poverelli, la vita pubblicam ente scanda­losa e sciagurata, il giuoco, i banchetti, il concubinaggio, perfino la profanazione del m istero eucaristico : questi i vizi che quelle pa­gine descrivono senza veli e fustigano con lo zelo che è sdegno e p ianto insieme. Ecco un brano per tu tti, e ce ne scusiam o con i lettori ;

« . . . come enfiati di superbia non si saziano di rodere la terra delle ricchezze e delizie del mondo, stretti, cupidi e avari verso i poveri. Unde per questa miserabile superbia e avarizia, la quale è nata dal proprio amore sensitivo, ànno abbandonate le cure de l’anime, e solo si dànno a guardare e avere sollecitudine delle cose temporali, e lassano le mie pecorelle) ch’io l’ò messe nelle mani, come pecore senza pastore... Tutto il bene della Chiesa non spendono in altro che in vestimenti corporali, in andare vestiti delicatamente, non co­

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me eherici e religiosi, ma come signori o donzelli di corte. E stu- diansi d’avere grossi cavalli e molti vasselli d’oro e d'argento con adornamento di casa, tenendo e possedendo quello che non debbono tenere, con molta vanità di cuore. Il cuore loro favella con disor­dinata vanità, e tutto il desiderio loro è in vivande, facendosi del ventre loro dio, mangiando e bevendo disordinatamente. E però cagiono subito nelle immondizie vivendo lascivamente ».« Guai, guai alla loro misera vita, ché quello che il dolce Verbo Unigenito mio Figliuolo acquistò con tanta pena in sul legno della santissima croce, essi lo spendono con le pubbliche meretrici. Sono divoratori de l’anime ricomprate del sangue di Cristo, divorandole con molta miseria in molti e diversi modi; e di quello dei poveri ne pascono i figliuoli loro. O templi del diavolo, Io v’ò posti perché voi siate angeli terrestri in questa vita e voi séte dim oni. . . (D. 121, 305 s).

Se questi apprezzam enti di Santa C aterina rispondono a ve­rità non ci possono sorprendere le sue invocazioni, le lacrime, le preghiere, l’azione, gli interventi ard iti presso i Sommi Pontefici per la riform a della Chiesa, principalm ente nei suoi pastori e mi­nistri. Gli eventi che seguirono, fino al protestantesim o e al Con­cilio di Trento, provano che Caterina coglieva nel segno.

3) - Per la riforma dei religiosi

Non vogliamo chiudere questo rapido giro di orizzonte sull'a­zione di Caterina da Siena per la riform a della Chiesa senza dire almeno una parola sul tem a dei religiosi.

La Santa visse la vita religiosa tra le M antellate del Terz’Or- dine della Penitenza di S. Domenico; ebbe a confessori e d iretto ri fra Tommaso della Fonte e soprattu tto fra Raimondo delle Vigne, chiam ati da lei « le due colonne dei padri che m ’ài posti in terra a guardia e do ttrina di m e inferm a e miserabile... » (D. 108, 264). Molti altri religiosi di diversi ordini furono suoi amici, consiglieri, collaboratori, d iscepoli.66 Ella aveva una conoscenza d ire tta del m ondo dei religiosi. Anche in questo campo ella elevò la sua voce am m onitrice in nome di Dio, invocando una salu tare riform a. An­che qui ci rifacciam o al Dialogo anche se m olta do ttrina si trova nelle sue non poche Lettere a religiosi e religiose.

M entre dei pastori e dei sacerdoti parla dopo aver esposto un insegnam ento elevato sulla perfezione sp irituale , 67 dei religiosi par­la nel « tra tta to » sull'obbedineza e precisam ente nei capitoli 157- 165. Questa collocazione non è a caso, poiché l'eccellenza dello stato religioso da Caterina è spiegata fondam entalm ente con l'ob­

66 Sui rapporti di Caterina con varie famiglie religiose e correnti spirituali vedere C h i m i n e l l i , op. e., pp. 141-155,

Nel D. specialmente cc. 60-65; 73-78; 95-96; 100. Vengono descritti i d i­versi gradi della vita spirituale seguendo il filo conduttore dell’amore.

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bedienza, cui si aggiungono, p er connaturale esigenza, la povertà e la castità. L 'im postazione ci sem bra avere, seguendo l ’organica s tru ttu ra del suo pensiero, un solido fondam ento teologico, in quanto la vita religiosa è vista come una desiderata p erfe tta imi­tazione della disposizione fondam entale dell'anim a del Verbo In ­carnato : l’assoluta dipendenza dalla volontà del Padre che gli a- veva dato l’obbedineza della m orte sulla croce. Caterina to rna an­cora una volta al suo m istero cristologico preferito : il sangue di Cristo. Nella sua visione è presente vivam ente la teologia paolina della m anifestazione della infinita carità del Padre nella m orte del Figlio diletto p er il nostro riscatto. Il sangue liberam ente versato con tan to am ore da Gesù è la chiave unica ed efficace della nostra vita eterna. Perciò C aterina inquadra ogni vita cristiana nell’assi- m ilarsi all’obbedienza di Cristo e, logicamente, è condotta a ve­dere la vita spirituale p erfe tta in uno stato singolare, oggettiva­m ente perfetto , dell'obbedienza p e r am ore di Cristo. Il progresso del suo pensiero è logico: dalla n a tu ra dell'obbedienza e delle di­sposizioni che necessariam ente le si accom pagnano nella realtà esi­stenziale — c. 154 — alla sua efficacia santificante e alla condizione spiritualm ente opposta dell’obbediente e dell’inobbediente — cc. 155-156 — alla linea di dem arcazione tra l ’obbedienza generale e l’obbedienza particolare ■— c.« 157 — da cui è tracciata la via che dalla prim a, non per negazione m a p er perfezionam ento, conduce alla seconda. Così l’in tera vita cristiana è sotto il segno dell’assimi- lazione dell’obbedienza sacrificale di Cristo, m a di questa la più a lta partecipazione è l’obbedienza dello stato religioso.

La Santa p arla de « l'obedienzia particu lare che va dietro alla grande perfezione » (D. 157, 457). Spiegando la genesi di questa scelta ella si appella alla luce che guida già l ’anim a alla fedele ob­bedienza dei com andam enti: «P erché col lum e della santissim a fede avrà cognosciuto nel sangue de l’umile Agnello la m ia verità, l’am ore ineffabile che Io gli ò e la fragilità sua che non risponde a me con quella perfezione che debba» (D. 158, 458). Dunque l'ani­m a nel sacrifìcio di Gesù vede la vetta dell’obbedienza; la voce del Sangue le grida l’am ore infinito; la debolezza dell’iniziativa perso­nale acuisce il senso della distanza, perciò nasce il desiderio di quella vita in cui possa meglio soddisfare il debito radicale della sottomissione, conculcare l’instabilità um ana, uccidere la propria volontà (cf. ivi). Questo luogo è lo stato della san ta religione :

«La quale ;— dice Caterina — è fatta dallo Spirito Santo, posta come navicella per ricevere l'anime che vogliono correre a questa perfezione e conducerle a porto di salute. Il padrone di questa navi­cella è lo Spirito Santo, che in sé non manca mai per difetto di veruno suddito religioso che trapassasse l’Ordine suo; non può offendere questa navicella ma offende se medesimo. E' vero che per. difetto di colui che tenesse il timone, la fa andare a onde; ciò sono, i gattivi e miserabili pastori, prelati, posti dal padrone di

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questa navicella. Ella è di tanto diletto in se medesima che la lin­gua tua noi potrebbe narrare » (Ivi).68

Eccoci u n ’altra bella sim ilitudine cateriniana che ci significa l ’eccellenza dello stato religioso, come la sim ilitudine del sole quel­la dello stato sacerdotale. Caterina m ira alla riform a come ci fan­no capire le ultim e parole; m a come prim a, a proposito dei sacer­doti, v’è arrivata passando attraverso l’elogio della sua grandezza, così anche per i religiosi; perciò lungo tu tto questo capitolo ella ne tesse un magnifico elogio, e non solo in una visione astra tta , m a guardandola negli « ordinatori » della navicella, cioè i fonda­tori. Leggiamo, così, un profilo di Francesco e di Domenico che sem bra riecheggiare la Divina C om m edia,69 tan ta è la bellezza ed efficacia con la quale quelle due vocazioni sono descritte nella pover­tà e nella scienza, m a am bedue nate dalla carità e a servizio della ca­rità nella Chiesa (cf. ivi, 460-465). A ttraverso l’obbedienza Caterina ci fa risalire alla carità, ci guida all’um iltà non solo com e cono­scenza della fragilità um ana m a come desiderio dell’oblio e della rinuncia alla stim a e all’onore; ci parla della p erfe tta povertà, affet­tiva ed effettiva, a ttu a ta nella vita comune; ci parla della conti­nenza verginale che nella povertà comune, nel silenzio, nella soli­tudine del chiostro, nella lode divina trova alim ento e pro tezione.79 Per mezzo di questa austera e generosa ascesi, che ha il suo cardine neH'ohbedienza fedele non solo ai superiori m a a tu tte le leggi del l ’Ordine, la vita religiosa non solo è una scuola di a lta perfezione individuale, m a è fonte di zelo e testim onianza del Vangelo della salvezza.71 II capitolo 159 si può ben considerare come una splen­dida apologia della vita religiosa. Queste pagine apologetiche, e possiam o dire tu tto il « tra tta to » sull’obbedienza, trovano il loro degno epilogo nell'inno che nel capitolo 163 la Senese scioglie al­l’obbedienza cantandola sorgente di pace, di soavità, di luce, di vita, di benignità, di fortezza, di perseveranza, di sicurezza : e la spiegazione di questa fecondità è che l’obbedienza « è Un bene co- gnosciuto del Verbo, il quale v’insegnò la via de robedienzia come vostra regola, facendosi obediente infino alla obbrobiosa m orte della croce » (D. 163, 486). Il m istero di Cristo, il m istero della Chiesa, il m istero del nostro m ondo teologale : ecco il contesto nel quale, attraverso l’obbedienza, Santa Caterina ci parla della vita religiosa.

68 E' un pensiero che troviamo anche nella Costituzione sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 43, 45 e nel Decreto Conciliare Perfectae caritatis, n. 1 s.

Divina Commedia, Paradiso, canti 11-12. .................70 Dottrina esposta nel D. c. 154, 447-450; obbedienza, legge e carità, c.

105, 450452 ; grandezza dell'obbedienza, c. 105, 453 s. ; disobbedienza e obbe­dienza, c. 106, 454456; c. 159, 466-474.

71 Ciò vale soprattutto per i religiosi degli ordini dediti all’attività aposto­lica, ai quali principalmente pensa Caterina nel D.

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Ma quale era la realtà che ella vedeva? Anche in questo settore della vita ecclesiale Caterina lam entava tralignam enti dolorosi. Così, tessendo gli elogi della navicella di Francesco constatava che « non sono m olti quelli che eleggono questa perfezione, m a p e r li difetti loro sono m oltiplicati in gente e venuti m eno in v irtù » (D. 158, 461). Della navicella di Domenico scrive : « Tutta la fece larga, tu tta gio­conda e tu tta odorifera uno giardino dilettissim o in sè; m a i mi­seri, non osservatori de l’Ordine m a trapassatori, l'ànno tu tto in­salvatichito, tu tto ingrossato con poco odore di virtù... » (Ivi, 463). Abbiamo visto che nella valutazione generale delle condizioni della Chiesa i religiosi non facevano eccezione alla regola. Il Dialogo vi ha dedicato due capitoli: il 161, che è un ’esposizione delle m iserie e dei fru tti am ari che p er loro stesso danno colgono i religiosi dalla loro disobbedienza e dalla inosservanza delle regole, specialmente della povertà e della vita com une; 11 e il capitolo 125 che è una dura requisitoria per i disordini derivati dall’infedeltà ai voti e dal cat­tivo governo dei prelati. Dopo quanto abbiam o detto circa la ri­form a dei sacerdoti non crediam o necessario fare citazioni. Anche in questo settore la riform a della Chiesa si im poneva con dolorosa evidenza. Caterina ci si m ostra efficacemente al lavoro nel sospin­gere le anime religiose all’alta perfezione evangelica p ropria del loro stato nella Chiesa nelle non poche L ettere d ire tte ad anim e con­sacrate, a com inciare dagli stessi suoi confessori e figli sp iritu a li.73 Le più belle pagine di introspezione dello sp irito e i più caldi in­viti a volare sono proprio in quelle L ettere .74

72 II peso che il religioso disobbediente causa a se stesso, più ancora forse che alla famiglia religiosa, è descritto magistralmente nel D., c. 161, 476481.

73 Basta leggere le lettere materne e virili scritte a fra Raimondo per ren­dersi conto quanto fosse spiritualmente esigente questa autentica maestra; si veda L. 333 (v. 5, 51-56) e la L. 344 (v. 5, 127-138) relativamente al ritardato viaggio del Padre in Francia per consigliare al Re di non appoggiare lo scisma. La giustificazione di Raimondo era valida ma a Caterina sapeva trop­po di prudenza umana. Scrive tra l’altro: « Se fuste stato fedele, non sareste tanto andato vacillando, né caduto in timore verso Dio e verso me; ma come figliuolo fedele pronto all’obbedienzia, sareste andato e fatto quello che avreste potuto fare. E se non poteste andare dritto, fuste andato carpone; se non si poteva andare come frate, fussesi andato come peregrino; se non ci ha denari, fussesi andato per elemosina... » (L. 344, v. 5, 131 s). Queste let­tere sono un capolavoro.

74 Non è possibile in una nota fornire nemmeno sommarie indicazioni. Oltre ai voti la tematica cateriniana abbraccia particolarmente il distacco totale, la carità fraterna, il silenzio e la solitudine, la continua preghiera, la purificazione dalla golosità delle consolazioni spirituali, la generosità nel sa­crificio, l'umiltà attinta dalla profonda conoscenza di sè e di Dio e nutrita con il disprezzo degli onori, l’invitta pazienza che la Santa considera come le midolla della carità, lo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime at­traverso la Chiesa. Non sarebbe difficile ricavare dal Dialogo e dalle Lettere un codice di perfezione religiosa.

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IMMOLATA PER LA CHIESA

Vogliamo chiudere questo saggio sulla sp iritualità di S. Cate­rina da Siena ricordando che ella non solo visse, m a anche m orì p er la Chiesa, immolandosi per essa nel fiore degli anni, in mezzo alle sem pre più dram m atiche vicende dello scisma. La m agnani­m ità e la bellezza di questa immolazione traspaiono non solo dalla testim onianza dei suoi biografi m a anche da due lettere della San­ta : la 371, che nelle edizioni appare d ire tta ad Urbano VI, e la 373 l ’u ltim a da lei scritta a fra Raimondo. Ci lim itiam o a riferire qual­che tra tto che più rivela la profondità della sua passione p er la Chiesa.

Dai prim i del 1380, con l’aggrovigliarsi del problem a dello sci­sm a e con l’aggravarsi della situazione proprio in torno al Papa — per i tentativi sediziosi del popolo rom ano che giunge perfino a forzare le porte del Vaticano per terrorizzare il Pontefice75 — sem­brò appesantirsi anche l'esigenza di Dio nel chiedere a Caterina di tra rre le ultim e conseguenze della sua dedizione alla riform a della Chiesa. Realm ente la Santa, sentendosi m ancare le forze e preve­dendo la sua fine im minente, credette che orm ai l’estrem a sofferen­za e l’intensa preghiera fossero le risorse più valide p e r la sua ope­ra m ediatrice. Terribili sofferenze fìsiche e spirituali si rovescia­rono su di lei, non solo per le condizioni derivate dalla sua seve­rissim a ascesi di tan ti anni, m a anche — p er sua confessione — ad opera delle forze diaboliche che sem brano volersi vendicare contro l’attiv ità inesauribile di quella figlia della lu ce .76 Ben presto fu rido tta agli estrem i : im possibilitata a prendere anche una stilla di acqua, rido tta quasi ad un cadavere, ella abitualm ente, nella sua cam eretta a Via di Papa (oggi Via S. Chiara) giaceva su un m isero lettino di dure tavole. In ternam ente il suo cuore si strug­geva dal dolore per le condizioni della Chiesa e del suo Capo. La stessa voce di Dio accendeva in lei questa luce torm entosa: « ... io mi dolgo che io non trovo chi ci m inistri. Anco, pare che ognuno l’abbia abbandonata... E come è sola la Sposa, così è solo lo Sposo » (L. 371, v. 5, 298 s). Nell’ardore del suo desiderio ella grida a Dio: « Che posso fare, o inestim abile fuoco? ». Dio risponde : « Che tu di nuovo offerì la vita tua. E mai non dare riposo a te m edesima. A questo esercizio ti ho posta e pongo... » (Ivi). La S anta prosegue narrando come l ’illuminazione divina la fissasse tu tta l ’anim a nella conoscenza del m istero della Chiesa nelTabissale conoscenza dell’e­terna Verità, rifacendole ripassare inoltre, come in una sequenza retrospettiva, il piano delle grazie, della vocazione, della dedizione

75 A questa azione pacificatrice di Caterina presso i Romani in sommossa contro Urbano VI accenna lei stessa nella L. 373, v. 5, 317.

76 Di questi assalti demoniaci parla Caterina nella L. 371, v. 5, 302; e spe­cialmente nella L. 373, v. 5, 314 ss.

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alla Chiesa. E ’ una preziosa confessione, e per noi qui una con­ferm a, della fusione del carism a e dell’esperienza nella conoscenza e a ttiv ità nel corpo m istico : « E con tan to lum e si speculava que­sta Verità, che in quello abisso allora si rinfrescavano i m isterii della san ta Chiesa, e tu tte le grazie ricevute nella vita mia, pas­sate e presenti; e il dì che in sè fu sposata l ’anim a m ia » (Ivi, 301).77 Nessuno più dei santi ha la visione chiara che non v’è corrispon­denza um ana adeguata alla grazia elargita dalla bontà di Dio, e perciò quanto più intensa è l’illuminazione in teriore tanto più è costringente l’evidenza della povertà radicale della c rea tu ra .78 La luce dunque infondeva um iltà ed eccitava il grido dell’ardore: « 0 Dio eterno, ricevi il sacrifìcio della vita m ia in questo corpo m i­stico della santa Chiesa. Io non ho che dare altro se non quello che tu hai dato a me. Tolli il cuore dunque, e prem ilo sopra la fac­cia di questa Sposa. Allora Dio eterno, vollendo l ’occhio della cle- menzia sua, di velia va il cuore, e prem evalo nella santa Chiesa » (Ivi, 301 s). Nella relazione che Caterina fece a fra Raimondo, suo padre spirituale, oltre a queste altissim e grazie m istiche racconta che il Signore, quasi a farle davvero stillare le m idolla p e r la Chiesa, le impose di intensificare la preghiera, di adunare la sua famiglia spi­rituale ogni giorno nella Messa celebrata sem pre per il bene della Chiesa, e le spirò di recarsi quotidianam ente a visitare e a pregare nella basilica di S. Pietro. L’anim a di Caterina era piena della Chie­sa; nemmeno le alte comunicazioni soprannaturali traboccanti delle dolcezze dei beati rattenevano la sua attenzione : 79 ella era diven­ta ta solo desiderio e fame della Chiesa. « Con questo e con m olti a ltri modi, i quali non posso narrare , si consum a e distilla la vita in questa dolce Sposa » (L. 373, v. 5, 318).

E ra un vero struggersi della sua vita m ortale e un consum arsi interiorm ente nel più alto am ore m istico che sem brava non distin­guere più Dio dalla Chiesa. Ogni giorno, dopo avere ascoltato per tem po la Messa, in casa, ella, accom pagnata e so rre tta dai suoi figli spirituali, si portava a S. Pietro facendo un buon miglio di strada. « Quando egli è l’ora della terza, e io mi levo dalla Messa, e voi vedrete andare una m orta a Santo Pietro; ed entro di nuovo a lavorare nella navicella della san ta Chiesa » (Ivi). Dopo aver visi­ta to la basilica ella usciva sul sagrato e lì pregava con ardore e con lacrim e fino all’ora dei vespri, guardando in tensam ente il bassorilie­vo giottesco che raffigurava la Chiesa in una navicella sbattu ta dalle onde. Con il suo consum arsi e con la sua preghiera ella entrava a lavorare nella navicella della Chiesa. Un giorno, m entre contem-

77 Su questa grazia mistica si può vedere la Legenda Maior, t. 1, p„ 71 s; e,f. Chiminelli, op. c., pp. 103-110.

78 Dottrina messa in particolare risalto da Teresa dèi B. Gesù che ne ha fatto il caposaldo della « via dell’infanzia spirituale »: dottrina applicata an­che alla sua azione nella Chiesa (cf. Manoscritti Autobiografici, p. 237 ss.).

» Cf. L. 373, v. 5, 317.

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piava la raffigurazione giottesca, il suo corpo, come un fragilissimo stelo, si piegò in due. I suoi figli spirituali pensarono spontanea­m ente che la navicella fosse posta sulle sue spalle che si piegarono sotto il peso immane. Da quel giorno non potè più recarsi a S. Pie­tro e il suo sacrificio di dolore e d ’am ore si compì nella nuda celletta di Via di Papa. Il suo principale biografo, fra Raimondo, ® i suoi am ati figli e discepoli Tommaso C affarini81 e Barduccio Cani- giani, 82 ci hanno déscritto il tram onto di questa stélla nello sfondò sanguigno dello scisma. Anche le sue u ltim e esortazioni, le sue u lti­m e consegne, le sue ultim e preghiere furono tu tte per la Chiesa. Trovandosi tra la m orte e la vita questa e ra la sua preghiera : « A te Padre eterno, io m iserabile offero di nuovo la vita m ia per là dolce Sposa tua; che quante volte piace alla tua bontà, tu mi ri­tragga del corpo, et rendam i al corpo, sem pre con maggiore pena, l'una volta che l’altra; p u r che io vegga la reform azione di questa sposa dolce della santa Chiesa. Io t ’adim ando, Dio eterno, questa sposa » .83 Per sè chiedeva perdono per « la m ólta ignoranza; et grande negligenza che io ò commesso nella Chiesa tua ».84 Offré e raccom anda i suoi figliuoli sp irituali «per ò che essi sono l’anim a mia », m a anche per loro chiede che, legati nel vincolo della carità, « m uoiano spasim ati in questa dolce sposa » .85 La consegna p e r loro non poteva essere che la Chiesa: « ... m ai non allentino e’ desi­deri vostri, sopra la reformazione, e t buono stato della santa Chie­sa », m a che la loro vita fosse u n ’ardente continua preghiera per la Chiesa « et per lo vicario di Cristo, Papa Urbano VI ».86 Ella ren­deva a se stessa la testim onianza che da tan ti anni il Signore le aveva posto in cuore l’ardente am ore per la Chiesa e che il com pi­m ento di questo « affocato desiderio » era stato l'impegno della sua vita. Ecco le parole che rivolse, confessione, testam ento e conse­gna : « Tenete per fermo, dolcissimi et carissim i figliuoli, che p ar­tendom i dal corpo, io in verità ò consum ata et data la vita nella

80 La vita di S. Caterina da Siena compilata dal B. Raimondo da Capua, volgarizzata da Bernardino Pecci, in Le opere di S. Caterina da Siena (Roma 1866) t. 1. La morte è narrata nella p. 3, c. 4, pp. 225-230.

81 T o m m a s o C a f f a r in i , Supplem ento alla leggenda del B. Raimondo da Ca­pua, volgarizzato dal P. A n s a n o T a n t u c c i , in Le opere ... t. 2, pp. 131-138. Lo stesso autore ne parla nella Legenda Minor. Nella edizione critica di E. F r a n - c e s c h i n i , Sanctae Catharinae Senensis Legenda Minor nella collezione « Fontes vitae S. Catharinae Senensis Historici », (Milano 1942), pp. 160-168, nella du­plice Recensio.

82 B a r d u c c io C a n ig ia n i , Lettera a suor Caterina Petriboni nel monasterio di S. Piero a Monticelli presso Fiorenza. E’ detta comunemente « Il transito » perché narra appunto il transito della Santa. E’ un bel documento di teste oculare. Si può vedere nel citato volume Le opere ... t. 1, pp. 291-294.

83 In P ietro M is c ia t t e l l i, Lettere di S. Caterina da Siena (Marzocco 1940), v. a p. 141 s.

84 Op. c., p. 142.83 Ivi.86 Op. c., p. 145 s.

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Chiesa et per la Chiesa san ta: la quale cosa m ’è singolarissim a grazia » .87

Prim a di m orire C aterina em ise quasi un grido: «Sangue, Sangue » .88 Aveva tan te volte scritto nelle sue lettere di fuoco di bagnarsi e di affogarsi nel sangue di C risto .89 In quel Sangue ave­va letto il m istero della infinita carità di Dio : il m istero della Chie­sa, il m istero delle anime. E ra logico che anche lei ora si im m er­gesse e risorgesse nel Sangue dell’Angelo. « Così soavemente, con una faccia del tu tto angelica e rilucente, chinato il capo rendè lo spirito ». Così scriveva il suo caro figlio spirituale, testim one ocu­lare, Barduccio C anigiani.90 E ra il pomeriggio del 29 aprile 1380. Ascendeva nella gloria di Dio una delle anim e più grandi che han­no onorato la Chiesa.

P. R o b e r t o M or e t t i, O. C. D.

87 Op. c., p. 146. Vedere Legenda Maior, in Le opere ... t. 1, p. 227.88 B a r d u c c io C a n ig ia n i , II transito, i n Le opere di S. Caterina da Siena (Ro­

ma 1866), t. 1, p. 294.89 Così, ad es., scriveva a fra Raimondo: « Annegatevi nel sangue di Cri­

sto crocifisso, bagnatevi nel sangue, saziatevi di sangue; inebriatevi di san­gue; vestitevi di sangue; rallegratevi nel sangue, crescete e fortificatevi nel sangue... » (L. 333, v. 5, 55).

® B arduccio C a n ig ia n i , Il transito, i n Le opere di S. Caterina da Siena, t . 1, p. 294.

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IL DRAMMA DELLA CHIESA IN CATERINA DA SIENA 281

N ota. - Questa preghiera costituisce il capitolo 134 del Dialogo. Come ab­biamo osservato a pagina 244, la trascriviamo qui come una conferma dell’alta sta to mistico nel quale viveva Caterina, ove carisma ed esperienza raggiun­gono una fusione incomparabile.

« ...O Dio eterno, o luce sopra ogni altra luce, ché da te esce ogni lucei O fuoco sopra ogni fuoco, però che tu sei solo quello fuoco che ardi e non consumi ; e consumi ogni peccato e amore proprio che trovassi ne l'ani­ma; e non la consumi affligitivamente ma ingrassila d’amore insaziabile, però che saziandola non si sazia ma sempre ti desidera; ma quanto più t’à più ti cerca e più ti desidera, più ti truova e gusta di te, som mo ed eterno fuoco, abisso di carità! O sommo ed eterno Bene, chi t’à mosso te Dio infinito, d’alluminare me tua creatura finita del lume della tua verità? Tu, esso medesimo fuoco d’amore, ne sei cagione, però che sempre l’amore è quello che à costretto e costringe te a crearci a la imagine e similitudine tua, e a farci misericordia, donando infinite e smisurate grazie alle tue creature che ànno in loro ragione. O Bontà sopra ogni bontà! tu solo sei colui che sei sommamente buono, e nondimeno tu donasti il Verbo de l ’Unigenito tuo Figliuolo a conversare con noi, puzza e pieni di tenebre. Di questo chi ne fu cagione? L’amore; però che ci amasti prima che noi fussimo. O buono, o eterna grandezza, facestiti basso e piccolo per fare l’uomo grande. Da qualunque lato io mi vòllo, io non truovo altro che abisso e fuoco della tua carità. '

E sarò io quella misera che possa resistere alle grazie e a l’affocata carità che tu ài dimostrata e mostri tanto affocato amore in particolare, oltre a la carità comune e amore che tu mostri a le tue creature? No: ma solo tu, dolcissimo e amoroso Padre, sarai quello che sarai grato e co- gnoscerai per me, cioè che l’affetto della tua carità medesima ti renderà grazie; però che io sono colei che non sono. E se io dicessi d’essere alcuna cosa per me, io mentirei sopra il capo mio, e sarei mendace e figliuola del dimonio che è padre delle bugie. Però che tu sei solo che sei, e l’essere e ogni grazia che ài posta sopra l’essere ò da te che mel desti e dài per amore e non per debito.

O dolcissimo Padre, quando l’umana generazione giaceva inferma pel­lo peccato di Adam, e tu le mandasti il medico del dolce e amoroso Verbo tuo Figliuolo, ora, quando io giacevo inferma nella infermità della negli- genzia e di molta ignoranzia, e tu, soavissimo e dolcissimo medico, Dio eterno, m ’ài data una soave e dolce e amara medicina, acciò che io gua­risca e mi levi dalla mia infermità. Soave m ’è, però che con la soavità e carità tua ài manifestato te a me; dolce sopra ogni dolce m ’è, però che ài alluminato l’occhio de l ’intelletto mio col lume della santissima fede. Nel quale lume, secondo che t’è piaciuto di manifestare, cognobbi la eccel- lenzia e la grazia che ài data a l’umana generazione, ministrando tutto Dio e tutto uomo nel corpo mistico della santa Chiesa, e la dignità dei tuoi ministri i quali ài posti che ministrino te a noi.

Io desideravo che tu satisfacessi alla promessa, la quale facesti a me, e tu desti molto più dando quello che io non sapevo adimandare. Unde io cognosco veramente in verità che il cuore dell’uomo non sa tanto adiman­dare né desiderare quanto tu più dai; e così veggo che tu sed colui che sei, infinito ed eterno Bene, e noi siamo coloro che non siamo. E perché tusei infinito e noi finiti, però dai tu quello che la tua creatura che à in séragione, non sa nè può tanto desiderare, né per quello modo che tu sai, puoi e vuoi satisfare a l ’anima e saziarla di quelle cose che ella non t’adi- manda, né per quello modo tanto dolce e piacevole quanto tu le dài. Eperò ò ricevuto lume nella grandezza e carità tua per l’amore che ài mani­festato che tu ài a tutta l’umana generazione, e singularmente agli unti tuoi, i quali debbono essere angeli terrestri in questa vita. Mostrato ài la virtù e beatitudine di questi tuoi unti, i quali sono vissuti come lucerne ardenti con la margarita della giustizia nella santa Chiesa. E, per questi,

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meglio ò conosciuto il difetto di coloro che miserabilmente vivono. Unde ò conceputo grandissimo dolore de l’offesa tua e del danno di tutto quanto il mondo: perocché fanno danno al mondo, essendo specchio di miseria dove essi debbono essere specchio di virtù. E perché Tu a me misera, ca­gione e strumento di molti difetti, ài manifestate e lamentatoti delle ini- qùità loro, ò trovato dolore intollerabile.

Tu, amore inestimabile, l'ài manifestato dandomi la medicina dolce e amara perché io in tutto mi levi da la infermità della ignoranzia e negli- genzfa, e con sollicitùdine è ansietato desiderio ricorra a te cognoscendo me e la tua bontà, e l'oifese che sono fatte a te da ogni maniera di gente, e spezialmente dai ministri tuoi, acciò che io distilli uno fiume di lagrime sopra me miserabile, traendolo del cognoscimiento della tua infinita bontà, e sopra questi morti, i quali tanto miserabilmente vivono. Unde io non voglio, ineffabile fuoco, dilezione di carità, Padre eterno, che il desiderio mio si stanchi mai a desiderare il tuo onore e la salute de i ’anime, e gli occhi miei non si ristiano, ma adimandoti per grazia che essi siano fatti due fiumi d’acqua, che esca di te, mare pacifico. Grazia, grazia sia a te, Padre, che satisfacendo a me di quello che io ti dimandai e di quello che io non cognoscevo e non dimandai, tu m ’ài invitata, dandomi la materia del pianto e d’offerire dolci e amorosi e crociati desideri dinanzi a te con umile e continua orazione. Ora t'adimando che tu facci misericordia al inondo e alla santa Chiesa tua. Pregoti che tu adempia quello che tu mi fai adimandare. Oimé misera, dolorosa l’anima mia, cagione d’ogni male! Nòti indugiare più a fare misericordia al mondo, conscendi e adempi il desiderio dei servi tuoi. Oimé! tu sei colui che gli fai gridare: adunque odi la voce loro. La tua verità disse che noi: chiamassimo e sarebbeci risposto, bussassimo e sarebbeci aperto, chiedessimo e sarebbeci dato. O Padre etèrno, i servi tuoi chiamano a te misericordia: rispondi loro dunque. Io so bene che la misericordia t ’è propria, e però non la puoi tollere che tu non la dia a chi te l’adimanda. Essi bussano alla porta della tua Verità, peroché nella Verità tua, Unigenito tuo Figliuolo, cògnoscono l’amore ineffabile che tu ài a l’uomo, sì che bussano a la porta. Unde il fuoco della tua carità non si debba né può tenere che tu non apra a chi bussa con perseveranzia.

Adunque apri, diserra e spezza i cuori induriti delle tue creature; non per loro che non bussano, ma fallo per la tua infinita bontà e per amore dèi servi tuoi che bussano a Te per loro. Dà loro, Padre eterno, chè vedi che stanno a la porta della Verità tua e chieggono. E che chieggono? Il sangue di questa porta, Verità tua. E nel sangue tu ài lavate le iniquità, e tratta la marcia del peccato d’Adam. Il sangue è nostro, però che ce ri’ài fatto bagno: non lo puoi disdire, né vuoi disdire a chi in verità te l’adi- manda. Dà dunque il frutto del Sangue a le tue creature, poni nella bilan­cia il prezzo del sangue del tuo Figliuolo, acciò che le dimonia infernali non ne portino le tue pecorelle. Oh! tu sei pastore b u on o /ch e ci desti il Pastore vero Unigenito tuo Figliuolo, il quale per l'obedienzia tua pose là vita per le tue pecorelle e del Sangue ci fece bagno. Questo è quello Sangue che t’adimandano come affamati a questa porta i servi tuoi: per lo quale Sangue adimandano che tu facci misericordia al mondo, e rifiorisca la santa Chiesa di fiori odoriferi di buoni e santi pastori, e con l’odore spegni la puzza degl'iniqui fiori e putridi.

Tu dicesti, Padre eterno, che per l'amore che tu ài delle tue creature che ànno in loro ragione, che con l’orazione dei servi tuoi e col molto so­stenere fadighè senza colpa, faresti misericordia al mondo e riformaresti la santa Chiesa tua, e così ci daresti refrigerio. Adunque non indugiare a voliere l’occhio della tua misericordia, ma rispondi, però che vuoi rispon­dere prima che noi chiamiamo, con la voce della tua misericordia.

Apri la porta della tua inestimabile carità, la quale ci donasti per la porta del Verbo. Sì, so io che tu apri prima che noi bussiamo, però che coti l’affetto e attore che ài dato ai servi tuoi, bussano e chiamano a te, cercando l’onore tuo e la salute de l'animé. Dona loro dunque il pane della

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vita, cioè il frutto del sangue de l'Unigenito tuo Figliuolo, il quale t ’adiman- dano per gloria e loda del nome tuo e per salute de l’anime. Però che più gloria é loda pare che tom i a te a - salvare tante creature che a lassarle ostinate e permanere nella durizia loro. A te, Padre eterno, ogni cosa è possibile: poniamo che tu ci creasti senza noi, ma salvare senza noi questo non vuoi fare, ma pregoti che sforzi le volontà loro e dispongali a volere quello che essi non vogliono. Questo t’adimando per la tua infinita mise­ricordia. Tu ci creasti dal nulla, adunque, ora che noi siamo, facci mise­ricordia e rifà i vaselli che tu ài creati e formati a la imagine e similitudine tua, e riformagli a grazia nella misericordia e nel sangue del tuo Figliuolo ».