Gwenever Il Bacio Eterno

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Fantascienza

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Selene Eulalia Cabras

GweneverIl bacio eterno

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© 2011 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Romawww.gruppoalbatrosilfilo.it

ISBN 978-88-567-XXXXX

I edizione marzo 2011stampato da Digital Team sas, Fano (PU)

Distribuzione per le librerie Mursia s.p.a.

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Gwenever

Il bacIo eterno

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A noi che siamo legati da un bacio eterno.

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PARTE I

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“Come on baby blueShake up your tired eyes

The world is waiting for youMay all your dreaming fill the empty sky”

(Oasis, Let there be love)

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cAPITOlO I

Due grandi occhi scuri come un bosco in penombra si spa-lancarono.

«Belit, si è svegliata!».Cinque figure si precipitarono nella piccola stanza di Berta,

riempiendola di facce sconosciute e curiose. Un gatto nero con il muso bianco che dormiva ai piedi del letto, si stiracchiò e uscì disturbato.

«Buonasera, Joy! Hai fame?».Joy ci mise un po’ a capire che la signora grigia e grassoccia,

con una vestaglia variopinta e grosse collane di fiori di plasti-ca, parlava proprio con lei. Berta, la ragazza bionda che aveva annunciato il suo risveglio, le sedette accanto. Profumava dol-cemente di vaniglia.

«c’è un po’ di brodo di pollo, ti farà bene!».«che ne dite di andare di là? Quando ne avrà voglia verrà lei,

così la stiamo solo spaventando» propose un ragazzo pallido e perfetto. l’attenzione di Joy si concentrò per un attimo su di lui, per poi spostarsi sulla ragazza con la pelle color caffè e i capelli rosso fuoco che parlò in quel momento.

«la tua sensibilità mi commuove, Ettore!» poi si avvicinò a Joy e le porse la mano.

«Io sono Ortensia, ben arrivata».A quel punto si fecero avanti anche i due ragazzi che erano

rimasti in disparte. Il primo, mingherlino e pieno di riccioli castani, si chiamava Giona e non aveva smesso di sorridere a Joy da quando era entrato ─ anche se lei non lo aveva notato ─ l’altro, più alto e con gli occhi un po’ a mandorla, era Leo.

«Dove sono?» sussurrò Joy.Tutti sapevano il suo nome e le sorridevano amichevolmente

come se non facessero altro che aspettarla da tempo, lei inve-ce non aveva idea di come fosse arrivata lì e cosa ci facesse.

«Ora fai parte di questa famiglia, ma ti assicuro che adesso è meglio cenare. le spiegazioni sono lunghe e complicate, non

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è questo il momento» disse dolcemente Belit, la strana signo-ra, accarezzandole i capelli neri e lisci, poi uscì dalla stanza invitando tutti a seguirla. Finalmente Joy rimase sola. Sentiva voci e rumore di piatti provenire dalla camera accanto alla sua ma si sforzò di non farci caso, voleva assolutamente capire cosa le stava succedendo. In quel momento si rese conto che le uniche cose che sapeva erano il suo nome e quello di chi le si era appena presentato. la sua testa era vuota e dolente, non aveva ricordi ma solo un vortice di confusione che la fra-stornava. Stare sola la angosciava ancora di più, così si alzò. Indossava una lunga vestaglia di mille colori che le ricordava quella di Belit, e quasi sicuramente le apparteneva, vista la misura, e dei calzini di spugna blu. Seguì la luce e le voci ed entrò in cucina. Anche quella stanza era piccola, ordinata e colorata. Ogni parete era pitturata in modo diverso: una gialla, una arancione, una verde e una viola. Al centro c’era un tavolo rettangolare apparecchiato con una tovaglia a quadri rossi e un servizio a fiori. Fra Ettore e Berta c’era un posto per lei. Joy si sedette e proprio quando Belit mise a tavola una grossa pentola piena di brodo di pollo si ricordò di avere uno stoma-co, o qualcosa che gli somigliava. Di fronte a lei c’era Giona che per tutta la sera la osservò in modo discreto e gentile. Joy scrutò attentamente i suoi commensali, uno ad uno. cercava in loro qualcosa di familiare e conosciuto, senza nessun ri-sultato. Solo quando il suo sguardo incontrò quello di Giona guizzò in lei un’emozione strana, ma nient’altro.

Mentre tutti scherzavano e chiacchieravano, la sua angoscia si placava. Era come guardare la TV da un divano comodo, si sentiva un’estranea in un contesto accogliente che le piaceva. Dopo il brodo arrivarono due teglie di patate e molto vino. Ettore le riempì il bicchiere poi alzò il proprio in aria.

«Un brindisi per la nostra nuova sorella, benvenuta a casa Joy Hallett!».

Tutti alzarono i bicchieri pieni, esultarono e le sorrisero, a quel punto timidamente sorrise anche lei. Belit mise in tavola un vassoio di biscotti fumanti che sparirono nel giro di pochi secondi. Il vino continuava a girare da un bicchiere all’altro, solo Belit e Giona erano ancora sobri.

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«Giona, portala in camera sua!» esclamò Belit iniziando a sparecchiare.

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, liberò Joy da un monologo di Ortensia e la accompagnò al suo letto tenendola per mano.

«Ti va di vedere un film?» le chiese avvicinandosi allo scaf-fale dei film di Berta.

«Solo se si tratta di una commedia».Giona ne scelse una, accese il vecchio televisore e si sdraiò

accanto a Joy. Il torpore che le asfissiava il cervello iniziava a liberarla lentamente e Giona, che le stava vicino in silenzio, la faceva sentire meglio. Prima che la commedia terminasse, con gli stomaci pieni, si addormentarono sfiorandosi delica-tamente.

***

Passarono alcuni giorni prima che Joy si sentisse totalmente lucida e che le sue giornate perdessero i contorni sfumati del sogno. Una mattina si svegliò presto, pronta a chiedere spie-gazioni.

«Buongiorno cara, va meglio oggi?».la voce di Belit era calda come i biscotti che aveva appena

sfornato. I suoi occhi piccoli e blu le sorridevano. Aveva il grembiule sporco di farina e le mani forti, sembrava una non-na affettuosa pronta a coccolarla. Joy si sedette accanto a lei e non rispose. Aveva voglia di piangere e sussultava per spin-gere le lacrime indietro. Belit si sfilò il grembiule, le sedette accanto e le porse un biscotto.

«lo so perché piangi... vorrei aiutarti ma ancora, dopo tanto tempo, non sono brava in questi momenti... e poi ho promes-so a Giona che sarebbe stato lui a spiegarti tutto. Però una cosa voglio dirtela, qui sei al sicuro, sei a casa. So che è la tua prima volta a Gwenever ma ti abituerai, presto capirai tante cose e ti dico anche che un giorno ci tornerai!».

Ascoltare Belit era come bere una camomilla, riusciva a cal-mare e rilassare. Joy si asciugò il viso con il dorso della mano

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e, anche se effettivamente aveva capito poco, stava meglio. le sorrise per ringraziarla.

«cos’è quella faccia, Joy? Abbiamo appena deciso di orga-nizzare un torneo di nascondino, levati quella vestaglia e fatti dare un paio di jeans da Berta!» ordinò Ortensia prendendola per le mani e tirandola su. Berta aveva già preparato dei vestiti puliti per lei.

Il sole era alto e forte, il vento lieve e piacevole. Era la prima volta che Joy metteva piede fuori e rimase sconvolta quan-do vide cosa c’era in giardino. Un cancello bianco e scolorito divideva l’ingresso di casa da un cimitero sterminato. Tutti risero della sua faccia.

«Nessuno ti ha spiegato niente? Belit è una guardiana di ani-me dannate, ma buone! Tutte quelle anime che sono state ma-ledette o non battezzate nel periodo della caccia alle streghe e dell’Inquisizione! Ma è anche custode di anime di passaggio come le nostre, in giro troverai la tua lapide» disse leo, con la naturalezza di chi sta osservando il tempo. Joy si sentì man-care. Fu investita da un conato di vomito all’idea di essere a pochi passi dalla sua tomba e credette di trovarsi prigioniera in un covo di pazzi. Anche se aveva perso la memoria, era sicura che nei suoi ricordi non ci fosse niente che riguardasse guardiani di anime, streghe o simili.

«Ma cosa le stai dicendo? la stai sconvolgendo e spaven-tando, prima di spiegarle queste cose dobbiamo fare un di-scorsetto! Joy, dimentica tutto quello che hai sentito, siamo in un cimitero abbandonato e dobbiamo giocare a nascondino, ok?» disse Giona in tono rassicurante dandole una pacca sulla spalla. Joy si sforzò di restare in piedi, ma le sue gambe ce-dettero.

Ettore la prese al volo, cercò di non ridere e la adagiò a terra, poi le soffiò in faccia per rianimarla.

«Gwenever chiama Joy!».Tutti risero, pochi secondi dopo lei si rimise in piedi.«Ok, giochiamo».«Tu in coppia con me, sola potresti perderti!» le disse Orten-

sia prendendola a braccetto e schiacciandole un occhiolino.

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«Dato che Joy gioca per la prima volta non la faremo conta-re, si annoierebbe!».

«Ortensia, quanto sei furba! Ma al prossimo giro Joy viene con me» disse Ettore con tono mellifluo. Ortensia gli rispose con un gestaccio. Tutti, tranne Joy e la sua accompagnatrice, si disposero a cerchio.

«Buttiamo un numero!» esclamò Berta.Al centro del cerchio vi erano quattro mani, Berta contò

fino a diciotto.«conta Giona!».Giona sbuffò, odiava contare, ma andò a poggiarsi con le

spalle contro un albero morto e bruciacchiato.«Arrivo fino a cento!» urlò, ma erano già spariti tutti.«Guarda dove metti i piedi, stellina» avvertì Ortensia. In

quel momento Joy abbassò lo sguardo e notò le radici esplosi-ve che smuovevano la terra insieme a blocchi di marmo mal-messi. la voce di Giona echeggiava fra le tombe, era arrivato a quarantasette.

«Ti porto nel mio nascondiglio preferito, ma non dire a nes-suno dov’è!» esclamò Ortensia, continuando a correre con un bel sorriso stampato in faccia. Joy, ansante, cercò di biascicare un sì, ma riuscì solo ad emettere un rantolo e a evitare una storta. Il cielo si era ingrigito. Ortensia si infilò in un cunicolo di tombe monumentali: erano angeli monchi a misura d’uo-mo, donne in lacrime e bambini tristi. Ortensia frenò davanti a una lapide di marmo annerito su cui erano adagiati due an-geli paffuti, sormontata da un cespuglio spinoso.

«cento! la caccia inizia!» urlò Giona.«Aiutami a spingere, Joy».«cosa?».«Spostiamo la lapide!».«che schifo, sei pazza?».«Qui nelle tombe non trovi cadaveri, solo anime scorbuti-

che, se sei sfortunata, ma non è il nostro caso. Sei a Gwenever, stellina, ma forse ogni tanto lo dimentichi! le tombe come la tua, che sarà qui da qualche parte, sono... dei mausolei, in-somma. Sono i luoghi della memoria della nostra vita oltre la vita. Quando vorrai potremo andare a cercare la tua, e capirai

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meglio... e comunque questo è solo un vecchio nascondiglio per ladruncoli» aggiunse Ortensia sbuffando, perché Joy non si decideva a darle una mano e dovette fare tutto da sola, poi senza darle il tempo di ribattere la tirò giù e insieme richiusero la lapide.

«Berta trovata!».«Di solito ci mettiamo di meno a trovarla, sta migliorando»

ridacchiò Ortensia.Si udirono passi rapidi sul terreno accidentato, poi nell’aria

scoppiò la risata divertita e soddisfatta di Giona.«Ovviamente Berta non ha fatto “libera”» spiegò Ortensia

facendo spallucce.Nel frattempo Ettore si fiondò giù da un ramo, ruzzolò in

una pozza di fango ma si rialzò in tempo per buttarsi con tut-ta la forza che aveva contro l’albero bruciacchiato.

«libera!».«con lui è noioso giocare, vince sempre» commentò Ortensia.«E tu sei brava?».«Abbastanza, spero di non dover rallentare a causa tua!».«Non ti assicuro niente» disse Joy, un fianco le faceva ancora

male per la corsa di prima.«Visto leo!».Giona correva spingendo al massimo della sua velocità, an-

che se non era necessario perché leo non era esattamente uno sportivo, anzi, ogni tanto l’ombra di una piccola pancia faceva capolino dalla cintura dei suoi pantaloni. Naturalmente Giona arrivò per primo e si sedette sulla lapide smossa dalle radici dell’albero-casa. Senza toccarlo, aspettò che leo fosse a pochi passi da lui, poi con una faccia da sbruffone puntò l’indice contro la corteccia bruciata. leo si lasciò cadere sulle ginocchia e sdraiato sulla terra brulla, sfinito, iniziò a ripren-dere fiato e il rosso fuoco dalle sue guance lentamente svanì.

«Ortensia e Joy, ora sono tutto per voi!».

Ortensia spostò la lapide, aiutò Joy a tornare all’aria aperta e la richiuse. Raccolse delle pietre abbastanza grosse e le lanciò con alcuni secondi di distanza l’una dall’altra, dal lato opposto rispetto al suo nascondiglio. Joy la imitò.

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«Mentre Giona penserà che siamo da quella parte, noi an-diamo dritto».

Ortensia si arrampicò, agile come una scimmia, su un albe-ro dal tronco possente. Anche questa volta Joy la imitò ma si graffiò uno zigomo, le mani e la schiena. I rami erano robusti come vecchi pontili, le ragazze vi camminarono facendo at-tenzione e poi provarono a saltare sull’albero successivo. Joy piombò a terra con un tonfo sordo, strozzando un urlo di dolore. Ortensia si mise una mano in bocca per non scoppiare a ridere, con un balzo arrivò a terra e la aiutò a rimettersi in piedi.

«Per me questa è la strada più veloce, ma con te arriverem-mo nella prossima vita, su corriamo!».

Giona conosceva un falso nascondiglio di Ortensia, esatta-mente nella direzione in cui lei aveva lanciato le pietre. Mentre si acquattava fra una lapide e l’altra, le due ragazze avevano raggiunto l’albero-casa.

«libera per tutti!» urlò Ortensia. Joy intanto era a terra, tra-felata. L’ultima volta che aveva corso fingeva di essere una ladra, aveva avuto circa dodici anni. Quando il suo respiro tornò regolare realizzò che quello era il primo ricordo che le veniva in mente, sorrise a se stessa. Nascondino era davvero un bellissimo gioco. Qualcuno le sfiorò il collo, lei sobbalzò.

«Ehi, calma... sono io! Alzati, ora giochi con me».Era Ettore che le sfiorava la schiena con tocchi delicati. Joy

sentì un fremito attraversarle la spina dorsale come una scossa elettrica.

«Forza, buttate un numero!» strillò leo.«No! conto io» disse Berta, dispiaciuta.«Fantastico, ci vediamo domani mattina» sbuffò Ortensia.«Arrivo fino a centotre» disse Berta, con indifferenza, por-

tandosi indietro i capelli corti e sudati. Finché poteva, evitava qualsiasi discussione. Un attimo dopo era sola con il tronco bruciato.

«con Berta che conta possiamo farci una bella passeggiata» disse Ettore in tono di scherno.

Joy gli stava dietro evitando di toccarlo. Anche di spalle era bellissimo e statuario, le sue braccia erano disegni armoniosi.

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Distratta dai movimenti sinuosi di Ettore, non si accorse di avere davanti a sé un piccolo burrone.

«Aggrappati alla mia schiena».«Non mi sembra necessario».Ettore la prese da un braccio e la tirò a sé, il naso di Joy

arrivava alle sue labbra.«A me sì».Senza ribattere Joy gli strinse le gambe intorno ai fianchi,

si tenne alle sue spalle forti e affondò il viso nei suoi capelli castani e lisci che avevano un profumo secco e aromatico. Ettore fece qualche passo indietro, poi saltò.

«Ora puoi scendere se vuoi».I due avanzarono di pochi metri, poi il ragazzo scostò una

tenda di radici e foglie secche che pendeva dal terreno sovra-stante, rivelando una piccola caverna.

«Entra e non dire a nessuno che questo è il mio nascondi-glio!».

«ci sono serpenti o vermi?» chiese Joy titubante.«chissà, ma tanto al buio non si vedono!» rispose Ettore

spingendola dentro e lasciando ricadere la tenda. I loro corpi erano premuti contro la terra umida. Joy tremava all’idea che qualche animale viscido e molle potesse entrarle nei vestiti e schiacciarsi sulla sua pelle.

«Avanti principessina, vieni qui» disse Ettore sbuffando e ab-bracciando Joy in modo che potesse poggiarsi sul suo petto.

«Ora va meglio, grazie».«Quando sentiremo arrivare qualcuno saliremo sull’albero

proprio sopra di noi, da lì prenderemo la mia scorciatoia e avremo un leggero vantaggio rispetto a Berta».

«No, niente alberi! Prima con Ortensia sono arrivata a terra, mentre provavo a saltare da un ramo all’altro!».

Ettore cercò di trattenersi ma poi iniziò a ridere senza con-tegno, Joy gli mollò una gomitata.

«Non preoccuparti, ci penso io».Non passò molto e si sentirono passi incerti muoversi verso

la piccola caverna.«c’è qualcuno?» era la voce mielata di Berta.Senza preavviso Ettore spinse Joy fuori dal nascondiglio e

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come se fosse un sacco di patate se la caricò sulle spalle, poi agile come un gatto saltò sull’albero più vicino e superò la rete che divideva il territorio delle lapidi su cui avevano giocato fino a quel momento, da uno più solitario che Joy non aveva notato. Si ritrovò in un prato immenso disseminato di croci bianche. Si perdeva a vista d’occhio, leggermente pettinato da un venticello leggero che tra le lapidi monumentali e i grossi alberi non riusciva ad arrivare.

«Il terreno è in pendio ma tu fatti forza con le croci e cor-ri!» tagliò corto Ettore, senza darle modo di guardarsi ancora attorno.

Joy, in pendenza e zigzagando fra le croci, non riusciva a tenere il passo. Dopo circa sei metri, Ettore, facendo leva su una staccionata di metallo nero, balzò dentro un recinto. Joy invece di farsi forza sulla staccionata, vi si lasciò andare facen-do penzolare le braccia in avanti e cercando di recuperare una respirazione normale. Dopo qualche minuto riuscì a scavalca-re e finalmente i suoi piedi poggiarono su un terreno piano. la terra recintata era poca e custodiva vecchi alberi morti, tut-ti stretti e aggrovigliati intorno a un masso piantato nel fango, su cui si sedette immediatamente. Ettore ridacchiò.

«che hai da ridere?».«Niente, ancora per poco!».In quel momento Joy sentì una folata di aria gelida sul collo.«Tu, zombie idiota, togli il tuo sedere tracotante dalla mia

lapide!» urlò una voce isterica e ghiacciata. Joy terrorizzata schizzò a nascondersi fra due arbusti, tremante come una fo-glia.

«Non ci sono lapidi qui» bisbigliò a Ettore. Poi spostando timidamente lo sguardo sul masso si sentì mancare. Una figu-ra di fumo, evanescente, e circondata da luce bianca e flebile, fluttuava a mezz’aria fissandola con aria minacciosa. Era una ragazza magra e lentigginosa, dai tratti spigolosi e i capelli rossi e lunghi fino ai fianchi, come quelli di Joy.

«No, stupida idiota! E cosa ti sembra questa?».Ettore rideva tenendosi la pancia, Joy gli lanciò una ghianda

marcia in fronte e poi cercò nel masso qualcosa che lo facesse somigliare a una lapide. Fondendosi con il vento la ragazza

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inconsistente si fiondò su Joy e la strinse per la collottola, poi la trascinò verso la pietra. Ettore smise di ridere e iniziò a soffiare e aiutandosi con le mani pulì la facciata del masso, svelando un’incisione consumata dal tempo:

“Ad Anna,il mio unico amore.ci ritroveremo presto, ti cercherò ovunque,Mattia”.

Joy sentì una lacrima rigarle il viso, era sempre stata roman-tica.

«Scusa, Anna, ma io non lo sapevo...».«Sei perdonata per questa volta, ora andate via! E tu, caro

Ettore, sei il demone bianco più odioso che esista!».I due tornarono alla tana senza fretta, erano tutti lì tranne

Berta.«libera per tutti!» urlò Ettore.Joy si sedette per terra con le gambe incrociate e la faccia

stravolta.«che è successo a Joy?» chiesero tutti.«Ha solo conosciuto Anna!».«Mi hai portata lì per farmi spaventare, per ridere di me! Sei

davvero odioso, ha ragione Anna» disse Joy, poi si alzò e si in-camminò verso casa. Ortensia provò a fermarla ma lei si chiuse la porta alle spalle, senza nemmeno voltarsi a guardare indietro. Quando la sera dopo cena Ettore propose di andare a giocare a nascondino, Joy filò nella sua stanza sbattendo la porta con violenza. Ortensia fece per seguirla ma Belit la fermò.

«Non credo che il cimitero di notte sia il posto migliore per lei, adesso. Andate pure, riposarsi non le farà male».

Uscirono tutti, quando Joy sentì che il gioco era iniziato uscì anche lei. Si sedette sulla soglia dell’uscio di ingresso e chiamò Queeny, il gatto nero.

«Ti insegno un gioco» disse, mentre Queeny si acciambel-lava sulle sue ginocchia. Vicino a un vaso di gelsomino c’era una pallina di gomma verde e nera. Joy la mostrò al gatto poi la lanciò.

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«Vai a prenderla!» esclamò, incitando il gatto a correre con un buffetto sul sedere, ma Queeny la guardò con i suoi oc-chioni gialli e pacifici, le strofinò il muso sulla guancia e tornò a ronfare.

«Vuoi insegnare il riporto a un gatto?».«ce l’ho fatta con un coniglio» era il secondo ricordo che le

tornava in mente.Giona le sedette accanto e le sfiorò dolcemente una spalla.«Ettore oggi è stato molto stupido, ma forse sono stato stu-

pido anche io perché dovevo venire a parlare con te prima».l’aria fredda della sera era piena del canto dei grilli, in lon-

tananza, oltre il recinto bianco di casa di Belit, si vedeva il profilo di un campo di grano mosso dal vento e illuminato dalla luna pallida.

«Sono pronta, parla».«Be’, io non so proprio da dove cominciare. Gwenever è

il luogo dei non morti e dei morti. Delle persone che sono morte sulla terra e ora sono qui in attesa della loro prossima vita e di chi invece facendo del male ha consumato la propria anima ed è condannato a passare qui l’eternità. Noi siamo demoni bianchi, vuol dire che siamo state persone buone. Poi ci sono i demoni neri, quelli che hanno commesso qualche errore, non troppo grave. Demoni bianchi e neri sono a Gwe-never di passaggio. Infine ci sono le anime che passeranno qui l’eternità, i dannati. Anche loro, come i demoni, si dividono in due categorie. I primi sono quelli che dormono qui nel nostro cimitero o in altri simili, come Anna. lei è stata accusata di stregoneria nel 1307 ed è morta bruciata viva, maledetta dal suo popolo. Fa parte di quella schiera di fantasmi che la gen-te viva crede di sentire nelle vecchie case abbandonate o nei castelli antichi. I secondi sono molto pericolosi, sono quelli che hanno perso ogni possibilità di riscatto commettendo in vita crimini atroci. Sono mostri costretti a vagare senza mèta nell’eternità, non devi mai fidarti di loro. Potrebbero rubarti l’anima perché leggende antiche e oscure narrano della pos-sibilità di appropriarsi del soffio vitale di qualcun altro... non so se questo sia vero, ma so per certo che se un dannato ti strappasse l’anima faresti la loro stessa fine! E sta’ lontana

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dal quartiere Kirkoff, e lì che vivono. Ah, c’è un’ultima cosa che devo dirti... quando a Gwenever arriva una nuova anima vengono convocati tutti coloro che in vita la conoscevano, parenti e amici, se viene convocata più di una famiglia queste discutono per decidere chi accoglierà il nuovo arrivato».

Joy era perplessa, a tratti sconvolta e terrorizzata. Si palpava il viso e le braccia e li sentiva caldi sotto le dita. Eppure era morta.

«E chi mi ha voluta qui?» chiese, anche se una mezza idea già l’aveva.

«Io... non so come ci siamo conosciuti, ma quando ti ho vista il tuo volto mi è subito tornato alla mente».

«come sarebbe a dire che non sai come ci siamo conosciuti?».«Non sono per niente bravo con le spiegazioni. A Gwene-

ver non abbiamo ricordi delle nostre vite passate, ciò che sia-mo stati lo sanno solo i custodi come Belit. Ogni custode ha un gruppo di anime in affido, una famiglia come la nostra, e si dice anche che conservino i ricordi non so dove... in stanze grandi come dei musei forse! Tutto questo giro di parole per dirti, quindi, che da vivi ci siamo conosciuti, ma non posso sapere né come, né dove.

«Ma io ho dei ricordi, a volte! Sono banali, ma appartengo-no a me, da viva...».

«Nella nostra anima resta tutto scritto, è come se fosse un diario segreto, quindi può capitare che una situazione ne ri-chiami un’altra ma si tratta solo di immagini o sensazioni».

«E... che mi dici della mia tomba?».«Questo è ancora più complicato da spiegare, è meglio che ti

porti a vederla direttamente» rispose Giona, in imbarazzo.Joy gli sorrise e lo abbracciò.«l’idea di essere morta non mi piace molto, ma grazie per

avermi voluta con te».«Ma tu qui non sei morta! È la prima volta che vieni a Gwe-

never, non hai la minima idea di cosa ti aspetta! I veri morti, qui, sono i dannati, quelli senza speranza a cui non resta altro che farsi schiacciare dall’eternità. Una cosa muore quando è finita. Tu non sei ancora finita!».

Joy ammise a se stessa di essere stordita e confusa, forse

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anche spaventata, ma non aveva voglia di sentire altro né di mettere Giona in difficoltà e per questo lo seguì in silenzio senza fare altre domande.

«libera per tutti!» gridò Ortensia non molto lontano.«Per stasera basta, fa troppo freddo» disse Berta.Giona prese Joy per mano e la guidò lungo uno stretto sen-

tiero di selciato nascosto da rovi e arbusti, che scorreva lungo la linea di recinzione del cimitero. camminarono per qualche mimuto che a Joy sembrò infinito, finché non si fermarono a pochi passi da una piccola piazza cinta da uno steccato di le-gno chiaro e chiusa da un cancelletto in ferro battuto decora-to con grosse rose nere. Al suo interno custodiva sette lapidi tutte uguali. Erano lisce e bianche, ordinatamente conficcate nel terreno, separate da file di fiori notturni aperti alla luce della luna. Sotto ogni lapide c’era una ciotola d’argento, e al suo interno riluceva una fiammella.

«Vuoi entrare?» chiese Giona.Joy annuì.La sua tomba era in prima fila accanto a quella di Berta.

Quando sfiorò la propria foto con l’indice sentì il flusso del sangue fermarsi e il calore della sua pelle diventare ghiaccio bruciante.

QUI GIAccIONO I RIcORDI DIJOY HAllETT

cUSTODITI DAllA GUARDIANA BElITcHE DI lEI SI PRENDERÀ AMOREVOlMENTE cURA.

GWENEVER: X

ANNO TERRESTRE DEllA MORTE: 2009

«che vuol dire “Gwenever X”?».«che è la prima volta che vieni a Gwenever, sei un’anima

giovane! Il più vecchio di noi è Ettore» disse Giona accompa-gnando l’amica alla lapide di Ettore e sottolineando la dicitura finale dell’incisione:

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GWENEVER: XXXXANNO DEllA MORTE TERRESTRE: 1343 - 1532 - 1796 - 1998

Joy si sentì mancare. Impallidì e dovette sedersi sul selciato perché le gambe le tremavano.

«Si può stare a Gwenever tutti questi anni?».Giona ridacchiò.«Non esiste il tempo qui!».«Sono l’unica ad essere stata a Gwenever per la prima volta

nella nostra famiglia?».«Sì. le anime nuove come la tua sono rare. Potresti anche

essere stata concepita proprio qui a Gwenever quindi tecnica-mente saresti già stata qui, ma quella volta, ammesso che sia così, non vale. la conta parte dalle morti».

Joy deglutì, quella cosa era sicura di non averla capita dav-vero.

«Giona, ti ringrazio davvero. Avevo proprio bisogno di par-lare con te, ma forse è meglio che io ora vada a letto».

«Ti accompagno».Tornati a casa Joy lo baciò su una guancia, cercò Queeny

perché si sentiva meglio quando dormiva con lui, ed entrò nella sua stanza. Sul termosifone era piegato il suo pigiama rosa. Era caldo e soffice, indossarlo fu un sollievo. Queeny era già sotto le coperte e Joy lo raggiunse subito. Stava per ad-dormentarsi quando qualcuno aprì la porta, ma non vi badò, convinta che fosse Berta. Quel qualcuno invece si sedette sul suo letto e le scostò i capelli dal viso.

«Scusami per stamattina».«lasciami in pace, voglio dormire!» esclamò Joy riconoscen-

do la voce di Ettore e voltandosi dall’altro lato.«Non pensavo che ti saresti spaventata così, dai guardami

un attimo».«Solo se dopo mi lasci dormire».«Va bene».Joy prese Queeny in braccio e si mise a sedere.«Togli questo gattaccio!» esclamò Ettore scacciando il gatto.

Queeny gli diede una zampata su un ginocchio e si andò a sdraiare sul letto di Berta soffiando e digrignando i denti.

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«Volevo perdonarti ma ora ho cambiato idea» disse Joy infa-stidita dalla sua prepotenza.

Si fissarono per un attimo, poi Ettore poggiò la testa sul cuscino a pochi centimetri dalla sua e iniziò ad accarezzarla... finché Berta non aprì la porta, ma la richiuse subito, rossa per l’imbarazzo.

«Forse dobbiamo salutarci per stasera» disse lui stampando-le un bacio in fronte e dileguandosi. Joy riprese Queeny fra le braccia e Berta entrò.

«Scusa» mormorò.«Tranquilla, è anche la tua stanza ora!».

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cAPITOlO II

Joy, Giona e leo erano impegnati con Queeny: volevano a tutti i costi insegnargli a fare il riporto. così da qualche setti-mana tutte le sere, dopo cena, si sedevano davanti casa e co-stringevano il povero gatto a rincorrere la sua vecchia pallina. Quando Queeny riusciva a scappare, esausto e nervoso, loro rimanevano fuori, a volte fino all’alba, a parlare e ridere. Ogni tanto Ettore spiava Joy da una finestra della cucina nascosta da una tendina verde e un panciuto vaso di gerani, la osser-vava per un po’ e poi tornava a guardare la TV o a giocare a carte con Belit. Quando Joy rientrava lui dormiva già da qualche ora.

Un pomeriggio Joy legò la pallina a un filo di spago e chia-mò leo e Giona per andare a sperimentare la sua nuova idea. contro la sua volontà, trascinarono Queeny con loro.

«Ho pensato che tenendo la pallina legata possiamo muo-verla a distanza e, magari, Queeny, vedendo che si muove, avrà la voglia di prenderla».

Joy lanciò la pallina ma il gatto rimase immobile a guardarla con aria annoiata. Dopo alcuni secondi Joy iniziò a strattonare il filo e quello catturò subito l’attenzione di Queeny che tirò fuori gli artigli e vi si fiondò sopra.

«Non ha riportato la pallina, ma almeno siamo riusciti a smuoverlo!» esclamò leo.

«È già un passo avanti» disse Giona mettendo un braccio intorno alle spalle di Joy.

«Piccioncini, la cena è pronta».Quel tono acido e scorbutico era di Ettore, nessuno riusciva

a essere terribilmente irritante pronunciando solo poche sem-plici parole in modo impeccabile e sempre azzeccato come ci riusciva lui.

«Ok, Queeny, hai mezz’ora di libertà!» esclamò Joy, ignoran-do Ettore alle sue spalle.

come sempre Giona si sedette vicino a Joy che era seduta

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vicino a Ortensia. Quella sera Ettore si sedette di fronte a lei e per buona parte della cena la fissò con aria visibilmente arrabbiata.

«chi vuole un’altra fetta di torta?» chiese Belit.Tutti le misero davanti il proprio piatto, Ettore invece si alzò

spostando la sedia rumorosamente, lanciò a Joy uno sguardo sdegnato e uscì. Joy aveva ben capito che Ettore voleva par-larle, ma prima finì il suo pezzo di dolce poi lo raggiunse in giardino.

«che hai?» gli chiese a bruciapelo.«Ti piace Giona, vero?».«Non sono affari tuoi. comunque Giona è un amico, anzi,

il mio migliore amico».«Non credo che se facessi questa domanda a lui avrei la stes-

sa risposta».«Ettore, fatti gli affari tuoi. Devi dirmi altro?».«No. Volevo solo stare un po’ con te, ultimamente il gatto e

Giona sono i tuoi unici interessi...».«Ma non è vero, stupido! E poi non sono mai da sola con

Giona, c’è anche leo con noi» ribatté lei, sorridendogli. Non succedeva da molto tempo.

«Entriamo a vederci un film? Lascia stare Queeny per una sera».

Joy ci pensò su, poi decise di accettare. Rientrando in casa trovò leo e Giona che avevano già catturato Queeny.

«Ettore mi ha chiesto di vedere un film stasera, venite anche voi?» chiese Joy un po’ imbarazzata.

«Perché no, che film?» ribatté Leo, sempre innocente e sma-liziato, ma Giona smorzò subito il suo entusiasmo.

«No, grazie. Sei davvero gentilissima».Afferrando leo per un braccio uscì.«Vedi che avevo ragione? Un amico non se la sarebbe presa

così tanto» sibilò Ettore soddisfatto.«O la smetti o me ne vado» sillabò Joy fissandolo negli occhi

con aria seria e dura.Scelsero un film d’azione, abbastanza violento, e Joy iniziò

molto presto a sbadigliare e a sentire freddo. Ettore prese una coperta dal suo armadio poi si sistemò bene, abbracciò Joy

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e incastrò la testa fra il suo collo e la sua spalla. Si strinsero finché non si riscaldarono. Fuori si era alzato un vento freddo che imprecava contro le finestre e filtrava da ogni fessura. Joy sperò che Giona e leo fossero rientrati, poi si addormentò.

Aprì gli occhi all’alba, si liberò dall’avvinghio di Ettore e corse in camera sua cercando di non svegliare nessuno e spe-rando che Berta non avesse notato nulla. Riprese sonno e non si svegliò finché Belit non sfornò i biscotti per la colazione.

Quando Joy entrò in cucina si accorse che Giona aveva cambiato posto ma accanto aveva ancora una sedia libera che lei occupò subito.

«Buongiorno, ragazzi!».Giona le voltò le spalle e andò a buttarsi sulla poltrona di

Belit per starle il più lontano possibile. Leo le fece cenno di stare zitta e la bloccò quando lei provò ad alzarsi per raggiun-gerlo, offesa e indispettita. Ettore arrivò per ultimo con aria trasognata e rilassata.

«che facce ragazzi, tutto ok?».Ortensia gli mollò una gomitata nello stomaco e gli infilò un

biscotto in bocca. Giona lottò contro se stesso per reprimere l’impulso di lanciargli contro la tegola decorata di Belit appesa alla sua destra, infine reputò saggio tornare nella sua stanza.

«Ha dormito male?» sussurrò Berta, la solita stralunata, a leo.

«Malissimo!» rassicurò lui, per evitare che il discorso potesse avere un seguito.

«Io l’ho detto che ieri sera ha mangiato troppo, voi non mi ascoltate mai ed ecco i risultati!» esclamò Belit con aria dispia-ciuta.

Tutti risero, tranne Berta che ancora vagava con la mente nel suo mondo parallelo. Dopo il terzo panino con la marmel-lata, leo chiese a Joy di appartarsi un attimo.

«I miei sospetti sono realtà» bisbigliò quando furono lontani da orecchie indiscrete.

«che sospetti?».«Sveglia, Joy!» strillò lui «Pensa a un solo motivo plausibile

che gli abbia procurato questa reazione!».

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«Parli di Giona?».«ci sei o ci fai?».Joy iniziò a roteare gli occhi all’infinito come faceva sempre

quando rifletteva o parlava animatamente.«c’è un solo motivo che mi viene in mente, ma non sono

così presuntuosa da affermare che sia questo».«E allora vai a parlare con lui, così vedrai che la tua intuizio-

ne è quella giusta!».«No! Devo avere qualcosa da dirgli, anzi, io non devo dirgli

proprio niente, è lui che mi deve delle spiegazioni».Dopo prediche e giri di parole leo convinse Joy ad andare

a cercare Giona. Lo trovarono nell’angolo più selvaggio del cimitero, seduto su un arbusto, chiuso in un recinto nero, in-tento a parlare apparentemente solo...

«Giona ama parlare con Anna, si somigliano».Alla luce del sole così forte, la ragazza allampanata era quasi

invisibile. Bisognava sforzare la vista per riconoscere i suoi tratti fluttuanti nell’aria. Anna doveva averli visti arrivare per-ché Giona si voltò guardandoli in cagnesco. Ma leo era un abile persuasore, Joy non si fece intimidire e andò a scavalcare il recinto.

«ciao Anna».«ciao gatta morta».Joy sentì uno spruzzo gelido sul collo che le fece svolazzare

i capelli.«Non mi piace che mi schivi senza una ragione» disse Joy

prendendo Giona dal mento e costringendolo a guardarla ne-gli occhi.

«Faccio quello che mi pare».«No, ho passato ogni sera, da quando sono qui, con te e una

mattina tu decidi che non merito nemmeno il tuo saluto?».Giona le spinse via la mano e si alzò, erano faccia a faccia.«Ettore è un cretino, Joy. E tu, come tutte le ragazzine stu-

pide, sei caduta ai suoi piedi! Non voglio che qualcuno giochi con te».

«Non sono una bambina. Sono felice che tu ti preoccupi per me ma non devi reagire così. Sei il mio migliore amico, Giona, conto sempre su di te».

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Giona iniziò ad accarezzarle i capelli, mentre Anna alle sue spalle gli rivolgeva una sequela improponibile di gestacci. Joy ci pensò su per un attimo, poi decise di non chiedergli niente di quello che aveva stabilito con leo e tornarono da lui.

Per quella sera abbandonarono l’idea di costringere Queeny a fare un gioco da cane, e rimasero dentro a guardare un film molto simile a quello scelto da Ettore la sera prima.

«Pessima scelta» sentenziò Giona all’ennesimo sussultò di Joy. Leo però non era tanto più coraggioso, durante le scene più cruente si copriva fino alla fronte. L’unico stomaco di fer-ro era Giona, quello con l’aspetto più dolce e innocuo.

«che ne dite di una partita a carte?» chiese Ortensia, spalan-cando la porta della camera, armata di un sorriso smagliante.

«Veniamo subito!» esclamò Giona, non vedeva l’ora di spe-gnere la TV.

«Il prossimo film sarà una commedia!» dissero all’unisono Joy e leo. Belit fu felice di vedere di nuovo il trio seduto insieme e di sentire che l’armonia nella sua casa era tornata quasi subito.

Ettore provò a barare molte volte ma Giona era determina-to a scoprirlo subito, sembrava davvero accanito contro di lui. Berta e Joy giocavano sempre in coppia ma nessuno era abile come Ortensia e Belit. Queeny invece si rilassava sul divano, si puliva le zampe e si grattava l’orecchio, pronto a fuggire se qualcuno gli si fosse avvicinato.

«Questi sono gli ultimi giorni di libertà che avete!» esclamò Belit.

Joy guardò Giona con aria interrogativa.«Tra qualche giorno inizia il campus! È come un’università,

ti divertirai tantissimo!» spiegò subito leo.«Noi saremo insieme, anche io devo iniziare dal primo anno»

disse Berta a Joy.«Facciamo l’ultimo giro e poi tutti a letto» tagliò corto Belit

mescolando le carte.Vinse Ortensia, si salutarono e si avviarono ognuno nel-

la propria stanza. Berta e Joy camminavano nel corridoio al buio. la loro stanza era l’unica da quel lato della casa, era la più vicina al bagno e allo studio; il corridoio opposto era

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quello più rumoroso, lì c’erano le altre quattro camere. Da quella di Belit uscivano miagolii e musica classica, ma da quel-le di Ettore, Ortensia, Giona e leo uscivano musica a tutto volume, risate e altro ancora. Joy e Berta invece erano le più tranquille. loro quando erano da sole preferivano disegnare, scrivere o leggere. A volte passavano ore a immaginare una storia, disegnare i personaggi e tracciarne la trama.

«Vado un attimo in bagno» disse Joy.Prima che accendesse la luce del bagno sentì qualcuno che

le strinse un braccio e la spinse dentro chiudendo la porta a chiave.

Poi la luce si accese.«Ettore, adesso mi fai anche gli attentati?».«Devo fare questo per poter parlare con te, visto che il tuo

amichetto mi tiene sott’occhio».Joy rise, non aveva tutti i torti.«Io volevo dirti una cosa. Non è giusto che tu sia costretta

a scegliere me o lui. Devi poter stare con chi vuoi, o meglio, con chi vuole stare con te».

«E vuoi stare con me proprio adesso in questo bagno?» chiese Joy ironicamente.

«Mi sta bene ovunque».Gli occhi dolci di Ettore erano fissi in quelli divertiti di Joy,

per la prima volta lei si accorse che li aveva verdi e molto scu-ri, quasi come i suoi.

«Sei adorabile, Ettore. Ma ora credo che sia meglio uscire dal bagno, qualcuno potrebbe averne bisogno».

Ettore chiuse gli occhi e sospirò, le prese il viso fra le mani e la baciò in fronte, poi spense la luce e al buio uscirono.

«Sei tornata finalmente!» esclamò Berta.«Sì ma... non sono riuscita a fare pipì, c’era Ettore in bagno

con me, adesso che è chiuso nella sua stanza posso andare!».«Ettore e Giona stanno un po’ esagerando».«Io non so che fare, si offendono troppo facilmente» bisbi-

gliò Joy dirigendosi verso la porta.«Fa’ presto, ti aspetto sveglia».

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***

Una ragazza con i capelli unti e il viso imbruttito dalla rab-bia si allontanava scalciando come un cavallo imbizzarrito. Anche quella sera i suoi piani diplomatici si erano rivelati un vero fiasco. Lui non voleva saperne, non era affatto malleabile come aveva creduto. Offesa e delusa temette che il suo pro-getto potesse fallire. Se la diplomazia con Romeo Wilton non funzionava, bisognava usare le maniere forti. Avrebbe fatto qualunque cosa per riuscire nel suo intento e avrebbe schiac-ciato senza pietà chiunque si fosse intromesso rallentando o deviando il suo proponimento. Il tempo stringeva e il pericolo che anche quel ciclo si potesse concludere come i precedenti la gonfiava di rabbia e frustrazione. Non le andava più di es-sere considerata una clandestina e una reietta dal suo popolo, solo perché nessuno accettava di unirsi alla sua famiglia. Era arrivato il momento di imporsi, di dimostrare a tutti di cosa fosse capace per raggiungere i suoi obiettivi, adesso non era più importante farsi Romeo amico, potevano anche essere acerrimi nemici. ciò che contava era che lui, consenziente o no, passasse dalla sua parte.

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cAPITOlO III

Joy e Berta tornarono a casa molto tardi dopo il loro giro di shopping sfrenato.

«Vi sono bastati i soldi?» chiese Belit vedendole cariche di pacchi e buste.

«Sì, grazie! Abbiamo comprato anche qualcosa per te!» escla-mò Joy, estraendo da un sacchetto una collana di conchiglie e perline azzurre.

«Non dovevate» disse Belit, si emozionava molto facilmente.Berta e Joy andarono nella camera di Ortensia e scaricarono

lì la loro spesa.«Vuoi vedere cosa abbiamo comprato? Abbiamo trovato

vestiti bellissimi per domani sera» disse Berta iniziando a ro-vistare e a tirare fuori scarpe, pantaloni e abiti.

«certo!» rispose Ortensia aiutandole a svuotare le buste.Il suo letto si riempì di stoffe dai colori e le consistenze più

svariate, adesso bisognava solo stabilire cosa fosse di Berta e cosa di Joy.

«Domani alla festa conoscerai tutti i nostri amici, c’è un ra-gazzo che è arrivato a Gwenever due giorni dopo di te!» disse Ortensia.

«Parlatemi un po’ di loro, non sapete come mi imbarazza l’idea di conoscere tanta gente nuova tutta in una volta!».

«cominciamo da Abigail, che di solito chiamiamo Abby, e il suo gemello Tobia. Li riconoscerai subito anche se Abby è più bassa di Tobia hanno la stessa faccia rubiconda e gli occhi pic-coli e scurissimi. Abby è fidanzata con Eddy, lo riconoscerai sia perché sono sempre fastidiosamente incollati e poi perché lui è il ragazzo più strano, se vogliamo usare un eufemismo, che abbia mai visto e...».

«Ortensia, come sei cattiva!» intervenne Berta dandole un buffetto in testa.

«Ok, vado avanti. c’è un’altra coppietta che è quella di Alvin e Diana, lui lo riconoscerai dalle cravatte improponibili che

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usa, l’ultima volta che ci siamo visti ne aveva una verde acido e fucsia, lei è molto carina, ha i capelli ricci sempre legati. la testa del gruppo è Greta, una dei demoni più belli che abbia mai visto. Ha un viso di porcellana, i capelli lunghissimi e biondi e gli occhi dolci e grigi. l’ultimo arrivato era legato a lei in vita. Di lui non so altro. E poi c’è il loro tutore, il signor Manlio, un vecchio amico di Belit. contenta?».

«Sì, adesso ho una mezza idea di chi mi troverò davanti».

***

Giona aveva stabilito che alle nove in punto sarebbero do-vuto salire in macchina, ma alle nove esatte tutte le ragazze erano ancora accalcate in bagno tra spazzole, profumi e ros-setti.

«Aspetto cinque secondi, poi vado via e se vogliono vengo-no in metro» disse Ettore.

«Io ti seguo!» esclamò Giona, per la prima volta dopo molto tempo erano d’accordo.

«come siete esagerati, si sa che le donne fanno sempre aspettare!» intervenne leo.

«Ha ragione Leo, siate più pazienti!» disse Belit dalla sua poltrona. Mezz’ora dopo arrivarono le ragazze. Ortensia era la più eccentrica. Il corpo scolpito e nero sembrava ricoper-to da una pioggia di diamanti, il suo vestito argentato non passava inosservato. Berta era moderata come sempre, con il suo vestito bianco e corto, ricamato di fiori neri. Joy aveva un tubino rosa, che le scopriva la schiena, coperta comunque dai capelli lunghissimi.

«Sei stupenda» le sussurrò Giona porgendole il suo cappot-to viola. Joy arrossì.

Nel frattempo arrivò leo con il furgoncino bianco e rom-bante di Belit.

Le finestre della casa del signor Manlio pulsavano per la mu-sica sparata a tutto volume, Ettore dovette suonare più volte prima che qualcuno gli aprisse. Infine arrivò Abigail.

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«Sei l’ultima arrivata? Io sono Abby!» esclamò una ragazza formosa con il viso incorniciato da boccoli biondo cenere.

Joy rispose timidamente alla sua vigorosa stretta di mano.«Su, entrate».«Non ricordo se ho chiuso il furgoncino, arrivo subito. Fam-

mi compagnia Joy» disse Ettore, dopo aver salutato Abigail. Joy lo seguì, per non sembrare scortese.

Il furgoncino era chiuso.«Entriamo, fa freddo!».«Volevo solo guardarti bene».«Mi fai sempre vergognare!».«Senti Joy, c’è una cosa che voglio fare da un sacco di tem-

po...».Prima che Joy riuscisse a scappare Ettore la prese dai fian-

chi, non le diede il tempo di ribattere e la baciò.Joy sentì il cuore partirle a mille battiti al minuto, non per

l’emozione. Pensò di respingerlo, ma non lo fece perché non voleva ferirlo. Poi pensò alle conseguenze di quel bacio, al freddo che le mordeva le gambe e sperò che nessuno venisse a saperlo. Finalmente Ettore si staccò, sorrideva, sembrava il ragazzo più felice del mondo. Joy ricambiò il sorriso, anche se il suo era forzato e titubante. Sperava solo che il suo compa-gno non si mettesse strane idee in testa e che tutto finisse lì.

Quando suonarono, aprì la porta Giona.«Joy, aspettano tutti te!».«Oh, no! Non potete presentarmeli uno ad uno in stanze

separate?».«Non sei la sola ad essere così restia alla gente nuova, Ro-

meo si sente in imbarazzo come te» la consolò Giona.Romeo era il nuovo ragazzo, Joy lo individuò subito perché

non corrispondeva a nessuna delle descrizioni che le aveva fornito Ortensia. Era seduto su una poltrona nell’angolo più buio del salotto, illuminato solo da due lampade. Indossava una camicia bianca che faceva risaltare la sua pelle ambrata. Aveva uno sguardo malinconico e orientale e i capelli nerissi-mi e spettinati.

«ciao Joy!» un coro ridente la investì, seguito da tante mani che stringevano la sua. Joy cercò di rispondere gentilmente a

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tutti senza impappinarsi e quando la folla si disperse arrivò Romeo.

«Mi sento un po’ fuori posto, ma dalla tua faccia credo di non essere l’unico».

Quella fu la conoscenza che Joy gradì di più e che le strappò un sorriso.

«Anche lui è nuovo come te, ci conoscevamo in vita, sai?» esclamò Greta abbracciandolo. Romeo rimase rigido come un palo, poi sotto lo sguardo minaccioso di Greta, ricambiò l’abbraccio. Erano tutti troppo concentrati su Joy e Romeo per accorgersi di cosa succedeva in fondo al salotto, dove era tutto avvolto nell’ombra.

«E noi non siamo inclusi nelle presentazioni di famiglia?» sibilò una voce inquietante. Tutti si voltarono verso la grande finestra in fondo alla stanza. Una ragazza con gli occhi piccoli e maligni, i capelli oleosi appiccicati al viso squadrato, la bocca larga e il corpo mascolino li osservava con aria impertinente, reggendosi a un angolo della libreria. Al suo seguito tre uomi-ni oscuri e cavernosi quanto lei.

«Frida non sei gradita» ringhiò Greta.«E nemmeno i tuoi amici» aggiunse Alvin.«A Romeo fa piacere la nostra visita, vero?» chiese Frida con

un sorriso mellifluo avanzando verso il centro della stanza.«Solo se fa piacere a tutti». «E questi chi sono?» chiese Ortensia sconvolta. «Nessuno di importante» rispose Greta con aria di sfida.Il quartetto rise, latrò. Joy sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene.«Non puoi pretendere che sia tutto per te» intervenne il de-

mone più alto, aveva una dentatura perfetta e capelli ispidi e neri.

«Ma posso pretendere che voi usciate subito da casa mia, Demiro» ruggì la ragazza.

Giona spinse Joy su un divano, Tobia fece lo stesso con Romeo.

«che succede?» farfugliò Joy intuendo che le cose si mette-vano male.

le due famiglie si schierarono con i pugni serrati davanti al quartetto.

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«In questa casa i demoni neri non sono ammessi, non fate-velo più ripetere» disse Alvin.

le espressioni gradasse sul volto di Frida e dei suoi scagnoz-zi sparirono e comparvero occhi di fuoco e denti serrati.

«Se Romeo si alza ed esce con noi non succederà nulla» dis-se un demone biondo con una guancia segnata da impercet-tibili cicatrici.

«Boris, le tue minacce non spaventano nessuno» ribatté Eddy. lui sì che faceva paura. Era alto e massiccio il doppio di Demi-ro, con il volto segnato dalla rabbia era quasi animalesco.

«Non finché non avremo stabilito un patto» disse l’ultimo demone, il più piccolo e magro, con la faccia lunga e il sorriso furbo.

«cesare, parli anche tu?» scherzò Ettore.Il demone ringhiò.«O scendiamo a compromessi o non ci muoviamo da qui»

tagliò corto Frida.In quel momento Greta scattò. con un balzo fulmineo e le

mani a mo’ di artigli si avventò su Frida. Da quell’istante Joy non distinse più nulla. Lei e Romeo si tenevano per mano sul divano accucciati e terrorizzati, sussultando a ogni gemito di dolore senza sapere nemmeno a chi appartenesse. Regnava la totale confusione. I mobili venivano sbalzati via per non intralciare il passaggio, dietro un tavolo volante si nascondeva Boris che soccombeva a Ettore, a pochi passi da loro Frida riuscì a bloccare un colpo di Greta e a immobilizzarla.

«Demiro, vieni!» gridò contratta per lo sforzo. Il demone lottava contro Berta ma per liberarsi velocemente di lei la pre-se dalle spalle e la scagliò contro un muro. Ettore lasciò Boris a Diana e Giona, e con Abby e Tobia accerchiarono Frida e Greta impedendo a Demiro di raggiungerla. leo, Alvin e Eddy si lanciarono contro cesare che aveva tentato di attac-care Ortensia alle spalle. Quando il passaggio fu sgombero, Joy e Romeo gattonarono dietro un divano per raggiungere il corpo di Berta svenuto.

«Trasciniamola su un divano» disse Joy mentre la prendeva dalle braccia. Romeo la afferrò dai piedi e sempre attenti a non farsi vedere troppo, cercarono di tornare al loro posto.

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«Boris, prendi Romeo e portalo qua!» urlò Frida, la sua voce sembrava un rantolo proveniente da una caverna.

Quando Boris si avvicinò a Romeo con aria sbruffona, Joy lasciò Berta per un attimo e gli lanciò in faccia un vaso mezzo rotto.

«Schifosa ragazzina!» ringhiò il demone coprendosi un oc-chio e indietreggiando. Sanguinava copiosamente e per un at-timo Joy temette di averlo accecato, ma quando Boris si ripulì con il dorso della mano vide che i suoi occhi erano sani, gli aveva solo squarciato il viso dallo zigomo al labbro.

«Grazie» disse Romeo caricandosi Berta sulle spalle. con Joy che gli copriva la schiena arrivarono al divano e la fece-ro sdraiare. I demoni neri erano in netto svantaggio, Boris era fuori gioco perché il taglio sul viso era fresco e il sangue gli scivolava viscosamente in bocca provocandogli nausea e impedendogli di respirare bene. Era meglio tagliare la corda prima che la situazione peggiorasse.

«Non finisce qui» disse Frida, scagliando una gomitata sui denti ad Alvin e tuffandosi fuori dalla finestra. Con la stessa velocità sparirono anche i suoi scagnozzi.

«Tu me la pagherai!» urlò Boris prima di correre via.Per pochi istanti rimasero tutti pronti all’attacco temendo

una finta uscita di Frida e un ritorno a sorpresa, ma quando si resero conto che ormai il pericolo era passato si rilassarono.

«Manlio ci ucciderà» borbottò Greta, sfiancata.«Ti aiuteremo tutti a sistemare ma prima dovresti darci delle

spiegazioni» disse Ettore, ed era anche abbastanza infuriato ma cercava di non farlo vedere troppo.

«Avete ragione, è colpa mia se è scoppiato l’inferno e siete stati travolti anche voi» si scusò Romeo, mortificato.

«lascia stare, ci penso io a spiegare tutto...».«Quando siamo stati convocati per il riconoscimento di Ro-

meo, non eravamo soli. con noi, nella sua camera, è entrata Frida presentandosi come una sua vecchia amica, ed effettiva-mente è così. Il controllore ha preso la sua lista dei convocati ma Frida non c’era, dopo una discussione accesa Romeo si è svegliato e l’ha riconosciuta subito, ma il controllore non ha voluto lasciarli andare senza vedere i suoi documenti. lei non

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voleva mostrarli perché, come sapete, un demone bianco non può essere affidato a un demone nero, quindi alla fine Romeo è venuto con me. Da quel giorno Frida e i suoi compari ci perseguitano, ma sapete cosa vogliono in realtà? Hanno biso-gno di un quinto elemento, perché in quattro sono considerati come demoni randagi e non possono essere catalogati come famiglia dalla loro congrega».

«Romeo, tu devi stare attento, è molto pericoloso! Non sei ancora in grado di fronteggiarli, evita di uscire solo e non accettare mai di incontrarli se non c’è qualcuno con te!» gli raccomandò Ortensia.

«Ma tu Joy cos’hai fatto? Perché Boris ce l’aveva con te?» chiese Greta.

Joy e Romeo si guardarono e ridacchiarono.«Gli ho tirato un vaso in testa, se no si sarebbe avventato su

Romeo!».«Fantastico Joy, li abbiamo distrutti!» esclamò Abby.«Ora basta chiacchiere, andiamo a prendere le scope» disse

Eddy.«Qualcuno deve andare di là a intrattenere gli ospiti o inizie-

ranno a chiedersi cosa sia successo».«Diana, nessuno si chiederà niente, gli ospiti sono ubria-

chi come spugne, prendi una scopa anche tu e fa’ qualcosa» ordinò Greta. Diana le dava sempre sui nervi. Abby e Eddy tornarono carichi di palette, pezze e scope e non lasciarono nessuno a mani vuote. Diana prese una pezza e iniziò a farla svolazzare su alcuni ripiani, gli unici in cui non c’era nulla di rotto, poi iniziò a starnutire vigorosamente e a stringersi il petto con aria dolente. Alvin mollò la sua scopa e corse a sorreggerla.

«Amore mio, tranquilla, ci sono io qui! Ti porto subito a letto!».

Diana annuiva con la faccia contratta dalla disperazione, ave-va gli occhi umidi come quelli di un cane bastonato. Mentre Alvin la accarezzava come se fosse in punto di morte, Joy sentì l’impulso di lanciargli qualcosa sulla nuca e farli smettere.

«Fanno sempre così?» chiese a Greta.«Sì, insopportabili, vero?».

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Alvin e Diana sparirono incuranti dei commenti di Joy e Gre-ta, anche quella volta erano riusciti a evitare un po’ di fatica.

«Greta ha trovato la sua compagna di polemiche» disse Dia-na a voce così alta che la sentirono tutti.

«Finalmente!» ribatté Greta.Il salotto tornò decoroso che era quasi l’alba. Qualcuno

aveva spento la musica, un ragazzo dormiva sul tavolo della cucina, altri due uscirono barcollando. Abby lasciò una busta piena di cocci all’ingresso, vicino ad altri sacchi tutti pieni dei resti di quella notte.

«Portali il più lontano possibile, prima che torni Manlio!» disse a Eddy, poi andò a svegliare il ragazzo sul tavolo.

Quando tutto fu in ordine si sentirono Diana e Alvin scen-dere le scale.

«Si sono svegliati, i principi» borbottò Ortensia.«Per dargli il buongiorno abbiamo preparato una sorpresa

tutta per loro!» esclamò Greta, scambiando un’occhiata com-plice con Joy.

«Che bello, finalmente è tutto pulito!» esclamò Diana stirac-chiandosi.

«Non tutto» ribatté Joy, con uno sguardo serpentino che nessuno le aveva ancora visto.

«Venite con me» disse Greta.Diana e Alvin la seguirono borbottando, Greta aprì la porta

dello stanzino e accese la luce.«ci sono le scope e gli stracci da lavare, fate presto perché

fra poco torna Manlio, buon lavoro!».Diana chiuse la porta sbattendola violentemente e mormo-

rò insulti irripetibili.«Spero che la prossima volta che ci vedremo non verrà nes-

suno a farci visita!» disse Greta tornando dagli altri. le mani di Joy e Romeo si sfiorarono quando si salutarono sotto gli occhi vigili di Giona.

Pochi minuti dopo il pulmino rombante di Belit partì verso casa.

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***

Una sera Romeo prese coraggio. Era da un paio di giorni che un pensiero lo tormentava e lui, concreto e risoluto, lo scacciava, ma mai definitivamente. Quella sera ci rifletté un po’ e infine inventò una scusa banale, disse a Greta che voleva visitare il cimitero dei dannati custodito da Belit e uscì di casa prima di cena. A Telica scese, cercò un fioraio e acquistò una rosa rossa. Da giorni meditava di fare una sorpresa a Joy. Era bravo a orientarsi, sapeva sempre trovare dei punti di riferi-mento e aveva uno spiccato sesto senso per riconoscere le strade giuste. Seguendo le confusionarie informazioni che gli aveva fornito Alvin trovò la villa della signora Belit. Rimase un po’ a fissare la porta sperando con tutto se stesso di non trovarsi Giona davanti, poi suonò.

«ciao Romeo, vuoi entrare?» chiese Ortensia aprendogli.«Preferirei che uscisse un attimo Joy».«A tavola!» strillò Belit.«Dovete cenare, torno un altro giorno, salutami Joy...» farfu-

gliò imbarazzato.«Dai, rimani a cena con noi!» esclamò Ortensia tirandolo

dentro, e quando gli prese il braccio vide la rosa che nascon-deva dietro la schiena.

«Oh! Aspettami qui, ti mando subito Joy» bisbigliò con un tono complice.

«Joy, ti cercano!» urlò socchiudendo la porta ed evitando di dire chi la cercasse nella speranza che Giona non andasse a controllare.

Romeo si nascose dietro lo stipite meditando di fuggire per l’imbarazzo, ma Joy fu più veloce.

«Ehi... perché non entri?» chiese uscendo e socchiudendo la porta, palesemente sorpresa e felice di averlo lì.

«Volevo solo darti questa...» disse Romeo porgendole la rosa. le fontanelle nascoste dietro gli occhi felici di Joy entrarono in azione, e lei non riuscì a fermare una lacrima emozionata.

«Piangi troppo facilmente, lo sai?».«Sono emotiva!» si difese Joy annusando il fiore rosso e lu-

cido come la buccia di una mela fresca.

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«È bellissima!» aggiunse abbracciandolo.«Io ora vado, devi cenare».«Aspetta, non scappare così. cosa vuol dire questa rosa?».«Niente!» disse subito Romeo sulla difensiva. Joy ci rimase

male.«Ok, scusami... io credevo fosse un modo per dirmi qualco-

sa... per definire i nostri ruoli».Romeo la guardò con gli occhi strabuzzati, Joy volle sparire

credendo di aver travisato tutto e di aver detto la stupidag-gine più grande della sua vita, soprattutto perché era solo la seconda volta che si vedevano, anche se averlo lì le aveva fatto capire di essere stata molto presente nei suoi pensieri, come lo era stato lui per lei.

«Allora, io vado...» mormorò triste.«Aspetta, non credevo che saresti stata così veloce a capire,

io a parole non sarei mai riuscito a dirtelo perché è ancora così presto...» sussurrò Romeo passandole una mano sul col-lo. Erano vicini, Joy sentiva il profumo caldo del suo respiro sul viso. la rosa li separava e Joy la adagiò sul tappeto. I loro corpi si toccavano, le loro teste erano poggiate l’una contro l’altra, socchiusero gli occhi...

«Joy, devi venire a tavola» disse Giona apparendo da dietro la porta e ignorando Romeo e il loro momento.

«lo so, grazie».«Sarebbe educato da parte tua non farci aspettare ed evitare

di perdere tempo quando siamo a tavola. Devi rispettare gli orari del pranzo e della cena soprattutto quando non hai nulla di importante da fare».

Joy era paonazza dalla rabbia, Giona si allontanò ignorando-la e calò il silenzio.

«ci vediamo domani, se vuoi» disse accennando un sorriso per smorzare la tensione.

«Salutami il tuo amico, forse non si è accorto che sono qui. Faglielo notare».

«Mi dispiace, Romeo. Sono sicura che Giona voleva solo avvertirmi che mi aspettavano a tavola... se sei libero domani usciamo...».

«Domani è il primo giorno di campus».

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«Possiamo vederci dopo, se ti va».«Ne parliamo domani, ora è meglio che vada».Joy aveva voglia di piangere per l’imbarazzo. Era una furia.

Si appoggiò allo stipite incapace di dire qualsiasi cosa potesse fermare Romeo e aspettò che si fosse allontanato prima di chiudersi la porta alle spalle.

Il suo piatto era già pieno, prese posto fra Berta e Ortensia e per tutta la cena non degnò Giona di uno sguardo e si dile-guò appena poté. Solo la sua vista la innervosiva. Ortensia la seguì e la dirottò nella sua stanza, lì avrebbero potuto parlare liberamente.

«È successo qualcosa?».«Giona» sibilò Joy.«Immaginavo. Devi solo ignorarlo».«ci provo ma non ce la faccio».leo entrò senza bussare e si buttò sul letto accanto a Joy.«Di nuovo problemi? Tu e Giona siete la coppia più simpa-

tica che esista!».«Non siamo una coppia. Non scherzare, leo. Giona ha fat-

to scappare Romeo offeso. Molto offeso. Per rimediare gli ho chiesto di uscire domani e come risposta ha mormorato delle scuse, alla fine gli ho strappato un flebile “poi vediamo”...».

«Ehm... be’... sì, ti capisco Joy e ti do perfettamente ragione! In effetti Giona ha un po’ esagerato. Vuoi che provi a parlargli io?».

«Grazie, leo. cerca di farlo ragionare perché se andassi a parlargli io finirei col mettergli le mani addosso».

«Tranquilla Joy, proverò a fare qualcosa io...».«Ecco, bravo. Devi dire chiaramente a Giona che deve darsi

una calmata, Joy deve frequentare liberamente chi vuole» ta-gliò corto Ortensia.

«cosa dirò a Romeo quando ci rivedremo? Se vorrà rive-dermi...».

«certo che vorrà rivederti, capirà che quello che è successo non è colpa tua!».

«Lo spero, Ortensia. Che figuraccia!».«Io vado a letto, su col morale Joy» disse leo, abbraccian-

dola.

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«Buonanotte» dissero all’unisono le ragazze e quando il loro compagno uscì si infilarono sotto le coperte.

«Domani al campus cerca Romeo e sii simpatica e naturale, fingi che non sia successo nulla! Dammi retta, ok?» suggerì Ortensia pizzicandole affettuosamente una guancia.

«ci provo».le due amiche si abbracciarono e si addormentarono come

ghiri.

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cAPITOlO IV

«Sveglia!» esclamò Giona entrando nella camera di Joy e Berta. Per costringerle ad alzarsi spalancò la finestra e alzò la serranda. Il sole invase la piccola stanza calda e ingoiò rapida-mente il buio che la avvolgeva.

«Giona, sparisci o potrei tirarti qualcosa addosso» gracchiò Berta coprendosi la faccia con il cuscino. Joy passò all’azione scagliandogli contro una delle sue ciabatte di peluche rosa.

«che vuoi?» gli urlò mentre lui schivava il colpo.«Dobbiamo andare a iscriverci ai corsi per il campus! Avete

mezz’ora per prepararvi!».Dopo l’iniziale fase di confusione nevrotica, Joy e Berta pas-

sarono rapidamente dalla cucina al bagno.«Oggi vedrai molte cose nuove, Joy» annunciò Giona quan-

do uscirono di casa. A passo svelto imboccarono un sentiero che tagliava per un parco, da lì scesero le scale di un tunnel nero. Giona si avvicinò a un cubicolo e posò dei soldi sul ban-cone, poi tornò dalle ragazze con un biglietto per ciascuna.

«Dove siamo?» chiese Joy.«In metro. Il campus è abbastanza lontano» spiegò Berta.

Seguendo la folla svoltarono a destra e arrivarono a un binario annerito... su cui fluttuavano dei seggiolini gialli. Mostrarono i biglietti a un uomo in divisa e tre seggiolini arrivarono subito galleggiando all’altezza della loro pancia. Berta e Giona si se-dettero, Joy rimase immobile a fissare il seggiolino volante.

«Veloce, ragazzina! Non vedi che c’è tanta gente che aspet-ta?» tuonò l’uomo in divisa.

«È nuova, è la prima volta che prende la metro» la giusti-ficò Giona tirandola su e ridendo della sua faccia sconvolta. Sul bracciolo c’era una piccola tastiera, lì bisognava digitare la destinazione.

«Allaccia le cinture e non ti sporgere» raccomandò Giona a Joy sfiorandole una guancia. I sedili imboccarono un cunicolo con le pareti blu, ingrigite dal tempo. c’era molta gente e l’aria

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era piena di brusii e parole. le fermate distavano circa quin-dici metri l’una dall’altra, ognuna era annunciata da un varco seguito da un atrio di posteggio per i sedili e da un grosso cartello scritto con colori vivaci. Joy si teneva stretta con la schiena irrigidita contro lo schienale leggermente imbottito. I piedi che penzolavano nel vuoto la innervosivano. Il seggio-lino svoltò di nuovo, adesso viaggiava fiancheggiato da una corsia che andava in direzione opposta. In mezzo alla folla che sembrava venirle addosso, Joy riconobbe un viso che le accelerò i battiti del cuore.

«Romeo!».«Joy!».Quando furono abbastanza vicini Joy e Romeo si slacciaro-

no le cinture e con un salto si buttarono giù dal seggiolino in movimento.

«Sei pazza?» urlò Giona afferrando il seggiolino di Joy per evitare che le finisse in testa.

«Volete suicidarvi qui?» inveì un uomo baffuto virando age-volmente per non decapitarli.

Berta e Greta, nella corsia opposta, digitarono qualcosa e i cinque seggiolini si spostarono sul marciapiede più vicino.

«Abbassate le teste!» urlò Greta.Una vecchia signora passando li ricoprì di improperi. Ro-

meo e Joy erano ancora al centro dei binari, prima che un seggiolino sfrecciasse proprio sopra di loro si coprirono e con le schiene ricurve si buttarono sul marciapiede.

«Siete due incoscienti!» sbraitò Greta infuriata.«Andiamo adesso, per favore?» chiese Giona, era rosso di

rabbia. Romeo stava per dire qualcosa ma si zittì subito sen-tendosi lo sguardo iroso di Giona addosso. lui e Joy si sorri-sero timidamente poi ognuno riprese il suo posto.

«A stasera» sillabò Giona rivolgendo un cenno di saluto a Greta. Berta li salutò con la mano.

la fermata per il campus era una delle ultime. Usciti dalla metro il sole e l’aria fresca li investirono. la rabbia dal viso di Giona non si affievolì nemmeno quando arrivò il loro turno per prendere i moduli dell’iscrizione. l’atrio della segreteria brulicava di ragazzi impazienti.

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«cosa ti serve?» biascicò una donna ossuta e giallognola. Degli occhialetti fucsia le scivolavano continuamente sul naso adunco, e lei li ritirava su nervosamente.

«Un modulo per il terzo anno e due per il primo».La signora iniziò a rovistare in una pila infinita di carte, le

imprecazioni dei ragazzi stanchi di stare in fila la mandavano su tutte le furie.

«consegnali compilati correttamente allo sportello accan-to» disse, sbattendoli con veemenza sul bancone su cui era appoggiato Giona che, con gli stessi modi sgarbati, li passò a Berta e Joy. Nella fredda camera di marmo grigio non c’erano né sedie né leggii liberi, le ragazze si poggiarono sulle rispetti-ve schiene per scrivere.

«Scegliamo gli stessi corsi?» propose Joy, l’idea di affrontare troppa gente nuova da sola la angosciava.

«certo! Ma, ora che Giona si è allontanato, mi spieghi che gli è preso?».

«Vorrei saperlo anche io, non è la prima volta che si com-porta così... ma ne parliamo meglio a casa».

Berta e Joy, di comune accordo, scelsero di seguire costitu-zione di Gwenever, arte, letteratura ─ cosa scrivono i mortali sulla vita nell’aldilà ─ ailuromanzia ─ divinazione del com-portamento dei gatti ─ e infine astragalomanzia ─ divinazio-ne dei dadi. Si voltarono per cercare Giona nella folla e lo trovarono già in fila al secondo sportello.

«consegnagli i nostri moduli, se mi avvicino io potrebbe strapparmeli in faccia» disse Joy porgendo a Berta anche i suoi fogli attentamente compilati. Joy notò la faccia scura di Giona quando prese i moduli, ma per non innervosirsi gli diede le spalle.

«Giona dice di aspettarlo alla fermata» le disse Berta rag-giungendola.

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***

Greta stava finendo di apparecchiare il tavolo, era sola in cucina, quando sentì un tonfo provenire dal bagno. Trasalì ma prese coraggio e spalancò la porta.

«chi c’è?».In risposta ebbe un rantolo. Accese la luce. Incastrato con

una gamba nel gabinetto e sorretto da un mobiletto a fiori, c’era Boris.

«Sei bellissima, il verde ti dona» farfugliò quando ebbe ritro-vato i suoi occhiali e si fu rimesso in piedi.

«Va’ via da qui, Boris».«Sono solo! Se ci fosse stata Frida credi che mi sarei potuto

permettere questa caduta?».Greta iniziò a ridere ma si ricompose subito.«Non importa, devi uscire da casa mia».«Volevo solo salutarti».«Sai che non mi fido di te» disse Greta indietreggiando. Un

bidet li separava.«Non mi serve la tua fiducia adesso».Gli occhi di Boris, piccoli e scuri, la scrutavano in modo

caldo, quasi invadente.«E invece ti serve, se vuoi mettere piede in casa mia».«con chi parli Greta?» strillò Abigail dal piano di sopra.«È la TV!» rispose Greta lasciando Boris in bagno e corren-

do a cercare il telecomando. Accese e mise un canale a caso, poi tornò da Boris.

«Adesso scendo a farti compagnia io!» strillò di nuovo Abi-gail.

«Devi andare».«Alla prossima Greta» disse il demone liberando la propria

gamba dalla trappola di ceramica bianca e uscendo dalla fine-stra, gocciolando acqua dappertutto.

«come ti sembra la mia torta?» chiese Abby interrompendo la contemplazione del water che impegnava Greta.

«Fantastica Abby! Non ne rimarrà nemmeno una fetta» ri-spose ammirando una stella di morbido cioccolato. Quando Abigail tornò in cucina Greta si chiuse in bagno e iniziò a

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tamponare la parete sperando che non rimanesse macchiata, intanto il campanello suonò.

Dopo un coro di saluti, padroni di casa e invitati riempirono la cucina.

«Alla carne ho pensato io!» esclamò Eddy mostrando a tutti con orgoglio un vassoio fumante.

«Sedetevi, la pasta è pronta!» esclamò Greta mettendo in ta-vola un pentolone stracolmo di lasagne, pancetta e spezie. Joy e Romeo si sedettero vicini ma la cena fu un incubo. Mentre Abby non la smetteva di parlare e di raccontare nei dettagli la sua giornata al mare con Eddy, Giona fissava Joy con aria di rimprovero e commiserazione. Non la liberò del suo sguardo nemmeno per un attimo. A fine cena Romeo ingurgitò la sua fetta di torta, poi mormorando una scusa si alzò e uscì, non sopportava più quello sguardo vigile che li controllava. Alvin lo raggiunse.

«che succede?».«Non hai notato nulla?».«Niente... a parte le lasagne di Greta...».In quel momento uscì anche Joy, la sua faccia era una ma-

schera di vergogna, fastidio e nervosismo.«Scusami. So che Giona è intollerabile ma non so cosa fare...».«Non scusarti, torna pure dentro dal tuo amico. Se ti fosse

dispiaciuto il modo in cui mi ha trattato gli avresti parlato, ma dalle occhiate che mi ha lanciato stasera capisco che non lo hai fatto» la interruppe bruscamente Romeo. Joy sentì le lacrime pungerle gli occhi, alzò lo sguardo per trattenerle e rientrò in casa. le tremava la voce, ma si sforzò di sembrare tranquilla.

«Non mi sento bene. Greta, se non è un problema vorrei sdraiarmi, chiamatemi quando dobbiamo andare via» farfu-gliò. Aveva una mano sulle tempie per coprirsi gli occhi umidi e fingere di avere mal di testa.

«certo, va’ pure, la mia stanza è la prima che incontrerai nel corridoio».

Mentre Joy era sdraiata in silenzio, umiliata e triste, Romeo era ancora dove lo aveva lasciato.

«È successo qualcosa con Joy?».

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«Non proprio, il problema è il suo amico, le fa da cane da guardia».

«Giona? Quello è innamorato perso di Joy, se non fosse sec-co e piccolo ti direi di stare attento» ridacchiò Alvin, liscian-dosi la cravatta rossa a rombi marroni.

l’aria della notte era gelida, un cane ululava in lontananza.«Qualcuno di voi vuole l’ultimo pezzo della torta di Abby?

Vi prego dite di sì o continuerà a supplicarci di mangiarla fino a domani e io potrei volerle infilare un tappo in bocca!» bisbi-gliò Ortensia, con occhi che chiedevano pietà facendo uscire la testa dalla finestra del bagno.

«ci penso io!» esclamò Alvin. l’ultima fetta lo aspettava e lui non si fece attendere.

«Joy posso entrare? Sono Abby».«certo, vieni».Abigail si sedette sul letto di Greta.«È tutto ok?».«Non proprio».«Riunione per sole donne?» cinguettarono Diana e Greta

entrando.«Sì, venite. Joy ha davvero bisogno di ridere un po’».le ragazze si sdraiarono sul tappeto rotondo al centro della

stanza, le loro teste erano vicine, vicine.«Allora, che succede?» bisbigliò Greta.Joy respirò a fondo, aveva davvero bisogno di sfogarsi con

qualcuno.«Giona è geloso» dichiarò Diana, quando Joy ebbe finito il

suo racconto.«Ma Romeo è permaloso!» aggiunse Greta.«Uomini, sono tutti uguali. Anche Alvin è geloso e perma-

loso!» disse Diana per confortarla.«con Eddy devo sempre pensare mille volte prima di dire una

frase, perché rischio che si offenda o si arrabbi inutilmente».«Perché sono io l’unico cuore solitario?» si chiese Greta.«Sei la mela sul punto più alto dell’albero, è difficile arrivare

a te» rispose Abigail sarcastica.«Però se qualcuno non si sbriga rischio di finire male».

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le ragazze risero.«Anche io sono un cuore solitario» intervenne Joy.«Ortensia mi ha detto di aver visto Romeo con una rosa per

te!» ribatté Diana.«Sì, è vero, ma il nostro discorso è stato prontamente inter-

rotto da Giona, quindi ufficialmente sono ancora un cuore solitario».

«Fammi compagnia finché puoi, ai piani alti degli alberi!» ridacchiò Greta.

«Ripensando alle frasi che rubo ai discorsi fra Romeo e Al-vin, credo che Joy rimarrà lassù ancora per poco!» esclamò Diana.

«Tu sai cosa pensa Romeo di Joy, e non ci hai mai detto nul-la?!» chiese Greta strabuzzando gli occhi.

«Non ho mai sentito niente di particolarmente interessante, quando mi vedono spuntare cambiano discorso!».

«Furbi...» commentò Abigail.«Stronzi» sentenziò Greta.«Non posso credere che Romeo a te non confidi nulla, dim-

mi la verità, Greta!» implorò Joy.«Mi dice solo che gli piaci e che fra i suoi ricordi non c’è

niente che somigli a te, ma solo perché io lo bombardo di do-mande. Se non facessi così lui non spiccicherebbe nemmeno mezza parola in proposito».

«E allora fagli più domande!» ordinarono perentorie Abigail e Diana.

In quel momento la faccia assonnata di Ortensia fece capo-lino dalla porta.

«Ragazze, siete qui? Sotto parlano di fantacalcio e io non li sopporto più».

«Berta dov’è?» chiese Joy.«Si è addormentata su un divano, abbiamo provato a iniziare

una conversazione ma le mie speranze al riguardo sono state subito violentemente ammazzate!».

«Siete tutti cattivi con Berta, lei non è noiosa come pensate voi» disse Joy.

«Sta’ zitta, potrebbe svegliarsi!» la ammonì Ortensia chiu-dendo la porta e scivolando fra lei e Diana.

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«Diciamo che Berta è... un po’ distratta!» disse Abigail.«E poi Joy, ti confido una cosa! Berta non è così buona e

dolce come sembra» bisbigliò Ortensia.«Ma che dici?!».«Ascoltami, Joy. la conosci ancora da poco tempo, vedrai

se ho ragione!».

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cAPITOlO V

Primo giorno di campus. Ignorando le suppliche di leo, Giona si rifiutò di accompagnare Joy e Berta alle lezioni.

«Verrò io con voi, sole vi perdereste!» esclamò leo inse-guendo le ragazze per strada. Stufe delle lagne di Giona, sta-vano andando via senza aspettarlo.

«Non lo sopporto più!» urlò Joy furente.«Nemmeno io» aggiunse Berta.«Dovete capirlo, ragazze».«Cosa dobbiamo capire? Hai visto che figuraccia mi ha fatto

fare con Romeo l’altra sera?».«Ok, ok. cambiamo discorso. che lezioni avrete oggi?».«Prima astragalomanzia, poi letteratura» rispose Berta. Il

viaggio sulla metro questa volta fu tranquillo, senza incidenti. Prima entrarono in segreteria.

«Dovete ritirare le tessere per entrare al campus» spiegò leo. La fila era più corta di quella di qualche giorno prima, c’erano solo matricole.

«Documenti» sillabò annoiata la donna ossuta.Berta e Joy li fornirono. la segretaria lesse i loro nomi.«Berta Artois...» mormorò voltandosi verso una pila di

astucci bianchi; sulla cima, incollato sulla parete, c’era un qua-dratino di cartone con su scarabocchiate una A e una B. la donna prese un astuccio e lo consegnò a Berta, poi ricontrollò il documento di Joy.

«Joy Hallet... Joy Hallet...» si ripeteva mentre cercava nella pila JH. Dopo qualche secondo consegnò un astuccio verde lucertola a Joy.

«Ora siamo pronti per entrare!» esclamò leo.Uscendo dalla segreteria notarono una figura mingherlina e

riccioluta correre a passo svelto verso una muraglia di enormi massi grigi così alta da impedire di vedere cosa vi fosse den-tro.

«Guarda quell’idiota» disse Joy riconoscendo Giona.

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«Aspettiamo che entri, che ne dici?» propose leo, perché detestava litigi e incomprensioni.

Quando Giona non si vide più si incamminarono anche loro. La muraglia era immensa e circolare, camminarono fin-ché non arrivarono a un cancello di legno e ferro così grande che guardarlo tutto faceva girare la testa.

«Si entra uno alla volta, basta inserire la vostra tessera, voi che lo fate la prima volta dovrete anche scegliere un codice se-greto. È importante che non lo diciate a nessuno! Se qualcuno dovesse rubare all’interno del campus, entrando con la vostra tessera, sareste arrestate voi!» spiegò leo.

Berta inserì la tessera ma prima di digitare il codice ci pen-sò un po’ su. Poi quell’enorme portone rimase chiuso ma si aprì una porticina ad altezza d’uomo. Non appena Berta ebbe messo anche il secondo piede nel terreno del campus, la por-ticina si richiuse non lasciando passare nemmeno una mosca. Toccava a Joy. Dopo molti ripensamenti digitò il suo codice ed entrò. leo le raggiunse immediatamente. Il campus sem-brava un borgo medievale. Ovunque c’erano grandi tende va-riopinte che leo indicò come aule-studio e oasi di panchine all’ombra di antichi alberi poderosi. Al centro c’era un castello di pietre rossicce, si ergeva su una base quadrata e si divideva in quattro torri esagonali sormontate da una cupola di vetro, ognuna risplendeva di un colore diverso: rosa antico, blu zaf-firo, verde smeraldo, rosso rubino.

«È bellissimo...» mormorò Joy incantata.Gente di tutte le età entrava e usciva dalle tende e dal castello

centrale, il sole luccicava sulle cupole, sembrava un dipinto vivo.«Andiamo, vi accompagno alla vostra aula».la classe di astragalomanzia era confusionaria, piccola e

calda. lungo tutto il perimetro, come un ricamo profumato e luminoso, erano disposti incensi e candele. I banchi forma-vano un semicerchio intorno alla cattedra, su ognuno erano ordinatamente posati due libri e due gruppi da tre dadi in gia-da colorata. Pochi posti erano liberi, Joy e Berta occuparono un banco in terza fila. Nel momento in cui suonò la campana entrò una strana signora. Era alta e secca, con un cespuglio biondo in testa e una pesante collana di dadi di vari colori e

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dimensioni che le pendeva dal collo oblungo. Indossava una gonna ampia e leggera ricamata di rombi e cerchi, che ripren-devano tutte le tonalità del giallo e del marrone.

«Salve ragazzi, io sono la professoressa Nilaja» squittì.Tutti si alzarono in segno di rispetto, poi tornarono ai loro

posti cercando di fare meno rumore possibile.«Spero sinceramente che la scelta di questa materia sia stata

consapevole! Perché molti la scelgono credendola semplice, ma non sanno che la mia è un’arte per pochi!» iniziò la profes-soressa, per poi continuare in una disquisizione storica della sua materia.

«Il termine “astragalomanzia” deriva dall’unione di due pa-role greche: astragalos, che indica un’articolazione o una verte-bra di cui erano originariamente fatti i dadi, e manteia che vuol dire proprio divinazione. Questa pratica risalirebbe all’antico Egitto e nel corso dei secoli se ne sono elaborate molte va-rianti. Secondo un mito greco conosciuto grazie ai Proverbi di Zenobio, parliamo del I secolo dopo cristo, fu la dea Atena a inventare il gioco divinatorio degli astragali. Inoltre, è cer-to che questo tipo di divinazione era praticato dagli indovini del Tempio di Eracle a Bura, in Acaia. Probabilmente furono gli astragali a inventare i kiboi, cioè i cubi, vale a dire i dadi numerati, da cui deriva il termine “cubomanzia”. Abbiamo numerose raffigurazioni, su vasi attici del VI-IV secolo avanti cristo, di soldati greci intenti a giocare a dadi. ciò vuol dire che la cubomanzia si trasformò, già in epoca antichissima, in un gioco d’azzardo. come arte divinatoria l’astragalomanzia era diffusa anche nella penisola italica, tanto che l’imperatore Tiberio si recava spesso a consultare il cosiddetto “oracolo di Gerione” presso le Terme di Abano, dove un sacerdote prevedeva il futuro per mezzo di tre dadi d’oro. Si sa pure che l’imperatore claudio era talmente esperto di cubomanzia che scrisse un trattato di cui non è rimasta traccia. I sistemi in uso in epoca romana si sono poi tramandati nel medioevo. Il me-todo più semplice comportava l’uso di tre dadi. Oggi impare-remo quali siano le combinazioni di numeri fondamentali».

La professoressa Nilaja riprese fiato e spostò la propria cat-tedra in avanti, appiccicandola al primo banco.

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«Prendi i tuoi dadi» disse al ragazzo che si ritrovò davanti.«Ora lanciali».Il ragazzo obbedì. I suoi dadi bianchi formavano un trian-

golo, sulla faccia del primo c’era un sei, sul secondo un due e sul terzo un tre.

«Questo è ancora troppo complicato, modifichiamo qual-cosa» disse la professoressa disponendo i dadi in ordine, tutti con lo stesso numero: sei, sei, sei.

«Sei, sei, sei: questo è il colpo di Venere, è un sì netto! Vuol dire che ciò che avete chiesto si realizzerà. Adesso prendete questi numeri: sei, sei, due. Anche questa è una risposta posi-tiva, ma il due finale indica la presenza di ostacoli e difficoltà superabili. Appuntate tutto! Andiamo avanti con i numeri sei, quattro, quattro! Questa risposta è un avvertimento, se com-paiono questi numeri è meglio abbandonare subito il proget-to che avete in mente. l’ultimo esempio che faremo oggi è quello che vi auguro non vi esca mai! Il colpo del cane: uno, uno, uno. Niente di ciò che volete potrà mai avverarsi!» squittì Nilaja con enfasi, poi si rigirò i dadi del ragazzo fra le dita inanellate e glieli posò sul banco.

«Trovate tutto quello che vi ho detto nel primo capitolo del libro. Esercitatevi con un compagno nell’arte della divinazio-ne e trascrivete sul vostro quaderno la domanda posta e la combinazione ottenuta poi cercate nel libro, capitolo due, i significati di tali combinazioni che analizzeremo insieme nella prossima lezione. Buon lavoro».

«E meno male che questa non è una materia semplice, dob-biamo solo imparare dei numeri a memoria!» bisbigliò Joy.

«Dai inizia tu, cosa vuoi sapere?» chiese Berta.«Mmm... cosa succederà nella mia vita nei prossimi giorni?

Mi aspettano novità belle o brutte?».Berta lanciò un’occhiata allo specchietto tracciato nel suo

libro e seguì attentamente le istruzioni. Tenne i tre dadi stretti fra le mani che fece ruotare tre volte in senso orario e tre volte in senso antiorario, poi alzò le mani sulla proprio testa, agitò un’ultima volta i dadi e li lanciò: sei, cinque, tre.

«chissà che vuol dire...» mormorò Joy trascrivendo la sua domanda e il risultato.

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«Tocca a me, voglio sapere se ho scelto le materie giuste per me» disse Berta.

Joy ripetè il rituale e tirò i dadi: quattro, tre, uno.Le ragazze continuarono finché non suonò la campana di

fine lezione. Raccogliendo tutte le sue cose la professoressa corse via. Fuori dall’aula leo le aspettava puntuale. Era di fretta perché aveva una lezione.

«com’è andata?».«Bene... ma non è una materia interessante come immagina-

vo» disse Joy con aria annoiata.leo slittava veloce come un furetto fra i corridoi, dopo

qualche minuto si fermò.«Quando finite tornate a casa da sole perché io ho lezione

anche oggi pomeriggio, a stasera!» le salutò.«Grazie, leo. Buona lezione!» dissero all’unisono le ragazze.l’aula di letteratura era polverosa, non si vedeva nemmeno

un angolo di parete perché ogni centimetro era ricoperto da scaffali in legno massiccio carichi di scartoffie e vecchi libri. Il professore era già alla sua cattedra, prima ancora che suonasse la campanella. Era un uomo elegante, calvo e baffuto.

«Forza, prendete posto e cominciamo!» esclamò vedendo tanti ragazzi fermi sulla soglia. la classe si riempì subito.

«Benvenuti nella mia classe, io sono il professor christopher. Qui si chiacchiera poco e si legge tanto. Studieremo i testi dei letterati che, senza essere mai stati qui o essendoci stati ma non avendo ricordi completi, parlano del nostro mondo».

Il professore iniziò facendo appuntare su un quaderno le regole a cui attenersi per poter rimanere nella sua aula.

«Ho il polso distrutto» bisbigliò Joy all’orecchio di Berta.«Signorina, vuole rileggerci la regola numero tre?» tuonò

christopher.Joy sentì le guance infiammarsi.«Vietato sbadigliare, bisbigliare, lamentarsi e fiatare quando

il professore parla» farfugliò mentre gli occhi della classe era-no puntati su di lei.

«la impari a memoria, perché la prossima volta che sgarra finisce fuori».

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Joy si risedette anche se le sue gambe volevano portarla fuori da lì. Nervosa e offesa attese impaziente il suono della campana.

«Inizieremo dall’opera più importante di tutta la letteratura mondiale, quella di cui sarebbe cosa buona che ogni anima serbasse il ricordo, la Divina Commedia. chi è Dante lo trove-rete nel libro, adesso passiamo alla lettura del primo canto del Paradiso».

l’ora passò con le letture appassionate del professore e de-gli allievi da lui chiamati, quando finalmente la campanella suonò, Joy schizzò via dall’aula nervosa per la figuraccia che ancora le bruciava.

«Se avessi conosciuto questo professore prima non avrei mai scelto la sua materia» borbottò sulla metro.

«Non ci pensare, è solo autoritario e prepotente».

***

Joy era seduta sulla poltrona di Belit e guardava la TV con Queeny sulle ginocchia. Qualcuno suonò il campanello.

«Sarà leo» disse Giona andando ad aprire.Quando aprì, però, non trovò il suo amico. Senza nemmeno

salutare, Giona socchiuse la porta e tornò dentro.«Di’ alla tua amica che è per lei» disse a Berta ignorando la

presenza di Joy.«Posso entrare?» chiese timidamente una voce che Joy rico-

nobbe subito.«Romeo, vieni. Non fare caso a quel cafone!» esclamò Belit

andandolo ad accogliere.Joy cercò di togliersi i peli di Queeny dal maglione, ma pri-

ma di aver finito si ritrovò Romeo davanti.«Volevo chiederti scusa per l’altra sera, me la sono presa con

te senza motivo» bisbigliò.«Per questa volta ti perdono» ribatté lei accennando un sor-

riso. «Andiamo fuori» aggiunse.Non era molto tardi ma il sole era tramontato da un bel po’.

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Il cielo era striato di rosso e dorato ancora per poco, nuvole nere ingoiavano lentamente i colori.

«Io... io non so perché Giona faccia così e mi dispiace dav-vero» iniziò a farfugliare Joy.

«lascia stare, non è importante. credo di aver capito la si-tuazione».

Romeo e Joy si guardavano imbarazzati, senza trovare nulla da dirsi.

«Forse ti ho disturbato».«No, assolutamente. Stavo solo guardando la TV».«Sei stata a lezione oggi?».«Sì, tu?».«Anche io, cos’hai seguito?».«Astragalomanzia e letteratura, ma non farmi pensare alla

letteratura!».«Io ho seguito geografia di Gwenever e sociologia».«Se vuoi qualche volta ci vediamo al campus...».In quel momento arrivò leo, sorridente e rilassato come

sempre.«ciao ragazzi, la cena è pronta? Muoio di fame!».«credo di sì, Belit ha già apparecchiato».«ceni da noi?» chiese a Romeo.«No, stavo proprio andando».leo li lasciò di nuovo soli.«Io torno a casa, ci vediamo presto».«certo» farfugliò Joy. Sentiva mille emozioni rimescolarsi

nello stomaco. Dall’imbarazzo, all’euforia.«Allora a presto» disse di nuovo Romeo.«certo... mi ha fatto molto piacere questa visita» disse Joy,

ma entrambi rimanevano fermi ai loro posti, indecisi sul da farsi.

«Sì, solo che scelgo sempre i momenti sbagliati!».«Non siamo mai riusciti a passare insieme più di dieci mi-

nuti...».«Dovremmo... dovremmo uscire qualche volta!».Gli occhi di Joy si illuminarono come due stelle.«Quando vuoi!».«È pronta la cena!» urlò Ortensia dalla cucina.

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«Be’, adesso vado davvero» disse allora Romeo. Si tennero un attimo per mano, si sorrisero, poi lei rientrò e lui andò via.

«ci sono novità?» bisbigliò Ortensia a voce così bassa che Joy faticò a sentirla.

«Mi ha chiesto di uscire, solo che tutte le volte che iniziamo a parlare c’è sempre qualcosa o qualcuno che ci interrompe».

«Forse dovreste essere più bravi a trovare i momenti giu-sti!».

«Su, sedetevi!» esclamò Ettore affamato mentre Belit stava mettendo in tavola un pentolone di minestrone.

«Giona, volevo dirti due paroline. Non so perché quel po-vero ragazzo non ti piaccia, ma qualsiasi sia il motivo quando qualcuno suona a casa mia, nessuno deve permettersi di esse-re così sgarbato!» disse Belit mentre versava il minestrone nel suo piatto.

«Scusa» sillabò lui.Tutti mangiavano, Giona invece spiluccò qualcosa svogliata-

mente, poi si dileguò in silenzio.

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cAPITOlO VI

Romeo si era perso fra i cunicoli semibui della biblioteca del campus. Era partito per una semplice ricerca di geogra-fia e ora vagava fra trattati di filosofia di provenienze varie. Nomi di filosofi riaffioravano fluidamente nella sua mente, man mano che si muoveva tra gli scaffali. la biblioteca era immensa e ordinata, l’unico difetto era la poca luce. Per po-ter leggere bisognava trovare un tavolo munito di lampada. Gli ultimi scaffali dell’ultima fila dell’area di filosofia erano completamente al buio. Romeo si avvicinò e prese un volume a caso per cercare di capire quale corrente di pensiero fosse conservata lì. Il libro che prese aveva la copertina scolorita e illeggibile, fece per riposarlo ma gli scivolò sollevando una nube di polvere.

«Tieni» disse una voce nel buio. Qualcuno prese il libro e glielo porse.

Romeo per un attimo ebbe paura, poi riconobbe quella voce e rimase rigido e gelido. Dal buio uscì Frida.

«Mi spiavi?».«In un certo senso sì, ma solo perché volevo evitare di avere

i tuoi amici fra i piedi. Ci sono dei tavoli appartati più in fon-do, ci sediamo?».

«Ho solo dieci minuti, poi ho una lezione».Frida scelse il tavolo più isolato di tutti e abbassò il collo

della lampada per limitare la luce.«Perché non vuoi venire con me? Ti propongo una perma-

nenza a Gwenever libera, senza condizioni, senza pensieri...».«Ti ringrazio, ma sto benissimo a casa mia».«cosa ti trattiene lì?».«Smettila di riempirmi la testa con questi discorsi. So be-

nissimo cosa vuoi. Fra poco più di un mese c’è la cerimonia per l’ingresso delle nuove famiglie nella congrega dei demoni neri, e senza un quinto elemento non puoi essere accettata».

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Frida inspirò nervosamente, le sue narici si dilatarono come quelle di un toro davanti a una bandiera rossa.

«Quando sei arrivato qui ero felice, credevo di aver ritrovato un vero amico» disse, cercando di calmarsi.

«lo credevo anche io, prima di averti visto prendere a botte la mia famiglia. ciao Frida».

«Romeo, aspetta! Devi darmi l’opportunità di parlare!».Senza considerare le sue parole Romeo si alzò e si allontanò

velocemente dalla zona solitaria della biblioteca.«Giochi con il fuoco, mio caro. Ho provato a cercare delle

soluzioni pacifiche, ma adesso dovrò agire senza tener conto della tua volontà» ringhiò Frida, raggiungendolo.

Quando si ritrovò circondato da ragazzi e professori, Ro-meo si sentì al sicuro. Il demone nero era sparito. Prima del suono della campanella aveva ancora un po’ di tempo libero e decise di fare un giro e dimenticare l’incontro spiacevole. In una delle panchine del giardino, sotto un albero maesto-so, c’era Joy. Era seduta con le gambe incrociate e gli occhi bassi, intenta a leggere un libro. Senza pensarci due volte la raggiunse.

«Avevo proprio bisogno di una faccia amica».Joy lo salutò con un sorriso sorpreso e posò subito il libro

nella sua borsa.«Siediti, giornata storta?».«Ho appena scoperto di essere stato pedinato. Ero in biblio-

teca e dal nulla è spuntata Frida, voleva parlarmi».«Voleva raggirarti! So che non avrei nessun diritto di dirti

queste parole, ma te lo dico lo stesso. Non ti azzardare a farti convincere da quella fattucchiera a seguirla! Se a Gwenever i demoni bianchi e i demoni neri non sono la stessa cosa, un motivo ci sarà! E ci sarà un motivo anche perché tu sei bianco e lei no!» esclamò Joy, infervorata. Il pensiero di Frida che si avvicinava a Romeo la nauseava.

«Tu puoi dirmi tutto quello che vuoi» ribatté lui sfiorandole il mento.

la sua reazione infuocata lo divertiva.«È finita finalmente!» esclamò Berta arrivando, aveva la fac-

cia stravolta.

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«cosa?» chiese Romeo.«la lezione di letteratura. Io nell’aula di quel nevrotico non

metterò più piede» disse Joy. Se ripensava alla sua prima lezio-ne si vergognava ancora.

«E perché?» chiese Romeo ridacchiando.Quando Joy glielo spiegò, rise ancora di più.«Il professor christopher sta venendo proprio in questa di-

rezione» sillabò Berta battendo un colpo sulla spalla di Joy.«Non dire cavol...».L’uomo baffuto, con la faccia più burbera del solito, si piaz-

zò a pochi centimetri dal naso di Joy.«Posso sapere quale illustre motivo l’ha costretta a mancare

dalla mia lezione, signorina?».«Io... io stavo male» farfugliò Joy in preda al panico. Se non

avesse avuto lo schienale a sorreggerla sarebbe svenuta.«A ME SEMBRA cHE SIA IN PERFETTA FORMA,

BUGIARDA!» tuonò il professore. Mezzo cortile si girò a guardarla.

Joy Hallett non poteva sopportare tanto, un attimo dopo era svenuta con la testa sulle gambe di Romeo e un braccio pen-zoloni. Il professore si allontanò con aria soddisfatta, mentre tutti gli allievi scappavano al suo passaggio. Quando l’uomo fu abbastanza lontano, Berta e Romeo scoppiarono a ridere, Joy si alzò di scatto con gli occhi lucidi.

«che avete da ridere? Quello stronzo mi ha fatto fare una figura terribile» disse con la voce tremula.

«È stato divertente, ti hanno guardata tutti!» esclamò Berta.«Ma sei scema?» urlò Joy, e senza pensarci due volte le voltò

le spalle e si allontanò.Romeo la inseguì e aspettò che fossero lontani da Berta per

fermarla.«Devi ridere di me?».«No, Joy... io volevo solo chiederti di uscire stasera...».la rabbia dal viso di Joy svanì.«certo! A che ora vieni?».«Verrò a ora di cena, andiamo a mangiare fuori».«Va bene!».Joy stava per buttargli le braccia al collo, quando arrivò Berta.

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«Andiamo a casa, sono stanca».«A più tardi, allora» disse Romeo sfiorando la schiena di

Joy.

Quando le ragazze rientrarono a casa Joy si fiondò subi-to in camera e spalancò l’armadio. Era appena passata l’ora del pranzo ma per lei il tempo volava freneticamente, doveva sfruttarlo tutto al meglio. Dopo un’occhiata critica e severa ai suoi vestiti andò a stabilizzarsi in bagno. I capelli le sembra-rono sciatti e orrendi. Doveva fare qualcosa, ma era troppo elettrizzata così decise che era meglio iniziare da un bagno caldo. Il tempo scorreva davvero più velocemnte quel giorno, e quando Romeo arrivò, Joy doveva ancora mettersi le scarpe. Scelse delle scarpe classiche e nere, in perfetto stile con l’abi-tino color glicine.

«Pensavo ti fossi dimenticata che avevamo un appuntamen-to!» esclamò Romeo quando la vide comparire.

Joy gli sorrise, salutò in fretta Belit e i suoi compagni e uscì.

«Hai pensato a dove potremmo andare?».«Sì... ma non sono sicuro che ti piacerà. Sono a Gwenever

da troppo poco tempo per conoscere i posti giusti così ho pensato che stasera potremo cenare da me e poi uscire. Siamo soli, o meglio, quasi soli... c’è Manlio che tanto fra poco andrà a dormire. Ti va?».

«certo che mi va. Ma gli altri dove sono?».«A un concerto, se ti va li raggiungeremo dopo».«Hai avuto un’idea fantastica».come aveva ipotizzato Romeo, Manlio già dormiva. la casa

era tutta per loro che non avevano ancora deciso cosa cuci-nare. Quella sera faceva caldo così optarono per un’insalata e formaggi freschi.

«Forse ti aspettavi una cena migliore...» disse Romeo quan-do il suo piatto fu vuoto.

Avevano mangiato in silenzio, lanciandosi di tanto in tanto occhiate imbarazzate ed emozionate.

«Non farti problemi. Mi va tutto benissimo!».«Ti va di uscire un po’ in giardino prima di andare? Sono

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particolarmente irritabile se non mi riposo almeno qualche minuto dopo aver mangiato».

Joy scoppiò a ridere, lo prese per mano e lo seguì fuori. L’aria era tiepida, il cielo trapunto di perle illuminava i profili degli alberi. In fondo c’era un vecchio dondolo sganghera-to su cui si sdraiarono. lo schienale cigolante era allo stesso livello del sedile. Le loro spalle e le loro teste si sfioravano, erano troppo vicini per potersi guardare negli occhi, così en-trambi guardavano in alto.

«Bello il cielo, vero?» chiese Romeo per rompere il silenzio.«Sì, mi piacciono molto le stelle e stasera si vedono benis-

simo».«È... è tutto molto romantico» farfugliò Romeo, a voce così

bassa che Joy non lo sentì.«che hai detto?».«È tutto molto romantico».«Sì, c’è un’atmosfera perfetta per due innamorati».Per la prima volta si voltarono a guardarsi, erano vicinissimi.

Romeo la accarezzò, Joy sentì un brivido lungo la schiena, fino al collo, sulla punta delle dita e lui la strinse più forte cre-dendo che avesse freddo.

«c’è una cosa che vorrei dirti...» disse Joy, raccogliendo tutto il coraggio che aveva.

«Anche io dovrei dirti qualcosa, ma inizia tu...».Joy sentì la confusione attanagliarle il cervello, era come se

avesse dimenticato tutte le parole che conosceva.«No, ti prego, parla tu» si arrese quasi subito.Romeo sentì l’impulso di alzarsi e correre a nascondersi da

qualche parte proprio come quando le aveva portato la rosa, ma invece rimase lì, chiuse gli occhi fingendo che fosse tut-to frutto della sua immaginazione e la baciò. Intorno a loro sparì ogni cosa. Il tempo sulle loro labbra sembrava eterno e immobile. Joy sognava quel momento dalla prima volta che aveva visto Romeo. Rimasero uniti per un tempo dolcemente indefinito mentre le loro mani si avvinghiavano. Poi rumori e colori tornarono piano piano, come quando un sogno finisce e arriva l’ora del risveglio.

«Be’, Joy... ora credo che sia tutto chiaro fra noi, giusto?».

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«Giusto!» esclamò Joy sfiorandogli il viso.«Allora ora raggiungiamo gli altri, ci staranno aspettando»

disse Romeo alzandosi e porgendole la mano. In metro rag-giunsero velocemente la fermata del campus, quando scesero lì, Joy lo guardò con aria interrogativa.

«È un concerto di studenti! Ho dimenticato di dirti di por-tare la tua scheda per entrare, ma non credo sia un problema perché Greta mi ha spiegato che in situazioni come questa la sorveglianza per entrare è meno serrata!» spiegò Romeo.

Non erano ancora arrivati al campus ma si sentiva già mu-sica rock impregnare allegramente l’aria. Quando arrivarono fu difficile trovare subito Alvin e gli altri perché la confusio-ne era tanta. c’erano ragazzi di tutte le età che affollavano il giardino e si scalmanavano sotto il palco su cui suonava una band esagitata. Romeo abbracciò Joy per evitare che la folla li dividesse. Girarono per un po’ prima di scorgere Eddy che camminava verso una panchina con due birre in mano, lo se-guirono e trovarono tutti.

«ciao ragazzi, volete?» salutò Greta porgendo la sua botti-glia di birra.

«c’avete messo molto a trovarci?» chiese Diana facendo spazio a Joy per sedersi accanto a lei.

«No, quando ho visto tutta questa gente credevo che non sarei mai riuscito a trovarvi!» rispose Romeo fra un sorso e l’altro.

Joy passò la serata a parlottare con Abby, Diana e Greta che, avendola vista arrivare mano nella mano con Romeo, avevano già capito tutto.

«Avete parlato di... su insomma... mi hai capita!» bisbigliò Diana con aria complice. Joy la guardò con aria corrucciata, non aveva capito proprio nulla.

«È la prima volta per entrambi, questo discorso è molto importante, mi raccomando, ragionate prima di prendere de-cisioni affrettate, ok?» si raccomandò Greta.

«Ma cosa volete dire?! Basta con queste domande imbaraz-zanti, qualcuno potrebbe sentirci» si difese Joy. Intimidita da tutta quella curiosità e confusa dalle vaghe parole delle sue amiche, cercò lo sguardo di Romeo sperando che lui andasse

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a salvarla. Adesso che anche loro erano una coppia ufficiale, e che non c’era Giona a fissarli e controllarli, Romeo prese il suo posto fra Abigail e Diana e la fece sedere sulle sue gambe.

«Ho interrotto qualcosa?» chiese con aria divertita.«No, caro. Tranquillo. Resta pure qui, non hai interrotto nul-

la... solo i nostri discorsi!» rispose Greta sarcastica.La serata durò fino a notte fonda, finché i ragazzi brilli e

allegri decisero di tornare a casa.«Romeo, è molto tardi quindi se non vi dispiace verremo

con te ad accompagnare Joy» propose Alvin.Il gruppo prese la metro, scese a Telica e salutò Joy a pochi

metri di distanza dal cancello di casa sua.«Ti aspettiamo qui» disse Tobia a Romeo.«È stata una bellissima serata» bisbigliò Joy, prendendo il viso

di Romeo fra le mani e avvicinando le labbra al suo orecchio.«Anche per me» disse lui baciandola, nascosto da un vec-

chio albero.«Vai, non farli aspettare».«ci vediamo domani».Quando furono a casa Romeo raggiunse subito Greta che

era nel suo letto al buio e non riusciva a dormire. Abigail, come tutte le sere, era andata a dormire nella stanza di Eddy e lei aveva la stanza tutta per sé.

«Sei sveglia?» sussurrò Romeo prima di entrare.«Sì, soffro di insonnia ultimamente».«c’è una cosa che oggi non ho avuto il tempo di dirti, ma

credo sia importante».«Vuoi parlarmi di Joy?» chiese Greta con un sorriso raggiante.«No» tagliò corto Romeo e si sbrigò a raccontare il suo in-

contro con Frida prima che Greta lo interrompesse di nuovo.«come hai fatto a non accorgerti che Frida ti seguiva? Ades-

so tutte le volte che uscirai solo sarò terrorizzata».«Non credo che mi farebbe del male».«Certo che no, gli servi intero! Potrebbe solo rapirti e infilar-

ti in qualche caverna in mezzo ai boschi per i prossimi trenta giorni».

«Prima o poi la smetterà di braccarmi, oggi sono stato chia-ro con lei».

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«lo spero. E con Joy, invece, come va?».la loquacità di Romeo si esaurì in quel momento.«che vuoi dire?» disse, dopo averci pensato bene.«Si vede che ti piace, a me puoi dirlo. che avete fatto oggi?

Spero niente che non si possa più cambiare!».«Buonanotte Greta, a domani».le proteste di Greta non servirono, Romeo le diede il ba-

cio della buonanotte e tornò nel suo letto, due minuti dopo dormiva già. Greta invece si rigirava nel letto, ma prendere sonno era impossibile, si sentiva ansiosa e agitata. Qualcuno bussò. Istintivamente pensò che Romeo avesse cambiato idea e volesse parlarle di Joy, poi si rese conto che il rumore veniva dalla finestra alle spalle del suo letto. Tremò immaginando un attacco notturno di Frida, ma quando scostò la tenda si ritro-vò la faccia di Boris appiccicata contro il vetro.

«Sono solo, apri!» bisbigliò giungendo le mani a mo’ di pre-ghiera.

Greta rifletté. Era annoiata e angosciata e non aveva nessu-na voglia di prendere sonno. chiuse a chiave la porta della sua camera e tornò da Boris.

«Aspetta, non vorrei che ti rompessi il collo proprio ora» gli disse. Dopo aver spinto un comodino proprio sotto la fine-stra gli aprì e lo fece entrare.

«cerca di non distruggerlo».«con chi credi di parlare, tesoro?».Quando sembrava che fosse tutto apposto, l’orlo dei suoi

pantaloni si impigliò contro il pomello di un cassetto. Un se-condo dopo, Boris era con la faccia per terra e il cassetto era volato sullo stomaco di Greta.

«Tu sei un inetto» ringhiò lei facendogli cadere il cassetto in testa.

«Dammi una mano, strega!».«Strega lo dici alla tua amica» disse gelida Greta, poi si se-

dette comodamente sul suo letto osservandolo mentre si ri-metteva in piedi.

«lascia stare Frida».«Dille di non seguire più Romeo o io la strozzo con le mie

mani, a costo di finire a fare la ladra per l’eternità con i dannati».

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«Non puoi vietare al tuo amichetto di vedere una sua vec-chia amica, è come se qualcuno ti impedisse di vedere me».

«Gliene sarei debitrice a vita».«Eppure non sembra, visto che mi hai fatto entrare».lei non ribatté. ci furono istanti di silenzio imbarazzante.

Boris la fissava con uno sguardo da talpa innamorata.«ce l’hai scritto in faccia che vuoi che resti con te».«Sulla mia faccia deve esserci un errore».Boris ignorò il suo tono acido e si sedette accanto a lei ini-

ziando a massaggiarle il collo e le spalle. Greta si rilassò sotto le sue mani grandi e lisce, chiuse gli occhi e non parlò più.

«la tua reazione non sembra quella di una persona infasti-dita» la stuzzicò lui sedendosi con un movimento fulmineo davanti a lei e risvegliandola bruscamente.

«Zitto o urlo» disse lei tappandogli la bocca con una mano e spingendolo via.

«Ho un modo per non farti urlare» sussurrò lui tornando a ridurre la distanza.

Greta era combattuta. Da una parte era serena, credeva nel-la simpatia fra lei e Boris. Dall’altra era agitata, consapevole che se Boris era lì, il motivo non era lei.

«Se cerchi di creare un legame con la mia famiglia baciandomi, ti sbagli. Il mio bacio eterno l’ho già dato un bel po’ di vite fa».

«Non sapevo che avessi un compagno».«E non ce l’ho infatti. È stato un bacio dato per caso, per-

ché non sapevamo cosa fosse il bacio eterno. Non siamo mai stati insieme ma nelle nostre precedenti vite ci siamo sempre ritrovati».

«Posso sapere chi è?».«Ettore, ma non dirlo in giro».Come Greta aveva immaginato, Boris non tentò più di ba-

ciarla. Era arrabbiata e delusa, gli avrebbe scagliato qualunque cosa addosso.

«Dopo questo tentativo fallito non ci torturerete più?» chie-se Greta ritrovando la sua aria polemica e indifferente. Dove-va farsi vedere forte e risoluta, nemmeno per un istante Boris avrebbe dovuto pensare che anche solo la parte più piccola e ingenua di lei gli aveva dato fiducia.

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«Devi smetterla di parlare sempre di questa storia quando siamo insieme».

«Mi dispiace, ma non trovo nessun altro argomento da po-ter condividere con te. E poi sono davvero stanca...».

«Vuoi che me ne vada?».«Sì, ma per favore esci dalla porta d’ingresso».

***

Quella notte sembrava insonne per tutti, nemmeno Joy ri-usciva a dormire e costringeva leo a vegliare con lei. Erano accucciati su un divano della cucina coperti da tre plaid, uno sopra l’altro, che ammortizzavano i loro bisbigli.

«Hai parlato con Giona?».«Sì, ma quando ti nomino o va via o cambia discorso».«Perché mi odia così tanto?».«Se ti odiasse davvero non ci sarebbero tutti questi proble-

mi. Belit è molto giù per questa storia, i nostri pranzi e le nostre cene sono dei veri mortori, la tensione che c’è fra voi si taglia con un coltello!».

Senza chiedere permesso, Queeny si infilò nella loro tana. «cosa posso fare?» chiese Joy esasperata.

«Devi cercare di chiarire!».«Ma cosa?».«le vostre posizioni».«la mia è chiarissima».«Perché non gli dai una possibilità?».Joy guardò leo con la stessa faccia di chi vede un asino

volare.«Non fare questa faccia, sei stata con lui ore e ore. Adesso

arriva Romeo e la tua vita si sconvolge. Giona, che prima era al centro dei tuoi pensieri, ora si ritrova all’ultimo».

«Non è come pensi! l’importanza di Giona per me non è cambiata, ma non devi paragonarlo a Romeo, si tratta di sen-timenti diversi...».

«Invece a volte sembra proprio che tu voglia ignorarlo!».«Stai scherzando, spero? È lui che mi ignora. Forse è meglio

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chiudere qui questa conversazione, non voglio litigare anche con te!» esclamò Joy abbracciandolo.

«come vuoi... ma pensa a quello che ti ho detto!».«ci proverò».«Non ho voglia di dormire, guardiamo un film?» propose

leo.«Va bene. Sui film siamo sempre d’accordo!».

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cAPITOlO VII

la tovaglia bianca era macchiata ovunque di rosso, sette bot-tiglie di vino erano sparse per la cucina: sul tavolo, sul divano e sul pavimento. Eddy e Abigail erano spariti. Diana, l’unica sobria, cercava di condurre una conversazione normale con Greta e Ortensia che però a ogni sua parola scoppiavano a riderle in faccia, l’unica che le dava un po’ di retta era Berta, sempre parca di parole e concetti. Giona, Ettore e leo erano stati coinvolti da Alvin in un gioco con le carte che aveva appena ideato e anche se le regole non erano chiare a nes-suno, tutti si sforzavano comunque di giocare. Joy e Romeo, ignorando la festa di baccanti intorno a loro, sorseggiavano l’ultima goccia di vino rimasta.

«Usciamo fuori? Qui c’è troppa confusione» propose Ro-meo.

«Solo se mi dai una mano!» ridacchiò Joy. Aveva le gote ros-se e lo sguardo vacuo di chi ha bevuto qualche bicchierino di troppo.

Romeo le porse un braccio e la guidò in giardino. Era una serata calda e silenziosa.

«Raggiungiamo il dondolo, mi gira la testa».«Buona idea» ribatté Romeo.Quel cielo di velluto sgombro da nuvole e puntellato di

stelle visto dal vecchio dondolo, ricordava la sera di qualche giorno prima. Joy si strinse a Romeo desiderando che lui la abbracciasse.

«Frida si è fatta rivedere?».«Per fortuna no. Ma da quello che mi ha detto è chiaro che

non mi libererò facilmente di lei».«Mi fa paura quel demone...».«Non ci pensare. Non può farmi del male, la mia famiglia

mi protegge».«Ok... per adesso non ci penserò anche perché c’è qualcosa

di più interessante proprio qui, a pochi centimetri da me...» bi-

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sbigliò Joy avvicinando il viso a quello di Romeo, che le passò una mano fra i capelli e la strinse a sé.

«Ragazzi, siete lì?» chiese Greta. Solo dopo focalizzò l’imma-gine che aveva davanti e tornò in casa correndo sconvolta.

«Forse è ora di andare» disse Joy, allontanandosi bruscamen-te da Romeo dopo aver sentito la porta chiusa con violenza.

Greta li aspettava con una faccia a metà fra lo sconvolto e l’euforico.

«Venite subito con me!» esclamò quando rientrarono in casa, prendendo Joy per mano.

Dopo aver scavalcato Ortensia che russava sul pavimento arrivarono alle scale, ma li attendeva un altro ostacolo. Eddy e Abigail si baciavano con troppa passione e troppi risucchi.

«Oh mio Dio» biascicò Greta schivandoli e tenendo la testa sollevata. Finalmente raggiunsero un divano isolato e tran-quillo.

«Non pensate che voglia farmi i fatti vostri» esordì Greta.calò il silenzio.«Ho visto che vi siete baciati».Joy e Romeo continuavano a non fiatare. Greta rischiava di

innervosirsi, rendevano tutto più difficile.«Io non ho mai parlato di questo a Romeo, e non so se

tu, Joy, ne sai già qualcosa. È un discorso un po’ complesso, qui siamo a Gwenever, la città eterna, dove molte cose sono eterne».

«Ma... non è la prima volta che ci baciamo!» la interruppe subito Joy, in evidente imbarazzo.

Greta era attonita, ma si riprese e continuò il suo discorso: «Quando due persone si baciano per la prima volta qui, sigil-lano la loro unione. Voi sarete legati per sempre. Anche se un giorno non vorrete più stare insieme, vi ritroverete in ogni vita e in ogni morte».

Greta si aspettava facce stravolte e preoccupate, invece Ro-meo accarezzava serenamente la mano di Joy.

Greta tirò un sospiro di sollievo ma in quel momento Joy si coprì il viso con entrambe le mani.

«che succede?» chiese Romeo.«c’è una cosa che non vi ho detto... qualche giorno fa Et-

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tore mi ha baciata... prima del bacio con Romeo» mormorò sentendosi crollare il mondo addosso.

Romeo si irrigidì all’istante. Greta si mise a ridere, era una risata quasi isterica.

«Sapevo che lo avrebbe fatto, è da quando hai messo piede qui che parla solo di te. E poi tranquilli, quello non è un bacio eterno! Il bacio è eterno solo se per entrambi è la prima volta e il primo bacio a Gwenever. Ettore il suo bacio eterno l’ha dato qualche vita fa!».

«Ma perché hai baciato Ettore?» chiese Romeo con un tono gelido.

«Non è stata colpa mia... è stato lui ad avvinghiarsi a me» si giustificò Joy.

«Puoi crederle. Ettore ha una tecnica molto rude e brusca per provarci con le ragazze!» lo rincuorò Greta.

Romeo e Joy si rilassarono e si ripresero per mano.«State scherzando, spero».Una voce che Joy conosceva bene si intromise rabbiosamen-

te nei loro discorsi. In piedi, sulle scale, c’era Giona. Tremava per la collera.

«No, non scherzano» disse Greta.Giona scagliò un calcio contro la ringhiera. Avrebbe voluto

urlare qualcosa contro Joy ma la guardò solo con occhi di fuoco, poi tornò sotto.

Quando leo fu in grado di guidare la macchina, Joy ridi-scese al piano di sotto pronta per tornare a casa e seppe che Giona era andato via a piedi. Salutò Romeo con la promessa che si sarebbero visti al più presto, e salì in macchina aiutando Ettore a non accasciarsi su se stesso mentre camminava.

«Joy, immagino che tu sappia perché Giona è andato via infuriato, a me non ha voluto spiegare nulla» disse leo, tanto tutti dormicchiavano, era come se fossero soli.

«Ha ascoltato una conversazione che non gli interessava» ribatté Joy dura.

«Se hai bisogno di parlargli ti cedo la stanza».Joy preferì non dire nulla e aspettò in silenzio di arrivare a

casa.«Proverò a svegliare Giona ma ti lascerò la stanza libera.

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Preferisco uscire fuori per parlare con lui, potrebbe alzare la voce» bisbigliò Joy a leo mentre girava la chiave nella toppa.

Dopo aver aiutato Ortensia a mettere il pigiama, Joy si in-ginocchiò accanto al letto di Giona e iniziò a chiamarlo con sussurri delicati. Dopo molti tentativi Giona si svegliò. Ini-zialmente la squadrò con gli occhi pesanti di sonno e quando il suo cervello iniziò a carburare si irrigidì.

«cosa vuoi?».«Esci un attimo a parlare con me».Per la prima volta Joy usò un tono autoritario e duro. lui si

alzò, la scansò e si infilò una giacca.«Andiamo».l’aria della notte era fredda e Joy affondava il viso nella sua

soffice sciarpa rosa.«Hai qualcosa da dirmi?».«Tu hai qualcosa da dirmi, perché non tollero più il tuo at-

teggiamento!».«Non c’è niente da dire che tu non possa già aver capito da

sola» tagliò corto Giona. Fece per rientrare ma Joy lo afferrò da una spalla e lo tirò indietro.

«Non posso dare per certe le cose che immagino senza aver-ne conferma da te».

«Va bene, Joy. Vuoi proprio sentirtelo dire? Sono innamo-rato di te dal primo momento in cui ti ho vista. E anche se non è lo stesso per te, speravo che avrei avuto la possibilità di vivere almeno un momento speciale con te. E stasera questa speranza è morta. Tu hai preferito un altro legame al nostro. lo hai reso eterno senza pensare a me nemmeno per un atti-mo. Volevo che tu scegliessi di suggellare il nostro legame, poi avresti potuto baciare Ettore o Romeo e non me ne sarebbe importato più di tanto. Ma ho perso. Adesso se mi vuoi un minimo di bene stammi lontana».

Questa volta Joy non se la sentì di fermarlo e rimase sola con le sue lacrime. Aspettò di calmarsi, si asciugò con il dor-so della mano e poi rientrò. Prima di chiudere la porta un rumore fra le lapidi la fece spaventare, guardò attentamente ma al buio non riuscì a vedere nulla. chiuse bene a chiave con diverse mandate e andò a letto. Intanto cesare correva alla

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velocità della luce verso la locanda in cui lo aspettavano i suoi compagni. Frida era nervosa, Romeo non voleva nemmeno ascoltarla e il tentativo di Boris di legarsi a Greta era fallito.

«Manca un mese alla cerimonia e se non troviamo questo stramaledetto quinto elemento saremo fuori anche quest’an-no!» ringhiò. I suoi lineamenti già duri, quella notte erano an-che animaleschi e minacciosi. la sua faccia larga e schiacciata era un dipinto di frustrazione e rabbia. Quando cesare spa-lancò la camera della stanza senza bussare, ansimava trafelato per la lunga corsa.

«ci sono novità».«Parla» lo incitarono tutti.«Ho ascoltato una discussione fra Joy e un suo amico, litiga-

vano perché lei ha dato il suo bacio eterno. Non è stato però specificato a chi, ma il ragazzo ha fatto due nomi: Ettore e Romeo. E a me è venuta un’idea... se Romeo si fosse legato a Joy, potremmo usarla per ricattarlo!».

Frida sferrò un pugno al tavolo in segno di gioia.«Finalmente la situazione si smuove, bel lavoro cesare. Spe-

riamo che questa volta la fortuna giri dalla nostra parte».«ci basterà minacciare l’incolumità della sua Joy, per farlo

crollare» disse Demiro, i suoi denti bianchi e perfetti brillava-no nella penombra.

«Non cantate vittoria troppo presto. cos’hai sentito esatta-mente, cesare?» chiese Boris.

«le parole di un ragazzo geloso, arrabbiato perché la sua bella non ha voluto suggellare con un bacio il loro legame».

«Si parlava proprio di bacio eterno?».«Si intuiva. Nessuno lo ha mai specificatamente nominato,

ma si parlava di un legame eterno... e si sa come nasce un le-game di questo tipo!».

«Perché tutte queste domande?» chiese Frida digrignando i denti.

«Sono solo curioso!» si giustificò Boris. In realtà sapeva bene che trattandosi di bacio eterno era sicuro che Joy avesse baciato Romeo. Non c’era nulla da scoprire, ma decise di non rivelare la confessione che gli aveva fatto Greta e lasciare nel dubbio i suoi compagni.

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«Allora Boris, tocca di nuovo a te. Hai tempo fino a domani notte per farmi sapere se questo bacio ci può servire o no!».

***

l’ultima volta in cui Boris andò a trovare Greta la trovò sdraiata sul prato con le braccia aperte, un’espressione molto rilassata e un mucchietto di cicche poco più sopra della sua te-sta. Fu così silenzioso che lei non si accorse di averlo accanto. come ogni volta che andava a trovarla era notte fonda.

«Se fossi un malintenzionato ti avrei già rapinata e neutraliz-zata, cos’hai fumato?».

Greta trasalì.«Niente di troppo pesante. È da un po’ che non ci vediamo,

credevo che ormai Frida avesse smesso di braccarci» rispose dopo averlo riconosciuto.

«È rassegnata, ma questo non c’entra con noi».«Se avessi gli anni che dimostro, con i tuoi modi affascinanti

e persuasivi avresti già ottenuto tutto da me, anche la casa!» esclamò Greta, accompagnando le sue parole con un sorriso triste. l’idea che Boris tramasse qualcosa la perseguitava.

«Sei così furba e diffidente che potresti essere benissimo un demone nero!».

«cosa vuoi, Boris?».lui ignorò la sua domanda, le sedette dietro e iniziò a intrec-

ciare i suoi lunghi capelli biondi, giocarci lo rilassava.«Questo periodo è molto stressante. Frida non pensa a niente

che non sia la cerimonia e non troviamo nessuna soluzione».«I vostri quattro cervellini hanno bisogno di molta concen-

trazione».Boris le tirò una treccia, poi continuò a lamentarsi dei suoi

compagni, accampando scuse su scuse.«Ho capito che hai qualcosa da dirmi, va’ al punto, Boris.

Non mi interessano le tue bugie» disse Greta bloccandolo bruscamente.

la sua aria premurosa e mansueta svanì, afferrò Greta dalle spalle e la sbatte sull’erba umida.

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«Volevo essere gentile con te, ma non tollero più la tua pre-sunzione. cesare ha assistito...».

«Origliato vorrai dire...».«Non interrompermi. cesare ha assistito a una conversazio-

ne fra Joy e un suo amico, il rosso. Parlavano di un bacio, chi ha baciato Joy? Si tratta di Romeo, vero?».

Greta iniziò a ridere, avrebbe dovuto capire subito che Bo-ris era lì per quello. Si liberò dalla sua presa, si alzò e si pulì i vestiti con le mani.

«Te lo dico solo perché la mia risposta farà innervosire Frida più del mio silenzio. Sì, Joy ha baciato proprio il suo deside-rato Romeo» gli sibilò all’orecchio con un’aria soddisfatta e divertita.

«Mi dà fastidio il tuo atteggiamento sbruffone. Ti dico una cosa. Ho capito subito che Joy ha baciato Romeo perché si parlava di un bacio eterno, e so benissimo che con Ettore non sarebbe stato possibile. Ma non ti ho tradito, non ho detto nulla ai miei compagni e infatti sono qui per rispettare l’ordine che mi ha dato Frida.

«come potrei crederti?».«Mi hai stancato. ciao Greta».«ciao Boris. Salutami quella strega».Nello stesso momento i due si voltarono le spalle e si allon-

tanarono in direzioni opposte.

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cAPITOlO VIII

Frida digrignava i denti come un cane a cui hanno strappato l’osso, solo Demiro riusciva a calmarla un po’.

«Siediti, Frida. Perché ti lamenti?».«Quella gatta morta me la deve pagare per essersi messa in

mezzo!».«cos’hai pensato di fare?» chiese Boris.«Ovviamente toglierla di mezzo, venite con me».I demoni si misero le loro giacche nere e uscirono dalla lo-

canda in fila come soldati ben addestrati. Presero la metro e scesero a Kirkoff, furono gli unici a fermarsi lì. Frida si tirò su il colletto della giaccia lasciando scoperti solo gli occhi. Nel tunnel della metro aleggiava puzza di alcool e urina, era deserto, con qualche cartaccia qua e là.

«Ho qualche idea sulle tue intenzioni, qui puoi trovare solo quello che penso io».

«Ed è proprio quello che cerco, Boris» disse Frida.Kirkoff era il quartiere dei dannati, le anime di chi in vita

aveva compiuto crimini terribili e per questo era stato espul-so dal ciclo della rinascita. Solo la vicinanza di un dannato incuteva angoscia e terrore. Erano condannati a girovagare nei mari del male per l’eternità, terrorizzando i vivi e i morti, senza nessuna possibilità di riscatto. Frida cercava la locanda dello Stalliere, uno dei suoi posti preferiti. Era vicino al porto e non ci misero molto ad arrivare. Dentro i soffitti erano bassi e le luci rossastre, si respirava odore di birra. I clienti erano quasi tutti uomini dalle facce rozze e le poche donne presenti erano scimmiesche e mascoline.

«Il solito per tutti e quattro, Rosmunda» ordinò Demiro se-dendosi su uno sgabello davanti al bancone. la barista era una donna con le spalle così larghe da fare invidia a un muratore, le mani callose, l’espressione arcigna e i capelli tirati.

«come mai da queste parti?» chiese sbattendo quattro boc-cali sul bancone.

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«cerchiamo Oscar» rispose Frida.«Siete fortunati, riparte proprio dopodomani».Il “solito” di Demiro e gli altri era un liquore ambrato così

forte da non avere sapore e ustionare la lingua e la gola.«È sul retro, potete andare» disse Rosmunda quando i boc-

cali furono vuoti.Frida e i suoi compagni sorpassarono il bancone e infilaro-

no la porta scorrevole con su scritto “VIETATO ENTRARE”. Oscar giocava a carte con un vecchio sgangherato e ridevano come due iene eccitate.

«Guarda un po’ mio vecchio amico, un fresco quartetto ve-nuto apposta per me!» esclamò l’uomo che Frida cercava.

«Buonasera Oscar. Se la vostra partita può essere interrotta, vorremmo parlarvi di affari» disse Frida, saltando i convene-voli. A quelle parole il dannato prese l’amico dalle spalle e lo scaraventò fuori dalla stanza. Masticava tabacco, sminuzzan-dolo con gli incisivi. la sua pelle bruciata era unta quanto i suoi capelli brizzolati.

«Spero sia qualcosa di interessante, sedetevi».«Rosmunda ci ha detto che fra due giorni partite».«Esatto, ragazzina. Vuoi venire?».«Oh, no! Ho qualcosa di più interessante della mia presenza

da proporvi».la faccia corrucciata di Oscar si distese in un ghigno.«Va’ avanti» disse riempiendo quattro bicchierini di rum.«Diciamo che questo è uno scambio fra amici, a noi eli-

minerete un problema e voi avrete una schiava in più. Ve la cediamo a qualunque prezzo».

«È giovane e in salute?».«Sì».«Mille denari».«Affare fatto».«A quando la consegna?».«Domani notte al molo abbandonato nel bosco di Gwene-

ver, saremo lì al terzo rintocco della campana del paese.Oscar si alzò, i suoi pantaloni erano lerci, aprì il cassetto di

un mobile antico e maltenuto e tirò fuori due sacchetti di iuta.«cinquecento adesso, il resto alla consegna» disse lancian-

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doli sul tavolo e investendo due bicchierini che si frantumaro-no sul pavimento.

«Un’ultima cosa. Domani con noi sarà presente un ragazzo al quale diremo che un giorno la sua bambolina tornerà a casa, non dite nulla che possa far vacillare la sua convinzione».

Oscar iniziò a ridere, il suo era un latrato catarroso.«Geniale, piccola Frida».«Ora andiamo» disse cesare.«Siate puntuali».Frida infilò i sacchetti sotto il cappotto e ordinati come era-

no entrati, i quattro andarono via.«Mi sembra troppo» obiettò cesare quando la metro fu ben

lontana da Kirkoff.«E allora stanne fuori» ribatté Demiro.«Non potete vendere un’anima ai dannati per un gioco che

si è spinto troppo oltre. Venderla significa che Joy Hallet non potrà più tornare indietro. Vagherà per l’eternità con le anime più nere che l’umanità abbia mai visto e farà la loro stessa fine, non potrà più riscattarsi».

«Senti cesare, non fare il maestrino dal cuore d’oro, o stai con noi o te ne vai e non torni più» tagliò corto Frida in tono scocciato.

«Non mi permettereste mai di lasciare la famiglia, sareste di nuovo punto e a capo».

«Appunto, ora sta’ zitto o finisce male» ringhiò Demiro col-pendolo alle spalle, buttandolo a terra e scavalcandolo. Anche Frida lo ignorò continuando a camminare svelta lungo il cor-ridoio della metro. Solo Boris si fermò.

«Sono d’accordo con te ma per ora non possiamo far niente. Domani lascia che le cose vadano come vuole Frida, poi ci penseremo noi».

«Chi mi dice che posso fidarmi di te?».«Nessuno, ma non hai altra scelta».Quando arrivarono alla locanda Frida era troppo eccitata

per dormire.«Allora, chi è d’accordo?».Quando cesare esitò prima di alzare la mano, Boris gli mol-

lò una gomitata nelle costole.

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«Faremo così: condurremo Joy e Romeo nel bosco, devono essere soli. Li inseguiremo fino a farli arrivare dove non sa-pranno più come orientarsi, lì saranno obbligati a seguirci fino al molo da Oscar. consegneremo la “gatta morta” e diremo a Romeo che l’unico modo di riaverla è entrare nella nostra famiglia, se accetterà, Joy tornerà dopo la cerimonia.

«come faremo, secondo te, a convincere Joy e Romeo a seguirci spontaneamente nel bosco in piena notte?» chiese cesare interrompendola bruscamente. Frida gli lanciò contro una bottiglia di vino piena, che lui schivò e si spaccò contro una parete. la stanza fu invasa da un odore aspro.

«Tu, anima pia, penserai alla piccola Joy. la strapperai con la forza dal suo letto. Io penserò a Romeo. ci incontreremo nella radura prima del molo».

«Andrò io con lui» si intromise Demiro.«Ora buonanotte».Incurante del vetro e del vino sul pavimento, Frida spense le

torce appese al muro e si mise a letto.

***

Quando Joy uscì dalla classe di letteratura trovò Romeo ad aspettarla.

«com’è andata oggi?».«ci siamo ignorati» rispose Joy con tono serio e drammatico.«Adesso hai da fare?».«No, aspetto che Berta finisca di copiare degli appunti e poi

torniamo a casa».«Volevo chiederti se ti va di venire a pranzo da me, oggi»

propose Romeo prendendola per mano.Joy accettò subito e gli stampò un bacio sulle labbra.«Però prima accompagniamo Berta a casa».Per tutto il tragitto in metro Joy e Romeo si tennero per

mano, ogni volta che lei si voltava a guardarlo stentava ancora a credere che lui fosse davvero lì con lei, che finalmente non fosse più solo un suo desiderio. Quando arrivarono a casa del signor Manlio il pranzo era già pronto.

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«ciao, Joy. Belit mi ha parlato di te, mi fa piacere conoscer-ti!» esclamò Manlio accogliendola con un abbraccio.

«ciao Joy!» esclamarono Greta e Abigail entrando in cucina.«Romeo mi aveva detto che avrebbe voluto invitarti, così ho

cucinato io. In questa casa ci sono tre belle donne, ma nessu-na è in grado di mettersi ai fornelli senza rischiare di incen-diare la casa o di avvelenare anche un cane» dichiarò l’uomo, riempiendole il piatto di ravioli bollenti.

«Be’, anche io ho molto da imparare!».Eddy e Abigail erano i più affamati della tavolata. Mangia-

vano con gusto e finirono per primi. Greta non la smetteva di lanciare occhiate disgustate verso i loro piatti.

«Ehi Joy, hai lezione domani?» chiese Diana fra un boccone di bistecca e l’altro.

«Sì, domani inizio ailuromanzia, il corso con i gatti!».«Anche tu sei fissata con i gatti come Belit?! Belit e tutti quei

gattacci! Saranno almeno tredici vite che le dico di liberarse-ne!» esclamò Manlio.

Dopo pranzo Romeo e Joy si dileguarono.«Siediti sul mio letto, ho una cosa da farti sentire».«Suoni? Non me lo avevi detto!» esclamò Joy, quando Ro-

meo estrasse una chitarra classica da un angolo fra il suo ar-madio e la scrivania.

«Questa canzone è solo per te».Joy si distese sul letto e si rilassò, chiuse gli occhi e si lasciò

cullare dolcemente dalla musica generata dalle dita affusolate di Romeo che si muovevano agili sulle corde della chitarra.

«ROMEOOO, io voglio dormire!» strillò il signor Manlio dal piano di sotto.

Joy sobbalzò e la musica si interruppe bruscamente.«Manlio non è un amante della chitarra» spiegò Romeo ri-

posandola al suo posto.«Allora non ci resta che fare silenzio» bisbigliò Joy.Romeo si sfilò le scarpe e si accucciò sul letto accanto a lei

passandole una mano intorno ai fianchi. Erano faccia a faccia, si guardarono intensamente per qualche minuto, poi Joy gli passò le dita fra i capelli e si avvicinarono sempre di più, fino a raggiunge-re quella distanza che poi sfuma irrimediabilmente in un bacio.

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cAPITOlO IX

la classe di ailuromanzia era rotonda. Sembrava un salotto arabo. Il tetto era un mosaico di frammenti di specchio che in alcuni punti copriva con sottili strisce anche la parete. lun-ghi teli di stoffe leggere e translucide dal soffitto ricadevano leggere sulle pareti riempiendo, con i loro colori preziosi, gli spazi tra una striscia di mosaico e l’altra. I banchi, disposti in semicerchio, erano tavoli bassi e intarsiati a cui si arrivava stando seduti sui tappeti orientali che ricoprivano tutto il pa-vimento. In diversi punti c’erano sofà di velluto bianco. Una donna affascinante con voluminosi capelli scuri che le incor-niciavano gli zigomi alti, e gli occhi grandi di un castano quasi dorato, era soavemente accomodata su una poltrona dama-scata al centro dell’aula, contornata da un fiume di gatti di tutti i colori e tutte le dimensioni. Parlava con una voce sottile e sinuosa come i suoi movimenti.

«Benvenuti, ragazzi» disse, quando tutti i banchi furono oc-cupati. Gli animali, liberi di andare dove volevano, iniziarono ad acciambellarsi sui sofà sparsi in giro o a saltare da un banco all’altro.

«Sono la professoressa lucrezia Yang» continuò, ignorando lo stupore generale di chi entrava per la prima volta nella sua classe.

Un micino grigio iniziò a mordicchiare le stringhe delle scarpe di Joy, poi si mise a giocare con i suoi capelli cercando di afferrarli con le unghie.

«Guarda che carino!» bisbigliò prendendolo in braccio.«Signori, l’ailuromanzia può essere praticata con tutti i gatti,

anche con uno che non avete mai visto prima, ma perché sia più semplice e accessibile è bene che ci sia un legame fra voi e un gatto in particolare. Questa prima lezione sarà più un gioco che un momento di studio perché ognuno di voi deve scegliere il proprio compagno, quello con cui studierà durante tutto il nostro percorso.

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Berta e gli altri ragazzi della classe si alzarono e iniziarono a guardarsi intorno.

«Non scegliete il vostro animale in base alla bellezza» con-sigliò lucrezia Yang, accarezzando il suo soriano bianco e in-fiocchettato.

Joy era concentrata sul pancino grigio del suo micio, quando Berta arrivò seguita da una gatto tigrato.

«Ti presento Middy!».«Vero! Non ho ancora pensato a un nome...».«È maschio o femmina?».«Femminuccia» rispose Joy dopo aver controllato, poi si

mise un attimo a riflettere.«che ne pensi di Apple?».«Bene, ragazzi, prendete posto con il vostro gratto!» escla-

mò la professoressa, interrompendo tutto l’allegro movimen-to nella classe.

Intanto sul banco di Berta arrivò strisciando un biglietto. Era del ragazzo del banco vicino che le fece l’occhiolino.

“Andiamo a prendere un caffè dopo la lezione? Mat”.Berta si girò a guardarlo un po’ sconvolta, non era abituata

a quel genere di attenzioni. Mentre lui attendeva una risposta lei passò il biglietto a Joy.

«chi è Mat?».«Quello che ci sta osservando proprio in questo momento,

quello con le orecchie da elfo».«Rispondigli di sì! Io ti aspetterò in biblioteca».“Ok”.«Magari scrivigli anche il tuo nome!» suggerì Joy.“Ok, Berta”.«Il vostro animale fa parte del corredo scolastico. Per questo

motivo lo porterete a casa con voi, dovrete studiarlo, capirne le esigenze e i movimenti. l’ailuromanzia è un’arte delicata e spesso diffusa impropriamente al popolo che l’ha mediocriz-zata e stereotipata. Prendete pagina tredici!».

l’aria fu invasa dal fremito delle pagine sfogliate veloce-mente.

«l’elenco che avete davanti è quello delle credenze popolari dal quale voi dovrete estrapolare gli aspetti validi e dimenti-

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care quelli totalmente inventati. Durante la prossima lezione faremo un dibattito al quale interverrete tutti, quindi studiate! Fuori dall’aula troverete un mio collaboratore che vi darà una borsa per portare il vostro animale in giro per il campus. Se verrete trovati a tenerlo fuori dalla portantina, dentro o in giardino, riceverete una nota. Potrete liberarlo solo nell’aiuola di ailuromanzia, la riconoscerete dal cartello. Trattate bene il vostro gatto, non sono previsti cambi».

lo sciame di gatti senza padrone seguì ordinatamente lu-crezia Yang attraverso una porticina dietro la sua poltrona.

«Abbiamo già finito?» si chiese Joy cercando di fermare Ap-ple che tentava di arrampicarsi sul suo maglione come se si trattasse di un albero. Un uomo barbuto e nerboruto distri-buiva delle borse di patchwork imbottito all’uscita dalla classe. Joy prese la sua e vi infilò dentro Apple.

«Ehi, Berta! Mi fa piacere che tu abbia accettato il mio invi-to» disse Mat poggiato con le spalle al muro dopo aver messo il suo gatto rosso nella portantina.

«ci vediamo dopo!» esclamò Joy allontanandosi.Apple si dimenava nella borsa, infastidita dalla confusione.«Sta’ buona!».«con chi parli, Joy?».Una voce familiare la colse di sorpresa.«ciao Diana! Parlo con il mio nuovo gatto!».«Voglio vederlo!».«Sai dove si trova l’aiuola di ailuromanzia?».«No, ma posso accompagnarti a cercarla».la mattinata era grigia e nuvolosa, il giardino era deserto e

silenzioso. L’aiuola per i gatti, spaziosa e recintata da una fit-tissima rete in metallo verde, era dietro il castello. lì Joy liberò la gatta inferocita.

«Si chiama Apple e credo che non le piaccia viaggiare in una borsa».

«È bellissima!».Dopo aver scalato un albero e aver provato a distruggere il

recinto Apple si buttò, sfinita, ai piedi di Joy.«Hai lezione?» chiese Diana, cercando di raccogliere tutti i

capelli ricci e ribelli in una treccia.

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«No, aspetto Berta. Ha un appuntamento galante con un ragazzo! Tu hai lezione?».

«No, io aspetto Alvin, è a epistemologia dei numeri» rispose Diana, solo pronunciare il nome di quella materia la confon-deva.

«Allora andiamo in biblioteca? Berta sa che la aspetto lì».Dopo una lotta con Apple, Joy riuscì a rinchiuderla nella

portantina, ma i suoi miagolii strazianti erano insopportabili.«Se non la smette ci butteranno fuori dalla biblioteca!».Diana si sfilò un bracciale tintinnante pieno di ciondoli a

forma di rana.«Dalle questo, si calmerà!».«Ma lo distruggerà...».«Non fa nulla, ne ho altri a casa».Quando Joy lasciò cadere il bracciale Apple si zittì. Prima lo

annusò, poi lo colpì con una zampata, infine inizio a mordere le rane, una per una.

«Grazie!» esclamò Joy con un sospiro. la biblioteca era se-mivuota, le ragazze scelsero un tavolo tranquillo vicino alla macchinetta delle bevande calde.

«Allora, come ti trovi a Gwenever?» chiese Diana mescolan-do la sua cioccolata bollente.

«Sarebbe tutto perfetto se non fosse per Giona...».«Sì, immagino. Alvin mi ha accennato qualcosa».«A volte mi sento in gabbia con lui in casa, non posso nem-

meno pronunciare la parola “Romeo” senza dover subire la sua faccia che mi accusa...».

«Perché tu e Romeo non venite al lunapark con me e Alvin stasera? c’è una nuova attrazione, il tunnel dei dannati, così ti distrai un po’!».

«Sarebbe perfetto!».«Ti passiamo a prendere dopo cena. Ora devo scappare, Al-

vin mi starà aspettando, a più tardi!».Joy rimase in biblioteca a sfogliare il libro di ailuromanzia.

Era pieno di figure, ma i caratteri della stampa erano piccoli e stretti, leggerne più di due righe era stancante. Berta non si vedeva e Joy iniziò a leggere l’elenco delle credenze popolari a pagina tredici.

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“Se il gatto si pulisce le orecchie vi è pioggia in arrivo. Se il gatto si pulisce le orecchie per tre volte arriverà una visita dalla direzione in cui guarda...”.

“... se vi segue arriverà del denaro, se il gatto sale sui mobili arriverà della pioggia. Se il gatto abbandona improvvisamente la casa in cui vive, catastrofe imminente. Se un gatto nero en-tra in casa vostra porterà fortuna. Se un gatto nero attraversa la strada vi porterà sfortuna. Se un gatto bianco attraversa la strada, malattia. Se un gatto nero passa sotto una scala porterà sfortuna al primo che vi salirà. Se un gatto starnutisce la sera prima di un matrimonio, sfortuna per la sposa (ma questa è una credenza soprattutto italiana). Se vi appare un gatto sulla soglia di casa e la porta è semiaperta, formulate una domanda. Se avanza con la zampa destra avrete risposta affermativa, se con la sinistra negativa. Se incontrate tre gatti neri consecuti-vamente avrete fortuna. Se il gatto dorme con la schiena rivol-ta verso fonti di calore significa che arriverà maltempo...”.

«Ehi, Joy!».«Berta, Pensavo ti fossi persa!».«Abbiamo parlato tantissimo, è simpaticissimo!».«Vi rivedrete?».«credo proprio di sì!».

***

Joy era pronta. Aveva dovuto chiudere Apple in camera sua per tenerla lontana da Queeny e dalle stringhe dei suoi stivali scamosciati, un gioco irresistibile, e aspettava che la venissero a prendere chiacchierando con Ortensia.

«Sei troppo impaziente!».«Mi capita sempre quando posso passare una serata con

Romeo senza avere davanti Giona che mi incenerisce con lo sguardo!».

Ortensia si mise a ridere.«Vedi il lato positivo della situazione, puoi ritenerti una ra-

gazza super ricercata!».«Non prendermi in giro».

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«Tutte le ragazze sognano uno come Giona, atletico, possente, duro...» disse Ortensia, con enfasi, ridendo come una matta.

«chi disprezza compra» ridacchiò Joy.«Nemmeno se fosse l’ultimo uomo di Gwenever!».la serata era fredda e il vento sibilava dalle fessure.«Joy, hanno suonato, è per te!» urlò Belit dalla cucina.«Domani mattina raccontami tutto!».«come sempre» disse Joy schioccandole un bacio, poi prese

la borsa e corse via.Alvin aveva preso in prestito la macchina del signor Manlio,

un’utilitaria rossa. Romeo la aspettava sul sedile posteriore.«ciao ragazzi!».«come sta Apple?» chiese subito Diana.«È incontrollabile! Ho dovuto rinchiuderla nella mia came-

ra, stava distruggendo la poltrona di Belit!».«chi è Apple?» chiesero all’unisono Alvin e Romeo.«la mia gattina, è per il corso di ailuromanzia».«Perché non ti dedichi a materie più serie? Io seguo solo

corsi molto interessanti» disse Romeo.«Anche le mie materie sono interessanti» ribatté Joy, un po’

offesa.«A cosa serve studiare il futuro attraverso un gatto o un

dado? lo trovo molto stupido».«Io non seguo questi corsi perché spero di poter prevedere

il futuro, ma solo perché sono arti antiche, scienze di popoli che non ci sono più e mi incuriosiscono. Non è necessario il tuo tono da “so tutto io”!».

«Voi ragazze avete le farfalle in testa!» esclamò Alvin.«Voi nemmeno quelle, ora guida!» disse Diana, dandogli un

buffetto in testa.Il lunapark era stellare. Era a cielo aperto, ma c’erano così

tante luci da riscaldare l’aria.«Andiamo subito alla nuova attrazione!» esclamò Diana sal-

tellando, non riusciva a star ferma e il sorriso le arrivava agli zigomi.

I ragazzi si fermarono a osservare un gioco per niente inte-ressante. C’era un sacco rosso che si doveva colpire, più era forte il pugno, più saliva il punteggio.

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«Quanto scommetti che arrivo a ottanta con il primo col-po?» chiese Alvin con aria di sfida a Romeo.

«Ho capito, è meglio se al tunnel dei dannati ci andiamo da sole! Amore, quando finite di giocare con questo sacco rosso cercate il tunnel, ci vediamo lì» disse Diana prendendo Joy sottobraccio.

«Va bene, ragazze. ci vediamo fra poco» rispose Romeo, perché Alvin era troppo impegnato a preparare il colpo.

“TUNNEl DEI DANNATI”.Diversi cartelli indicavano la via per raggiungere la novità

del lunapark.«Mi hanno detto che è fantastico!».«Io adoro i lunapark, non avrei mai pensato di trovarne uno

qui» disse Joy.«Guarda questo!» esclamò Diana indicando un’enorme alta-

lena meccanica che roteava come una centrifuga nel cielo.«Potremmo passarci più tardi, quando saremo sicure di aver

digerito».Ogni giostra era piena di gente di tutte le età, ma quella con

la fila più lunga era proprio il tunnel dei dannati.«Dovremmo salire su quei gommoni neri» disse Diana indi-

cando un gruppo di ragazzi che prendeva posto e si preparava a entrare nel tunnel.

La fila scorreva lentamente, così che arrivarono anche Ro-meo e Alvin.

«Sei ancora offesa con me?» bisbigliò Romeo prendendo Joy per mano.

«No... non più» disse lei abbracciandolo.Finalmente era quasi arrivato il loro turno.«Joy, fra poco tocca a noi! JOY, FRA POcO TOccA A NOI!»

urlò Alvin per ben due volte, notando che lei aveva lo sguardo perso nella folla.

«Oh, sì, scusami...» disse prendendo tre monete.«che succede?».«Niente amore mio, mi era sembrato di vedere uno di quei

demoni che ti danno la caccia, là in fondo, ma sono sicura di essermi sbagliata».

le due coppie presero posto e si allacciarono le cinture. Ro-

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meo volle mettersi nel posto da pilota per essere lui a ma-novrare il gommone con un enorme sterzo. Joy gli sedeva accanto.

«Al mio tre premete il pulsante rosso!» strillò l’uomo che li aveva fatti sedere.

Al suo tre Romeo premette e partirono. Il tunnel era al buio, sembrava un buco nero. Per il primo tratto di strada non si vide nulla, si sentivano solo lamenti e voci disumane uscire da ogni direzione. Poi si iniziarono a vedere luci rosse e verdi in lontananza. Il gommone scivolava su un sottile corso d’acqua che lo faceva sbandare lungo le pareti lisce del tunnel, Romeo doveva mettere molta forza per non farlo ribaltare. le luci lontane si accendevano e si spegnevano, quando le raggiunse-ro si sentì un “bip” e furono accecati da una luce rossa fortis-sima, lo sterzo diventò pesante come una pietra e Romeo per-se il comando del gommone che si lanciò in avanti. Erano su delle rotaie in discesa, correvano così veloci da avere il cuore schiantato in gola. Diana, Alvin e Joy urlarono con tutto il fia-to che avevano in gola. Romeo era impassibile come sempre. Improvvisamente la corsa si fermò. Sulle pareti fiocamente illuminate si stagliavano ombre sinistre. Al loro passaggio, dal soffitto cadde un velo nero che gli impedì di vedere. Quando il velo fu sollevato si ritrovarono al buio in un tunnel più largo in cui scorreva di nuovo acqua e il gommone iniziò a sbandare ma Romeo ne riprese rapidamente il comando. Si accesero le luci, di nuovo torce con fiamme di stoffa alle pareti.

«È una taverna!» disse Joy. Il gommone zigzagava fra tavoli e sedie a cui erano seduti finti dannati dalle espressioni terri-ficanti.

«Siete finiti!» disse una voce meccanica. Alvin e Romeo rise-ro. Joy si guardava intorno con gli occhi sgranati.

«Hanno davvero queste facce, i dannati?».«Sì, ma il loro problema non è la bruttezza. Quando sei vi-

cino a un dannato senti il terrore che ti invade le vene, inizi a respirare la paura, è una sensazione di finito e di soffocamen-to» rispose Alvin.

Il gioco era finito.«contenta, Diana?» chiesero tutti scendendo dal gommone.

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«Non era proprio come me lo aspettavo! Adesso che si fa?».«Andiamo tutti a casa?» propose Romeo.«No! Guarda quanti giochi che ci sono!» ribatté Joy pren-

dendolo per mano.«c’è la ruota, così vedrete Gwenever dall’alto!» propose

Diana.Per la ruota panoramica la fila era più breve, c’erano solo

coppie. Alvin e Diana salirono su un seggiolino giallo, Romeo e Joy su uno blu. la ruota era tutta illuminata e girava lenta-mente. lì sopra faceva freddo. I lampioni dal basso e le stelle dall’alto illuminavano i profili delle case e le strade, il paesag-gio sembrava una foto antica sfumata di arancione.

«Guarda quante luci» disse Joy tremante.«È molta bella la città vista da quassù» ribatté Romeo strin-

gendola a sé. Sul punto più alto della ruota rimasero fermi più a lungo.

«Quando Greta l’altra sera ci ha spiegato quelle cose sul ba-cio eterno ho avuto paura...» mormorò Joy.

«Paura di cosa?».«Paura di vederti scappare terrorizzato!».«E perché avrei dovuto? la prima volta che ti ho vista è sta-

to come trovare una persona che aspettavo da tempo».Joy sentì l’euforia pulsarle nelle vene, per la prima volta lo

baciò senza aspettare che fosse lui ad avvicinarsi per primo. Rimasero stretti, finché la ruota non finì il suo giro e Diana dovette richiamarli alla realtà.

«Torniamo a casa?» chiese Alvin.«Per me va benissimo!» rispose Romeo.«Aspettate! Andiamo almeno a comprare le caramelle!

Guardate quante bancarelle...» implorò Diana facendo gli oc-chi dolci ad Alvin, e lui non resistette.

le bancarelle erano strapiene di ogni tipo di dolce. Dal tor-rone alle mele caramellate, dal cioccolato alle liquirizie. I pro-fumi zuccherosi e tiepidi e le voci dei bambini impazienti, im-pregnavano l’aria fredda della notte rendendola meno ostile. Diana riempì un sacchetto ficcandoci dentro tutto quello che riusciva a entrarci, Romeo e Joy scelsero insieme, anche se alla fine mangiò tutto lei.

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«Ora possiamo tornare a casa?» supplicò Alvin.«Ma c’è ancora il tappeto volante!» sputacchiò Diana, con la

bocca piena di mela caramellata.«Vi prego, ragazzi! Quello e basta!» si aggiunse Joy.La faccia di Romeo era afflitta e sconsolata, quella di Alvin

pure. Ma alla fine si lasciarono convincere. La fila era breve perché era già molto tardi e la giostra era semivuota. Joy e Romeo si misero nella fila a sinistra, Diana e Alvin di fronte a loro, a destra.

«Voglio vedere le vostre facce!» esclamò Diana eccitata.Il grande tappeto di metallo iniziò a oscillare e ondeggia-

re, poi sbattendo da un lato all’altro si ritrovò a mezz’aria. Guardare in basso faceva girare la testa, la ruota panoramica in confronto sembrava la ruota di una bicicletta. Di botto il tappeto si lanciò verso il basso, Joy sentì lo stomaco che si appiattiva, Diana urlò così forte che Alvin dovette allontanar-si. Per altri venti minuti fecero un continuo su e giù, quando scesero sembravano quattro uova strapazzate.

«Ok, ora torniamo a casa» biascicò Joy, mentre le caramelle che aveva ingurgitato si ribellavano nella sua pancia.

Per strada non c’era nessuno, il tragitto fino a casa di Belit fu rapido.

«Posso scendere un attimo ad accompagnarla?» chiese Ro-meo quando arrivarono.

«Fa’ pure» rispose Alvin.«Grazie per la serata, buonanotte ragazzi!» esclamò Joy

scendendo dalla macchina.«Era da tempo che non mi divertivo così!» disse Romeo

quando furono davanti l’uscio di casa.«Davvero? Dalla tua faccia sempre uguale non si direb-

be...».«che antipatica!».Si tennero per mano e si osservarono alcuni istanti, erano

armonici e sintonizzati, perfetti come pezzi di un puzzle che finalmente si uniscono.

«Devo andare, non posso farli aspettare».«Hai ragione, se vuoi domani pomeriggio passa a trovar-

mi».

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«Verrò dopo le lezioni, buonanotte Joy».con un bacio, si salutarono.

***

Joy dormiva profondamente, Apple era aggrappata alla felpa del suo pigiama e dormiva con lei. Quando furono svegliate bruscamente non c’era più nulla da fare. Berta era imbava-gliata e legata, mani e piedi, al letto. Anche lei aveva la bocca coperta di nastro adesivo e si sentiva i polmoni scoppiare. cesare e Demiro erano nella sua camera.

«Saluta la tua amica, Joy. Ti portiamo a fare un viaggetto!» esclamò Demiro. Mentre le legava i polsi, Apple lo minacciava con le unghie e con i suoi piccoli denti. Infastidito, il demone la schiantò contro il muro con un ceffone. la gatta gemendo si infilò nella sua portantina. Berta e Joy urlavano con gli oc-chi, si guardavano e piangevano ma dalle loro bocche serrate non usciva nemmeno un lamento.

«Aprimi la finestra, veloce» ordinò Demiro.cesare velocemente afferrò la portantina di Apple e ne chiu-

se la cerniera, poi aprì la finestra.«cos’hai preso?».«Il suo gatto, almeno le farà compagnia».«Idiota» ringhiò Demiro, e senza volere il suo aiuto, si ab-

barbicò sulla finestra e ne balzò fuori. Joy si dimenava come un’anguilla, sbatteva i piedi cercando di colpirlo e agitava le braccia stirandosi i polsi ma senza risultato.

«Smettila o finisce male».Fregandosene del monito, continuò a dimenarsi e riuscì a

colpirlo in testa con una ginocchiata, Demiro la lasciò cadere a terra sul terreno accidentato. Joy sbatté la guancia contro una pietra appuntita e sentì la carne aprirsi e il sangue rigarle il viso, poi Demiro la colpì nella schiena con un calcio. Un dolore acuto e secco si diramò lungo la spina dorsale fino al collo.

«Smettila Demiro, questi calci non erano nei patti» disse ce-sare.

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«Fatti gli affari tuoi».«Sono anche affari miei».Per la prima volta cesare attaccò Demiro. lo colpì al torace

e all’altezza dello stomaco con una violenza che non sapeva di avere. Demiro tossì e smise di rispondere ai suoi colpi.

«Faremo tardi se non andiamo via subito».con la faccia divertita, mollò altri due calci a Joy che stordita

dal dolore perse i sensi.

Si risvegliò con un tonfo che destò anche i dolori del suo corpo, e sentì subito una voce terrorizzata che la chiamava e che riconobbe immediatamente. la nausea le attanagliava la gola, sforzandosi cercò di girare la testa, con la coda dell’oc-chio vide Romeo, era immobilizzato da Boris.

«Finalmente la famiglia è al completo, cosa c’è in quella bor-sa, cesare? Dammela subito» disse Frida, e senza aspettare una risposta gliela strappò dalle mani. Una belva inferocita le saltò in faccia, con gli artigli puntati contro di lei.

«cos’è, uno scherzo?» urlò afferrando Apple dalla coda e lanciandola via come se fosse di pezza.

«No, è il gatto di Joy».«Toglilo da davanti a me o lo schiaccio con i miei piedi. De-

miro, libera Joy».cesare rimise Apple nella portantina. Era stordita, non riu-

sciva a tenere gli occhi aperti né a camminare bene, come la sua padrona. Quando Joy fu libera corse da Romeo, gli buttò le braccia al collo ma le sue gambe cedettero al dolore lan-cinante della schiena. Boris liberò anche lui e lasciò che la sorreggesse.

«cosa le avete fatto?» urlò vedendo il sangue incrostato sul volto della ragazza e il fango a chiazze sul pigiama rosa.

«che succede?» biascicò Joy. Aveva paura.«Non lo so» rispose Romeo, era teso e spaventato e la strin-

geva forte per farsi coraggio.«Ve lo spiego io cosa succede» intervenne Frida.«Succede, cara Joy, che il tuo amato Romeo ha avuto una

richiesta pacifica, non ha accettato e allora adesso gli propor-remo un patto».

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Romeo si sentì mancare. Sapeva che quello non era uno scherzo, che Frida lo avrebbe colpito e affondato e Joy sareb-be stata il tramite.

«Tra poco arriveranno dei miei amici a cui ho gentilmente chiesto di portarti a fare un giro per Gwenever, su una nave. Ti sembrerà una crociera!».

Demiro scoppiò a ridere.«Mentre tu sarai via» riprese Frida «Romeo avrà tutto il tem-

po di decidere se venire con noi, e permetterti di tornare qui, o restare a casa della cara Greta e lasciarti con i miei amici!».

«No, Frida! Questo non puoi farlo. È un ricatto sporco!» urlò Romeo. Tremava di rabbia. Joy si sentì mancare. l’idea di partire con “amici di Frida” la angosciava quanto quella di abbandonare Romeo con quei mostri. Non riusciva a parlare. confusione, orrore e sgomento la soffocavano.

«Va bene, verrò con te adesso, ma lascia stare Joy».«Troppo tardi ormai. Dovevi pensarci prima».Il fischio di una nave aumentò il batticuore di Joy.«legateli» ordinò Frida.«Qualunque cosa succeda, sta’ tranquilla. Torneremo insie-

me. Ti amo, Joy» sussurrò Romeo dandole un bacio veloce prima che Demiro gliela portasse via.

Joy era irrigidita dal terrore, si lasciò legare i polsi e non si dimenò più. Cesare le mise la portantina a tracolla, Apple era dentro, si sentiva dal peso, ma era immobile. Joy pensò che potesse essere morta.

«Possiamo andare» disse Demiro quando anche Romeo fu legato. la quiete del bosco era insudiciata da vocii, urla, im-precazioni sempre più vicine. Frida guidò il gruppo lungo un breve sentiero che terminava sul mare. c’era un vecchio molo a cui era attraccata una nave brulicante di uomini massicci e sporchi, uno di questi appena li vide arrivare si staccò dal gruppo per raggiungerli.

«Perfettamente puntuali» esclamò. Subito dopo la sua at-tenzione fu catturata da Joy. Iniziò a studiarla attentamente. Il suo odore di tabacco e sudore la nauseava.

«come ti chiami?».la testa di Joy ciondolava silenziosa, cercando di concen-

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trarsi su qualcosa che potesse farle dimenticare la puzza e la paura.

«come ti chiami?» urlò Oscar. Il suo alito catarroso, fetido di tabacco la stordì.

«Si chiama Joy Hallett, e non devi toccarla» disse Romeo.«Tu non mi interessi, non intrometterti».Un uomo tarchiato e unto arrivò con un sacchetto di iuta

in mano.«Signore, la somma che aveva chiesto».«Bene. Frida è stato un piacere fare affari con te. Bob, pren-

di questa ragazzina e portala in cucina, più tardi la sistemere-mo».

Il marinaio si avvicinò a Joy ma Romeo liberandosi dalla presa di Boris le si parò davanti per proteggerla.

«cosa le farete?».«Niente, le daremo un lavoro!» latrò Oscar.«Spostati o sarò costretto a farti del male» disse meccanica-

mente il marinaio.Boris tirò Romeo a sé. Joy si voltò a guardarlo, nei loro oc-

chi c’era solo disperazione. Senza fiatare si lasciò trascinare via dal marinaio.

«Aspetta Joy!» urlò Romeo.«Sono sicura che manterrai la tua promessa, ti amo tanto

anche io» disse lei e con un sorriso rassegnato lo salutò.«Quanto devo aspettare per rivederla?».«Il tempo che Oscar finirà il suo viaggio e tornerà a casa,

solo se tu sceglierai di venire con me» disse Frida.Oscar iniziò a ridere, le sue fauci annerite e il suo diverti-

mento inquietarono Romeo, sentiva che non gli era stata detta tutta la verità.

«Andiamo, ti riportiamo a casa» disse cesare.«Buon viaggio» disse Frida nascondendo bene i soldi nel

suo cappotto.Demiro con una corda dura e ruvida legò il polso di Romeo

al proprio e si incamminarono verso casa.Per tutto il tragittò Romeo non fiatò. Era animato da una

rabbia cieca e violenta. Arrivarono che era quasi l’alba e ab-bandonarono Romeo sul tappeto di benvenuto.

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PARTE II

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“I limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni.”

(Philippe Petit)

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cAPITOlO X

Il signor Manlio bevve il suo caffè e si mise il giornale sot-tobraccio. Era pronto per la solita passeggiata al parco, come ogni mattina.

Quando uscì, per un istante credette di aver avuto un’alluci-nazione. Si strofinò gli occhi, ma Romeo livido e sporco, era ancora lì disteso sull’asfalto.

«Eddy, Alvin! Venite, presto!» urlò lasciando cadere il suo giornale e prendendo fra le braccia il ragazzo privo di sensi. Quando lo appoggiò su un divano in salotto, erano già arrivati tutti. Il cuore di Greta perse un colpo alla vista del suo braccio tumefatto che pendeva inerme. Abigail non si fece prendere dal panico e portò dalla cucina una pezza bagnata con cui gli rinfrescò il viso.

Romeo iniziò a riprendersi.«cos’è successo? Ti ho lasciato nel tuo letto stanotte» far-

fugliò Alvin.«Boris e Frida mi hanno rapito. Mi hanno condotto nel bo-

sco, poi sono arrivati Demiro e cesare con Joy... e Frida l’ha consegnata ad un uomo, il proprietario di una nave che sta-va per partire proprio da lì. Quest’uomo le ha dato dei soldi in cambio...» Romeo fece una pausa poi riprese «e mi hanno detto che Joy tornerà solo quando accetterò di andare con loro».

Greta sbiancò. Il suo viso divenne uno straccio ingiallito, cercò una sedia, le ginocchia tremanti non la reggevano.

«Quest’uomo partiva dal molo del bosco?» chiese, respiran-do profondamente per mantenere una voce calma.

«Sì, sembravano un branco di pirati».«E lui ha dato dei soldi a Frida, in cambio di Joy?».«Sì».calò un silenzio straziante.«Ma tornerà se accetto di andare con Frida» aggiunse Ro-

meo, accennando un sorriso speranzoso.

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In quel momento Greta decise che sarebbe stato inutile na-scondergli la verità.

«Romeo, Joy non tornerà. Frida ha venduto la sua anima ai dannati. Non c’è nulla che possiamo fare».

***

Frida era soddisfatta. Soppesava i suoi bei soldi e vi im-mergeva dentro le mani come se fossero acqua fresca sotto il sole.

«Ora dobbiamo solo decidere che giorno andare a prendere Romeo!» esclamò.

«Io credo sia meglio farlo il prima possibile, ma mi piace l’idea di lasciarlo un po’ macerare nella sua angoscia» latrò Demiro ridendo.

Ora si sentivano sicuri, fra meno di un mese sarebbero stati finalmente accolti dalla congrega dei demoni neri, come una vera famiglia. Bisognava solo iscrivere Romeo al loro albo, ma quelle erano questioni burocratiche. Bastava fare una gitarella a Kirkoff e sarebbe stato tutto fatto.

«cesare, Boris, non mi sembrate contenti del risultato della nostra piccola missione» disse Frida.

«Sbagli, scoppio di gioia» ribatté Boris con un sorriso falso.«Se siete così contenti, perché non andate ora a Kirkoff a

informarvi? Non sappiamo bene con chi dobbiamo parlare per il cambio di stato di Romeo» suggerì Demiro.

cesare ingoiò il rospo, Boris annuì, prese il suo cappotto e ne passò un altro all’amico.

«cercheremo tutte le informazioni utili» sibilò Boris.

Kirkoff, anche al sole, era un quartiere infernale. le barac-che annerite dal fumo e dal tempo si affacciavano sulle strade deserte, sembrava che fosse tutto abbandonato.

«Dove andiamo?» chiese cesare.«Chiediamo a Rosmunda, è l’unica di cui possiamo fidarci».la trovarono nel suo bilocale adiacente alla locanda dello

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Stalliere. Anche la sua casa da fuori sembrava una baracca di-sabitata. Quando Rosmunda aprì, furono investiti da un odo-re fetido di birra e muffa.

«cesare, Boris! che ci fate qui? c’è qualche problema? Mi sembra strano vedervi da queste parti, so che voi non siete amanti della zona».

«Dobbiamo parlarti di una cosa delicata... possiamo entra-re?» chiese cesare.

la barista li accolse nella sua topaia e li pregò di accomo-darsi su un vecchio divano cigolante. Il salotto sembrava un vecchio deposito pieno di scatoloni colmi di cianfrusaglie. c’erano pochi mobili, un tavolino illuminato da sottili stri-sce di luce che filtravano da una serranda chiusa, una sedia coperta da una fodera con grossi fiori sbiaditi e una vetrina a tre scomparti, nel secondo mancava il vetro, in cui erano disordinatamente ammassati boccali di birra colorati e piccoli oggetti di ceramica.

Un vecchio gatto rosso e spelacchiato miagolò entrando nel salotto e si andò a sedere ai piedi della padrona.

«Hai fame, Lisca?» domandò Rosmunda, con la voce più dolce e quasi femminile che le avessero mai sentito.

Lisca, in risposta, iniziò a strofinarsi contro le sue gambe.«Scusate, questa è l’ora della pappa».la donna sparì nella stanza accanto seguita dal suo micio

felice.«Ho la nausea, questo divano mi fa ribrezzo!» bisbigliò Bo-

ris.«Sta’ zitto. I commenti lasciali per quando saremo fuori di

qui!» lo ammonì cesare.«Eccomi, ditemi tutto, cari».Prese la parola Boris, amava farsi portavoce di tutto ed eser-

citare le sue abilità retoriche. Rosmunda lo ascoltò con atten-zione, massaggiandosi il mento con le dita tozze e ruvide.

«Frida sarà pazza di gioia! Io però non saprei come aiutarvi direttamente, ma so dove mandarvi. Aspettatemi».

la barista li lasciò di nuovo soli. cesare capì che Boris stava per dire qualcosa che poteva essere sconveniente, e gli mollò una gomitata nelle costole per fermarlo in anticipo.

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«Questo è l’indirizzo di un vecchio amico, non so che lavoro faccia esattamente ma io mi rivolgo a lui per qualunque pro-blema, ha tante conoscenze... saprà come aiutarvi».

Sul post giallo, che Rosmunda porse a Boris, erano scara-bocchiati un indirizzo e un nome.

«Possiamo dire che ci mandi tu?» chiese cesare, alzandosi dal fetido divano e avviandosi all’uscita.

«Sì, certo. Ma non dite di lui a nessuno. Non è proprio una persona raccomandabile».

«Grazie, Rosmunda. ci sei stata davvero utile» dissero i de-moni chiudendosi alle spalle la porta della topaia.

«Oh, aria pura!» esclamò Boris, inspirando a pieni polmoni.«Urla un po’ di più, così è sicuro che Rosmunda ci sentirà»

ringhiò cesare.«Scusa, scusa. E poi anche se ci dovesse sentire, ormai sap-

piamo dove andare» ribatté Boris con un sorriso ebete. la casa di K. Brown era al confine di Kirkoff, vicino alla fermata della metro. Era un piccolo appartamento grigio, meno scro-stato e diroccato di quelli vicini. cesare e Boris dovettero suo-nare più volte prima di avere una risposta. Quando K. Brown aprì ebbero un attimo di esitazione. I suoi tratti neri e ostili indugiarono per eterni istanti sui nuovi arrivati.

«chi vi manda qui?».«Rosmunda. Possiamo parlare?».«Vi faccio entrare solo perché vi manda lei» acconsentì K.

Brown, aprendo uno spiraglio per farli passare.«Ditemi, veloci. Ho da fare».«c’è un demone bianco che vorrebbe passare dalla nostra

parte. Bisogna cancellarlo dal suo albo e iscriverlo al nostro» spiegò Boris rapidamente.

«Non è una procedura veloce, ci vorrà un po’ di tempo».«Abbiamo meno di un mese!» esclamò cesare, guardandosi

intorno. La casa era semibuia, ma più ordinata di quella di Ro-smunda. Sembrava che i dannati non amassero la luce. Erano creature oscure e temibili che si mimetizzavano nel buio. Sul tavolo erano abbandonati una tazzina da caffè e una brioche morsicata. Il lavello però era vuoto, c’era solo uno strofinac-cio consunto appeso al pomello della credenza.

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«Io posso cercare di velocizzare le procedure, ma più sarò veloce, più vi costerà».

Boris e cesare si scambiarono uno sguardo divertito.«Non è un problema! Dacci una data e un prezzo» disse

Boris.«ci vediamo qui fra due settimane, con il ragazzo. la cifra

sarà pattuita in base al mio lavoro. Ora andate, non fate mai il mio nome».

«Grazie» disse Boris, porgendo una mano che non venne corrisposta.

la porta fu chiusa sgarbatamente e loro furono di nuovo all’aperto.

«Andiamo via da qui» disse subito cesare.«Spero che Brown sia davvero costoso. Sarà molto diver-

tente vedere Frida che spende tutti quei soldi... per niente!» esclamò Boris.

«E ora che si fa?».«Prima andiamo da Romeo, poi torniamo da Frida».la fermata per Olimpia era a dieci minuti di strada da Kir-

koff.le tende a casa del signor Manlio erano tutte chiuse. In giar-

dino non c’era nessuno.«Pensi che sia saggio suonare?» chiese titubante Boris.«Se vogliamo che Romeo ci creda dobbiamo avere un com-

portamento adeguato, non possiamo scassinargli una finestra e poi dirgli che siamo venuti in pace!» gli fece notare cesare.

«Rischiamo botte!» sottolineò Boris.«Sarebbero meritate» ribatté cesare, suonando il campanel-

lo. Furono attimi di tensione, ma nessuno venne ad aprire. Risuonarono, ma nemmeno quella volta ebbero risposta.

«Torniamo un’altra volta, non c’è nessuno!» esclamò Boris facendo spallucce.

«Domani lo cercheremo al campus, magari saremo più for-tunati!».

Quando il campanello smise di suonare, Romeo, qualche piano più sopra, tirò un sospiro di sollievo e tornò alla sua quiete solitaria.

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cAPITOlO XI

«Sveglia! Una montagna di patate ci aspetta».Joy aprì gli occhi e per poco non urlò. Aveva dormito su una

branda sconquassata ed era chiusa in uno stanzino disordina-to e sudicio, con una perfetta estranea.

«Prima puoi lavarti, ti ho preparato un bagno caldo».«Grazie» disse Joy. ci mise un po’ a realizzare che quello

che credeva un sogno, era davvero accaduto. Non era a casa sua, in camera con Berta, e possibilmente non ci sarebbe più tornata. la rassegnazione inondò la sua mente con la vio-lenza di un tornado, rubandole forze e idee. Svogliatamente si alzò con l’espressione di chi portava un macigno rovente sulle spalle e sistemò Apple sul cuscino. la gattina malconcia tremava. Sentendo il terreno oscillare sotto i suoi piedi, le fu chiaro che si trovava proprio sulla nave in cui era stata spinta qualche ora prima.

«Ti accompagno. comunque io sono Jasmine Nahid».«Joy Hallett».Jasmine indossava un vestito vecchio, largo e consumato.

Enorme per il suo corpo scheletrico. Aveva la pelle dorata come il miele, occhi orientali e capelli scuri e lunghi.

«Puoi spiegarmi cosa ci faccio qui? cosa ci fai tu? Dove va questa cazzo di nave?».

«Seguimi. Io sono una cameriera... sono salita qui come la fidanzata di uno di loro, ora lavo cessi, preparo quintali di cibo per quel branco di maiali e rassetto abiti» spiegò Jasmine, guidando Joy attraverso un angusto corridoio con i tetti bassi e interamente ricoperto di legno.

«E lui dov’è?».«Me lo chiedo spesso. Una sera ha litigato con Oscar. lo

hanno buttato in mare. Penso che sia salvo, eravamo vicini a un porto».

«Io non ho ben chiaro cosa mi sia successo. credo di essere stata venduta a questo Oscar».

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«Mi fa piacere sapere che non sono l’unico demone bian-co su questa nave adesso! Per favore fatti abbracciare. le poche donne che ci sono qui sono peggio di Oscar e i suoi scagnozzi!».

Per rispondere al suo abbraccio Joy le diede una titubante pacca sulla spalla.

«Oscar ti ha assegnato quello stanzino, finché non avrai quello che ti serve puoi venire nella mia camera. Ti lascio sola, non hai molto tempo. Sul letto c’è un vestito per te, io vado a dare una pulita alla tua nuova camera» disse Jasmine tirando fuori una chiave dalla tasca del suo grembiule e aprendo una porticina di ottone. Joy entrò in una stanza grande quanto la sua, ma ordinata. c’era una branda con delle lenzuola bian-che, sul cuscino era piegato un abito verde pastello. c’erano anche un comodino con una foto e un mazzolino di lavanda essiccato, un baule e una tinozza piena di acqua fumante e profumata. Joy si avvicinò al comodino, la foto immortalava Jasmine accoccolata fra le braccia di un ragazzo che le baciava la guancia. la rimise esattamente al suo posto e si spogliò. Dal suo pigiama rosa cadeva ancora terra, sui polsi e sulla schiena aveva grossi lividi. l’immagine di Romeo che urlava il suo nome balenò nella sua mente. Si immerse nell’acqua e si bagnò il viso cercando di rimandare le lacrime indietro. Si lavò velocemente e si vestì. l’abito era largo e logoro ma si accontentò. Raccolse i suoi vecchi vestiti e richiuse a chiave la porta della camera di Jasmine. Quando entrò nel suo stanzino lo trovò completamente trasformato. Jasmine le avevo messo delle lenzuola azzurre e fresche, aveva spazzato e spolverato e aveva abbellito l’oblò con una tendina color lavanda ricamata con delicate farfalle bianche.

«Ho fatto io questo ricamo!» esclamò orgogliosa, indicando le preziose farfalle.

Vicino al letto adesso c’era un comodino vecchio e molto usato, ma coperto con un centrino bianco. Nella parete ad an-golo era incastrato un vecchio baule, accanto una tinozza per il bagno e una cesta in cui dormicchiava Apple.

«Spero che così tu ti senta più a tuo agio!».«Grazie non dovevi!».

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«la tua gatta non sta molto bene, aveva alcune ferite, le ho pulite con un disinfettante e le ho bendate».

Joy prese Apple in braccio e la accarezzò. Dal suo musetto uscì un miagolio debole.

«Più tardi ti racconterò perché sono finita qua e anche per-ché Apple è ridotta così male».

«Dobbiamo cucinare il pranzo per ottantasette uomini affa-mati e dopo avremo tutto il tempo che vogliamo per parlare fino all’ora di cena! Questa è la chiave della tua stanza, non la perdere. la notte qui è meglio chiudersi bene a chiave. Andia-mo, le patate ci aspettano!».

Joy sistemò Apple nella sua cuccia e la coprì, chiuse la porta della sua nuova stanza e seguì la sua nuova amica.

«Ho dimenticato di dirti che non mangiamo con i pirati, abbiamo una cucina riservata a noi che è questa» disse Jasmi-ne aprendo una porta a pochi metri dalla sua camera. Joy vi buttò dentro un’occhiata, vide un lavello roso dalla ruggine, lo squarcio di un tavolo traballante, sentì squittire un topo e tanto le bastò per sentire un conato di vomito.

«Ok, puoi chiudere».«Sì, fa schifo, lo so! Ma purtroppo non è solo mio, qui ci

mangiano anche altre cameriere... ah, stavo per dimenticarlo! Anche il gabinetto è lì dentro, anche quello è condiviso con le altre. Non c’è porta, ma solo una tenda davanti quindi ti con-siglio di andarci o al mattino presto o alla sera molto, molto tardi».

«Fantastico».la cucina era all’ultimo piano, quindi non c’era nessun oblò

ma solo luce artificiale e violacea. L’odore che aleggiava era nauseabondo.

«È arrivata la ragazza nuova» latrò un armadio biondo plati-no vestito da donna, vedendo Joy e Jasmine entrare.

«ciao Tarsilla».«Buongiorno» disse educatamente Joy.Da dietro una dispensa sbucò una donna massiccia e pro-

sperosa. Il suo seno bovino traboccava da un corpetto nero e fucsia troppo stretto. Sul suo faccione paonazzo era acconcia-ta, con strass e fiori, una massa informe di ispidi capelli rossi.

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Un po’ più sopra dei suoi labbroni impiastricciati di rossetto, era dipinto un finto neo sbavato da un bordo.

«Adesso non ti lamenterai più quando ti toccherà pelare le patate, perché da oggi in poi abbiamo la cameriera della came-riera, solo per te, Jasmine» disse con tono acido.

«A lei non devi rispondere, è la compagna di Oscar» sibilò Jasmine in modo così rapido che solo Joy la sentì.

«Sì, Griselda. Non mi lamenterò più. Dove sono le mie pa-tate?» disse poi a voce più alta.

«Ora siete in due, portatevele su da sole».Jasmine, senza battere ciglio, prese Joy per mano e la tirò fino

a quello che sembrava un tombino dall’altra parte della cucina.«che strega» mormorò inginocchiandosi e cercando di

smuovere il chiavistello che chiudeva la botola. Joy le diede una mano e insieme ci riuscirono.

«Scendi con me, ti faccio vedere la dispensa» disse Jasmine, infilando una mano nel buco nero e accendendo una lucina che illuminò una rampa di scale molto stretta.

«Fa’ attenzione. Scendo prima io».Dopo che Jasmine fu arrivata, Joy scese. Quei gradini picco-

li e scivolosi le facevano tremare le ginocchia. Quando ebbe messo entrambi i piedi sul pavimento si rilassò e si guardò intorno. Ogni centimetro di muro era ricoperto da scaffali zeppi di scatolette, confezioni di pasta, carne essiccata e mon-tagne di patate. Tutto impolverato, unto e disordinato.

«Dobbiamo portare su circa tre sacchi di patate, è faticoso. Di solito è quella vacca di Tarsilla che me le prende, lei ha del-le braccia più grasse e forti di quelle di un muratore».

«ce la faremo».le ragazze riempirono tre sacchi di tela marrone. Jasmine

provò a caricarsene uno sulle spalle ma anche se Joy spingeva da dietro, non riusciva a salire nemmeno un gradino. Provò Joy, ma non ci riuscì nemmeno lei.

«Ho un’idea, non è un metodo veloce ma eviteremo di farci male!» esclamò Joy appena vide un secchio pieno di scatolet-te. Fregandosene del contenuto lo svuotò buttando tutto sul pavimento, prese una corda abbastanza spessa e lunga e fece diversi nodi molto stretti intorno al suo manico.

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«Prendi un’estremità della corda, i tre sacchi vuoti e sali con il secchio. Io da qui lo riempirò un po’ alla volta e tu lo tirerai su!».

«Grazie Joy, sei stata geniale! Per un attimo ho temuto di dover chiedere aiuto a quelle streghe».

Jasmine con un sorriso strafelice seguì le istruzioni e quando Joy riempì il secchio lo tirò su, iniziò a riempire il primo sacco e lo rimandò giù. Ci misero più di mezz’ora per riempire tutti e tre i sacchi ma ci riuscirono.

«Avete finito?» urlò Griselda.«Non ancora» rispose Jasmine. Si erano appena sedute al

tavolo, stavano riprendendo fiato e avevano già i pelapatate pronti.

«Ma se è la compagna di Oscar che ci fa qui?» bisbigliò Joy.«ci controlla! E poi riferisce tutto a Oscar».«Fantastico. Abbiamo anche il cane da guardia».«Se vuoi raccontarmi cosa ti è successo, ora puoi. Qui Gri-

selda non verrà, e non verranno nemmeno Tarsilla, Zelinda e Rufina, le cameriere che conoscerai fra poco. Nessuno osa avvicinarsi al tavolo delle patate» disse Jasmine, con un tono ironicamente cupo.

«Oh, sì. Ti racconto proprio tutto! Ho un bisogno esagerato di confidarmi con qualcuno».

Joy iniziò a parlare a ruota libera, si fermava solo raramente per riprendere fiato o quando pronunciava il nome di Romeo, perché un nodo le stringeva la gola e sentiva le lacrime spinto-narsi agli angoli degli occhi, e doveva sforzarsi per ricacciarle indietro. Jasmine la seguiva con interesse e attenzione e più Joy raccontava, più lei si intristiva ripensando alla sua vita lon-tano da lì.

«Ma io e Romeo ci siamo promessi che ci saremmo rivisti, escogiterò presto qualcosa per andare via da qui, e sono sicura che anche lui farà lo stesso. lo rivedrò presto, farò di tutto perché sia così. E poi Frida ha detto che se lui accetterà di andare con lei io tornerò a casa... io non voglio che lui accetti ma quando sarò a casa penseremo anche a questo».

A quelle parole il pelapatate di Jasmine si fermò a mezz’aria.

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Anche se la conosceva da poche ore, Joy era la prima amica che aveva dopo tantissimo tempo passato in solitudine, perciò ci rifletté su e poi decise di essere sincera con lei.

«Frida e Oscar ti hanno preso in giro. Quando un’anima vie-ne venduta ai dannati, non può più tornare indietro. Potrebbe provare a fuggire, ma è impossibile. Mi dispiace avertelo detto così amica mia, ma certe cose è meglio saperle subito».

Joy sentì che tutte le sue funzioni vitali erano morte. Il suo cervello andò in tilt per qualche secondo e quando si ripre-se, le ultime parole pronunciate da Jasmine echeggiarono con violenza nella sua mente. con la stessa violenza piantò il suo pelapatate sul tavolo.

«Io quel bastardo lo ammazzo».con il viso stravolto dalla rabbia, infuriata, gli occhi sgranati

offuscati da una voglia omicida Joy si alzò. Jasmine provò a fermarla, ma fu ignorata.

«Joy, non fare pazzie. Non puoi ammazzare nessuno qui, torna indietro».

«Dove sta andando?» urlò Griselda vedendola marciare ver-so l’uscita.

«In... in bagno» farfugliò Jasmine.«Sto andando da quel maledetto di Oscar» ringhiò Joy.«cos’hai detto, piccola vipera?» urlò di nuovo Griselda, ma

Joy era già fuori dalla sua portata. Jasmine le stava dietro ed era terrorizzata.

«Joy farai solo danni, ti prego fermati».«Jasmine, tu sei adorabile! Non metterti in mezzo, non vo-

glio che ti succeda niente. Aspettami in cucina, per favore».Il tono di Joy era così calmo, serio e autoritario che Jasmine

non riuscì a far altro che obbedirle.I corridoi della nave sembravano tutti uguali, tutti comple-

tamente ricoperti di legno dal soffitto al pavimento, e in giro non c’era nessuno. Joy si fermò un attimo a riflettere. I piani bassi erano riservati alla cucina e alle stanze delle cameriere, di sicuro lì a quell’ora del mattino non avrebbe trovato nessuno, soprattutto se cercava Oscar, il capo. Decise che doveva solo salire e così si mise in cerca della strada che l’avrebbe portata ai piani alti della nave.

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«che ci fai qui?» urlò il prodiere vedendo spuntare una ca-meriera.

«cerco Oscar».«Aspetta qui. capitano, c’è una cameriera che vi cerca!»

esclamò l’uomo correndo verso il ponte di comando.«che vuole?» latrò una voce brusca.«Non ne ho idea».«Falla venire qui».Quando Joy lo raggiunse, Oscar la squadrò con aria irrive-

rente.«Buongiorno, Joy Hallett. Sei venuta a dirmi che il pranzo è

pronto? È ancora presto!».«Non scherzare. Sono venuta a dirti che voglio tornare a

casa».Alle parole taglienti di Joy, seguì un’espressione di Oscar

ancora più divertita.«Vuoi tornare a casa? Quando mi darai il doppio della cifra

che ho pagato per averti tornerai. Ora l’unico posto in cui puoi tornare è la cucina» disse Oscar ridendo di gusto.

«Io non torno in cucina».la faccia divertita di Oscar sparì. con un movimento ful-

mineo il dannato afferrò Joy dal collo e la strinse così forte da farle mancare il respiro.

«Qui decido io. O fai quello che ti dico o fai una brutta fine».

Quando Oscar mollò la presa, Joy tossì e si massaggiò la pelle arrossata, ebbe paura e decise che per il momento era meglio non fare follie.

«Te la farò pagare» ringhiò, prima di voltargli le spalle e tor-nare da Jasmine.

Sulla porta della cucina la aspettava Griselda.Aveva le braccia incrociate sul petto scoppiettante e l’espres-

sione minacciosa. Allungando una mano, afferrò Joy da una spalla e la tirò dentro.

«la prossima volta che ti permetti di lasciare il tuo lavoro senza il mio permesso, finisce male» sibilò.

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«Avevo da fare».Griselda le mollò un ceffone. Joy sentì la voglia di prendere

a pugni la sua pancia molliccia ma si trattenne, non doveva più fare mosse stupide e affrettate.

«Non lo farò più» disse in tono monocorde tornando al ta-volo delle patate.

«Sei tutta rossa» sussurrò Jasmine dispiaciuta.«Tranquilla, passerà» disse Joy prendendo il suo pelapatate e

ricominciando il lavoro.Dopo più di due ore iniziò a non avere più le dita sensi-

bili ma continuò in silenzio a pelare, voleva aiutare Jasmine. Quando tutte le patate furono sbucciate le tagliarono velo-cemente in tocchetti con cui riempirono un pentolone, così grande che avrebbe potuto contenere un bambino accovac-ciato, e lo misero in forno.

«Se vuoi prendere qualcosa da mangiare per Apple fallo adesso, prima che arrivino Zelinda e Rufina».

Joy scese nella dispensa e nascose nella tasca del grembiule due pezzi di carne essiccata e un tubetto di latte condensato, velocemente risalì e richiuse la botola. Pochi minuti dopo ar-rivarono due donne che non aveva ancora conosciuto.

«Buongiorno. lei è Joy, quella nuova» disse Jasmine, per ri-spondere ai loro sguardi interrogativi.

«Piacere, io sono Zelinda» disse la prima cameriera porgen-do la mano alla ragazza. Aveva le dita callose, era magra come uno spillo e quando sorrise Joy notò che le mancavano molti denti, e i pochi che ancora resistevano erano marci. Rufina non si premurò di presentarsi ma le lanciò un’occhiataccia, che Joy ricambiò. Il suo aspetto da mastino rabbioso, peggio-rato dai capelli grigi tirati in una crocchia, la intimoriva.

«ci vediamo all’ora di pranzo» disse Jasmine e, con la sua nuova amica, uscì dalla cucina.

Quando Joy entrò nella sua stanza si sentì meglio. Apple la raggiunse miagolando, aveva un’aria più vivace rispetto a po-che ore prima, e non appena vide la carne ci si avvento contro e la divorò in pochissimo tempo.

«Fai tutti i giorni questa vita?».«Non hai ancora visto nulla! Il peggio non è la cucina, ma

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servire i dannati. Sono sgradevoli alla vista e all’olfatto e sono irriverenti, volgari e maleducati!».

«Io qui non ci resto».«Joy, te lo dico come se fossi tua sorella. Non c’è niente

che tu possa fare. So che ti manca Romeo, e ti capisco, ma su questa nave le uniche cose che dipendono da noi sono le patate».

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cAPITOlO XII

Romeo da giorni non mangiava. Vegetava nella sua stanza con gli occhi persi nel vuoto accarezzando una sciarpa rosa confetto, che Joy aveva dimenticato nella macchina di Alvin l’ultima sera che avevano passato insieme. Anche quel giorno Greta andò a implorarlo con un piatto di pasta in mano, ma lui non aveva nessuna intenzione di mangiare.

«Quando avrò fame, verrò» ripeté laconicamente, come fa-ceva ultimamente ogni volta che qualcuno spingeva la porta della sua camera.

«Devi smetterla Romeo, così Joy non torna».«Non può essere vero che non c’è nulla da fare».Greta sentì la rabbia cingerle il cervello. Quando Romeo si

voltò dandole le spalle, scaraventò il piatto sul pavimento. la pasta schizzò ovunque macchiando una parete giallo ocra e una giacca marrone, che pendeva da una sedia girevole inca-strata sotto il tavolo della scrivania disordinata.

«Ora basta. Io non posso aiutarti, non farmelo pesare. Alza-ti da questo maledetto letto e scendi a mangiare con noi».

Romeo si sentì terribilmente in colpa. Joy non c’era più a causa sua e Greta dimostrava di essere ogni giorno più offesa dal suo atteggiamento passivo. Facendosi forza si alzò per se-guirla come un automa.

Ignorando le chiacchiere che si smorzarono quando lui ap-parve come un fantasma e i sorrisi accennati dei suoi compa-gni, prese posto fra Alvin e Abigail, ingurgitò due forchettate di pasta e poi tornò nel suo letto dalla sciarpa di Joy. le sue giornate si susseguivano così, lente e malinconiche, piatte e tristi. Non vi era nulla che potesse dargli la voglia di riscattarsi o di riprendere a vivere in modo normale.

Finalmente un giorno Romeo uscì dal suo torpore e decise che sarebbe andato al campus. Si preparò un panino e prese la metro. Stare immobile a pensare e ripensare, a rivedere e

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analizzare ogni attimo passato con Joy, lo stava lentamente spegnendo e logorando. Aveva ragione Greta, doveva distrar-si. Rivivendo ogni passaggio dell’ultima sera con Joy, gli erano tornate alla mente parole che quella volta gli erano sembrate solo dettate dalla paura, che invece avrebbe dovuto ascoltare. Se avesse dato retta a Joy forse non l’avrebbe lasciata a casa da sola. E probabilmente sarebbe rimasto a dormire con lei... e avrebbe avvisato Belit e il signor Manlio che qualcosa non andava. E i piani di Frida sarebbero falliti miseramente.

“che succede”.“Niente Romeo, mi era sembrato di vedere uno di quei de-

moni che ti danno la caccia, là in fondo, ma sono sicura di essermi sbagliata”.

Vedendo la sua faccia risoluta, Joy aveva lasciato cadere i suoi timori e lui non l’aveva presa sul serio, convinto che le ragazze lavorassero sempre troppo con la fantasia.

Mancava poco alla sua fermata quando con la coda dell’oc-chio vide due figure familiari salire sulla sua stessa corsa. Il panico lo assalì, Boris e cesare lo seguivano. Sapere che in un luogo affollato e controllato come il campus non avrebbero potuto fargli del male lo fece saltare giù dal seggiolino e cor-rere. Solo quando ebbe digitato il suo codice si ricordò che Frida era entrata, e se sapeva farlo lei, sapevano farlo anche i suoi compagni. Pensando che dopo avergli strappato via Joy non potevano fargli altro, si calmò, si avviò verso la sua aula e aspettò di incontrarli evitando sforzi inutili per evitarli. lo raggiunsero all’ora di pranzo, mentre si sforzava di ingoiare il suo panino, e si sedettero con lui all’ombra di un salice.

«ciao Romeo» disse Boris.«Qualunque cosa vogliate, la mia risposta è no. Mi avete pre-

so in giro».«Non siamo venuti a chiederti una risposta, a quello ci pen-

serà Frida. Vogliamo parlarti» intervenne cesare.«E ascoltarci va solo a tuo favore, noi da questa storia non

rischiamo altro che guai!» aggiunse Boris.«Povere vittime... potrei quasi impietosirmi, se non fosse

che io non parlo con bestie infernali come voi» disse Romeo e fece per alzarsi, ma Boris gli si parò davanti.

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«Per favore ascoltaci. Vogliamo aiutarti! Tra due mesi la nave di Oscar tornerà qui, e noi abbiamo deciso che cercheremo di liberare Joy».

«Dopo il danno, la beffa? Non continuate a prendervi gioco di me».

«la sera in cui Frida ha deciso di vendere Joy ai dannati, io sono stato picchiato per aver detto che non lo trovavo giusto, ma lei e Demiro avevano deciso e non potevo fare niente. Forse però quando la nave tornerà, se Frida non si accorgerà dei nostri piani, potremo fare qualcosa» disse cesare.

«come pensi che possa crederti? Sei stato tu a rapirla».«Non avevo altra scelta».«È inutile stare qui e cercare di convincerti, ci rivedremo.

Tra qualche giorno verrà a cercarti Frida, di questo incontro non devi dire nulla, ma dovrai stare al gioco».

«Quale gioco?».«Fra due settimane Frida ti verrà a trovare, presumiamo che

ti farà firmare delle scartoffie. Sii docile, sta’ al gioco. Poi ci penseremo noi» disse Boris.

«Io non firmerò nulla!».l’urlo di Romeo si perse nel vuoto perché i due demoni si

dileguarono nella folla, e in pochi minuti sparirono dalla sua vista.

Rimase solo con il suo panino e la sua rabbia. Se non fos-se stato lì al campus, e non avesse rischiato l’espulsione, si sarebbe lanciato con tutta la violenza che aveva contro quei due imbroglioni. li odiava. Sentiva la bava schiumargli alla bocca per il disprezzo e l’impotenza che lo animavano. Joy era lontana, perduta e irrecuperabile. E loro, privi di qualsia-si sentimento umano, avevano il coraggio di andare da lui a sbeffeggiarlo, fingendosi amici e pronti ad aiutarlo. Lo stoma-co gli si era chiuso si avvicinò a un cestino dell’immondizia e vi schiaffò dentro il panino ancora intero. Avrebbe atteso Frida e quando l’avrebbe avuta davanti, non avrebbe risposto delle sue azioni.

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***

Mat Littlelf iniziava a credere che Berta non volesse più saperne di lui. Eppure era convinto che insieme si fossero divertiti... ma con le ragazze non ne azzeccava mai una. Il suo primo appuntamento con la sua prima ragazza, era sta-to disastroso. Dopo averle rovesciato una coppa di gelato al cioccolato sulla camicia arancione, e averle tirato una treccia facendola impigliare nel cinturino del suo orologio, aveva de-ciso di lasciar perdere le ragazze per molto, molto tempo. Poi aveva iniziato a uscire con una collega che lavorava con lui in un negozio di dischi musicali. Erano stati al cinema. Mat aveva pensato che non c’era posto più sicuro di uno in cui bi-sognava stare seduti, e infatti era andato tutto splendidamen-te... finché erano rimasti lì dentro. Arrivati alla metro, mentre aspettavano due sedili liberi, aveva visto un vecchio amico. Aveva alzato il braccio con tanta goffaggine da mollare una gomitata sui denti alla sua collega. Poi aveva iniziato a chiac-chierare con il suo amico, mentre lei sanguinava. Quando se ne era reso conto, era già troppo tardi. Il giorno dopo lei non si era presentata nemmeno a lavoro.

Mentre camminava distrattamente per il campus, immer-so nei suoi imbarazzanti ricordi, una vocina flebile lo fermò. Stentava a crederci ma era proprio Berta, seduta al bancone del bar.

«Pensavo che non ti avrei più vista, che fine hai fatto?».«Ho avuto dei problemi a casa».Il sorriso di Mat svanì, quando colse una profonda tristezza

negli occhi di Berta.«Spero sia qualcosa che si può sistemare».lei scosse la testa e tirò su col naso. Mat si morse la lingua.«Io... io posso cercare di aiutarti se vuoi» balbettò lui, inte-

nerito dai suoi occhi lucidi.Berta gli buttò le braccia al collo, Mat sentì la propria faccia

che diventava rossa e calda. Non sapeva dove mettere le mani, ma pensò che non fosse carino restare con le braccia tese e rigide e la strinse a sé.

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«Ti va di venire a studiare da me, oggi?» propose Berta, la sua presenza la distraeva e le tirava su il morale.

«Se può farti stare meglio, certo».Senza aggiungere altro, si presero per mano e lasciarono il

campus.In cucina c’era solo Belit. Da quando Joy era scomparsa

mangiava più del solito, ma cucinava meno. Per occupare le sue ore tristi, si chiudeva nei supermercati a riempire il carrel-lo di dolci di ogni genere con cui si rimpinzava ogni volta che le veniva voglia di piangere.

«Berta, sei tu?» chiese con voce roca, quando sentì l’uscio che si apriva.

«Sì, sono con un amico».Appena sentì quelle parole, Belit prese la scodella di can-

tucci al cioccolato e mandorle e la nascose nella credenza, poi si sciacquò le mani e andò ad accogliere il nuovo arrivato, da gentile padrona di casa.

«Belit, lui è Mat. Un mio compagno di campus».«Buonasera, signora. È un piacere conoscerla».«Pia... piacere... mio» balbettò Belit, intenta a capire i gesti

che le faceva Berta.«Sei sporca di cioccolato» disse infine la ragazza, vedendola

in difficoltà.«Oh, be’... facevo merenda!» ridacchiò con nonchalance,

passandosi il dorso della mano agli angoli della bocca.«Se trovo il tuo nascondiglio, giuro che gli do fuoco» minac-

ciò Berta, poi mantenendo un’aria severa, trascinò Mat con sé nella sua stanza.

Il letto di Joy era ancora al suo posto. Berta aveva sistemato i suoi pupazzi, e aveva poggiato il suo plaid preferito ben pie-gato sul cuscino.

«Dividi la stanza con la tua amica? A proposito, non l’ho più vista al campus».

Sentendo quella frase, Berta non si trattenne. le lacrime che cercava di trattenere sgorgarono copiose dai suoi occhi dolci. Erano così amare che le guance le pizzicavano.

«che ho detto?» mormorò Mat. Un senso di colpa ingiustifi-

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cato lo invase, disperdendosi rapido nel suo corpo, come una nuvola di gas.

Berta iniziò a soffiarsi il naso e a fare grandi respiri per cal-marsi, poi lo invitò a sederle accanto e gli raccontò tutto.

Parlò ingoiando le lacrime, e quando il racconto terminò poggiò la testa sul petto di Mat e chiuse gli occhi per un po’, finché non le bruciarono più. Mat le accarezzò i capelli e de-cise che non avrebbe mai più fatto un’osservazione, ma si sa-rebbe limitato a rispondere brevemente a ciò che gli veniva chiesto.

«Oh, no... ti ho anche sporcato la maglietta di mascara! Scu-sami, Mat. Ti ho inzuppato la maglietta» disse Berta, soffian-dosi fragorosamente il naso.

«Non fa nulla, tranquilla».Una chiazza nera spiccava sul tessuto celeste.«Vado a prenderti una maglietta pulita».«Ma dove la prendi? lascia stare, davvero».«Chiederò a Leo, siete molto simili fisicamente».Prima che Mat potesse fermarla, Berta era già sgusciata fuo-

ri dalla stanza. Tornò quasi subito.«Ti va bene questa?» chiese, spiegando una felpa color ara-

gosta.«credo che la misura sia perfetta, ma puoi portarla indie-

tro!» esclamò Mat alzandosi e mettendo avanti le mani, a mo’ di scudo.

«Dai, sembra quasi che tu abbia paura che ti voglia dare una felpa sporca! È appena stata lavata» sottolineò Berta, un po’ offesa.

«Non volevo intendere questo, non offenderti senza moti-vo» ribatté lui indietreggiando verso il letto di Joy.

«E allora, ti vergogni a spogliarti con me davanti? Se vuoi esco...» disse Berta allungando la felpa.

«Ok, hai vinto, fa’ di me quel che vuoi».Berta ridacchiò e quando Mat alzò le braccia, gli sfilò la ma-

glietta inzuppata di lacrime, lasciandolo a torso nudo.«Apri le braccia, se rimani così non riesco a metterti la fel-

pa».Mat iniziò a gesticolare impedendo a Berta di infilargli le

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maniche color aragosta, Berta cercava di afferrarlo ma non facevano altro che ridere e strattonarsi a vicenda, finché Mat non la tirò troppo e ricaddero distesi sul letto di Joy, l’uno sull’altra.

«E ora che fai?» bisbigliò Mat, stringendola dai fianchi.«Non è ancora detta l’ultima parola».I loro nasi si sfioravano, le loro labbra distavano pochi cen-

timetri.«Berta, puoi prendere questa felpa? Quella di leo mi

serv...».le parole di Giona si stroncarono quando, spingendo leg-

germente la porta, vide i due corpi maliziosamente avvinghia-ti sul letto di Joy.

Il corpo di Berta divenne rigido come una tavola di legno, per l’imbarazzo. cercò di ricomporsi e si mise in piedi, affer-rando la felpa che aveva lasciato cadere sul pavimento.

«lascia perdere, Berta. Quella tienitela pure».Giona andò via sbattendo la porta con rabbia.«che succede?» chiese leo, vedendolo passare con la faccia

infuriata.«chiedilo alla cara Berta che prima piange per l’amica che

non c’è più, e due minuti dopo è sul letto di Joy con uno mez-zo nudo. Forse credeva che così può onorarne la memoria».

«che ha il tuo amico?» bisbigliò Mat, quando i passi di Gio-na si dispersero nel corridoio.

«Niente» sussurrò Berta tornando a braccarlo, immobiliz-zandolo sul letto «è solo ancora innamorato pazzo di Joy, spes-so la sera viene a dormire qui. Ma adesso è andato via...».

leo intanto rincorreva Giona.«Puoi spiegarmi cosa è successo?».«No, non mi va. Sappi solo che quando Berta uscirà da quel-

la stanza, porterò il letto di Joy e tutte le sue cose nella nostra. così sarà sicuro che nessuno lo userà a sproposito, mentre lei non c’è».

Qualche ora dopo, Mat si allontanò dalla casa di Belit sal-tando via dalla finestra. Temeva, uscendo dalla porta princi-pale, di fare brutti incontri. Quando Giona lo vide correre via come un coniglio, aveva già fatto lo spazio necessario per

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mettere il letto di Joy vicino al suo. Ignorando le proteste di Berta portò via anche i suoi peluches.

«Se devi baciare qualcuno mezzo nudo, fallo sul tuo letto. E nei cinque minuti precedenti evita di disperarti per Joy».

«Non hai il diritto di fare così!» urlò Berta, così forte che Belit la sentì dalla cucina.

la vecchia signora lasciò l’impasto della sua pastafrolla, si sciacquò le mani e li raggiunse.

«Perché state litigando? Giona, fai un trasloco?».«Mi sta svuotando la stanza, questo presuntuoso isterico»

imprecò Berta, con i pugni serrati.«Questa non è roba tua» rispose Giona con un tono calmo e

snervante, mentre si allontanava con le braccia cariche di libri, sciarpe e cianfrusaglie varie.

«Belit, fermalo è impazzito!».«Giona, puoi spiegarmi che succede?» chiese dolcemente

Belit, con il suo solito tono zuccheroso.«Io sto solo portando nella mia stanza le cose di Joy, perché

le voglio vicine, se vuoi sapere altro devi chiedere proprio a Berta, scommetto che non vede l’ora di darti qualche spiega-zione» ridacchiò Giona, sfidando la compagna con uno sguar-do vincitore e divertito.

«Va’ al diavolo» strillò Berta chiudendosi in camera e sbat-tendo la porta con vigore.

«ciao, ciao» ribatté Giona portando via un plaid e un album di disegni.

Belit rimase nel bel mezzo del corridoio, sconvolta e incu-riosita.

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cAPITOlO XIII

Quella mattina Joy si svegliò tardi. Quando doveva servi-re il pranzo e non toccava a lei cucinare, poteva dormire di più. Si preparò un bagno caldo e medicò Apple, le sue ferite alle zampette non erano ancora completamente rimarginate. Da qualche giorno iniziava ad abituarsi alla routine, ma l’idea di fare qualcosa era ancora viva nella sua testa. Doveva solo aspettare il momento giusto. Si asciugò i capelli, si vestì e andò a bussare alla camera di Jasmine. Anche lei era pronta.

la tavolata di uomini affamati le attendeva, le chiamava a gran voce pretendendo subito i piatti pieni. la sala da pranzo era stretta e lunga. I tetti bassi e scuri, l’assenza di oblò e le luci cupe la rendevano soffocante. Joy si muoveva evitando qualunque contatto con loro e ignorando tutto quello che le veniva detto. Dovette aspettare pazientemente che tutti i dan-nati fossero sazi, poi, insieme a Jasmine, passarono con dei carrelli per portare via i piatti vuoti, toccava a loro lavarli. la montagna di stoviglie sporche sembrava infinita, misero i car-relli al centro e ognuna si appostò davanti a un lavello.

«Quelle due streghe non hanno lavato le tazze della cola-zione e toccavano a loro!» ringhiò Jasmine, scagliando con violenza una manciata di coltelli nel suo catino.

«Buon lavoro, amica mia» disse Joy con una faccia disperata.«Grazie, anche a te».«Io sto per morire di fame!».«A chi lo dici, prima finiamo, prima mangiamo!» esclamò

Jasmine. Il senso del dovere la accompagnava sempre.Quando i carrelli furono quasi vuoti e i pentoloni tutti lavati,

era già vicina l’ora di cena e Joy aveva i crampi allo stomaco per la fame.

«Avete finito?» urlò Griselda spalancando le porte della cu-cina.

«No. Rufina e Zelinda hanno cucinato ma non hanno pu-lito nemmeno una forchetta, hanno lasciato a noi quello che

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avrebbero dovuto fare loro stamattina. ci è toccato lavare an-che le tazze della colazione» rispose subito Joy.

«Non ti lamentare, a me non importa cosa avete fatto. Mi interessa solo che fra venti minuti la cucina sia pronta, siamo in ritardo».

«Se hai tanta fretta, alzati le maniche e dacci una mano» ri-batté Joy.

Jasmine buttò gli occhi al cielo, a volte avrebbe voluto tap-pare la bocca di Joy con un cazzotto.

«Sta’ zitta o ti toccheranno anche i piatti della cena» la mi-nacciò Griselda, uscendo dalla cucina su tutte le furie.

I carrelli erano vuoti.Joy aveva le dita intorpidite, quando Jasmine le mise fra le

mani una ciotola di zuppa bollente, iniziò a muoverle di nuo-vo. Erano così affamate che ingurgitarono tutto a cucchiaiate fumanti senza aspettare che si raffreddasse nemmeno un po’, sbrodolandosi e scottandosi. Prima che Tarsilla e Griselda arri-vassero, presero delle teste di pesce per Apple e sparirono. Joy chiuse a chiave la porta della sua camera e fece sedere Jasmine.

«Devo parlarti».«Joy, quando inizi un discorso così mi viene la pelle d’oca.

cos’hai sperimentato?».«Ancora niente, ho bisogno del tuo aiuto, ma sei liberissima

di non accettare».Jasmine si buttò a faccia in giù sul letto, sbuffando.«Parla» bofonchiò.«Tu conosci bene questa nave?».«credo di sì».«Per iniziare dobbiamo cercare l’ufficio di Oscar, o la biblio-

teca, se questi stupidi mezzi commercianti ne hanno una! Mi serve una cartina della nave. Devo sapere quante scialuppe ci sono e dove sono. Andremo a cercarla subito, non appena saranno tutti impegnati a mangiare.

«Fantastico, poi?» sillabò Jasmine con poca convinzione.«Poi dovremmo sapere tutti gli orari di ogni singolo idiota

di guardia sul nostro corridoio e sulla strada che sceglieremo per raggiungere le scialuppe. A quel punto potremo passare a un’azione più concreta».

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«Non abbiamo le chiavi!».«Intanto mi basta sapere dove sono le stanze che mi inte-

ressano».«Hai letto troppi libri di avventura, cara».«Tu troppo pochi. Vieni o no?».«So dov’è l’ufficio di Oscar. Qui non c’è nessuna biblioteca

ma qualcosa di molto meglio. È una stanza in cui solo Oscar, Griselda, un notaio e un uomo delle pulizie hanno accesso. Lì falsificano documenti, mantengono i conti della nave e na-scondono parte dei loro bottini. Tra dieci minuti saranno tutti nella sala da pranzo e potremo uscire.

Jasmine fu precisa come un orologio, quando disse che era il momento di uscire aveva ragione: in giro non c’era nessuno. Quatte, quatte salirono di due piani. Nel corridoio degli allog-gi di Oscar, Griselda e di alcuni uomini con ruoli importanti, come il notaio o altri commercianti che di solito concludeva-no affari grossi, i soffitti erano alti, il pavimento era coperto da moquette verde scuro e alle pareti bianche erano appesi quadri di navi leggendarie, foto di Oscar e Griselda, disegni di squali e balene.

«Questo è l’ufficio di Oscar» bisbigliò Jasmine indicando una pesante porta di ottone annerito.

«E l’altro ufficio?».«Da questa parte» disse Jasmine svoltando a destra.la stanza che incuriosiva Joy era ben protetta. la porta era

di ottone pesante quanto quella dell’ufficio di Oscar, ma in più era chiusa da un catenaccio.

«Qui dentro troveremo tante cose interessanti!».«Sei completamente pazza, Joy Hallett. Il giro turistico è fi-

nito per stasera?».Joy ci pensò.«No, guarda dritto davanti a te!».«Be’... è una porta!».«Su cui è appeso un cartello con un teschio e due tibie in-

crociate!» esclamò Joy, tirandosi Jasmine dietro e puntando al nuovo obiettivo.

la porta era aperta, dentro era buio pesto.«Ok. Il gioco è finito, torniamo indietro».

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«Anche io muoio di paura, Jasmine, ma abbiamo ancora molto tempo a disposizione, usiamolo!».

Joy entrò nella prima stanza, tastò la parete e trovò un inter-ruttore, chiuse la porta e accese.

Per poco non urlarono. Dal tetto pendeva un neon verdo-gnolo che illuminava teche piene di insetti e piante e scaffali carichi di boccette, tutte ordinatamente catalogate. In un an-golo c’era una scrivania piena di scartoffie.

«Vieni, ci sono quaderni pieni di appunti» disse Joy accen-dendo una vecchia lampada.

«Ma si tratta di veleni!» esclamò Jasmine dando una rapida occhiata.

le pagine erano tutte numerate, sulla prima era scaraboc-chiato un indice che divideva il quaderno in tre settori.

«Veleni debilitanti... veleni leggeri... veleni mortali» lesse Joy, poi continuò a sfogliare il quaderno e a guardarsi intorno.

«Ogni boccetta è catalogata e ogni codice corrisponde a una descrizione!».

«Adesso andiamo?».«Va bene» rispose Joy ma prima di uscire si infilò il quader-

no nel corpetto.«che devi farci con quello?» chiese Jasmine quando furono

al sicuro.«Gli darò un’occhiata!».Apple era saltata sul letto e Joy, vedendo le sue unghiette af-

filate come una minaccia, rapidamente tolse il quaderno dalla sua portata.

«Vuoi avvelenare Oscar?».«Oh, no! Non sopporterei il peso della sua coscienza sulla

mia... e poi non credo che basti un po’ di veleno per distrug-gere un dannato!».

Jasmine si rilassò.«Ora mi sento meglio! Vado a dormire, ci vediamo doma-

ni... svegliati presto, la colazione tocca a noi».«Notte, Jasmine. Ti voglio bene».Joy nascose il quaderno sotto il materasso, si mise a letto

stringendo al petto Apple e si addormentò.

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***

Frida camminava avanti e indietro da più di mezz’ora nel-la cucina del suo piccolo appartamento. Finalmente aveva-no trovato una casa adatta a lei e ai suoi compagni affittata in nero a Kirkoff, con i soldi di Oscar. Ai demoni randagi come lei non era consentita nessuna operazione lecita. Era trepidante ed eccitata, non faceva altro che ripetere nella sua testa le parole che poteva dire a Romeo. Infine si convinse ad andare a cercarlo.

«Vengo con te» le disse Demiro. Inafferrabili come ombre si infilarono le giacche nere e raggiunsero la metro. Era ora di cena, le finestre delle case erano tutte illuminate. Aveva pio-vuto e per strada non c’era nessuno. le loro orme sparivano sull’asfalto bagnato. Velocemente raggiunsero la villetta del signor Manlio ma esitarono davanti alla porta.

«cosa hai intenzione di dire, adesso?» chiese Demiro.«Non lo so ma devo calarmi nei panni dell’amica premurosa

e gentile, ho bisogno di concentrazione» rispose Frida mas-saggiandosi le tempie.

Demiro si chiuse in un silenzio rispettoso, lei rimase ferma lì finché non sentì qualcuno aprire la porta. Entrambi ebbero un tuffo al cuore.

Abigail mise un piede fuori ma non si accorse di quella pre-senza oscura che la osservava con occhi spiritati pronta ad assalirla, se fosse stato necessario. Era troppo impegnata a urlare qualcosa a qualcuno.

«Basta Greta, per stasera ci penso io all’immondizia! Non devo pregarti ogni volta che ti chiedo un favore, e ora sta’ zitta o ti metto questo sacchetto in testa! Brutta cretina fan-nullona!».

Strillò così tanto da avvertire un leggero mal di gola e quan-do si decise a spalancare la porta e uscire si ritrovò faccia a faccia con Frida. Strillò di nuovo, così forte che il demone nero dovette lasciare la sua posizione di attacco e coprirsi le orecchie, poi senza darle modo di parlare le sbatté la porta in faccia e corse fra le braccia di Eddy, con il sacco dell’immon-dizia stretto fra le mani tremanti.

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«Romeo, c’è quella strega! È venuta a prenderti, chiudetelo da qualche parte! E non è sola!».

Mentre tutti si allarmavano, Romeo sentì il brivido eccitante della vendetta trapassargli la schiena.

«c’è Frida?» chiese Greta incredula.«Sì, è davanti alla porta. con lei c’è anche Demiro».«chiudete tutto!» ordinò il signor Manlio.«No, aspettate, devo parlare con lei».«Non se ne parla, Romeo. È pericoloso» tagliò corto il vec-

chio signore, accompagnando le sue parole con un gesto sec-co della mano.

«Non posso continuare a evitarla. cosa dirò a Joy se un giorno dovesse tornare? che per lei non ho nemmeno tentato di parlare con Frida?».

«Andrò io con lui» si propose Alvin.Il signor Manlio capì che doveva farsi da parte. Gli occhi

rabbiosi e tristi di Romeo gli dissero più di mille parole, con il cuore gonfio di paura lo lasciò andare.

Quando Romeo aprì la porta i demoni neri erano ancora lì.«Speravo di vederti. Sia io che Demiro ci auguriamo di non

tornare a casa soli stasera, ma con te. Io e i tuoi futuri fratelli abbiamo affittato una casa, nella mia stanza c’è un letto anche per te» disse Frida, regalandogli un sorriso radioso.

«O sparite o giuro di farvi male con tutta la forza che ho in corpo. Non mi importa che tu sia una donna, per me sei solo un mostro. Sparite o non risponderò delle mie azioni».

la faccia angelica di Frida sparì.«Se è così scordati di Joy. Tu non vieni con me, lei non torna

da te».«Hai finito di prendermi in giro, mi hanno detto che non

rivedrò più Joy perché la sua anima è persa. Hai fatto un gioco sporco, Frida, ma hai perso lo stesso».

«cosa credi di poter fare contro di me, nanetto?».Alle parole di Demiro seguì un istinto sordo e violento. Ro-

meo si lanciò contro il demone atterrandolo e riempiendolo di calci allo stomaco. Il viso animalesco di Frida si indurì e si deformò in una smorfia rabbiosa, con le mani a mo’ di arti-gli si lanciò contro Romeo ma Alvin fu più veloce di lei e la

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afferrò dalle spalle scagliandola sull’asfalto bagnato. Demiro gemeva immobilizzato da un dolore pulsante all’addome.

«Questo è per quello che hai fatto a Joy, schifoso animale» urlò Romeo tirandogli un pugno in faccia, così forte che gli occhiali di Demiro gli si spezzarono sul naso che iniziò a san-guinare a fiotti caldi e grumosi. Quando il demone iniziò a non dimenarsi più, Romeo lo lasciò e si rivolse a Frida, ancora immobilizzata da Alvin e urlante come una iena.

«Non ti prendo a calci solo perché non voglio sentirmi un verme quanto te. Sparisci bastarda».

«Non finisce qui» ringhiò Frida scoppiando in un pianto isterico e cercando di far rinvenire il suo compagno.

Senza nessuna pietà per il corpo tumefatto di Demiro, Ro-meo e Alvin tornarono dentro. Iniziò a piovere, sempre più forte, ma i due demoni neri rimasero lì, uno privo di sensi. l’altra che cercava di cancellare o almeno mitigare la dolente sconfitta.

***

Jasmine entrò nella camera di Joy, aveva un’ala di pollo per Apple nascosta nella tasca del grembiule. la gattina le cor-se incontro trotterellando, le sue zampe stavano finalmente bene.

«Avevi fame, eh?».Apple si avventò sul pollo divorandolo in pochi minuti, poi

si leccò i baffi, soddisfatta.Prima di uscire Jasmine decise di sistemare il letto, Joy per la

fretta lo aveva lasciato disfatto. Stirò le lenzuola, ma quando passò una mano per lisciare le pieghe più resistenti, sentì il rumore di qualcosa che si stropicciava. Sbuffò perché avrebbe dovuto risollevare le coperte perfettamente stese e trovò un foglio minuziosamente compilato. Sembrava un elenco.

BenzodiazepineBDZ ad azione breve da 1 a 7 ore:Midazolam (somministrabile per via orale, azione immediata)

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Triazolam (polvere bianca di aspetto cristallino)

[MIDAZOLAM ─ TRIAZOLAM ─ BARBITURICI]

Barbiturici: solido biancastro, odore tenue.

Non ci volle molto a capire di cosa si trattava. Joy aveva proprio voglia di giocare con il fuoco. Jasmine era infuriata, per tutto il tempo che aveva trascorso da sola sulla nave, non aveva mai avuto problemi con Oscar, né con Griselda. Ades-so era arrivata quella pazza visionaria, che con le sue fantasie rischiava guai molto seri. Senza pensarci due volte piegò per bene il foglio e se lo infilò in tasca, si sbatté la porta alle spalle e marciò infuriata da Joy.

«cos’hai in mente?» le bisbigliò all’orecchio, prendendola da un braccio, quando le fu alle spalle.

Joy la guardò perplessa.«Ti stavo facendo il letto e ho trovato dei tuoi appunti fra

le lenzuola».«Te ne avrei parlato, la mia ricerca sta andando benissimo!»

esclamò Joy, con un sorriso strafelice.«cosa ti sei messa in testa?».«Quando saremo libere smetterai di lamentarti, ora restitu-

iscimi il foglio».«No, io lo butto. Non voglio finire nei guai per colpa tua».«Nessuno dice che devi collaborare con me. Se ti piace que-

sta vita resta qui, ma dammi i miei appunti».«Ho detto di no!».«Fa’ come vuoi, so tutto a memoria».Jasmine, ancora più infuriata, uscì dalla cucina. Joy rimase a

girare il minestrone in un enorme pentolone di rame. All’ora di pranzo, nella squallida cucina riservata alle cameriere Ru-fina riempì sei scodelle di minestrone, ma una rimase piena perché Jasmine non venne a mangiare. Joy mangiò silenziosa-mente estraniandosi dai discorsi intorno a lei, nella sua mente frullavano disordinatamente i nomi che aveva letto e riletto su quel quaderno rubato.

«Tra quanto arriveremo al porto?» chiese Tarsilla, dopo aver

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risucchiato rumorosamente il liquido caldo dal suo cucchiaio.«Tra circa due settimane, credo. Fra poco più di un mese

saremo di nuovo a casa perché questo è un affare facile. Oscar mi ha detto che la maggior parte del lavoro è stato fatto via posta, qui dovrà solo consegnare la merce e conoscere il suo nuovo cliente» spiegò Griselda, con tono solenne. Era sempre seria e orgogliosa quando parlava del suo amato compagno.

«Di che roba si tratta?» intervenne Zelina, riempiendosi la scodella per la terza volta.

«Stoffe. Oscar ne ha comprate tantissime in un’isoletta a est di Gwenever, durante l’ultimo viaggio che abbiamo fatto insieme. Sono stoffe molte belle, decorate da alcune donne di un piccolo villaggio. le abbiamo pagate una vera miseria per rivenderle a una fortuna! Ma sono davvero belle, ne vale proprio la pena. Naturalmente a me è stato riservato un bel campionario... quando rientreremo a Gwenever mi farò fare qualche abito elegante o delle mantelle molto, molto chic.

Silenziosa come un’ombra, Joy posò la sua scodella nel la-vello e si dileguò. Non appena fu sola nella sua stanza chiuse la porta a chiave e prese il quaderno da sotto il materasso. Non si perse d’animo e ricopiò i suoi appunti. Quel pomerig-gio Jasmine non bussò alla sua porta, e lei rimase immobile nel suo letto fino all’ora di cena. Apple le dormiva accanto e le teneva compagnia. Per la prima volta Joy si sentì terribilmente sola, il peso dell’assenza di Romeo e dei suoi amici la schiacciò con tanta violenza da farle male, i ricordi la investirono, più intorno a lei regnava un triste silenzio, più ricordava, più pian-geva. Rivedeva Romeo che le andava incontro nel giardino del campus, rivedeva i loro baci, i suoi occhi a volte malinconici a volte entusiasti. I pettegolezzi innocui condivisi con Berta e Ortensia. I litigi e gli abbracci con Giona. I consigli di leo. le facce buffe di Diana. le chiacchierate notturne con Greta che iniziavano quando tutti andavano a dormire e finivano all’alba. Le mani comprensive di Belit. La dolcezza infinita di Abby...

E tutto le mancava dolorosamente.

Jasmine serviva la cena. Farlo senza Joy la intristiva.

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Era distratta. Per tutte le ore trascorse in solitudine si era chiesta cosa fosse giusto: se accettare passivamente la sorte o tentare tutto, anche una follia, per cambiare ciò che non andava bene. Domande, dubbi e riflessioni si accatastavano polverosamente nella sua testa, senza darle tregua. Quando un uomo le palpò il sedere, Jasmine prese la sua decisione. Sbatté con violenza il piatto sul tavolo, così forte che il sugo della carne schizzò sulla camicia del vecchio notaio.

«Sei pazza?» urlò il dottor Orlando, così rispettosamente chiamato dai suoi colleghi, strofinandosi un tovagliolo sulle macchie rossastre.

«Mi perdoni, ma mi è... scivolata la mano!» disse Jasmine con aria dispiaciuta, accennando un inchino per poi tornare a servire gli altri uomini affamati.

Joy non era scesa per la cena, Jasmine prese il suo piatto di arrosto e degli avanzi per Apple e andò a bussare alla sua stanza.

«chi è?» chiese una voce sonnacchiosa.«Hai ragione Joy, dobbiamo andare via».Quando Joy riconobbe la voce della sua amica spalancò la

porta con un sorriso radioso. Jasmine posò il piatto di carne sul comodino e si abbracciarono, poi chiusero a chiave e si concentrarono sugli appunti rubati dal quaderno dei veleni.

«Io non capisco nulla di quello che sto leggendo, cosa sareb-bero questi BDZ?» chiese Jasmine, corrucciando la fronte.

«Ti prego non farmi domande! Mi sono affidata agli sca-rabocchi che ho letto... potrei aver scritto cose senza nessun senso ma non importa! Faremo questa poltiglia per quei com-mercianti da quattro soldi e la berranno uno ad uno! Dormi-ranno il tempo necessario per farci prendere le chiavi che ci servono e farci trovare quello che cerchiamo. Adesso dobbia-mo solo sperare che tutta questa roba sia in quella stanza e che il nostro super sonnifero sia efficace!».

«E quando Oscar si sveglierà?».«Si accorgerà che ha un mazzo di chiavi in meno!» esclamò

Joy, ridacchiando entusiasta.«Allora... andiamo!» incalzò Jasmine.«Adesso?».

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«Sì, chi ha tempo non aspetti tempo!».Jasmine e Joy furono più veloci e sicure della prima volta.

Sgattaiolarono fino alla stanza con la strana luce verde e lì rea-lizzarono che non era tutto facile come pensavano. Gli scaffali erano pieni di boccette, e i nomi scarabocchiati sulle etichette a volte erano illeggibili. Nelle teche ronzavano insetti raccapric-cianti e solo vederli provocava in Joy un fremito di repulsione.

«Dovrebbe essere tutto ordinato per categorie, noi dobbia-mo trovare la categoria dei BDZ, la prima fascia».

Sigle, numeri, colori, ronzii si confondevano nella testa di Joy, più girava fra gli scaffali più lettere e numeri si fondevano fra loro.

«Veloce amica, abbiamo poco tempo! Io posso cercare i barbiturici, anche se non ho nessuna idea di dove possano trovarsi».

«È inutile continuare a cercare così! Partiamo insieme da qui, se non troveremo nulla, domani ricominceremo dal pun-to in cui abbiamo finito oggi. Tu guarda gli scaffali in basso, io prendo la scaletta» tagliò corto Joy.

la scala era arrugginita e pesante, spostandola strisciò sul pavimento provocando un cigolio nervoso.

«cazzo».«Tranquilla, figurati se quei beoti si accorgono di qualcosa,

in questo momento saranno già quasi tutti ubriachi» ridacchiò Jasmine.

Joy posizionò la scala, vi salì e iniziò a controllare. la pol-vere le fece girare la testa, era nera e così folta sulla carta delle etichette che per leggerle dovette strofinarsele sulla manica.

«È tardi, il lavoro è troppo lungo! Torniamo domani, ora è meglio farci trovare in cucina!» biascicò Joy fra uno starnuto e l’altro tornando a terra.

I vestiti era anneriti e unti, li appallottolarono sotto il letto di Jasmine e indossarono rapidamente abiti puliti, poi filarono in cucina.

Per molte sere andarono avanti così finché finalmente fra le boccette appiccicose di polvere e unto, Joy trovò qualcosa.

«Barbiturici!» esclamò, tirando giù tutte le boccette etichet-tate allo stesso modo e infilandole nella tasca del grembiule.

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«E qui ci sono le altre cose strane che hai segnato!».«Prendi tutto».Sistemarono la scala, la sedia alla scrivania, rimisero le scar-

toffie nel loro disordine e rientrarono nella camera di Joy. Soddisfatte posarono le boccette sul letto, erano circa venti. Un nanosecondo dopo Apple era accovacciata ad annusarle.

«Forse è meglio che le tenga io nella mia camera» disse Ja-smine, togliendole dalle grinfie della gatta.

«Hai idea delle dosi che ci serviranno?».«c’è scritto tutto nel quaderno. Prenotiamo un turno per la

cena, poi inizieremo a preparare il nostro sonnifero».

Jasmine e Joy avevano due giorni per perfezionare il loro piano. Non sapendo che sapore avessero le sostanze che do-vevano mischiare al cibo, decisero di fare una pietanza dal sapore forte e speziato.

Mancava poco all’ora della cena. Joy era sul ponte, il sole iniziava a tramontare. Il mare sembrava una macchia di colore brillante in cui oro e blu cobalto si fondevano. la brezza le solleticava il viso, gonfiava la gonna del suo abito scuro come il mare e animava i suoi lunghissimi capelli striati di rosso fuoco, come i raggi del sole. Mancava poco all’inizio del suo piano e nella sua testa si accavallavano immagini confuse prodotte dalla sua immaginazione e dalla paura che tutto potesse anda-re storto. l’esito degli avvenimenti di quella sera era incerto. Poteva andare tutto bene o tutto terribilmente male. Poteva essere libera o rimanere schiava per sempre. Il suo ultimo pen-siero, prima di scendere in cucina, andò a Romeo. cercò di immaginare cosa potesse fare, se la pensasse ancora e si rese conto che gli mancava più di quanto avesse creduto fino a quel momento. Il vento, il sole accecante e i ricordi costringevano i suoi occhi a piangere ma si trattene, respirò a fondo e scese in cucina. Il suo cammino verso la libertà era appena iniziato.

Jasmine e Joy avevano deciso di preparare un cous cous pie-no di spezie, erbe, verdure, frutti di mare e tutto quello che potevano aggiungere. Quando fu tutto pronto Jasmine simulò una scivolata, nel frattempo Joy rimase ai fornelli.

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«credo di essermi fatta molto male!» piagnucolò Jasmine massaggiandosi il fondoschiena.

«Datele una mano per alzarsi!» esclamò Griselda.Rufina e Tarsilla accorsero ad aiutarla, provarono a sollevar-

la ma Jasmine lanciò uno strillo acuto.«No, no, no! Per favore non così!».«lasciate fare a me» disse sbuffando Griselda. Quando le

tre donne furono concentrate su Jasmine e sul punto che le doleva, Joy buttò il suo impiastro. Mescolò bene tremando e si nascose la bustina trasparente, ormai vuota, nel corpetto del vestito. Quando le fece un cenno con la testa, Jasmine si rimise in piedi.

«Grazie, va già meglio».«Passa in infermeria, magari l’infermiere ha qualche crema

da suggerirti» propose Tarsilla.«che succede?» chiese Zelinda entrando.«Oh, niente! Sono solo scivolata».«Zelinda sei arrivata giusto in tempo! Ragazze, mi piacereb-

be che siate voi ad assaggiare per prime il mio cous cous, vor-rei un parere sincero prima di servirlo!» si intromise Joy con il sorriso più falsamente amichevole che le riuscì. Griselda che amava mangiare non si fece ripetere l’invito e prese posto a tavola.

«Joy, io vado subito in infermeria, mettimene un piatto da parte, mi raccomando!» esclamò Jasmine, incrociando le dita dietro la schiena.

«certo, fa’ presto prima che si raffreddi» ribatté Joy riem-piendo quattro bei piattoni e rifilandoli alle sue colleghe con un lieve tremolio nervoso che le scuoteva il corpo.

«Sta’ calma, Joy. l’aspetto e il profumo sembrano ottimi» la rincuorò Griselda. La paura che il suo sonnifero fosse più un veleno mal riuscito capace di uccidere qualcuno, era più forte di quella di fallire. Pregando di aver seguito bene le istruzioni, rimase lì a vedere l’effetto del suo miscuglio.

«Buonissimo!» esclamò Zelinda, con la bocca piena.«Non mangiavo una cosa così buona da anni» rincarò Tar-

silla.«I miei complimenti, signorina Hallett!» intervenne Griselda.

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Mentre Joy sorrideva, rigida come un palo, la discussione sul suo prelibato cous cous continuava animatamente, e i piatti iniziavano a svuotarsi. Finalmente la voce tonante di Griselda iniziò a diventare vacua e trascinata, i suoi occhi e quelli delle altre iniziarono a far fatica a rimanere aperti, finché i loro fac-cioni non sprofondarono mollemente in mezzo al cous cous e ai gamberetti.

In quel momento Jasmine, che aveva guardato tutto dalla serratura, rientrò con un sorriso di trionfo stampato sulle lab-bra.

«Perfetto» disse Joy in un soffio, sospirando per il sollievo.«Quanto durerà l’effetto di questo sonnifero?».«Non ne ho idea».«E allora cosa faremo?».«Intanto sistemiamo loro!».Sotto il tavolo delle patate c’erano le corde che avevano pre-

parato prima, le presero e legarono per bene le donne, poi trascinarono i corpi dormienti verso il lato più nascosto della cucina. Subito dopo preparano il carrello per la cena e rag-giunsero l’orda affamata che le attendeva.

«Sono molto orgogliosa del mio piatto, stasera!» esclamò Joy, spingendo il carrello della cena fino ad Oscar.

«Be’, scopriamo subito se questo orgoglio è motivato, allora!».Joy e Jasmine furono più svelte del solito a riempire i piat-

ti. Volevano che tutti iniziassero a mangiare nello stesso mo-mento, perché nessuno si accorgesse che succedeva qualcosa di strano.

Quando i dannati ingoiarono il primo boccone iniziarono a complimentarsi con Joy. Più si ingozzavano, più Joy rideva.

«Andiamo a prendere il secondo!» esclamò Jasmine, quando si rese conto che il sonnifero iniziava ad agire. le percezioni e i movimenti dei dannati erano più lente, le loro bocche ma-sticavano a fatica.

«c’è qualcosa che non va...» biascicò Oscar proprio nel mo-mento in cui Joy chiuse le porte della sala da pranzo e girò la chiave nella toppa per ben tre volte. Quando anche loro si addormentarono sul piatto, Joy si sentì la persona più felice e soddisfatta del mondo.

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«E ora?» chiese Jasmine.«Ora torniamo dentro! Guarda sotto il carrello del cibo...».Jasmine alzò la lunga tovaglia che copriva le ruote del car-

rello e trovò arrotolati metri di corda che sommergevano le posate e i piatti ben disposti sui vassoi.

«l’ho presa dalla dispensa, quando tu non mi parlavi. È ta-gliata in piccole parti. li legheremo come salami uno per uno come abbiamo fatto con le donne, e li priveremo di tutte le loro armi».

l’operazione iniziò. con cautela, Joy riaprì le porte della sala da pranzo. Il primo a essere legato fu Oscar. lo perquisirono: sotto la camicia aveva una cintura a cui erano agganciati tre coltelli, una piccola pistola d’oro e tre mazzi pieni di chiavi.

«Queste sono quelle che ci interessano di più!» esclamò Ja-smine, alleggerendogli la cinta.

Gli svuotarono anche le tasche, erano piene di tabacco e bulloni poi Joy lo legò stretto, più stretto che poté. Le armi di tutti e le posate che potevano essere pericolose finivano in un sacco di iuta. ci volle quasi un’ora per disarmare tutti i dan-nati e legarli, e Joy iniziò ad avere paura. Nel grembiule aveva un’altra bustina della sua poltiglia e senza pensarci due volte la rovesciò nella brocca dell’acqua.

«Non esageriamo con le dosi, nemmeno un cavallo ha biso-gno di essere così tanto sedato» esclamò Jasmine, che riusciva a mantenere i nervi saldi.

«la prudenza non è mai troppa» ribatté Joy.Mentre Jasmine spalancava la bocca ai dannati, Joy li co-

stringeva a bere un sorso, poche gocce per ciascuno.«carichiamo il sacco con le armi nel carrello e chiudiamoli a

chiave» dissero all’unisono. l’adrenalina saliva.«chiudiamo anche queste streghe?» chiese Jasmine, quando

passarono davanti alla cucina.«Sì, dobbiamo evitare ogni pericolo, anche quello all’appa-

renza più innocuo!».«Ora possiamo andare» sentenziò Joy, quando la prima par-

te del piano sembrava essere andata perfettamente.

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Joy e Jasmine con molto sforzo trascinarono il sacco che ad ogni scalino tintinnava allegramente e lo chiusero nella came-ra di Joy, poi corsero fino all’ufficio di Oscar. Ci misero molto, prima di trovare la chiave giusta.

L’ufficio era in perfetto ordine e profumava di spray anti-polvere.

«Qui può entrare solo Griselda» spiegò Jasmine.Joy annuì con scarso interesse e si fiondò sulla scrivania po-

sta in fondo alla stanza, sotto un oblò coperto da un drappo verde bosco. Spalancò i cassetti e iniziò a cercare. Sul pavi-mento di parquet c’era un prezioso tappeto ricamato in oro e bordeaux, le pareti erano color crema, adorne di quadri dalle cornici in ottone. Uno era un ritratto di Griselda, alcuni erano paesaggi marini, altri raffiguravano Oscar in varie pose con sguardi accattivanti. c’era una pianta in un angolo e un divano con vicino un piccolo tavolo su cui era poggiato un posace-nere.

«c’è solo una carpetta blu qui, piena di conteggi e numeri» disse Joy infuriata, la sua ricerca sembrava inutile. Jasmine ini-ziò a sollevare i cuscini del divano e a guardare dietro i quadri ma non c’era niente, poi notò un cassetto nel tavolino.

«cerca una chiave molto piccola» suggerì dopo aver provato invano ad aprirlo.

Joy prese una piccolissima chiave dorata e gliela porse. Ja-smine girò e il cassetto si aprì. Era ampio quanto tutto il ta-volino e dentro era ben piegato un sottile foglio squadrato e azzurrino: la cartina della nave. Jasmine e Joy si abbracciarono esultando, poi Joy si fermò un attimo.

«Abbiamo fermato tutti?».«che vuoi dire?».«Nella stanza c’erano tutti?».«Non lo so, non li abbiamo contati».«Sapevo che avrei trascurato qualcosa! Abbiamo dimenti-

cato di controllare i turni dei dannati... sono sicura che c’è ancora qualcuno in giro. Non è saggio girare così. Prendiamo la cartina e torneremo più tardi. Adesso ci conviene armarci e cambiarci d’abito».

Sul viso di Jasmine calò un’ombra di panico, la sua allegria

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morì sul colpo. cercando di nascondere goffamente la sua ansia, chiuse la stanza a chiave e tornarono in camera di Joy.

«Sai come si usa una pistola?».«Assolutamente no, ma improvviseremo!» esclamò Joy con

l’adrenalina a mille.con mani tremanti agganciarono pistole a canne corte e

coltelli alla cintola del loro grembiule e le nascosero sotto una casacca di lino grezzo, che di solito usavano quando sviscera-vano il pesce per non macchiare i vestiti.

Richiusero a chiave e salirono di tre piani, agli alloggi degli inservienti. Joy camminava respirando appena, aveva paura che un movimento sbagliato potesse azionare le pistole e far partire un colpo. le serrature di quelle camere erano tutte uguali, quindi si aprivano con la medesima chiave. Ne prova-rono quasi venti prima di trovare quella giusta, poi iniziarono ad aprire tutte le porte finché non trovarono un armadio che conteneva vestiti non esageratamente enormi.

«Senti, Joy... a me fa proprio schifo mettere i vestiti di quelli!».«Anche a me, ma saremo più comode e meno in vista con

i loro abiti» disse Joy lanciandole una camicia e dei pantaloni di tela marroni. lei indossò una camicia abbastanza larga da camuffarle il seno e dei pantaloni blu. le scarpe che trova-rono, invece, erano troppo grandi. Jasmine rimase con le sue ballerine di cuoio e Joy si lasciò gli stivaletti scamosciati in cui nascose una browning calibro 9. Dall’armadio presero anche due cintole come quella di Oscar, se le strinsero intorno alla vita e le riempirono delle armi che avevano scelto. Joy, diver-tita, si legò al collo un fazzoletto rosso che la faceva sembrare un cowboy, infine si legarono i capelli e li nascosero sotto dei cappelli di stoffa pruriginosa e grezza. Erano pronte. Torna-rono all’ufficio di Oscar, lo misero a soqquadro ma non c’era niente di interessante. Poi passarono all’altra stanza, un vero manicomio. C’erano ovunque scartoffie e strani attrezzi a cui Joy non seppe attribuire una funzione. l’intonaco era scro-stato e polverizzato sul pavimento disseminato di casseforti protette da catene e lucchetti.

«Queste sono le macchine che usano per falsificare i docu-menti».

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«ci servirebbero dei documenti nuovi! Se riusciamo davve-ro a scappare non possiamo andare in giro con i nostri veri documenti, perché ci ritroverebbero subito! Sai far funzionare questa cosa?».

«Non proprio. Ho visto solo una volta un dannato usarla, mentre accompagnavo Griselda, ma posso provarci! Se ci rie-scono quelli perché non dovrei farcela io?».

«Ok, per me scrivi Alissa Ninfadora».«che razza di cognome è Ninfadora?» chiese Jasmine scop-

piando a ridere.«È una parola che mi piace» rispose Joy, iniziando a guardar-

si attorno e a mettere le mani ovunque.Jasmine avviò la macchina premendo bottoni a caso, spostò

leve posizionandole nei modi più svariati provocando solo bru-sii, scatti e bip. In una scatola di cartone erano ben posizionati falsi documenti, tutti bollati con lo stemma di Gwenever, la testa e l’ala di una fenice. A un tratto un timbro scattò in avanti, Joy e Jasmine guardarono di sotto: c’era una piccola “A” pronta per essere stampata. Al lato c’era una rotellina, Jasmine la fece ruotare di uno scatto e il timbro passò da una “A” a una “B”. Poi abbassò una leva e il timbro partì sbattendo sul metallo.

«Facciamo una prova».Il primo documento fu un disastro, c’erano lettere stampate

ovunque senza ordine. Già andò meglio con il secondo, solo il quarto risultò credibile.

«Eccomi qui, Rebecca Hild! Dobbiamo mettere una foto però...».

«Strappa quella del tuo vero documento, tanto non possia-mo portarli dietro».

Jasmine fece anche il documento per “Alissa Ninfadora” e li mostrò entrambi orgogliosa.

«Possiamo anche uscire da qui, non c’è niente che possa interessarci» sentenziò Joy.

le ragazze riscesero in cucina per controllare la situazione. Tutti dormivano ancora. Quando stavano per decidere cosa fare, sentirono dei passi venire verso di loro.

«Gabro! Che fine hai fatto? Devi darmi il cambio!» tuonò una voce roca.

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Jasmine e Joy erano terrorizzate, sentirono un tuffo al cuore e la voglia di sparire risucchiate dal pavimento. Era troppo tardi per aprire le porte della cucina, all’ultimo minuto si na-scosero in un corridoio laterale.

«Non muoviamoci, qui è tutto al buio e non sappiamo dove porta, non voglio fare la fine del topo» farfugliò Joy con il cuore che le pulsava in gola.

l’uomo arrivò. Era di un’altezza sovrumana, con spalle lar-ghe e mani grosse come padelle.

«Aprite» urlò prendendo a pugni la porta, poi si rese conto che al di là del vetro tutti dormivano.

«Gli sparo a un piede» decise Joy, irrigidita dalla paura.«come cavolo fai se non hai idea di come si usi questo ar-

nese?!».«chi c’è?» sbraitò l’energumeno. Sferrando un altro pugno

al vetro, lo spaccò. Asciugandosi la mano insanguinata sulla camicia grigia, imprecò rabbioso come un lupo affamato.

«che scherzo è questo? Maledizione!».«cazzo, Joy, spara!».le ragazze iniziarono ad agitarsi e a strapparsi la pistola dal-

le mani, finché non cadde a terra. Partì un colpo. Il dannato lanciò un urlo animalesco e si lanciò verso il buio del corrido-io in cui erano nascoste loro.

«Fa’ qualcosa!» piagnucolò Jasmine, con voce piccola e stri-dula.

Joy raccolse la pistola, le mani le tremavano e chiudendo gli occhi puntò in basso. Senza ripensamenti premette il grilletto.

Un altro urlo. Un tonfo, a pochissimi metri da loro.«chi c’è? Maledetto! Il mio piede» strepitò l’uomo.«Da che parte andiamo?» bisbigliò Joy, ignorando quelle

urla.«Andiamo dritto, se è tutto al buio è perché non ci sarà nes-

suno, non devono vederci».«Dovevamo pensare che sul ponte di batteria e sul ponte di

coperta sarebbe rimasto qualcuno a vegliare. Era ovvio! Sono sicura che fuori, oltre al timoniere, ci sarà anche un prodiere e qualcuno al mascone!» disse Joy, ignorando il suggerimento di Jasmine, arrabbiata con se stessa e la sua sbadataggine.

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«Dobbiamo sedare quella scimmia e toglierlo di mezzo, se incontrasse qualcuno potrebbe raccontargli tutto, urla troppo» disse Jasmine, infastidita dalle maledizioni scagliategli contro dall’uomo ferito.

«Non possiamo passargli vicino, potrebbe essere armato».«Se fosse armato avrebbe già provato a sparare in questa

direzione, credo...».Jasmine aveva ragione, Joy prese il fazzoletto che aveva al

collo e se lo legò al viso lasciando scoperti solo gli occhi.«Aspettami qui».Prese dalla cintola una nambu 94 e tornò indietro, verso la

luce. Quando il dannato sentì i suoi passi iniziò a imprecare con più veemenza.

«Ti ammazzo» urlò e strisciò nella direzione di Joy.lei tremò, il suo cuore divenne un puntino palpitante, si

fermò terrorizzata.«Prova a toccarmi e ti sparo» disse con la voce più crudele e

autoritaria che riuscì ad assumere.«Sei una donna, una stupida donnaccia! Non mi fai paura!».Sentendo quelle parole, la rabbia prese il posto del terrore.«Nemmeno tu» sibilò Joy, poi puntò alla sua mano e sparò di

nuovo. Quando il proiettile attraversò la carne callosa dell’uo-mo, il suo ululato attraversò il corpo di Joy scuotendolo ma si fece coraggio e, mentre lui si teneva stretta la mano cercando di fermare il sangue, lei correndo lo superò. con un calcio completò l’opera dell’uomo e aprì la porta della sala da pran-zo. Tutti continuavano a dormire placidamente, ignari di cosa succedesse intorno a loro. Rapidamente riempì un bicchiere d’acqua e vi lasciò cadere dentro una goccia del suo sonnifero, mescolò e tornò dal dannato.

«Bevi, fermerà il sangue».«Dammi il tempo di rimettermi in piedi e ti ammazzo.

cos’hai fatto, maledetta?».«Niente. Prima bevi e prima ti rimetti in piedi. Non provare

a toccarmi o finisce male».Il volto dell’uomo era contratto dal dolore. Il sangue dal

piede e dalla mano continuava a fluire a fiotti, lui bevve fidan-dosi subito di Joy e perse i sensi più rapidamente degli altri. Il

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suo testone con un rumore secco rimbalzò sul pavimento, il bicchiere volò e si frantumò contro la porta sgangherata della sala da pranzo, l’acqua avvelenata schizzò sugli stivali di Joy.

«Jasmine, è tutto finito, vieni! Questo stronzo si deve me-dicare».

I vestiti del dannato erano macchiati di sangue che continua-va a gocciolare dai suoi arti feriti. Il suo corpo era immobile.

«Tranquilla, non sono un’assassina, è vivo! Prendi la cassetta del pronto soccorso, io intanto lo lego».

Joy prese la corda e gli legò le cosce, temeva di fargli male, non sapeva cosa fare per non peggiorare la sua situazione.

Fu in quel momento che le venne in mente che quell’uomo, come lei, era già morto. Peggio di così non gli poteva andare.

Lo trascinò fino alla sala da pranzo, il suo piede lasciò una scia vermiglia. Spinse per terra un uomo dormiente facendolo cadere dalla sedia e al suo posto fece sedere il mastodontico corpo inerme e ferito. lo strinse dalla pancia e lo legò allo schienale includendo anche la mano sana, l’altra la lasciò libe-ra. Vedendo il sangue continuare a inzaccherare il pavimento buttò giù un altro uomo e usò la sua sedia per poggiargli sopra il piede ferito. In pochi secondi si formò una pozza scarlatta dall’odore pungente. Finalmente arrivò Jasmine.

«Non so come si curino ferite da arma da fuoco» disse su-bito.

«Nemmeno io, non c’è un dottore qui?» chiese Joy.«Ehm... sì... ma abbiamo addormentato anche lui!».le ragazze si guardarono e scoppiarono a ridere isterica-

mente. Il medico russava comodamente sul suo piatto di cous cous. Piombando sul tavolo gli era finita in testa una brocca colma di vino, e un rivolo violaceo gli attraversava la tempia.

«Be’, intanto lo disinfettiamo e bendiamo le ferite» disse Ja-smine indossando un paio di guanti. Respirò a fondo respin-gendo un conato di vomito e tolse la scarpa all’uomo, gli sfilò il calzino intriso di sangue, prese un batuffolo di cotone, lo riempì di disinfettante e iniziò a pulirgli il piede. Anche Joy indossò i guanti e gli pulì la mano. Il sangue incrostato era difficile da togliere. Quando il sangue iniziò a sfociare con meno violenza, le ragazze gli bendarono gli arti con garze ste-

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rilizzate, si tolsero i guanti e nauseate si disinfettarono. Prima di uscire Joy prese un fazzoletto dal collo di un uomo e lo diede a Jasmine.

«copriti il volto anche tu».«Ora che si fa?».«Dobbiamo trovare gli altri pirati ancora a piede libero, ma

non dobbiamo sedarli tutti. Qualcuno deve aiutarci a prende-re una scialuppa».

Raggiunsero l’albero maestro, lì doveva esserci qualcuno a controllare le vele. Trovarono due uomini. Al buio non riusci-rono a vedere se erano armati o no.

«Possiamo rischiare di uscire e farci fermare?» chiese Jasmine.«No, prima scopriamo se sono armati...».Joy prese un coltello e strappò un pezzo di parquet.«Ma che fai?».«Glielo tiro».lo lanciò e colpì un uomo alla testa.«Chi c’è?» urlò il più grasso tirando fuori un coltello dalla

cintura.«Sono armati».«Non possiamo fare niente così, torniamo indietro».Sempre rimanendo unite, scesero nelle loro camere e indos-

sarono i loro abiti abituali, ma nascosero la cintura porta-armi sotto il grembiule. Tornarono in cucina, presero un vassoio e vi misero sopra due piatti pieni di cous cous, uno avvelenato, uno no. Presero anche una brocca di vino puro e tornarono al ponte.

«Buonasera, signori. Oscar ci manda a portarvi la cena!».«Grazie, ci voleva proprio!» esclamò un uomo panciuto.I due uomini si sedettero, si pulirono le mani sui pantaloni

e presero i loro piatti.«Spero vi piaccia, è la mia specialità!» esclamò Joy. Intanto

sia lei che Jasmine si affacciarono al ponte del cassero alle spalle dei due uomini, con la coda dell’occhio li osservavano.

«Fantastico, ne avevamo davvero bisogno!» esclamò l’uomo più alto e biondo.

Il grasso iniziò a cedere. Joy vide i suoi movimenti rallenta-re, come la sua mascella che masticava sempre più affaticata e

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fu veloce come un fulmine: da sotto il grembiule estrasse una corda e la strozzò intorno al biondo, stringendolo alla sedia e bloccandogli le braccia. Il piatto si spaccò fragorosamente sul pavimento.

«Ma cosa...?» biascicò il grasso, prima di crollare come un sacco di patate.

Il biondo provò a ribellarsi ma Jasmine gli puntò un coltello alla gola.

Joy intanto annodò i lembi della corda, ora non poteva più alzarsi.

«cosa diavolo volete fare!» urlò scalciando come un inde-moniato. Jasmine dovette scansarsi ma la lama appuntita del coltello lo ferì, l’uomo si ribaltò sulla sedia e cadde schiaccian-dosi il collo.

«Sta’ fermo, idiota» lo ammonì Joy.Mentre era ancora con in piedi per aria glieli legarono, poi

rimisero la sedia per bene.«Aiuto!».«È inutile che urli, nessuno può aiutarti» tagliò corto Jasmine.«Avete avvelenato Sauro?».«No, sta solo dormendo».Joy prese la cartina della nave e gliela parò davanti.«Indicaci dove si trovano le scialuppe di salvataggio».«No!».la ragazza lo disarmò, si strappò un lembo del vestito e gli

tappò la bocca.«Tu ci servi sveglio e sano, ma zitto. Ci vediamo più tardi

visto che per ora non vuoi collaborare!» esclamò imbavaglian-dolo.

«Dove lo lasciamo?».Fra l’albero maestro e il secondo albero c’erano vecchi telo-

ni accatastati l’uno sull’altro, lì sotto nascosero il loro uomo, schiumante di rabbia. le vene sul suo collo taurino pulsavano così forte che sembrava che la pelle potesse strapparsi da un momento all’altro sotto quei palpiti.

«Tranquillo, non ti abbandoneremo qui, a più tardi» disse Joy, salutandolo con un sorriso divertito.

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cAPITOlO XIV

ci vollero tempo e umiltà prima che Boris riuscisse ad am-mettere che gli incontri segreti con Greta gli mancavano, so-prattutto che lei gli mancava. Un pomeriggio si decise: si vestì per bene, scelse il profumo migliore che aveva e andò dal fio-raio più esoso e chic di Gwenever.

«Vorrei un mazzo di rose rosse, il più bello che abbia mai composto!» esclamò con i suoi modi artificiosi.

«Ripassi fra mezz’ora» disse il fioraio. Era un ometto di mezza età, con occhiali tondi montati su un naso che sembra-va una patata.

Non era ancora tardi ma già il cielo si imbruniva. A Gwe-never non c’erano stagioni, un giorno poteva essere estate e il giorno dopo inverno, non c’erano nemmeno nomi per i mesi, né per i giorni della settimana. l’aria era fredda e cupa, Boris si avviò verso il parco ma in giro non vi era anima viva. Gli scivoli erano vuoti e le altalene immobili, non gli restò che sedersi su una panchina ad aspettare che il tempo passasse. Il silenzio lo cullava, rischiò di assopirsi.

I guaiti di un branco di cani malconci lo riportarono alla realtà. Boris scrollò la testa prima di sentirsi di nuovo lucido. Si diede una sistemata ai capelli e tornò dal fioraio. Sul banco-ne c’era un mazzo di rose grandi e così delicate da sembrare di seta. Erano avvolte da una carta luccicante e da un grosso fiocco dorato. Boris le guardò con aria da intenditore soddi-sfatto, pagò e uscì.

Sulla metro trattò con cura le sue rose, fu delicato come se avesse fra le mani un bambino. Quando arrivò la sua fermata si armò di sorriso e scese. Era positivo, sapeva che nessuna donna poteva resistere ai fiori e ai suoi modi galanti. Le mura verde pastello della villetta del signor Manlio spiccavano sta-gliate contro il cielo grigiastro e triste. Boris aumentò il passo. Quando fu davanti alla porta non suonò subito, ma riprese fiato e masticò velocemente una mentina. Poi schiacciò il dito

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sul campanello. Quando Greta aprì la porta e lo vide credette per un istante di essere impazzita e richiuse prima che lui po-tesse parlare.

«lasciati almeno salutare!» esclamò Boris con tono deluso e mogio.

Non era pazza. Dietro la porta c’era davvero lui, con un mazzo di rose.

«Salutami» ordinò Greta, aprendo uno spiraglio e fingendo di non aver notato i fiori.

«ciao, avevo voglia di rivederti... e questi sono per te».la ragazza era indecisa. Non sapeva se accettarli fosse giu-

sto. Poi ripensando a Joy, decise che da lui non avrebbe mai accettato niente.

«Ti ringrazio, Boris. Ma dei tuoi bei gesti non me ne faccio niente. Sei solo un mostro».

Greta fece per richiudere la porta, ma Boris lo impedì.«Non è come credi, e te lo dimostrerò molto presto. Per

favore, non cacciarmi».Boris a volte sembrava un cucciolo maltrattato. Peccato che

Greta non era ancora riuscita a capire se la sua vera faccia fosse quella da cucciolo o quella da mostro.

«Entra, solo per dieci minuti. Non voglio che nessuno mi veda con te, sarebbe una vergogna».

«Non prendi queste? Sono per te».«lasciale sul tavolo, quando te ne andrai penserò a come

farle sparire».Boris si sentì mortificato. La sua allegria morì come la fiam-

ma di una candela sotto la pioggia. Posò il mazzo sul tavolo della cucina e seguì Greta con lo sguardo basso e rabbioso.

«Siediti» lo invitò Greta, dopo essersi accovacciata su un di-vano.

Boris eseguì, rigido come un automa.«Perché sei venuto? Speravi di comprarmi con dei fiori?».«Io non volevo comprare nessuno».«Ah, no? Una volta hai provato con le lusinghe ma non sono

bastate e sei passato alle rose. cosa vuoi ottenere questa volta? Non mi viene nulla in mente, adesso che Joy non c’è più».

«Non sono qui per parlare di lei».

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«Noi non abbiamo altro da dirci. Il vostro gioco è diventato una tragedia».

«lo so!» sbottò Boris.Greta si impaurì. Il demone schizzò dal divano come se fos-

se bollente e scagliò un pugno contro la parete vicina con tanta forza che la mano gli divenne violacea. Poi le si parò davanti.

«So benissimo di aver preso parte a una cosa davvero molto brutta, ma sto cercando di rimediare e mi dispiace che tu non veda altro che malvagità in me.

«Peggio per te che mi hai fatto vedere solo questo».«È meglio che vada ora» disse Boris, schiumante di rabbia e

delusione.«Saggia decisione» ribatté Greta, rimanendo sul divano

mentre lui si allontanava.Passando, Boris prese le rose poi uscì senza voltarsi indietro.

Greta lo guardò andare via dalla finestra, nascosta dietro una tenda. Quando fu lontano uscì anche lei. come immaginava, le rose erano abbandonate sul ciglio della strada, a macerare lentamente sotto la pioggia che batteva l’asfalto da qualche minuto. Raccolse ciò che ne restava e le portò in casa con lei. Salì nella sua camera e le posò sulla scrivania. Il mazzo vigo-roso era ormai solo un cartoccio di fiori avvizziti. Per un po’ rimase a fissarle, i petali martoriati e sfatti le ricordavano le notti in cui, con un misto di paura ed euforia, aspettava Boris. Era tutto finito, disperso e passato come il vigore delle rose e i brillantini sulla carta strappata.

***

Jasmine e Joy avevano rimesso i comodi abiti maschili e ave-vano raggiunto il timoniere che, immerso nella musica clas-sica, non si era accorto di nulla. Quando si rese conto che qualcuno era entrato nella sua cabina, era troppo tardi. Joy gli puntava una pistola alla tempia e Jasmine un coltello alla schiena.

«che... che ho fatto?» farfugliò l’uomo.

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«Niente, siamo venute a dirti cosa succede. Adesso quello che devi fare è puntare alla terra abitata più vicina perché il nostro viaggio finisce qui e noi vogliamo scendere» spiegò Joy.

«Non posso, Oscar mi ucciderà!».«Oscar è fuori gioco, per stanotte non devi avere paura di

lui, ma di noi» disse Jasmine, per tranquillizzarlo.«A... aspettate» balbettò l’uomo allungando una mano tre-

mante verso una cartina segnata da X e frecce.«Il posto a noi più vicino è un’isola molto piccola abitata

solo da pescatori, ci vorrà circa un’ora per raggiungerla. Per tutti i centri abitati più importanti dovreste aspettare fino a domani verso l’ora di pranzo» spiegò il timoniere, il suo dito tremava sulle linee che indicava.

Joy e Jasmine si guardarono un attimo, non potevano corre-re il rischio di aspettare ancora.

«Va bene, portaci lì, alla piccola isola. Scenderemo solo se vedremo un faro illuminato» disse Joy, perquisendolo. Non era armato.

«che ne dici di riposarci prima un attimo?».«Sì, Jasmine, hai ragione» disse Joy crollando su una panca e

poggiando la testa sul grembo dell’amica.Il timoniere era il dannato più codardo che avessero mai

incontrato, tremante come una foglia aveva subito modificato la rotta senza fare storie.

«Sei un coniglio, Adalberto» ringhiò una voce rauca e bassa svegliando di soprassalto le ragazze assopite.

Sulla soglia della cabina c’era un uomo tarchiato e gonfio. Dalla maglietta bianca uscivano grossi muscoli pompati e un collo taurino che sosteneva una testa schiacciata e squadrata.

«No, Bolivar... non è come credi» farfugliò il timoniere. le sue mani vibravano così tanto che quasi non riusciva a com-piere le sue manovre. Joy e Jasmine scattarono in piedi pun-tando le loro armi.

«Da dove salti fuori?» ringhiò Joy. Il pensiero che Bolivar fosse armato aveva ucciso tutte le sue speranze e il suo corag-gio, ma doveva continuare la sua parte.

«Ero di turno con l’uomo a cui avete sparato, quando non

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l’ho più visto tornare sono sceso a cercarlo e ho trovato il vostro spettacolo! I miei complimenti ragazze, peccato che questo scherzetto segnerà la vostra fine».

Joy notò la sua mano muoversi nella tasca dei pantaloni e capì subito cosa sarebbe successo. Senza farsi prendere dal panico afferrò Jasmine da un braccio e si tuffò dietro il tavolo su cui erano ordinate le cartine di Adalberto.

Un istante dopo Joy sentì un bruciore lancinante, come una grossa spina conficcata a forza nella natica e poi strappata via, Jasmine intanto rovesciò il tavolo per farsi da scudo, i mille fo-gli di Adalberto riempirono l’aria. Nella confusione Joy si fece forza, si sollevò e puntò la pistola: sparò tre colpi nel vuoto, sentì un urlo poi un tonfo.

«che avete fatto?» strillò Adalberto.Joy credette di aver ucciso Bolivar, poi capì che il timoniere

era infuriato per la baraonda dei suoi appunti che come un tappeto ricopriva il pavimento.

«Idiota, lascia stare quelle scartoffie e dammi una mano» latrò Bolivar. Jasmine sollevò appena la testa dal tavolo, il dannato era disteso sul pavimento circondato da una macchia di san-gue che fluiva da un punto indistinto tra la testa e il gomito.

«lo hai preso!» esultò Jasmine.«Anche lui ha preso me».Joy si passò una mano sulla natica e se la ritrovò macchiata

di un rosso vivo e caldo.«Sei ferita!».«Se ti dico dove, non ridere...».la ragazza si voltò e si abbassò i pantaloni. Il proiettile for-

tunatamente l’aveva solo sfiorata.«Sta’ zitto Bolivar, devo sistemare le mie carte».Il dannato si mise in piedi da solo, la spalla gli faceva molto

male, il proiettile era bloccato nella sua carne ma si fece forza.«Si... si sta alzando» farfugliò Jasmine.Joy si rimise su i pantaloni, un attimo dopo Bolivar le guar-

dava dall’alto puntando contro la sua pistola.«Bene, bambine. Adesso avete finito davvero. Datemi le vo-

stre armi o come potete immaginare non ci metterò niente a sparare sulle vostre testoline».

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Jasmine e Joy si sfilarono le cinte, ma Joy sotto un ginocchio nascondeva la lama di Jasmine.

«Al-za-te-vi» sillabò Bolivar.Joy non poteva fare nulla, si alzò e scoprì il coltello.«Volevi fare la furba con me?» disse, chinandosi per racco-

glierlo. Prima di prenderlo si fermò un attimo per il dolore alla spalla, Joy approfittò della sua esitazione. Dalla tasca prese la boccetta di sonnifero in cui c’era ancora qualche goccia di impiastro e con tutta la forza che aveva in corpo la spaccò sul muso di Bolivar spingendolo indietro e facendolo cadere. la sua faccia era una maschera di sangue e vetro, sparò un colpo in aria e provò a rimettersi in piedi ma il sangue perso e il sonnifero agirono più velocemente di lui.

«lo avete avvelenato?» chiese Adalberto, preoccupato per la sua sorte e non per la fine del compagno.

«No, dorme, tu torna alla tua rotta!» esclamò Jasmine che, mentre Joy corse a cercare una corda, disarmava l’uomo sve-nuto. Anche Bolivar finì legato come un salame.

Il timoniere non opponeva nessuna resistenza, Jasmine se la sentiva di rimanere sola con lui mentre Joy andò dal dannato legato a una sedia sul ponte e gli tolse il bavaglio.

«Non mi sono dimenticata di te».Zoppicava e la natica le bruciava ma cercava di rimanere

composta.«cosa vuoi?».«Una scialuppa».«Tu e la tua amica volete lasciare la nave? ci penso io».«Ricordati che io sono armata e tu no. Quanto tempo ti

serve?».«Pochissimo» rispose l’uomo con un ghigno.Joy tornò da Jasmine che intanto chiacchierava tranquilla-

mente con Adalberto.«Timoniere, quando saremo abbastanza vicini fermati. Sul

ponte c’è un altro uomo sveglio, ci aiuterete a calarci in mare e ve ne andrete. Jasmine io vado a prendere le mie cose, poi ti do il cambio».

Joy passò prima dagli alloggi dei dannati per prendere dei

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vestiti puliti, poi dalla cucina e prese la cassetta del pronto soccorso. Nella sua stanza si preparò un veloce bagno caldo, si spoglio e iniziò a pulirsi la ferita. Urlò per il dolore ma continuò a disinfettarsi, poi si immerse nell’acqua profumata. Fu un bagno rapido e scomodo, non riusciva a star seduta. Quando finì si sdraiò sul suo letto per rifocillarsi qualche se-condo. Si mise a pancia in giù e chiuse con garza e scotch la ferita, poi si rivestì. Avvolse Apple in una canotta di lana e la chiuse nella sua portantina. In una borsa di cuoio rubata a qualcuno conservò il nuovo documento, un paio di boccette del suo potente sonnifero, una pistola e un coltello. Non ave-va altro. Aveva ancora le chiavi e passò dall’ufficio caotico in cui si falsificavano i documenti, forzò una cassaforte e riempì sette borse di monete e pietre preziose. Prima di tornare da Jasmine ebbe un’idea. cercò carta e penna e scese nella sala da pranzo. con una bracciata liberò parte del tavolo e si ap-poggiò lì per scrivere:

Te lo avevo detto che volevo tornare a casa. Adesso per non dimenticar-ti più di me, avrai un bel lavoro da fare per rimettere tutto in ordine!

Buon viaggio,Joy Hallet

p.s. Perdonami ma non potevo lasciare qui Jasmine!

lasciò il foglio in vista sul piatto di Oscar insieme alla sua pistola d’oro e zoppicando per il dolore e per il peso delle borse tornò nella cabina del timoniere.

«cambiati e prendi le tue cose, poi torna subito qui. Ho preso io i soldi!».

Jasmine fu più rapida di Joy, fortunatamente lei non era fe-rita. Quando tornò aveva due pesanti coperte fra le braccia e carne essiccata e scatolette in un sacco di iuta.

«Signore, non posso avvicinarmi più di così. Il faro è lì, come vedete, ma non potendo attraccare a nessun molo, avvicinarsi molto è pericoloso».

«Grazie Adalberto, raggiungiamo il tuo compagno» disse Joy.

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Il timoniere le precedeva con due lame puntate alla schiena.«Milko, sei tu l’altro ostaggio?» chiese quando Jasmine sol-

levò i teloni.Joy tolse il bavaglio al dannato ma non lo liberò, Adalberto

fu costretto a spingere la sedia fino al punto in cui si trovava la scialuppa. lì fu liberato.

I due uomini prepararono la scialuppa sulla portantina che serviva a calarle in mare. Prima di salirvi, Joy esibì i grossi mazzi di chiavi che aveva in tasca.

«Solo con queste potrete aprire le stanze di Oscar piene dei suoi soldi e potrete liberare i vostri amici, se buttate in acqua noi vi ritroverete senza queste. Ve le aggancerò alla portantina solo quando sarà tutto finito».

I due dannati, umiliati e disarmati, non fecero scherzi, ca-larono la scialuppa con i remi in mare e le indirizzarono su come muoversi.

«Avrete tutto il tempo di allontanarvi, noi prima di ripartire dobbiamo vedere cosa avete combinato lì sotto!» disse Milko.

Le ragazze si coprirono, il freddo pungente che soffiava dal mare si infiltrò nelle loro camicie. Anche Apple mugolava per il freddo, con le braccia congelate iniziarono a remare.

«Buon divertimento, allora!» esclamarono all’unisono felici.Nell’aria gelida della notte si respirava il profumo della li-

bertà.

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cAPITOlO XV

«come stanno le ragazze? ce l’hanno fatta?».«Sì, papà. credo che tra poco si sveglieranno».Quando Joy aprì gli occhi per un attimo le sembrò di rivivere

un flashback ma ora nella stanza sconosciuta c’erano solo una ragazza pallida e bionda e un uomo barbuto con una casacca sudicia. Quando si mise a sedere, Apple le saltò addosso. Su una brandina alla sua destra c’era Jasmine.

«Salve...» pigolò titubante.«Ben svegliata. lì ci sono le vostre borse» disse l’uomo.«ciao, io sono Astrid, tu?».«Jo... Ninfadora. Come sono finita qui? E dove mi trovo?».«Sei sull’isola dei pescatori, tu e la tua amica siete state fortu-

nate, mio padre vi ha trovate... eravate congelate su una scia-luppa e se non vi avesse portate a casa, avreste sicuramente fatto una brutta fine per il freddo!».

«Grazie, allora! Io spero di trovare il modo per ricompen-sarvi».

Anche Jasmine si svegliò, più spaesata e confusa.«Vi ho preparato qualcosa da mangiare... è una zuppa di

pesce, spero vi piaccia» disse Astrid.«Siamo libere?» chiese Jasmine guardandosi intorno.«Sì, siamo sull’isola dei pescatori» rispose Joy.«Davvero?».«certo, vi ho trovate io stanotte. la vostra scialuppa è qui

fuori».Jasmine giunse le mani a mo’ di preghiera e respirò profon-

damente, poi si alzò e si guardò la sottana che indossava.«È una vestaglia della mia misura!» esclamò sognante.«Dove vai?» le chiese Astrid, ma Jasmine non ascoltava nes-

suno. correndo a piedi nudi spalancò la porta d’ingresso e si lanciò fuori.

«lei è Rebecca, capitela, non so da quante vite è rinchiusa su

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una nave a cucinare con i vestiti smessi di una vecchia strega!» spiegò Joy andandola a riprendere.

Joy e Jasmine erano scalze e correvano su un prato di tenera erba verde, in lontananza le vette bianche e violacee di una catena montuosa bucavano il cielo limpido e terso sulle loro teste. Due capre belarono al loro passaggio, Jasmine saltava come se fosse impazzita.

«Sono libera! Non mettevo piede sulla terraferma da quando tua mamma non era nemmeno nei pensieri di tua nonna!».

«Ok, ma ora calmati o ci butteranno fuori di casa...».Jasmine le saltò addosso e la abbracciò con tanta forza che

ruzzolarono insieme sul prato, poi rimase un po’ sul prato a faccia in giù, a respirare l’odore della terra. All’ennesima supplica di Joy si convinse a rientrare con i piedi e i capelli in-zaccherati di terra. Astrid e il pescatore le aspettavano sedute a un piccolo tavolo quadrato. la loro cucina era accogliente e pulita, in un angolo c’era un piattino anche per Apple.

«cosa ci facevate in piena notte su una scialuppa in mezzo al mare?» chiese l’uomo.

«Siamo scappate, eravamo due cameriere su una nave di dannati che si occupano di traffici illeciti» spiegò Jasmine fiera di sé.

«come avete fatto a scappare da una nave di dannati?» chie-se Astrid a bocca aperta.

«È una lunga storia, ma ti prometto che te la racconteremo... adesso vorrei tornare a casa mia, a Gwenever» tagliò corto Joy.

Astrid e il padre si guardarono con aria interrogativa.«Qui siamo a Gwenever!» esclamò la ragazza.«Non siamo sull’isola dei pescatori?».«Sì, ma l’isola dei pescatori fa parte di Gwenever, aspetta...»

intervenne l’uomo.Il pescatore si alzò e rientrò in cucina poco dopo con un

libro polveroso e lo aprì davanti a Joy.«Tutto è Gwenever, è divisa in isole e contee ma tutto fa

parte dello stesso luogo. Forse tu vuoi andare nella capitale» sentenziò l’uomo, tracciando con il dito la distanza dall’isola alla sua città.

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«Sì, credo proprio di sì» farfugliò Joy impallidendo. la di-stanza era tanta e spaventosa.

«Non credo che abbiate un mezzo per spostarvi... sarà un viaggio molto lungo!» esclamò Astrid.

«Restate qui tutto il tempo che vi sarà necessario per ripren-dervi e chiedete tutto ciò che vi serve».

«Grazie, ma è meglio andare via il prima possibile, non vor-remmo crearvi problemi» disse Joy.

«Grazie, davvero grazie con tutto il cuore» sussurrò Jasmi-ne, con gli occhi lucidi per l’emozione.

«come pensate di muovervi?» chiese, pragmatico, l’uomo.«Abbiamo abbastanza soldi per comprare due cavalli e spo-

starci con quelli» rispose Joy.«Avete i soldi per comprare due cavalli?» sillabò Astrid con

gli occhi strabuzzati.«Be’, prima di andare via ci siamo prese quello che ci spetta-

va» ridacchiò Jasmine.«Sapete cavalcare?» continuò il pescatore.«Veramente, no» ammise Jasmine.«Ma dobbiamo imparare, i cavalli sono il mezzo più veloce

che possiamo avere» disse risoluta Joy.«Posso aiutarvi, se volete. Sono brava!» propose Astrid, e

non perse tempo.

Quando finirono di pranzare le costrinse immediatamente a seguirla sul retro della cascina, dove c’era una piccola stalla.

«Ecco Poncho!» esclamò, aprendo un vecchio portone in legno massiccio.

Un cavallo ingrigito, vecchio quanto il portone, le accolse con un nitrito che sembrava più uno starnuto.

«chi vuole iniziare?».«È affidabile?» chiese Jasmine, titubante.«certo! È dolce come un cagnolino».«Vado io» si propose Joy, quando capì dalla faccia di Jasmine

che non sarebbe mai salita per prima.«Ok. Prima sta’ a guardare, è facile!».Astrid si tirò su la gonna e salì su Poncho, così rapidamente

che Joy quasi non vide dove aveva poggiato i piedi.

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«Su, vecchio mio, non farmi sfigurare» bisbigliò dolcemente all’animale, accarezzando la sua criniera ingrigita e annodata.

Il cavallo iniziò a trottare, sembrava davvero docile e di-sposto ad ascoltare gli ordini della sua padrona. Partì con un passo leggero poi accelerò, infine, con un balzo che a vederlo non si sarebbe mai immaginato, saltò la recinzione che chiu-deva il giardino tuffandosi in un mare di granturco dorato. In pochi minuti sparì dalla vista delle ragazze.

«che ne dici di andarci a mettere dei pantaloni? la cosa mi sembra complicata» disse Joy.

«Ti seguo».Quando tornarono, Astrid spuntò all’orizzonte. con un

nuovo balzo, agile quanto il primo, Poncho rientrò e si fermò a pochi passi dalla stalla.

«cavalcare è fantastico!» esclamò Astrid raggiungendo le amiche.

«Posso immaginare, ma la tua dimostrazione non mi ha fat-to capire molto...».

«Dai, Ninfadora, ti aiuto io!».Joy si avvicinò al cavallo e per farvi amicizia gli diede una

pacca sul collo, Poncho le sbuffò in faccia scoprendo i grossi denti ingialliti.

«cominciamo bene...».«Metti un piede sulla staffa, datti una spinta e sali».«la fai facile!».Joy sentiva le gambe molli come semolino, ma cercò di te-

nere a bada il suo fastidioso tremolio e con uno sforzo si mise a sedere sul dorso di Poncho. Per un istante si rilassò per godersi la vista dall’alto, ma quando il corpo massiccio del ca-vallo fremette sotto di lei, le sue gambe tornarono a tendersi nervosamente.

«Ora che si fa?» chiese con voce quasi tremante.«Devi fare amicizia con lui, devi farti ascoltare e, soprattut-

to, tieniti forte. Vi guiderò io».Astrid mise una mano confortante sulla criniera del suo ca-

vallo, con l’altra afferrò una redine e iniziò a camminare inco-raggiando Poncho a seguirla.

«Ninfadora, non bisogna strozzarlo, devi mantenerti con le

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redini!» ridacchiò, notando Joy abbarbicata al collo di Poncho con il viso stravolto da una maschera di terrore. Ogni passo era un sussulto.

«Rilassati...».«ci provo!».

Una mattina Astrid portò le sue nuove amiche a fare una passeggiata in spiaggia. la distesa bianca si dorava sotto i rag-gi del sole. Era deserta e infinita, confinava con l’orizzonte. Si sedettero sul bagnasciuga e si tolsero le scarpe, la schiuma bianca lambiva le loro gambe, dovettero sollevare le gonne dei vestiti per non farle bagnare.

«Era da tanto che il mare non mi sembrava così bello e pa-cifico» disse Jasmine.

«Rebecca, come ci sei finita su quella nave?» chiese Astrid ad un tratto. Era da un po’ che quella domanda le ronzava in testa.

Jasmine sentì una fitta al cuore, come tutte le volte in cui ci ripensava.

«Ero a Gwenever da poco. lavoravo in un negozio di giocat-toli e un giorno è entrato un ragazzo che cercava informazioni per raggiungere una certa via. Mi sono innamorata subito di lui. I suoi grandi occhi verdi non me li scorderò mai... gli ho spiegato dove dovesse andare e l’ho salutato convinta che non lo avrei più rivisto. Invece il giorno dopo è tornato! Così abbia-mo iniziato a uscire finché un giorno mi ha detto che doveva partire, e mi ha anche confessato di essere un dannato...».

«E tu come l’hai presa?» la interruppe Astrid. Quelle due ra-gazze avevano portato nella sua vita nuovi colori, accesi come quelli di cui leggeva sempre nei suoi amati compagni, i libri.

«Malissimo! L’ho preso a pugni, non volevo più vederlo. Quella sera pioveva, mi aveva portato in un ristorante molto lussuoso e io sono scappata via in lacrime lasciandolo solo al tavolo. Non l’ho visto per tre giorni, una sera si è appostato sotto casa mia e quando mi sono decisa a scendere mi ha chie-sto se volessi seguirlo o se volevo aspettarlo lì... e io ho fatto la stupidaggine più grossa della mia vita. Ho scelto di salire su quella maledetta nave...».

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«Non dirmi che una volta saliti sulla nave è cambiato com-pletamente!».

«No, Astrid. Peggio. lui era stupendo anche su quella nave di mostri. Una sera ha litigato con il capobranco, non ho mai saputo il vero motivo, immagino per soldi. la lite è degenera-ta, avevano bevuto tutti e lo hanno buttato giù dalla nave. Per me è iniziato l’inferno...».

Jasmine aveva la voce rotta da una malinconica emozione triste. Astrid si pentì di averle chiesto di raccontare quella brutta storia e le passò un braccio intorno alle spalle per con-solarla.

«Non preoccuparti, mi fa bene parlarne ogni tanto» la ras-sicurò Jasmine «non bisogna dimenticare» aggiunse con un sorriso.

Joy sentì una morsa allo stomaco. Deglutì e cercò di distrar-si, ma il viso di Romeo era davanti ai suoi occhi, brillante come la superficie del mare spolverata dal sole.

«che hai, Ninfadora?» chiese Astrid, la situazione le sfuggi-va di mano.

«Oh, niente, non preoccuparti. che ne dite di farci una nuo-tata?».

«Ma non abbiamo i costumi!» esclamò Jasmine.«l’importante è che abbiamo le mutande» ribatté Joy.Astrid non se lo fece ripetere due volte e si sfilò il vestito

lasciandosi solo dei mutandoni di cotone ruvido e una canotta color pesca. la seguì Joy, che portava mutande azzurre ma meno vistose, e infine si convinse anche Jasmine.

«chi va per prima?».«Tu!» esclamarono Astrid e Joy spingendo Jasmine a mollo.l’acqua era tiepida e limpida, si vedeva il fondo dorato e

qualche pesce sgusciare rapidamente fra le loro gambe.«È fantastico qui» mormorò Joy, riemergendo dopo essersi

tuffata.«Non quando sei sola. Quando non hai nessuno con cui

condividerlo, anche questo paradiso può diventare noioso. Io a volte vorrei scappare».

«Perché non vieni con noi?» propose Jasmine, che già le si era affezionata.

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«Non potrei mai lasciare mio padre da solo. Non avrebbe nessuno che si occupi di lui...».

«Be’, allora potresti venire a farti una vacanza a casa nostra, qualche volta» disse Joy.

«Questo è possibile. Sono sicura che mio padre mi accom-pagnerebbe con la sua barca, sa bene quanto sia triste per me vivere qui».

«la prendiamo come una promessa! Anzi, quando tornere-mo a casa informeremo anche tuo padre» sentenziò Joy.

Astrid le sorrise, era la prima volta che nella sua vita capitava qualcosa di davvero bello.

le giornate di Joy e Jasmine si dividevano fra le cavalca-te con Astrid e il suo vecchio cavallo e l’organizzazione del viaggio. Anche quando aveva la cartina davanti, Joy pensava a Romeo e alla sua aria da saputello, quando le aveva suggerito di dedicarsi a materie interessanti come la geografia e non perdere tempo con le arti divinatorie. Aveva ragione. Per la prima volta Joy pensò a lui con un sorriso. Poi tornò a litiga-re con la cartina, doveva ancora capire dove fosse il nord e dove il sud, e non sembrava per niente semplice. Aveva molti soldi con sé, abbastanza per comprare i due cavalli e fermarsi a dormire nelle locande. la strada disegnata sulla cartina la impauriva, sembrava impervia e infinita. Fissò la data della partenza e fino a quel giorno non fece altro che non fosse pensare e ripensare a ciò che lei e Jasmine avrebbero dovu-to portare durante il viaggio. Più il giorno della partenza si avvicinava, più Astrid si intristiva. I suoi sorrisi scemavano minuto dopo minuto.

«Siete sicure di voler partire domani? Non vi sembra affret-tato?» chiese una mattina, in spiaggia. Quel giorno il sole era timido e incerto e riluceva sul mare irrorandolo di polvere perlacea. le tre ragazze erano sedute con le gambe in acqua.

«No. Non posso rimanere ancora qui, mi staranno aspettan-do tutti e poi rimanere ferme per me e Rebecca, e soprattutto per te e tuo padre, è un rischio. Più rimaniamo in un posto più è facile che ci trovino...».

«Hai ragione, Ninfadora. È solo che da domani sera tornerò

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alla mia vecchia vita e questo mi intristisce davvero tanto. Tu Rebecca, dove andrai?».

«Mi hai appena ricordato un particolare a cui non avevo pensato prima... non avevo mai creduto di poter uscire da lì, ero rassegnata a passarci l’eternità. Ora sono libera, ma non ho nessuno che mi aspetti».

«Ti porterò a casa mia!» esclamò Joy.le amiche si sorrisero e all’unisono pensarono che fosse

giunto il momento di essere totalmente sincere.«Astrid, c’è una cosa che dobbiamo dirti prima di andare

via. Te lo confesseremo perché per noi sei stata una vera ami-ca» iniziò Jasmine.

la faccia pallida di Astrid si corrucciò.«Noi non ci chiamiamo Alissa Ninfadora e Rebecca Hild.

Questi sono nomi falsi come i nostri documenti che ci siamo procurate per precauzione, nel caso in cui venissero a cercar-ci» spiegò Joy.

«Geniale! E allora, come vi chiamate davvero?».«Jasmine Nahid e Joy Hallett» si presentò la prima.«Mi raccomando, è fondamentale che nessuno sappia che

siamo state qui» ribadì Joy, e non era mai stata così seria.«Joy è molto meglio di Ninfadora!» ridacchiò Astrid «co-

munque, state tranquille. Sarò una tomba» aggiunse subito dopo.

«Adesso andiamo, dobbiamo sistemare la nostra roba e an-dare a comprare due cavalli. Non ho idea di quanto costino, ma credo proprio che possiamo permetterceli. Abbiamo bor-se piene di pietre preziose e oro!» esclamò Joy, orgogliosa del suo bottino.

«Ma io non sono ancora brava a cavalcare!» si lamentò Ja-smine.

«Nemmeno io, ma ti assicuro che avremo tutto il tempo per diventare bravissime».

Apple non aveva nessuna intenzione di farsi chiudere nella sua portantina, ma fu costretta. Joy e Jasmine aiutate da Astrid e dal pescatore caricarono le loro borse su una piccola imbar-cazione che le scortò fino a Itgurd.

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«le dobbiamo la vita» disse Joy prima di salutare il pesca-tore.

«Ho fatto quello che deve fare ogni uomo giusto. Astrid, tu rimani dallo zio Attilio, ti passerò a prendere quando loro saranno partite».

Prima di raggiungere la fattoria dello zio, Astrid portò le amiche in un negozio di vestiti. Non si vendevano jeans. Solo abiti per donne, pantaloni e casacche per gli uomini. compra-rono delle camicie colorate, poi cercarono fra i pantaloni da uomo quelli della taglia più piccola. Sembravano tutti enormi e quando la commessa capì di cosa avessero bisogno, propose loro dei modelli da bambino: la taglia più grande era perfetta per loro. Presero anche pesanti giacche di lana per la notte e pagarono tutto rapidamente.

Il vecchio zio di Astrid le accolse con le sue galline chioc-cianti che saltavano e cozzavano tra di loro confusamente.

«ciao nipote, ti servono uova?».«No, zio. Ho due amiche che hanno bisogno di te».«Venite».l’uomo aveva una folta barba brizzolata che gli copriva il

viso rotondo. Si sedette su una panca e invitò le ragazze a imitarlo.

«Abbiamo bisogno di due cavalli, ovviamente pagheremo» disse subito Joy.

l’uomo strabuzzò gli occhi.«Ma hai idea di quanto costi un cavallo?».«No, ma sono sicura di potermelo permettere» rispose lei

aprendo la borsa di cuoio che portava a tracolla. la luce vi en-trò e attraversò le facce limpide e colorate di tantissime pietre preziose.

«Dove le hai prese? Sei una ladra?».«No! Una fuggiasca, sono scappata da una nave di dannati».«Non voglio queste pietre se provengono da loro. Tu, Astrid,

non dovresti stare con questa gente. Potrebbero venire a cer-carle».

«Vanno via stasera» rispose subito la nipote.

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«Se i dannati dovessero trovarmi con le loro pietre, farei una bruttissima fine».

«cercherò qualcuno che me le cambi in denaro» disse Joy. Infastidita si alzò e si allontanò aspettando Astrid fuori dal recinto.

Astrid arrivò quasi subito.«Io non conosco nessuno che possa aiutarti, non ho mai

visto una pietra preziosa dal vivo» disse a mo’ di scuse.«Accompagnami in paese».l’isola dei pescatori era piccola e quasi completamente di-

sabitata. Sulle coste erano sparse piccole case come quella di Astrid, dalle forme tondeggianti e i tetti bassi, addossate le une alle altre. In centro le strade erano fatte da piccoli sassoli-ni colorati e c’erano pochissimi negozi.

Jasmine era silenziosa e preoccupata, camminava con gli occhi bassi, concentrata come se volesse contare tutte le pie-truzze che le scorrevano sotto gli occhi. Astrid era intenta a riflettere. Nella sua testa frullavano informazioni alla ricerca di qualcosa di utile. A pochi metri da loro notò una tenda ver-de, scolorita dal sole e dalla pioggia, sormontata da un’insegna color oro “la Galleria del Dottor Q”.

«Guarda lì, Joy!».«Di che si tratta?».«Non lo so esattamente, ma del Dottor Q. non si parla per

niente bene. Si dice che sia un dannato della peggior specie. Nella galleria ci sono cinque negozi che gli appartengono, non so cosa vendano ma credo che qualcuno lì dentro potrà aiutarti!

Joy fremeva, per un attimo distolse l’attenzione da Apple che riuscì a sgusciare fuori dalla portantina e con le unghie si aggrappò al colletto della sua camicia.

«Entra solo tu, qui dentro non è apprezzata la confusione» disse Astrid, fermandosi a due passi da un massiccio portone metallico.

«Se hai bisogno di aiuto urla!» suggerì Jasmine, preoccupata.Joy sospinse il portone. Era in un corridoio angusto e umi-

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do su cui, dal lato destro della parete, si affacciavano cinque botteghe poco illuminate. Il muro sinistro era buio e carico di muschio. la ragazza procedeva a passo spedito.

«Vuole vendermi il suo gatto, signorina?» latrò una macellaia da dietro il bancone. Il suo grembiule era insanguinato e an-nerito e con una mano lercia impugnava un coltello affilato e minaccioso. Joy si pietrificò per la paura, e strinse forte Apple per impedirle di allontanarsi. l’odore del sangue e il ronzio delle mosche appostate sui blocchi di carne cruda le davano alla testa.

«No, no. Il mio gatto non si mangia».«Potrei farle una buona offerta, è carne tenera!» insistette la

donna, sporgendosi dal banco con tutto il suo peso.«Quanto vuole?» soffiò, fra un dente e l’altro, a pochi mil-

limetri dall’orecchio della malcapitata, nauseata dal suo alito caldo e fetido.

«lei... lei è davvero gentile... ma... non c’è somma che possa farmi cambiare idea...» farfugliò Joy, ficcando a forza Apple nella portantina e allontanandosi rapidamente. la seconda bottega era gestita da un uomo che succhiava svogliatamente un bastoncino di liquirizia. Joy lanciò un’occhiata a quel nego-zietto, era una tabaccheria ben fornita e caotica.

la terza bottega era sigillata. Vicino alla porta d’ingresso c’era un buco da cui si diramavano sottili incrinature della pa-rete, Joy pensò subito a uno sparo. Da una finestrella buia si intravedevano armi ordinatamente esposte. Alla maniglia era appeso un cartello scarabocchiato con una calligrafia rozza: “Aperto dalle ore 22.30 alle ore 02.45. Non disturbare durante le ore diurne”.

Al quarto bancone era appostata una donna bionda e riccio-luta, con dentatura da cavallo e spalle larghe e mascoline. con lei lavorava un uomo pelato e panciuto accasciato sul piano, accanto a un bicchiere pieno di liquore che Joy non seppe identificare, una bottiglia di gin mezza vuota e due bottiglie di birra prosciugate. Alle sue spalle un’infinità di liquori impilati lungo scaffali che attraversavano tutta la parete.

«che cerchi qui, ragazzina?» chiese la bionda ingollando pla-cidamente un bicchierino di scotch.

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«Io dovrei vendere delle pietre...» disse Joy prendendosi di coraggio, dopo un respiro profondo.

Dalla bottega successiva giunse una voce unta e spigolosa.«E allora è da me che devi venire».Joy si liberò dello sguardo indagatore della barista e seguì la

voce. Dietro un bancone protetto da un vetro forato, c’era un uomo con un testone nero e unticcio e un occhio coperto da una benda di cuoio.

«che ti serve?».«Ho delle pietre da venderle».«Provenienza?».«Meglio non saperla! lei si prende le pietre e mi dà i soldi, e

nessuno dirà nulla sull’esistenza dell’altro».«Fammi vedere».Joy aprì la borsa e ne mostrò il contenuto all’uomo.«lei scelga un colore e io avrò qualcosa da darle».«Devo prima controllare se sono vere».Joy scelse la pietra più piccola, temeva che l’uomo gliele po-

tesse rubare. Era uno smeraldo quasi insignificante vicino ai suoi simili. l’uomo lo controllò attentamente.

«Per questa posso darti centocinquanta krusi».Joy non se ne intendeva. l’uomo avrebbe potuto truffarla

come voleva, ma le servivano quei soldi.«Paghi e le passo l’altra».l’orafo le passò un mazzetto viola e stropicciato. Joy si sen-

tiva davvero ricca ma nascose il suo bottino e scelse un rubi-no, anche quello di modeste dimensioni.

«Stessa cifra».«Va bene» acconsentì la ragazza incassando i soldi e pren-

dendo uno zaffiro più grosso.«con questo saliamo a trecentocinquanta».Joy iniziò a sganciare pietre più grosse finché non si ritrovò

in borsa tremilacinquecento krusi.«Io non sono mai stata qui, e lo dico soprattutto per lei.

Sono appena scappata da una nave di dannati che probabil-mente mi starà dando la caccia. Se per caso mi avesse truffata, non le conviene vantarsi dei suoi affari».

«Nessuno saprà niente».

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con un sorriso soddisfatto, Joy salutò l’uomo e scappò da quella galleria degli orrori.

Quando fu fuori, respirò aria fresca a pieni polmoni.«Torniamo da tuo zio» disse ad Astrid, camuffando la borsa

carica di denaro sotto la giacca di lana.

Alla vista dei soldi fruscianti il vecchio contadino non seppe resistere.

«Tutti i tuoi soldi e una pietra, in cambio di due bestie che potrai scegliere».

Joy nervosamente gli mollò un rubino.Jasmine scelse una cavalla bianca, si chiamava linda e sem-

brava tranquilla. Joy invece puntò a un cavallo nero e giovane, non aveva ancora un nome e il vecchio non volle cederglielo.

«Abbiamo fatto un patto».«Un’altra pietra e te lo cedo».«No, ne scelgo un altro».Vicino al box di linda c’era un cavallo color cappuccino

con una bella criniera nera e lucida.«Lui è Makaha, il figlio di Linda».«Hai scelto il cavallo più stupido del mondo, dovresti essere

pagata tu per portarcelo via. Un vero impiccio!» ridacchiò una voce maschile alle spalle di Joy.

«ciao Jordan» ringhiò Astrid, poco felice di vedere il cugino.«Sta’ zitto!» lo ammonì Attilio.Jordan era un ragazzo allampanato e brufoloso, secco e lun-

go, con un’aria da sbruffone stampata in faccia. Anche lui pal-lido e biondo come Astrid.

«Volete fare un giro sui vostri nuovi cavalli, bellezze?» pro-pose, cingendo la vita di Joy con un braccio ossuto.

«Buona idea» sibilò la ragazza, scansandosi rapida come un’anguilla.

Jordan la lasciò andare ma le incollò gli occhi addosso, poi fece un cenno di approvazione alla cugina. Astrid non lo ave-va mai sopportato.

«Tu hai scelto linda, vero?» chiese Attilio avvicinandosi all’animale con Jasmine.

«Sì, sembra una brava cavallina».

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«Fatti un giro, vedi come ti trovi».Jasmine montò il suo cavallo e si sentì subito a suo agio.«Appena torna la tua amica, farai lo stesso con Makaha»

disse il vecchio a Joy.Intanto Jordan era sgusciato fino al box del cavallo nero che

il contadino non aveva voluto cedere.Approfittando dell’attenzione del padre catalizzata da Ja-

smine e linda, sistemò una pesante sella di cuoio in groppa al cavallo e vi salì. Quell’animale era indomito e ribelle e quando sentì le gambe di Jordan salde sul suo corpo nitrì e sbuffò.

«Figlio idiota, scendi immediatamente da lì!» urlò Attilio voltandosi subito verso il ragazzo.

«Voglio solo fare un giro!».Il contadino prese un battipanni incrostato di fango dal box

di linda e iniziò a dimenarlo in aria minacciando Jordan.«Non provare ad uscire dalla stalla con quella bestia danna-

ta!».Astrid si sentì sprofondare per l’imbarazzo, la stessa sensa-

zione di fastidio che l’aveva afflitta per tutti gli anni di scuola condivisi con il cugino. Jordan ignorò il padre e in pochi balzi si allontanò da lui, schiumante di rabbia. Astrid sapeva bene che Jordan non era mai stato abile a cavalcare.

«Quel cavallo è un pericolo! Quello stupido finirà per farsi male» disse il contadino, lasciandosi cadere su una panca.

«E lei me lo avrebbe venduto, se avessi ceduto una pietra in più?» sibilò Joy, molto arrabbiata.

«Volevo sbarazzarmene, ma per non sentirmi troppo in col-pa ho trovato un modo per farti cambiare idea, e ha funzio-nato!».

In quel momento Jasmine arrivò urlando.«Qualcuno aiuti Jordan, il cavallo non lo ascolta!» disse tra-

felata.«Io non ho più l’età per queste bravate!» esclamò il vecchio,

disperato.«ci penso io, lasciami un attimo linda» disse Astrid. Fu-

rente incitò il cavallo bianco in direzione di una macchia nera che si dimenava come impazzita. Jordan urlava di paura e si teneva stretto con le unghie al collo corposo dalla bestia. At-

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tilio, scuotendo la testa, rientrò in casa. Non aveva voglia di vedere nulla.

«Passami le redini» ordinò Astrid.«Come faccio? Cerca di aiutarmi al più presto!».«Se non vuoi finire con la schiena spezzata, trova un modo

per passarmi subito le redini» tagliò corto la ragazza.Jasmine e Joy si tenevano strette, non avevano mai pensato

all’eventualità che un cavallo potesse essere così pericoloso. Quando videro che anche linda iniziava a perdere le staffe e sentirono i suoi nitriti nervosi scornarsi con quelli del cavallo nero, chiusero gli occhi, terrorizzate.

Quando li riaprirono Astrid era in ottima forma a pochi passi da loro, con i capelli scarmigliati e le gote rosse per lo sforzo. linda e il cavallo nero erano chiusi nei rispettivi box. Jordan vomitava copiosamente in un vecchio secchio, semina-scosto da un possente albero.

«che razza di idiota!» ringhiò lanciandogli un’occhiata carica di odio.

«Ah, Jasmine! complimenti per linda, ottima scelta!» ag-giunse dando una pacca sulla spalla dell’amica ed entrando in casa. Aveva bisogno di un po’ d’acqua.

Quella notte dovettero rimanere a dormire a casa dello zio Attilio, che ovviamente volle essere pagato. Dopo una cena magra e insipida, le ragazze si rifugiarono in un salottino in cui avevano sistemato le loro cose. Era una stanza spoglia, prima che fosse invasa dalle loro borse c’era solo un vecchio divano color crema, una pianta morta in un angolo e un paio di quadri tutti tristi e cupi.

«che giornata...» mormorò Joy lasciandosi cadere con le braccia aperte sulla sua brandina.

«l’ultima giornata con voi, l’avevo immaginata in modo ben diverso» disse Astrid, e non era mai stata così abbattuta.

«Questa stanza è più triste della tua faccia! Che ne dici di uscire a fare un giro?» propose Joy.

«Sì, dai! Guardate che luna...» mormorò Jasmine, indicando la finestrella un braccio più sopra del divano. Fuori il cielo era

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di un velluto nero e morbido, puntellato di perle lattiginose. la luna era un’armonica sfera di luci ed ombre.

«Facciamo piano, se si sveglia Jordan è la fine!» bisbigliò Astrid.

le ragazze indossarono delle giacche di lana sulle vestaglie leggere e sgattaiolarono fino in giardino. L’aria della sera era tiepida e profumata, l’erba soffice sotto i loro piedi nudi. In lontananza si scorgevano i profili di alcune vecchie case, dise-gnati dalla luce argentea della luna. Incantate da quel gioco di luci sottili, si sedettero sul prato.

«che ci fate ancora sveglie?» trillò una voce, che non pote-rono non riconoscere.

«Oh, no» sillabò Joy.Jordan sbucò fuori dalla capanna degli attrezzi, con la porta

chiusa nessuna delle tre aveva notato che la luce era accesa.«Vogliamo stare un po’ da sole» tagliò corto Astrid.«Sta’ calma, cugina. Sei sempre così agitata».«Per oggi hai già combinato abbastanza guai, quindi ti con-

siglio di sparire dalla mia vista».«Dai, scusami. Non te la prendere!» esclamò Jordan seden-

dosi tra la cugina e Joy.«come mai non sei a letto?» chiese Jasmine.«Ho un lavoretto da completare, volete vederlo?».A forza Astrid si alzò per seguirlo dentro la capanna degli

attrezzi, quando entrò rimase sbalordita.Su un vecchio tavolo instabile e graffiato si ergeva una scul-

tura di legno finemente dipinta a mano. Era un cavallo nero, alto quasi un metro, elegante e perfettamente proporzionato.

«lo hai fatto tu?» chiese Joy, meravigliata.«Sì, quando non riesco a dormire sono sempre qui. Mi di-

spiace per oggi... davvero. Io volevo solo scherzare».«Ok, va bene. Non fa nulla» disse Joy e quando sorrise lo

sguardo duro di Astrid si addolcì.«Non cambi mai, Jordan! Per te è come se gli anni non fos-

sero mai passati».«Tu invece sei sempre troppo seria».«Che ne dite di finirla qui? Non è l’orario più adatto per

litigare» ridacchiò Jasmine.

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«Su, cugina. Abbracciami» supplicò Jordan spalancando le braccia. Joy costrinse Astrid a ricambiare spingendola deci-samente.

Era già molto tardi ma Jasmine e Joy, eccitate e preoccupate per il viaggio che le aspettava, non sentivano la stanchezza di quella lunga giornata. I loro corpi elettrizzati fremevano impazienti.

«Vi andrebbe di dormire in giardino, stanotte? Io lo faccio spesso» disse Jordan, estraendo da uno scatolone delle coper-te e un paio di cuscini.

«certo che sì!» acconsentì Joy e così allestirono un grande letto sull’erba. Si coricarono tutti insieme, Jordan fu abile a posizionarsi al fianco sinistro di Joy, così accanto non ebbe nessuno.

«È meglio dormire» bofonchiò subito Jasmine sbadigliando, e un attimo dopo ronfava sonoramente. Astrid fu altrettanto rapida. Joy decise di fingere di essersi addormentata, sperando così che Jordan smettesse di fissarla con una faccia da pesce lesso.

«lo so che sei sveglia» bisbigliò lui.Quando la ragazza aprì svogliatamente gli occhi se lo ritrovò

a pochi centimetri dalla punta del naso. Per poco non urlò.«Mi dispiace che domani andrai via, ma sarebbe bello poter

ricordare questa notte per sempre. Portarla nel cuore insieme a questa magnifica luna...».

«Sei proprio scemo» ringhiò Joy, poi gli mollò una gomitata nelle costole e gli diede le spalle. Finalmente riuscì a dormire.

Il mattino dopo si svegliarono prestissimo e caricarono i ca-valli, divisero equamente le borse ai due animali, presero una borraccia ciascuna e dei panini imbottiti e sulla sella legarono delle coperte che avrebbero usato la notte. Sotto la camicia avevano le cinture rubate ai dannati e qualche arma per pro-teggersi. Astrid era preoccupata e non la finiva più di ripetere a Joy le istruzioni per seguire al meglio la cartina.

«Questo è il mio indirizzo, scrivimi durante il viaggio e so-prattutto scrivimi quando sarete sane e salve a casa. State at-tente e non fermatevi mai per più di una notte nello stesso

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posto, e rimanete sempre a dormire nei villaggi! Itgurd può essere pericolosa, tra un villaggio e l’altro incontrerete deserti desolati in cui non avrete nessuno a cui chiedere aiuto. Se viaggerete ogni giorno entro un mese sarete a casa... Buon viaggio, vi ricorderò per sempre come le amiche più avventu-rose che abbia mai conosciuto!» esclamò Astrid abbraccian-dole.

«E tu sei quella più premurosa! Ti scriveremo, te lo promet-to» disse Joy ricambiando l’abbraccio.

«Grazie di tutto: per il letto, i vestiti e l’affetto. Ti auguro tutto il bene del mondo!» disse Jasmine, commossa.

«Trattate bene i miei cavalli, fateli riposare ogni tanto!» escla-mò Attilio con un sorriso burbero, comparendo sulla soglia di casa.

«lo faremo, può stare tranquillo!» lo rassicurò Jasmine.«Aspettate, vi siete dimenticate di salutare me!» bofonchiò

Jordan. Il sole alto nel cielo riscaldava il paesaggio intorpidito dal freddo notturno e la sua luce impedì al ragazzo di conti-nuare a dormire.

«Non volevamo disturbarti! Se Astrid non ha nulla in con-trario, vienici a trovare anche tu quando lei verrà in vacanza a Gwenever. Perché verrai Astrid, vero?».

«Sì, Joy. Mio padre sarà felice di accompagnarmi».Un groppo in gola le strozzò la voce, Joy la abbracciò per

l’ultima volta, poi il viaggio iniziò.

cavalcarono tutto il giorno verso il villaggio Zora. Attra-versarono un sentiero solitario che solcava una pianura ari-da e morente, di cui lo sguardo non trovava i confini. Gli zoccoli dei cavalli battevano ritmicamente sul selciato secco e caldo, sollevando un polverone rossiccio. Regnava un silen-zio tombale come se in quel luogo dimenticato dal mondo non vi fosse vita nemmeno tra gli arbusti. Si fermarono solo una volta per mangiare e riposare le gambe. cercarono una sorgente dove abbeverare i cavalli ma non c’era traccia di ac-qua nel raggio di venti chilometri. Anche Apple si sgranchì le zampine intorpidite e mangiò qualcosa. Il sole che spariva e ricompariva fra una nuvola e l’altra rendeva l’aria respirabile,

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non troppo calda né soffocante. le ragazze si scambiarono poche parole, la vista della distesa polverosa che ingoiava tut-to ciò che avevano intorno le angosciava. Quando il sole di mezzogiorno si affievolì, ripresero il viaggio. Per ore intermi-nabili il paesaggio fu sempre uguale, statico e monocromati-co. Solo in prossimità del villaggio iniziò a comparire un po’ di vegetazione. Il sentiero si inoltrò per una zona più fresca, disseminata di campi coltivati. In lontananza si vedevano solo contadini chini sul raccolto e animali che pascolavano. Quan-do il sole iniziò a tramontare decisero che era ora di fermarsi per la notte.

«Ho bisogno di un letto, non sento più di avere una schiena» mugugnò Jasmine.

«Nemmeno io, ma se andiamo avanti solo un altro po’ in-contreremo il primo villaggio e passeremo la notte lì».

«Andiamo» acconsentì Jasmine, dopo un lungo sospiro.la prima locanda che incontrarono si chiamava proprio

“Benvenuti a Sander”.Era lussuosa e profumata. c’era posto per i cavalli e Joy

poté portare Apple con sé. la stanza che scelsero era spazio-sa, illuminata da pareti color oro e lampade in ferro battuto in ogni anfratto. Era così grande da essere divisa in due da un pesante tendaggio color porpora. le ragazze fecero preparare due vasche di acqua bollente e schiumosa, una per ogni metà della camera, e rimasero a mollo finché la pelle dei polpastrel-li non si rattrappì. Una cameriera aveva lasciato asciugamani morbidi e colorati sui tavolini accanto alle vasche. Finito il bagno si vestirono, lavarono le camicie sporche e scesero al piano di sotto per la cena. La sala era enorme, il soffitto alto frastagliato dalle luci brillanti di imponenti lampadari.

«Un tavolo per due a nome di Alissa Ninfadora» disse Joy all’elegante ometto all’ingresso della sala.

«In fondo a destra» rispose lui, guardando con non poco disgusto i pantaloni maschili e le scarpe impolverate delle due ospiti.

la cena fu abbondante e squisita. Elegantissimi camerieri portarono una carrellata di antipasti per tutti i gusti, quattro tipi di pasta con salse svariate e formaggi speziati, cotolette,

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involtini e carni arrosto, e infine assaggi di torte da mangiare con gli occhi. Joy e Jasmine si ritirano nella loro stanza tronfie e appesantite.

«Non toccherò cibo per i prossimi tre giorni» borbottò Ja-smine sprofondando nel suo letto.

«Apple, guarda cosa ho per te!» bofonchiò Joy aprendo, sul-la moquette grigio-perla, un tovagliolo in cui era nascosta una fetta di arrosto. Era così piena di cibo che ogni movimento le risultava lento e impacciato. Finalmente, sfinita, Joy prese posto sotto le coperte. Dovette mettersi supina perché la sua pancia sembrava sul punto di esplodere.

La notte su un materasso comodo, fra coperte soffici e pu-lite, fu splendida. Quando il sole del mattino iniziò a filtrare dalle tapparelle, Joy ficcò la testa sotto il cuscino, brontolando come un dinosauro.

«Su, sveglia! Facciamo colazione e andiamo via!» trillò Ja-smine, lei era la più mattiniera delle due.

Joy raccolse le sue poche cose sconsolata all’idea di lasciare quella stanza lussuosa per una vecchia sella di cuoio. consu-marono rapidamente la colazione, pagarono e il viaggio ri-prese.

Per un tempo indefinito di cui persero anche il conto, passa-rono così i loro giorni. Cavalcavano fino a quando non vi era più luce e alla prima locanda che vedevano si fermavano.

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cAPITOlO XVI

Una sera arrivarono a Goran sfinite, ma non trovarono la solita quiete che di solito abbracciava i villaggi addormentati. Già in lontananza videro luci artificiali e falò e l’aria era invasa da musica e grida di festa. Quando entrarono in centro, un uomo vestito con una calzamaglia blu le fermò sguainando una spada.

«Non potete entrare con i cavalli! lasciateli nelle stalle ap-posite, domani mattina potrete venire a ritirarli».

«che succede?» chiesero loro.«Ma da dove venite?! Non conoscete la festa del vino? In

questi giorni, a Goran, c’è gente che viene da tutta Gwenever! c’è vino a volontà per tutti, spettacoli del circo in ogni piaz-za e musica ovunque. Pagate sessanta soldi» disse la guardia, chiudendo linda e Makaha in un box angusto e maleodorante e consegnando loro delle chiavi.

«Buon divertimento!» esclamò dopo aver incassato i soldi.«Buonanotte» lo corresse Joy, distrutta.Nella prima piazza che incontrarono c’era un enorme falò

al centro, intorno danzava una colorata catena di zingari im-pegnata a suonare con vistosi tamburelli e a cantare a squar-ciagola. Agli angoli c’erano enormi cisterne piene di vino a cui tutti attingevano riempiendo calici e fustini. Joy e Jasmine attraversarono la folla ringraziando chi offriva loro bicchieri di vino e cercando di evitare danzatori sfrenati e ubriachi che le invitavano a ballare. la folla impazzita le distruggeva, dovet-tero prendersi per mano per non perdersi, confuse, stanche e disorientate. Apple si dimenava come un’ossessa nella sua por-tantina, quel fragore la impauriva. la prima locanda che incon-trarono aveva sulla porta un cartello scritto a caratteri cubitali “TUTTO OccUPATO”. Anche per la seconda e per la terza fu lo stesso. Stravolte, angosciate e affrante si lasciarono cadere su un marciapiede, con le schiene distrutte abbandonate contro un vecchio muro scrostato di una piccola casa silenziosa.

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«che succede, ragazze?» chiese qualcuno, era una voce fem-minile e nasale, con un accento buffo.

«cerchiamo una locanda che abbia anche solo una coperta sul pavimento per noi» biascicò Joy, continuando a tenere gli occhi chiusi.

«Non la troverete, la gente da tutta Gwenever prenota mesi prima per avere un posto qui!» disse una voce maschile. le ragazze a quel punto aprirono gli occhi.

A pochi passi da loro videro una donna giunonica, la cui maglia fiorata faticava a trattenere le forme esuberanti, aveva cespugliosi capelli rossicci, un viso allegro e spigoloso. Aveva sottobraccio due gemelle, due bambine magrissime e lentig-ginose, con occhi scuri da cerbiatta. Accanto un ragazzo ab-bronzato e impostato, che teneva per mano una bambina che gli somigliava, abbronzata come lui e con una massa informe di capelli ricci color miele. Quando ancora Joy osservava incu-riosita tutta quella gente che le sostava davanti, sopraggiunse un ragazzino roseo con gli stessi capelli color miele della bim-ba cicciottella.

«Che fine avete fatto?» urlò una ragazza comparendo dal fit-to del bosco. Anche lei aveva forme scoppiettanti come quelle della prima donna, un viso paffuto e capelli lunghi e scuri quasi quanto quelli di Joy.

«Vieni, Morena. Abbiamo trovato due signorine tristi!» esclamò la bambina abbronzata.

«Che fine ha fatto Garcia?» chiese il ragazzo che la teneva per mano.

«Sono qui!» rispose l’ultimo membro del gruppo, che a Joy sembrò un castoro per le guance gonfie e l’espressione pacifica.

Joy e Jasmine erano stordite da tutta quella confusione.«Io sono Magda, loro sono le mie figlie Ines e Nives» indicò

le gemelle «lei è mia sorella Morena, lui è mio cugino, Ema-nuel» indicò il ragazzo abbronzato «... loro sono i suoi fratelli lotis» il ragazzino biondo «... e cora» la terza bambina «...e lui è Garcia, un amico di Emanuel. Voi chi siete?» chiese la donna rossiccia.

«Alissa Ninfadora e Rebecca Hild» rispose Joy confusa da tutti quei nomi e da quelle parentele ingarbugliate.

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«Emanuel è un mangiafuoco, Garcia il suo aiutante, io domo serpenti. Facciamo parte della carovana di un circo. Sembra-te distrutte, venite con me! Vi farò dormire nella mia tenda» disse Magda.

Joy e Jasmine disorientate e assonnate accettarono. Astrid non aveva fatto altro che ripetere continuamente a entrambe di non accettare nulla dagli sconosciuti, nemmeno un bicchie-re d’acqua. Ma il desiderio delle ragazze di riposarsi fu più forte della precauzione.

Il campo di tende era deserto, come spiegò Magda, tutti erano in giro per le piazze, mentre loro avevano preferito ri-posare per partire la mattina dopo. Jasmine e Joy annuivano senza capire il suo fiume di parole incontrollato, e quando videro qualcosa che sembrava un materasso con una coperta ci si buttarono sopra e si addormentarono prima che Magda potesse invitarle a sdraiarsi. Apple si liberò dalla portantina e si accoccolò di fianco alla sua padrona.

«Erano stanche» sentenziò Emanuel.

***

Qualcuno sferrava violenti calci alla porta.Demiro prese un coltello e andò a vedere dallo spioncino

chi fosse.«È Oscar» bisbigliò incredulo ai suoi compagni, prima di

aprire.«Siete tornato prima del previsto» disse accogliendolo in

casa.«Dov’è Frida?» sbraitò il dannato, spalancando la porta e

spingendo Demiro contro un muro.«Sono qui, che succede?».la ragazza sopraggiunse dal cucinino, aveva ancora una

brioche in mano e il pigiama, si era svegliata da poco.«leggi qui!» urlò infuriato lanciandole contro una pallina di

carta. Frida la srotolò e dovette rileggerla ben due volte prima di mettere davvero a fuoco.

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Te lo avevo detto che volevo tornare a casa. Adesso per non dimenticar-ti più di me avrai un bel lavoro da fare per rimettere tutto in ordine!

Buon viaggio,Joy Hallet

p.s. Perdonami ma non potevo lasciare qui Jasmine!

«Non ci posso credere...» farfugliò.«Credici. Quel diavolo che mi hai rifilato ha sedato tutti,

anche me! Ha ferito due dei miei uomini e ha costretto altri due ad aiutarla a fuggire. Mi ha anche derubato, ha svaligiato la mia stanza dei veleni e le mie casseforti e ha distrutto la mia sala da pranzo. E non solo! Si è anche trascinata dietro una mia dipendente! come intendi ripagarmi?».

«Io vi posso solo chiedere scusa... e vi prometto che racco-glierò dei soldi per risarcirvi».

Boris e cesare rimasero a origliare nella stanza accanto, at-toniti, non credevano a ciò che Oscar raccontava.

«cosa? Io devo ripartire subito. Sono dovuto rientrare in porto per far curare i miei uomini, alcuni sono intossicati e fuori servizio. Uno è ferito al piede e alla mano, un altro alla spalla ma ha anche perso dei denti e gli hanno urgentemente ricucito un labbro. Tu ora vieni con me. E mi dovrai ancora dei soldi perché non ho perso solo quella stramaledetta Joy, ma anche un’altra delle mie donne che mi serviva devotamen-te da anni e lei l’ha portata con sé.

«Io non posso venire con voi...» iniziò a pigolare Frida.«Sei sicura?» urlò Oscar puntandole un coltello alla gola.«così avrai ripagato mezzo debito» aggiunse con un rin-

ghio.Demiro indietreggiò, non voleva fare la fine di Frida e non

voleva inimicarsi un dannato pericoloso come Oscar, ma fece un passo di troppo e qualcosa lo colpì alla nuca. Alle sue spal-le c’era cesare con una padella in mano.

«Portatevi anche lui, e il debito sarà pagato!» esclamò cesare trascinando il corpo fino ad Oscar.

«Siete pazzi? Aiutatemi!» iniziò a urlare Frida.

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In quel momento Bolivar entrò in casa. Aveva la spalla fa-sciata e il viso devastato.

«Me la pagherai» ringhiò a pochi centimetri dal naso di Frida.«Aiutatemi a portare questi due cretini fino alla macchina e

il debito sarà saldato. Bolivar ammanettali» ordinò Oscar.Demiro si riprese quando aveva già le manette ai polsi e Bo-

livar lo buttò giù. Quando il demone nero si rimise in piedi, il dannato iniziò a seguirlo puntandogli una pistola alla schiena. In strada c’era un vecchio furgone guidato da Rosmunda, lì dietro furono spinti Demiro e Frida.

«Siete due maledetti bastardi!» urlarono con tanta rabbia, le loro voci cariche di odio stridettero come se unghie affilate scorticassero le loro gole.

«Tornerò. Se ce l’ha fatta quella stramaledetta Joy Hallett, tornerò anche io e giurò che vi spedirò all’inferno! Vi ci ac-compagnerò io tenendovi al guinzaglio, cani bastardi che si ribellano a chi li ha sempre tenuti con sé!».

Mentre Frida vaneggiava invasa dalla rabbia, Demiro si di-menava e urlava come una belva furiosa, ma Oscar interruppe i loro strepitii sbattendo con vigore lo sportello del furgone.

«ciao, ciao Frida, buon viaggio! E tu Demiro ti divertirai a condividere questa bella esperienza con la tua padroncina!» li schernì Boris.

«Se questo è un altro scherzo vi ci spedisco io all’inferno» ringhiò Oscar dal finestrino, puntando l’indice contro i due ra-gazzi liberi, prima che la sua macchina sparisse sgommando.

cesare tornò su e prese il bigliettino che Frida aveva lasciato cadere e se lo mise in tasca.

«Romeo non crederà a mezza parola di quello che gli rac-conteremo» disse Boris, e anche lui stentava a credere che fosse tutto vero.

In un attimo si erano liberati di quella che per anni era stata loro amica, confidente e guida e che si era rivelata solo un’ar-pia invidiosa e vendicativa, pericolosa quanto un virus, e del suo segugio viscido come il più velenoso dei serpenti.

«Gli daremo il biglietto di Joy, riconoscerà la sua scrittura» tagliò corto cesare.

Romeo provava a studiare, ma nascosto fra le pagine del

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suo libro di geografia c’era un disegnino di Joy, un cuore alato con dentro le loro iniziali. Non faceva altro che accarezzarlo. Quando sentì le urla del signor Manlio provenire dal piano di sotto, scese a vedere. Fuori dalla porta il vecchio uomo, Greta e Eddy braccavano Boris e cesare.

«Falli entrare Manlio, sono amici» disse subito Romeo.«Amici?» strillò Diana alzando gli occhi dal suo libro.«Oscar è tornato?».«Sì, e non crederai a quello che ti diremo, intanto tieni questo»

disse Boris con il sorriso più smagliante che gli riuscì, superan-do la testa di Eddy e allungando una mano verso Romeo.

«È la scrittura di Joy... è scappata dalla nave dei dannati?!».«Sì, e Oscar stamattina è venuto a prendere Frida come ri-

sarcimento, e noi gli abbiamo spedito anche Demiro!» escla-mò orgoglioso Boris.

«cos’ha fatto Joy?» chiese un coro generale, e tutti si ac-calcarono intorno a Romeo e il bigliettino iniziò a passare di mano in mano.

«Non ci posso credere» boccheggiò Abigail.«come ha fatto?» chiese Greta.«Non sappiamo i particolari, Oscar era fuori di sé! Ha ac-

cennato solo a uomini feriti e altri intossicati...» spiegò velo-cemente cesare.

«E ora cosa facciamo?» chiese Romeo riprendendo il bigliet-to e conservandolo gelosamente.

«Non ci resta che aspettarla» risposero all’unisono Boris e cesare facendo spallucce.

***

Magda entrò nella tenda cantando. la prima cosa che Joy fece quando si svegliò, fu controllare se avesse ancora le chia-vi in tasca per andare a prendere i cavalli. le chiavi c’erano. Intorno a lei regnava il caos. c’era gente che entrava e usci-va continuamente vestita in modo bizzarro con tute colorate e sgargianti, ignorando la sua presenza. Non c’erano mobili ma solo coperte e buste accatastate confusamente e brandine

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ovunque, su una di queste erano appollaiate Ines e Nives in-tente a torturare Apple.

Il canto sregolato e acuto di Magda turbò anche Jasmine che provò prima a tapparsi le orecchie, poi dovette arrendersi.

«Buongiorno» gracchiò, frenando l’istinto di strozzare Magda.«BeeEen sveeEeEegliaaAteee!».«Tappale la bocca» ringhiò Jasmine, avvicinandosi all’orec-

chio dell’amica.«Grazie! E soprattutto grazie per averci ospitato, ti dobbia-

mo dei soldi?» chiese invece Joy.«Magari un caffè!» rispose prontamente Emanuel, entrando

in quel momento.«Be’, andiamo... ho bisogno di mangiare qualcosa» disse Joy.«Veniamo anche noi!» esclamarono lotis e cora.«certo, quando si parla di cibo voi non potete tirarvi indie-

tro» commentò acida Morena.«ci sono i nostri cavalli da prendere!» ricordò Jasmine.«Mangio qualcosa e andiamo a prenderli, poi ripartiamo su-

bito».«Dove siete dirette?» chiese Magda.«A Gwenever, la città».«Noi dobbiamo andare nella città vicina, se volete possiamo

partire insieme. ci vogliono due settimane di viaggio».«Grazie Magda, ci faresti un grosso favore».«Aspettami, Alissa. Vengo anche io a fare colazione» disse

Jasmine infilandosi una giacca e scendendo giù dal letto im-provvisato.

le ragazze e i tre fratelli raggiunsero una locanda non lonta-na dall’accampamento, presero posto e subito una cameriera con il viso stravolto e solcato da profonde occhiaie violacee si avvicinò con un block notes fra le mani.

«che vi porto?» biascicò, tra uno sbadiglio e l’altro.«Due caffè, tre cappuccini e biscotti per tutti» ordinò Ema-

nuel. la sala era deserta, c’era solo un vecchio addormentato con

la faccia sul tavolo. la cameriera tornò quasi subito e servì i caffè e i cappuccini, al centro del tavolo mise un vassoio con biscotti di varie forme e gusti.

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Quando le tazze furono vuote e nel vassoio erano rimaste solo briciole, Garcia entrò nella locanda. Era il più silenzioso del gruppo, anzi, l’unico visto che gli altri non finivano mai di parlare. Si sedette vicino a Jasmine, e Joy notò che non le toglieva gli occhi di dosso.

«Vuoi qualcosa, Garcia? Tanto offre Alissa!» esclamò Ema-nuel ridendo.

«No, grazie. Mi farò offrire un pranzo più tardi».Quando la cameriera portò il conto, Emanuel, con un gesto

rapidissimo, mise i soldi sul tavolo.«Abbiamo stabilito che avrei offerto io!» obiettò Joy.«Scherzavo».Tornati al campo, Magda portò Jasmine e Joy in una tenda

meno affollata e caotica delle altre, le aiutò a riempire delle va-sche con acqua riscaldata sul fuoco e le lasciò fare un bagno.

«Fate presto, la carovana riparte fra poche ore».Quando furono pronte, indossarono vestiti puliti e andaro-

no a riprendere i cavalli.linda e Makaha furono felici di rivedere le loro padrone

e di potersi sgranchire le zampe. Joy e Jasmine li lasciarono trottare un po’ in libertà, prima di tornare al campo. le strade semivuote erano invase da bicchieri vuoti e scheletri di falò, rimasugli della festa finita poche ore prima. Il sole alto nel cie-lo intristiva quel panorama sporco e desolato, per un attimo a Joy sembrò di camminare in una città fantasma.

«Siamo pronti!» urlò lotis vedendole arrivare. Anche loro erano a cavallo. le bambine erano divise: cora con Emanuel, Ines con Magda e Nives si innamorò del cavallo di Joy e salì con lei.

«È bellissimo Makaha!» esclamò accarezzandolo.Nives aveva le guance arrossate dal freddo mattutino e ciglia

foltissime e nere.«Nives, sali con Morena!» la richiamò Magda.«Ma mamma...».«Puoi lasciarla con me, non è un problema».I circensi erano seguiti da due muli su cui avevano caricato

delle tende per la notte.«ci sono delle regole da seguire durante il viaggio: ci si fer-

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ma solo per motivi di salute gravi, si dorme in tenda tutti in-sieme, si va in bagno solo tre volte al giorno» chiarì perentoria Magda.

«Accetto tutto, basta che mi porti al più presto possibile a casa!» implorò Joy.

«Andiamo».Nives era una chiacchierona, ma era divertente. Ascoltare

la sua vocina squillante rallegrava Joy e faceva passare le gior-nate più velocemente. Lei e Lotis bisticciavano di continuo e si stuzzicavano a vicenda, Emanuel e Magda intervenivano sempre per dividerli ma erano tutti sforzi inutili. lotis era un sapientone, sembrava uno che aveva passato la vita a leggere di tutto di più e non uno che girovaga per le piazze di tutta Gwenever. Qualche cavallo più avanti Ines, invece, pungente come un’ortica infastidiva continuamente cora, scherzando sulla sua pancetta strabordante. Morena era abbastanza silen-ziosa ma non quanto Garcia che trottava al fianco di Linda cercando di attaccare discorso con Jasmine, ma non trovando mai niente di divertente da dire. La più loquace di tutti era Magda. O cantava, o raccontava del padre delle sue bambine e dei suoi mille amanti o dei suoi spettacoli con serpenti e tigri.

le notti in tenda erano fredde. Di solito Emanuel e Garcia accendevano dei falò per riscaldare l’aria e Joy pensava sem-pre alle sue comode notti nelle stanze delle locande.

Una sera Magda decise di cuocere delle salsicce e tutti si riunirono intorno al fuoco.

«Manca meno di una settimana e sarete a casa, tu Alissa sei molto impaziente!» esclamò Magda.

«Mi mancano i miei amici, non ho più avuto loro notizie... e soprattutto mi manca Romeo».

Jasmine era incantata a guardare il fuoco zampillare quando qualcuno le toccò timidamente una spalla.

«ci facciamo un giro?».Era Garcia. La fissava con i suoi occhietti scuri e sorrideva.«certo».Quando Joy vide che si allontanavano ridacchiò fra sé, aveva

la conferma che Garcia non aveva mai tolto gli occhi di dosso a Jasmine, anche se lei negava.

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«Be’... allora fra poco ci separeremo, mi ha fatto piacere co-noscerti» iniziò Garcia, impacciato.

«Anche a me».«Se vuoi potrei venirti a trovare».«Oh, sì, è un’idea carina».Jasmine era rossa dalla vergogna e imbarazzata. Non sape-

va nemmeno dire quanto tempo era passato dall’ultima volta che un ragazzo l’aveva guardata così. Gli occhi di Garcia la accarezzavano amabilmente e lei si sentiva cullata da quella dolcezza.

«Senti, Rebecca, sarò esplicito. Tu mi piaci troppo, sei stu-penda...».

Jasmine si sentì svenire. Il tipo di uomo con cui aveva con-vissuto fino a quel momento era un bruto dannato, ora si trovava davanti un ragazzo, che Joy chiamava “faccia di casto-ro”, ma che a lei sembrava meraviglioso. Le sue rapide rifles-sioni le fecero dimenticare che avrebbe dovuto dire qualcosa, o almeno accennare un sorriso. Garcia attese un cenno o una parola con il cuore che gli martellava nel petto e quando sentì la tensione che gli esplodeva dentro non resistette, abbracciò Jasmine e la baciò proprio come sognava di fare dalla prima volta in cui l’aveva vista.

«Questo è il momento più bello della mia vita da tempo, peccato che fra meno di una settimana ci separeremo...» sus-surrò Jasmine, quando le loro labbra si separarono.

«No, se tu non vuoi. Per te sono disposto a lasciare il grup-po».

«Ma mi conosci da pochissimo tempo!».«Non importa, se le cose non dovessero andare come pen-

so, prenderò il mio cavallo e farò marcia indietro».Tre paia di occhi indiscreti si nascondevano dietro un ce-

spuglio, acquattati per spiare Garcia e Jasmine. Quando Ines scoppiò a ridere dovettero uscire allo scoperto.

«che volete voi?» chiese Garcia, con aria burbera.«È pronta la cena!» squittì Nives.«Arriviamo».Quando le bambine furono lontane, Jasmine prese Garcia

da un braccio.

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«c’è una cosa che devo dirti, se mi prometti che manterrai il segreto finché non saremo al sicuro a Gwenever».

«certo».«Il mio vero nome è Jasmine Nahid, ma prima di scappa-

re io e Alissa, che in realtà si chiama Joy, ci siamo procurate dei documenti falsi, per evitare che i nostri nomi rimanessero scritti nei registri delle locande e che i dannati potessero rin-tracciarci».

«Geniale! Ok, continuerò a chiamarti Rebecca finché non saremo a casa tua».

«E c’è anche un’altra cosa che devo dirti, non esiste una mia casa. Joy ha detto che mi ospiterà lei, io non metto piede sulla terra ferma da secoli... sono sola. Da pochi mesi ho Joy e ora anche te. Ma quando sarà tutto finito, sono sicura che trove-remo un posto anche per te».

le salsicce di Magda erano bruciacchiate o poco cotte, cuci-nare non era affatto la sua specialità.

Joy, per non pensare al suo stomaco affamato che si con-torceva, si distrasse con la cartina. Osservando e studiando la strada che Astrid le aveva segnato, si ricordò che non le aveva scritto nemmeno una volta. Quando Magda si distrasse, buttò la sua salsiccia fra i cespugli ed entrò nella sua tenda. Fra le sue cose trovò un foglio stropicciato e una matita, ci penso su un po’ e poi scrisse:

Cara Astrid,fra meno di una settimana sarò a casa.Non mi sembra vero! Ho una percezione dilatata e amorfa del tempo,

mi sembra di essere in un limbo perenne tra sogno e realtà. Se ripenso a tutto quello che ho fatto in questi mesi, mi sembra di rivedere foto di una vita che non mi appartiene... devo ancora elaborare tutto!

Il viaggio è faticoso, mangio poco e mi lavo ancora meno...Ora, per fortuna, abbiamo incontrato un gruppo di zingari circensi

che vanno verso una città vicino Gwenever, e ci siamo unite a loro per non viaggiare sole. Per Jasmine è stato un vero toccasana! Un ragazzo della carovana è innamorato di lei, che sembra ricambiare! Sono davvero carini insieme... quando li vedo mi viene sempre in mente Romeo... chissà se mi aspetterà. E quando penso a Romeo, subito dopo penso anche a

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Giona, chissà se fra noi tornerà tutto come prima... a volte l’idea di tor-nare senza preavviso mi spaventa, ho paura di quello che potrei trovare. Magari Romeo sta con un’altra, o Giona sta meglio senza di me, o le mie amiche hanno cambiato casa... Comunque, cerco di essere positiva. I miei nuovi compagni di viaggio sono davvero simpatici, credo di essermi già affezionata a loro. Ti scriverò quando sarò a casa, seduta alla mia scrivania. Ti porterò per sempre nel cuore,

Joy

Il giorno dopo Joy si svegliò prima degli altri per andare a comprare una busta e un francobollo e spedire la lettera. Quando tornò all’accampamento erano tutti pronti. Jasmine aveva l’aria sognante e Garcia non la perdeva di vista. Il viag-gio riprese. le bambine iniziavano a perdere la loro allegria sopraffatte dalla stanchezza, e lotis era ogni giorno meno lo-quace e più magro. Emanuel non sopportava più gli intermi-nabili fiumi di parole di Magda, la più resistente di tutti, l’unica che non perdeva mai la voglia di parlare. Ogni giorno c’era un nuovo uomo di cui raccontare qualcosa. Morena ridacchiava vedendo la faccia del cugino sempre più nervosa.

«Ehi, Lotis. Sei molto più magro di quando siamo partiti, stai benissimo così!» esclamò Joy, sperando di dirottare con quella osservazione il monologo di Magda.

«Grazie» riuscì a sillabare lotis, ma poi la voce di Magda lo investì. Il tentativo era miseramente fallito. lentamente i cavalli si allontanarono da Magda isolandola, finché anche lei non si stancò di sentire la propria voce e rimase zitta per un bel po’ di tempo. Quando arrivò l’ora del pranzo, il gruppo di gitani si rese conto che le provviste erano finite.

«Dobbiamo fare qualcosa!» esordì Morena.«Raggiungiamo il villaggio più vicino, stasera si balla!» escla-

mò cora raggiante.Magda era strafelice, senza aspettare altre proposte aprì una

borsa di iuta che portava sempre in spalla e iniziò a tirare fuori teli colorati e foulard di ogni dimensione.

«Su, su ripassiamo le nostre danze».

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«Aspettate, io ho molti soldi, ci basteranno! Non è necessa-rio fermarci!» disse subito Joy.

Tutti risero.«Grazie, Ninfadora. Ma siamo gitani! Viviamo così» rispose

dolcemente Magda.Jasmine e Joy capirono che era il momento di farsi da parte

e si sedettero sotto l’albero più vicino.«che fate lì sotto voi due?» le richiamò Garcia.«Vi guardiamo!» ribatté Jasmine.«No, no, no! Ora fate parte della famiglia, quindi stasera

danzerete con noi» tagliò corto Nives.la faccia di Joy era sconvolta, le mancava poco per impal-

lidire.«Ho la grazia di un tronco! Se ballassi io scapperebbero tut-

ti...» si giustificò indietreggiando, quando Emanuel avanzò verso di lei con aria divertita.

«Non puoi rifiutare!» disse perentoria Magda.Emanuel afferrò Joy da un polso e la trascinò a forza fino

alla borsa di iuta, ridendo divertito le legò intorno al collo un foulard blu notte e un telo arancione e rossiccio intorno alla vita.

«Orribile!» commentò Ines.«concordo! Ragazze prendete la borsa e andate a cambiar-

vi, possibilmente ignorando i consigli di Emanuel!» esclamò lotis ridacchiando.

In Joy si agitavano un misto di rabbia e imbarazzo, si lasciò il foulard blu, si sfilò i pantaloni e indossò un telo blu e argen-tato a mo’ di gonna.

«Guarda che belli questi bracciali!» esclamò Jasmine, infilan-dogliene tre a forza. Erano tutti dorati e tintinnanti.

«Dai, Jas... sembrerò una cretina! Che figura...».«Ma che dici?! E anche se fosse, la gente che ci vedrà stasera

non ci vedrà mai più, nessuno penserà a noi!».Jasmine scelse veli e foulard dai toni caldi, quando furono

pronte raggiunsero gli altri.«Si balla a piedi nudi!» disse subito Magda.«Oh, no...» mugugnò Joy, sfilandosi gli stivali e lanciandoli

contro un albero.

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I tre ragazzi presero posto per iniziare a suonare. lotis ed Emanuel alla chitarra, Garcia al flauto. Ogni ragazza invece aveva un tamburello, Magda e le bambine cantavano.

«È facile, seguiteci!» esclamò Morena.Nell’aria calda del mezzogiorno, sul terriccio arido e polve-

roso iniziò una danza colorata fatta di musica argentina, colori accesi e voci allegre.

Joy fu coinvolta in un turbinio di colori e forme create dalle mani e dai foulard, rimase stordita per un po’ finché Jasmine non la afferrò da un braccio e la costrinse a muoversi con lei. Ballarono fino al crepuscolo poi si rimisero a cavallo e rag-giunsero Dubiz, il villaggio più vicino. Quando per le strade non c’era nessuno, perché tutti erano impegnati a cenare nelle case e nelle locande, i gitani allestirono il loro scenario. le bambine furono attente a sistemare ampi cappelli vicini alle postazioni dei ragazzi, lì avrebbero raccolto i soldi per con-tinuare il viaggio. Quando le strade iniziarono a popolarsi di nuovo, i gitani iniziarono il loro spettacolo. la parlantina inar-restabile di Magda e i visi dolci e accattivanti delle bambine, erano perfetti per accalappiare spettatori. Emanuel aveva rita-gliato uno spazio della piazza per loro, circoscrivendolo con un semicerchio di piccoli falò che illuminavano e riscaldavano l’aria stanca della sera. Una piccola folla iniziò a raccoglier-si intorno alle danzatrici, Joy sudava, le tremavano le mani, temeva di scivolare da un momento all’altro e si sforzava di schiudere le mascelle in un sorriso accogliente. Monete di va-rio calibro iniziarono a tintinnare nei cappelli. la gente era incuriosita e ammaliata da quella musica vistosa che trillava e agitava sinuosamente i corpi delle zingare, lo spettacolo durò fino a notte fonda ripetendo pezzi già fatti e inventandone di nuovi. Quando finalmente Dubiz si addormentò, Joy si lasciò cadere distrutta nella sua brandina. Distrutta, ma divertita e soddisfatta.

Le ultime tre notti di viaggio furono le più distruttive. L’idea della fine del viaggio, di una casa e di un letto rendevano im-possibile dormire in quelle tende umide e fredde, e soprattut-to il pensiero di rivedere Romeo teneva Joy sveglia a fantasti-

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care, a immaginare cosa dirgli e cosa lui le avrebbe risposto. Pensava anche a Giona, e quando pensava a lui era ancora più triste. L’ultima volta che si erano visti non aveva voluto saperne di lei che invece gli voleva ancora bene. Jasmine e Garcia, invece, non sembravano affrontare lo stesso viaggio sfiancante e infinito degli altri, sembrava che loro fossero in crociera o in un week-end organizzato per San Valentino. la notte rientravano per ultimi, ridacchiavano e arrossivano di continuo e cavalcavano sempre in disparte. Joy si sentiva più vicina a Nives e Lotis che trottavano sempre al suo fianco, piuttosto che alla sua amica che lentamente si allontanava da lei, travolta da quell’amore fresco e inaspettato.

l’ultimo giorno di viaggio fu il peggiore.«... poi quando camilo scoprì che sarei partita è andato su

tutte le furie, ma per fortuna che sono partita perché in viag-gio ho conosciuto carlito e così ho avuto le mie bambine, solo che carlito... be’... non era proprio quello che si può de-finire un lavoratore onesto...».

«Magda, ora basta!» strillò Emanuel.«Ma Alissa e Rebecca mi stanno ascoltando!».Jasmine trasalì interrompendo bruscamente il suo cicaleccio

sdolcinato con Garcia, che riprese subito dopo.«Rebecca è intenta a bisbigliare con Garcia, mentre Ninfa-

dora ha la faccia di chi si butterebbe da un ponte, pur di non sentirti più».

«Che cugino antipatico che sei! Ninfadora affiancati a me, continuiamo da sole i nostri discorsi da donne...».

la bocca di Joy si spalancò in un urlo di silenziosa dispera-zione ma si schiuse in un sorriso quando Magda si girò a farle l’occhiolino.

«Scusami, Magda, ma io avrei un po’ di mal di testa...» disse Joy e con un sorriso si lanciò al seguito di Emanuel, cora e Lotis che avevano preso il largo e cavalcavano più veloce degli altri, per riposare le orecchie fumanti.

«Grazie, Joy!» squittì Nives ridendo come una matta, quan-do furono abbastanza lontane dalla sua bizzarra madre.

«Di niente, piccola!».

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«la mamma parla troppo» le sussurrò all’orecchio.«Ehm... sì, me ne sono accorta».Il tramonto arrivò presto ma Joy non voleva fermarsi. Tutti

scesero da cavallo e si sgranchirono le gambe, accesero un falò e si sedettero per mangiare qualcosa. Joy prese un panino duro e iniziò a masticare nervosamente. Non voleva fermarsi. Sentì le lacrime inquiete agitarsi fra le ciglia poi si fece corag-gio e pregò tutti di continuare. Non vedeva altro che Romeo davanti a sé, avrebbe bussato alla sua porta a qualunque ora della notte.

«Se ci riposiamo e partiamo domani mattina presto, arriverai in pochissimo tempo, te lo assicuro» disse Emanuel.

«No, io vado. Non ce la faccio ad aspettare» disse Joy, sen-tendo una lacrima rigarle il viso.

«Per me possiamo continuare» disse Morena.«Anche per me» si aggiunse lotis.«Ragazzi, io non vi ho detto una cosa» iniziò Garcia, tutti gli

occhi si puntarono su di lui.«Non proseguirò con voi fino a Eichiro, ma mi fermerò a

Gwenever con Rebecca».Tutti strabuzzarono gli occhi.«E quando volevi dircelo?» chiese Magda. Sembrava abba-

stanza adirata, teneva molto alla compattezza del gruppo.«Non sapevo come introdurre il discorso».«Non vi sembra una scelta affrettata?» chiese Emanuel.«Sì, ma che senso avrebbe non vederci più? Se non dovesse

andare bene, Garcia tornerà con voi, ma almeno non avremo il rimorso di non averci provato» rispose Jasmine.

Magda non amava chi abbandonava il gruppo ma, alla fine, lei che tanto parlava di amore non poté obiettare.

«Ok, ci separeremo... adesso riprendiamo la marcia» accor-dò con un sospiro.

Il viaggio continuò, la strada ormai era poca.«ci siamo quasi» disse Magda, sporgendosi da cavallo per

accarezzare dolcemente Joy.«Grazie di tutto. Per la compagnia, per l’ospitalità e per

l’amicizia».

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Il cartello “Benvenuti a Gwenever”, sembrò a Joy un mi-raggio. Ma era vero. Quando lo raggiunse non si trattenne e scoppiò a piangere.

Le sembrò quasi un’opera d’arte di magnifiche fattezze. Era blu notte, enorme, alto almeno tre metri, inciso da eleganti lettere argentate.

«Buon rientro a casa, Ninfadora. Tieni il mio bracciale, quando lo guarderai penserai a noi e a questo viaggio» disse Magda abbracciandola e agganciandole al polso un filino di oro e stoffa colorata come le sue gonne. la zingara ne portava uno uguale.

«Grazie di tutto, siete stati dei buoni amici» disse Joy ab-bracciando tutti, soprattutto Nives e lotis che le erano stati vicini ogni giorno. Garcia teneva lo sguardo basso, si sentiva quasi un traditore, ma quando Emanuel lo abbracciò promet-tendogli che si sarebbero rivisti, sorrise sapendo che il suo amico accettava e capiva che la sua scelta non si trattava di un semplice capriccio.

«ci rivedremo?» chiese Nives.«certo, piccola. Sapete dove abito, spero di poter ballare

con voi qualche volta nelle piazze della mia città» disse Joy prendendola in braccio e baciandola sui capelli.

«A presto, Ninfadora. Ricordati di noi» disse lotis, salutan-dola. Anche Jasmine salutò tutti, poi le ragazze si allontanaro-no di qualche passo per lasciare che Garcia desse l’addio alla sua famiglia.

la notte era scesa avvolgendo tutto nel suo silenzioso buio. le stelle erano rade e la luna offuscata da nubi lanose e scure. con il cuore che le martellava nel petto, la bocca asciutta, i muscoli tesi e gli occhi lucidi, Joy Hallett rientrò a Gwenever.

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cAPITOlO XVII

Un rumore di zoccoli infranse la quiete notturna di Gwene-ver, Giona si svegliò e corse alla finestra. Alla luce fioca della luna distinse tre cavalli che galoppavano verso il cimitero di Belit.

«leo, sveglia!».leo ronfava e lo ignorò. I cavalli venivano proprio verso la

loro casa, diretti e veloci. A pochi metri dal cancello bianco si fermarono. Giona rimase a spiarli. Qualcuno, una donna, scese dal suo animale e si arrampicò al cancello per scavalcar-lo. Era agile e longilinea, per un attimo Giona ebbe paura che fosse Frida, poi riconobbe una sagoma sinuosa e familiare. I battiti del suo cuore presero la rincorsa e iniziò a correre ver-so di lei. A metà strada si incontrarono.

«Sei tornata! Scusami, Joy. Sono stato un vero cretino a trat-tarti in quel modo, mi sei mancata, ti ho pensata sempre e ti voglio bene» disse Giona, tutto d’un fiato, stringendola in un abbraccio caldo e desiderato. La strinse più forte che poté, come per sincerarsi che Joy fosse davvero tornata a casa.

«Anche io ti ho pensato Giona, e mi sei mancato anche tu. Spero che ora tutto torni come prima».

«Stai bene?» chiese spostandole i capelli appiccicaticci dal viso e accarezzandola.

«Mai stata meglio».Rimasero avvinghiati a lungo e più rimanevano abbraccia-

ti, più dei loro litigi restavano solo ricordi confusi e sfocati. Dopo qualche minuto fuori dal tempo, Jasmine e Garcia deci-sero di scavalcare e raggiungerli. Quando Joy si accorse della loro presenza si staccò dall’amico, si schiarì la voce e iniziò le presentazioni.

«Ho portato due amici, Jasmine è stata una mia compagna sulla nave... senza di lei non sarei riuscita a scappare! E Garcia lo abbiamo conosciuto a Itgurd, vivranno qui se Belit vorrà. lui invece è Giona» spiegò Joy.

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«Sei proprio come Joy ti ha descritto, non ha tralasciato nul-la! Ero davvero curiosa di conoscere questo suo amico spe-ciale!» esclamò Jasmine, e una cortina di imbarazzo ingenuo spruzzò di rosso le guance di Joy e Giona.

«JOYYYYYY!» l’urlo gioioso di Ortensia svegliò tutti. Esu-berante e frizzante come champagne anche in piena notte, Ortensia le corse incontro con tanta forza da scaraventarla sull’erba. le ragazze si abbracciarono e si strinsero e si toc-carono finché non si resero conto che era tutto vero, Joy era a casa. Pochi minuti dopo Belit, Berta, Ettore e leo erano lì intorno a lei ad abbracciarla, accarezzarla e baciarla.

«come hai fatto a scappare?» chiese Ettore.«È una storia lunga e ora che ci penso è anche divertente».«Romeo ci ha portato il biglietto che hai lasciato a Oscar,

non sai che paura abbiamo avuto per te» disse Belit.«Quanto sei sciupata, Joy! Ti faccio un panino?» chiese pre-

murosamente leo, accarezzandole i capelli, come amava fare. Dopo un bel po’, tutti si resero conto della presenza dei due nuovi arrivati.

«loro sono i miei amici, se per voi va bene resteranno qui!».

«certo che va bene, io sono Belit, benvenuti».«Joy mi ha parlato tanto di voi!» esclamò Jasmine abbrac-

ciandoli tutti. le loro facce affettuose ed emozionate, e la luce dorata che usciva sottile dalla porta alle loro spalle, la riempì di un tepore dolce, del profumo scalda cuore e amabile che si sente quando si è a casa.

«Io sono Garcia. Spero di non essere di troppo e scusate questa interruzione notturna, ma Joy non voleva più aspet-tare».

«Nemmeno noi!» esclamò Berta stringendola a sé e mordic-chiandole una guancia come faceva sempre.

Quando Joy entrò in casa salutò Queeny e si diresse nella sua stanza per liberare Apple. Ma con stupore vide che qual-cosa era cambiato.

«Il tuo letto è accanto al mio, ma se vuoi lo riporto qui» disse una voce che avrebbe riconosciuto fra mille, alle sue spalle. Giona le sorrideva e aspettava una risposta.

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«No, se per leo va bene da oggi in poi rimarrò a dormire da voi...».

Accanto al letto di Giona, la aspettava il suo letto ordinato e candido. Appoggiati al cuscino c’erano i suoi peluches, sul comodino i suoi libri, i suoi dadi e la foto che Greta aveva scattato a lei e Romeo. Sfiorò il suo viso di carta e filò in ba-gno. Doveva assolutamente correre da lui.

«Non vuoi mangiare?» chiese leo, inseguendola con un pa-nino sciabordante di condimenti improponibili.

«Non adesso, devo fare un bagno e mettere dei vestiti puliti! lascialo in cucina, grazie!».

leo fece spallucce e, sperando che nessuno lo guardasse, addentò il suo strepitoso panino, coprì la parte mancante con un tovagliolo e lo lasciò in cucina.

«Ettore, porta dentro le valigie dei ragazzi, sembrano davve-ro stravolti! A voi penso io, vi va una zuppa calda?» chiese Be-lit, invitando Jasmine e Garcia ad accomodarsi su un divano.

«Non vorremmo disturbare» disse titubante Jasmine.«Non disturbate, da oggi siete ufficialmente membri di questa

famiglia!» esclamò la vecchia signora mettendosi ai fornelli.Berta si prese cura di Apple, la liberò e le massaggiò le zam-

pette intorpidite, poi rubò la ciotola di Queeny per farla bere e le scaldò qualche polpetta. A far entrare i cavalli e farli bere pensò Ortensia.

Intanto Joy era immersa nella vasca da bagno colma di ac-qua bollente e profumata, si lavò i capelli e si massaggiò le gambe stanche. Sarebbe voluta rimanere più a lungo lì, a far riposare i muscoli tesi, ma la voglia di Romeo le diede la forza di uscire. Mise un paio di jeans, l’indumento che le era man-cato di più, e una vecchia felpa. Aveva ancora i capelli umidi ma non le importava. Ignorando Belit che le ricordava l’orario tardo e la stanchezza che la abbatteva si fiondò fuori casa e iniziò a correre.

I suoi piedi volavano sull’asfalto e in pochi minuti arrivò trafelata sotto casa di Romeo e iniziò a bussare sperando che qualcuno si svegliasse. le aprì Abigail. Quando la vide si stro-picciò gli occhi assonnati più volte, prima di mettere a fuoco.

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«Abby, sono io!» esclamò Joy, buttandole le braccia al collo.«Non ci posso credere!».«Fa’ piano, voglio fare una sorpresa a Romeo».«chi è?» pigolò Diana assonnata.la faccia felice di Joy fece capolino dalla porta con un indice

premuto sulle labbra schiuse.Diana strabuzzò gli occhi, buttò all’aria il libro che stava

leggendo e le corse incontro riempiendola di baci.«ce l’hai fatta! come stai? Devi raccontarmi tutto!» escla-

mò.«Io sto bene, adesso. Voi?» chiese Joy, ricambiando l’abbrac-

cio. «Ora che sei tornata stiamo tutti bene! Ti abbiamo pensata

ogni giorno, ma non sapevamo che fare, eravamo davvero im-potenti...» disse Abby.

«Lo so» disse Joy, arginando il fiume di scuse dell’amica, e abbracciandola di nuovo.

Il trambusto svegliò Greta. confusa, curiosa e stupita si alzò dal letto, tastò il pavimento con i piedi nudi alla ricerca delle pantofole e ciabattò corrucciata fino al salotto. Quando scor-se una chioma nera tra le teste di Diana e Abigail, aguzzò la vista, e la chioma c’era davvero.

«Ehi» biascicò fra uno sbadiglio e l’altro, in cerca di spiega-zioni. le ragazze si accorsero di lei, e il viso allegro di Joy le rivolse un sorriso raggiante.

Greta era attonita, il suo cuore perse un colpo. Dopo l’am-mutolimento iniziale lanciò un gridolino di gioia e si lanciò sull’amica ritrovata.

«Non ci credo! Non ci credo!» farfugliò soffocando Joy con un abbraccio da pitone.

«Mi sei mancata tantissimo, Greta».«Anche tu, non immagini quanto. Ti lascio, immagino che

non vedi l’ora di vedere Romeo».Solo sentire quel nome le portò le lacrime agli occhi, Joy

tirò su col naso e cercò di non scoppiare a piangere, ma era difficile. Stava per rivederlo. Il viso che aveva popolato i suoi sogni tristi era a pochi metri da lei, solo qualche passo e una parete a separarli.

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«Sono emozionata, come non lo sono mai stata in vita mia. Sento i brividi lungo la schiena e le braccia. la testa un po’ mi gira e vorrei dire mille cose ma non trovo le parole per nessu-na di queste» sussurrò, prima di entrare nella camera di colui che aveva desiderato continuamente.

Romeo dormiva profondamente, Joy rimase immobile a guardarlo prima di avvicinarsi. Era malinconico e perfetto, come lo ricordava. Bello come un re, fragile come un bam-bino sbadato. Aveva la sua sciarpa rosa avvolta a un braccio. Un raggio d’argento filtrava dalla finestra e ripercorreva i suoi tratti, gli occhi chiusi e le sue ciglia lunghe e curvate. Joy si avvicinò al letto con passi lenti e cauti, si sedette e iniziò ad accarezzarlo. Passò le mani fra i suoi capelli neri e folti, se li lasciò scivolare, setosi, fra le dita e sentì tutto l’amore che pro-vava per lui rifiorirle nel petto, impetuoso e vigoroso, esplo-dere come una bolla e uscire dai suoi occhi dolci, come una lacrima calda.

«ciao amore, sono a casa» bisbigliò chinandosi a baciarlo.Quelle labbra morbide le erano mancate, le aveva sognate

e ricordate in ogni momento. Romeo, che ancora non era del tutto sveglio, allungò una mano, le toccò i capelli, il viso e il collo. La riconobbe e la tirò a sé. Joy si levò le scarpe e si infilò sotto le coperte.

«ciao amore, sapevo che saresti tornata» biascicò lui, apren-do un occhio. l’altro era schiacciato sul cuscino.

«Io sapevo che mi avresti aspettata».Romeo si lasciò baciare, si tenne stretto ai suoi fianchi mor-

bidi e non la lasciò mai più andare via.

***

Cara Astrid,sono a casa. Ho ritrovato tutto esattamente come lo avevo lasciato.

Anzi, una cosa è cambiata... adesso il mio letto è nella stanza di Giona. Ti sarà facile capire cosa è successo: abbiamo fatto pace!

In questi mesi ho temuto di poter perdere Romeo, di non trovare più

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il ragazzo che avevo lasciato. Al mio ritorno, invece, l’ho trovato addor-mentato con la mia sciarpa fra le mani. Mi aspettava. Ho dormito con lui e ci siamo risvegliati insieme. Non mi ha mai dimenticata, sapeva che sarei tornata soprattutto per lui. Se non fossi stata via non avrei mai capito quanto può mancarmi, quanto possa farmi male la sua assenza e quanto i nostri cuori riescano a parlare senza che le nostre bocche pro-feriscano parola. Adesso ho mille cose da fare, sono rimasta indietro con le lezioni del campus e devo darmi una mossa se voglio passare l’anno! Sai una cosa fantastica? Al posto mio e di Jasmine, sulla nave di Oscar ci sono Frida e Demiro! Oscar aveva bisogno di un risarcimento per i danni subiti, così Boris e Cesare hanno pensato bene di sbarazzarsi di quei due. Ti scriverò presto, e verrò a trovarti con Romeo!

Aspetto tue notizie, con tutto l’amore del mondo.

Joy Hallett

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rInGrazIamentI

Grazie a mia madre, a nonna Racconta e alle storie che ogni giorno inventavano per me. A mio padre che mi ha trasmesso la passione per i libri e a Denise che ha assistito alla nascita e alla crescita dei miei personaggi accompagnandomi in questo viaggio. Infine grazie a Roberta con cui ho passato l’infanzia a disegnare e immaginare milioni di mondi fantastici.

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Indice

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Indice

Gwenever

Il bacIo eterno

13 cAPITOlO I28 cAPITOlO II35 cAPITOlO III47 cAPITOlO IV55 cAPITOlO V63 cAPITOlO VI74 cAPITOlO VII81 cAPITOlO VIII86 cAPITOlO IX105 cAPITOlO X110 cAPITOlO XI119 cAPITOlO XII127 cAPITOlO XIII150 cAPITOlO XIV158 cAPITOlO XV178 cAPITOlO XVI195 cAPITOlO XVII

201 rInGrazIamentI

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