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TRENI MILITARI VIE DI COMUNICAZIONI E TRASPORTI DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE . Treni Militari Armati. La storia dei treni armati comincia con la Prima Guerra Mondiale e con essa comincia pure quella dei treni ospedale. Paradossalmente, la staticità delle linee di fronte, che contraddistinse il primo conflitto mondiale e lo trasformò in una lunga guerra di logoramento, fu in gran parte da attribuire proprio all’enorme sviluppo dei trasporti terrestri per effetto della meccanizzazione. Grazie alle autocolonne, e soprattutto al treno, la velocità di afflusso delle riserve strategiche divenne infatti nettamente superiore alla rapidità di progressione delle forze combattenti, che potevano muoversi solo a piedi e, al massimo, a cavallo. Così, le penetrazioni nelle linee nemiche (già rese difficili dalla prevalenza del binomio difensivo mitragliatrice/trincea su quello offensivo artiglieria/assaltatore) venivano subito arrestate e le posizioni

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TRENI MILITARI VIE DI COMUNICAZIONI E TRASPORTI DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE .

Treni Militari Armati.

La storia dei treni armati comincia con la Prima Guerra Mondiale e con essa comincia pure quella dei treni ospedale. Paradossalmente, la staticità delle linee di fronte, che contraddistinse il primo conflitto mondiale e lo trasformò in una lunga guerra di logoramento, fu in gran parte da attribuire proprio all’enorme sviluppo dei trasporti terrestri per effetto della meccanizzazione. Grazie alle autocolonne, e soprattutto al treno, la velocità di afflusso delle riserve strategiche divenne infatti nettamente superiore alla rapidità di progressione delle forze combattenti, che potevano muoversi solo a piedi e, al massimo, a cavallo. Così, le penetrazioni nelle linee nemiche (già rese difficili dalla prevalenza del binomio difensivo mitragliatrice/trincea su quello offensivo artiglieria/assaltatore) venivano subito arrestate e le posizioni si consolidavano nuovamente. Il grande protagonista di questa nuova mobilità, il treno, veniva usato prevalentemente per i grandi trasporti strategici e logistici, cioè per trasferire soldati, quadrupedi, generi vari e munizioni, in grandi quantità e su lunghe distanze. Le “tradotte” militari erano di solito formate da vagoni ferroviari chiusi a pavimento libero, atti al trasporto di persone e animali (<<cavalli 8, uomini 40>> dicevano le scritte) oppure di materiali vari, ma talora erano attrezzate in modo speciale – con vagoni blindati o armati – per la difesa contro i sabotatori. Vennero però impiegati anche veri e propri treni armati, come quelli della Marina italiana (muniti di artiglierie da 76 mm e 152 mm) che operarono lungo il tratto di costa tra il Canale d’Otranto e Ravenna e che costituirono un’efficace difesa litoranea mobile. Il Regio Esercito si interessò a questo tipo di armi solo dopo aver ricevuto

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in prestito, dall'esercito francese, alcuni cannoni ferroviari da 340/45. Avendo avuto l'opportunità di constatarne l'efficacia in azione, si decise di incaricare l'Ansaldo di progettare un affusto ferroviario per installarvi un cannone di grande potenza. I pezzi prescelti per l'installazione furono i 381/40 Mod. 1914 che la ditta stessa aveva allestito per le navi da battaglia classe "Francesco Caracciolo", la cui costruzione era stata sospesa all'inizio delle ostilità. Il primo di questi cannoni venne approntato all'inizio del 1917

Sul fronte orientale, anche l’esercito utilizzò treni armati con pezzi da 152/40 mm per bombardare le zone operative nemiche del Carso Triestino. I treni sanitari e ospedale contribuivano intanto allo sgombero di migliaia di feriti e ammalati. Infatti, dal 1915 il Regio Esercito impiegò sul fronte del Carso alcune batterie armate di cannoni di origine navale 152/40 installati a coppie su pianali ferroviari, poste alle dipendenze dello Stato Maggiore del R.E. basate a Monfalcone. Anche il nostro nemico aveva i suoi treni armati forte dell’esperienza di un anno di guerra in Russia. L’Imperial regio esercito o (KuK) austro ungarico schierava 10 treni corazzati dalla composizione similare alla nostra ma con calibri adatti a un combattimento di terra (artiglieria di marina a tiro rapido L.30 da 7 cm, L.33 da 4,7 cm e mitragliatrici Schwarzlose cal. 8 mm). Completava la sezione un vagone staffetta con materiale da massicciata per le riparazioni di circostanza. Con la nostra entrata in guerra due di questi treni vennero dirottati sul fronte Trentino (ferrovie delle valli) e Isontino (Transalpina e Meridionale). I cannoni di terra e fortezza avevano appena cessato di battere la prima ondata d’attacco quando il 9 giugno 1915 durante le nostre operazioni di forzamento dell’Isonzo a Plava (ponte del genio) intervenne il treno corazzato n. 2. del tenente Bernhard Scheichelbauer. Il forzamento di Plava attuato con un ponte girevole galleggiante (rilasciato da sponda non una passerella) necessitava di una squadra sulla riva opposta per l’ancoraggio e questa venne trovata negli uomini del 38º fanteria Ravenna. Per contrastare questa impresa il comando austro-ungarico decise di ricorrere al treno corazzato a disposizione che lasciò nottetempo la stazione di Prvacina (a sud di Gorizia) risalendo l’Isonzo. L’interruzione della linea, predisposta dagli italiani, venne riparata e alle prime luci del 10 lanciato su genieri e fanti in riva al fiume. L’azione fulminea richiedeva un immediato dietro front prima di essere intercettato dai cannoni italiani. Ripararsi in una delle numerose gallerie era una soluzione non definitiva. Ci riprovarono, ma l’interruzione dei binari questa volta era una voragine e un cannone vigilava. Nella 2^ guerra mondiale, quando l‟avvento del carro e dell‟aereo consentì un incremento della mobilità tattico-operativa sufficiente per un ritorno al combattimento manovrato, ai treni rimase il compito dei grandi trasporti strategici e dello sgombero dei feriti e/o malati con i treni ospedale. I movimenti ferroviari potevano però svolgersi quasi soltanto nella Zona Territoriale, a causa dell‟incombere della minaccia aerea e quindi della possibilità di essere colpiti, dall‟alto, anche in profondità dietro le linee amiche. L‟evoluzione tecnologica delle armi moderne, per le quali le linee e le installazioni fisse della ferrovia sono divenute facili bersagli, relega ormai il treno – sempre di più – a compiti prevalentemente logistici nelle retrovie.

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Treno armato con carri serie Poz della 101° batteria d‟assedio con pezzi da 152/40 a Monfalcone nel 1917. (archivio genio ferrovieri)

VIE DI COMUNICAZIONE E TRASPORTI

Vediamo la situazione delle vie di comunicazione di terra ,aria e acqua alla vigilia e poi durante la Prima Guerra Mondiale .

Per quanto riguarda le STRADE , che seguivano – come in gran parte ancora oggi – gli antichi tracciati romani, vigeva l’ art.11 della legge del 20 marzo 1865 (abolito poi nel 1928), in cui si stabiliva che non poteva esserci strada nazionale tra due punti di territorio italiano collegati da una linea ferroviaria , fatta eccezione per i tronchi appenninici e alpi. Del resto non era ancora diffusa la pratica dell’ asfaltatura per cui la polvere d’estate e il fango d’inverno rendevano disagevole l’utilizzo delle strade. Per tale ragione su molte di esse vennero posati dei binari venendo a costruire delle TRANVIE urbane o extraurbane su cui si muovevano mezzi meccanizzati (come piccoli treni ) a trazione a vapore o elettrica .

Per quanto detto durante Prima Guerra Mondiale le strade venivano utilizzate nei tratti terminali di accesso alle zone di battaglia, mentre sulle lunghe distanze del territorio nazionale veniva utilizzato il treno .Il trasporto su strade di ciò che era necessario alle forze combattenti (munizioni, artiglierie e vettovagliamento ) avveniva utilizzando autocarri dotati di motore a scoppio, invenzione risalente ad alcuni anni prima a cui il Conflitto fornì un significativo impulso che avrebbe dato successivamente origine alla motorizzazione di massa .

Attraverso gli impervi tracciati alpini per rifornire i reparti in alta montagna venivano utilizzati animali da traino o da trasporto , tra cui in particolare il mulo , da cui il nome mulattiere dato ai

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difficili sentieri di montagna .Tra i veicoli motorizzati terrestri per uso bellico nel Primo Conflitto Mondiale fecero la loro comparsa i carri armati, impiegati per la prima volta dagli inglesi il 15 settembre del 1916 durante l’offensiva della Somme; all’epoca l’utilizzo del carro armato non ebbe gran sviluppo, sia perché ancora tecnologicamente imperfetto (ad esempio era privo di torretta con cannone girevole ),sia perché non era stato ancor ben valutato l’impiego tattico :veniva infatti ancora concepito come supporto meccanizzato della fanteria anziché come mezzo da usare in autonomia per lo sfondamento delle linee nemiche .

Come anticipato ,per il trasporto di uomini , armamenti e viveri per le operazioni al fronte , sulle grandi distanze venivano utilizzate le FERROVIE.

Poco prima della guerra ,il 1° luglio 1905 vennero istituite le Ferrovie dello Stato(FS) che assunsero l’esercizio diretto di circa 13.000km di linee ferroviarie (di cui circa 2.000 a doppio binario ), precedentemente gestite da varie società private (a titolo di confronto si pensi che oggi l’estensione della rete FS è di circa 16700km)e delle navi traghetto con la Sicilia .La nazionalizzazione della ferrovia dette impulso all’industria del settore ,basti pensare che in quegli anni la trazione a vapore cominciò ad essere impiegata – tra l’altro – sulla linea del Sempione ,aperta nel 1906, importante via di comunicazione verso la Svizzera e il centro Europa.

Allo scoppio della guerra le FS furono mobilitate e affiancarono al loro ruolo principale di trasporto di truppe, quello di supporto mobile di artiglieria e di ospedali da campo .La situazione che le FS dovettero affrontare , a pochi anni dalla loro nascita e proprio all’ inizio del loro sviluppo ,non fu facile ,sia dal punto di vista infrastrutturale che del materiale rotabile .Per quanto riguarda le linee, le litoranea era esposta all’azione nemiche e quindi era poco adatta al trasporto di uomini e mezzi nella zona delle operazioni militari, concentrate nel Nord Est dell’Italia .Di conseguenza tale afflusso avveniva attraverso le linee di valico Faentina, Porrettana, Pontremolese e il passo dei Giovi (quest’ultimo era elettrificato).I transiti appenninici creavano una penalizzazione al traffico perché servivano locomotive potenti, spesso in doppia o tripla trazione e comunque marcianti a velocità ridotta. Passato l’Appennino l’ inoltro al fronte avveniva attraverso la direttrice Milano-Verona-Treviso-Udine-Portogruaro anche attraverso Pavia-Monselice-Padova-Mestre .

La maggior parte di queste linee era a semplice binario con una scarsa potenzialità di traffico: complessivamente potevano arrivare solo 65-70 treni al giorno fino al Tagliamento e 40 treni al giorno da questo alla frontiera .Essendo per tale motivo impossibile poter concentrare velocemente le truppe sui confini orientali ,lo si fece lentamente e in maniera occulta incominciando i primi di Febbraio 1915 ,alcuni mesi prima dell’ entrata in guerra .Anche la disponibilità di materiale rotabile (locomotive e carrozze) era difficoltoso perché molte industri ferroviarie e officine furono riconvertite alla produzione di materiale bellico; anche le navi traghetto della FS divennero posa mine e incrociatori ausiliari a tre di esse andarono perse .

Per quanto riguarda il materiale rotabile, ad opera del Genio Ferrovieri (corpo specializzato dell’ Esercito Italiano ,tuttora esistente) venne recuperato tutto quello che poteva tornare utile ,anche se antiquato o bisognoso di revisione :punto debole fu proprio la limitazione del parco veicoli e in particolare di locomotive ,aggravata sia dalla scarsità di manodopera a causa della mobilitazione sia

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dalla necessità di provvedere prioritariamente alle esigenze dell’ industria belliche .Si dovette così ricorrere agli Stati Uniti per la forniture di nuove locomotive , le famose vaportiere del gruppo 735.

Un altro problema era costituito dalla difficolta di rifornimento di carbone per le locomotive: venne a mancare ovviamente il carbone tedesco ed essendo difficoltoso l’approvvigionamento in Inghilterra, dapprima si ricorse al carbone Americano successivamente a quello Francese ad un centinaio di chilometri oltre Ventimiglia, per andare ad effettuare rifornimento di carbone .In ogni caso l’attività di trasporto di uomini, viveri, munizioni, quadrupedi, cannoni, fu intensa e costante e ci si rese conto anche che si doveva provvedere all’esecuzioni di quei lavoro indispensabili per rendere la rete in grado da sopportare l’enorme mole di traffico militare .Nei primi due anni di guerra vennero costruiti 160km di nuove linee (saranno 1200alla fine) mentre altre furono ultimate o elettrificate .

Dall’Esercito e dalla Marina in vari fronti e per la difesa delle coste vennero impiegati i così detti treni armati ,generalmente formati da una o due locomotive e da cinque a otto carri, alcuni dotati di cannoni e altri di portamunizioni .il binario di tiro era nascosto e il convoglio completamente mimetizzato , in modo da rendere difficile l’individuazione da parte del nemico .Le FS misero molte carrozze a disposizione della Croce Rossa Italiana e del Sovrano Militare di Malta per realizzare i così detti “treni ospedale” per il trasporto di soldati ammalati o feriti .in totale vennero allestiti in circa ottanta convogli. Si potrebbero citare molti eventi della Prima Guerra Mondiale in cui hanno giocato un ruolo fondamentale le Ferrovie. .A suggello di questa nostra dolorosa pagina di storia e dell’ importanza assunta nella stessa dal trasporto su rotaie ,si ricorda che proprio in treno ,a conflitto concluso, venne trasportato da Aquileia a Roma feretro del Milite Ignoto ,che riposa ancor oggi nel Vittoriano .

A poco più di 10 anni dai primi timidi voli dei fratelli Wright (1903), durante la Prima Guerra Mondiale ebbe un certo sviluppo il trasporto aereo, con i primi velivoli militari. Sebbene lenti e vulnerabili, erano insuperabili nel compito di ricognizione: muniti di apparecchi fotografici, potevano sorvolare il nemico e comunicare la sua posizione con messaggi via radio. Successivamente, per contrastare i ricognitori, nacquero i caccia dotati di mitragliatrici. La fragilità delle strutture (tutte in legno, tela e funicelle d’acciaio)spiega l’enorme numero di incidenti, spesso anche mortali. “Cavalieri del cielo” furono definiti i più coraggiosi piloti, fra cui ricordiamo il tedesco Manfred von Richthofen detto il “Barone Rosso” e l’italiano Francesco Baracca.

Si realizzò anche la costruzione dei bombardieri, aerei in grado di percorrere lunghe distanze senza atterrare e di portare alcune centinaia di chili di bombe da poter sganciare direttamente sugli obiettivi individuati senza dover attendere l’intervento dell’artiglieria. Furono la Russia e l’Italia le prime nazioni che si interessarono a questo tipo di velivoli e fu proprio l’Italia a realizzare i migliori bombardieri di tutta la guerra.

Gli aerei dell’epoca non avevano la possibilità di coprire lunghe distanze: sarebbero state effettuate solo diversi anni più tardi la traversata dell’Atlantico di Lindbergh dall’America all’Europa (1927) e la traversata sulla rotta inversa di Italo Balbo (1933).

Durante la Grande Guerra l’Esercito e la Marina tedesca possedevano delle macchine volanti per il bombardamento a lungo raggio: i dirigibili della nota fabbrica Zeppelin. Erano mezzi molto silenziosi, anche per questo adatti per le incursioni, utilizzati dalla Germania per compiere degli

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attacchi su Londra e dintorni nel 1916. Realizzati in legno o alluminio, contenevano idrogeno gassoso che li rendeva facilmente infiammabili.- In Italia i dirigibili vennero impiegati con compiti di scorta e di avvistamento a sostegno delle navi della Marina, in particolare nel Mare Adriatico.

Negli anni immediatamente precedenti la Prima Guerra Mondiale il trasporto navale marittimo era l’unico che consentiva di coprire lunghe distanze intercontinentali. Gli esempi più significativi sono sia i bastimenti di emigranti che da varie regioni d’Italia raggiungevano le Americhe, sia i lussuosi transatlantici concepiti per il turismo dei più abbienti. Questi ultimi invero erano ancora affetti da una certa immaturità tecnologica causa di incidenti anche gravi: si pensi ad esempio alla tragedia del “Titanic” del 1912. Anche l’Italia ebbe il suo “Titanic”: si trattò del piroscafo “Principessa Mafalda”, dall’allestimento molto lussuoso, impiegato per le traversate da Genova a Buenos Aires e New York e utilizzato da grandi personalità, tra cui Guglielmo Marconi che a bordo dello stesso effettuò i primi esperimenti radiofonici. Nel 1915 la nave venne requisita dalla Regia Marina che la utilizzò per operazioni militari. Tornò all’utilizzo commerciale dopo il conflitto e naufragò nell’ ottobre del 1927 al largo di Buenos Aires col suo carico di monete d’oro (dono del governo italiano a quello argentino per l’accoglienza riservata da quest’ultimo agli emigranti italiani) per un valore complessivo di 250.000 lire dell’epoca che giacerebbero tutt’ora in fondo al mare.

Dal punto di vista tecnico, il periodo precedente la Prima Guerra Mondiale aveva portato già molto avanti il processo di sostituzione del vapore alla vela, iniziatosi nel secolo XIX. Nel 1913 il naviglio velico era sceso all’8% del totale del tonnellaggio mondiale, per poi divenire circa il 2% al termine del conflitto,

Il Novecento si era presentato con l’introduzione della turbina nella propulsione navale. Il primo decennio del secolo portò con sé l’introduzione del motore diesel e l’ avvio di un confronto, tuttora in atto, fra diesel e turbina.

Nel 1914 quasi tutte le Marine Militari schierarono dei sottomarini, considerati adatti a compiti di ricognizione e ad infiltrarsi nei porti avversari. Spinto da motori diesel in superficie e da motori elettrici in immersione, il sottomarino ha nel siluro la sua arma principale; essendo però lento, l’obiettivo principale erano i mercantili.

In Italia si mise a punto un motoscafo veloce e ben armato con due siluri, bombe di profondità e una mitragliatrice o un cannoncino, destinato alla caccia dei sommergibili: il MAS (Motobarca Armata Silurante o Motoscafo Anti Sommergibile). Le caratteristiche principali erano il basso pescaggio e la sagoma sfuggente. Fra il 1916 e il 1918 entrarono in servizio 244 motoscafi armati dislocati in nove basi.

Il successo più famoso dei MAS fu l’affondamento della corazzata Szent Istvàn (Santo Stefano), appartenente alla flotta Austriaca, all’alba del 10 giugno 1918 da parte dell’unità MAS comandata da Luigi Rizzo. La perdita della corazzata costituì un grave colpo al morale degli Austro-Ungarici, e non è azzardato dire che i siluri di quel MAS “affondarono” anche le speranze residue dell’Impero Asburgico.