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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale D.L. 353/2003(CONV.INl.27/02/2004 N°46) Art.1,comma 1 DCB Milano Roserio. In caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi. Cover Story Mediterraneo: il fronte sud dell’economia www.globalstrategy.net Anno VII - 1/2013 Interviste Paolo Cornetto Ketty Corona Stefano Silvestri Paolo Zegna Interventi Sergio de Nardis - Nomisma

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Cover StoryMediterraneo:il fronte sud dell’economia

www.globalstrategy.net Anno VII - 1/2013

Interviste

Paolo CornettoKetty CoronaStefano SilvestriPaolo Zegna

Interventi

Sergio de Nardis - Nomisma

Mediterraneo:il fronte suddell’economiadi Domenico Greco

Le imprese italiane e i processi d’internazionalizzazione nel Me-diterraneo, regione dalle svariate risorse, caratterizzata da consu-mi in espansione e a noi vicina nello spazio e nella cultura

L’innovazione che accorcia le distanzeIntervista a Ketty Corona

Forme possibili di cooperazione sul fronte della ricerca, per introdurre innovazione tecnolo-gica nei processi produttivi dei paesi vicini

Integrare le differenzedi Sergio de Nardis

Dirigere le esportazioni e gli in-vestimenti produttivi nelle aree in rapido sviluppo, sfruttando gli spazi di differenza che caratteriz-zano la catena del valore, con il sostegno adeguato della politica e della diplomazia

Un ponte privilegiato per il Sistema ItaliaIntervista a Paolo Zegna

Confindustria: l’attività istituzio-nale e il supporto alle imprese per cogliere potenzialità di sviluppo che il nostro paese non può permettersi di trascurare

Dialogare con la storiaper aprire al futuroIntervista a Stefano Silvestri

Solo un approccio di Sistema Paese consente di sfruttare appieno le opportunità offerte dalla maggiore apertura alla globalizzazione e da una storica vicinanza culturale

Protagonisti sulle vie del mareIntervista a Paolo Cornetto

La domanda interna in crescita spinge l’evoluzione dal puro “sourcing” al bilanciamento degli scambi. Per continuare a giocare un ruolo da protagonista l’Italia deve migliorare le infrastrutture a supporto del trasporto marittimo

GLOB NEWS Anno VII - N. 1 luglio 2013 Reg. Tribunale di Milano n. 493 del 06/09/2007 Direttore responsabile: Antonia Negri-Clementi

GLOBAL STRATEGY S.r.l.Via Durini, 5 20122 Milano Tel. +39 02 784632Fax +39 02 76013837

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Editoriale

Antonella Negri-Clementi

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Piero Cannas

Punti di VistaNon sappiamo con certezza quale siano state le cause scatenanti, non indolore è stata senz’altro la confisca delle proprietà italiane in Libia operata da Gheddafi nel 1970, pochi mesi dopo il colpo di stato che lo portò al potere. E’ vero però che tranne rarissime eccezioni - vedi l’ENI per “ragion di petrolio” - l’Italia imprenditoriale ha negli ultimi 40 anni completamente voltato le spalle ai paesi della sponda sud del mediterraneo, focalizzando i suoi investimenti esteri e i suoi sforzi commerciali in termini di sistema verso tutt’altre latitudini. Il quotidiano bombardamento di notizie sull’avanzare e sull’acuirsi della crisi economica, finanziaria e occupazionale ci impone la ricerca di spunti prospettici e proposte operative per reagire alla dinamica strutturale che ci colpisce, che ci obbliga di fatto a non ridurre l’ambito del nostro pensiero ai confini nazionali, bensì ad aprirci verso nuovi mercati in forte crescita e sviluppo. L’involuzione del nostro paese, unita agli attuali scenari macroeconomici, richiede di fatto un cambio di prospettiva, di punti di vista appunto. Certo è che gli avvenimenti degli ultimi anni, e di questi giorni con la crisi egiziana, destano non poche apprensioni nell’imprenditore desideroso di investire nella sponda africana del mediterraneo. Ma ormai non esistono più paesi dove sfruttare opportunità “mordi e fuggi”: in qualunque paese si decida di investire, lo scenario di riferimento è sempre di medio periodo, e in quest’ottica andrebbero letti, secondo noi, gli avvenimenti e gli assestamenti geopolitici di questi anni. E’ comunque necessario ponderare e valutare con estrema cura il rischio, ma qualcosa va fatto. Possiamo continuare a rinunziare a un’area di circa 600 milioni di abitanti, 600 milioni di vicini di casa, ai quali manca molto e serve quasi tutto? Mentre tutti gli altri paesi si affacciano, più meno aggressivi, al mercato di sviluppo dei prossimi 30 anni, che fanno le imprese italiane? In quest’occasione vogliamo quindi discutere in termini propositivi e su scala internazionale alcune opportunità di sviluppo localizzate nel bacino del Mediterraneo e concretamente attivabili dal nostro Sistema Paese. Questo numero di GLOBNews accoglie i contributi di Paolo Zegna - Presidente del Comitato Tecnico per l’internazionalizzazione di Confindustria - di Stefano Silvestri - Presidente dell’Istituto Affari Internazionali - e Sergio de Nardis - Chief Economist di Nomisma - che ci offrono riflessioni e stimoli dai loro osservatori privilegiati. E le interviste a Paolo Cornetto - Managing Director di Seago Line (Gruppo Maersk) - che beneficia di una visione globale sui trend di business dell’intera area, e Ketty Corona - Presidente di Sardegna Ricerche - che ci illustra possibilità di valorizzazione del nostro patrimonio di competenze anche in chiave di sfruttamento delle potenzialità espresse dal Mezzogiorno. In qualità di esperti e operatori autorevoli, ci hanno aiutato a confortare e affinare il pensiero strategico e la nostra considerazione in merito alle rilevanti opportunità di cui le imprese italiane potrebbero beneficiare sulle altre sponde del Mediterraneo, lasciandoci tutti con una forte convinzione: è tempo di cambiare i punti di vista.

«Ci sono cattivi esploratori che pensano che non ci siano terre dove approdare solo perché non riescono a vedere altro che mare attorno a sé»

(Sir Francis Bacon)

Mediterraneo:il fronte sud dell’economia

Mediterraneo significa “in mezzo alle terre”: tra l’Europa meridionale, l’Africa settentrionale, il Medio Oriente e l’Asia Minore. E come descrive Benita Ferrero-Waldner, già Commissario per le Relazioni Esterne e la Politica Europea di Vicinato, è “…luogo di nascita delle tre religioni monoteiste e crogiolo di civiltà, culture, onde di migrazioni e commercio, la storia del Mediterraneo è indistinguibile da quella dell’Europa. Il bacino del Mediterraneo è il luogo dove il nord incontra il sud e l’est incontra l’ovest. In quanto regione di convergenza di tre continenti, è molto di più di un semplice confine dell’Unione Europea”. Prima di affrontare il significato del Mediterraneo come fronte sud per la nostra economia, è necessaria una premessa sulla visione dell’Unione Europea circa i rapporti con i paesi non membri che si affacciano su questo mare.

La poLitica europea di vicinatoNel novembre 1995 i rappresentanti dei paesi dell’Unione Europea e quelli di dodici “partner mediterranei” (Algeria, Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia e Autorità palestinese) firmano la Dichiarazione di Barcellona, dove “…sottolineando l’importanza strategica del Mediterraneo e volendo conferire alle loro future relazioni una nuova dimensione, basata su una collaborazione e solidarietà globali, consona alla natura privilegiata dei vincoli forgiati dalla vicinanza e dalla storia […], convengono di stabilire un partenariato economico e finanziario che, tenendo conto dei diversi gradi di sviluppo, sia volto a: instaurare gradualmente una zona di libero

di Domenico Greco

Domenico Greco

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scambio; attuare un’opportuna cooperazione economica e un’azione concertata nei settori pertinenti; potenziare sostanzialmente l’assistenza finanziaria dell’Unione Europea ai suoi partner”. Si danno un programma di lavoro riguardo a politica, sicurezza, settore sociale, culturale e umano, e naturalmente aspetti economico-finanziari. A questo proposito vengono stabiliti i punti sui quali si concentrerà prioritariamente la cooperazione in tema d’industria, agricoltura, trasporti, energia, telecomunicazioni e tecnologia dell’informazione, pianificazione regionale, turismo, ambiente, scienza e tecnologia, acqua, pesca. Per dare nuovo impulso al Processo di Barcellona, nel 2004, la Commissione europea introduce la Politica Europea di Vicinato (ENP - European Neighbourhood Policy) e nel 2008, dà avvio all’Unione per il Mediterraneo. Con l’occasione si stabilisce di realizzare alcuni importanti progetti infrastrutturali nei settori dell’energia, della gestione delle acque e dell’ambiente, dei trasporti e dello sviluppo urbano sostenibile, insieme con il lancio di iniziative volte allo sviluppo imprenditoriale della regione. Nel 2011 la Politica di vicinato subisce una revisione e giunge a identificare sedici paesi vicini (Algeria, Armenia, Azerbaijan, Belarus, Egitto, Georgia, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Repubblica Moldava, Territories Occupati Palestinesi, Siria, Tunisia e Ukraina) con i quali ribadisce l’importanza della partnership: “This partnership with our neighbours is mutually beneficial. The EU is the main trading partner for most of its neighbours. Sustainable economic development and job creation in partner countries benefits the EU as well. Likewise,

«Quando si pensa all’umana compiutezza, all’orgoglio e alla fortuna di essere uomini, il nostro sguardo si volge al Mediterraneo»

(G. Duby)

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Le imprese italiane e i processi d’internazionalizzazione nel Mediterraneo, regione dalle svariate risorse, caratterizzata da domanda in espansione e a noi vicina nello spazio e nella cultura

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managed movement of people is positive for the entire neighbourhood, facilitating the mobility of students, workers and tourists, while discouraging irregular migration and human trafficking. Active engagement between the EU and its neighbours in areas such as education, strengthening and modernising social protection systems and advancing women’s rights will do much to support our shared objectives of inclusive growth and job creation”. A quasi vent’anni di distanza, a marzo di quest’anno, il documento “European Neighbourhood Policy: Working towards a Stronger Partnership” fa il punto sulla situazione, a fronte della crisi economica che da ormai qualche anno colpisce i paesi europei, e delle “primavere arabe” che hanno scosso di recente i sistemi di governo e politici di molti paesi mediterranei. Il documento non entra nel dettaglio degli aspetti economico-finanziari della cooperazione, e conclude sostenendo che “Partners should not lower their ambition and commitment to reform their societies and their political and economic systems. This remains essential to fulfil the aspirations and meet the needs of their populations. A renewed political commitment to actually implementing often difficult reforms is crucial. For its part, the EU needs to continue to live up to its commitments of stronger political association, greater economic integration and support for reforms”.

i nuovi stimoLi internazionaLi aLL’integrazioneNel novembre 2012 il dibattito sul Mediterraneo ha ricevuto forte impulso da un saggio di Claus Leggewie dal

titolo “Zukunft im Süden” - Il futuro è a Sud - dove si sostiene con forza la tesi che l’uscita dell’Europa dalla crisi possa avvenire attraverso un rilancio in chiave mediterranea. Viene individuata come punto di partenza un’unione energetica che accomuni l’Europa nord-occidentale, l’area mediterranea e l’Africa subsahariana; una sorta di Comunità Europea del Carbone e

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dell’Accaio (Ceca) del nostro tempo, in grado di generare processi di integrazione per l’intera regione, proprio come la Ceca degli anni cinquanta svolse un ruolo fondamentale nella creazione di un “nucleo” integrato europeo. Naturalmente il nodo cruciale degli approvvigionamenti energetici non potrebbe essere motore d’integrazione in assenza di altre azioni incisive collaterali, a partire dalle politiche dei flussi migratori e quelle del turismo in quanto risorsa economica di assoluto rilievo per l’intero bacino. E il processo nella sua globalità, sempre secondo la tesi di Leggewie, richiederebbe comunque una “evoluzione costituzionale dell’intera Unione Europea” verso “uno Stato federale di nuova generazione, alleggerito grazie a un federalismo e a un principio di sussidiarietà funzionanti”. E’ innegabile che il versante europeo non possa mai essere trascurato quando si pensa a una politica italiana del Mediterraneo, non solo su un piano filosofico, ma anche per

i risvolti concreti: pensiamo ad esempio all’importanza di stimolare i processi di omologazione in merito a fiscalità e tariffe doganali, norme di sicurezza e conformità, certificazioni di origine e di qualità, laddove i rapporti bilaterali tra paesi europei ed extraeuropei potrebbero dar luogo a disparità che necessariamente incidono sulla competitività.

una sfida da vincere per iL nostro paeseNel corso dei lavori del Milano Med Forum, tenuto nel Marzo di quest’anno dalla Camera di Commercio di Milano, i principali operatori economici coinvolti a diverso titolo nell’area si sono trovati concordi sulle aspettative di continuita’ per il 2013 e gli anni a seguire dei tassi di crescita registrati dai paesi delle sponde meridionali e orientali del mediterraneo, che nel 2011 si sono attestati mediamente oltre il 4%, con punte del 7,6% per la Turchia. I paesi del Nord Africa e del Medio Oriente,

Un ruoloche ben corrisponde alla nostra connotazione storicadi paese “costituente” dell’Unione Europea

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In quantoregione di convenienza di tre continenti, è molto di più di un semplice confine dell’Unione Europea

che rappresentano un mercato di più di 600 milioni di potenziali consumatori, rimangono perciò un target strategico per le attività di import-export dell’Unione Europea (nel 2011 l’interscambio tra le due macroregioni ha subito un aumento del 12%, attestandosi su un valore di oltre 320 miliardi di euro). In particolare, l’Italia è uno dei partner commerciali primari per i paesi dell’Area Mediterranea, con un interscambio di quasi 60 miliardi di Euro, e ha fatto registrare tra il 2010 ed il 2011 un incremento di quasi l’8%. Inoltre, il fenomeno delle primavere arabe, dando impulso e accelerazione al cambiamento del quadro socio-politico, ha portato in molti paesi a riforme nel segno di un minor controllo dello stato sull’economia, creando così un driver di rilievo nella direzione del libero scambio di mercato e dell’iniziativa imprenditoriale. L’importanza dell’area, dunque, è fuori discussione. Ci chiediamo allora qual è la consapevolezza delle aziende italiane in merito a questa

opportunità, e quali sono le azioni che il Sistema Italia dovrebbe pianificare e mettere in atto per agevolare la penetrazione in questi mercati e l’interscambio con essi. Paolo Zegna (Confindustria), nell’intervista che segue questo articolo, afferma che i grandi gruppi industriali italiani sono già presenti in quasi tutti i paesi dell’area euromediterranea, e ci dà riscontro dell’interesse crescente da parte delle PMI, che incontrano però numerosi ostacoli: “…barriere tariffarie e non, procedure doganali e tassazione indiretta, norme tecniche, sanitarie e ambientali non ancora uniformi rappresentano, infatti, dei freni non indifferenti alla presenza delle imprese italiane nell’area”. E ancora sottolinea l’importanza, valida per affrontare qualsiasi processo d’internazionalizzazione, di piani strategici adeguati e di un check-up delle competenze organizzative e informative. Consapevolezza, interesse e preparazione delle singole aziende sono imprescindibili,

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Anzituttoc’è da risolvere un problema generale di coordinamento tra le istituzioni

ma il Governo, le istituzioni e la politica industriale devono fare la propria parte se vogliamo amplificare il successo competitivo delle nostre imprese, sfruttare appieno il potenziale di crescita, trarne ogni vantaggio possibile sul fronte dell’occupazione, ed essere protagonisti di quel processo tracciato a Barcellona per raggiungere maggior benessere, pace e sostenibilità in un’area così più vasta rispetto ai confini dell’Europa geopolitica di oggi. Un ruolo, quest’ultimo, che ben corrisponde alla nostra connotazione storica di paese “costituente” dell’Unione Europea. E anche all’immagine “sociale” degli italiani, da sempre ritenuti più capaci di altri nell’instaurare e mantenere buoni rapporti di convivenza in situazioni nuove e non facili. A questo proposito è fondamentale che la politica estera italiana non perda alcuna occasione di tradurre il nostro impegno trascorso, attuale e futuro nel bacino mediterraneo in ritorni sul sistema economico, come osserva Stefano Silvestri (Istituto Affari Internazionali).

Le possibiLi Leve di sistema da attivareLe azioni da intraprendere per dare alle imprese italiane un booster adeguato sono davvero molte, e le interviste e i contributi che pubblichiamo questo numero di GLOBNews sono ricchi di spunti. Qui ci limiteremo a sottolinearne alcune. Anzitutto c’è da risolvere un problema generale di coordinamento tra le istituzioni: ministeri (almeno quattro quelli particolarmente coinvolti: Economia, Sviluppo, Affari Esteri, Infrastrutture e Trasporti), agenzie governative (in primo luogo SACE e SIMEST) e regionali, camere di commercio, associazioni imprenditoriali di categoria e territoriali, sistema del credito e delle assicurazioni, oltre alle istituzioni europee analoghe. Solo con una regia concreta ed efficiente sarà possibile indicare priorità in termini di focalizzazione di azioni di sviluppo coordinate su specifici paesi, settori merceologici, grandi progetti, eccetera. Più in particolare, qualche osservazione sui settori del credito, delle infrastrutture e della logistica. In merito al credito, le dinamiche di sviluppo dell’area

target hanno bisogno di essere sostenute da servizi bancari e finanziari caratterizzati da un coerente approccio all’area in questione. I paesi del Mediterraneo mostrano ancora nel complesso un modesto grado di sviluppo finanziario sia da un punto di vista istituzionale e normativo sia in termini di volumi intermediati, con qualche eccezione come Israele e Libano. Il processo evolutivo degli intermediari finanziari locali procede in parallelo con una maggiore apertura dell’area agli intermediari esteri (Europei e non), offrendo spazi d’intervento alle aziende di credito italiane che vogliano accompagnare e supportare l’internazionalizzazione delle imprese, sfruttando allo stesso tempo ulteriori opportunità di business disponibili nelle aree target. Ponendosi invece sull’altra sponda, devono essere necessariamente tenuti in considerazione gli stock di finanza che potrebbero essere utilizzati a servizio dei processi di rafforzamento patrimoniale delle imprese e degli intermediari europei, anche in compliance con regolamentazioni (Shari’a) che potrebbero rivelarsi coerenti con le necessità imposte dall’attuale congiuntura. Un altro macro-filone di opportunità risiede nei progetti infrastrutturali, anche da considerare in connessione con il settore della logistica. Terreni operativi abituali per i grandi gruppi italiani, che riservano però ampio spazio anche alle nostre PMI: sia all’estero, dove andrebbe meglio considerata la domanda che la realizzazione di grandi opere induce in termini di sviluppo e urbanizzazione delle aree interessate (da soddisfare anche con la costituzione di “reti di filiera” che rendano i progetti stessi più appetibili per i governi che devono autorizzarli), sia in patria, dove la crescente proiezione verso i mercati del Mediterraneo richiede miglioramenti strutturali e di efficienza (come ad esempio il potenziamento dei raccordi ferroviari a servizio dei principali porti e verso il Nord Europa) che, in questa chiave, potrebbero rappresentare una concreta leva anche per ridare stimolo alla nostra economia (maggiore efficienza all’approvvigionamento materie prime, centri di trasformazione localizzati, eccetera). Con un ulteriore slancio

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prospettico e confidenza nella diplomazia internazionale con riferimento ai processi di pacificazione e stabilizzazione delle relazioni economiche, non può sicuramente essere trascurata la possibile maggior apertura di mercati e paesi (come Iran e Iraq) che in questo momento rientrano ancora a margine delle discussioni ma che per potenziale economico e ruolo nell’area potrebbero sicuramente rappresentare un ulteriore up-side in termini di opzioni di sviluppo attivabili nel medio-periodo dalle nostre aziende in chiave di strategia mediterranea.

attivare La coscienza deLL’opportunitàIn conclusione ci sembra di poter affermare con certezza che i paesi dell’area rappresentano per la nostra economia un’opzione di sviluppo concretamente aggredibile, non solo nel medio-lungo

periodo e in funzione di un adeguato supporto di diplomazia e istituzioni locali e europee, ma anche nel breve e da aziende tanto di grande quanto di media dimensione. E’ necessario che queste assumano innanzitutto reale coscienza delle dimensioni geografiche ed economiche delle opportunità disponibili, e si facciano ambasciatrici da subito di quel processo di integrazione che ci vede in prima linea dal punto di vista geografico. Anche il nostro Mezzogiorno può trovare in tale processo una chiave di rilancio e rappresentare un’importante opportunità di servizio per le aziende continentali, italiane e non. Condizione necessaria è che tutti gli attori del Sistema Italia, manager e imprenditori in primis, si facciano condurre dallo slancio visionario e - citando un importante banchiere italiano - dalla propensione al rischio che appartiene storicamente al nostro DNA.

International Monetary Fund: Middle East and Central Asia

Le impreseitaliane si facciano da subitoambasciatrici di quel processo di integrazione che ci vede in prima linea dal punto di vista geografico

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Un ponte privilegiato per il Sistema ItaliaIntervista a Paolo Zegna

Affrontiamo la questione mediterranea dal punto di vista dell’industria italiana con Paolo Zegna, l’imprenditore biellese che dirige il Gruppo omonimo ed è Pre-sidente del Comitato tecnico per l’inter-nazionalizzazione di Confindustria. “Par-liamo di un’area che nella sua totalità produce una ricchezza superiore a quella dell’India o del Brasile” dice Paolo Zegna “e che, anche in un periodo di congiun-tura economica negativa come quella che stiamo attualmente affrontando, continua ad avere tassi di crescita positivi. Que-sta regione attira più investimenti diret-ti esteri dell’intero Mercosur e gioca un ruolo fondamentale nella partita energeti-ca in atto sullo scacchiere internazionale. Inoltre, nei porti mediterranei transita un terzo del commercio mondiale. Le poten-zialità di sviluppo sono dunque evidenti e il nostro paese non può trascurarle.

D. Quali sono le aree geografiche a maggiore attrattività, e quali sono i segmenti industriali che offrono le maggiori opportunità di penetrazione alle aziende italiane?R. Certamente è necessario tener presen-te che la regione non è omogenea e le op-portunità differiscono da paese a paese in modo piuttosto marcato. In Algeria, per esempio, il vertice bilaterale del novem-bre 2012 ha dato impulso ad accordi in-tergovernativi che hanno permesso l’af-fidamento diretto per la costruzione di centomila alloggi nelle principali città al-gerine ad aziende italiane in partnership con società pubbliche locali. Ma al setto-re costruzioni si affiancano anche interes-santi occasioni di business nei comparti

delle tecnologie verdi, dell’acquacoltu-ra e della trasformazione alimentare. In Israele sono l’ICT e l’homeland securi-ty a farla da padrone, mentre per i paesi del Consiglio di Cooperazione del Gol-fo citerei l’oil & gas, le infrastrutture e i beni di lusso. L’Egitto sta cercando di puntare, finalmente, su uno sviluppo so-stenibile del settore privato, incentivando la creazione di PMI locali operanti nel manifatturiero, che avranno bisogno di know how e tecnologie in cui noi italiani possiamo esprimere eccellenze ricono-sciute. In Marocco vi sono interessanti prospettive per settori come l’automotive, le rinnovabili e l’agroindustria. Non a caso in settembre organizzeremo come Confindustria una missione a Casablan-ca dedicata proprio a questi comparti. Tra i settori che risultano di maggiore interesse per le nostre imprese rientra, senza dubbio, quello delle infrastrutture, trainato dalla crescita della popolazione, dall’urbanizzazione e dall’industrializ-zazione sperimentata in questi anni dai paesi della sponda sud del Mediterraneo. Altro settore chiave è, senza dubbio, quel-lo dell’energia: l’Italia, grazie alla sua po-sizione geografica e ai suoi key player già attivi nell’area, può proporsi come snodo fondamentale nella distribuzione verso l’Europa. Inoltre, buone prospettive ven-gono anche dal settore delle rinnovabili a cui molti governi dell’area guardano con crescente interesse. Per quanto riguarda il settore agro-alimentare, sono ancora poco esplorate le opportunità offerte alle nostre imprese dalla produzione di frutti e legumi tropicali, colture fuori stagione e agricoltura biologica. Nel settore dei beni

Paolo Zegna, Presidente Comitato tecnico per l’internazionalizzazione di Confindustria

«Non puoi attraversare il maresemplicemente stando fermoe fissando le onde»

(R. Tagore)

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Confindustria: l’attività istituzionale e il supporto alle imprese per cogliere potenzialità di sviluppo che il nostro paese non può permettersi di trascurare

di consumo, importanti opportunità ven-gono dalla progressiva affermazione di una classe media con un potere di acqui-sto crescente. A ciò va aggiunto che una forte percentuale della popolazione dei paesi della sponda sud del Mediterraneo ha meno di 15 anni e una forte propen-sione all’acquisto di prodotti occidentali. Ancora, un’economia competitiva passa oggi attraverso lo sviluppo delle tecno-logie di informazione e comunicazione. I paesi del Mediterraneo mancano anco-ra, eccezion fatta per Israele e Turchia, di infrastrutture adeguate in questo set-tore: il potenziale di sviluppo di questo comparto è dunque estremamente inte-ressante per le nostre imprese. Concludo citando il settore del turismo, destinato a rappresentare sempre più una priorità per i paesi dell’area, sia per quanto riguarda la realizzazione di nuove infrastrutture alberghiere e il miglioramento di quelle esistenti, che per l’incremento delle rotte delle nostre navi da crociera.

D. Ci sono particolari requisiti di cui le aziende italiane dovrebbero dotarsi per soddisfare i nuovi segmenti di do-manda? R. I grandi gruppi industriali italiani sono presenti in quasi tutti i paesi dell’area. Le piccole e medie imprese, invece, hanno una presenza ancora molto limitata per le complessità organizzative finora riscon-trate, legate a un ambiente non sempre pronto ad accoglierle. Barriere tariffarie e non, procedure doganali e tassazio-ne indiretta, norme tecniche, sanitarie e ambientali non ancora uniformi rappre-sentano, infatti, dei freni non indifferenti

alla presenza delle PMI italiane nell’area.Certamente una informazione migliore e una struttura articolata giova nell’ap-procciare nuovi mercati. Così come il fare sistema attraverso strumenti sem-plici ed efficaci come quello delle Reti d’Impresa. Inoltre, ancora troppo spesso le imprese che tentano la via dell’interna-zionalizzazione non si dotano di un ade-guato piano strategico che supporti tale

Ènecessariocontinuare a ribadire a livello istituzionale la centralità di quest’area nelle priorità del Paese

progetto. Adottare strategie di marketing internazionale oggi è una tappa obbligata per le PMI che vogliono affacciarsi sui mercati esteri. Questo perché aiuta, prima di tutto, a evitare costosi insuccessi e, in seguito, a ottenere un quadro delle pos-sibilità per l’azienda sul mercato estero prescelto.

D. La prossimità geografica del no-stro Mezzogiorno può essere fonte di vantaggio competitivo per l’Ita-lia rispetto agli altri paesi europei? E quali potrebbero essere le ricadute favorevoli dal suo sfruttamento anche per il resto del Paese?R. L’Italia è geograficamente il tramite principale tra Europa e Mediterraneo, so-prattutto per similitudini sociali e cultura-li. Il Mezzogiorno in particolare, potrebbe costituire il “ponte privilegiato”, potendo da un lato offrire un supporto logistico d’alto livello, dall’altro costituire una piattaforma dove sperimentare nuove for-me di collaborazione tra i paesi del Me-diterraneo. Da sempre le aziende italiane preferiscono i cosiddetti “mercati vicini”. Non a caso, per esempio, nella sola Tu-nisia sono oltre 600 le imprese italiane presenti in pianta stabile. E la Regione Si-cilia, che dista solo 140 km dalla costa tu-nisina, vanta relazioni di business struttu-rate e continuative. Come Sistema Italia, tanto per fare un esempio, possiamo dare un contributo non indifferente alla stabi-lizzazione sociale dell’area, attraverso quello che sappiamo fare meglio: ovvero fare impresa. La creazione di un tessuto imprenditoriale locale, con conseguente aumento dell’occupazione in questi paesi, rappresenta infatti un elemento decisivo nel processo di crescita economica e so-ciale del Mediterraneo, con evidenti rica-dute in termini di contenimento dei flus-si migratori e garanzie di sicurezza, che ovviamente hanno a loro volta ricadute sull’Italia intera, ma anche sull’Europa.

D. Primavere arabe e problemi di stabilità politica influiscono sulla sicurezza degli investimenti…

R. L’economia dei paesi della sponda Sud del Mediterraneo è stata certamen-te influenzata dalla recente transizione politica che alcuni di loro hanno affron-tato e stanno tutt’ora gestendo. L’impat-to maggiore si è avuto, senza ombra di dubbio sugli IDE, sui settori delle costru-zioni e sul turismo. Di conseguenza, le proiezioni di crescita sono scese a cifre inferiori rispetto a quelle degli anni pre-cedenti. Per questo sono importanti le rassicurazioni che provengono dai Go-verni di questi paesi. Il Sistema Italia è pronto ad affiancarli nel difficile compi-to di stabilizzazione politica, sociale ed economica dell’area ed è importante che questo nostro proposito trovi, sul fronte istituzionale, interlocutori locali pron-ti ad accogliere questa disponibilità e a indirizzarla correttamente, definendo sin da ora priorità e impegni per il medio periodo. Come Confindustria stiamo la-vorando proprio in questa direzione: nei nostri contatti con le controparti locali cerchiamo infatti di identificare singoli progetti di interesse reciproco, circoscrit-ti ad alcune filiere prioritarie per questi paesi, al fine di concentrare gli sforzi delle nostre imprese su attività concrete e di sicuro impatto.

D. Qual è l’effettiva consapevolezza nel nostro Sistema Paese in merito a tali opportunità? Quali sono gli interventi strategici più urgenti al fine di massi-mizzare lo sfruttamento di tale leva?R. Innanzitutto è necessario continua-re a ribadire a livello istituzionale la centralità di quest’area nelle priorità del Paese. Da anni Confindustria porta avan-ti un vasto programma di iniziative verso quest’area, a partire dal Forum Economi-co del Mediterraneo, realizzato a Paler-mo nel 2006. A quella iniziativa presero parte oltre 600 imprenditori provenienti da 14 paesi del Mediterraneo, per i quali vennero organizzati più di 2.000 incon-tri di business. Il successo di pubblico di questo evento è stato addirittura dupli-cato nella seconda edizione, a Roma nel 2010. Abbiamo poi realizzato importan-

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ti missioni imprenditoriali in Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Israele e nei principali paesi del Consiglio di Co-operazione del Golfo, e numerose atti-vità nell’Area MENA sono già previ-ste nel fitto calendario di iniziative del 2013/2014. Queste attività mantengono alta l’attenzione verso i mercati dell’area e permettono di lavorare sulla continu-ità delle relazioni con i nostri interlo-cutori locali: la vera chiave per fornire supporto efficace alle nostre imprese in questi paesi.

D. Come interpreta la dichiarazione di Martin Schulz al recente summit di Marsiglia: “I governi non fanno abba-stanza per fare del Mediterraneo uno spazio di cooperazione”?R. Intendeva chiaramente sensibilizzare i membri sulla necessità di aumentare le risorse attualmente messe a disposi-zione dagli Stati per il partenariato eu-romediterraneo. L’integrazione dell’area con l’UE è un obiettivo imprescindibile, soprattutto per rilanciare la centralità del Mediterraneo nella definizione degli equilibri geostrategici mondiali sempre più spostati verso l’Oceano Pacifico a causa dell’allargamento del G8 al G20. Non è però un mistero che il Processo di Barcellona non abbia raggiunto i suoi principali obiettivi, fra cui la creazione entro il 2010 dell’area di libero scambio. Il maggior limite che si è frapposto al raggiungimento di tali obiettivi è la di-mensione quasi esclusivamente intergo-vernativa del Partenariato euromediter-raneo, con insufficiente coinvolgimento delle istituzioni regionali e locali e, di conseguenza, delle popolazioni in-teressate. Il risultato è stato quello di prendere decisioni percepite come impo-ste dall’altro e lontane dalle reali esigen-ze della sponda sud. L’Upm rappresen-ta un tentativo apprezzabile di superare alcuni limiti del Processo di Barcello-na, ma la sua reale efficacia dipenderà dalla capacità di evitare che si ripro-ponga il metodo top-down praticato in passato.

D. Quanto e come la politica economi-ca italiana ha tenuto conto degli indi-rizzi comunitari nel passato recente? E quale ruolo potrebbe giocare l’Italia in questo scenario?R. L’Italia, come Sistema Paese, è sempre stata non solo consapevole della centrali-tà del Mediterraneo, ma anche particolar-mente attiva nel ribadire la priorità della Regione. Mi piace ricordare che Confin-dustria è stata la prima delle Federazio-ni imprenditoriali europee a entrare in BusinessMed, la confederazione del-le associazioni datoriali mediterranee, rimarcando molto prima di Francia e Spa-gna la nostra vocazione mediterranea. La struttura stessa del nostro sistema produttivo, caratterizzato da un elevato numero di piccole e medie imprese, rap-presenta un modello straordinariamente efficace in quest’area, perché snello, fles-sibile e non invasivo per il territorio locale. Attraverso le sue PMI l’Italia è infatti in grado di contribuire alla creazione di sistemi imprenditoriali locali trami-te scambi di know how e tecnologia. Si tratta di uno schema che consen-te di beneficiare di vantaggi condivi-si: la consolidata tradizione delle no-stre imprese all’estero è infatti quella di contribuire all’occupazione locale e favorire benessere per l’intera co-munità nel quale sono inserite. Dob-biamo puntare a ricreare il modello già adottato nell’Europa dell’est, dove l’Italia è stata in grado di contribuire, attraverso i suoi imprenditori, all’infra-struttura stessa di paesi come la Roma-nia, la Bulgaria e la Serbia. Non si tratta di un percorso semplice, sia chiaro: accom-pagnare le imprese italiane nel loro proces-so di internazionalizzazione richiede uno sforzo continuo che noi, come istituzioni, dobbiamo tenere costantemente al cen-tro delle nostre priorità. È infatti neces-sario convincere in primis le nostre PMI delle loro potenzialità nell’area e lavorare perché capiscano di poter essere parte di un processo più ampio di sviluppo di un contesto di business che non può più restare relegato entro i confini nazionali.

La strutturadel nostro sistema produttivorappresenta un modelloefficace in quest’area,perché snello, flessibile e non invasivo per il territorio locale

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Dialogare con la storiaper aprire al futuro

Stefano Silvestri, un passato ricco di do-cenze e incarichi governativi, editorialista de Il Sole 24 Ore e collaboratore di nume-rosi quotidiani nazionali sui temi di politica estera e di difesa, è Presidente dell’Istituto Affari Internazionali dal 2001. “Questo è senz’altro un argomento molto complicato e ingiustamente trascurato che invece con la crisi economica avremmo dovuto poten-ziare…” esordisce il professore, “C’è sta-to un abbozzo di politica europea ma non molto efficace: l’iniziativa che aveva preso Sarkozy per la creazione dell’Unione per il Mediterraneo è fallita ancor prima di comin-ciare, perché si dovevano elaborare dei piani ma non si capiva chi avrebbe dovuto finan-ziarli. Poi, con la Politica di Vicinato sono stati stanziati capitali, ma gestiti, secondo me, in modo troppo “tradizionale”: più nella linea dei vecchi rapporti bilaterali che dei nuovi rapporti multilaterali europei. Più di recente, fenomeni quali la crisi economica e le primavere arabe hanno ovviamente reso la situazione ancora più complicata e ritar-dato il processo. Ora si tratta di vedere se riusciamo a pensare Mediterraneo e Medio Oriente in maniera globale rispetto agli in-vestimenti necessari, e c’è bisogno di chia-rezza da parte dell’Unione Europea: si con-sidera responsabile della sicurezza a lungo o almeno a medio termine in queste aree?

D. Questa responsabilità potrebbe espri-mersi attraverso la promozione dello svi-luppo economico come forza di stabiliz-zazione ?R. Certamente, ma dal punto di vista del-l’Italia c’è un doppio problema. Da un lato, malgrado la crisi economica, noi non pos-siamo chiudere all’immigrazione, ma dob-

Intervista a Stefano Silvestri

biamo cercare di gestirla perché è evidente che è una risorsa, e oltretutto continuiamo ad avere una domanda di immigrati e non solo per lavori poco qualificati, ad esempio nella sanità. Poi la difficoltà dovuta al fatto che in questi paesi ormai la domanda rile-vante è quella di investimenti produttivi, e ciò in certi settori può provocare tensioni concorrenziali.

D. E’ possibile individuare mercati dell’area Medio Oriente-Nord Africa più attrattivi per l’Italia? R. Paesi particolarmente importanti per noi sono quelli del Maghreb: Marocco, Tunisia e, solo in parte, Algeria perché lì il modello di governance economica è ancora molto vicino al socialismo reale. Il Marocco, dove abbiamo già investito molto, ci vede ormai in concorrenza con altri investitori: oggi il Brasile “domina”, facendo leva sui lavori svolti per il porto di Tangeri e sulla metà atlantica dell’anima del paese. L’esistenza di rapporti privilegiati di questo tipo (come avviene, ad esempio, anche per la presenza della Cina in Grecia o in Libia) deve farci riflettere sulla maggiore apertura alla globa-lizzazione di alcuni paesi del Mediterraneo, e non trascurare l’opportunità. Perché noi manteniamo alcuni vantaggi marginali sui quali possiamo fare leva. In parte la vicinan-za geografica, in parte la nostra veste euro-pea con la differenza peculiare di non essere un’ex potenza coloniale. Dobbiamo quindi cercare di avere degli approcci non isolati, cosa che avviene invece oggi: si mandano le singole imprese allo sbaraglio, in assen-za totale di pianificazione. Ci sono azioni di qualche Camera di Commercio, ma non veri e propri piani d’investimento stesi sulla base

«Perché il Mediterraneoè un crocevia antichissimo.Da millenni tutto vi confluisce,complicandone la storia:bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere»

(F. Braudel)

Stefano Silvestri, Presidente Istituto Affari Internazionali

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Solo un approccio di Sistema Paese consente di sfruttare appieno le opportunità offerte dalla maggiore apertura alla globalizzazione e da una storica vicinanza culturale

di consultazione con i paesi interessati. Non basta mandare aziende a vendere: sarebbe molto più importante promuovere la pre-senza di imprese che intendano impegnar-si sul territorio. Organizzare, ad esempio, reti d’imprese dove accanto a chi si occupa d’infrastrutture ci fossero anche aziende di distribuzione o d’informatica. Oltre al Ma-ghreb vedo sicuramente interessante l’Egit-to, mentre in Libia il processo di stabiliz-zazione appare ancora troppo problematico. Anche in Egitto rimangono tensioni tra i militari - i Fratelli Musulmani e quel 25% di popolazione che ha animato il cambiamento ma oggi non ha rappresentanza politica - ma sicuramente è un interlocutore con il quale abbiamo una lunga storia di buoni rapporti.

D. Quanto contano i precedenti “storici”?R. Il dialogo è fondamentale, ma in al-cuni casi è davvero difficile. Prendiamo l’esempio dell’Iran. Sono stati proposti molti compromessi che l’Iran avrebbe po-tuto tranquillamente accettare, ma non l’ha fatto per problemi di politica interna: l’esi-stenza di due blocchi - il partito di Ahma-dinejad e i religiosi - fa sì che ognuno tema d’indebolirsi politicamente agli occhi dell’altro, così si crea immobilità. Negli ul-timi dieci-quindici anni, l’Italia, anche con l’accordo degli USA, ha cercato un dialogo che è stato interrotto più volte, sempre da parte degli interlocutori iraniani. Rimane l’interesse fortissimo - per l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti – a un’apertura che potreb-be avere ricadute positive rispetto a molte altre aree, permettendoci di non essere più così dipendenti dalla “buona volontà” dei Sauditi e degli Emirati che, di fondo, han-no priorità diverse dalle nostre. Il nucleare

è l’elemento cruciale, poi gli approvvigio-namenti di petrolio e gas con quello che ne consegue. Adesso, però, con l’estrazione dagli scisti bituminosi, gli equilibri cambie-ranno completamente: la minaccia iraniana per gli USA non sussiste più. Sempre a pro-posito di precedenti storici, un altro paese per certi versi interessante è lo Yemen, dove abbiamo una storia di presenza anche mili-tare, sulla quale però non abbiamo mai in-

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vestito. Questo è sicuramente un problema italiano: le nostre missioni militari rimango-no “asettiche”, non sono mai occasione per assicurarci qualche vantaggio economico o commerciale. E’ esemplare il caso dell’Al-bania, dove un anno dopo la conclusione della nostra missione “Alba” il paese era pieno d’investitori tedeschi. Perché il loro governo li ha indirizzati, le assicurazioni li hanno coperti, le ambasciate hanno opera-to opportunamente… insomma: i tedeschi hanno fatto sistema! Noi in Italia abbiamo gli stessi strumenti, ma rimangono teori-ci se mancano indirizzo e coordinamento governativi. Allora, ad esempio, la SACE concederà coperture assicurative a propria discrezione, com’è ovvio che sia se nessu-no le indica delle priorità: deciderà in base a valutazioni puramente economiche o sem-plicemente secondo l’ordine di arrivo.

D. In fatto di settori produttivi, individua opportunità più interessanti di altre?R. L’Italia è abbastanza concorrenziale in quasi tutti i settori. Quelli tradizionali sono stati le costruzioni, l’energia e i trasporti. Secondo me potrebbero essere interessanti anche quelli più specializzati e più avan-zati tecnologicamente, ma oggi la nostra competitività sembra un po’ ridotta, e ciò è dovuto anche a quell’assenza di coordi-namento del sistema di cui parlavo. Per questo stesso motivo siamo meno concor-renziali di quanto potremmo essere, anche in settori come l’agroalimentare e la distri-buzione. Il nodo fondamentale, ripeto, è l’approccio di sistema. E dovrebbe essere accompagnato anche da una politica del-l’istruzione che rispondesse adeguatamente alla variabilità del quadro economico: da una parte per soddisfare la domanda di for-mazioni specifiche, dall’altra con funzione di orientamento. Inoltre, le nostre scuole

dovrebbero sia ritornare competitive per attrarre studenti stranieri, sia diffondersi all’estero dove ne stiamo chiudendo molte invece di aprirne di nuove: la domanda di imparare l’italiano sta crescendo, e manca-no gli italiani che lo insegnino!

D. Parliamo di logistica: quanto siamo attrezzati per poter sfruttare questo au-spicato aumento di scambi con l’area del Mediterraneo?R. Ci sono svariati problemi, alcuni anche di tipo legislativo. Un esempio è il progetto TAP (Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che collegherà l’Azerbaijan alla Puglia): abbiamo rischiato di perdere l’opportunità di essere un hub energetico perché nessu-no riusciva a dare l’autorizzazione finale per far partire il gasdotto! Finalmente la decisione è stata presa. Ora bisogna preoc-cuparsi di sfruttarla al meglio, però. Così come andrebbe messo a punto il sistema d’interconnessione dei gasdotti per garanti-re la direzione dei pompaggi - da nord, sud o est - adeguata all’entità della domanda e alla disponibilità dell’offerta. Pensiamo poi ai porti, dove il vero problema è rap-presentato dalla mancanza di collegamenti adeguati con il sistema dei trasporti su ter-ra. Abbiamo gestito male la rivoluzione dei container e quindi non riusciamo a sfruttare appieno il potenziale dato da una così vasta estensione delle nostre coste.

D. Lei ci sta dicendo che l’opportunità “mediterranea” c’è ancora, ma che mol-to si dovrebbe migliorare per poterla co-gliere. Da dove partire? Ci sono istanze che andrebbero particolarmente caldeg-giate dai nostri politici?R. Il punto di partenza è l’individuazione delle priorità. Questo non riguarda solo l’Italia ma anche l’Unione Europea, quindi

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Alle regioniva dato un indirizzo più forte, più cogente e più chiaro in fatto di priorità

si aggiungono problemi di coordinamento: ad esempio, sempre in materia di energia, non è sostenibile una differenza di prezzo tra paesi europei che raggiunge il 30-40% ed è dovuta alle diverse politiche fiscali. L’idea della “Banca Mediterranea” an-drebbe rilanciata chiedendo un forte coin-volgimento della Banca Europea degli Investimenti. Altro tema su cui insistere è l’omologazione degli aspetti legislativi per tutto ciò che riguarda i transiti e le vie di comunicazione, particolarmente in Italia: oggi c’è un frazionamento eccessivo tra poteri nazionali e regionali, sarebbe invece importante arrivare a una sorta di “sportel-lo unico” per le autorizzazioni. Lo stesso vale in materia d’internazionalizzazione: se n’è tanto parlato, ma alla fine ogni regione affronta il tema a modo suo. Alle regioni, insomma, va dato un indirizzo più forte, più cogente e più chiaro in fatto di priorità.

D. Prima lei ha accennato al vantag-gio competitivo per l’Italia dovuto alla prossimità geografica del nostro Mezzo-giorno… R. Le premesse economiche, come abbia-mo discusso ampiamente, andrebbero mi-gliorate, ma le premesse culturali ci sono: gli italiani del Sud sono percepiti come i meno “diversi” tra gli europei. E il nostro Mezzogiorno potrebbe avere un ruolo mol-to importante se sfruttasse al meglio anche le proprie competenze agricole di tipo me-diterraneo: l’agricoltura potrebbe diventa-re un vero settore trainante valorizzando una serie di produzioni tipiche del nostro Sud e comuni a gran parte dell’area medi-terranea e mediorientale. Si tratterebbe di sistematizzare e approfondire competenze “naturali” - che è un po’ quello che hanno fatto con successo gli Israeliani. E capire che non ha senso, ad esempio, cercare di

bloccare i tentativi dei tunisini di esportare olio, quando si potrebbe investire lì, portare lì il nostro know how di produttori, arric-chendoci entrambi.

D. Ci sono paesi europei che possia-mo considerare esempi eccellenti nello sviluppo dell’economia intra-mediterra-nea?R. Le difficoltà le hanno avute un po’ tutti, e tutti hanno fatto errori. Forse gli spagnoli, i francesi e in parte i portoghesi hanno fat-to più sforzi di noi in direzione di quest’a-rea, ma sono anche stati ostacolati più di noi dalla memoria storica. I tedeschi, come dicevo, sono stati decisamente abili: hanno fatto sistema e oggi sono il primo partner commerciale per la maggior parte dei paesi del Mediterraneo.

D. Riprendendo il tema finanziario, come vede il possibile ruolo della finanza islamica?R. Il nostro sistema bancario e finanziario se ne sta occupando con interesse crescen-te, e inizia a diffondersi anche la compren-sione dei suoi meccanismi. Non vedo pro-blemi teorici, anzi semmai l’opportunità di far valere la nostra esperienza consolidata di stretti rapporti con il sistema bancario turco. Spesso però i paesi arabi valutano ancora i grandi progetti con criteri politici più che economici, e favoriscono determi-nati investimenti guardando soprattutto alla nazionalità dell’investitore e alle garanzie che può offrire in cambio. In linea di mas-sima, comunque, si tratta di individuare progetti credibili, e mettere attorno a un tavolo co-investitori stranieri per avviare un “project financing”. Certamente così potremmo attrarre capitali dal Golfo, dal Qatar, dal Kuwait, dall’Arabia Saudita, ma la chiave rimane il progetto.

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Protagonisti sulle vie del mareIntervista a Paolo Cornetto

«Il marenon ha paese nemmen lui,ed è di tutti quelliche lo stanno ad ascoltare,di qua e di làdove nasce e muore il sole»

(G. Verga)

Paolo Cornetto, Managing Director Seago Line Italy Cluster

Parlare di Mediterraneo è parlare di trasporto marittimo come infrastrut-tura chiave. Abbiamo incontrato Paolo Cornetto, Managing Director di Seago Line Italy Cluster, parte del gruppo A.P. Moller/Maersk. “Abbiamo comin-ciato la nostra attività esattamente due anni fa” racconta Cornetto “quando Maersk Line, leader mondiale del traspor-to marittimo containerizzato, ha voluto assicurare il necessario focus sul mercato euromediterraneo. Una parte di organiz-zazione e più di settanta navi della flotta si sono staccati e resi autonomi nel mer-cato intraeuropeo, mentre Maersk Line ha continuato a offrire servizi su mercati cosiddetti ‘deep-sea’, extraeuropei”.

D. Quali punti sono i punti di forza che vi differenziano dalla concorrenza?R. Le sinergie con la ‘sorella maggio-re’, Maersk Line, sicuramente ci creano un vantaggio competitivo in termini di know-how, soluzioni IT, asset ed econo-mie di scala. Ma al di là di questo, ci stia-mo giocando la nostra partita soprattutto sulla qualità del servizio che vogliamo fornire ai nostri clienti. Comunicazio-ne, visibilità, proattività, attenzione alle esigenze del cliente e conoscenza e com-prensione del trade, questi credo siano valori aggiunti importanti che vogliamo offrire alla clientela che ci utilizza. Io la-voro nel settore dei trasporti intramedi-terranei da circa 25 anni.

D. In questi venticinque anni ha po-tuto seguire lo sviluppo degli scambi, dei trasporti e dell’economia stessa nel bacino del Mediterraneo: una regione

ricca di materie prime e connotata da domanda di consumi in espansione, che da tempo viene indicata addirittura come unica possibilità di sviluppo per l’economia europea in crisi. Qual è la sua opinione in merito?R. Forse non sarà l’unica opportunità per l’Europa, ma certamente il Mediterraneo rappresenta quella più alla nostra portata data la vicinanza geografica e culturale. L’Italia in particolare è sempre stata mol-to attiva nel Mediterraneo, sviluppando relazioni forti e ritagliandosi spazi privi-legiati con quasi tutti i paesi che vi si af-facciano. I nostri scambi con la Turchia, l’Egitto, ma anche il Marocco, l’Algeria, Israele e la Libia hanno avuto un trend di costante crescita, come in crescita sono innegabilmente i consumi in tutta l’area. Da puro “sourcing”, questo mer-cato sta definitivamente evolvendo verso un maggiore bilanciamento degli scambi, destinati a crescere ulteriormente quan-do i molti cambiamenti avvenuti in Nord Africa saranno definitivamente assorbiti.

D. Quanto l’attrattività è più rilevante per il mercato dei trasporti? In parti-colare per quali segmenti?R. All’interno del Mediterraneo si tra-sporta di tutto: macchinari, elettrodome-stici, manufatti, materie prime, prodotti alimentari, eccetera. Mi incuriosisce an-che capire cosa comporterà il fenomeno in atto del “back-shoring”, cioè produ-zioni ora remote che si spostano nuova-mente a ridosso dei mercati di consumo: magari ci saranno ulteriori opportunità in futuro… Per quanto riguarda l’offerta di trasporti, oggi è ampia e variegata. Non

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La domanda interna in crescita spinge l’evoluzione dal puro “sourcing” al bilanciamento degli scambi. Per continuare a giocare un ruolo da protagonista, l’Italia deve migliorare le infrastrutture a supporto del trasporto marittimo

è un mercato semplice, bensì altamente competitivo, dove varie tipologie di navi porta-container e traghetti si confrontano quotidianamente, riuscendo solo parzial-mente a ridurre le grandi quote di merca-to che ancora si muovono, dove possibi-le, via strada.

D. Quali sono i fattori critici di succes-so per soddisfare la domanda di tra-sporti da e verso questi paesi? R. Regolarità e frequenza dei servizi, fles-sibilità e puntualità nella gestione del pro-cesso di spedizione. Le distanze sono bre-

vi e il just-in-time sempre più necessario alle aziende per tenere scorte (e costi) sot-to controllo. Chi opera in questo mercato deve essere in grado di erogare un servizio di alta qualità, pronto a investire.

D. Quali sono i servizi più impor-tanti richiesti a un operatore di tra-sporti nell’area euromediterranea, in particolare da parte dai clienti italiani? R. Un trasporto porto/porto competitivo in termini di costi bassi e rapidi tem-pi di transito ed esaustive informazioni

durante la sua esecuzione. Ma anche la capacità, se richiesto, di estendere il tra-sporto dal porto al punto di carico/scarico e viceversa.

D. Quanto è importante la presenza di-retta nei mercati in questione? R. Beh, fondamentale. Abbiamo uno o più uffici in ogni paese d’Europa, del Mediterraneo e del Mar Nero. Più di seicento colleghi selezionati nel 2011 - dall’interno del Gruppo così come dal mercato - con i quali ci coordiniamo quo-tidianamente, con l’obiettivo di garantire competenza, continuità e controllo dei trasporti da origine a destinazione.

D. Qual è la situazione dei porti vista da un operatore internazionale come Seago Line proiettato verso il Mediter-raneo?R. Molti porti all’interno del bacino Mediterraneo soffrono di grande conge-stionamento. Sarebbe auspicabile una maggiore efficienza portuale, soprattutto

sulla sponda Sud, per amplificare il vantaggio della vi-cinanza geografica. Per quanto riguar-da l’Italia, i nostri Porti funzionano mediamente bene; bisognerebbe sol-tanto stabilirne un ordine di importan-za per meglio con-centrare le risorse disponibili al loro sviluppo.

D. E il sistema del-le infrastrutture e dei trasporti in generale?R. Purtroppo il trasporto ferro-viario merci è in grave ritardo. Le nostre autostrade sono mediamente

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ipercongestionate, se non addirittura al collasso in talune località, quali Genova, primo porto d’Italia... Al di là della logi-stica distributiva, l’autotrasporto resta la principale modalità di collegamento tra zone di produzione-stoccaggio e porti. A mio avviso la ferrovia dovrebbe po-ter giocare un ruolo da protagonista in funzione dei nostri trasporti internazio-nali, sia per sostenere la competitività del nostro sistema produttivo e logistico abbassandone i costi, sia per contribui-re a una maggiore sicurezza sulle strade e alla riduzione delle emissioni di CO2 nell’ambiente. Se lo Stato non si può permettere di supportare questa funzione pubblica, che avvenga allora una reale privatizzazione e vediamo cosa succe-de... Mi preme anche fare un commento sulle “Autostrade del Mare”, che hanno richiamato tanta attenzione mediatica e politica. Lodevoli iniziative, certo, ma la combinazione container/treno può evita-re che l’automezzo arrivi sino al porto, e la quantità di metri cubi/tonnellate di carico che una nave porta-container è in grado di trasportare, a parità di inquina-mento e di consumi, è enormemente mag-giore rispetto a un traghetto.

D. La prossimità geografica del no-stro Mezzogiorno può essere fonte di vantaggio competitivo per le aziende italiane rispetto a quelle di altri pae-si europei che guardano con lo stesso interesse al Bacino del Mediterraneo? R. Sicuramente, anche se non mi limi-terei al Mezzogiorno: è tutta l’Italia che ha tratto e deve continuare a trarre van-taggio da questa prossimità. Questo è un mercato di crescente interesse dove an-che le attenzioni di altri paesi europei, e non solo, si stanno rivolgendo con grande determinazione. L’Italia non deve e non può perdere terreno. Le nostre azien-de, con grande fatica, tengono ancora il passo: è importante che la politica sia presente fornendo un forte sostegno. Le imprese italiane sono in grado di offrire grande qualità e competitività e, in ag-giunta, c’è una grandissima sintonia tra

Maersk-Seago Line, presenza nel mondo

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noi italiani e gli altri amici che vivono nel Mediterraneo. Ho vissuto 5 anni in Libia e viaggio regolarmente in Turchia, Egit-to, Algeria, Marocco… posso affermare che noi italiani siamo in grado di stabilire rapporti di comprensione e fiducia mol-to rapidamente, e c’è una generale buona predisposizione nei confronti dell’Italia: sfruttiamola bene!

D. Quale supporto ci si può attendere dalle istituzioni italiane?

R. Fare le cose necessarie e condurre il gioco. Mi riferisco a colmare finalmen-te i nostri gap infrastrutturali nazionali e assumersi, con i fatti, un ruolo di guida per le nostre aziende, e anche per l’Euro-pa, nelle relazioni con gli altri paesi del Mediterraneo. Viste le condizioni in cui versa il Paese, non possiamo probabil-mente fare a meno di risorse europee per lanciare e sostenere progetti nel Mediter-raneo, ma è cruciale non diventare attori secondari...

Le distanzesono brevi e il just-in-timesempre più necessario alle aziendeper tenere sotto controlloscorte e costi

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L’innovazione che accorcia le distanzeIntervista a Ketty Corona

«Il mare unisce i popoli che separa» (A. Pope)

Ketty Corona, Presidente Sardegna Ricerche

Sardegna Ricerche è l’agenzia della Regione Autonoma Sardegna che promuove la ri-cerca e il trasferimento tecnologico, sostie-ne l’innovazione di prodotto e di processo nelle PMI ubicate in Sardegna, e favorisce la nascita di imprese innovative nell’isola. Nel 2003 Sardegna Ricerche ha dato vita al Parco Scientifico e Tecnologico regionale che ospita circa 60 imprese e centri di ricer-ca. Ketty Corona, Presidente di Sardegna Ricerche, ci aiuta a capire come un Parco Tecnologico apparentemente fuori dai gran-di circuiti internazionali può in realtà essere un polo di attrazione di talenti nel bacino del mediterraneo e di divulgazione tecnologica verso i paesi dell’area.

D. In quale modo Sardegna Ricerche può contribuire allo sviluppo tecnologico dei paesi del bacino del Mediterraneo? R. Oggi l’innovazione è uno dei principali driver dello sviluppo e della competitività, non soltanto delle imprese ma anche dei si-stemi territoriali. Sardegna Ricerche, nella sua veste di agenzia regionale per l’innova-zione tecnologica, è fortemente impegnata nel creare condizioni sempre più favorevoli allo sviluppo nell’Isola di un vero e proprio “ecosistema dell’innovazione”. Caratteristi-ca fondamentale di questo “ecosistema” è una stretta collaborazione tra imprese, uni-versità, centri di ricerca e istituzioni pubbli-che, con un obiettivo comune: trasformare i risultati della ricerca in nuovi prodotti e nuovi processi industriali, contribuendo così allo sviluppo dell’economia regionale e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Io cre-do che questa sia la direzione che debbano perseguire anche le economie dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo se vogliono

creare solide basi per uno sviluppo duratu-ro, e noi siamo disponibili a dargli una mano mettendo a disposizione le nostre esperienze e il nostro know-how.

D. In che modo e con quali strumenti? R. Un primo passo può essere quello di met-tere a disposizione delle imprese di questi territori la possibilità di acquisire servizi con-sulenziali e prestazioni specialistiche che le aiutino a introdurre innovazione tecnologica nei loro processi produttivi. Sto pensando a uno strumento, i voucher per l’innovazione, sul quale Sardegna Ricerche ha maturato una lunga esperienza e che consente alle im-prese di acquisire competenze fondamentali per aumentare la propria competitività. Oc-corre inoltre lavorare per favorire forme di aggregazione fra le imprese soprattutto quel-le più piccole. A Sardegna Ricerche stiamo portando avanti con successo programmi che incentivano le imprese a unirsi fra di loro in “reti” per richiedere a centri di ricer-ca o altri fornitori di servizi di individuare le soluzioni scientifiche e tecnologiche più adatte a risolvere problemi comuni alle im-prese della rete. Altrettanto importante è sti-molare le stesse università e centri di ricerca a collaborare sempre di più con le imprese. I centri di ricerca e le università devono farsi carico, anche loro, della risoluzione dei pro-blemi concreti delle imprese.

D. Lei crede che i centri di ricerca localiz-zati nel parco, come ad esempio il CRS4, possano dare un apporto concreto alla soluzione dei problemi delle imprese del bacino del Mediterraneo? R. Io credo di sì, anzi, mi permetto di ri-chiamare alcuni esempi concreti di possibili

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Forme possibili di cooperazione sul fronte della ricerca, per introdurre innovazione tecnologica nei processi produttivi dei paesi vicini

collaborazioni scientifiche e tecnologiche che si potrebbero attivare con un adegua-to sostegno finanziario. Il CRS4, il centro di eccellenza nel supercalcolo, ad esempio sviluppa soluzioni ICT applicabili al campo della salute. Un primo caso concreto di col-laborazione potrebbe nascere nella telemedi-cina: il CRS4 ha sviluppato un sistema che consente ai pediatri localizzati nei piccoli centri di fare una diagnosi remota, in tem-po reale, permettendo un secondo consulto da uno specialista che si trova negli ospe-dali dei centri maggiori. Un’altra ipotesi di collaborazione può nascere nel settore della simulazione chirurgica: il CRS4 ha svilup-pato dei dimostratori basati su sistemi per la visualizzazione volumetrica interattiva di dati medici, che consentono di formare giovani medici, simulando veri e propri in-terventi chirurgici. Un ulteriore settore di in-teresse potrebbe essere quello della gestione delle risorse idriche e del monitoraggio del cambiamento climatico. L’acqua è una delle risorse più importanti e più strategiche, di-venta pertanto necessario gestirla in maniera più accurata. Il CRS4 ha sviluppato stru-menti dinamici che permettono di valutare il funzionamento del ciclo delle acque interne, con notevoli vantaggi per le amministrazioni pubbliche nell’aggiornamento delle analisi idrologiche. Per quanto riguarda il clima, il CRS4 ha sviluppato inoltre una tecnologia che consente di prevedere eventi estremi e valutarne su scala climatica la componente di precipitazione.

D. Come si pone il Parco tecnologico in questa prospettiva di collaborazione con i paesi del bacino del Mediterraneo? R. All’interno del Parco disponiamo di mol-

te piattaforme tecnologiche, alcune delle quali di rilievo nazionale e internazionale: uno dei più potenti cluster di calcolo (120 Tflops di operazioni al secondo e circa 5 PB (petabyte) di spazio disco), la più importante piattaforma italiana per il sequenziamento del DNA, un laboratorio per la visualiz-zazione dati 3D. Queste piattaforme sono gestite da un cento di ricerca di eccellenza quale il CRS4, con più di 200 ricercatori, che sviluppa programmi di ricerca strategi-ci utilizzando infrastrutture computazionali e sperimentali di punta nei settori della bio-medicina, della biotecnologia, della società dell’informazione, dell’energia e dell’am-biente. Grazie alle competenze, all’expertise

e al know-how potremo organizzare summer school, master post laurea e stage di breve durata, sulle tematiche della bioinformatica, della genetica, della visualizzazione 3D, del cloud computing, della gestione di Big data, delle energie rinnovabili, eccetera, riservati a tecnici e laureati provenienti dai paesi del bacino del Mediterraneo. Potremmo anche pensare di istituire delle borse ricerca ri-servate a questi ultimi, da svolgersi presso aziende o centri di ricerca del Parco. Sarde-gna Ricerche è inoltre disponibile a stipulare protocolli d’intesa con agenzie di sviluppo e parchi tecnologici di questi paesi, rivolti a promuovere scambi di “buone pratiche” e altre opportunità di collaborazione.

Sardegna Ricerche, la sede di Pula (Cagliari)

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Integrare le differenze

di Sergio de Nardis

«Immagino il buon Erodoto rifare oggi il suo periplo del Mediterraneo.Che sorprese!»

(L. Febvre nel 1940)

Sergio de Nardis,Chief Economist Nomisma

Premessa necessaria è la fase difficilissima, e prolungata, dell’economia italiana ed eu-ropea. Una prima recessione nel 2008-2009 è stata seguita da lieve ripresa, ma in seguito alla crisi dell’Euro, all’attacco ai debiti so-vrani e ai conseguenti provvedimenti richie-sti e attuati dai governi dei paesi membri - probabilmente troppo rapidi e troppo mas-sicci - ci troviamo ad attraversare una nuo-va e gravissima fase recessiva che ha il suo epicentro nella caduta della domanda inter-na di consumi e investimenti. Va sottolinea-to che gli interventi sui conti pubblici sono stati operati anche dai paesi europei che non ne avevano necessità, come la Germania, ed è venuto così a mancare anche l’effetto di sostegno e compensazione che le econo-mie in crisi avrebbero potuto sfruttare. Non resta dunque che rivolgersi alle economie extraeuropee per dirigere le esportazioni nelle aree in cui la domanda interna cresce, e valutare le aspettative in merito all’entità e alla velocità della crescita. La Tabella 1 esprime le tendenze future di lungo perio-do per aree geografiche, basate sulle ultime previsioni del Fondo Monetario Internazio-nale. A fronte di un tasso medio annuo di crescita nel periodo 2014-2018 del 2,5% per le economie avanzate e soltanto dell’1,5% nell’area Euro, i paesi della sponda sud del Mediterraneo presentano tassi medi net-tamente superiori: 4,4% nel Nord Africa e 5,2% in Medio Oriente. Sono dunque mer-cati in rapido sviluppo adatti all’obiettivo, nei confronti dei quali le imprese italiane dovrebbero confidare maggiormente nella propria specializzazione che le rende ben compatibili con i fabbisogni delle relative economie. Queste regioni non presentano tassi di crescita elevati quanto quelli asiati-

ci, ma, come vedremo, risultano ugualmente molto attrattive per altri aspetti.L’analisi della nostra presenza in questi mer-cati sulla base della storia recente, risente di un fattore di distorsione: le primavere arabe e le situazioni di conflitto politico e milita-re che hanno caratterizzato il 2011, hanno avuto effetti notevoli sulle relazioni com-merciali e produttive. E’ quindi necessario porre attenzione all’interpretazione dei dati durante e dopo lo “shock”. Da una parte i numeri del 2012 vanno “depurati” e con-siderati pressoché riferibili non a un anno ma a un biennio; dall’altra va considerato che i fenomeni socio-politici in questione avranno impatto migliorativo per il futuro. Perché la democrazia viaggia con le merci, e ciò che è avvenuto con le primavere ara-be apre un quadro di maggior democrazia interna che favorirà l’integrazione e il mi-glioramento dell’interscambio commerciale e produttivo dei paesi MENA con il resto del mondo. Integrazione vuol dire confronto con il diverso, e i vantaggi per lo scambio sono tanto più forti quanto più avvengono fra comunità diverse: è l’antico principio dei vantaggi comparati teorizzati da David Ri-cardo all’inizio dell’800. L’integrazione fra economie con differente specializzazione spinge ciascuna delle parti in causa a con-centrare le proprie risorse in ciò che sa fare relativamente meglio, e a lasciare agli altri ciò che sa fare relativamente peggio, operan-do in quest’ultimo caso una “produzione in-diretta”. Osservando la Tabella 2 che riporta in percentuale il peso dell’export italiano in Nord Africa e Medio Oriente sull’export mondiale nelle stesse aree dal 2002 al 2012, si nota anzitutto il calo progressivo della no-stra quota di mercato. Ma la dinamica delle

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Dirigere le esportazioni e gli investimenti produttivi nelle aree in rapido sviluppo, sfruttando gli spazi di differenza che caratterizzano la catena del valore, con il sostegno adeguato della politica e della diplomazia

esportazioni italiane (ed europee) nel bacino del Mediterraneo risente fortemente dell’in-gresso e della progressiva penetrazione da parte della Cina. Insomma, siamo in con-correnza col mondo e questo allargamento dell’arena competitiva impone alla politica di non tenersi fuori per garantire alle nostre imprese la possibilità di sfruttare opportu-nità di sviluppo sicuramente disponibili: se negli scambi con le altre economie avanza-te aveva e ha un peso piuttosto limitato, nei rapporti economici con i paesi emergenti il suo ruolo è davvero rilevante. Le relazioni politiche e diplomatiche sono fondamenta-li per sostenere e facilitare gli sviluppi dei rapporti economici, e su questo fronte il Sistema Italia parte svantaggiato. La nostra diplomazia commerciale dovrebbe infatti ancora essere rafforzata per concedere alle nostre imprese l’accesso alle stesse oppor-tunità di altri paesi nostri concorrenti, anche se alcuni positivi passi in questa direzione sono stati compiuti con la riforma del Mi-nistero del Commercio Estero e la successi-va istituzione della “Cabina di regia” per il sostegno all’internazionalizzazione. Eppure, nonostante tale ritardo, il nostro “indice di orientamento geografico” (numero indice che misura la specializzazione relativa di un paese in un’area geografica rispetto a un benchmark - in questo caso il rapporto tra la composizione percentuale delle esportazioni dell’Italia e dell’UEM nelle varie aree, nor-malizzato per le esportazioni verso il mondo di Italia e UEM) è di ben 172 per il Medio Oriente e addirittura di 233 per il Nord Afri-ca. Se questo è il risultato dell’iniziativa spontanea e poco coordinata delle imprese italiane, appare verosimile attenderci risul-tati ancora più interessanti con l’aiuto del

sistema politico e diplomatico-commerciale. Infine, sempre lasciando parlare i numeri, la Tabella 3 indica la destinazione della quo-ta di export dei diversi settori merceologici italiani nelle due grandi destinazioni geo-grafiche oggetto delle nostre riflessioni. Se

osserviamo le esportazioni italiane nel loro complesso, vediamo che le quote dirette al Nord Africa e al Medio Oriente si attesta-no rispettivamente attorno al 6% e al 7% (con riferimento al 2010 per il Nord Africa, data la “distorsione” dei dati 2011 cui si ac-

Tab. 1- Tassi di crescita delle economie del Nord Africa e del Medio Oriente (%)

media 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014-18

Iraq 6,6 5,8 5,9 8,6 8,4 9,0 8,5Libya 2,7 -0,8 5,0 -62,1 104,5 20,2 7,5Qatar 17,7 12,0 16,7 13,0 6,6 5,2 6,3 Yemen 3,6 3,9 7,7 -10,5 0,1 4,4 6,2 Egypt 7,2 4,7 5,1 1,8 2,2 2,0 5,8 Morocco 5,6 4,8 3,6 5,0 3,0 4,5 5,3 Tunisia 4,5 3,1 3,1 -1,9 3,6 4,0 4,8 Saudi Arabia 8,4 1,8 7,4 8,5 6,8 4,4 4,3 Jordan 7,2 5,5 2,3 2,6 2,8 3,3 4,2Lebanon 8,6 9,0 7,0 1,5 1,5 2,0 4,0Kuwait 2,5 -7,1 -2,4 6,3 5,1 1,1 3,7 Algeria 2,0 1,7 3,6 2,4 2,5 3,3 3,7 Bahrain 6,3 3,2 4,7 2,1 3,9 4,2 3,6 United Arab Emirates 5,3 -4,8 1,3 5,2 3,9 3,1 3,6Oman 13,2 3,3 5,6 4,5 5,0 4,2 3,6 Sudan 3,0 5,2 2,5 -1,9 -4,4 1,2 3,5 Islamic Republic of Iran 0,6 4,0 5,9 3,0 -1,9 -1,3 2,0Syria 4,5 5,9 3,4 n/a n/a n/a n/a

North Africa 5,2 3,0 5,5 4,0 4,8 3,1 4,4 Middle East 5,1 5,3 5,3 5,1 5,2 5,2 5,2

World 2,8 -0,6 5,2 4,0 3,5 3,3 4,4 Advanced economies 0,1 -3,5 3,0 1,6 1,2 1,2 2,5 Euro area 0,4 -4,4 2,0 1,4 -0,6 -0,3 1,5 Fonte: IMF, Aprile 2013, ed elaborazioni Nomisma

Trarregiovamentodall’andare a sfruttarela catena del valorein luoghi vicinigeograficamentee culturalmente

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cennava sopra). Ciò che è più interessante è l’analisi dei singoli settori che presentano quote superiori alla media nazionale. I dati riflettono naturalmente le nostre specializ-zazioni settoriali, ma soprattutto mettono in luce differenze tra gli stadi di sviluppo delle economie dei paesi mediterranei. La rilevanza delle esportazioni dei settori “Ali-mentari”, “Tessile” e “Altri mezzi di traspor-to” verso il Nord Africa corrisponde infatti a una domanda interna di consumi soprat-tutto primari e rivolta, per gli investimenti, principalmente all’agricoltura e alle infra-strutture. Di converso, il peso del comparto “Altri manufatti” - che comprende beni eterogenei inclusi quelli di lusso - nei paesi mediorientali è sintomatico di una doman-da interna guidata da potere d’acquisto più elevato, così come il dato sopra media dei “Macchinari” rimanda a una domanda per investimenti più evoluta. Queste considera-zioni, anche disaggregate a livello di singoli paesi, rivestono naturalmente grande impor-tanza per gli operatori italiani che vogliano individuare priorità geografiche e opportu-nità competitive per i loro processi d’in-ternazionalizzazione. L’attrattività dei paesi euromediterranei deve essere giudicata anche

all’interno di un ragionamento più vasto sul-le politiche industriali di delocalizzazione. Nel cosiddetto “spacchettamento” della ca-tena globale del valore, si distribuiscono le varie fasi del processo produttivo nel mondo. Un mondo anche molto lontano, perché oggi le tecnologie dell’informazione consentono comunque il controllo del processo produtti-vo e al tempo stesso hanno abbattuto i costi della delocalizzazione. Ma non esiste solo una distanza geografica, esiste anche una distanza culturale e in alcuni casi può essere davvero rilevante. Discorso che vale a mag-gior ragione per il “Made in Italy”, dove le caratteristiche di qualità e personalizzazione del prodotto sulle esigenze del cliente danno luogo a quella che Innocenzo Cipolletta già nel 2006 ha definito “Industria su misura”: che realizza prodotti concepiti e realizzati in modo industriale, ma adattati al cliente con una cura di natura quasi artigianale. In quanto specialisti del prodotto dedicato, se e quando delocalizziamo dobbiamo perciò es-sere certi di mantenere uno stretto controllo della qualità, fattore per noi cruciale, in ogni singola fase della produzione. Perciò non possiamo che trarre giovamento dall’anda-re a sfruttare la catena del valore in luoghi vicini geograficamente e culturalmente. E tale giovamento è ancor più facilmente ri-scontrabile nella regione nordafricana, poi-ché quella mediorientale è più condizionata dall’abbondanza di un fattore produttivo così ragguardevole come quello petrolifero (ciò non toglie che rimanga peraltro un’area da non trascurare per la domanda di consu-mi più sofisticati e ad alto valore unitario da parte di ampi strati agiati della popolazione locale). Altro vantaggio “ex post” dato dal modello italiano nell’ottica della deloca-lizzazione nel bacino del Mediterraneo, è rappresentato a mio parere dalle dimensio-ni ridotte che caratterizzano la stragrande maggioranza delle imprese italiane: quello stesso aspetto del nostro sistema industriale che invece viene spesso citato come aspetto di debolezza strutturale. Ma proprio i risul-tati sul versante dell’export ottenuti sin qui dalle nostre aziende che, come dicevamo, si sono mosse singolarmente e spontanea-mente, attestano che le forze di mercato in

IN NORD AfRICA IN MEDIO ORIENTE

2002 11,5 5,32003 12,3 5,12004 11,2 4,92005 10,1 4,52006 10,2 4,52007 10,5 5,0 2008 11,2 4,62009 10,6 4,42010 10,1 3,7 2011 8,2 3,7 2012 7,7 3,3

Tab. 2 - Quote di mercato delle esportazioni italiane (esportazioni mondiali =100)

Fonte: elaborazioni Nomisma su dati Ice-Istat

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gioco premiano le nostre PMI manifattu- riere. Se le nostre quote di mercato sull’ex-port nei diversi paesi sono ai primi posti dalla classifica, significa che nel mondo glo-balizzato i consumatori, a parità di reddito pro-capite, scelgono i manufatti italiani. Le imprese italiane, seppur di dimensioni non grandi, possono permettersi politiche di

prezzo all’esportazione spesso caratteriz- zate da margini elevati e indifferenza rispetto alle fluttuazioni dei cambi, proprio perché il “premium price” viene loro riconosciuto dai consumatori e dai committenti nel mondo. Dall’insieme di queste considerazioni mi sembra che emerga in definitiva un quadro di notevole notevole coerenza competitiva

tra le caratteristiche strutturali del Sistema Italia e quelle della Regione Mediterranea, probabilmente in grado di consentire la valo-rizzazione dei nostri elementi di unicità e di contribuire a favorire per questo non solo lo sviluppo dei paesi target, ma anche il raffor-zamento in chiave internazionale del nostro sistema industriale.

All’inizio del 2013 Global Strategy e Nomisma hanno siglato un accordo di partnership strategica con l’obiettivo di integrare le reciproche competenze nei processi di internazionalizzazione nei Paesi in via di sviluppo e approfondire in particolare le opportunità nei settori Manifatturiero, Real Estate e Food.

NORD AfRICA 2010 2011

Alimentari 8,4 8,4Bevande 0,1 0,1Tessile 8,0 7,1Abbigliamento 1,3 1,1Pelli 1,7 1,3Prodotti in legno, escluso mobili 6,5 4,5 Prodotti in carta 2,7 2,4Stampa ed editoria 4,4 3,5Derivati del petrolio ed energetici 16,6 9,7 Chimici 3,4 2,9 farmaceutici 0,7 0,7Gomma e plastica 2,7 2,3fabbricazione altri prodotti non metallici 3,0 2,0Metallurgia 4,5 3,5Prodotti in metallo 4,4 2,8Computer ed elettronica 3,5 2,1Apparecchiature elettriche 4,8 4,0Macchinari 5,5 3,8Autoveicoli 2,3 1,3Altri mezzi di trasporto 18,5 25,0Mobili 1,9 1,2Altri manufatti 2,5 1,1

Totale merci 5,7 4,1Fonte: elaborazioni Nomisma su dati Ice-Istat

MEDIO ORIENTE 2010 2011

Alimentari 2,6 2,7Bevande 0,7 0,7Tessile 1,7 1,6Abbigliamento 2,0 3,0Pelli 1,9 2,0Prodotti in legno, escluso mobili 6,5 6,9 Prodotti in carta 3,2 3,2Stampa ed editoria 3,9 4,7Derivati del petrolio ed energetici 10,8 14,4 Chimici 4,4 3,3 farmaceutici 1,6 1,6Gomma e plastica 2,9 2,8fabbricazione altri prodotti non metallici 6,5 6,8Metallurgia 6,4 6,7Prodotti in metallo 5,5 4,9Computer ed elettronica 4,5 3,7Apparecchiature elettriche 6,4 6,7Macchinari 7,8 7,9Autoveicoli 2,1 2,3Altri mezzi di trasporto 3,8 2,6Mobili 5,7 6,2Altri manufatti 10,8 9,8

Totale merci 6,9 7,1

Tab. 3 - Importanza del Nord Africa e del Medio Oriente nelle esportazioni italiane (esportazioni totali per settore =100)

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Global Strategy è una società internazionale di management consulting e corporate finance, nata nel 2006 dal progetto imprenditoriale di un gruppo di professionisti.Assiste imprenditori, manager e investitori finanziari nei processi di crescita e pianificazione strategica, internazionalizzazione, risoluzione di crisi industriali e finanziarie, progettazione ed esecuzione di operazioni straordinarie e M&A. Caratteristiche distintive sono il pragmatismo delle soluzioni, l’approccio multidisciplinare, la partnership con i clienti nell’imple-mentazione dei progetti e nell’attività di business development.

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disabilità, i pensieri, i desideri, le domande e le paure che nascono da un viaggio a cui non si era preparati. Un aiuto allargato ai bisogni dell’intera comunità: i fratelli, la scuola, la città.L’Abilità destinerà il contributo di GlobalStrategy al finanzia-mento dello spazio gioco per tre bambini per sette mesi.

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