FORMAZIONE E INFORMAZIONE ISTRUZIONE La retorica … · non questo tipo di canali importan-tissimi,...

1
FORMAZIONE E INFORMAZIONE A colloquio con Michele Loporcaro La retorica senza lumi dei mass media italiani In «Cattive notizie», edito da Feltrinelli, Michele Loporcaro, linguista e docente all’Università di Zurigo, argomentando sulla base di un’attenta e rivelatrice analisi linguistica di Tg e giornali, mette a nudo un giornalismo inetto e servile, affermando come la televisione, e in particolare l’informazione televisiva (cioè il tg), «sia uno dei problemi più seri della società italiana». zione, mirino programmaticamente e ideologicamente non ad un’infor- mazione atta a formare una coscien- za critica nel cittadino, bensì ad evi- tare la formazione di qualsiasi pensie- ro critico. Un modo di fare informa- zione che Loporcaro definisce "poli- ticamente di stampo reazionario (e, al limite, totalitario)". Professor Loporcaro, per uscire dall’o- scuro scenario presentato nel suo libro, Lei propone la formula "formazione e informazione": cioè da un lato una for- mazione scolastica di base di taglio umanistico e storico, dall’altro una rior- ganizzazione del settore delle comuni- cazioni all’insegna dell’etica. Ecco il senso della formula. Il gior- nale progressivamente diminuisce lo spazio dei testi verbalizzati e au- menta lo spazio delle immagini a co- lori e dei caratteri cubitali, e così con- diziona il suo lettore facendo di lui un non-lettore, consumatore di un pro- dotto nel quale la lettura - e quindi tutto quello che attraverso la lettura passa (argomentazioni ecc.) - hanno un ruolo marginale. Una volta che si è condizionato in questo senso il let- tore, una volta che abbiamo una po- polazione che comunque - anche in questa guisa - legge poco ed è inve- ce esposta massicciamente ai mezzi televisivi ecc, come si fa a tornare in- dietro? La mia risposta è che non lo si può fare dentro il sistema giorna- listico e basta: bisogna farlo su una scala più ampia, con un discorso di cosciente ingegneria sociale. Bisogna cioè rilanciare la sfida dell’accultura- zione di massa, che in Italia è stata perduta drammaticamente. Invece di elevare il livello delle masse, come di- ceva Gramsci, ci si è abbassati in un atteggiamento cattolico e paternali- stico (cattolico nel senso appunto gramsciano del termine) al loro livel- lo, non dando loro le chiavi per l’in- terpretazione del mondo. Il che ha portato alla scuola italiana di oggi. Lei nel libro parla spesso di "masse as- soggettate alla paideia televisiva", di "ceti culturalmente svantaggiati, ormai privi di qualsiasi difesa di fronte al si- stema televisivo", di un necessario "ad- destramento" del cittadino al pensie- ro critico e così via. Che i media eserci- tino un controllo mirato sul pensiero della gente è fuori discussione, ma for- se a volte il suo libro forza un po’ trop- po in questo senso, dando l’impressio- ne che le persone siano fanciulli inca- paci di intendere e di volere, il che pa- radossalmente rispecchia l’atteggia- mento assunto dai mass media nei con- fronti della gente. Non penso che il mio discorso vo- glia dire trattar male la gente o pen- sare che la gente non capisca; vuol di- re semplicemente rendersi conto della complessità da un lato del rea- le e dall’altro ancor più della presen- tazione del reale. Guy Debord, ne La società dello spettacolo (testo profeti- co per molti aspetti, di fine anni Ses- santa), fa un discorso che è una con- tinuazione del discorso marxista ag- giornato al Novecento. Dice Debord che la società dello spettacolo modi- fica la percezione del reale, del sé e del mondo. Bisogna stare molto attenti a far sì che chi ha la responsabilità di gestire le tv - che Popper definisce "agenzie pedagogiche involontarie" - siano persone che sanno quello che fanno e che sanno quello che fanno dentro un sistema di certezze garan- tite per tutti quanti, nel senso che ap- punto non deve essere permessa la manipolazione e tante altre cose. In- vece in un sistema di libero mercato la televisione viene gestita come ve- diamo per esempio oggi in Italia. Tornando alla sua formula "formazio- ne e informazione": credo che sia con- divisibile e auspicabile. Tuttavia, viste le premesse strutturali e non solo, ri- manda ogni discorso di intervento sul- l’attualità ad un futuro che non sappia- mo quando e se sarà. Mi spiego: lei ha scelto di considerare soprattutto gior- nali come il "Corriere della sera" e "Re- pubblica" e il tg della Rai. Una scelta che capisco perfettamente, trattando- si dei canali a più larga diffusione na- zionale e quindi di maggior influenza. Allo stesso tempo ha scelto di non con- siderare le versioni online dei medesi- mi giornali, né i canali cosiddetti di "controinformazione" - penso a riviste come "Diario", "MicrOmega" o "Anti- mafia Duemila", a periodici online co- me democrazialegalità.it (diretto da Elio Veltri) a blog come quello di Bep- pe Grillo ecc. - che stanno attirando sempre più lettori ormai stanchi di un giornalismo che, perso nei meandri di un mondo virtuale da lui stesso creato, non parla più del paese reale. Non cre- de che il discorso alternativo immedia- to non possa che passare da questi ca- nali, dove cioè non si presuppone più un cittadino beòta che passivamente su- bisce le informazioni, ma un cittadino adulto, capace di intendere e di volere, che le informazioni se le va a cercare da sé, ora e subito? Certo, queste cose mi interessano molto. Uno degli effetti pratici subi- to dopo la pubblicazione del mio li- bro è che sono stato contattato dal- l’On Giulietto Chiesa per il suo por- tale di controinformazione "Mega- chip" [www.megachip.info, ndr], do- ve scrivo dei pezzi. Dunque, della controinformazione penso tutto il be- ne possibile. Il problema è che non bi- sogna sopravvalutare, in democrazia, l’impatto quantitativo di questo tipo di fenomeni, nel senso che il Tg1 spo- sta molto di più in termini di voti che non questo tipo di canali importan- tissimi, certo, ai quali però hanno ac- cesso persone già convinte del fatto che c’è qualcosa da cambiare. Il gros- so problema della teledipendenza, come mostrano anche interessanti studi sociologici, è che essa di per sé si correla con una tendenza pronun- ciata ad accettare le cose come van- no: la Tv, in altre parole, è una scuo- la di conformismo quasi di per sé. Poi certamente ci sono le eccezioni come la Tv usata per esempio per "istruire" come si faceva all’inizio con i pro- grammi per l’alfabetizzazione negli anni Cinquanta ecc. Quelli però era- no programmi, così come oggi una Tv di nicchia come ARTE, che usavano la Tv come se fosse un libro "poten- ziato". Dunque, i canali di con- troinformazione sono importantissi- mi, ma non possono essere un prius, nel senso che prima noi dobbiamo fa- re sì che si ampli la cerchia delle per- sone che sono così attive nei confron- ti di quello che gli succede intorno, da maturare l’intenzione di accedere a quei canali. Questo diventa difficile, se noi facciamo sì che la scuola con- tinui ad andare in Italia in direzione del "leggiamo sempre meno, allegge- riamo i contenuti disciplinari, non controlliamo (eliminazione degli esa- mi di riparazione ecc.)", quindi in di- rezione di una linea lassista che met- te in secondo piano la lettura e spo- sta l’accento su parole d’ordine assur- de. Ad esempio "alfabetizzazione informatica dalla seconda elementa- re". Che cosa vuol dire? Vuol dire di fatto mettere i bambini davanti al vi- deo, invece che davanti ai libri, per- ché ai bambini di seconda elementa- re non si insegna certo l’informatica. E poi le generazioni che non hanno fatto un percorso scolastico in cui c’e- ra l’alfabetizzazione informatica, co- munque sanno usare perfettamente i nuovi media, se ne hanno la dispo- nibilità economica. Non c’è bisogno che sia la scuola che pone l’accento su questo. Facendolo la scuola è ser- vile rispetto a interessi che sono poi interessi economici. di ALESSANDRO BOSCO "Sono convinto che, nonostante i sondaggi presentati dal presidente del Consiglio a "Porta a Porta", la diffe- renza a favore di Romano Prodi sia notevole perché gli italiani tutti i gior- ni verificano come va la Borsa, cioè quella della spesa. Ma il popolo de- gli indecisi è ancora numeroso, quin- di a determinare chi governerà l’Ita- lia saranno ancora una volta le tele- visioni". Queste parole di Enzo Bia- gi, apparse sul "Corriere della sera" del 12 marzo, sintetizzano un po’ quella che è la premessa all’ultimo li- bro di Michele Loporcaro, linguista e docente all’Università di Zurigo. Il fat- to che in Italia, rispetto agli altri pae- si europei, si legga pochissimo ("una buona metà della popolazione non legge mai i giornali" sottolinea Lopor- caro), fa del mezzo televisivo il prin- cipale canale di informazione degli italiani, esponendoli in tal modo acriticamente alla rappresentazione del mondo che passa per la televisio- ne. Ecco perché non basta più, secon- do Loporcaro, quello che Biagi qui chiama il verificare tutti i gironi "co- me va la borsa, cioè quella della spe- sa". Non basta più cioè guardare la realtà che ci circonda, e sarebbe un errore - sostiene sempre l’autore - sot- tovalutare l’incidenza dei mass me- dia sul nostro modo di vedere e di giu- dicare il mondo. Partendo da questa premessa di fondo, Cattive notizie, così s’intitola il libro (Feltrinelli, 2005), denuncia lo stato dei mass media italiani e in par- ticolare dei (tele)giornali. Argomen- tando sulla base di un’attenta e rive- latrice analisi linguistica di Tg e gior- nali, Loporcaro mette a nudo un gior- nalismo inetto e servile, affermando come la televisione, e in particolare l’informazione televisiva (cioè il tg), "sia uno dei problemi più seri della società italiana". "Cattive notizie" quindi, e in due sen- si. Da un lato il fenomeno delle noti- zie dei telegiornali sempre meno no- tizie e sempre più racconti, fiction, in- trattenimento, spettacolo, "di-verti- mento": insomma "notizie come mi- to" - per usare la definizione di Lopor- caro - cioè notizie che tutto sono, fuorché informazione e che invece di suscitare una riflessione critica susci- tano emozione e quindi irrazionalità. "Cattive notizie" queste (ecco il se- condo senso del titolo) per il norma- le funzionamento di una democrazia, il cui cardine è una comunità dotata di coscienza critica, di razionalità, ba- se imprescindibile per l’attiva parte- cipazione al vivere associato demo- cratico. Una tesi portante del libro è appunto che in Italia i giornali e so- prattutto la televisione, di gran lun- ga la principale fonte di (dis)informa- Il fatto che in Italia, rispetto agli altri paesi europei, si legga pochissimo fa del mezzo televisivo, e questo con grandi rischi, il principale canale di informazione degli italiani, un popolo passato repentinamente dall’analfabetismo di massa alla teledipendenza. Con la servilità della scuola rispetto ad interessi economici lei tocca un fenomeno molto inquietan- te, di cui si fanno peraltro le spese anche in Sviz- zera. Penso per esempio alla svalutazione delle di- scipline umanistiche nei licei a favore di materie che si dicono "utili", tipo scienze economiche o un inglese ridotto a lingua dell’economia. Sì, perché qui c’è stato proprio un grande cambio di retorica ufficiale da parte di chi de- tiene il potere di orientare in questo senso, per esempio tutti i responsabili dei ministeri dell’i- struzione. La retorica tradizionale, diciamo fi- no ancora alla metà del Novecento, era quella della formazione "gratuita". L’istruzione era un grande gioco in senso positivo e questo conti- nuava direttamente quel modo di vedere la cul- tura che sta all’origine dello sviluppo delle arti e delle lettere nell’occidente, la cosiddetta "mentalità antibanàusica", un termine greco che vuol dire appunto una mentalità "svinco- lata da finalità economiche", e se non ci fosse stata questa mentalità dei greci noi non avrem- mo la filosofia, le arti, ma non avremmo nean- che la geometria euclidea, cioè non avremmo niente di quel paradigma che nel bene e nel ma- le poi l’occidente ha imposto all’intero piane- ta. Nella seconda metà del Novecento questa li- nea è andata completamente in crisi. Da un la- to per un attacco da sinistra, l’attacco di chi di- ceva "questo pacchetto formativo vale solo per le élites e non può servire per la popolazione, se le masse entrano nel circuito dell’istruzione, com’è giusto che entrino". Dall’altro quest’at- tacco da sinistra si è saldato, semplificando mol- to, con un attacco da destra che è quello del pa- neconomicismo, che dice "fare solo quello che serve immediatamente" per l’affermazione sul fronte poi del guadagno, in fin dei conti. Ecco, combinate queste due cose e fatte proprie, co- me succede dagli anni Sessanta in poi, da tut- ti i riformatori in tutti i sistemi scolastici e uni- versitari europei (con accenti un po’ diversi) ab- biamo dei risultati che sono quelli insomma. I paesi dove questo tipo di attacco all’istruzione non è stato così efficace, sono i paesi che an- cora oggi vanno meglio. Nello studio OCSE per esempio, nei quattro ambiti di competenza (scrittura, matematica, scienze e soluzioni di problemi) il Giappone e la Corea non solo han- no i migliori risultati (mentre l’Italia è sempre nel terzo di coda e i mass media ne parlano po- chissimo), ma hanno anche la minor distanza tra i migliori e i peggiori. Il che vuol dire che non è che fanno delle cose molto selettive per cac- ciar fuori più gente possibile; fanno delle cose che giustamente richiedono molto impegno da parte del discente, e questo non è assolutamen- te in contraddizione con un’ottica invece di al- largamento degli strumenti. Tant’è vero che i co- reani, in generale gli asiatici, forniscono la ma- teria prima ai dottorati americani, sempre di più; vuol dire che hanno una scuola che funzio- na, diversamente dagli Stati Uniti per esempio. Un’ultima riflessione, per chiudere, che vorrebbe ri- prendere alcuni punti di questa chiacchierata per far- li apparire all’interno di un fenomeno più vasto che Frank Furedi ha descritto in un suo recente libro dal titolo «Where have all the intellectuals gone?». Mi riferisco al discorso della «politics of inclusion» o degli abbassamenti degli standard, che non solo ha portato alla scomparsa della figura dell’intellettua- le impegnato, ma anche a parlare alla gente come se si stesse parlando a dei bambini. Ecco, Furedi so- stiene appunto che la sfida dell’intellettuale oggi è di non rivolgersi alla gente come a dei bambini, ma appunto come a persone adulte. Verissimo, sì. C’è anche una bellissima formu- lazione che è possibile in inglese e difficilmen- te traducibile in italiano. Furedi definisce quel- lo che è stato fatto negli ultimi decenni, in par- ticolare nel sistema dell’istruzione ma in gene- rale a livello di rapporto istituzionale con le mas- se in tutte le sedi - e il discorso dell’informazio- ne c’entra anch’esso - un "dumbing down". Si potrebbe tradurre "abbassare istupidendo". Ed è effettivamente quello che è successo. Sono perfettamente d’accordo con Furedi. Michele Loporcaro, Cattive notizie. La retorica senza lumi dei mass media italiani, Milano, Feltrinelli, 2005. Colpevole livellamento verso il basso ISTRUZIONE Michele Loporcaro, al centro nella foto, durante la presentazione del libro al Parlamento Europeo l’11 novembre scorso. Loporcaro è professore all’Università di Zurigo. È autore di saggi di linguistica, pubblicati in Italia e all’estero. L’informazione dei mass media italiani è fatta, strutturalmente, in modo da anestetizzare, anzi, da prevenire il formarsi di una pubblica opinione. Certa immediatezza è, in realtà, la cifra di uno stile che impone la semplificazione populistica anziché l’analisi. CORRIEREdegli ITALIANI SPECIALE MERCOLEDÌ 29 MARZO 2006 3

Transcript of FORMAZIONE E INFORMAZIONE ISTRUZIONE La retorica … · non questo tipo di canali importan-tissimi,...

FORMAZIONE E INFORMAZIONE A colloquio con Michele Loporcaro

La retorica senza lumi dei mass media italianiIn «Cattive notizie»,

edito da Feltrinelli,

Michele Loporcaro,

linguista e docente

all’Università di Zurigo,

argomentando sulla

base di un’attenta e

rivelatrice analisi

linguistica di Tg e

giornali, mette a nudo

un giornalismo inetto e

servile, affermando

come la televisione, e in

particolare

l’informazione televisiva

(cioè il tg), «sia uno dei

problemi più seri della

società italiana».

zione, mirino programmaticamentee ideologicamente non ad un’infor-mazione atta a formare una coscien-za critica nel cittadino, bensì ad evi-tare la formazione di qualsiasi pensie-ro critico. Un modo di fare informa-zione che Loporcaro definisce "poli-ticamente di stampo reazionario (e,al limite, totalitario)".

Professor Loporcaro, per uscire dall’o-scuro scenario presentato nel suo libro,Lei propone la formula "formazione einformazione": cioè da un lato una for-mazione scolastica di base di taglioumanistico e storico, dall’altro una rior-ganizzazione del settore delle comuni-cazioni all’insegna dell’etica. Ecco il senso della formula. Il gior-

nale progressivamente diminuiscelo spazio dei testi verbalizzati e au-menta lo spazio delle immagini a co-lori e dei caratteri cubitali, e così con-diziona il suo lettore facendo di lui unnon-lettore, consumatore di un pro-dotto nel quale la lettura - e quinditutto quello che attraverso la letturapassa (argomentazioni ecc.) - hannoun ruolo marginale. Una volta che siè condizionato in questo senso il let-tore, una volta che abbiamo una po-polazione che comunque - anche inquesta guisa - legge poco ed è inve-ce esposta massicciamente ai mezzitelevisivi ecc, come si fa a tornare in-dietro? La mia risposta è che non losi può fare dentro il sistema giorna-listico e basta: bisogna farlo su unascala più ampia, con un discorso dicosciente ingegneria sociale. Bisognacioè rilanciare la sfida dell’accultura-zione di massa, che in Italia è stataperduta drammaticamente. Invece dielevare il livello delle masse, come di-ceva Gramsci, ci si è abbassati in unatteggiamento cattolico e paternali-stico (cattolico nel senso appuntogramsciano del termine) al loro livel-lo, non dando loro le chiavi per l’in-terpretazione del mondo. Il che haportato alla scuola italiana di oggi.

Lei nel libro parla spesso di "masse as-soggettate alla paideia televisiva", di"ceti culturalmente svantaggiati, ormaiprivi di qualsiasi difesa di fronte al si-stema televisivo", di un necessario "ad-destramento" del cittadino al pensie-ro critico e così via. Che i media eserci-tino un controllo mirato sul pensierodella gente è fuori discussione, ma for-se a volte il suo libro forza un po’ trop-po in questo senso, dando l’impressio-ne che le persone siano fanciulli inca-paci di intendere e di volere, il che pa-radossalmente rispecchia l’atteggia-mento assunto dai mass media nei con-fronti della gente. Non penso che il mio discorso vo-

glia dire trattar male la gente o pen-sare che la gente non capisca; vuol di-re semplicemente rendersi contodella complessità da un lato del rea-

le e dall’altro ancor più della presen-tazione del reale. Guy Debord, ne Lasocietà dello spettacolo (testo profeti-co per molti aspetti, di fine anni Ses-santa), fa un discorso che è una con-tinuazione del discorso marxista ag-giornato al Novecento. Dice Debordche la società dello spettacolo modi-fica la percezione del reale, del sé e delmondo. Bisogna stare molto attenti afar sì che chi ha la responsabilità digestire le tv - che Popper definisce"agenzie pedagogiche involontarie"- siano persone che sanno quello chefanno e che sanno quello che fannodentro un sistema di certezze garan-tite per tutti quanti, nel senso che ap-punto non deve essere permessa lamanipolazione e tante altre cose. In-vece in un sistema di libero mercatola televisione viene gestita come ve-diamo per esempio oggi in Italia.

Tornando alla sua formula "formazio-ne e informazione": credo che sia con-divisibile e auspicabile. Tuttavia, vistele premesse strutturali e non solo, ri-manda ogni discorso di intervento sul-l’attualità ad un futuro che non sappia-mo quando e se sarà. Mi spiego: lei hascelto di considerare soprattutto gior-nali come il "Corriere della sera" e "Re-pubblica" e il tg della Rai. Una sceltache capisco perfettamente, trattando-si dei canali a più larga diffusione na-zionale e quindi di maggior influenza.Allo stesso tempo ha scelto di non con-siderare le versioni online dei medesi-mi giornali, né i canali cosiddetti di"controinformazione" - penso a rivistecome "Diario", "MicrOmega" o "Anti-mafia Duemila", a periodici online co-me democrazialegalità.it (diretto daElio Veltri) a blog come quello di Bep-pe Grillo ecc. - che stanno attirandosempre più lettori ormai stanchi di ungiornalismo che, perso nei meandri diun mondo virtuale da lui stesso creato,non parla più del paese reale. Non cre-de che il discorso alternativo immedia-to non possa che passare da questi ca-nali, dove cioè non si presuppone più uncittadino beòta che passivamente su-bisce le informazioni, ma un cittadinoadulto, capace di intendere e di volere,che le informazioni se le va a cercare dasé, ora e subito? Certo, queste cose mi interessano

molto. Uno degli effetti pratici subi-to dopo la pubblicazione del mio li-bro è che sono stato contattato dal-l’On Giulietto Chiesa per il suo por-tale di controinformazione "Mega-chip" [www.megachip.info, ndr], do-ve scrivo dei pezzi. Dunque, dellacontroinformazione penso tutto il be-ne possibile. Il problema è che non bi-sogna sopravvalutare, in democrazia,l’impatto quantitativo di questo tipodi fenomeni, nel senso che il Tg1 spo-sta molto di più in termini di voti chenon questo tipo di canali importan-tissimi, certo, ai quali però hanno ac-

cesso persone già convinte del fattoche c’è qualcosa da cambiare. Il gros-so problema della teledipendenza,come mostrano anche interessantistudi sociologici, è che essa di per sési correla con una tendenza pronun-ciata ad accettare le cose come van-no: la Tv, in altre parole, è una scuo-la di conformismo quasi di per sé. Poicertamente ci sono le eccezioni comela Tv usata per esempio per "istruire"come si faceva all’inizio con i pro-grammi per l’alfabetizzazione neglianni Cinquanta ecc. Quelli però era-no programmi, così come oggi una Tvdi nicchia come ARTE, che usavanola Tv come se fosse un libro "poten-ziato". Dunque, i canali di con-troinformazione sono importantissi-mi, ma non possono essere un prius,nel senso che prima noi dobbiamo fa-re sì che si ampli la cerchia delle per-sone che sono così attive nei confron-ti di quello che gli succede intorno, damaturare l’intenzione di accedere aquei canali. Questo diventa difficile,se noi facciamo sì che la scuola con-tinui ad andare in Italia in direzionedel "leggiamo sempre meno, allegge-riamo i contenuti disciplinari, noncontrolliamo (eliminazione degli esa-mi di riparazione ecc.)", quindi in di-rezione di una linea lassista che met-te in secondo piano la lettura e spo-sta l’accento su parole d’ordine assur-de. Ad esempio "alfabetizzazioneinformatica dalla seconda elementa-re". Che cosa vuol dire? Vuol dire difatto mettere i bambini davanti al vi-deo, invece che davanti ai libri, per-ché ai bambini di seconda elementa-re non si insegna certo l’informatica.E poi le generazioni che non hannofatto un percorso scolastico in cui c’e-ra l’alfabetizzazione informatica, co-munque sanno usare perfettamentei nuovi media, se ne hanno la dispo-nibilità economica. Non c’è bisognoche sia la scuola che pone l’accentosu questo. Facendolo la scuola è ser-vile rispetto a interessi che sono poiinteressi economici.

di ALESSANDRO BOSCO

"Sono convinto che, nonostante isondaggi presentati dal presidente delConsiglio a "Porta a Porta", la diffe-renza a favore di Romano Prodi sianotevole perché gli italiani tutti i gior-ni verificano come va la Borsa, cioèquella della spesa. Ma il popolo de-gli indecisi è ancora numeroso, quin-di a determinare chi governerà l’Ita-lia saranno ancora una volta le tele-visioni". Queste parole di Enzo Bia-gi, apparse sul "Corriere della sera"del 12 marzo, sintetizzano un po’quella che è la premessa all’ultimo li-bro di Michele Loporcaro, linguista edocente all’Università di Zurigo. Il fat-to che in Italia, rispetto agli altri pae-si europei, si legga pochissimo ("unabuona metà della popolazione nonlegge mai i giornali" sottolinea Lopor-caro), fa del mezzo televisivo il prin-cipale canale di informazione degliitaliani, esponendoli in tal modoacriticamente alla rappresentazionedel mondo che passa per la televisio-ne. Ecco perché non basta più, secon-do Loporcaro, quello che Biagi quichiama il verificare tutti i gironi "co-me va la borsa, cioè quella della spe-sa". Non basta più cioè guardare larealtà che ci circonda, e sarebbe unerrore - sostiene sempre l’autore - sot-tovalutare l’incidenza dei mass me-dia sul nostro modo di vedere e di giu-dicare il mondo.

Partendo da questa premessa difondo, Cattive notizie,così s’intitola illibro (Feltrinelli, 2005), denuncia lostato dei mass media italiani e in par-ticolare dei (tele)giornali. Argomen-tando sulla base di un’attenta e rive-latrice analisi linguistica di Tg e gior-nali, Loporcaro mette a nudo un gior-nalismo inetto e servile, affermandocome la televisione, e in particolarel’informazione televisiva (cioè il tg),"sia uno dei problemi più seri dellasocietà italiana"."Cattive notizie" quindi, e in due sen-si. Da un lato il fenomeno delle noti-zie dei telegiornali sempre meno no-tizie e sempre più racconti, fiction, in-trattenimento, spettacolo, "di-verti-mento": insomma "notizie come mi-to" - per usare la definizione di Lopor-caro - cioè notizie che tutto sono,fuorché informazione e che invece disuscitare una riflessione critica susci-tano emozione e quindi irrazionalità."Cattive notizie" queste (ecco il se-condo senso del titolo) per il norma-le funzionamento di una democrazia,il cui cardine è una comunità dotatadi coscienza critica, di razionalità, ba-se imprescindibile per l’attiva parte-cipazione al vivere associato demo-cratico. Una tesi portante del libro èappunto che in Italia i giornali e so-prattutto la televisione, di gran lun-ga la principale fonte di (dis)informa-

Il fatto che in Italia, rispetto agli altri paesi europei, si legga pochissimo fa del mezzo televisivo, e questo con grandi rischi, ilprincipale canale di informazione degli italiani, un popolo passato repentinamente dall’analfabetismo di massa alla teledipendenza.

Con la servilità della scuola rispetto ad interessieconomici lei tocca un fenomeno molto inquietan-te, di cui si fanno peraltro le spese anche in Sviz-zera. Penso per esempio alla svalutazione delle di-scipline umanistiche nei licei a favore di materieche si dicono "utili", tipo scienze economiche o uninglese ridotto a lingua dell’economia.Sì, perché qui c’è stato proprio un grande

cambio di retorica ufficiale da parte di chi de-tiene il potere di orientare in questo senso, peresempio tutti i responsabili dei ministeri dell’i-struzione. La retorica tradizionale, diciamo fi-no ancora alla metà del Novecento, era quelladella formazione "gratuita". L’istruzione era ungrande gioco in senso positivo e questo conti-nuava direttamente quel modo di vedere la cul-tura che sta all’origine dello sviluppo delle artie delle lettere nell’occidente, la cosiddetta"mentalità antibanàusica", un termine grecoche vuol dire appunto una mentalità "svinco-lata da finalità economiche", e se non ci fossestata questa mentalità dei greci noi non avrem-mo la filosofia, le arti, ma non avremmo nean-che la geometria euclidea, cioè non avremmoniente di quel paradigma che nel bene e nel ma-le poi l’occidente ha imposto all’intero piane-ta. Nella seconda metà del Novecento questa li-nea è andata completamente in crisi. Da un la-to per un attacco da sinistra, l’attacco di chi di-ceva "questo pacchetto formativo vale solo perle élites e non può servire per la popolazione,se le masse entrano nel circuito dell’istruzione,com’è giusto che entrino". Dall’altro quest’at-tacco da sinistra si è saldato, semplificando mol-to, con un attacco da destra che è quello del pa-neconomicismo, che dice "fare solo quello cheserve immediatamente" per l’affermazione sulfronte poi del guadagno, in fin dei conti. Ecco,combinate queste due cose e fatte proprie, co-me succede dagli anni Sessanta in poi, da tut-ti i riformatori in tutti i sistemi scolastici e uni-versitari europei (con accenti un po’ diversi) ab-biamo dei risultati che sono quelli insomma. Ipaesi dove questo tipo di attacco all’istruzionenon è stato così efficace, sono i paesi che an-cora oggi vanno meglio. Nello studio OCSE peresempio, nei quattro ambiti di competenza(scrittura, matematica, scienze e soluzioni diproblemi) il Giappone e la Corea non solo han-no i migliori risultati (mentre l’Italia è semprenel terzo di coda e i mass media ne parlano po-chissimo), ma hanno anche la minor distanzatra i migliori e i peggiori. Il che vuol dire che nonè che fanno delle cose molto selettive per cac-ciar fuori più gente possibile; fanno delle coseche giustamente richiedono molto impegno daparte del discente, e questo non è assolutamen-te in contraddizione con un’ottica invece di al-largamento degli strumenti. Tant’è vero che i co-reani, in generale gli asiatici, forniscono la ma-teria prima ai dottorati americani, sempre dipiù; vuol dire che hanno una scuola che funzio-na, diversamente dagli Stati Uniti per esempio.

Un’ultima riflessione, per chiudere, che vorrebbe ri-prendere alcuni punti di questa chiacchierata per far-li apparire all’interno di un fenomeno più vasto cheFrank Furedi ha descritto in un suo recente libro daltitolo «Where have all the intellectuals gone?». Miriferisco al discorso della «politics of inclusion» odegli abbassamenti degli standard, che non solo haportato alla scomparsa della figura dell’intellettua-le impegnato, ma anche a parlare alla gente comese si stesse parlando a dei bambini. Ecco, Furedi so-stiene appunto che la sfida dell’intellettuale oggiè di non rivolgersi alla gente come a dei bambini,ma appunto come a persone adulte.Verissimo, sì. C’è anche una bellissima formu-

lazione che è possibile in inglese e difficilmen-te traducibile in italiano. Furedi definisce quel-lo che è stato fatto negli ultimi decenni, in par-ticolare nel sistema dell’istruzione ma in gene-rale a livello di rapporto istituzionale con le mas-se in tutte le sedi - e il discorso dell’informazio-ne c’entra anch’esso - un "dumbing down". Sipotrebbe tradurre "abbassare istupidendo". Edè effettivamente quello che è successo. Sonoperfettamente d’accordo con Furedi.

Michele Loporcaro, Cattive notizie. La retorica senza

lumi dei mass media italiani, Milano, Feltrinelli, 2005.

Colpevolelivellamentoverso il basso

ISTRUZIONE

Michele Loporcaro, al centro nella foto, durantela presentazione del libro al Parlamento Europeol’11 novembre scorso. Loporcaro è professoreall’Università di Zurigo. È autore di saggi dilinguistica, pubblicati in Italia e all’estero.

L’informazione dei mass media

italiani è fatta, strutturalmente,

in modo da anestetizzare, anzi,

da prevenire il formarsi di una

pubblica opinione. Certa

immediatezza è, in realtà, la cifra

di uno stile che impone la

semplificazione populistica

anziché l’analisi.

CORRIEREdegliITALIANI SPECIALE MERCOLEDÌ 29 MARZO 2006 3