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    271Il compimento dellamore come chiave di lettura della Pasqua di Ges

    Li am sino alla fine: il compimento dellamore

    come chiave di lettura della Pasqua di Gesnel Vangelo secondo Giovanni

    di Chiara Curzel

    This paper proposes to conjugate the exegetic analysis grounded in the originaltext of the Gospel of John with certain notions from spiritual readings. Starting from thecommon linguistic root present in John 13,1 (loved to the end) and John 19,30 (Ithas been completed) it is possible to hypothesize an inclusion which allows interpretingthe entire event of Easter starting from the category of completion and, more specifically,of the completion of love.

    Tutti e quattro i Vangeli dedicano ampio spazio agli ultimi giornidella vita di Ges, narrando in modo particolareggiato la sua passione,morte e risurrezione. Pur nelle molte concordanze, possibile per rile-vare accenti e sottolineature differenti, che connotano lo stile di ciascuno.Lintera seconda parte del vangelo di Giovanni (13-21) si svolge in queidrammatici giorni di morte e di vita, anticipati dai lunghi discorsi diGes durante lultima cena (13-17). Scorrendo loriginale greco si scopreuninteressante inclusione che d alla narrazione giovannea un tono par-ticolare: in 13,1 tutto ci che sta per avvenire introdotto come amoresino alla fine () e sulla croce Ges grida

    compiuto (). Si pu dunque leggere la Pasqua di Ges sottola chiave interpretativa del , del compimento e, nello specifico, delcompimento dell, di quellamore che aveva motivato lincarnazionedel Verbo e la sua missione tra gli uomini. I capitoli 13-21 diventanodi conseguenza una storia dell, esemplificata nella lavanda deipiedi, comandata nel precetto dellamore, pregata nellimplorazione diGes al Padre (capitolo 17), compiuta sulla croce, accolta dai discepolinellincontro con il Risorto.

    1. Analisi linguistica

    Per comprendere meglio il significato che levangelista attribuisceai passi che saranno oggetto di questo studio, pu essere utile una breve

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    analisi lessicale, che consenta di meglio individuare lambito semanticoentro cui si muove il gruppo di termini , ,, ,nel vocabolario della grecit classica, nella tradizione dei LXX e infineallinterno dellintero corpus del Nuovo Testamento.1

    a. Etimologia ed uso nel greco classico

    Letimologia di e dei termini ad esso correlati non certa. Ilvocabolo potrebbe derivare dalla radice *tel(o *quel) che significa girareintorno e quindi indicherebbe in origine il timone, lo sterzo, e, di con-seguenza, la svolta, la conclusione, il punto culminante, dove terminauna misura e ne inizia unaltra.2In questo senso il matrimonio e anche lamorte sono un per luomo, in quanto dichiarano conclusa una fasee danno inizio a qualcosa di nuovo. Unaltra possibile derivazione da*teloscon il significato dielevazione, prestazione.3Un uso particolaree antico del termine lo ritroviamo in Esiodo e Sofocle con il significatodi bilancia, piatto della bilancia che pende dalluna o dallaltra parteper decretare la vittoria o la sconfitta in una contesa.4

    Il termine allude comunemente fin dai tempi pi antichi allidea dicompimento, adempimento di una decisione, di una legge, di una sen-tenza; di qui il passaggio al significato di fine,mta, esito, terminee quindi scopo, punto culminante, coronamento, perfezione.

    Particolare importanza riveste questo termine in ambito filosofico. Essoindica, soprattutto nel pensiero aristotelico, lo scopo dellagire umano ecome tale una delle quattro cause, il ci per cui luomo agisce. Nellasua etica il filosofo definisce quale scopo delle nostre azioni () il sommo bene, da noi ambito per se stesso, in fin dei contila felicit (), che consiste, in primo luogo, nel vivere secondoragione. Oltre che nelletica, il vocabolo riveste una certa importanza anchenella fisica, in quanto, in base alla concezione teleologica, tutto ci che prodotto dalla natura e in essa avviene ha un fine.

    In ambito religioso, i riti e i sacrifici sono chiamati : hanno ilcompito di portare luomo a perfezione, alla vicinanza con Dio. La divi-nit stessa definita come principio e fine, opera dise stessa e nello stesso tempo detentrice di ogni potere su tutte le cose,sufficiente a s e a tutti.

    Frequenti sono anche le locuzioni preposizionali con . Usatein senso avverbiale, esse indicano la totalit, soprattutto di carattere tem-

    1 Le fonti utilizzate sono: R. SCHIPPERS, , in L. COENEN- E. BEYREUTHER- H. BIETENHARD(edd), Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, trad. it., Bologna 1976, pp. 695-701; G.DELLING, , in R. KITTEL - G. FRIEDRICH (edd), Grande lessico del Nuovo Testamento, XIII,trad. it., Brescia 1981, coll. 951-985; H. HBNER, , in H. BALZ - G. SCHNEIDER (edd),Dizionarioesegetico del Nuovo Testamento, II, trad. it., Brescia 1988, coll. 1601-1603.

    2 Cfr. R. SCHIPPERS, , p. 695.3 Cfr. G. DELLING, , col. 953.4 ESIODO, Teogonia, 638; SOFOCLE, Edipo a Colono 422.

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    porale: completamente, interamente, alla fine; per sempre, continuamente; del tutto.

    Bastano questi pochi accenni per evidenziare la gamma di sfumaturedel termine gi nellambiente classico, esterno al Nuovo Testamento,e dunque la difficolt di una traduzione che risulta non sempre facilee univoca.5 Il verbo , accompagnato dai suoi numerosi composti,

    ha un uso molto antico, importante e diffuso. Esso significa in generaleeseguire ci che si vuole personalmente o ci che altri vogliono, anchenel caso della volont divina. Una accezione particolare quella legataallambito religioso: in questo contesto indica compiere atti qualiun sacrificio, una festivit, una preghiera, ma anche atti legati alla magiae al culto misterico.

    Accanto a e al corrispettivo verbo si trovano anchee . Questi due termini si distaccano in parte dal significatotemporale-finale per assumere quello di perfezione, pienezza. Laggettivo attribuito a ci che intero, senza difetti, integro, ci a cui non mancanulla nel suo genere e quindi, in riferimento alle persone, indica ladulto,luomo maturo. Il verbo di conseguenza rende lidea di un processo cheporta alla perfezione, alla maturit.

    Derivano dalla stessa radice e appartengono allo stesso ambito seman-tico altri sostantivi che si ritrovano sia nel greco classico che in quelloneotestamentario e che meritano almeno di essere menzionati: compimento; perfezionatore; conclusione,compimento.

    b. Uso nella traduzione dei LXX

    compare pi di 150 volte nei LXX, ma raramente acquista unaforte connotazione semantica. Esso usato molto spesso in senso avver-biale, con significato temporale e corrisponde allitaliano per sempre,in eterno, continuamente.6

    Il sostantivo traduce spesso lebraico qce derivati, con il signi-ficato temporale di conclusione, fine, margine, confine. Qcin sensoescatologico reso invece con il termine , che allude ad ungiorno finale con tinte apocalittiche. Mentre, quindi, nella filosofia greca ein genere nel greco classico predomina il significato teleologico del termine(il fine), nella Bibbia dei LXX (e, come vedremo, in numerosi passi delNuovo Testamento) laccezione soprattutto temporale (la fine) e piuttosto

    5 Oltre a questo ambito semantico primario, pu indicare anche potere, autorit,ufficio oppure imposta, tassa, tributo o ancora divisione militare, schiera, squadra e infineofferta, doni, cerimonia. Tali accezioni, meno frequenti, non rientrano per nellinteresse di questolavoro.

    6 In pi di 15 occasioni la forma avverbiale () traduce lebraico lnecaH (adesempio Gb 20,7; Sal 9,7; Ab 1,4). In molti salmi la stessa espressione greca stata usata per tradurre

    in maniera erronea lebraico lamnaccH, che significa probabilmente per il culto, per il maestrodel coro o per lesecuzione musicale.

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    debole, al punto che lespressione viene usata per indicare unaconclusione anche quando non c un corrispondente ebraico.

    Il verbo si trova 30 volte per tradurre 8 termini ebraici differenti,per lo pi con il significato di eseguire, attuare, concludere, portarea termine. Il significato religioso (essere consacrato a) impiegato soloin rapporto con i culti pagani e di conseguenza in senso negativo.

    Laggettivo e il verbo 7pongono laccento sullintegrite la perfezione. Il primo viene usato quando si parla del cuore, deditototalmente a Dio (cfr. 1Re 8,61) oppure di uomini votati completamentea Dio (cfr. Gn 6,9); il secondo indica il rendere perfetto, perfezionareo comportarsi in maniera integerrima (cfr. 2Sam 22,26; Ez 27,11).

    Un significato particolare assume il verbo quando traducelebraico millt yad che significa riempire (la mano), cio consacrareal culto (9 volte nel Pentateuco, ad es. Es 29, 9.29). Allo stesso modo usato 11 volte con il significato di consacrazione, in parti-colare quando si parla di consacrazioni sacerdotali.8

    c. Uso nel Nuovo Testamento

    Nel Nuovo Testamento i vocaboli di questo gruppo sono usati abba-stanza spesso: 41 volte (soprattutto in Paolo e nei sinottici), 28 (nei sinottici e nellApocalisse), 20, 23 volte (entrambisoprattutto nella Lettera agli Ebrei). Non tutte le attestazioni possono essereclassificate con sicurezza dal punto di vista lessicale, a volte il significatorisulta sfumato o ambivalente; una determinata accezione fondamentale puessere comunque ricavata dal contesto. I vari usi dei termini in questionepossono essere sommariamente divisi in due grandi gruppi, che conosconovarie gradazioni e compenetrazioni: luso con significato dinamico-tempo-rale e quello con significato finale-teleologico.

    Per quanto riguarda il sostantivo la prima accezione risultaparticolarmente chiara nella formula che riguarda ci cheviene eseguito, attuato, ci che ha fine (cfr. in particolare Lc 22,37 eMc 3,26). Molto spesso si pu trovare, privo di articolo, nei nessipreposizionali. In questo caso esso non ha limpronta di termine tecnico,ma usato, come abbiamo gi visto in campo profano e nei LXX, comelocuzione temporale (per sempre, fino allultimo) o quantitativa (inte-ramente, pienamente).9

    7 Sono presenti nella Bibbia dei LXX rispettivamente 20 e 25 volte.8 Tale valenza sacerdotale continuer a far sentire la sua influenza anche nella lingua del

    Nuovo Testamento, in particolare nella Lettera agli Ebrei, ma non manca chi vede un riferimentoallinvestitura sacerdotale anche nelladempimento delle Scritture segnalato da Giovanni in relazionealla morte in croce di Ges. Cfr. Y. SIMOENS, Secondo Giovanni. Una traduzione e uninterpretazione,trad. it., Bologna 2002, p. 763.

    9 Malgrado questa affermazione di carattere generale presente nei lessici, grande spazio avrin questa analisi luso della locuzione in Gv 13,1, che coniuga entrambe le valenze.

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    Maggiormente rilevante, anche se con diversa intensit, risulta essereil valore finale del termine. In alcuni casi esso indica lo scopo di una pre-scrizione data (cfr. 1Tim 1,5: il fine del richiamo la carit; 1Pt 1,9: il finedella fede la salvezza delle anime). La valenza dinamica e quella finalesi trovano combinate nel valore di come esito, risultato finale,sorte definitiva, in particolare col significato escatologico di destino

    finale e anche fine del mondo.10 Valenza temporale ed escatologicaha anche la formula con cui Dio si autodefinisce nellApocalisse: principio e fine (Ap 21,6; 22,13): essa designa leternit, maanche la maest assoluta di Dio e di Cristo sul tempo e sulla creazione(cfr. Ap 1,8; Eb 12,2).

    Allo stesso modo anche il verbo riceve diverse accentuazioni:in indicazioni temporali indica la conclusione,11 ma pi forte il sensodelladempimento, del compimento (cfr. 2Cor 12,9: la forza giunge acompimento proprio nella debolezza; Gv 19,28.30: sulla croce tutto giungeal suo compimento;12 2Tim 4,7: lApostolo ha compiuto la corsa fino alsuccesso; Ap 10,7; 15,1.8: nelle sette piaghe si compie lira di Dio). Ilverbo usato, assieme a e , anche per indicare il com-pimento delle Scritture (cfr. Lc 22,37).

    Sul piano teologico e si caratterizzano per la preminentefunzione finale-escatologica, legata prevalentemente agli ultimi tempi. Itermini sono fortemente influenzati dal genere apocalittico e indicano laperfezione di un processo dinamico, la cui meta contemporaneamenterealizzazione del significato e della finalit. Diversa invece la valenzateologica della coppia - , maggiormente legata allambitoantropologico. In Paolo luomo maturo, cresciuto, adulto(cfr. 1Cor 2,6; 14,20; Fil 3,15; Col 1,28), oppure ci che corrisponde alvolere di Dio in modo perfetto (Rm 12,2; Col 4,12). Nei sinottici i duetermini sono scarsamente presenti;13in Giovanni troviamo un uso pi ampioper indicare le opere del Padre che Ges deve compiere (Gv 4,34; 5,36;17,4) oppure il compimento delle Scritture (19,28).

    Un posto tutto particolare ha il verbo nella Lettera agli Ebrei:in essa il termine ha quasi sempre, a differenza degli altri scritti del NuovoTestamento, un contenuto cultuale, in riferimento alluso gi presente nellaBibbia dei LXX. In questo contesto il verbo significa rendere perfetto

    10 Alcuni esempi: Rm 6,21-22: il del peccato la morte, il della giustizia lavita eterna; 2Cor 11,15: il dei falsi apostoli sar secondo le loro opere; 1Cor 15,24: quandoCristo riconsegner il regno a Dio Padre sar la fine; in Mt 24,6.14, Mc 13,7, Lc 21,9 iltermine tecnico per indicare la fine del mondo. Una menzione particolare richiede Rm 10,4 in cuilApostolo sentenzia che il della legge Cristo: in questa affermazione lapidaria convergono lavalenza temporale: in Cristo la legge ha cessato di essere via alla salvezza (cfr. R. S HIPPERS,, p.697) e quella finale: Cristo come compimento della legge mediante lamore (cfr. H. HBNER, ,col. 1603).

    11 In passi redazionali tipica di Matteo: : quando Ges ebbe finito(Mt 7,28; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1).

    12 Questo passo, oggetto dello studio, verr poi approfondito.13 solo in Mt5,48; solo in Lc 2,43; 13,32.

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    nel senso di consacrare, santificare per poter avvicinarsi alla presenzadi Dio ed usato per sottolineare la differenza tra Cristo sommo sacer-dote perfezionato mediante la sofferenza (2,10; 5,9; 7,28) e il sacerdotedellantica alleanza, soggetto alla debolezza (7,28).

    d. Excursus dei passi giovannei

    Le occorrenze nel Vangelo secondo Giovanni dei quattro termini presiin questione sono velocemente verificabili:14 presente una volta soltanto, in Gv 13,1: dopo aver amato i

    suoi che erano nel mondo, li am sino alla fine ().

    2 volte, in Gv 19,28.30: Dopo questo, Ges, sapendo cheogni cosa era stata ormai compiuta ( ), disse peradempiere la Scrittura: Ho sete; E dopo aver ricevuto laceto, Gesdisse: Tutto compiuto! (). E, chinato il capo, spir.

    non mai usato; si trova 5 volte: Gv 4,34: Ges disse loro: Mio cibo fare la

    volont di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera ( ); 5,36: Io per ho una testimonianza superiore aquella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere (), quelle stesse opere che io sto facendo, testimonianodi me che il Padre mi ha mandato; 17,4: Io ti ho glorificato soprala terra, compiendo lopera () che mi hai dato dafare; 17,23; Io in loro e tu in me, perch siano perfetti nellunit(); 19,28 disse per adempiere la Scrittura (): Ho sete.

    A questa scarsit di presenza corrisponde una notevole rilevanzasemantica: i nostri termini sono usati in contesti particolarmente signifi-cativi e risultano importanti per la comprensione del testo e, oseremmodire, della teologia giovannea.

    Pu essere interessante notare qui come, consultando traduzioni diverse,mentre per il verbo ci si muove univocamente verso il significatodi completamento-adempimento-perfezione, per e la gammadi traduzioni diventa pi ampia e si muove allinterno degli ambiti gisegnalati, cio quello dinamico-temporale (la fine, il termine), quelloquantitativo (lestremo in intensit) e quello finale (il completamento,ladempimento, la realizzazione). Il fatto che tali termini siano collocatiproprio allinizio e al culmine della passione di Ges secondo Giovanni(Gv 13,1; 19,28.30) d vita a uninteressante inclusione che permette diazzardare uninterpretazione globale dellevento proprio in base al signi-ficato attribuito alla coppia - .

    14 La versione greca tratta da The Greek New Testament, Stuttgart 19944; la versione italianadalla traduzione della CEI.

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    2. Il compimento nel Vangelo secondo Giovanni

    a. Il compimento della Scrittura

    Il verbo , come abbiamo potuto notare dai testi giovanneicitati, presenta nella sua costruzione transitiva solamente due oggetti (osoggetti, nel caso delluso passivo del verbo): lopera/le opere (/4,34; 5,36, 17,4) e la Scrittura (19,28). Proprio questosecondo caso si rivela particolarmente significativo, in quanto si collocanel momento cruciale della morte di Ges.

    Interessante risulta il paragone tra il verbo pi comunemente usatonei contesti delladempimento della Scrittura, cio , e il verbo adoperato in 19,28. Nella sua accezione fondamentale il verbo15 ha il senso meramente spaziale di riempire, colmare. NelNuovo Testamento il significato spaziale relativamente raro e il verboassume il significato di compiere, adempiere, realizzare la legge ele sue esigenze oppure adempiere la Scrittura. In Giovanni la formula diadempimento non fissa, ma levangelista adopera comunque quasi esclu-

    sivamente il verbo , uniformandosi alluso comune dei Vangeli edegli Atti degli Apostoli. Il fatto che in 19,28 troviamo lespressione non pu dunque passare inosservato, tanto pi chenello stesso contesto troviamo due volte il verbo in 19,24.36,riferito a un preciso passo della Scrittura. A questa singolare scelta lessi-cale si aggiunge la controversa interpretazione della subordinata finale inquestione, attribuita dagli studiosi pi recenti non pi alla proposizioneche segue: (dice: Ho sete), ma a quella precedente, (sapendo che ogni cosa era stata ormaicompiuta). Il compimento della Scrittura non si riferirebbe quindi allasingola parola Ho sete, ma sarebbe la conclusione di tutto quello cheprecede, in particolare dellaffidamento reciproco di Maria e Giovanni,riassunto cos nellespressione: Dopo questo, sapendo che ogni cosa era

    stata ormai compiuta per adempiere la Scrittura, Ges disse .16

    Questa

    15 Cfr. G. DELLING, , in R. KITTEL- G. FRIEDRICH(edd), Grande Lessico, coll. 641-674;H. BALZ - G. SCHNEIDER (edd), Dizionario esegetico, coll. 984-991.

    16 Questa interpretazione, relativamente recente e non ancora assimilata dalle traduzioni divul-gative del testo evangelico, stata portata allattenzione degli studiosi da un articolo di G. BAMPFYLDE,

    John XIX,28, a Case for a Different Translation, in NovTest, 11 (1969), pp. 247-260. Da questomomento in poi gli esegeti risultano divisi o possibilisti sulle diverse traduzioni e interpretazioni. R.BROWN, Giovanni,II,trad. it., Roma 1979,pp. 1129-1130, pur ammettendo che la costruzione anomalain Giovanni permette varie interpretazioni, afferma che la maggior parte dei grammatici cita questoversetto come un esempio in cui la frase finale precede la principale, di modo che ladempimentodella Scrittura messo in relazione con le parole di Ges: Ho sete. X. LON-DUFOUR, LetturadellEvangelo secondo Giovanni, trad. it., Alba (Cuneo) 1998, p. 194, lascia aperta la possibilit aentrambe le costruzioni. D. SENIOR, La passione di Ges nel Vangelo di Giovanni, trad. it., Milano1993, p. 118, non ha dubbi ad attribuire ladempimento delle Scritture alle parole testuali di Gessulla croce. Y. SIMOENS, Secondo Giovanni, p. 762 preferisce invece legare la subordinata alla frase

    che precede e la stessa interpretazione suggerita anche da R. FABRIS, Giovanni, Roma 1992, p. 981.Il sostenitore pi autorevole e determinato della nuova interpretazione I. DE LA POTTERIE, La sete

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    nuova interpretazione si appoggia su varie considerazioni, di indubitabilepeso17 e risulta densa di conseguenze per il fine di questo studio: sullacroce Ges non porta soltanto a pienezza alcune espressioni o prefigu-razioni presenti nellAntico Testamento (cfr. 19,24.36-37), ma adempieperfettamente tutta la Scrittura18nel suo insieme. La Scrittura compiutaalla perfezione proprio in quellatto di amore supremo che la morte di

    Ges in croce. In questo passo si esprime letterariamente la continuit tralAntico Testamento e il Nuovo, tra la figura e la realt.19Luso del verboin 19,28 non risulta quindi n casuale n scarsamente espressivo:non si tratta di far collimare un evento con una parola, ma di portare allaperfezione tutto il testo sacro, fatto di promesse e profezie, ma anche difigure, avvenimenti che possono essere spiegati solo con la luce che vienedalla croce di Cristo.

    b. Il compimento della Rivelazione

    La coscienza che Ges venuto proprio per rivelare il Padre si trovaesplicitamente espressa in tutti i testi evangelici, ma spicca con particolareevidenza nellopera giovannea. Dio, il Padre, per amore comunica a Gestutto ci che possiede, pone tutto nelle sue mani (3,35; 13,3). Ges, ilFiglio, ha coscienza di questo suo ruolo e afferma di trasmettere la veritche ha udito (8,38.40). Il Ges di Giovanni linviato del Padre, il luogoteologico in cui i credenti vengono a contatto con la vera identit di DioPadre, sorgente e contenuto di tutta la Rivelazione.

    Questo cammino di comunicazione dellamore del Padre si scontracon il rifiuto delluomo, ma proprio attraverso questo ostacolo che lamissione di Ges pu essere portata a definitivo compimento. La passionee la croce, come dono damore totale, diventano la parola finale e definitiva

    di Ges morente e linterpretazione giovannea della sua morte in croce , in La sapienza della croceoggi, I, Torino 1976, pp. 33-49. In questo testo, ma anche in altri suoi scritti, de la Potterie afferma:Si pu considerare come quasi certo che la proposizione perch fosse compiuta la Scrittura si

    ricollega alle parole che descrivono il compimento dellopera di Ges (p. 43).17 Abitualmente in Giovanni la costruzione della proposizione finale con segue e nonprecede la frase a cui si riferisce; il verbo qui adoperato non indica mai il compimento diun singolo e preciso passo (per cui si usa ), ma piuttosto dellintera opera del Padre (4,34;5,36; 17,4); non c nellAntico Testamento lespressione testuale: Ho sete; il verbo sitrova in una posizione particolare e cio tra le uniche due occorrenze del verbo in Giovanni:questo rafforza il suo significato di completamento, piuttosto che di pienezza ed quindi pi adattoad una considerazione della Scrittura nella sua globalit.

    18 Luso del singolare per indicare lintera Scrittura non comune in Giovanni, masi pu trovare in 10,35 (la Scrittura non pu essere annullata), in 20,9 (non avevano infatti ancoracompreso la Scrittura, che egli cio doveva risuscitare dai morti) e forse in 2,22 (e credettero allaScrittura e alla parola detta da Ges).

    19 I. DE LA POTTERIE, Il mistero del cuore trafitto. Fondamenti biblici della spiritualit delCuore di Ges, Bologna 1988, p. 108 vede nella coscienza messianica di Ges morente il punto dicongiunzione delle due grandi parti delleconomia della salvezza. in essa che si opera il passaggio daun Testamento allaltro, in essa il Nuovo generato dallAntico e lAntico si trova interpretato nelNuovo. Ges percepisce nella coscienza il compimento che sta attuando ed proprio in questo

    luogo sacro che avviene in primis la realizzazione dellopera messianica e lapertura dellera nuovadello Spirito.

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    di Dio per il mondo, perch sono lespressione estrema del suo amoreredentore. La rivelazione del volto del Padre e della sua parola sulluomonon potrebbe essere completa senza questo supremo atto di offerta dellavita, che porta fino alle massime conseguenze lofferta di salvezza delPadre e laccoglienza libera e definitiva da parte del Figlio.

    Se dunque la missione del Figlio , come abbiamo visto lungo tutto

    il testo evangelico, rivelare il volto del Padre, si pu affermare che il ( compiuto) della croce esprime lintima consapevolezzache Ges morente possiede di aver condotto a pieno termine lopera dirivelazione salvifica affidatagli dal Padre;20la verit infatti, cio la rive-lazione suprema della sua persona e del suo rapporto col Padre, culminasulla croce: l Ges manifesta lamore del Padre per il mondo (3,14), ilproprio amore per il Padre (14,31) e per gli uomini (13,1).21Sulla croceGes in pienezza il luogo della teofania: la sua morte volontaria mostrache Dio Padre che ama gratuitamente e fino allestremo luomo, nellostesso tempo rivela nel Figlio il progetto di Dio sulluomo che si realizzaproprio nel dare la vita, nellamore gratuito fino al limite massimo.

    c. Il compimento dellumanit e della divinit di GesColpisce e stupisce linsistenza con cui Giovanni usa, in particolare

    in riferimento a Ges, il termine uomo ().22Particolarmente interessanti risultano i passi in cui Ges chiamato

    semplicemente uomo da altri personaggi, quasi si volesse sottolineare lasua piena umanit e nello stesso tempo linsufficienza di un tale termineper definire la sua persona e le sue azioni. Si tratta di un cammino diriconoscimento: le persone che entrano in contatto con Ges lo riconosconoprima di tutto come uomo, ma sono condotte da lui stesso o dalle sueparole a un ulteriore approfondimento.23Luso di questo termine arriva al

    20 R. VIGNOLO,La morte di Ges nel Vangelo di Giovanni, in Parola Spirito e Vita, 32 (1995),

    p. 123.21 L. ZANI, Perch credendo nel Figlio di Dio abbiate la vita , Verona 1989, p. 167.22 Nei sinottici il termine uomo usato raramente in riferimento a Ges e si pu riassu-

    mere in tre gruppi di significati: senza importanza particolare (Mt 11,19; Lc 7,34); con significatopeggiorativo nel rinnegamento di Pietro (Mc 14,71; Mt 26,72.74); con distacco o disprezzo da partedi Pilato (Lc 23,4.6.14). Uneccezione particolarmente significativa costituita dallaffermazionedel centurione sotto la croce nel Vangelo secondo Marco (15,39): veramente questuomo ( ) era figlio di Dio.

    23 Un primo esempio significativo lo troviamo nellincontro con la Samaritana al pozzo: la donnasi chiede se luomo che le ha detto tutto quello che lei ha fatto pu essere il Messia (4,29). Alla piscinadi Betesda Ges luomo che ha detto al paralitico alzati e cammina (5,12). In 7,46 sono le guardiemandate dai sommi sacerdoti a riconoscere la straordinaria potenza della parola di Ges, affermandoche mai un uomo ha parlato come parla questuomo e in 8,40 Ges stesso si definisce un uomoche vi ha detto la verit. La parola uomo per identificare Ges centrale in tutto lepisodio del cieconato (9,11.16(bis).24b) e si alterna alluso della stessa parola per indicare il cieco stesso (9,1.24a.30):luomo fatto di fango (e guarito dal fango) portato a riconoscere in Ges la pienezza umana. Infinein 10,33 sono i Giudei stessi ad accusare Ges perch tu, che sei uomo, ti fai Dio e in 11,50 Caifa

    profetizza che meglio che muoia un solo uomo per il popolo. Cfr. L. ZANI, Perch credendo, pp.155-157; I. DE LA POTTERIE, Ges verit, trad. it., Torino 1973, pp. 181-184.

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    suo culmine in 19,5: E Pilato disse loro: Ecco luomo!. Proprio nelGes flagellato, oltraggiato e incoronato re da burla possiamo vedereil modello di uomo perfetto, che si realizza nel dono della sua vita peramore degli uomini.24

    Tale insistenza, fino alla fine del Vangelo, sullumanit di Ges e inparticolare il passo di 19,5 appena citato, ci aprono a una lettura dellevento

    pasquale quale nuova creazione, compimento della vocazione delluomoquale il Creatore lo aveva pensato fin dalle origini.25 Ges, proprio inquanto carne (1,14), uomo (8,40) e nello stesso tempo lUomo(19,5), ilFiglio delluomo (9,35) si presenta come modello di uomo emeta del suo sviluppo, rivendica il valore della realt umana, mostrandoche la deificazione delluomo non esige la rinuncia ad essere tale ma, alcontrario, porta al culmine il processo della sua umanizzazione; il terminedello sviluppo delluomo nella sua qualit umana la condizione divina,intesa pertanto non come una fuga o rifiuto del proprio essere uomo, macome una fioritura di tutte le sue possibilit con la forza dello Spirito.

    Ges non soltanto uomo: egli, proprio perch Figlio, tuttunocol Padre, Dio. Il Vangelo di Giovanni si apre con questa affermazione:Il Verbo era Dio (1,1) e si chiude con il riconoscimento di Tommaso:Mio Signore e mio Dio! (20,28). La permanenza del Logos sulla terra il cammino del Figlio da unorigine divina, da cui esce (cfr. 8,42;16,30), verso una meta divina, a cui ritorna (cfr. 6,62).26Ges si mostrafin dallinizio pienamente consapevole di questa sua identit e dellobiettivodella sua missione nel mondo: tutto il Vangelo di Giovanni un lungo econtinuo parlare, attraverso i discorsi e i segni, di quellora che vedrglorificato, esaltato il Figlio e, attraverso di lui, il Padre (12,27-28; 17,1).27In questo senso si pu parlare della morte di Ges in croce e della suarisurrezione come un unico mistero che porta a compimento non solo lanatura umana, ma anche la comunione trinitaria; la croce realizza nella suarealt perfetta lunit personale di Padre e Figlio e, attraverso lo Spirito,diventa il luogo centrale e permanente della partecipazione delluomo a

    questo rapporto damore.24 Ignazio di Antiochia (Smirn. 4,2) esprime bene questa idea: egli accetta il martirio come

    mezzo per giungere ad essere discepolo completo: Unicamente per la causa di Ges Messia alfine di soffrire con lui sopporto tutto, perch proprio colui che giunse ad essere Uomo completo() a darmi forza.

    25 questa la teologia che sottende lintera Lettera agli Ebrei: Ges si fatto pienamentesolidale con luomo per portare a compimento la vocazione delluomo, per realizzarla a vantaggiodi tutti e divenire cos padrone di tutto il creato. Cfr. A. V ANHOYE,Il sangue dellalleanza. Corso diesercizi spirituali biblici, Roma 1992, pp. 48-49.

    26 Ges parla con insistenza del suo venire e del suo tornare; due passi molto esplicitisono 13,3: Ges sapendo che era venuto da Dio e a Dio ritornava e 16,28: Sono uscito dalPadre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre.

    27 Cfr. D. SENIOR, La passione di Ges,p. 15: Da molto tempo i commentatori di Giovannihanno notato che questo Vangelo riesce ad enunciare il suo intero messaggio praticamente in ciascunodei suoi passi. Mano a mano che il Vangelo si svolge, Giovanni proclama ripetutamente la conoscenzache egli ha di Ges, come le onde che si frangono su una spiaggia. Sebbene la narrazione abbia una

    trama e vi sia un certo movimento nellazione dal principio alla fine, il lettore si trova di fronte findai versetti iniziali allintero quadro, che viene riproposto in quasi tutte le scene seguenti.

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    d. Il compimento della salvezza delluomo

    La ricaduta salvifica della croce di Cristo emerge con particolareevidenza e tonalit proprie nel Vangelo secondo Giovanni. La croce prima di tutto mezzo di glorificazione del Figlio e, attraverso di lui, delPadre (cfr. 12,28; 17,1), ma nello stesso tempo mezzo di salvezza, rea-

    lizzazione piena della figura del serpente mosaico innalzato nel deserto,portatore di vita per chi volge lo sguardo verso di lui (3,14-15). Ges ilvero Agnello immolato, che toglie il peccato del mondo (1,29; 19,36); colui che, innalzato da terra, attira tutti a s (12,32). I molteplici segni dicui il Vangelo costellato conducono, bench spesso non esplicitamente,a uninterpretazione in chiave redentrice della morte di Ges.

    Nel Vangelo secondo Giovanni questa salvezza di cui luomo fattopartecipe si esprime in particolare attraverso tre immagini: la vita () di cui luomo reso partecipe;28 la figliolanza, cio la possibilit di entrare in un rapporto nuovo con

    Dio, quello di figlio;29 la comunione con il Padre quale immanenza reciproca, interiorit

    reciproca, partecipazione alla gloria e alla vita divina, essere unocon lui.30

    Ancora una volta la croce a portare a compimento questi processi,donando alluomo la vita divina, facendolo entrare in un nuovo rapportodi figlio, realizzando in pieno la comunione con Dio.

    3. Il compimento dellamore

    a. L nel Vangelo secondo Giovanni

    Il lavoro fin qui svolto ci ha mostrato, seppur necessariamente soloper accenni, la centralit della scena giovannea di Cristo in croce, intesaquale compimento delle tematiche pi care al quarto evangelista. La nostraattenzione si concentra ora su quello che, a nostro avviso, il vero centrodel messaggio giovanneo e dellintera Rivelazione cristiana e che senzaulteriori specificazioni definiamo con il termine . Ci che si compie

    28 Questo termine presente in maniera costante e frequente lungo tutto il Vangelo secondoGiovanni ed ha un significato talmente ricco da ricoprire tutto lambito riguardante la salvezzadelluomo: (vita) 36 volte; (vivere) 17 volte; (dare la vita, vivificare) 3 volte.Cfr. J. MATEOS - J. BARRETO, Dizionario teologico del Vangelo di Giovanni, trad. it., Assisi 1982, pp.345-352. Cfr. B. MAGGIONI, La vita nel Vangelo di Giovanni, in Parola Spirito e Vita, 5 (1979),pp. 128-146.

    29 Questo processo di filiazione, che ha inizio con lascolto della Parola di Ges, laccoglienzadella sua presenza nel mondo e la fede nel suo nome (1,12), trova ancora una volta il suo compimentonellevento della morte e della risurrezione. Sotto la croce Maria e il discepolo prediletto raccolgonole ultime parole del Figlio, che affida il discepolo alla Madre e la Madre al discepolo.

    30 Questa espressione si trova particolarmente presente nella preghiera sacerdotale del capitolo

    17, sia in riferimento al rapporto tra Padre e Figlio (10,30), sia per indicare lunit tra i discepoli chescaturisce dalla relazione trinitaria (17,11.21.23).

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    in quel momento di massima elevazione non solo spaziale, ma anchetemporale e di significato, primariamente lamore, quale causa, mezzoe fine dellincarnazione e della redenzione.

    Prima di affrontare il significato profondo e la portata del termine neltesto evangelico, ci possono essere utili alcuni dati, che danno unideadella rilevanza dell nella letteratura giovannea e, in particolare,

    nella seconda sezione del Vangelo.Questo rapido schema evidenzia la frequenza con cui il sostantivo e

    il verbo corrispondente compaiono nei testi di Giovanni, in riferimentoanche allintero corpus del Nuovo Testamento.31

    Allinterno del Vangelo secondo Giovanni notiamo inoltre una diffe-renza rilevante tra la prima e la seconda parte: nei capp. 1-12 i due ter-

    mini -compaiono 8 volte;32

    le rimanenti 35 appartengonoai capp. 13-21 e in particolare ai capp. 13-17, in cui le occorrenze sonoben 31. Tale insistenza quasi martellante concentra lattenzione del lettoreattorno a questo tema, che diventa la chiave di lettura di tutto leventodella passione e morte di Ges, come preannuncia il passo di 13,1, daconsiderarsi quale il titolo dellintera sezione: dopo aver amato i suoiche erano nel mondo, li am sino alla fine.

    Pu essere significativo notare inoltre alcune altre particolarit nellusodi questi termini: la coppia - sembra sostituire nella seconda parte del

    Vangelo il grande tema della luce () e della vita () che ave-vano dominato la prima sezione. si ritrova per 23 volte in Gv1-12, mentre scompare completamente in 13-21. e i verbi

    e sono presenti 50 volte nella prima sezione del Vangelo,solo 6 nella seconda. Siamo dunque di fronte a un vero e propriomutamento terminologico, che sposta laccento dai temi pi vicini allafilosofia, e in particolare alla visione gnostica della divinit, verso lavera novit del messaggio cristiano: Dio amore trinitario che esceda s per donarsi alluomo, renderlo capace di amare e farlo entrarein comunione definitiva con s e con gli altri uomini.33

    sinottici Vang. Gv 1;2;3 Gv Ap totale Gv totale NT

    26 36 31 4 71 141

    2 7 21 2 30 116

    31 Cfr. R. BROWN, Giovanni, II, p. 1438. G. QUELL - E. STUFFER, -, in R.KITTEL- G. FRIEDRICH(edd), Grande Lessico del Nuovo Testamento, I, trad. it., Brescia 1981, col. 141parla, in proposito dellinsistenza di questo concetto nelle Lettere di Giovanni, di una monotoniagrandiosamente significativa.

    32 Il sostantivo ricorre una volta in 5,42; il verbo sette volte: 3,16.19.35; 8,42;10,17; 11,5; 12,43.

    33 Cfr. V. PASQUETTO, Da Ges al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale delVangelo di Giovanni, Roma 1983, p. 288; C.H. DODD, Linterpretazione del quarto Vangelo, trad.

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    Come si potuto notare nel riassunto schematico sopra esposto, Gio-vanni predilige il verbo () al sostantivo (). Si tratta diuna tendenza tipica di questo evangelista, che sembra dar pi rilievoallelemento attivo nella vita cristiana, piuttosto che ad un possessoacquisito.34L infatti pi un movimento che uno stato, unaforza dinamica, discendente dal Padre al Figlio, dal Figlio agli uomini,

    e sprigionante una nuova capacit di relazione tra uomo e uomo.Accanto alla coppia - il vangelo di Giovanni adopera,

    anche se in dimensione minore, il verbo (13x) e il sostantivo (6x). Riguardo alla differenza (o identit) di significato tra i dueverbi -, molto stato scritto, con posizioni contrastanti eampie sfumature. Tentiamo qui una breve sintesi, consapevoli che perquesto nostro studio non si tratta di una questione semplicemente oziosa,soprattutto riguardo allinterpretazione del passo di Gv 21,15-19, di cuici occuperemo in seguito.

    Molti sono gli autori, antichi e moderni, che non vedono nei due verbialcuna differenza e li considerano quindi intercambiabili.35Questa letturasi basa su alcuni casi in cui essi sono usati in contesti molto simili:

    il Padre ama il Figlio: 3,35: ; 5,20: ;

    il Padre ama i discepoli perch essi amano Ges: 14,23: ; 16,27: ,

    Ges ama Lazzaro: 11,5: ; 11,3: :

    ce un particolare discepolo che Ges ama: 13,23: (cfr. 19,26; 21,7.20); 20,2: .

    Basandosi su questi passi, sul largo uso dei sinonimi nella poesiaebraica e sullabitudine dei LXX di usare entrambi i verbi per tradurre

    it., Brescia 1974, p. 488: Levangelista non intende tralasciare la fede in Cristo portatore di vita edi luce, n stimarla marginale. Egli puntualizza solo che la vita e la luce sono date in forma pienadallagape. nellesercizio dellagape che luomo conosce Dio e partecipa alla sua vita, che luomoe Dio costituiscono un tuttuno, che la creatura torna al Creatore.

    34 Si pu ricordare a questo proposito che il Vangelo di Giovanni usa per ben 98 volte il verbocredere (), mentre del tutto assente la parola fede; allo stesso modo la conoscenzanon mai espressa mediante un sostantivo, ma con i due verbi (56x) e (85x). Ilvocabolario paolino, allinverso, d pi rilievo al sostantivo: nel caso di - il primotermine si trova 75 volte contro le 33 del verbo.

    35 R. BROWN, Giovanni, II, pp. 1394-1395, ricorda come questa fosse la posizione prevalentedegli autori antichi (Agostino, Giovanni Crisostomo, ma non Origene). Esegeti inglesi del XIX secolovidero invece nei due termini finissime sfumature, ridimensionate poi da molti autori moderni. Il Brownstesso non vede nei due verbi una chiara distinzione e li considera intercambiabili. Di questa ideaanche R. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, III, trad. it., Brescia 1981, pp. 596-603, secondoil quale la scelta delle parole diverse dovuta soltanto alla volont di introdurre nel racconto unpo di movimento e di colore (p. 599); cfr. anche R. F ABRIS, Giovanni, Roma 1992, pp. 1083-1084;

    U. W ILCKENS, Il Vangelo secondo Giovanni, trad. it., Brescia 2002, p. 410; K. WENGST, Il Vangelo diGiovanni, trad. it., Brescia 2005, p. 772.

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    lebraico hab, molti studiosi non vedono dunque tra e alcuna importante differenza di significato.

    Altrettanto numeroso per il gruppo degli esegeti che, data latten-zione spesso estrema che Giovanni dedica alle sfumature di significato,non accettano una semplice equivalenza tra i due termini, proprio per laloro rilevanza allinterno del testo. Non c per accordo nello stabilire

    una distinzione precisa, n su quale dei due verbi esprimerebbe un livellosuperiore di amore. Sostanzialmente definito come lespressionedellamore in genere, discendente da Dio, con il quale Dio ama il mondo(3,16), di cui il Cristo il modello e la fonte (13,34) e che richiestoai discepoli (15,12); il verbo implicherebbe invece un maggiorcoinvolgimento personale, un amore tra simili, pi intimo, pi legato allarelazione (15,14-15). Per alcuni studiosi l, in quanto espressionedel cuore di Dio e suo dono, anche il vertice a cui pu giungere ilcuore umano,36per altri invece lamore pi elevato quello espresso dalverbo , in quanto coinvolge personalmente e intimamente il singolouomo.37Le implicazioni di queste diverse concezioni ci aiuteranno a com-prendere meglio il testo di Gv 21,15-19, in cui lalternanza nelluso deidue verbi determina linterpretazione della scena. Rimandiamo dunqueuna nostra presa di posizione in proposito, anticipando comunque lim-possibilit, a nostro parere e sulla base della cura linguistica e stilisticadi Giovanni, di postulare unidentit fra i due verbi e considerarli quindiintercambiabili.

    b. e

    Si tratta ora di riassumere alcuni dei dati finora esposti, per trarneuna prima conclusione e analizzare poi i passi pi interessanti a questoproposito.

    Nellampio brano giovanneo che racconta la passione e morte di Ges(13,1-19,30) possibile evidenziare una interessante inclusione: il cap. 13 siapre con laffermazione di un amore sino alla fine (

    36 Rimane dimportanza basilare lo studio di C. SPICQ, Agap dans le Nouveau Testament.Analyse des Textes, I-III, Paris 1959. Nel vol. III lAutore affronta gli scritti giovannei e dedica unintero capitolo allalternanza -nel Vangelo di Giovanni (pp. 219-245). La sua posizione nettamente a favore della superiorit di , inteso quale amore di donazione totale, lamoredivino appunto, che si esprime nella morte e risurrezione di Cristo per la salvezza delluomo. sarebbe invece lamore tra pari, un amore pi umano, primario, istintivo. Tra gli autori pi recentisostiene una simile interpretazione G. ZEVINI, Vangelo secondo Giovanni, II, Roma 1984, p. 315. X.LON-DUFOUR, Lettura dellEvangelo, IV, pp. 366-371 non parla di superiorit nel rapporto tra le dueforme damore, ma sostiene comunque una distinzione di significato: esprime lamore diorigine divina, anche quando viene sperimentato dalluomo, viene invece usato per indicarela tenerezza nelle relazioni umane e unisce lo slancio spontaneo del tutto umano allamore ispiratoda Dio stesso. Simile anche il commento di J. MATEOS - J. BARRETO, Il Vangelo di Giovanni. Analisilinguistica e commento esegetico, trad. it., Assisi 1982, pp. 851-861.

    37 Y. SIMOENS,Secondo Giovanni, pp. 837-841 vede nel il vertice dellamore, perchimpegna le persone in quanto tali nella concretezza delle loro relazioni. La philia lagape che si

    comunica nella singola persona dellaltro senza perdere nulla della sua universalit e del suo disin-teresse (p. 841).

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    ); Ges finisce la sua vita terrena con le parole compiuto(). Sembra dunque ragionevole parlare di questa ampia sezionecome del libro del compimento, prendendo proprio questa parola cometitolo e riassunto finale dellevento centrale dellesistenza terrena delFiglio di Dio, prima spiegata (13-17) e poi vissuta (18-19).38

    Nel precedente paragrafo abbiamo messo in luce come lamore siail tema fondamentale della seconda parte del Vangelo di Giovanni, inparticolare nei capitoli 13-17, che intendono spiegare i drammatici eventisuccessivi. Ci che viene portato a compimento dunque lamore: questala vera opera ( cfr. 4,34; 5,36; 17,4) che il Padre ha affidato alFiglio e attraverso la quale il Padre viene glorificato nel Figlio.

    Tale idea di fondo gi espressa chiaramente nel Vangelo di Gio-vanni in quello che abbiamo definito il titolo della sezione dedicata allapassione e morte di Ges, cio la parte conclusiva del pregnante v.1 delcap.13: . Questo legame linguistico e teologico tra e giusti-fica linterpretazione di ogni atto che Ges compie da questo momentoin poi come frutto e fonte damore, in un crescendo che culmina nella

    croce, intesa, anche se non risulta esplicitamente espresso tramite un nuovoabbinamento di questi termini, come il vertice dellamore.39Si compie quici che Ges aveva detto a Nicodemo: Dio ha tanto amato il mondo dadare il suo Figlio unigenito40 (3,16) e nel momento della morte Ges

    38 Dalle ricerche qui svolte risultato che soltanto R. FABRIS, Giovanni, chiama la secondaparte del Vangelo di Giovanni Libro della gloria o del compimento. Egli nota che il tema dellagloria cera anche precedentemente, mentre il tema veramente nuovo proprio quello del compi-mento. Dunque questa seconda parte del Vangelo non rientra nella categoria dei segni, perch essa il compimento dellintera opera di Ges, lora della gloria in quanto la piena manifestazionedel suo amore (p. 35). Per C.M. MARTINI, Il caso serio della fede, Casale Monferrato (Alessandria)2002, pp. 17-20 lintero Vangelo secondo Giovanni definibile come Vangelo del compimento.LAutore vede nellansia che Ges ha di rispondere in pienezza al disegno di Dio una possibile chiavedi lettura dellopera giovannea.

    39 Dal punto di vista linguistico la radice -si trova associata anche in altri passi giovannei

    con la tematica dellamore. In Gv 17,23 Ges chiede al Padre che i suoi siano perfetti nellunit( ) perch il mondo sappia che egli li ha amati ( ). Nellaprima Lettera di Giovanni labbinamento ancora pi frequente: 1Gv 2,5: lamore di Dio perfetto( ) in chi osserva la sua parola; 1Gv 4,12: se ci amiamo lamoredi Dio perfetto in noi ( ); 1Gv 4,17: lamore haraggiunto in noi la sua perfezione ( ); 1Gv 4,18: lamore perfetto ( ) scaccia il timore perch chi teme non perfetto nellamore ().Tale concetto di amore portato alla perfezione attraverso latteggiamento morale una conseguenzadi ci che Giovanni ribadisce in 1Gv 4,8-9: Dio amore e lo ha manifestato nel mandare il Figliounigenito nel mondo perch il mondo si salvi. Il dono del Padre, mosso da una misteriosa iniziativadamore, dunque anche qui lorigine e il vertice di ogni amore umano. Meno significativi a questoproposito i due passi paolini in cui troviamo abbinate le due parole in questione: Col3,14: la carit il vincolo della perfezione (); 1Tm1,5: il fine () del richiamo la carit.

    40 Il verbo qui usato che richiama, pur distinguendosi, il che caratterizzagli eventi della passione. Non si tratta infatti soltanto della consegna che porta alla morte, ma ditutta la traiettoria del Figlio in questo mondo, dallincarnazione fino alla croce. Il verbo, coniugato

    allaoristo indicativo complessivo () esprime questa completezza. Cfr. X. LON-DUFOUR,LetturadellEvangelo,p. 412.

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    aderisce pienamente a questo dono del Padre, atto damore per il mondo,donando volontariamente la vita per compierne lopera. Tale connessione trala croce e lamore si ritrova poi pi frequentemente nelle epistole paolinee appartiene certamente al primo annuncio del kerigma cristiano.41 Sullabase di 3,16 e di 13,1 si potrebbe dunque definire lcome l(3,16: allorigine della missione del Figlio sta lamore del Padre per il

    mondo) e il (13,1: il compimento dellopera del Padre da parte delFiglio fino a dare la vita amore sino alla fine) del dinamismo divino,che si realizza nella venuta del Figlio nel mondo e si compie nella suamorte e risurrezione.

    c. Il titolo: lallorigine del dono (13,1)

    Gv 13,1: Prima della festa di Pasqua Ges, sapendo che era giuntala sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoiche erano nel mondo, li am sino alla fine.

    Con questa introduzione solenne si apre la seconda parte del Vangelodi Giovanni, quella che abbiamo chiamato libro del compimento del-

    lamore. Si tratta di una proposizione densa, che riassume molti dei temiche verranno poi lungamente spiegati da Ges stesso e vissuti nella suapassione e morte. Si potrebbe parlare di essa come della strofa di un inno,paragonabile in parte al lungo inno che costituisce il prologo dellinteroVangelo e prospetta in maniera poetica la traiettoria del Figlio, venutonel mondo per rivelare il Padre, respinto dai suoi, glorificato nella mortee divenuto cos mezzo di comunione con Dio per chi crede in lui. Anchenel caso di 13,1 siamo di fronte a uninterpretazione teologica dellinteropercorso di Ges,42un portale dingresso alla contemplazione del misterodi Dio,43paragonabile a un arco o portale di ingresso basilicale44 cheimmette in un nuovo ambiente, legato al precedente, ma nello stesso tempodiverso perch pi intimo, pi profondo e, per ci stesso, pi pregnantedi significato. Attraverso questa frase introduttiva il lettore ammesso al

    mistero stesso dellamore di Dio proprio mentre umanamente esso risultasconfitto nella lotta drammatica con le forze del male (cfr. 13,2). Il v.1 delcapitolo 13 pu essere quindi considerato quale titolo dellintera secondaparte del Vangelo,45anche se non perde il suo legame immediato con quellache lazione simbolica ad esso strettamente unita: la lavanda dei piedi.

    Tralasciamo tutta la prima parte del versetto che, pur essendo di note-vole importanza per la teologia giovannea, ci porterebbe fuori dal temaprescelto. Il nostro interesse si concentra invece sullultimo breve trattodel pensiero introduttivo: . Abbiamo gi pi

    41 Cfr. Gal2,20: il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me; Ef 5,2: Cristo ci haamato e ha dato se stesso per noi; Ef5,25: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei.

    42 U. W ILCKENS, Il Vangelo secondo Giovanni, p. 263.43 G. ZEVINI, Vangelo secondo Giovanni, p. 101.44 R. FABRIS, Giovanni, p. 712.

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    volte ribadito la nostra posizione circa la centralit di queste parole peruna lettura della passione e della morte di Ges nel loro vero significatodi compimento dellamore. Si possono per fare ulteriori precisazioniriguardo allespressione , su cui si sono concentrati esegetiantichi e moderni.

    Esiste un primo livello pi immediato, che potremmo definire tem-

    porale. Amare sino alla fine significa per Ges prolungare il suo attodamore nel tempo, lungo tutta la sua vita e quindi fino alla morte, anchese dolorosa e ingiusta.46

    Il secondo livello pu essere definito quantitativo o intensivo. Gesha amato fino al massimo, fino allestremo, fino al dono della vita, perchnessuno ha un amore pi grande di chi d la vita per i suoi amici(15,13). Proprio perch giunto allintensit massima, si pu parlare diamore portato alla perfezione, perfetto (), in quanto adempiutonella sua massima capacit; sulla croce Ges tocca il confine dellamore,raggiunge la sua pienezza, quellinfinito di cui nessun uomo capace. 47

    Un terzo livello quello finale, esprime cio il fine di quellamoreportato allestremo. Ges ha amato i suoi per condurli fino al loro com-pimento, fino alla comunione piena col Padre di cui lui gi gode, finocio, per esprimersi in termini giovannei, alla vita eterna. La perfezionedi cui si parla quindi quella a cui luomo destinato, ma che non puraggiungere se non attraverso labbassamento del Figlio.48

    Accanto a questi tre significati tradizionali, possiamo aggiungere altridue livelli, considerabili forse quali sfumature dei precedenti, ma che anostro parere meritano un approfondimento. Lamore di Ges giunge allafine non soltanto in quanto tocca il massimo delle potenzialit umane (cfr.15,13), ma anche in quanto penetra fino al minimo dellaccoglienza daparte delluomo. Il versetto 1 del capitolo 13 apre la porta sulla notte diGiuda e sulla notte di Pietro, su una cena fatta di contraddizioni, di rifiuto,di menzogna, di lotta con Satana, che gi aveva in cuore il tradimento

    45 Riteniamo di poter estendere questo carattere introduttorio allintera sezione 13-21 e nonsemplicemente ai capp. 13-17 o 13-19 come riportato da alcuni studiosi. Anche i capitoli riguardantile apparizioni del Risorto sono infatti da considerarsi, come mostreremo in seguito, quali eventi chemanifestano il dellamore e le sue conseguenze sulla storia e sugli uomini, consentendonelappropriazione da parte dei credenti.

    46 Nessun esegeta tralascia questa prima dimensione, ma da tutti giudicata insufficiente. Bastia riguardo lautorevole parola di Agostino: Questa, ripeto, uninterpretazione umana, non divina:infatti non ci am solo fino a questo punto, colui che da sempre e senza fine ci ama. Lungi da noipensare che la morte abbia posto fine al suo amore, dato che la morte non ha certo posto fine allasua vita. AGOSTINO, Commento al Vangelo di S. Giovanni, Roma 1965, p. 180.

    47 Cfr. G. ZEVINI, Vangelo secondo Giovanni, pp. 102-103. Anche questa interpretazione comune a tutti gli esegeti, pur con intensit differenti. AGOSTINO, Commento, p. 181 espone questopensiero con chiarezza: Si potrebbero ancora intendere queste parole: li am sino alla fine, nelsenso che tanto li am da morire per essi.

    48 Tale interpretazione soteriologia non sempre presente nei commentari, ma si trova gi inSan Tommaso, che distingue tra fine dellintenzione e fine dellesecuzione. Il primo la vitaeterna, che si identifica con Cristo stesso. Ges ama i suoi sino alla fine, ossia per condurli fino

    a s quale loro fine, oppure sino alla vita eterna, che lidentica cosa: cfr. T OMMASO DAQUINO,Commento al Vangelo di San Giovanni, III, Roma 1992, pp. 24-25.

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    (13,2). Ges ama i suoi fino a penetrare negli abissi pi profondi dellanon-accoglienza, della negazione del suo atto damore, dellabbandono,dellincomprensione anche dei gesti pi elementari ed espliciti dellamore,quali la lavanda dei piedi e lofferta del boccone al traditore. Anche inquesto egli giunge sino alla fine, nella linea della piena fedelt non soloal progetto del Padre, ma anche alla sua passione per luomo, perch eglipossa godere in piena gratuit della vita eterna che il Figlio venuto aportare. Grazie a questa continua presenza dellamore nella situazione delpi pieno rifiuto, possiamo pensare che nessuna situazione umana, neppure lapi disperata, sia lontana dal cuore di Dio e paradossalmente proprio nellamorte luomo pu sperimentare questa fedelt divina sino alla fine.

    Infine Ges porta lamore alla perfezione nel senso che lo conducealla sua pienezza, a ci per cui fatto e, giunto al suo culmine, esso nonpu che esplodere come forza dirompente, in grado di vincere una voltaper sempre il Nemico, Satana e la conseguenza del distacco originario daDio, la morte. Se con il peccato la morte entrata nel mondo, attraversolamore pieno potr avvenire quella falla in grado di introdurre una voltaper sempre nella storia degli uomini la Vita.49Ogni amore umano sar la

    conseguenza di questo atto originario portato alla perfezione da Cristo epotr partecipare cos allaffermazione della Vita sulla morte, gi attuatain pienezza dalla Croce quale vertice dellamore.50

    d. La lavanda dei piedi e il boccone per Giuda (13,2-30): lesemplificata

    Abbiamo gi notato come il versetto che d avvio al cap. 13 non siada considerarsi soltanto quale titolo della seconda sezione del Vangelodi Giovanni, ma anche come introduzione al gesto che Ges compie,chino sui discepoli, mentre lava loro i piedi. Si tratta di uno dei brani picommentati del Vangelo di Giovanni e certo di quelli che maggiormentecolpiscono il lettore e lo introducono nei diversi livelli di una possibile

    comprensione.

    49 Cfr. 1Cor 15,20-27: Ora, invece, Cristo risuscitato dai morti, primizia () di coloroche sono morti. Poich se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verr anche larisurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, cos tutti riceveranno la vita ()in Cristo. Ciascuno per nel suo ordine: prima Cristo, che la primizia; poi, alla sua venuta, quelliche sono di Cristo; poi sar la fine ( ), quando egli consegner il regno a Dio Padre, dopoaver ridotto al nulla ogni principato e ogni potest e potenza. Bisogna infatti che egli regni finchnon abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. Lultimo nemico ad essere annientato sar la morte,perch ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.

    50 Cfr. A. VANHOYE,Dio ha tanto amato il mondo. Lectio sul sacrificio di Cristo, trad. it., Milano2003, p. 6: Il sacrificio di Cristo consistito nel riempire di amore divino la sua sofferenza e la suamorte, al punto di ottenere la vittoria dellamore sulla morte. La risurrezione fa parte integrante delsacrificio di Cristo, perch ne costituisce lesito positivo. Tra la morte di Ges sulla croce e la suarisurrezione una veduta superficiale delle cose scorge soltanto un forte contrasto. Una visione profonda,invece, percepisce una stretta continuit: con la potenza interiore dellamore Ges ha trasformato la

    sua sofferenza e la sua morte in sorgente di una nuova vita, una vita di perfetta unione con Dio nellagloria. La trasformazione effettuata nella passione ha prodotto la risurrezione.

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    289Il compimento dellamore come chiave di lettura della Pasqua di Ges

    Siamo certamente di fronte a un gesto simbolico, anche se non uni-vocamente interpretabile. La prima caratteristica che ne emerge quelladellumilt. Tale atteggiamento, proprio perch compiuto dal Maestro eSignore (13,13), incarna lo stile di colui che in mezzo a voi comecolui che serve (Lc 22,27), che venuto non per essere servito, maper servire (Mt20,28), che spogli se stesso assumendo la condizione

    di servo (Fil 2,7). Questa lettura in chiave etica la pi immediata esicuramente legittima, ma non sembra cogliere in pieno la profondit delgesto. Quello di lavare i piedi non era solamente il compito degli schiavi,ma era praticato anche dallospite nei confronti dellinvitato, dalla moglie,dalle figlie e dai discepoli verso lo sposo, il padre, il maestro.51 Non sitratta quindi di un semplice gesto di umilt, ma di un chiaro gesto damore,che apre il testo a un nuovo significato simbolico: la lavanda dei piedi in realt un gesto profetico che preannunzia simbolicamente il serviziosupremo di amore, reso da Ges al suo popolo con la passione e la mortein croce.52Si tratta quindi primariamente di un significato cristologico: latto di amore di Cristo per la sua sposa, perch egli ha amato laChiesa e ha dato se stesso per lei (Ef 5,25); latto del Buon Pastore

    che ama le sue pecorelle e depone la vita (10,11) per loro, come quellasera ha deposto le vesti.53 un gesto che mima simbolicamente la mortevolontaria di Ges,54un gesto sconcertante, un segno prefiguratore, unarivelazione esemplare della sua imminente vicenda pasquale,55 un gestodi totale consacrazione allopera damore del Padre che egli sta portandoa compimento. una lavanda che simboleggia anche leffetto salvificodella morte di Ges, come si comprende dallespressione aver parte conme che Ges usa nei confronti di Pietro (13,8), restio a lasciarsi lavaredal Maestro. In questo senso la lavanda dei piedi legata allEucaristia,non raccontata da Giovanni in questo contesto, ma neppure sostituita dalgesto simbolico compiuto. Si tratta piuttosto di due azioni complementarie veicolanti lo stesso significato, luna attraverso il modo sacramentale,laltra attraverso lesperienza. La lavanda dei piedi non simbolo del-

    lEucaristia, ma aiuta a capire lEucaristia, impedisce che essa rimanga

    51 La metafora sponsale ha degli illustri precedenti nellAntico Testamento: 1Sam 25,41: laschiava Abigail presa in moglie da Davide sar come una schiava per lavare i piedi ai servi delmio signore; 2Sam11,8: Davide invita Uria a scendere a casa sua e lavarsi i piedi, cio unirsi conla moglie; Ct5,3: il lavarsi i piedi presente nella scena damore tra i due protagonisti. Pu esserericordato anche il rimprovero di Ges al fariseo Simone di fronte alla peccatrice: lospite non haofferto a Ges lacqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugaticon i suoi capelli (Lc7,44).

    52 S.A. PANIMOLLE, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, III, Bologna 1984, p. 178.53 Cfr. R. VIGNOLO, La morte di Ges, p. 126: Per lavare i piedi ai discepoli Ges dapprima

    depone (tthemi) le sue vesti, si cinge di un asciugatoio, poi riprende (lambno) le sue vesti (13,4-5.12) azioni descritte con gli stessi verbi di 10,18 dove il buon Pastore dichiara: per le mie pecoreio ho il potere di dare (tthemi) la mia vita e di riprenderla (lambno) di nuovo. La lavanda dei piedi unazione simbolica, performativa rispetto alla parola di 10,18 e prefigurativa rispetto alleventopasquale di morte e risurrezione.

    54 X. LON-DUFOUR, Lettura dellEvangelo, III, p. 45.55 R. V IGNOLO, La morte di Ges, p. 126.

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    soltanto un culto slegato dalla vita e conserva in modo esistenziale eduraturo latto di offerta racchiuso nel pane e nel vino; essa necessariaper manifestare che la vita cultuale non basta a se stessa e che, per nondivenire illusoria, essa ritrova tutto il suo senso solo nella pratica di unamore effettivo,56mostra che unEucaristia che non si traduca in amoreconcretamente praticato in se stessa frammentata.57

    Diventa dunque conseguenza necessaria il fatto che Ges ponga talegesto quale (13,15), un modello sul quale impostare le relazionireciproche allinterno della comunit. Quella che viene raccomandata non lesecuzione materiale dello stesso gesto, ma linstaurazione di rapporticontinuamente commisurati e verificati in base allamore estremo e coinvol-gente di Ges,58 di cui la lavanda dei piedi la connotazione visiva.

    Lviene incarnata attraverso un , diventa un gestoesemplificativo damore che svela la vera natura del Cristo, il significatodella morte imminente e prefigura lo stile dei rapporti comunitari.

    Sulla stessa linea si pone anche il secondo grande gesto collocatoda Giovanni nel contesto della Cena: lofferta del boccone a Giuda. Ilclima particolarmente ricco di pathos: Ges turbato nello spirito

    ( )59

    mentre annuncia il tradimento imminente;compare per la prima volta il discepolo che Ges amava ( ), sdraiato nel grembo di Ges ( )e reclinato sul suo petto ( ).60 In questocontesto di amore e dolore si adempie la Scrittura gi preannunciata alv.18: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suocalcagno (Sal 41,10). La citazione, liberamente adattata da Giovanni peril suo scopo,61gi qualifica il traditore come un commensale, uno di coloroche Ges stesso ha scelto e che conosce (cfr. 13,18); uno che era,e forse rimane, lamico in cui confidavo (Sal 41,10). Tale convinzione

    56 X. LON-DUFOUR, Lettura dellEvangelo, III, p. 73.57 BENEDETTOXVI, Lettera enciclica Deus caritas est, 14.58 R. FABRIS, Giovanni, p. 747.59 Sembra poco incisiva la proposta della CEI di tradurre questa espressione con: si com-

    mosse profondamente. Il verbo lo stesso usato in altri due contesti particolarmente forti: 11,33Ges si turba ( ) di fronte alla morte dellamico Lazzaro e al dolore dei presenti;12,27 lanima di Ges turbata ( ) nellimminenza dellora, nel momentodrammatico definito il Getsemani giovanneo.

    60 Questa figura simboleggia la realizzazione dellintima comunione con Ges a cui luomo destinato. Qui questo personaggio, la cui vera identit, definita da questa speciale relazione, piimportante dellidentificazione attraverso un nome, fa da contrasto con la figura del traditore e rap-presenta la possibilit di cogliere quale gesto damore tutto quello che sta avvenendo, anche loffertadel boccone a Giuda.

    61 Le differenze pi interessanti rispetto al testo dei LXX stanno nelluso di anzich e del singolare anzich del plurale senza articolo . Questevariazioni consentono un avvicinamento al lungo discorso del cap. 6, in cui Ges parla di man-giare il suo corpo, quale pane che d la vita eterna (6,54.56.58). Cfr. in particolare 6,58: . Y. SIMOENS, Secondo Giovanni, p. 569 parla dunque diuna reminescenza eucaristica, mentre per R. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, III, p. 51 si

    tratta soltanto di aggiustamenti destinati a favorire la comprensione del lettore greco. Anche lusodel singolare potrebbe essere un richiamo al pane eucaristico.

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    rafforzata dal cambiamento terminologico dei vv. 26bis.27.30 in cui ilmio pane sostituito dal boccone (). Intingere il boccone segno di alleanza,62 lultimo tentativo da parte di Ges di restaurare ilrapporto con Giuda attraverso un gesto di elezione, conferma estrema dellapredilezione che sempre il Maestro ha dimostrato verso i suoi. Dopoil boccone, ricevuto ma non compreso, Satana entra in Giuda portandovila notte quale frutto del rifiuto dellestremo gesto di amore.

    Si conferma qui la nostra interpretazione di un amore sino alla fine,cio capace di dono totale e gratuito anche di fronte al rifiuto delluomo,alla sua notte pi profonda, rappresentata in primis dal tradimento diGiuda, ma anche dallincomprensione di tutti gli altri, che fraintendonole parole di Ges (vv. 28-29), si dimostrano refrattari alla sua relazionecoinvolgente e, ad eccezione del discepolo prediletto, non sanno cogliereil battito del cuore di Cristo.

    5. Amatevi come io vi ho amato (13,34-35; 15,9-17): l coman-data

    Ldi Ges per i suoi, dopo essersi configurata come ,diventa ora , comandamento. A due riprese il Ges giovanneodellUltima Cena parla in questi termini: in 13,34-35, in relazione con lalavanda dei piedi, lannuncio del tradimento e il tema della glorificazione,in 15,9-17 come conseguenza del discorso sulla vite e i tralci. I due branipossono essere abbinati perch, pur con sfumature differenti, sviluppanoil medesimo tema. In 13,34 si parla dell come comandamentonuovo ( ). Luso del termine (e non di )indica che non si tratta di unulteriore legge da giustapporre (o sovrapporre)alle gi molte che il popolo ebraico conosceva e osservava, ma richiamapiuttosto la terminologia deuteronomistica dellalleanza. Lintero episodiodellUltima Cena, anche nei sinottici, si sviluppa sotto questo segno, comedimostrano le parole di Ges sul vino quale sangue dellalleanza (Mc

    14,24; Mt 26,28) o nuova alleanza nel mio sangue (Lc 22,20). Questaultima espressione lucana si avvicina al passo giovanneo per il comuneuso dellaggettivo , che non solo fa da ponte tra i due Vangeli,ma richiama esplicitamente lalleanza nuova prospettata da Geremia(Ger 31,31-34) e finalmente giunta al suo compimento. Si pu dunqueconcludere che il comandamento nuovo di Gv 31,34 la stipulazionefondamentale della nuova alleanza di Lc 22,20.63

    62 Cfr. Rt 2,14: Poi, al momento del pasto, Booz le disse: Vieni, mangia il pane e intingi ilboccone nellaceto. Y. SIMOENS,Secondo Giovanni, pp. 768-771 utilizza il medesimo passo dellATper leggere lofferta dellaceto fatta a Ges sulla croce non come un atto di derisione, ma comelultima espressione di un dono fatto a un Ges ormai impossibilitato a qualunque movimento, ungesto di amore che rende possibile una sovrabbondanza di amore.

    63 Cfr. R. BROWN, Giovanni, II, pp. 734-737. G. ZEVINI, Vangelo secondo Giovanni, p. 122

    vede nellaggettivo nuovo anche la dimensione escatologica: lamore segno e caparra dei cielinuovi e della terra nuova perch la vera novit escatologica.

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    Con il termine nuovo levangelista non intende confrontarsi diret-tamente con la Legge del Levitico. Non c qui nessun accenno alleleggi date nel deserto, come invece possiamo trovare nei sinottici (cfr.l di Mc 12,28-31; l di Mt 22,36-39) ed quindi riduttivo vedere la novit portata da Ges semplicemente comeuna contrapposizione tra lamare il prossimo come se stessi di Lv19,18e lamare come io vi ho amati di Gv 13,34. La novit non sta nellamodalit dellamore, n nella sua intensit, ma nel suo fondamento, inquel come () che indica lorigine, la fonte, la causa, il comee nello stesso tempo il perch di questo nuovo rapporto che si instauratra i discepoli. Non si tratta tanto di imitare Ges, che rimane comunqueil modello della vita cristiana, ma di fondareil proprio amore nel suo, ditrovare in questo nuovo rapporto di alleanza, espresso dal dono della vita,la forza per un amore profondo e gratuito, quello stesso che Dio ha dimo-strato nei confronti delluomo e del mondo. Lamore che viene comandatonon infatti lo sforzo della volont umana, ma lultimo anello di unacascata di doni che parte dal Padre, viene vissuta dal Figlio e rimane neidiscepoli.64La traiettoria risulta chiara in 15,9: Come () il Padre

    ha amato me, cos anchio ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Ilvivere questo amore ha alcune conseguenze: porta la gioia (), frutto della presenza di Cristo e dello Spirito;una gioia che cresce, fino a diventare piena (15,11). Il tema della pie-nezza della gioia collegato alla venuta di Ges gi dal Battista (3,29), ma nellultimo discorso di addio che diventa centrale, soprattutto attraversolimmagine della donna che partorisce nel dolore, ma poi si rallegra perla nuova vita che nasce (16,21-24). Anche nella preghiera per i suoi Geschiede questa gioia piena (17,13), gioia che la sua, come anche in15,11, perch totalmente legata alla sua presenza e alla comunione conlui. Vivere nellamore reciproco il segno di riconoscimento dei cristiani:da questo tutti sapranno che siete miei discepoli (13,35). Lamore accolto

    fonda lidentit del discepolo () e lo costituisce quale amico(cfr. 15,13-15). La possibilit e la capacit di essere amici sonoquindi ancora una volta dono dellamore di Ges, che d la vita per i suoi(15,13), riconosce come amici coloro che osservano i suoi comandamenti(15,14), chiama amici e non servi coloro che ha scelto e a cui ha comu-nicato i misteri del Padre (15,15-16).65

    64 significativo a questo proposito luso del verbo per indicare il comandamentonuovo. Ges d un comandamento, cos come il Padre ha dato il Figlio e il Figlio d la sua vita.Luomo totalmente inserito nella dinamica del dono, per questo si potrebbe definire il comanda-mento dellamore come una rinnovata rivelazione dellamore del Padre: G. ZEVINI, Vangelo secondoGiovanni, p. 122. R. FABRIS, Giovanni, p. 818 parla a questo proposito della necessit di ricostruirela gerarchia teologale e cristologica dellamore e della sua attuazione. La corrente dellamore hala sua fonte nel Padre e si riversa sui discepoli tramite lamore di Ges.

    65 Il tema dellamicizia approda al Vangelo di Giovanni dal mondo greco-ellenistico, doverivestiva una grande importanza. Lautore riprende quindi un modo di pensare corrente e lo trascrive

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    In questi passi dunque ldiventa un comandamento, lsul quale i discepoli sono chiamati a confrontarsi. Le osservazionifatte finora ci portano per a concludere che pi che di un comandamentosi tratta di un dono. Non si pu comandare lamore se non dopo avernedonato ogni possibilit, se non dopo aver dato ci che si comanda. Lamoredel discepolo si configura come risposta e canale attraverso il quale lamore

    di Ges diventa concreto nella comunit riunita nel suo nome.66

    f. Ges si rivolge al Padre per i suoi (17,23-26): l pregata

    Il capitolo 17 del Vangelo di Giovanni riporta una lunga preghieraal Padre che Ges fa nel contesto dellUltima Cena. Essa consideratauno dei punti pi elevati67 dellintero Vangelo e non trova nulla diparagonabile nei sinottici.68

    In questo contesto non ci occupiamo dellintera preghiera, la cui esegesitrova ampio spazio in tutti i commentari, ma degli ultimi versetti (17,23-26), in cui emerge in maniera preponderante (5x) il tema dellamore. Essoentra massicciamente in questa parte conclusiva, quasi come spiegazione

    delle correnti tematiche che hanno attraversato lintera preghiera e arriva alsuo culmine nella solenne conclusione che riassume non solo lintenzioneimmediata dellorante, ma quasi lintera teologia giovannea.

    Il v.23 si apre con il tema dellunit, gi largamente presente nellaparte precedente (17,11.21.23). La prima novit sta nelluso dellespressione , che lega lunit con il verbo , dando altesto una rilevante valenza finale e presentando quindi la piena comunionein una cosa sola come il della sequela cristiana. In secondo luogotale unit diventa il segno visibile dellamore di Dio che si riversa sugliuomini come () si riversato sul Figlio. Lessere uniti il fruttoe insieme il segno dellamore del Padre, che avvolge nello stesso tempoGes e gli uomini.69

    Nel v.24 Ges si rivolge nuovamente al Padre, come aveva fatto nel-

    lesordio, ed esprime in maniera forte la sua volont. Il verbo voglio() indica che la preghiera ha lasciato il posto allespressione di una

    per interpretare la morte di Ges come suprema espressione e attuazione dellamore. Cfr. R. FABRIS,Giovanni, p. 819.

    66 Cfr. BENEDETTOXVI, Lettera Enciclica Deus Caritas est, 17: Egli per primo ci ha amatie continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con lamore. Dio non ciordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentareil suo amore e, da questo prima di Dio, pu come risposta spuntare lamore anche in noi.

    67 R. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, III, p. 267.68 Y. SIMOENS,Secondo Giovanni, pp. 649-651 considera il cap. 17 come la versione giovan-

    nea del Padre nostro e mette i temi affrontati in parallelo con la versione sinottica della preghieradi Ges. Ci sono indubbiamente alcune possibilit di contatto, ma lAutore stesso ammette che latrattazione giovannea presenta delle peculiarit che la rendono unica e inimitabile.

    69 Cfr. R. BROWN, Giovanni, II, p. 941: Il termine di paragone da levare il respiro, ma

    logico; poich i cristiani sono figli di Dio e dotati della vita che Ges ha dal Padre (6,57), Dio amaquesti figli come ama il Figlio suo. C solo un unico amore di Dio.

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    volont decisa, quella che porter i suoi a godere dei beni di cui lui gigode. Non si tratta di presunzione, ma di consapevolezza che la volont delFiglio anche quella del Padre (cfr. 5,30; 6,38). Non lultimo desideriodi un condannato a morte, ma laffermazione della volont permanentedel Ges vivente, tuttuno col Padre, di far partecipare gli uomini a quellacomunione di cui lui gi gode. Si tratta di una parola performativa, cheprodurr ci che dice, trascinando quasi con s i discepoli attraversola forza dellamore.70Si riprende quindi in questo contesto il tema dellagloria (), ampiamente presente nei versetti precedenti, ma solo quifondato, ricondotto alla sua vera origine: lamore del Padre per il Figlioprima della fondazione del mondo. Glorificare il Padre (cfr. 13,31-32)significa dunque manifestare in pienezza questo suo amore per il Figlio eper il mondo; la gloria proprio lirradiamento del suo amore che cercadi comunicarsi e che sta al fondamento dellessere.71

    Tutto il contenuto della preghiera sfocia infine nellultimo versetto(17,26): E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo far conoscere,perch lamore con il quale mi hai amato ( )sia in essi e io in loro. Lunit trova in questa espressione la sua pi

    alta definizione e soprattutto la sua vera fondazione; ora il nome di Dio chiaro: Dio amore che raduna in s il Figlio e gli uomini in una comu-nione perfetta e lamore davvero portato a compimento nei discepolidalla presenza stessa di Cristo in loro.72

    Lfonda la possibilit della preghiera e nello stesso tempo ne lobiettivo. Ges prega il Padre perch sa che la preghiera sgorga sol-tanto quando c un rapporto di amore, quando la propria volont desideraessere (nel caso di Ges effettivamente) tuttuno con quella di Dio. Lapreghiera che nasce da questamore preveniente ha come obiettivo proprioquello di trascinare gli uomini nello stesso rapporto damore, anche esoprattutto nel momento drammatico che sta per cominciare: quello dellapassione e della morte del Figlio.

    g. Ges muore in croce (19,28-30): l compiuta

    A partire dal capitolo 18 del Vangelo di Giovanni le parole lasciano ilposto ai fatti: Ges, che fino a questo momento ha spiegato il significatodi quello che gli sarebbe accaduto tra poco, va volontariamente e deci-

    70 Cfr. X. LON-DUFOUR, Lettura dellEvangelo, III,p. 395: Lavvenire celeste dei credenti assicurato da un voglio pronunciato con sovrana autorit. Alcuni esegeti non sono per daccordonel vedere in questa affermazione di Ges una volont particolarmente ferma e determinata, datalesistenza nella lingua greca di un secondo verbo, , che esprime in maniera rafforzativalespressione della volont.

    71 Ibidem, III, p. 399.72 Y. SIMOENS,Secondo Giovanni, pp. 545-549 fa del blocco di capitoli 13-17 la prima sezione

    della seconda parte del Vangelo di Giovanni, intitolandola: Il Figlio glorificato. Proprio la doppia

    menzione dellamore in 13,1 e 17,26 sarebbe il segno dellinclusione e determinerebbe una cesuratra i discorsi della cena e gli eventi drammatici che cominciano con 18,1.

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    samente incontro a coloro che sono venuti per arrestarlo e per ucciderlo.Il dramma continua poi davanti al sommo sacerdote e davanti a Pilato egiunge al suo vertice nelle scene del Golgota, quando Ges viene crocifissoe muore. Cambia il ritmo della narrazione, non pi discorsivo ma dramma-tico, cambia anche il vocabolario, scompaiono alcuni termini consideraticentrali nei capitoli 13-17, quali gloria e glorificare (-)

    e soprattutto il binomio amore-amare (-). Sembra cheil lungo discorso prolettico dellUltima Cena abbia gi fornito la lucenecessaria per comprendere gli eventi e che ora il lettore abbia in manotutti gli strumenti per comprendere qual la vera portata di quello che staper accadere. Dopo tutto ci che Ges ha detto e fatto tra i suoi quellasera, non c pi bisogno di ulteriori parole di spiegazione, ma solo di unatestimonianza che incarni quelle parole dette, le renda vere in pienezza eporti cos a compimento lefficacia salvifica che esse contengono.

    Anche se la parola scompare, non c alcun dubbio che, findai primi istanti, quella morte sia stata letta come lestremo gesto damore,la pi possente affermazione dellidentit di Ges come parola damore diDio per il mondo,73lespressione dellamore spinto sino alla fine,74ilvertice della manifestazione dellamore di Dio.75Levangelista Giovanniesprime questo concetto attraverso lultima parola pronunciata da Gessulla croce: , compiuto (19,30). Questo verbo, usato alperfetto per indicarne la portata permanente e vivificante, richiama allamemoria e presenta come adempiuto quello che abbiamo definito il titolodellintera seconda parte del Vangelo, cio lespressione li am sino allafine ( ) di 13,1. Questa sola parola finale del Crocifisso pudunque essere definita la chiave di volta di tutto il pensiero giovanneo 76proprio perch esprime, attraverso un passivo di comunione filiale,77 larealizzazione di quellamore sino alla fine che il Padre ha per il mondo eche il Figlio aveva indicato come lesito e il significato della sua venutatra gli uomini.

    Tutto questo getta luce sulla morte di Ges e la trasforma da ingiusta

    condanna a dono damore. Sulla croce Ges non dona pi qualcosa di s,ma dona se stesso, rende palese e compiuta la sua dimensione esistenzialedi proesistenza e, attraverso questo atto, si uniforma in pieno con la volonte lessere del Padre, che ama il mondo (3,16) perch lui, per primo, amore (1Gv 4,8).78Questa dimensione del dono apre a due considerazioni.

    73 D. SENIOR, La passione di Ges, p. 151.74 A. VANHOYE, Il sangue dellalleanza, p. 109.75 G. RAVASI, Il Vangelo di Giovanni, II, Bologna 1989, p. 60.76 Ibidem, p. 90. Cfr. anche Y. SIMOENS,Secondo Giovanni, p. 775: Questo lultimo verbo

    del Verbo, senza altro soggetto se non colui che lo proferisce: egli stesso. Questa vita, questa morte:questa persona, le sue relazioni e il suo mondo, tutto ci di cui ci parla il Vangelo secondo Giovannisi condensa in questa Parola che suggella lamore per sempre.

    77 R. V IGNOLO, La morte di Ges, p. 124.78 Cfr. S. ZAMBONI, Martirio e vita morale, in Rivista di teologia morale, 145 (2005), pp.

    53-70. Nella croce si ha il compimento della dedizione e di ogni servizio, dal momento che Gesnon pu offrire pi nulla se non se stesso. Il Figlio unigenito si dona: dunque non una elargizione

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    Un dono presuppone un ricevente, che lo accolga e ne tragga beneficio.Per questo il dono damore di Dio non fine a se stesso, una semplicedimostrazione didentit, ma ha come obiettivo quello di coinvolgereluomo nella comunione tra Padre e Figlio, di farlo entrare nel misterodel Dio-Agape.79 In secondo luogo un dono presuppone un costo, unaperdita da parte del donatore. Lamore per sua natura rinnegamentodi s per laltro; lamore portato allestremo diventa necessariamentedono dellintera vita, di tutto quello che si ha. La croce dunque lesitodellamore e anche se la descrizione giovannea sobria, priva di dettaglipenosi e certamente presentata come unintronizzazione e una vittoria, nonci sembra appropriato definire lultima scena del Golgota come un serenotrionfo e il come una pacata esclamazione di trionfo,80un grido di trionfo del re messianico sul trono della croce,81magari incontrapposizione con i toni di sconfitta dei sinottici. Pi che di trionfoci sembra appropriato parlare di vittoria, o meglio ancora di approdo,di , per non tradire lespressione giovannea. Laffermazione io hovinto il mondo (16,33) non pu essere in contraddizione con lamore peril mondo di 3,16 e non pu essere quindi considerata come un trionfo che

    opprime un realt che viene invece amata e redenta.82

    Ancor meno sem-brano adatti gli aggettivi sereno e pacato. Ges sta soffrendo fino allamorte e come la sua anima era stata turbata al pensiero di questa offertasuprema (cfr. 12,27; 13,21), cos il suo corpo ne viene straziato. Ges ne consapevole ed certo di questo dono volontario; il grido della crocenon un sospiro di sollievo n un evviva di trionfo, ma laccettazionedecisa e amante, lamen davanti al dono costoso della vita, nella consa-pevolezza che il compimento avviene per mezzo e dentro la fine.

    La modalit con cui Giovanni anticipa e presenta la passione e lamorte in croce di Ges ci mostra quello che si potrebbe definire il para-

    estrinseca di un bene, per quanto prezioso, ma il dare se stesso in dono, nella totalit del suo essere in questo dar-si mostra che la dignit e la consistenza della sua persona in questa radicale dispo-

    sizione di dono (pp. 56-57).79 A. GRN, Ges, porta della vita. Il Vangelo di Giovanni, trad. it., Brescia 2003, p. 164ricorda che la parola anche la formula conclusiva nei culti dei misteri. Sulla croceGes ha introdotto gli uomini nel mistero dellamore divino. L sulla croce egli ha reso gli uomini,fino ad allora incapaci damore, nuovamente capaci di amare. Cfr. S. Z AMBONI, Martirio e vitamorale, p. 56: Il dono obbediente del Figlio non chiude semplicemente la partita, ma per cosdire dono donante, in perenne giovinezza. Questa morte, in altri termini, morte feconda, perch ilcompimento non archivia un compito scrupolosamente assolto, ma apertura ulteriore, dono totale,introduzione inaudita al mistero di intimit filiale di Ges.

    80 M. LACONI, La morte di Ges nel quarto Vangelo (Gv 19,17-37), in A.B.I., Ges e la suamorte. Atti della XXVII Settimana Biblica, Brescia 1984, pp. 97-98.

    81 I. DE LA POTTERIE, Il mistero del cuore trafitto, p. 108.82 Neppure si pu pensare a una vittoria sul mondo come a un estraniarsi da esso e ad un

    Ges come un esempio della forza interiore che un uomo pu possedere e sviluppare, per opporsia tutto un mondo pieno di ostilit e brutalit La vittoria che Ges ha conseguito sulla croce nonha niente in comune con la vittoria di Budda che entra nel nirvana. Ges ha bens vinto il mondooffrendosi interamente alla volont del Padre; ma questa vittoria sul mondo non si realizza in un

    distacco radicale da esso, bens in un radicale amore per esso: U. W ILCKENS, Il Vangelo secondoGiovanni, pp. 374-375.

  • 7/26/2019 Chiara Curzel 271-303 CUORE

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    297Il compimento dellamore come chiave di lettura della Pasqua di Ges

    dosso della teologia giovannea e cio linterpretazione assolutamentesingolare che il Quarto Evangelista d di quegli eventi. Giovanni collocala passione e la morte di Ges al vertice della sua teologia non perch diaunimportanza minore allevento della risurrezione, ma perch la gloria diGes emana gi direttamente dalla passione e dalla morte; lora contienemorte e vita in ununit inscindibile e quello che avverr nella risurrezione

    misteriosamente gi avviene, senza distanza cronologica, nella morte.83Perquesto Ges parla del destino che lo attende come di unesaltazione, unessere innalzato (; 3,14; 8,28; 12,32.34, cfr. 18,32); essereglorificato (; 12,23.28; 13,31.32; 17,1.5), includendo in questitermini non solo la sua morte, ma anche la vittoria sulla morte stessa.

    Dire che Ges glorificato significa dire che egli soffre, muore erisorge in un unico e medesimo atto, perch questo in grado di fare ogniautentica esperienza damore: il dono e la rinuncia di s contengono laforza di rinascita per laltro. Ges ha portato a compimento lamore e loha espresso con consapevolezza; da lui sgorgheranno lacqua e il sangue,segni della nuova vita e in lui che reclina il capo e dona lo Spirito gipresente la Vita nuova che il Padre gli dona come primizia di unumanitrisorta.84

    h. La Maddalena e Pietro (20,11-18; 21,15-19): l accolta

    Abbiamo appena evidenziato come il Vangelo di Giovanni presuppongalinscindibilit dellora e come ci che negli altri sinottici espressoattraverso lespressione risorto ( cfr. Mt 28,6.7, Mc 16,6; Lc24,6) avvenga gi misteriosamente ma realmente nella passione e nellamorte. Ges stesso non aveva mai parlato dellesito della sua esperienzaterrena come risurrezione, sostituendo questa parola con esaltazione,glorificazione, passare da questo mondo al Padre, salire al Padre,ritornare, tutte espressioni che comprendono entrambi i momenti dellapassione e della gloria. Sulla croce gi tutto compiuto e si comprende

    dunque perch la resurrezione non trova facilmente una collocazione nellateologia giovannea.85Dal punto di vista teologico e cristologico, quello che doveva avve-

    nire gi avvenuto, l si compiuta e manifestata in pienezza e,condotta al suo fine, ha realizzato la vittoria sulla morte. Ma dal puntodi vista ecclesiale tutto deve ancora avvenire, solo il discepolo sotto lacroce ha visto e ha testimoniato (19,35), mentre gli altri si sono dispersi. necessario quindi che il Risorto appaia ai suoi, si manifesti a loro nel

    83 Cfr. M. LACONI, La morte di Ges, p. 110.84 Cfr. G. RAVASI,Il Vangelo di Giovanni, p. 103: Sul piano della cronaca tutto sta per finire

    Sul piano del mistero, Ges sa che ormai tutte le cose stanno per arrivare a pienezza; che la paroladi Dio sta per giungere al suono pi alto e mirabile, per cui le parole che pronunzia non significanotutto finito, ma tutto compiuto in pienezza. Nella filigrana degli eventi nor