E cadde la neve

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Questa è la storia di Johnny e Diane Laski, di uno scultore e di sua moglie, del loro desiderio di mettere al mondo il loro amore. Sullo sfondo, un freddo inverno del Maine. Con il linguaggio di un poeta, William Kotzwinkle racconta il viaggio della coppia verso l’ospedale, il lungo travaglio, e il dolore di un parto senza vita. Infrange coraggiosamente l’immaginario delle gravidanze felici accorciando la distanza che separa la nascita di un bambino dalla sua morte. Eppure, questo libro così piccolo custodisce la speranza dei grandi: “Siamo solo noi due, ancora una volta”, dice Johnny a sua moglie mentre stanno tornando a casa dall’ospedale. In loro, c’è già il germoglio inconsapevole di un nuova partenza. Un inizio che, come scrisse Platone, “è come un dio, che fi ntanto che abita tra gli uomini salva tutto”.

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E CADDE LA NEVE

Titolo originale: Swimmer in the Secret SeaCopyright © 1975 by William KotzwinkleTUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2012 zero91 s.r.l., Milano

This edition is published in agreement with the author,c/o BAROR INTERNATIONAL, INC., Armonk, New York, U.S.A.

Prima edizione: marzo 2012

Traduzione di Costantino MargiottaRealizzazione editoriale: Simone BertelegniCopertina © Mark Owen /Arcangel Images

ISBN 978–88–95381–48-0

La riproduzione di parti di questo testo, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza autorizzazione scritta è severamente vietata, fatta eccezione per brevi citazioni in articoli o saggi.

Stampato in Italia nel mese di marzo 2012presso GECA S.p.A. – Cesano Boscone (MI)www.gecaonline.it

Questo libro è stampato su carta FSC amica delle foreste. Il logo FSC identifi ca prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali defi niti dal Forest Stewardship Council.

www.zero91.com

La casa editrice è impegnata contro l’editoria a pagamento.

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WILLIAM KOTZWINKLE

E CADDE LA NEVEromanzo

traduzione di Costantino Margiotta

{zeroI91}

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«Johnny, mi si sono rotte le acque!»Laski emerse da un mare fatto di sogni, cercando

la superfi cie. Il mare era scuro e alcune creature iri-descenti avanzavano verso di lui. Improvvisamente una di esse esplose emanando un bagliore accecan-te. Laski si svegliò e si mise a sedere sul letto. Diane aveva la mano poggiata sull’abat-jour e stava fi ssan-do la macchia che si spandeva sulle lenzuola.

«Ci siamo» disse. «Preparati.» Era già stato colto dalla prima ondata di panico, che gli aveva accelera-to il battito e provocato pelle d’oca e brividi.

«Sarebbe meglio se mi mettessi un assorbente» disse Diana. «Sto bagnando dappertutto.»

Lui la sorresse per un braccio e l’aiutò a scendere le scale. Anche lei iniziò a tremare; tremarono en-

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trambi quando passarono davanti alla fi nestra e os-servarono la foresta coperta di neve. L’immobilità degli alberi lo rasserenò, e si fermò insieme alla mo-glie sul pianerottolo per dissetarsi del bianco nettare sprigionato dalla luna. Il suo tremore si attenuò, ma non quello di Diana, così l’accompagnò al bagno. Camminava ricurva, con le braccia a cingere il ventre rigonfi o, l’epicentro di quel terremoto. Lui l’aiutò a sedersi sul water, quindi aprì uno stipetto e prese una coperta. Gliel’avvolse intorno e iniziò a sfregarle le mani e le braccia, cercando di generare calore.

Lei lo guardò, le battevano i denti. Laski non si aspettava che sarebbe andata così, loro due sorpresi e sballottati come bambole di pezza. Avevano studia-to attentamente i manuali sulla gravidanza ed esegui-to con regolarità gli esercizi, e lui pensava che quello che sarebbe accaduto dopo sarebbe stato un naturale proseguimento di quanto avevano letto. Invece non c’era stata nessuna progressione. Improvvisamente si erano ritrovati trascinati sopra un letto di pietre. Gli occhi di sua moglie assomigliavano a quelli di un bambino, stupiti e terrorizzati, ma la voce di lei rima-neva calma e questo gli fece capire che era pronta, nonostante la paura e il battere dei denti.

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«Adesso posso controllare il fl usso delle acque» disse. «Riesco a fermarle.»

«Vado a riscaldare il motore del pick-up.» Uscì nella neve. Oltre le cime offuscate degli alberi brilla-va l’enorme volta celeste e il pick-up, illuminato dal-la luna, era ricoperto da un sottile strato di ghiaccio luccicante. Aprì la portiera e si sedette, tirando l’a-ria e girando la chiave.

L’accensione emise un gemito che venne raccolto dalla fredda mano del vento del Nord. «Andiamo» disse Laski in modo sommesso, facendo appello all’animo buono del veicolo, quel bestione da mez-za tonnellata che non lo aveva mai tradito. Cercò di cogliere un segnale di vita in quel gemito, e quando lo percepì pigiò di colpo l’acceleratore, risvegliando del tutto il mezzo. «Posso sempre contare su di te.» In un posto così a nord, qualunque motore pote-va congelarsi, qualsiasi batteria scaricarsi, ed erano nel fi tto della foresta, a una ventina di chilometri dall’altro veicolo più vicino. Aveva visto qualcuno accendere un fuoco sotto il motore, e udito impre-cazioni fl uttuare nell’aria durante le notti del Nord, a mano a mano che il tempo passava e ogni idea fi ni-va in un nulla di fatto e nessuno andava da nessuna

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parte. Mantenne l’aria tirata per far salire di giri il motore più in fretta, accese il riscaldamento e uscì dal veicolo ritrovandosi nella neve. I fumi di scarico del pick-up erano l’unica nuvola a stagliarsi contro la luna splendente. Lui l’attraversò e rientrò nella baita, poggiata sulla neve come una piccola lanterna nell’immensità della natura selvaggia e inaccessibile.

Diane stava ancora tremando nel bagno, il ventre prominente sotto la camicia da notte. L’aiutò a salire le scale per ritornare in camera da letto, dove lei iniziò a vestirsi, con movimenti regolari, ma sem-pre tremante. A Laski sembrava che ci fossero due Diane distinte: una che tremava come una foglia, e un’altra calma e risoluta come un’anziana levatrice. Lui percepì la stessa doppia personalità anche in se stesso mentre afferrava la valigia e scendeva le scale. La sua mano tremava e il cuore rullava nel petto, ma un’altra parte di lui era calma e salda come un vec-chio albero. La sua parte tranquilla sembrava dimo-rare in alcune zone del corpo che Laski non sapeva identifi care. Le budella gli si attorcigliavano, il cer-vello correva a tutta velocità, le gambe tremavano, ma da qualche parte dentro di lui regnava la pace.

Iniziò a calpestare la neve. Il pick-up era anco-

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ra acceso. Chiuse lentamente l’aria fi no a quando il motore iniziò a girare normalmente. Voltandosi, vide Diane attraverso la fi nestra che dava sulla stan-za da letto, la sua pancia enorme che la precedeva. Si muoveva lentamente e prestando attenzione. Lui sapeva che lei avrebbe indossato i vestiti che aveva scelto per l’occasione, che li avrebbe trovati pro-prio dove voleva che fossero. La vita di Laski era un groviglio di vestiti lanciati in ogni direzione, di scarpe che danzavano in angoli improbabili, niente era dove avrebbe dovuto essere.

Ritornò in casa, raggiungendola nel bagno.«Come ti senti?»«Le contrazioni sono ricominciate.»«Cosa provi?»«Non posso descriverlo.»L’aiutò a scendere le scale fi no all’uscio, si fermò

e lanciò uno sguardo verso la cucina. Lei aveva ras-settato tutto, non c’era nient’altro da fare. Si chiuse le porte alle spalle e l’aiutò a raggiungere il pick-up. Diane si sedette e lui l’avvolse in una coperta.

Il veicolo era tiepido e percorreva con facilità il sentiero ricoperto di neve, che fendeva gli alti pini. Arrivato alla cima del viottolo svoltò, immettendo-

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si in una strada stretta. L’avevano percorsa a piedi molte volte durante l’inverno, facendo fi nta che il bambino fosse già nato e dondolasse in mezzo a loro, come un trapezista, afferrando le mani di en-trambi, mentre lo facevano oscillare su e giù lungo il sentiero.

La strada attraversò un enorme campo ricoperto di neve nel quale si intravedeva un carro che ave-va intrapreso il suo viaggio verso il nulla, che stava marcendo, con le ruote sommerse a metà nella neve.

«Mi sentirei più al sicuro se non andassi così ve-loce.»

Lui rallentò. Un minuto, dieci minuti in più non avrebbero fatto la differenza. Sapevano quanto sa-rebbe durata la prima fase del travaglio.

C’era il ghiaccio sotto la neve e le ruote del pick-up non avevano una perfetta aderenza, ma lui sa-peva come guidare su quelle strade, rallentando in curva e non sollecitando troppo i freni. Su entrambi i lati della carreggiata c’erano fossi per il defl usso dell’acqua durante il disgelo primaverile, ma in quel momento erano colmi di neve e sarebbe stato facile scivolarvi dentro e rimare bloccati per tutta la notte. Ogni inverno Laski aveva aiutato forestieri a uscire

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dai fossati, sudando, slittando, ansimando e trainan-do. Era divertente, ma non quella notte.

Lungo una curva c’era la vecchia scuola fatta di una sola stanza, dimenticata sotto la luna. Scalò la marcia, affrontando la curva in seconda, pensando ai bambini con i cappellini e i pantaloncini e le bam-bine vestite di percalle, molto tempo prima, quan-do scendevano dalla collina per dirigersi verso la scuola. Superò la curva, lasciandosi i fantasmi alle spalle, con il loro infi nito incedere attraverso un se-colo sepolto.

La strada si snodava tra i pini, che formavano un’alta muraglia ai lati della carreggiata. «Il vecchio Ben è sveglio» disse Laski, indicando con un cenno del capo una fattoria malandata in mezzo agli albe-ri. Molte delle fi nestre avevano i vetri in frantumi e il complesso assomigliava a tutte le altre fattorie abbandonate della zona, fatta eccezione per una piccola luce tremolante che proveniva dall’unica stanza che il vecchio taglialegna aveva sigillato per proteggersi dagli elementi naturali.

Diane lanciò uno sguardo in direzione del-la luce. Anche lei era un’eremita e le piaceva il vecchio Ben. Aveva una brutta reputazione in

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paese vivendo in quel modo, così distante dall’or-dine costituito della civiltà. Ma il vecchio, aven-do vissuto tutta la vita tra i boschi, era capace di costruire – con il legno – qualunque ogget-to: violini, barche, racchette da neve. Laski vide un’ombra muoversi nell’oscurità: il cane del vec-chio Ben, che fi utava tra la neve. Il pick-up arri-vò a un’altra curva, vicino al fi ume che sgorgava dall’oscurità, con il suo manto ghiacciato che ri-splendeva sotto la luna. Laski seguì l’ansa del fi u-me fi no a quando questa scivolò tra gli alberi, a intrecciare un filo argentato attraverso i rami scuri.

Apparvero un’altra radura e una piccola baracca di legno. Era un capanno per “sportivi”, era così che i canadesi che abitavano nei boschi chiamava-no gli americani che utilizzavano quelle casette per un’intera settimana per pescare, cacciare e vivere in modo spartano. Laski si ricordò di quando, molto tempo prima, lui e suo padre stavano pescando, pi-lotando una barca a motore durante un luminoso mattino lungo un fi ume ampio e serpeggiante. Laski ebbe subito la sensazione di essere lui stesso il fi u-me, gli alberi, il sole e il vento.

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Sfi orò una spalla di Diane. Stava tremando den-tro il suo pesante cappotto, e lui sapeva che non era il caso di chiederle nuovamente come si sentiva.

Si lasciarono alle spalle, nel buio, il capanno per “sportivi” americani. Gli abitanti del paese avevano pensato che anche lui e Diane fossero degli “spor-tivi”, fi no a quando scoprirono che, invece, erano artisti. Non avendo mai ospitato dalle loro parti personaggi così estrosi, fatta eccezione per il vec-chio Coleman Johns – l’inventore pazzo che aveva costruito tutto da solo una mungitrice automatica e che aveva promesso di fare un viaggio sulla luna grazie ad alcuni magneti inseriti nei pantaloni – la gente del paese li aveva lasciati in pace. Qualcuno sosteneva che Laski, con la barba fi tta e gli occhiali di metallo, assomigliasse così tanto al vecchio Cole-man da poter essere benissimo suo fratello gemello. Ogni volta che Laski passava accanto alle fonda-menta in rovina di quella che una volta era stata la casa di Coleman, veniva sopraffatto da una strana nostalgia, come se lui e l’inventore pazzo avessero condiviso la stessa percezione di questa terra vasta, che faceva costruire agli uomini oggetti strani sotto la luna.

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Le sculture di Laski erano incontestabilmente singolari. La foresta era piena di raffi gurazioni di Diane, il suo volto di inconsueta bellezza appari-va gradualmente su ceppi di legno o sulle rocce. Vecchi alberi morti dai rami ingrigiti e spogli era-no divenuti Diane danzanti, come ninfe dei boschi. Alla fi ne, l’asfi ssiante intreccio delle erbacce aveva rivestito le statue di un abito verde; luminose perle e bottoni di bacche si incastonavano sulle braccia e sulle gambe, impreziosendole per renderle parte del sogno infi nito degli immensi cipressi.

«Ho contrazioni a intervalli di dieci minuti.»Laski pigiò ancora più forte il piede sull’accelera-

tore. Il bambino stava per nascere.Una luce spettrale saettò di fronte a Laski, sbu-

cando dall’oscurità vicino al cimitero di campagna dove era sepolto Coleman Johns e dove i fari del pick-up avevano illuminato la sommità di una vec-chia lapide. Le ruote posteriori sterzarono brusca-mente in curva facendo sferzare il veicolo come una frusta prima di rimettersi in carreggiata. Poi le tene-bre rivendicarono ancora una volta il cimitero e la strada si infi lò nel bosco.

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«Ostetricia?» domandò sorridendo l’impiegata dell’accettazione. «Posso avere i vostri documenti?»

Diane li estrasse dalla borsa. Un inserviente at-traversò la sala d’aspetto con una sedia a rotelle e Diane ci si sedette sopra, l’ispida coperta di lana sempre addosso. Laski guardò l’impiegata.

«Adesso l’infermiere si prenderà cura di sua mo-glie, lei la potrà raggiungere tra qualche minuto, si-gnore. Ho dei moduli da farle compilare.»

Laski toccò la mano di Diane, lei lo guardò sor-ridente ma distante, mentre l’infermiere girava la sedia e la portava via.

L’impiegata dell’accettazione infi lò una scheda nella macchina da scrivere e domandò a Laski alcu-ne informazioni riguardanti l’età, l’indirizzo e l’as-

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sicurazione – cose insignifi canti che lo trattennero in sala d’aspetto.

Un giovane ubriaco, un taglio sul viso e zuppo di pioggia, fece il suo ingresso, impettito, nella sala d’aspetto. Si diresse verso il banco dell’accettazio-ne, gli occhi vitrei. L’impiegata alzò lo sguardo. «La prego di accomodarsi» disse con freddezza.

Il giovane si sporse sul bancone, ma la ragazza lo ignorò, anche se stava sanguinando da una ferita sopra un occhio.

Laski incrociò lo sguardo del ragazzo, aspettan-dosi un atteggiamento ostile. Ma vide un bambino spaventato che faceva il duro. “Le infermiere gli faranno passare dei brutti momenti” pensò Laski, “poi il dottore gli darà dei punti e lui ritornerà nella notte da dove è venuto. Anche lui è stato un bam-bino appena nato attorno al quale si sono radunati tutti. Tempo prima il lieto evento è stato lui.”

Un vecchio entrò nella sala d’aspetto guardandosi intorno per alcuni istanti, fi no a quando i suoi oc-chi si posarono sul ragazzo. Si avvicinò lentamente, con l’andatura e l’atteggiamento simili a quelle del giovane.

«Cos’è successo?»

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«Niente» rispose il ragazzo, sprezzante.«Non ti vedo da un bel po’.»«Ho avuto da fare.»«Ti interesserebbe lavorare?»«Sì, certo.»«Puoi iniziare domani.»«Oh, no» rispose il ragazzo, scuotendo la testa e

toccandosi la ferita. «Non sarò in grado di fare nulla domani.»

I moduli vennero compilati. L’infermiere ritornò e Laski lo seguì lungo il corridoio, verso un ascen-sore. Proseguirono fi anco a fi anco, in silenzio, fi no a raggiungere un piano contrassegnato dalla scritta REPARTO DI OSTETRICIA. L’atrio era arredato con un divano e due sedie in pelle. Dietro di essi c’era una porta con sopra scritto SALA PARTO – INGRESSO VIETATO AI NON ADDETTI AI LAVORI.

L’infermiere se ne andò. Laski si sedette. “Que-sto è il posto dove aspettano tutti i padri.” Si alzò e iniziò a camminare lentamente, avanti e indietro. “Adesso anch’io sto camminando come un padre in attesa.”

Il rumore di una lucidatrice per pavimenti arrivò dal fondo del corridoio, da qualche parte fuori dal

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suo campo visivo: un fruscio e uno stridio di ruo-te, in avvicinamento. Laski rimase all’ascolto fi no a quando la vide. Era spinta da un uomo delle puli-zie in divisa. «Questa è la sua grande notte, non è vero?»

«Sì.»L’addetto annuì e proseguì oltre. “Lui li aveva

visti tutti” pensò Laski “li aveva visti arrivare e an-darsene, ogni notte… camminando avanti e indietro sul suo pavimento incerato.”

Un’anziana infermiera uscì dalla sala parto. Laski la guardò, ma in risposta lei gli scoccò un’occhiata gelida che gli strozzò nella gola tutte le domande che aveva. Ascoltò il rumore dei passi di lei dissol-versi lungo il corridoio. Laski si avvicinò alla porta della sala parto e sbirciò dentro attraverso un oblò. La stanza dietro la piccola apertura era illuminata da una luce fi oca ed era vuota.

Ritornò verso le due sedie in pelle. Il classico odore da ospedale di disinfettante e medicinali riempiva l’aria. Il pavimento era formato da mat-tonelle quadrate; lui iniziò a camminare lungo le fu-ghe ponendo un piede esattamente davanti all’altro. I suoi stivali erano ancora fradici di neve. Le punte

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annerite lo guardavano, consumate e segnate dalle cicatrici del bosco.

Si rimise a camminare, facendo il percorso al contrario lungo la stanza. La porta si aprì di nuovo di scatto. Una giovane infermiera entrò nella sala, sorridendo. «Stiamo preparando sua moglie» disse. «Potrà raggiungerla tra qualche minuto.»

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Diane era seduta sul letto. Lui le si avvicinò rapi-damente, cercando i suoi occhi, che mostravano la stessa miscela di paura e calma che aveva già visto nel corso di quella notte.

«Il bambino è in posizione podalica» disse.Tutto sembrava surreale, un sogno che si poteva

plasmare a piacimento. Ma Laski si trovava dentro una stanza di ospedale e il loro bambino era poda-lico. «Andrà tutto bene» disse, sfi orandole le mani richiuse.

«Il dottor Barker dice che non ti vuole nella stan-za durante il parto. Gli ho detto che capisco le sue ragioni e che spero che cambi idea.»

La sua espressione mutò di scatto con il ritorno delle contrazioni e lei iniziò a respirare come le ave-

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vano insegnato, inspirando rapidamente e profon-damente. Chiuse gli occhi, la fronte si increspò di dolore. Lui stava in piedi, inerme, mentre osservava la mano di lei serrarsi con fermezza, fi no a quando il volto di Diane assunse un’espressione che non aveva mai visto prima, una maschera nervosa colma di di-sperazione che all’improvviso e lentamente si distese, le rughe sparirono, gli occhi si schiusero e le con-trazioni cessarono. Lei lo guardò e sorrise. «Si sarà girato la settimana scorsa. Ti ricordi la protuberanza che sentivamo sopra lo stomaco? Era la sua testa.»

«Presto lo faremo dondolare lungo la strada» dis-se Laski.

Il sorriso di lei all’improvviso scomparve, in con-comitanza con un’altra contrazione. Lei iniziò a re-spirare rapidamente mentre lui voleva infonderle la sua forza, cercando di strapparla via dal suo corpo per farla entrare in quello di Diane.

L’infermiera entrò nella stanza mentre le contra-zioni cessavano. «Come va?»

«Tutto a posto.»«Mi faccia dare un’occhiata.» L’infermiera sollevò

per un istante la vestaglia di Diane, poi la riabbassò. «Sta dilatando alla perfezione.»

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Il sorriso di Diane fu nuovamente spento dal ri-torno delle contrazioni.

Un giovane specializzando entrò nella stanza e si mise ai piedi del letto, aspettando che le contrazio-ni raggiungessero il picco. Guardò Laski e chiese gentilmente: «Le dispiace uscire solo un momento mentre la visito?»

Laski andò nel corridoio. “Cosa le stanno facen-do che io non posso vedere? Pensa che non abbia mai visto il corpo di mia moglie prima di adesso? Non mandare cattive vibrazioni. Sono loro a con-durre questo spettacolo.” Camminò avanti e indie-tro lungo il corridoio, sentendosi sciocco.

La porta si aprì. Lo specializzando entrò nel cor-ridoio e fece un cenno a Laski, il quale ritornò nella stanza e si mise accanto all’infermiera ai piedi del letto.

«Ha raggiunto il massimo della dilatazione» disse l’infermiera a Diane. «Può iniziare a spingere quan-do vuole.»

Diane annuì mentre arrivava un’altra contrazio-ne. Laski andò dietro di lei per alzarla, come si era-no allenati a fare. La sollevò e lei si lasciò andare all’indietro reggendosi con le mani alle ginocchia,

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piegò e divaricò le gambe, e spinse. Lui la sorresse per tutta la durata della contrazione e poi la lasciò andare, lentamente.

«Molto bene» disse l’infermiera. «Continuate a fare questo lavoro.» Sorrise e lasciò la stanza.

«Potresti inumidire un asciugamano e appoggiar-melo sulla fronte?»

Laski prese un asciugamano della valigia di lei e lo inzuppò sotto il rubinetto del bagno. Le deterse la fronte, le guance e il collo. «Dov’è il dottore?»

«Sta dormendo in una stanza lungo il corridoio. Lo sveglieranno quando arriverà il momento.»

«Come ti senti?»«Sono felice di essere sotto pressione.»Le contrazioni ripresero e lui la sollevò nuovamen-

te, i volti si sfi oravano. La fronte corrugata e gli occhi serrati formavano un’espressione che lui non aveva mai immaginato di vedere. Tutta la bellezza di lei era svanita, sembrava una creatura asessuata che lottava con tutta se stessa, vittima del travaglio all’origine del mondo. Le loro risate, le loro gioie, i loro piani, tutto quello che avevano fatto veniva inghiottito dal tra-vaglio, un lavoro che improvvisamente lui desiderò non fosse mai iniziato. Lei era così contratta dal do-

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lore da risultargli irriconoscibile. Il volto paonazzo, le tempie pulsanti, sembrava un uomo di mezza età sul punto di morire per lo sforzo di defecare. Questa è l’umanità, pensò Laski, domandandosi quale fosse lo scopo della specie umana, che cercava di perpe-tuare se stessa con l’agonia, ma prima che arrivasse la risposta le contrazioni cessarono e adagiò dolce-mente Diane sul cuscino.

Laski prese l’asciugamani, lo inumidì di nuovo e le pulì il viso. «Riposati adesso. Riprendi le forze. Distendi le gambe e rilassa le braccia.» Le parlava con dolcezza mentre le lisciava i fi anchi ancora tre-molanti fi no a quando, fi nalmente, lei si distese e chiuse gli occhi.

L’ondata arrivò di nuovo e li trascinò in un mare di dolore, in cui lui si chiese perché mai la vita era comparsa sulla terra. La grazia del cielo notturno, quando tutte le stelle sembravano guardarci, adesso era annegata nel sudore. Il viso più bello che avesse mai visto sembrava bulboso, rosso e scialbo.

La marea che li aveva trasportati in acque agitate ancora una volta si affi evolì e li lasciò galleggiare dol-cemente fi no alla riva, facendoli riposare per qualche minuto, solo per tornare, poco dopo, a trascinarli

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dentro. Lui la sollevò di nuovo fi no a quando cessa-rono le contrazioni e Diane fi nì di spingere, come se cercasse di schiudere i petali di un corpo pronto a sbocciare. Lui pensò che un evento così miracoloso sarebbe dovuto accadere in un modo più sublime. Ma lei stava sudando come il cavallo di un taglia-legna dopo avere trasportato tronchi durante una giornata estiva.

Laski la sollevò di nuovo, cercando di liberarla dal peso con cui stava lottando, ma lei si stava im-ponendo di seguire il suo percorso, che non portava da nessuna parte, con gli occhi iniettati di sangue come quelli di un mulo da soma – confusi, colmi di tristezza e sottomessi.

Poteva vedere le vene sulla fronte di lei pulsare proprio come quelle che aveva osservato nei ca-valli da tiro, pensando che sarebbero sicuramente morti di infarto, con tutto quel correre attraverso i boschi trascinando enormi tronchi e inciampando improvvisamente nelle radici degli alberi, le briglie che quasi si spezzavano e i possenti muscoli che si contraevano contro l’ostacolo. “Chi sceglierebbe tutto questo?” pensò Laski “questo lavoro e questo dolore? La vita ci rende schiavi, vuole che facciamo

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dei fi gli, ci illude riguardo all’amore e fa tutto que-sto per continuare a esistere.”

Percepì la supremazia della vita, il cui potere era immensamente più forte della sua volontà. “Io vo-levo solo stare con te, Diane, solo noi due. Trascor-rere la vita insieme, tranquilli, e invece siamo qui e tu sei in pericolo.”

Lei scendeva la scalinata di un edifi cio di pietra scura. Indossava una lunga mantellina viola con il bavero sollevato intorno al collo. La mantellina si sollevò quando lei raggiunse il marciapiede e lui rimase fer-mo, inchiodato sul posto come uno stupido, incapace di parlare. Lei doveva averlo percepito, perché si voltò e guardò nella sua direzione.

Il volto di lei si contrasse di nuovo, gli occhi serrati e la bocca ripiegata in una maschera di dolore che la sopraffaceva. Lui la sollevò ancora, percependo lo sforzo dei muscoli di Diane e la sua pelle febbri-citante. I piccoli riccioli che le ricadevano sul collo erano fradici e luccicanti. Una chiazza di sudore le si stava allargando lungo la schiena.

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Lo specializzando e l’infermiera ritornarono men-tre Laski e Diane venivano trasportati dalle onde, lottando a fatica, spingendo insieme, sudando insie-me per portare a compimento l’opera a cui avevano dato inizio, e quando le contrazioni cessarono il tiro-cinante non chiese a Laski di uscire dalla stanza per potere visitare Diane. «Sta facendo dei progressi.»

«Può vedere il bambino » disse l’infermiera.Laski guardò in basso, e nell’apertura rasata e

madida di sudore vide qualcosa di indefi nito di co-lore rosa, un piccolo pezzo di carne, ma non sapeva dire a quale parte del feto appartenesse. Tutto quel-lo che sentiva erano le onde che li trasportavano an-cora una volta alla deriva, dove si sarebbero trovati da soli, intrappolati tra l’amore e la tristezza senza

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poterle condividere con nessuno, soli e avvinghiati l’uno all’altra in quella realtà che si erano preparati a vivere da tempo, ma per la quale nessuna prepa-razione era mai suffi ciente.

«Ti ho già vista prima» disse, fermandola sulla Broad-way.

«Davvero?» rispose lei, con un tono che mostrava un leggero interesse, abbastanza palese per dargli la forza di continuare a farsi avanti, sconfi ggendo la sua naturale timidezza.

Ritornarono, trasportati dalla corrente, nella stanza verde di un ospedale addormentato.

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Dello stesso autore

L’ORSO CHE VENNE DALLA MONTAGNA

La favola più divertente di sempre.– Los Angeles Times –

Una fi aba incantevole... ilare...

Kotzwinkle ha creato una vera star.– Publisher Weekly –

Attraverso una galleria di personaggi tanto ridi-cola quanto improbabile, William Kotzwinkle ci consegna una storia a metà strada fra la sa-tira e la favola per adulti, una commedia degli equivoci che traccia un ritratto irriverente, im-pietoso e irresistibilmente comico del mondo dell’editoria, della politica e dello star system.

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LE STORIE

Camilla Morgan-Davis, Il canto delle ombre Alessandro Zaltron, Manuale per i(n)felici amantiMiriam Mastrovito, Il mistero dei libri perdutiMiguel Ruiz Montáñez, La tomba di ColomboJoshilyn Jackson, La ragazza che parlava agli angeliDaniele Vecchiotti, La signorina cuorinfrantiGiambattista Passarelli, Di sabbia e di vento (2a edizione)Alessandro Camilletti, La guerra di DioAmy Greene, La magia dei petali sparsiMarin Ledun, Quasi innocentiWilliam Kotzwinkle, L’orso che venne dalla montagnaTiffany Baker, La ragazza gigante della contea di AberdeenCamilla Morgan-Davis, Il canto della notteKevin J. Anderson, Gli ultimi giorni di KryptonVitobenicio Zingales, Da mezzanotte a zero

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Alessandro Esposito, Manuale del perfetto venditore di drogaStefano Ceccarelli, Camilla Portafortuna (2a edizione)Miguel Ruiz Montáñez, Il Papa MagoPaolo De Lazzaro, Quello che manca (2a edizione)Pedro Ugarte, Un padreErika Moak, EudeamonLuigi Pelazza, Un mondo quasi perfetto (2a edizione)Dario D’Amato, Morire in fondo è trendyJesús Moncada, Amore fataleImogen Edwards-Jones, Fashion BabylonImogen Edwards-Jones, Air BabylonCorrado Farina, L’invasione degli UltragayAriëlla Kornmehl, Il mese delle farfalleDiego Astori, Vengo e mi spiegoImogen Edwards-Jones, Hotel BabylonPierfrancesco Diliberto, Piffettopoli, le fatiche di un quasi vipPieter Toussaint, La biciletta volanteCostantino Margiotta, Mafi a, dalla mattanza a Provenzano

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