Dieta e cancro -...

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SCI ENTI FIC AM E RI CAN LE SCIENZE numero 233 gennaio 1988 anno xxl volume xL Dieta e cancro Le raccomandazioni che si propongono di ridurre l'incidenza di forme cancerose associate all'alimentazione si basano su prove limitate, ma significative, derivanti da studi epidemiologici e da esperimenti su animali di Leonard A. Cohen N el 1982, il National Research Council della National Aca- demy of Sciences degli Stati Uniti si fece portavoce di alcune racco- mandazioni provvisorie volte a ridurre il rischio di tumori associati all'alimenta- zione. Le principali avvertenze riguarda- vano il consumo di grassi che andava ri- dotto dal 40 per cento delle calorie totali, la media allora assunta negli Stati Uniti, al 30 per cento; l'apporto di una maggio- re quantità di fibre, verdure e frutta; l'aumento del consumo di carboidrati complessi (come l'amido della farina e delle patate) e la diminuzione del consu- mo di cibi conservati sottaceto , sotto sale o affumicati nonché di carboidrati sem- plici (come lo zucchero raffinato). Queste raccomandazioni hanno dato origine a numerose controversie e con- fusione tra il pubblico, i dietologi, le agenzie governative, gli ufficiali sanitari e le industrie alimentari. Le diverse opi- nioni derivano principalmente dal fatto che, sebbene le prove su cui le racco- mandazioni erano basate fossero estre- mamente significative, non erano in ogni caso definitive. Si pone dunque il pro- blema se sia prudente osservare comun- que le indicazioni del National Research Council o se esse debbano essere consi- derate premature e addirittura viziate in partenza. Un punto fermo è che il regime ali- mentare dell'uomo è mutato profonda- mente in un arco di tempo breve dal pun- to di vista evolutivo. Gli studi antropo- logici sulle abitudini alimentari delle so- cietà di cacciatori-raccoglitori sopravvis- sute fino al XX secolo, come i boscimani del deserto del Kalahari, nell'Africa me- ridionale, offrono una valida prospettiva in chiave evolutiva sulle abitudini diete- tiche moderne e i loro possibili effetti dannosi. S. Boyd Eaton e Melvin J. Konner della Emory University, dopo aver analizzato dati che si riferiscono a molte società di questo tipo, sono giunti alla conclusione che, in confronto alle attuali abitudini alimentari medie degli Stati Uniti, il consumo di grassi delle po- polazioni preistoriche che vivevano in climi temperati costituiva circa il 20 per cento dell'apporto calorico totale, ovve- ro la metà dell'apporto attuale, con un rapporto apprezzabilmente più alto di grassi insaturi rispetto a quelli saturi. L'assunzione giornaliera di fibre sembra essere stata di circa 45 grammi, in con- fronto agli attuali 15 grammi o meno, e l'apporto di acido ascorbico era quattro volte più elevato dell'attuale. Ammettendo che l'uomo moderno (Homo sapiens sapiens) si sia evoluto da 30 000 a 50 000 anni fa, la specie si è nutrita per più del 90 per cento della sua storia con questo tipo di dieta povera di grassi e ricca di fibre, acido ascorbico e calcio. Quindi le popolazioni moderne sono dotate di sistemi metabolici e dige- stivi che si sono evoluti per adattarsi a schemi dietetici molto diversi dagli at- tuali. Il modello dei consumi del caccia- tore-raccoglitore si è conservato (con piccoli cambiamenti dovuti allo sviluppo dell'agricoltura forse 10 000 anni fa) fino a circa 250 anni or sono, quando la Ri- voluzione industriale trasformò il modo di vivere di buona parte della popolazio- ne: l'assunzione di grassi aumentò rapi- damente, l'introduzione di fibre diminuì e il consumo di zuccheri raffinati crebbe parallelamente al declino del consumo di carboidrati complessi. In un certo senso quindi, l'uomo mo- derno vive una distorsione di tempo bio- logico: la sua fisiologia da Età della pie- tra affronta ogni giorno una dieta del XX secolo per la quale è ben poco adatta. I mutamenti del regime alimentare, asso- ciati a un costume di vita più sedentario, sono ritenuti responsabili non solo del- l'aumento di statura e dello sviluppo pre- coce dell'uomo moderno, ma anche del- l'incremento dell'obesità e di malattie croniche come i disturbi cardiovascolari e il cancro (che erano meno frequenti nelle società occidentali dei secoli XVIII e XIX, perfino negli individui più anzia- ni, e che sono tuttora sporadiche nelle società di cacciatori-raccoglitori). TI motivo principale dei dubbi circa le indicazioni dietetiche del National Research Council sta nella complessa natura dei processi che danno origine ai tumori. Storicamente, due diversi modi di affrontare il problema hanno domina- to le ricerche sulle cause del cancro. Uno, che punta su specifici agenti am- bientali, trae origine dall'osservazione fatta nel 1775 da Sir Percival Pott che i tumori dello scroto e delle cavità nasali, frequentemente riscontrati fra gli spaz- zacamini in Inghilterra, erano il risultato di una prolungata esposizione alla fulig- gine. Anni dopo, in effetti, gli esperi- 15

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SCI ENTI FICAM E RI CAN

LE SCIENZE numero 233gennaio 1988anno xxlvolume xL

Dieta e cancroLe raccomandazioni che si propongono di ridurre l'incidenza di formecancerose associate all'alimentazione si basano su prove limitate, masignificative, derivanti da studi epidemiologici e da esperimenti su animali

di Leonard A. Cohen

N

el 1982, il National ResearchCouncil della National Aca-demy of Sciences degli Stati

Uniti si fece portavoce di alcune racco-mandazioni provvisorie volte a ridurre ilrischio di tumori associati all'alimenta-zione. Le principali avvertenze riguarda-vano il consumo di grassi che andava ri-dotto dal 40 per cento delle calorie totali,la media allora assunta negli Stati Uniti,al 30 per cento; l'apporto di una maggio-re quantità di fibre, verdure e frutta;l'aumento del consumo di carboidraticomplessi (come l'amido della farina edelle patate) e la diminuzione del consu-mo di cibi conservati sottaceto , sotto saleo affumicati nonché di carboidrati sem-plici (come lo zucchero raffinato).

Queste raccomandazioni hanno datoorigine a numerose controversie e con-fusione tra il pubblico, i dietologi, leagenzie governative, gli ufficiali sanitarie le industrie alimentari. Le diverse opi-nioni derivano principalmente dal fattoche, sebbene le prove su cui le racco-mandazioni erano basate fossero estre-mamente significative, non erano in ognicaso definitive. Si pone dunque il pro-blema se sia prudente osservare comun-que le indicazioni del National ResearchCouncil o se esse debbano essere consi-derate premature e addirittura viziate inpartenza.

Un punto fermo è che il regime ali-mentare dell'uomo è mutato profonda-mente in un arco di tempo breve dal pun-to di vista evolutivo. Gli studi antropo-logici sulle abitudini alimentari delle so-cietà di cacciatori-raccoglitori sopravvis-

sute fino al XX secolo, come i boscimanidel deserto del Kalahari, nell'Africa me-ridionale, offrono una valida prospettivain chiave evolutiva sulle abitudini diete-tiche moderne e i loro possibili effettidannosi. S. Boyd Eaton e Melvin J.Konner della Emory University, dopoaver analizzato dati che si riferiscono amolte società di questo tipo, sono giuntialla conclusione che, in confronto alleattuali abitudini alimentari medie degliStati Uniti, il consumo di grassi delle po-polazioni preistoriche che vivevano inclimi temperati costituiva circa il 20 percento dell'apporto calorico totale, ovve-ro la metà dell'apporto attuale, con unrapporto apprezzabilmente più alto digrassi insaturi rispetto a quelli saturi.L'assunzione giornaliera di fibre sembraessere stata di circa 45 grammi, in con-fronto agli attuali 15 grammi o meno, el'apporto di acido ascorbico era quattrovolte più elevato dell'attuale.

Ammettendo che l'uomo moderno(Homo sapiens sapiens) si sia evoluto da30 000 a 50 000 anni fa, la specie si ènutrita per più del 90 per cento della suastoria con questo tipo di dieta povera digrassi e ricca di fibre, acido ascorbico ecalcio. Quindi le popolazioni modernesono dotate di sistemi metabolici e dige-stivi che si sono evoluti per adattarsi aschemi dietetici molto diversi dagli at-tuali. Il modello dei consumi del caccia-tore-raccoglitore si è conservato (conpiccoli cambiamenti dovuti allo sviluppodell'agricoltura forse 10 000 anni fa) finoa circa 250 anni or sono, quando la Ri-voluzione industriale trasformò il modo

di vivere di buona parte della popolazio-ne: l'assunzione di grassi aumentò rapi-damente, l'introduzione di fibre diminuìe il consumo di zuccheri raffinati crebbeparallelamente al declino del consumo dicarboidrati complessi.

In un certo senso quindi, l'uomo mo-derno vive una distorsione di tempo bio-logico: la sua fisiologia da Età della pie-tra affronta ogni giorno una dieta del XXsecolo per la quale è ben poco adatta. Imutamenti del regime alimentare, asso-ciati a un costume di vita più sedentario,sono ritenuti responsabili non solo del-l'aumento di statura e dello sviluppo pre-coce dell'uomo moderno, ma anche del-l'incremento dell'obesità e di malattiecroniche come i disturbi cardiovascolarie il cancro (che erano meno frequentinelle società occidentali dei secoli XVIIIe XIX, perfino negli individui più anzia-ni, e che sono tuttora sporadiche nellesocietà di cacciatori-raccoglitori).

TI motivo principale dei dubbi circa leindicazioni dietetiche del National

Research Council sta nella complessanatura dei processi che danno origine aitumori. Storicamente, due diversi modidi affrontare il problema hanno domina-to le ricerche sulle cause del cancro.Uno, che punta su specifici agenti am-bientali, trae origine dall'osservazionefatta nel 1775 da Sir Percival Pott che itumori dello scroto e delle cavità nasali,frequentemente riscontrati fra gli spaz-zacamini in Inghilterra, erano il risultatodi una prolungata esposizione alla fulig-gine. Anni dopo, in effetti, gli esperi-

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CARENZADI VITAMINA A

ESOFAGO

GRASSI

CARBOIDRATISEMPLICI

CIBI SOTTO SALESOTTACETO

E AFFUMICATI

GRASSI

GRASSI

CARBOIDRATISEMPLICI

SCARSO APPORTODI FIBRE

GRASSI .

STOMACO

PANCREAS

STOMACO

ANCREAS

COLON

In base a dati epidemiologici ed esperimenti su roditori, si sono potute stabilire relazioni più omeno strette fra alimenti e rischio di contrarre determinati tumori. In blu sono indicate leassociazioni più chiaramente dimostrate, in blu chiaro altre più deboli e in grigio le più incerte.

GERMANIA

PAESI BASSI•REGNO UNITO

DANIMARCA•CANADA •

• NUOVA ZELANDASVIZZERA

IRLANDA

••SE.LGIO • USA

B•AUSTRALIA

• SVEZIA

NORVEGIA FRANCIA

• SUD AFRICA

ISRAELE •

AUSTRIA

• ITALIA•CECOSLOVACCHIA

PORTOGALLO • •FINLANDIA• UNGHERIA

HONG KONG• .POLONIA

CILE• • BULGARIA• ROMANIAPANAMA• i• IUGOSLAVIAVENEZUELA

• COLOMBIAFILIPPINE•

• 44 MESSICOGIAPPONE • TAIWAN

•SRI LANKATHAILANDIA

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TEL SALVADOR

•SPAGNA• GRECIA

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oo 20 40 60 80 100 120

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180CONSUMO STIMATO DI GRASSI (GRAMMI AL GIORNO)

Riportando in un grafico i dati relativi al consumo di grassi e allamortalità dovuta al cancro della mammella in diverse nazioni, è possi-bile mettere in evidenza una chiara relazione lineare. (L'assunzione

media di grassi è stata calcolata di). idendo il consumo totale di gras-si in un determinato paese per il numero di abitanti; gli scarti e ilconsumo da parte degli animali non sono stati presi in considerazione.)

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menti di laboratorio hanno dimostratoche alcuni idrocarburi policiclici che siformano durante la combustione sonocancerogeni per gli animali. In seguito,è stato messo in evidenza che anche altresostanze chimiche, alcuni virus e i rag-gi X favoriscono l'insorgenza di tumorinegli animali.

Il secondo metodo, che prende in esa-me una più vasta gamma di fattori menospecifici, ebbe origine dal lavoro del me-dico italiano Bernardino Ramazzini. Nel1700 egli notò che il cancro della mam-mella era più frequente fra le monacheche non fra le donne che conducevanouna vita normale. Ramazzini suggerì cheil fenomeno poteva essere attribuito alledifferenti esperienze di vita delle due po-polazioni, specialmente per ciò che con-cerne la gravidanza e l'allattamento. Dalmomento che caratteristiche come lastoria riproduttiva di un individuo com-prendono una vasta gamma di eventi fi-siologici, esse sono chiamate fattori dirischio piuttosto che cancerogeni nelsenso comunemente inteso.

Questi due metodi di studio ebbero uninquadramento teorico negli anni qua-ranta con la dimostrazione, da parte diIsaac Berenblum e colleghi del Weiz-mann Institute of Science e di RoswellK. Boutwell dell'Università del Wiscon-sin a Madison, che il processo della can-cerogenesi comprende almeno due fasidistinte: iniziazione e promozione. Oggi

è ampiamente riconosciuto che il cancrosi sviluppa in fasi separate, ciascuna re-golata indipendentemente in diversi mo-menti da agenti differenti. L'iniziazione,secondo i modelli attuali, implica unabreve e irreversibile interazione tra unagente cancerogeno e il materiale gene-tico del suo tessuto bersaglio. La reazio-ne provoca una lesione molecolare, omutazione, che può trasformare alcunecellule in una forma anomala, ma nongenera un tumore osservabile clinica-mente fino a che non è indotta a farloda un'altra classe di agenti, i promotori.

Un promotore può indurre la prolife-razione delle cellule trasformate e dareluogo a un tumore, ma di per sé non èné mutageno né cancerogeno. Inoltrel'esposizione deve essere continua per-ché esso abbia un effetto biologico; se lostimolo promotore viene rimosso, i suoieffetti sono reversibili. (Questo non av-viene nel caso di un agente cancerogenoe la differenza è importante quando sistudino strategie di prevenzione.) Il tem-po che intercorre tra l'evento d'iniziazio-ne e la comparsa di un tumore riconosci-bile è chiamato periodo di latenza. Nel-l'uomo questo periodo può avere duratavariabile (in genere 10-20 anni).

Se i fattori d'iniziazione potessero es-

L-3 sere identificati con certezza, l'inci-denza del cancro potrebbe essere dimi-nuita con la loro eliminazione o con una

ridotta esposizione a essi. Soltanto po-che forme di cancro dell'uomo, tuttavia,sono state associate con agenti causalispecifici, per esempio il mesoteliomapolmonare con l'amianto e il linfoma diBurkitt con il virus di Epstein-Barr. En-trambi i tipi di cancro sono rari. Perquanto riguarda i principali tipi di tumo-re che affliggono le popolazioni occiden-tali, soltanto il cancro del polmone è sta-to associato a un agente specifico, nellafattispecie il fumo di tabacco. Invece, nelcaso degli altri principali tipi di cancro,quello della mammella, del colon, dellaprostata, del pancreas, dell'utero e del-l'ovaio, che sono responsabili del 48 percento delle morti per cancro tra gli indi-vidui di sesso femminile e del 28 per cen-to fra quelli di sesso maschile, poco si sadei fattori d'iniziazione.

In ogni caso, l'identificazione e l'eli-minazione dei fattori chimici d'iniziazio-ne, presenti presumibilmente in piccoleconcentrazioni nell'ambiente, non costi-tuisce un metodo praticabile per preve-nire queste comuni forme di cancro. Ilmetodo più efficace disponibile è quellodi identificare i fattori ambientali pro-motori e quindi eliminare o ridurre l'e-sposizione a essi, oppure di identificarei fattori ambientali che agiscono comeantipromotori e quindi aumentare l'e-sposizione a essi. Se un agente promoto-re può essere rimosso o modificato du-rante il lungo periodo di latenza, unalesione potrà o rimanere per sempre nel-la fase di latenza o trasformarsi in tumo-re a una velocità molto minore di quantoavverrebbe normalmente.

Attualmente, molti fattori presentinell'alimentazione vengono consideratipromotori o antipromotori di un tumo-re. L'elemento identificato con maggiorchiarezza come promotore è costituitodai grassi introdotti con la dieta. I pos-sibili antipromotori comprendono le fi-bre, le vitamine A, C ed E, il selenio ealcuni composti presenti in verdure ap-partenenti alla famiglia delle crociferecome i broccoli, il cavolo e il cavolfiore.Prove ottenute con indagini cliniche edesperimenti di laboratorio dimostranoche alcuni dei composti contenuti in que-ste verdure possono intervenire a più li-velli nel corso della cancerogenesi, in-fluenzando enzimi che riducono la tossi-cità dei cancerogeni iniziatori e agendoanche come antipromotori. Un altrogruppo di possibili antipromotori pre-senti nella dieta è stato studiato in det-taglio da Walter Troll della School ofMedicine della New York University. Sitratta degli inibitori delle proteasi, pre-senti nei legumi e in altri semi: essi con-trastano gli effetti degli enzimi deputatialla digestione delle proteine, che pro-babilmente favoriscono anche l'invasio-ne tumorale dei tessuti circostanti.

Due principali serie di prove indicanoche i fattori dietetici possono avere

un ruolo nell'insorgenza del cancro: glistudi epidemiologici e gli esperimenti di

laboratorio sui roditori. I primi possonoessere effettuati a livello di intere popo-lazioni o su individui.

Il confronto sulla mortalità per cancroin popolazioni di diversi paesi ha datoimportanti suggerimenti per l'individua-zione delle cause dei tumori. Uno deiconfronti più significativi è quello fraStati Uniti e Giappone. Entrambi i paesihanno livelli di industrializzazione ededucazione simili, standard medici ele-vati e una buona durata media della vita.Sorprendentemente, sebbene l'inciden-za globale di tumori sia simile, i due pae-si mostrano andamenti quasi esattamen-te opposti quando si confrontano formespecifiche di cancro. Per esempio, il can-cro della mammella, del colon e dellaprostata sono frequenti negli Stati Uniti,ma rari in Giappone. Al contrario il can-cro dello stomaco è frequente in Giap-pone, ma raro negli Stati Uniti. Sono piùdiffusi negli Stati Uniti i fattori ambien-tali che aumentano l'incidenza del can-cro della mammella, del colon e dellaprostata o prevalgono in Giappone i fat-tori di protezione contro queste forme dicancro?

Si potrebbe rispondere che le discre-panze sono dovute alle differenze gene-tiche fra le due popolazioni. Questa ipo-

tesi è confutata dai dati sulle popolazioniemigrate da una nazione all'altra. Essidimostrano che la variazione geograficamondiale nella frequenza di forme dicancro specifiche di un organo può esse-re attribuita a fattori ambientali più chegenetici. Per esempio, nel volgere di duegenerazioni, fra i giapponesi immigratinelle Hawaii e in California si è avutauna frequenza di cancro della mammellache si avvicina a quella della popolazionebianca delle Hawaii ed è molto più ele-vata di quella della popolazione giappo-nese. Al contrario, l'incidenza di cancrodello stomaco è notevolmente più bassafra gli hawaiani di ascendenza giappone-se rispetto a coloro che vivono in Giap-pone. Un aumento della frequenza dicancro della mammella è stato riscontra-to anche in popolazioni immigrate negliStati Uniti dalla Polonia, dove il rischioè basso.

Queste variazioni, naturalmente, fo-

V.1 calizzano l'attenzione sull'eventua-lità che le differenti abitudini alimentaripossano essere un fattore significativo.L'idea che il regime dietetico potesseavere tale ruolo fu avanzata più di cin-quant'anni or sono dall'epidemiologo in-glese Percy Stocks, il quale correlò le

diverse frequenze d'insorgenza di can-cro in varie regioni dell'Inghilterra alledifferenze nel consumo di determinaticibi. Negli anni cinquanta Ernest L.Wynder dell'American Health Founda-tion giunse alla conclusione che la gran-de differenza fra la frequenza di cancrodella mammella in Giappone e negli Sta-ti Uniti non poteva essere spiegata sullabase di fattori di rischio noti quali la sto-ria familiare o le vicende riproduttive;egli suggerì che un elemento ambientalecome la dieta potesse essere determinan-te. Negli anni sessanta Kenneth K. Car-roll, della University of Western Onta-rio, pubblicò una serie di confronti geo-grafici che mostravano una forte corre-lazione fra l'assunzione di grassi alimen-tari e i livelli di mortalità per cancro dellamammella in 39 paesi. Correlazioni si-mili, ma meno sicure, furono osservatefra l'introduzione di grassi e il cancro delcolon e della prostata.

Un altro indizio epidemiologico ven-ne dall'analisi delle tendenze a lungo ter-mine nell'incidenza e nella mortalità percancro. I dati mostrano che in un deter-minato paese la mortalità dovuta a unparticolare tipo di tumore spesso varianel tempo. Le variazioni possono esserecorrelate a estesi mutamenti ambientali

i/PROSTATA

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100ETÀ (SETTIMANE)

STIMOLAZIONE

INIBIZIONE t

PROMOZIONE

REPRESSIONE ABOLITA

tPROMOTORI

CANCEROGENESI

RIPARAZIONEDEL DNA

ATTIVAZIONE LEGAME AL DNACANCEROGENO

/tMANCATA

tPROCANCEROGENORIPARAZIONE

DISATTIVAZIONEDELLA TOSSINA t

INIZIAZIONE DNA NORMALE

tPROMOTORI

tANTIPROMOTORI

CANCRO

NESSUNCANCRO

L'influenza dei fattori dietetici sull'iniziazione e la promozione del-la cancerogenesi viene qui raffigurata schematicamente in base aglielementi disponibili. L'iniziazione di un tumore (in alto) può averluogo quando un procancerogeno (alimentare o di altro tipo) è attivatoe si lega al DNA, dando origine a una mutazione (che in molti casiinteressa un oncogène). La mutazione può venire riparata o meno.Componenti della dieta quali le vitamine A, C ed E, gli indoli presentinelle piante della famiglia delle crocifere e l'oligoelemento selenio pos-

sono inibire le fasi di attivazione e legame al DNA (frecce in nero) estimolare la disattivazione della tossina del procancerogeno e la ripa-razione del DNA (frecce in colore). Una mutazione non riparata puòindurre trasformazioni nelle cellule, ma rimane repressa (ossia il tumo-re non si sviluppa e non si trasforma in un cancro clinicamente osser-vabile) tranne che in presenza di promotori, come una dieta ricca digrassi (in basso). Gli antipromotori, come la vitamina A, tendono alcontrario a conservare la repressione e a inibire la crescita del cancro.

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legati in particolare alle abitudini ali-mentari della popolazione. Per esempio,nei paesi in via di sviluppo, l'80 per cen-to delle calorie totali proviene da cerealie altre granaglie, che sono costituiti prin-cipalmente da carboidrati complessi.

Con l'industrializzazione e il progres-so economico l'apporto calorico consistein maggior misura di grassi di origine ani-male e oli vegetali. Anche il consumo dizucchero (un carboidrato semplice) au-menta. Tali tendenze si sono già mani-festate in molti paesi, tra cui l'Irlanda,l'Italia, la Grecia e il Giappone. Una vol-ta instauratisi questi cambiamenti, sonostate osservate frequenze più elevate dicancro della mammella e del colon (etalvolta di cancro della prostata).

Gli stessi mutamenti sono stati osser-vati negli Stati Uniti. Dal 1900, peresempio, l'assunzione di grassi animali evegetali è aumentata del 40 per cento,mentre il consumo di patate è diminuitodel 60 per cento e quello di farina del 50per cento. Dal 1930 l'incidenza di cancrodella mammella, del colon e della pro-stata è gradualmente aumentata. D'altrocanto, i casi di morte per cancro dellostomaco sono drasticamente diminuiti.Questo fenomeno è stato attribuito alfatto che la refrigerazione ha largamen-te sostituito i vecchi metodi di conser-vazione sotto sale, sottaceto o medianteaffumicamento.

Anche gli studi epidemiologici effet-tuati su singoli individui dimostrano illegame esistente fra regime alimentare ecancro. Le indagini retrospettive richie-dono confronti fra malati di cancro epersone sane. Ottenendo una ricostru-zione dettagliata delle abitudini alimen-tari nel corso della vita di un soggetto è

possibile stabilire se i malati di cancroabbiano avuto in passato un regime ali-mentare diverso da quello degli individuidi controllo. Tuttavia i risultati sono perlo più contrastanti, soprattutto perché ipazienti non possono sempre ricordarein dettaglio le loro passate abitudini ali-mentari e perché i loro resoconti sonolargamente influenzati dalla loro dietaattuale.

Bisogna perciò chiedersi quanto sia

-L, credibile la dimostrazione epide-miologica del fatto che i grassi introdotticon la dieta aumentino l'insorgenza delcancro e che viceversa le fibre, le vitami-ne A, C ed E e il selenio abbiano uneffetto di inibizione. (Le prove che ri-guardano i composti contenuti nelle cro-cifere derivano in gran parte da esperi-menti sugli animali piuttosto che da studiepidemiologici.) Per la maggior partedelle sostanze le prove sono limitate.Sebbene siano stati compiuti svariati stu-di epidemiologici, nessuno di questi hapienamente soddisfatto i criteri che gliepidemiologi utilizzano per trarre dedu-zioni causali da associazioni statistiche.

La correlazione tra grassi alimentari ecancro della mammella è quella che me-glio soddisfa questi criteri. Il legame tral'assunzione di grassi e il cancro del co-lon, sebbene più debole, è significativo.L'associazione fra grassi e cancro dellaprostata e dell'ovaio può essere dimo-strata soltanto a livello dell'intera popo-lazione di un paese.

L'ipotesi che le fibre alimentari (laparte della cellula vegetale che non vienedigerita nell'intestino tenue dell'uomo)avessero un effetto protettivo contro ilcancro dell'intestino crasso venne for-

mulata circa 15 anni fa in base alle sco-perte dell'epidemiologo inglese Denis P.Burkitt e di altri. Burkitt, che prestavaservizio come ufficiale medico in Africa,avanzò l'ipotesi che l'elevata assunzionedi fibre di certe popolazioni africane leproteggesse da diverse malattie del tubodigerente, tra cui l'appendicite, la diver-ticolosi e il cancro del colon. I tentatividi verificare questa ipotesi effettuandoconfronti fra nazioni diverse sono tutta-via stati vanificati dalla mancanza di unaccordo generale sui metodi per valutarequantitativamente l'assunzione di fibre.I primi studi presero in esame catego-rie di alimenti notoriamente contenentiun'alta percentuale di fibre (cereali, le-gumi, frutta e verdura) piuttosto che lesostanze nutritive stesse. Considerandoquesti gruppi come indicatori dell'assun-zione di fibre, si trovò che la morta-lità per cancro del colon era inversa-mente proporzionale al consumo di ce-reali e legumi, ma non a quello di fruttae verdura.

Nel 1978 Alison A. Paul e D. A. T.Southgate del Food Research Institu-te dell'Agricultural and Food ResearchCouncil a Norwich, in Inghilterra, pub-blicarono valori ottenuti per analisi chi-mica del contenuto di fibre di vari ali-menti, fornendo agli epidemiologi stru-menti più accurati per determinare l'ap-porto di fibre e la sua correlazione alcancro del colon. Ciò che emerge daquesti studi è la scoperta che «fibre» è untermine generale che comprende sostan-ze chimicamente e fisiologicamente di-verse come la cellulosa, le gomme, lepectine e le lignine. Come esempio pun-tuale, Sheila A. Bingham e colleghi dellaUniversità di Cambridge riferirono chela mortalità per cancro dell'intestinocrasso era inversamente proporzionaleall'assunzione di una particolare catego-ria di fibre, i pentosani, ma non all'as-sunzione totale di fibre.

Le prove epidemiologiche dell'effettoinibitore sul cancro da parte della vi-tamina A (o del suo precursore alimen-tare, il beta-carotene) derivano quasiesclusivamente dal confronto tra malatidi cancro e persone sane. Le scoperte siriferiscono principalmente al cancro delpolmone, ma in misura minore com-prendono anche il cancro del colon, del-lo stomaco, della vescica, dell'esofago edella cavità orale. Non esiste alcuna pro-va di un effetto protettivo di altre vita-mine, con l'eccezione di una possibileassociazione tra l'apporto di vitamina Ced E e la ridotta frequenza di cancro del-lo stomaco.

L'ipotesi che il selenio avesse un ruolonell'inibizione dei tumori fu formulatada Raymond J. Shamberger della Cleve-land Clinic Foundation. Egli basò la suaproposta sulla scoperta che i livelli di se-lenio misurati nel suolo, nei foraggi e nelsangue erano inversamente proporzio-nali al rischio di cancro della mammellae del colon in varie città e regioni degliStati Uniti. Studi condotti in altre nazio-

ni hanno evidenziato una relazione simi-le. L'attendibilità di queste associazioniè tuttavia scarsa in alcuni casi. Per esem-pio, la Nuova Zelanda ha uno dei piùbassi livelli di apporto di selenio (50microgrammi al giorno) e una mortalitàannua per cancro della mammella di 30su 100 000; negli Stati Uniti, con un ap-porto di selenio di circa 120 microgram-mi al giorno, la mortalità per cancrodella mammella è circa la stessa (27su 100 000). Queste contraddizioni nonescludono un ruolo del selenio, ma sug-geriscono che altri fattori potrebberoavere un'influenza maggiore.

Come appare da quanto si è detto so-pra, gli epidemiologi osservano essen-zialmente i risultati di esperimenti che sisvolgono spontaneamente per risalire al-le cause che li hanno determinati. Poichésono disponibili solo metodi abbastanzarudimentali per misurare il consumo dicibo, soprattutto per ciò che riguarda ilpassato, il meglio che un epidemiologopossa fare è dimostrare correlazioni e as-sociazioni attendibili, come quella tragrassi alimentari e cancro della mammel-la. Tuttavia, le associazioni statistichepossono solo suggerire un rapporto dicausa ed effetto, non dimostrarlo.

Uno sperimentatore al contrario, hala possibilità di confrontare diretta-

mente cause ed effetti, fornendo in talmodo la seconda importante serie di

DNA MUTATOREPRESSO

ANTIPROMOTORI

prove riguardanti la relazione tra ali-mentazione e cancro. Un inconvenientedi questo tipo di ricerche è che i risul-tati degli esperimenti di laboratorio ef-fettuati sui roditori devono essere con-siderati con cautela, in particolare quan-do si fanno estrapolazioni nel tentati-vo di valutare gli effetti sugli esseriumani.

Studi sperimentali che risalgono aquasi 60 anni fa hanno dimostrato che losviluppo del cancro nei topi può esserecondizionato attraverso l'alimentazione.Anche in questo caso la correlazione piùvalida è quella riscontrata tra i grassi ali-mentari e il cancro della mammella.Questa associazione fu dimostrata per laprima volta da Albert Tannenbaum delMichael Reese Hospital di Chicago neglianni venti. Alla fine degli anni sessantaCarroll, nel corso di una ricerca su untumore mammario indotto chimicamen-te che gli permise di operare una distin-zione tra le fasi di iniziazione e di pro-mozione, dimostrò che i grassi agivanocome promotori. Da allora l'effetto dipromozione tumorale dei grassi alimen-tari è stato osservato nei tumori mam-mari indotti da prodotti chimici, raggi Xe virus. È stato anche dimostrato cheuna dieta ricca di grassi favorisce lo svi-luppo di tumori del colon e del pancreasindotti sperimentalmente.

Gli studi sugli animali hanno permes-so inoltre di affermare che non solo la

quantità, ma anche il tipo di grassi de-termina lo sviluppo di tumori della mam-mella, del colon e del pancreas. Le dietericche di alcuni acidi grassi promuovonola formazione di tumori, contrariamentea diete simili, ma ricche di altri acidigrassi. Le differenze sembrano risiederenella struttura chimica degli acidi grassistessi. Le diete ricche di acido linoleico(presente in molti comuni oli vegetali co-me l'olio di semi di mais, di cartamo edi girasole) agiscono come promotori, alcontrario di diete simili ricche di acidooleico (contenuto nell'olio d'oliva) e diacido icosapentaenoico (presente neipesci a carne grassa e nei mammiferimarini).

Queste scoperte fatte negli animalipossono essere d'aiuto nello spiegare va-ri enigmi epidemiologici, tra i quali lebasse percentuali di tumori della mam-mella e del colon tra gli eschimesi dellaGroenlandia. Essi hanno una dieta stra-ordinariamente ricca di grassi (60 percento delle calorie), ma il grasso di cuiessi si nutrono deriva quasi esclusiva-mente da pesci e da mammiferi marini.Allo stesso modo, la bassa percentualedi cancro della mammella in paesi qua-li la Grecia e la Spagna, dove l'appor-to di grassi è abbastanza elevato (il 32per cento delle calorie), può essere do-vuta al fatto che l'olio d'oliva è una del-le principali fonti di grassi nella dietamediterranea.

DNA MUTATOREPRESSO

Un classico esperimento condotto su topi di sesso femminile da A. Tannenbaum ha evidenziatoun chiaro legame fra una dieta ricca di grassi e l'incidenza di tumori spontanei della mammella.L'olio di semi di cotone idrogenato rappresentava il 12 per cento delle calorie nella dieta riccadi grassi (in colore) e il 3 per cento nella dieta degli animali di controllo (in grigio).

REPRESSIONE MANTENUTANESSUNA CANCEROGENESI

100 200 300 400 0 10 20 30 40 50 60 0 10 20 30 40 50 60 70CONSUMO (GRAMMI AL GIORNO) PERCENTUALE DELLE CHILOCALORIE PERCENTUALE DEL PESO

L'alimentazione negli Stati Uniti cambierebbe apprezzabilmente se ve-nissero seguite le recenti raccomandazioni del National Research Coun-cil e di altre agenzie. La dieta attuale (in grigio) e una raccomandata(in colore) sono confrontate per quanto riguarda la quantità di ognicomponente (grammi al giorno) e la percentuale da esso rappresentatadelle chilocalorie totali e del peso totale dei cibi consumati. L'obiettivo

è di ridurre il consumo di alimenti ritenuti iniziatori o promotori delcancro e di aumentare il consumo di quelli che si pensa annullino oattenuino gli effetti d'iniziazione o promozione di altri fattori. Si notiche, mantenendo costante l'apporto calorico a 2400 chilocalorie, il con-sumo di cibo in peso aumenta nella dieta raccomandata, perché i grassialtamente calorici sono sostituiti da carboidrati e fibre, meno calorici.

GRASSI

CARBOIDRATI

PROTEINE

FIBRE

Come possono i grassi contenuti nelladieta promuovere il cancro della

mammella, del colon e del pancreas?Poiché la ghiandola mammaria è sensi-bile all'azione ormonale, le prime ipotesiprendevano in considerazione un effettoindiretto da parte del sistema endocrino.L'effetto poteva essere mediato o da unprocesso centrale a livello dell'ipofisi odi centri più elevati, che regolano la se-crezione di ormoni come la prolattina, oda un processo periferico, a livello del-l'organo bersaglio, che coinvolge la ca-pacità di legame di specifici recettoriormonali.

Un'altra ipotesi si orienta verso le pro-staglandine, una classe di lipidi biologi-camente attivi sintetizzati dall'organi-smo a partire dagli acidi grassi (in primoluogo l'acido linoleico) introdotti con ilcibo. Attraverso una breve serie di pas-saggi metabolici l'acido viene trasforma-to in prostaglandine (composti attivianaloghi agli ormoni) che sono implicatein funzioni quali la regolazione dellecontrazioni della muscolatura liscia, lereazioni infiammatorie, la coagulazionedel sangue e la risposta immunitaria.

I tumori della mammella negli animalie nell'uomo producono grandi quantitàdi prostaglandine che possono agire sop-primendo la risposta immunitaria dell'o-spite. La loro sintesi può essere modifi-cata con l'alimentazione, il che suggeri-sce che le diete sperimentali ad alto con-tenuto lipidico agiscano alterando laquantità e la direzione della sintesi delleprostaglandine. Questo meccanismo po-trebbe spiegare non solo perché occorrauna certa quantità di acido linoleico nel-le diete sperimentali per ottenere l'effet-to di promozione da parte dei grassi, maanche quale sia il ruolo inibitorio deglioli ricavati dagli animali marini: essi in-terferiscono con la conversione dell'aci-do linoleico in prostaglandine.

Atualmente l'ipotesi più diffusa sul le-game tra una dieta ad alto tenore di

grassi e il cancro del colon è basata sul-l'osservazione che un elevato apporto digrassi provoca un'aumentata secrezionedi acidi biliari (che favoriscono la dige-stione dei grassi) e altera la popolazionebatterica dell'intestino crasso, aumen-tando quindi la conversione degli acidibiliari primari in secondari. Si ritieneche, a loro volta, gli acidi biliari secon-dari siano promotori di lesioni già pre-senti nell'intestino crasso.

I risultati di esperimenti effettuati suroditori hanno contribuito anche alle no-stre conoscenze sugli agenti inibitori delcancro. Molti studi hanno dimostratoche la somministrazione di vitamina Ao dei suoi omologhi (definiti globalmen-te retinoidi) inibisce lo sviluppo di for-me, indotte sperimentalmente, di can-cro della pelle, del tratto respiratorio,della ghiandola mammaria e della vesci-ca. Tuttavia la quantità di retinoide ne-cessaria per produrre un effetto è 20 vol-te maggiore della quantità giornalieraraccomandata di vitamina. A dosaggicosì elevati, sono stati segnalati effettisecondari, quali un ridotto aumento dipeso, una maggiore fragilità ossea e uncattivo funzionamento epatico. È statodimostrato sperimentalmente che il se-lenio riduce la frequenza di tumori dellamammella e del colon indotti chimica-mente nei topi, ma a dosi da 30 a 40 voltemaggiori di quelle raccomandate.

I risultati di laboratorio ottenuti con iretinoidi e il selenio come integratoridietetici indicano che occorre tenere inconsiderazione tre punti. Per prima co-sa, devono essere somministrate dosi aldi sopra del livello fisiologico per otte-nere gli effetti desiderati. In secondoluogo, la differenza tra un dosaggio te-rapeutico e uno dannoso è molto tenue.Infine, né l'una né l'altra sostanza pos-

sono prevenire completamente lo svilup-po di un tumore.

Molti studi effettuati su animali hannodimostrato che l'aumento della quantitàdi fibre nella dieta, dal normale 5 percento al 15 per cento e più, riduce lafrequenza di tumori del colon indottichimicamente nei topi. Tuttavia i datinon sono del tutto coerenti, in partico-lare riguardo agli specifici tipi di fibresperimentati. Per esempio, la crusca difrumento agisce diminuendo l'incidenzadei tumori del colon, mentre la pectinadelle mele, l'erba medica e la crusca diavena possono non avere alcun effettooppure stimolare la formazione di tumo-ri del colon, a seconda delle condizionisperimentali.

È stato proposto un gran numero dimeccanismi per spiegare l'apparente ef-fetto protettivo delle fibre nei confrontidel cancro del colon. Gli studi effettuatida O. M. Jensen del Danish Cancer Re-gistry e da Bandaru S. Reddy dell'Ame-rican Health Foundation indicano che lepopolazioni a basso rischio di contrarreil cancro del colon secernono minoriquantità di acidi biliari rispetto alle po-polazioni ad alto rischio e che i gruppi abasso rischio consumano una maggiorquantità di fibre nella dieta. Il ridottocontenuto di acidi biliari nelle feci puòderivare dal fatto che le fibre aumentanola massa fecale, diminuendo perciò ilcontenuto di bile per unità di volume, edal fatto che le fibre favoriscono i mec-canismi che trasferiscono gli acidi biliaridall'intestino crasso al circolo sangui-gno. L'aumento della quantità di fibreriduce anche il periodo che intercorre trail pasto e l'escrezione, concedendo ai po-tenziali agenti mutageni contenuti nellefeci meno tempo per agire sul colon.

Studi di laboratorio suggeriscono inol-tre un effetto di inibizione tumorale deiflavoni, degli indoli e degli isotiocianati

(composti non nutrizionali, spesso chia-mati costituenti secondari delle piante)che derivano dalle crocifere. Attualmen-te l'effetto è stato dimostrato solo per itumori dello stomaco, del polmone edella ghiandola mammaria indotti chi-micamente nei roditori. I composti agi-scono apparentemente bloccando l'atti-vazione degli idrocarburi nell'ospite (lamaggior parte degli agenti cancerogeniviene consumata sotto forma di procan-cerogeni inattivi e deve essere attivata daenzimi epatici prima di poter interagirecon il DNA delle cellule bersaglio).

Anche gli effetti di cibi conservati sot-to sale e affumicati sono stati valuta-ti sperimentalmente. Questi metodi diconservazione creano condizioni nellequali i nitrati possono essere trasformatirapidamente in nitriti reattivi; è stato di-mostrato che questi, a loro volta, si com-binano con substrati appropriati (in pro-vetta) a formare nitrosammine e nitro-sammidi, che sono agenti cancerogeni.L'effetto cancerogeno di questi compo-sti è stato definitivamente provato attra-verso esperimenti di laboratorio effet-tuati da Peter N. Magee della Schoolof Medicine della Temple University.Sidney S. Mirvish dello Eppley Institutefor Research in Cancer di Omaha ha os-servato che le reazioni di nitrosazionenon avvengono in presenza di acidoascorbico (vitamina C), poiché questocomposto impedisce la conversione deinitrati in nitriti.

LPè dimostrato che molti cibi consuma-ti da popolazioni ad alto rischio di

contrarre tumori dello stomaco, tra iquali il pesce affumicato (in Giappone)e le fave (in Colombia), sono mutagenidopo la nitrosazione. Queste stesse po-polazioni consumano poca verdura efrutta fresche e perciò introducono bassequantità di vitamina C; questo fatto sug-gerisce che i tumori gastrici possano es-sere il risultato della formazione nellostomaco di nitrosammine o nitrosammi-di cancerogene, derivanti dai nitrati pre-senti nei cibi, in assenza di vitamina C.In nessun caso, tuttavia, sono state iso-late nell'uomo o in animali da esperi-mento le ipotetiche sostanze nitrosate«naturali» a cui è stato attribuito il can-cro dello stomaco.

Le prove sperimentali a sostegno del-l'ipotesi che i carboidrati complessi sianopreferibili nella dieta agli zuccheri sem-plici sono abbastanza limitate. Molte re-lazioni hanno indicato che ratti nutriticon una dieta contenente amido, in se-guito alla somministrazione di un cance-rogeno chimico, hanno presentato unafrequenza significativamente più bassadi tumori della mammella rispetto a rattinutriti con una dieta simile contenentedestrosio (uno zucchero semplice) alposto dell'amido. A parte il fatto che icarboidrati complessi vengono digeritipiù lentamente degli zuccheri semplici eperciò esercitano un effetto meno pro-cunciato sulle cellule secretrici dell'insu-

lina nel pancreas, poco si sa circa i mec-canismi che danno origine agli effetti diquesti due gruppi di carboidrati nellacancerogenesi sperimentale.

uali sono le conclusioni che si pos-sono trarre dalle prove sperimenta-

li? In generale esse sono concordi con glielementi ricavati dagli studi epidemiolo-gici, in particolare nel caso del legametra grassi alimentari e cancro della mam-mella. Molti studi condotti su animali di-mostrano che le diete ad alto contenutodi grassi (40 per cento delle calorie) sti-molano lo sviluppo di tumori mammari,contrariamente alle diete a basso tenorelipidico (10 per cento delle calorie). L'e-lemento più interessante di queste sco-perte è il fatto che le quantità di grassidelle diete sperimentali ad alto e bassotenore lipidico sono circa le stesse diquelle consumate dalle popolazioni deipaesi ad alto rischio, come gli Stati Uniti,e di quelli a basso rischio, come il Giap-pone. Quello che resta da stabilire è seil rischio di cancro della mammella variproporzionalmente all'apporto di grassio se invece esista una soglia sotto la qua-le un incremento nell'apporto di grassinon fa aumentare il rischio. Studi recentieffettuati nel mio laboratorio al NaylorDana Institute for Disease Preventionsuggeriscono che esiste un livello di so-glia, situato tra il 25 e il 32 per cento dellecalorie totali.

Anche nel caso degli studi sul cancrodel colon le diete sperimentali sono si-mili alle diete di varie popolazioni uma-ne (sebbene in questo caso anche gli ef-fetti dell'apporto di fibre debbano esseretenuti in considerazione). Gli studi spe-rimentali sui retinoidi e sul selenio impli-cano invece quantità che eccedono lar-gamente le dosi giornaliere consigliate.Come potenziali agenti di inibizione tu-morale, queste sostanze devono essereconsiderate più come farmaci da prescri-vere nei soggetti a rischio che come com-ponenti di una dieta normale.

In ultima analisi deve essere chiaroche, per quanto gli studi epidemiologicie sperimentali possano essere significa-tivi, essi non possono fornire prove ine-quivocabili che una determinata personafarebbe meglio a ridurre i grassi nelladieta, ad assumere più vitamine, a man-giare più fibre e verdure della famigliadelle crocifere e così via. In nessun casoè stato direttamente dimostrato che ilcambiamento delle abitudini alimentaridi un determinato individuo abbia inibi-to la comparsa del cancro o impedito aun tumore già presente di diffondersi.

Dati definitivi potrebbero essere otte-nuti da sperimentazioni sull'uomo. Pro-ve statistiche di modificazioni dietetichepotrebbero mettere a confronto gli effet-ti di diete diverse sulla comparsa dellamalattia in differenti gruppi di personesane. Queste prove richiederebbero de-cine di migliaia di soggetti da sottoporrea diete controllate per almeno 10 anni.Le strutture di supporto e i costi dovreb-

bero essere enormi, mentre i risultatinon potrebbero essere noti prima di 10020 anni.

In alternativa si stanno effettuandomolte indagini cliniche su gruppi di per-sone ad alto rischio di contrarre partico-lari tipi di cancro, in modo che i risul-tati possano essere chiari entro 5 o 10anni. Per esempio, uno studio finanziatodal National Cancer Institute riguardadonne sane considerate ad alto rischiodi contrarre tumori della mammella inquanto la malattia è stata presente inpassato nella loro famiglia o per avernegià presentata una forma benigna. At-traverso una scelta casuale, ad alcunedonne viene richiesto di mantenere laloro normale dieta ricca di grassi e adaltre di adottarne una povera di grassi.

prevedibile che anche in un'indaginecosì limitata vengano coinvolte circa30 000 donne, per la durata di 10 anni econ un costo di più di 100 milioni di dol-lari. Altre indagini di questo tipo sonoin corso. Una, negli Stati Uniti, stabiliràgli effetti di un maggior apporto di fibrenell'incidenza del cancro del colon in in-dividui affetti da polipi benigni del colon(un gruppo ad alto rischio); un altro. inItalia, studierà gli effetti protettivi del-la somministrazione di retinoidi sullacomparsa di un secondo tumore dellamammella in donne che ne hanno giàavuto uno.

T risultati delle indagini cliniche incorso non saranno disponibili fino

agli anni novanta e oltre. Perciò ci si puòchiedere se sia meglio ignorare le proveindirette e circostanziali che legano leabitudini alimentari e il cancro e non for-mulare raccomandazioni dietologiche.oppure agire sulla base dell'ipotesi piùattendibile e fornire suggerimenti prov-visori. Molti esperti ritengono, su basietiche, che le raccomandazioni riguar-danti la salute pubblica dovrebbero es-sere basate solo su prove certe e inequi-vocabili. Altri affermano che, con più di400 000 decessi ogni anno causati dalcancro negli Stati Uniti, anche una pic-cola riduzione di incidenza potrebbesalvare molte vite, così che suggerimen-ti dietetici aventi lo scopo di ridurreil rischio di contrarre tumori dovreb-bero essere divulgati, anche se in viaprovvisoria, nell'interesse della salutepubblica.

Il National Research Council ha deci-so di scegliere la seconda soluzione, pub-blicando schemi dietetici provvisori ba-sati sulle prove epidemiologiche e speri-mentali disponibili. Via via che verrannoraccolti nuovi elementi, le raccomanda-zioni richiederanno senza dubbio alcunemodifiche. Al momento, tuttavia, esseriflettono l'attuale livello di conoscenzae formano la base di una dieta che quasicertamente non ha effetti dannosi e chepresenta buone probabilità di ridurre ilrischio di contrarre quei tipi di cancroper . quali è stata riconosciuta una cor-relazione con le abitudini alimentari.

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