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1 Training Mentale Base - Lorenzo Manfredini Lorenzo Manfredini Training Mentale Base Lorenzo Manfredini TRAINING MENTALE BASE

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per una preparazione completa

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Training Mentale Base - Lorenzo Manfredini

Lorenzo Manfredini

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Lorenzo Manfredini

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Proprietà letteraria riservata

Lorenzo Manfredini Via Ariosto, 17 44100 FERRARA

Tel/Fax 0532/211947 E-mail: [email protected]

Web Page: www.manfredinilorenzo.it www.associazioneolos.COM

Marzo 2002

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INDICE CAPITOLO 1 TRAINING MENTALE: INTRODUZIONE LA PSICOLOGIA ATTUALE DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ L’AFFATICAMENTO PSICOLOGICO DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ CAPITOLO2 CENNI SU ALCUNI MODELLI DI PSICOTERAPIA IL VALORE DELL’INDIVIDUO ENERGIA E COMUNICAZIONE CAPITOLO 3 ENERGIA E COMUNICAZIONE CONCENTRAZIONE E RILASSAMENTO CAPITOO 4 CHE COSA E' IL TRAINING MENTALE? CROMOTERAPIA DALLA VEGLIA AL SONNO: ONDE ALFA CAPITOLO 5 UNA SINTESI DI MENTE E DI CORPO SCELTA E LIBERTA’ CRESCITA E SALUTE ABBIAMO PROBLEMI PSICOLOGICI O NO? BENESSERE E AUTOGUARIGIONE ACCETTAZIONE IL MUTAMENTO INTERIORE ILLUSIONI LEGAMI LIBERTA' CAPITOLO 6 PRATICA: RICORDARE ESPERIENZE POSITIVE LE FASI DELLE VISUALIZZAZIONI COME MODIFICARE LE CONVINZIONI RILASSAMENTO TOTALE MESSAGGI DAL CORPO BENEFICI DEL RILASSAMENTO DIALOGO CON IL CORPO CAPITOLO 7 SVILUPPIAMO LA CREATIVITA'

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PROGETTO CREATIVITA’ DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ CAPITOLO 8 CONDIZIONAMENTI E MEDIAZIONI CONVINZIONI E LIMITI INTERIORI CAPITOLO 9 IMMAGINAZIONE E VISUALIZZAZIONE AFFERMAZIONE E AUTOIMMAGINE ATTEGGIAMENTO MENTALE POSITIVO IL POTERE DI SOGNARE DIALOGO INTERIORE CAPITOLO 10 SINTOMI: MAL DI TESTA E CEFALEA UN ALTRO PUNTO DI VISTA SUL "GUARIRE" CAPITOLO 11 IL CONTROLLO DELLE ABITUDINI RISTRUTTURAZIONE CAPITOLO 12 SI CAMBIA QUANDO C’E’ AMORE DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ CAPITOO 13 LE DIETE LE ABBUFFATE E IL CAMBIAMENTO QUESTIONARIO DOMANDE LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ CAPITOLO 14 CAMPI DI APPLICAZIONE DEL TRAINING MENTALE TRAINING MENTALE E OSTETRICIA TRAINING MENTALE E RELAZIONE DI COPPIA TRAINING MENTALE ED EDUCAZIONE DEI FIGLI TRAINING MENTALE E SCUOLA TRAINING MENTALE E LAVORO LA PSICOLOGIA NELLE ORGANIZZAZIONI TRAINING MENTALE E LA TERZA ETA' UN PROGRAMMA POSITIVO CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

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CAPITOLO 1 PREMESSA Nel cominciare questo libro comincio con una serie di interrogativi che mi hanno sempre incuriosito e affascinato: “Saremo in grado di capire a cosa siamo così affezzionati da rendere difficile se non impossibile il nostro rapporto con ciò che potrebbe cambiare la nostra vita in senso materiale e interiore: le risorse dell’uomo, la sua mente, la sua creatività, i suoi misteri? Riusciremo a sfruttare meglio le nostre potenzialità grazie alle conoscenze acquisite attraverso gli studi che l’uomo ha affrontato per diventare migliore?” A questi interrogativi cercherò di dare qualche risposta pratica senza nascordermi le difficoltà della messa in pratica di questo metodo. Siamo molto affezionati alle nostre abitudini e al nostro autocontrollo, ma non dobbiamo dimenticare che sintetizzare tra loro i nostri processi naturali e quelli acquisiti determina il processo naturale dello sviluppo dell’educazione e della consapevolezza. Ciò che fa la differenza tra le persone oggi è la formazione intesa come la capacità di utilizzare strumenti personali sempre più adatti per l’attivazione di nuove risorse. Ci si può formare per caso, con l’aiuto di circostanze favorevoli che amplificano le potenzialità individuali o ci si può formare attraverso un progetto consapevole. Soprattutto è necessario scegliere quelle circostanze che ci richiedono di pensare al futuro, all’auto-realizzazione, all’amore, al lavoro con intenzionalità; non per caso o per circostanze favorevoli, ma per scelta. Ciò richiede l’impiego di mezzi ed esercizi precisi per sviluppare la sensibilità corporea, il pensiero, la percezione, i sentimenti. Se abbiamo uno scopo, se abbiamo la volontà di

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pensare come uomini e non come macchine, se vogliamo formarci e crescere, esistono degli strumenti con i quali possiamo cominciare ad esercitarci. TRAINING MENTALE L’allenamento è un aspetto della vita moderna. Oggi ci si allena ovunque: nell’allenamento sportivo, nel training autogeno, nell’allenamento dell’intelligenza e della creatività (l’esercitarsi a un ‘superamento pro-duttivo di compiti nuovi’). Il Training Mentale riguarda l’esercizio sistematico di un tempo e uno spazio dedicato alla formazione di se stessi. L’esercizio e l’allenamento sono processi che appar-tengono alle funzioni superiori dell’apprendimento; apprendere significa acquisire nuovi modelli di com-portamento, amalgamandoli con quelli innati e già acquisiti. Per apprendere è necessaria l’attenzione e la memo-ria. La memoria è facilitata se ci ricordiamo delle impres-sioni, delle somiglianze, dei contrasti, delle vicinanze spaziali e temporali, che interessano i nostri sensi. Così come è importante la durata di uno stimolo, la sua vivacità, la frequenza delle sue ripetizioni, e qui parliamo di quel mondo che si sviluppa in meta pro-grammi, modalità e sub-modalità che rappresentano gli aspetti più intimi dell’attività mentale, è importan-te lo stato d’animo, le condizioni fisiche, le abitudini di vita di chi esercita la sua mente nel mondo. Esercitare le proprie capacità significa operare su concetti e idee, ma soprattutto su immagini che pro-vengono da tutte le aree sensoriali. Qual è il vantaggio di applicare questo metodo nella

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vita di ogni individuo? Un primo vantaggio riguarda la possibilità di associare liberamente idee e immagini, pensieri ed emozioni; di vivere uno stato di contemplazione e di fare esperien-za di sé. Se pensiamo che l’apprendimento è un processo con-dizionato basato su riflessi (cibo-acquolina in bocca) e ricompense (prova ed errore, piacere e punizione) molto importante è esercitarsi a piccoli stadi e a brevi intervalli di tempo senza sovraccaricare l’attenzione. Tale è l’esercizio mentale perché permette di modifi-care abitudini, stati d’animo e pensieri attraverso rin-forzi positivi, quelli che oggi definiamo con il nome di azioni mentali positive (riconoscimento, interesse, approvazione, accettazione dei propri processi inte-riori; invece di critica, difese emotive, reazioni), di aspettative anticipatorie (formazione di intenzioni e mete da raggiungere), di insight (presa di coscien-za) e di intenzioni (desiderio di cambiamento e mo-tivazione). L’esercizio mentale allena e promuove la consapevo-lezza di pensieri, stati d’animo, percezioni, sensazio-ni, movimenti implicati in ogni momento della vita. Se diventiamo consapevoli delle nostre abitudini pos-siamo modificare coscientemente i nostri comporta-menti, possiamo osservarci mentalmente e riflettere o selezionare nuove azioni più adatte alla nostra na-tura individuale. Tramite la ripetizione sistematica di alcuni esercizi mentali e corporei si sommano i rinforzi dei singoli atti di apprendimento migliorando la concentrazione e la meditazione. Le tecniche del Training Mentale riguardano: il respiro (consapevole, diaframmatico, circolare, frazionato) il rilassamento (attivo e ricettivo)

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il dialogo interno l’autoimmagine l’automiglioramento la modificazione di frames di abitudini il controllo del dolore la visualizzazione le fantasie guidate Ognuna di queste tecniche segue il principio che ogni passo deve essere compiuto nel ‘ricordare, ripetere e rielaborare’. Gli effetti del Training, cioè di un esercizio ripetuto, sono i seguenti: la percezione di una frase o di una immagine, che all’inizio della pratica è in genere blanda, con l’esercizio diventa sempre più intensa ed efficace. Attraverso la ripetizione diminuisce il tempo per la trasformazione. Di conseguenza è più difficile essere disturbati, sia da stimoli esterni, sia dai propri pensieri e immagini. Ci si concentra meglio. Ci si può concentrare anche in condizioni difficili, co-me in pre-gara o in una pausa di lavoro. Il tutto si automatizza e l’apprendimento conduce allo svolgimento autonomo di un atteggiamento rilassato. Nello specifico delle tecniche di rilassamento cala la tensione psicologica, quella muscolare e quella vege-tativa. In generale, l’esercizio mentale ha per scopo la risco-perta di capacità che sono andate perse o non si sono adeguatamente sviluppate. Le applicazioni del Training Mentale sono molteplici. Applicazioni eccellenti le ho sintetizzate attraverso esperienze in diverse discipline sportive (Apnea Su-bacquea, Volo a Vela, Karate, Atletica Leggera, Judo), nell’ambito del lavoro e delle discipline artistiche. Per queste rimando ai testi dedicati di Training Men-

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tale e Apnea Consapevole (www.associazioneolos.it e www.apneaconsapevole.it ) L'argomento del presente lavoro riguarda lo sviluppo personale con la presentazione di alcune forme di approccio psicoterapeutico, le tecniche di rilassa-mento di training mentale e alcune applicazioni di esso nell'ambito della salute, dello sport, del lavoro, della formazione professionale. Lorenzo Manfredini

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INTRODUZIONE Lo scopo di questo libro è quello di mettere a fuoco gli strumenti per ridurre la tensione, il nervosismo, lo stress e raggiungere un equilibrio interiore mettendo-si in discussione e misurandosi con le azioni psicolo-giche. Tutti noi vorremmo essere persone tranquille e gioio-se, padroni di noi stessi in qualsiasi circostanza, con pochi timori, ansie o preoccupazioni per il futuro, a-dattabili alle circostanze sfavorevoli e capaci di creare realtà positive. Ma, come sappiamo, spesso accade esattamente il contrario. Essere consapevoli di questo significa ammettere al-cune cattive abitudini mentali, alcuni inefficaci modi di sentire, di agire e di reagire, alcuni luoghi comuni che ci sembrano logici. Quali sono le strategie psicologiche migliorare tutto questo? Di solito non pensiamo a come stiamo o al nostro sta-to d'animo. In genere subiamo i nostri stati emotivi e siamo inconsapevoli o incoscienti di ciò che sentiamo nel corpo. Ma non solo, siamo spesso inconsapevoli anche del nostro comportamento, sia dell'agire che del reagire. Sentiamo, agiamo, reagiamo in "automatico". Ma se cominciamo ad analizzarci ed a pensare "qui ed ora": "Cosa sto facendo?". Allora, diventiamo coscien-ti di sensazioni, di emozioni, di pensieri, di fantasie e di comportamenti. Per stabilire la qualità del nostro sentire, ricorriamo al nostro sistema di valori e di condizionamenti. Per ar-ricchire il nostro sistema di valori ci muoviamo con il buon senso, con la convenienza e con la morale. Quando prendiamo coscienza di noi, possiamo pren-derne coscienza e basta, oppure possiamo prendere

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coscienza del valore di ciò che sentiamo, pensiamo, agiamo e reagiamo. In questa seconda ipotesi inter-veniamo per controllare noi stessi. Non ci basta sen-tire e agire, desideriamo dire la nostra, crescere den-tro queste realtà. Quando prendiamo coscienza che il nostro sentire, agire e reagire non vanno bene, possiamo modificare in meglio queste funzioni della nostra mente. Imparando a scrutare dentro di noi se il nostro senti-re, percepire e agire è corretto ci auto analizziamo per capire se favorisce o meno il nostro benessere mentale. Mettendo in funzione la nostra coscienza a realizzare dei comportamenti correttivi ci auto convinciamo, ci educhiamo ad un modo più salutare di funzionamen-to. Quello che si rafforza è una nuova coscienza che modifica i soliti schemi mentali e aggiorna un miglior modo di vivere. Alcuni suggerimenti arrivano dalle varie forme di psi-coterapia di cui fra poco accenniamo, ma molto dob-biamo fare dentro noi per educarci e crescere come individui completi. La psicologia moderna e il vivere attuale ci fanno riflettere su bisogni non facilmente conciliabili. Nel prossimo capitolo affronteremo alcuni dei quesiti più significativi nella sostanza psicologica delle perso-ne, anche se spesso vengono percepiti come qualcosa di impalpabile e di teorico, come l’identità, l’autostima, il contatto e altre. Successivamente cercheremo di dimostrare che quan-do la teoria si incontra con la pratica è possibile crea-re qualcosa di prezioso.

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SINTESI Il primo passo della consapevolezza ri-guarda il Sentire, l’Agire e il Reagire. Per questo, nel nostro mondo psicologi-co possiamo essere consapevoli di: Sensazioni, Emozioni, Pensieri, Fantasie e Comportamenti L’evoluzione della coscienza riguarda il Valore del Sentire, dell’Agire e del Rea-gire. Per cambiare e migliorare se stessi i p a s s i n e c e s s a r i r i g u a r d a n o l’Autoanalisi, i Comportamenti Corretti-vi e varie forme di Autoconvincimento. Tutto questo genera una Nuova Co-scienza e Nuovi Schemi Mentali

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RIFLESSIONI SULLA PSICOLOGIA ATTUALE Facendo un esame della psicologia proposta in questi anni, mi voglio soffermare sulle prospettive del nostro impegno e sugli sviluppi della sfida culturale in corso tra medicina e neuropsichiatria nel dare risposte sod-disfacenti alla sofferenza umana, alla salute e al be-nessere personale e come tutto questo riguardi l’utilizzo di esperienze come il Training Mentale. Uno dei problemi su cui ci troviamo ad operare ri-guarda il bisogno di ‘identità’: storica, relazionale, corporea, sessuale; e al conseguente bisogno di au-tostima: psicologica, esistenziale, sociale e materia-le. La nostra personalità, quando perde lo sfondo delle abitudini, delle risorse o della storia personale (la sto-ria e i ruoli in questi anni sono cambiati rapidamente) si ‘frammenta’ in Io multipli che hanno bisogno di definizione e di integrazione; basti pensare ai nuovi assetti familiari nei quali il farsi, disfarsi e riaggregar-si delle coppie è ormai una realtà evidente come lo è anche il moltiplicarsi di impegni lavorativi provvisori e parziali che hanno indotto alla instabilità dei ruoli. Non abbiamo più rassicuranti certezze su chi siamo veramente! Ognuno di noi potenzialmente può essere qualsiasi cosa e soprattutto può essere confuso nella scelta tra molteplici possibilità. Dal punto di vista dell’identità sociale, gli indicatori psicologici che sembrano aiutarci nell’identificazione del nostro status attuale riguardano l’età, la cittadi-nanza, lo stato di salute, la disponibilità al cambia-mento. Sono, infatti, molto diversi dagli indicatori del passato che, al contrario, si basavano sulla narrazio-ne della storia personale e delle proprie origini. Una vera ‘scossa’. Il futuro prossimo ci potrebbe vedere chiusi nella no-

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stra stanza a divertirci o a lavorare in compagnia di Bill (il computer), di internet, di fax e di Bob (il cane), ma poco a comunicare in carne e ossa; e a comunica-re sviluppando identità virtuali. Mancando una definita identità sociale cerchiamo nel corpo il nostro processo di identificazione. Per questo passiamo molto tempo in palestra e dall’estetista per definire il nostro ‘Io esteriore’ (non è in questo mo-do però che possiamo aiutare lo sviluppo dei nostri schemi affettivo motori e psicologici), e ci arricchiamo di alcuni ‘status simbol’ come Rolex, abiti firmati, lenti a contatto, walkman o interventi di chirurgia estetica. Esagero naturalmente, ma se ci pensiamo bene anche l’identità sessuale ha subito un livellamento dei gra-dienti di diversità: troviamo donne che danno più spazio alla loro dimensione maschile e uomini che la-sciano trasparire maggiormente la loro dimensione emotiva, aree ‘materne’ e ‘paterne’ sempre più acco-state. Quali sono quindi i tratti salienti che emergono dalla frammentazione del nostro Io? Il più ricorrente nei racconti della persona comune, e non solo della persona che ha ‘problemi’, è il dramma della solitudine e del vuoto affettivo. Ci ritroviamo a volere amore e a desiderare di vivere insieme, ma ad avere incontri intensi a breve termine con la buona intenzione di non ‘sbagliare’ la volta successiva. Un altro grosso tema è rappresentato dall’anoressia e dai disturbi alimentari in genere. L’anoressia non è solo una patologia limitata a una percentuale di persone, è soprattutto un problema attualissimo legato al nostro generalizzato narcisi-smo in quanto mette in evidenza il nesso che corre tra corpo e anima, tra l’Io e l’altro, tra la vita e la morte, e ci confronta con i lati oscuri della nostra i-dentità. In particolare, il linguaggio simbolico non e-

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sprimendosi adeguatamente, con emozioni e con af-fetti, crea un conflitto tra il bisogno di anonimato e il bisogno di essere visti, tra il ’qui e ora’ e la dimensio-ne del futuro. La perdita di identità corporea, sessuale, familiare e professionale, comporta il prevalere di personalità narcisistiche nel senso di un ripiegamento-amplificazione delle proprie peculiarità. Il nuovo millennio presenta la necessità di cercare un contatto intimo e flessibile con se stessi per ap-profondire la conoscenza di sé, valorizzare i propri bisogni e cercare una maggiore congruenza tra pen-sieri e azioni. Oggi si avvicinano alla psicologia diversissimi tipi di persone e di professionisti. Questi non desiderano più solo raccontarsi, ma sono alla ricerca di nuove risor-se e di una rinnovata creatività: un riconoscimento di esistenza e nuovi strumenti di azione. Cercano di in-dividuare un percorso consapevole e personale di sa-lute psicologica attraverso i tempi che cambiano. Non si vogliono inaridire tuffandosi nei propri sintomi, più o meno gravi, vogliono riconoscersi nelle proprie sor-genti generative. Per poter fare questo ed evitare atteggiamenti narci-sistici occorre una crescita emotiva e il riconoscimen-to e la misura dell’altro. L’emotività, questo mondo incontrollato del nostro inconscio ma ancorato a convinzioni, condizionamenti e abitudini radicate, può maturare dalla sofferenza interiore e riprodursi in crescita emotiva basata sulla creatività. Oggi il confronto con il cambiamento è a tutto campo, dentro e fuori. Una maggiore consapevolezza, sensi-bilità e rispetto per gli altri sembrano essere i requisiti di una persona ritrovata nella complessità e concre-tezza del suo vivere quotidiano.

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Un altro tema dei nostri tempi è il dibattito rappre-sentato dalla gestione degli stati emotivi attraverso le scoperte della neurofisiologia. La pillola della depres-sione, la pillola del sesso, la pillola della memoria, la pillola della felicità, insomma i nuovi farmaci, stanno facendoci immaginare che ogni avvenimento della nostra vita potrà essere controllato e gestito. Ma se noi usiamo un antidepressivo, non per trattare una malattia grave, come per certe forme di depres-sione, ma una depressione di tipo reattivo, come quella dovuta al fatto che non abbiamo un lavoro, che ci è morta una persona cara, che abbiamo avuto una disgrazia, sostituiamo, sperando che questo funzioni, una sostanza chimica a quello che dovrebbe essere un processo di adattamento delle nostre capacità co-gnitive a vivere una nuova situazione esistenziale. Gli interruttori farmacologici si possono sempre utiliz-zare, ma è una forma di dis-educazione l’abuso degli stessi. La mia esperienza, oggi, mi fa ritenere che c’è un grande bisogno di educazione emozionale, di adatta-mento e di creatività. Ogni volta che nel corso della vita, si perde un oggetto d’amore che può essere rap-presentato da un investimento emotivo reale o sim-bolico, si rinnova quella primitiva ambivalenza e si cade in preda al lutto e alla malinconia. Nel lutto piangiamo la scomparsa di un oggetto esterno, nella malinconia piangiamo piuttosto per la perdita di un oggetto interno. In ogni caso è necessario un lavoro psico-emotivo perché la capacità riparativa e costruttiva dell’amore prenda il sopravvento su quella distruttiva. Quando questo accade la depressione diventa creatività. Quando si ricorre troppo facilmente ai farmaci si im-pedisce alla psiche di mobilitare le sue risorse e alla personalità di attivare le difese specifiche alla sua

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struttura caratteriale. In tal modo si determina una normalizzazione dei propri sintomi, ma soprattutto una banalizzazione del Sé. Se guardiamo alla nostra vita in modo ravvicinato ve-diamo delinearsi nella nostra esistenza una serie di possibilità e di scelte prima sconosciute, se invece rovesciamo la visuale, scorgiamo una società immobi-le, priva di alternative e di obiettivi a lungo termine. Il venire meno di un orizzonte condiviso ha prodotto un’eclissi del futuro che ha travolto il passato. Per cui viviamo il presente con una tonalità di umore depres-sivo, registrando nei nostri ritmi interiori, fatti di tem-po e di spazi senza coordinate, il senso della destrut-turazione. Andiamo verso il futuro senza capacità di rappresen-tarcelo, privi di precognizioni e di attese, ed è forse per questo che cerchiamo, soprattutto in questi anni, di ricostruirci attraverso degli strumenti interiori e l’aiuto della psicologia e della spiritualità.

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DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ D. Da questo progetto di Training Mentale che cosa mi posso aspettare in termini pratici? R. Da oltre venti anni mi occupo della crescita personale venendo a contatto con tanti tipi di persone e di esigenze diverse. Il filo conduttore per ogni tipo di realtà è la formazione di una consapevolezza e di una responsabilità verso se stessi e verso il mondo nel quale si vive . Il Progetto Training Mentale intende affrontare alcune tematiche fondamentali attraverso un percorso articolato ricco di metodi e tecniche creative di psicologia pratica. CONTROLLARE LE EMOZIONI NEGATIVE Lo scopo è quello di sviluppare una maggiore consapevolezza di come le energie emozionali vengono metabolizzate. Le tecniche mirano in alcuni casi ad una maggiore comprensione degli stati emo-zionali e in altri a sviluppare una migliore gestione delle emozioni negative, a ricercare il movimento naturale per scaricare il corpo, a utilizzare le fantasie guidate e l’immaginazione per orientare nuovamente gli stati emozionali, a sviluppare una nuova percezione del corpo. VINCERE LA NOIA Per riappropriarsi del potere dell’azione e per riscoprire il mistero dell’umanità negli altri occorre ricombinare le risorse e gli ingredienti presenti in noi e in altre persone. Si possono ritrovare le ragioni per darsi da fare maturando un atteggiamento di curiosità attiva e iniziando a trasformare ogni incontro in un ‘laboratorio sperimentale di psicologia’.

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CAPIRE LE PERSONE L’aspetto fisico, la mimica, l’espressione del viso, l’intonazione della voce, il modo di esprimersi, l’atteggiamento e il portamento, rappresentano forme di comunicazione utili per comprendere le sottili espressioni individuali. Se riusciamo ad essere ‘presenti’ e buoni osservatori impareremo a leggere le persone in modo sempre più profondo e preciso. CONTROLLARE GLI STATI D’ANIMO Tutti gli atteggiamenti, i movimenti e i gesti sono manifestazione dei nostri stati psichici interiori. Dovremmo imparare ad essere buoni osservatori di noi stessi e di come gli altri ci vedono. Questo comporterà non solo il controllo del comportamento quando serve, ma anche la capacità di produrre stati d’animo con movimenti appropriati conciliando la separazione che a volte sentiamo tra l’espressione e i nostri sentimenti interiori. CONOSCERE E OSSERVARE Le nostre abitudini ci rendono spesso pigri e poco curiosi. Per questo dobbiamo superare il concetto del ‘mi piace’, ‘non mi piace’ e assumere un atteggiamento più aperto nei confronti di ciò che accade nel mondo a noi prossimo. In particolare dovremo sviluppare la fantasia e l’immaginazione che aiutano a leggere le cose in un rapporto di continuità con il tempo e facilitano un’organizzazione percettiva immediata. In un certo senso rappresentano esercizi di risveglio della coscienza che ci aiutano a penetrare la realtà delle cose. Quindi non solo pensiero o ricordo o ragionamento, ma anche immaginazione e fantasia.

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VIVERE INTENSAMENTE E’ la consapevolezza della nostra vita fisica ed emozionale, del flusso dei nostri pensieri ed immagini che modifica la percezione del tempo e l’intensità della nostra vita. E’ auspicabile imparare a vivere più livelli del nostro essere contemporaneamente, consci dei processi di pensiero, delle correnti emozionali e delle sensazioni fisiche. ESSERE CONSAPEVOLI DEI DIVERSI STATI DI COSCIENZA Essere consci che siamo spesso ‘addormentati’ è una condizione primaria per diventare sempre più desti. E’ importante imparare a distinguere i diversi stati di trance creati dalle abitudini, dalle fantasie, ma anche dagli stati di sonno e di sogno, uscendovi coscientemente di propria iniziativa. GESTIRE LE ENERGIE Ci nutriamo di cibo, di aria e di impressioni. L’energia che ne ricaviamo è fisica, emotiva e mentale. Dobbiamo imparare a gestirla riconoscendo le fatiche immaginarie da quelle reali e soprattutto riconoscendo la capacità straodinaria che ha l’organismo in condizioni particolari. Possediamo più serbatoi di energia che vanno impiegati in modo intelligente evitando di sprecarne il contenuto con azioni fisiche inconsapevoli, fantasticherie, pensieri viziosi e preoccupazioni. Vivere il presente senza perdere di vista il fine di ogni azione è una strategia efficace per non impiegare inutilmente le nostre energie. SVILUPPARE L’INTUIZIONE Per sviluppare l’intuizione è necessario un lavoro psicologico che ci inviti a immedesimarci nelle

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situazioni e nei punti di vista altrui con l’attivazione di nuove interpretazioni su di noi e sugli altri. PROGREDIRE QUOTIDIANAMENTE L’attenzione a noi stessi attraverso il respiro, il rilassamento e altre tecniche ci inducono a pensare che l’immaginazione sia uno strumento ancora più efficace del pensiero per portare a coscienza le nostre esperienze organismiche. Prima di dormire si può utilizzare la ricapitolazione della giornata vedendola nel suo svolgimento. La giornata viene ripercorsa sotto forma di immagini dove gli avvenimenti vengono rivisti senza soddisfazione o tensione, senza paura e senza speranza, in una sorta di ricapitolazione imparziale e impersonale. Tutto questo diventa una importante lezione di conoscenza di se stessi. FARE QUELLO CHE SI SCEGLIE Sapere quello che si desidera, i propri bisogni, ed essere in grado di metterli in pratica è un obiettivo elevato del nostro programma. Spesso non sappiamo quello che vogliamo e quando lo scopriamo talvolta ci rendiamo conto che non abbiamo gli strumenti del potere, della volontà o della conoscenza per realizzarlo. Un percorso utile in questo senso è la ricerca di cosa desideravamo da piccoli, quale retaggio della nostra storia familiare e personale, quantomeno per comprendere se rinunciare o soddisfare quelle aspirazioni. Per quanto riguarda il quotidiano abbiamo mille stimoli per capire cosa veramente vogliamo. L’importante è isolare le abitudini, la pigrizia, il condizionamento e a volte anche il calcolo per scegliere le cose, le azioni, le persone, le occupazioni

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e le circostanze che non solo immaginiamo che ci piacciano, ma che ci piacciono veramente. VALORIZZARE L’AUTOCONOSCENZA La misura del nostro valore umano è dato dalla quantità e dalla qualità della consapevolezza del perchè, come e cosa sia giusto che sentiamo, pensiamo e agiamo. Quindi la nostra massima realizzazione consiste nel divenire consapevoli della nostra funzione e missione agendo con uno scopo scelto. Questo progetto ci rende più coscienti di noi stessi e del mondo in cui viviamo. VIVERE Per vivere al meglio occorre migliorare l’immagine e l’atteggiamento che abbiamo verso la vita evocando fortemente le emozioni creative che desideriamo. Questo è il progetto Training Mentale che ci auspichiamo di poter condividere con ognuno.

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L’AFFATICAMENTO PSICOLOGICO

Ci accorgiamo di noi stessi quando i nostri equilibri vengono compromessi. In questa sezione desidero soffermarmi sui segnali che ci invitano a riflettere sull’esigenza di un equili-brio psicologico. E' ormai noto che esiste un rapporto fra tensione mu-scolare ed ansia, rapporto che, il più delle volte, po-trebbe mantenersi nei limiti della accettabilità se non intervenissero delle particolari condizioni che possono accrescere tanto lo stato ansioso quanto la tensione muscolare ed entrambi, poi, esaltarsi vicendevolmen-te. Lo stress emotivo, la convulsività della vita moderna, il susseguirsi di situazioni conflittuali, l'affaticamento psicologico, non sono che alcune delle particolari con-dizioni che influiscono negativamente sullo stato an-sioso e, la condizione ansiosa, produce, oltre ad una costellazione sintomatica nota (apprensione, senso di attesa, preoccupazione ed ipervigilanza, irrequietez-za, ecc...), modificazioni estesamente documentate a livello del sistema muscolare, scheletrico, neurovege-tativo, neuroendocrino ed immunitario. Da ciò si comprende quanta importanza venga attri-buita all'ansia nel cercare di dare una spiegazione a moltissime alterazioni che affliggono l'esistenza. Del "sistema nervoso autonono" (simpatico e para-simpatico), che innerva gli organi viscerali ed i vasi, mentre sono ben note le vie efferenti, lo sono molto poco, al contrario, quelle afferenti, ma è indubbio, e la clinica lo conferma, che tutti gli insulti che colpisco-no l'organismo, qualunque sia la loro origine, si tra-ducono in stimoli per il "sistema nervoso autonomo" stesso, che è il primo ad essere avvertito di tutti gli impulsi che giungono, al "sistema nervoso".

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Personalmente ritengo che la distinzione del "sistema nervoso" in "somatico" ed "autonomo" debba essere considerata solo a livello tecnico, allo scopo d'inten-dersi fra cultori della materia su una differenziazione anatomica, ma che, in effetti, essa non esista in quanto tutto è "sistema nervoso" anche se una parte di esso è deputata a specifiche mansioni piuttosto che ad altre di competenza di un'altra sua parte, ma che, in effetti, le due parti formino un tutt'uno inscindibile o che entrambe agiscano di concerto per il benessere dell'organismo. Alla stessa stregua deve essere considerata la diffe-renziazione fra "informazioni propriocettive" ed "informazioni coscienti". Infatti, anche se non tutte le informazionj propriocettive sono inconsce, tutte, co-munque, giungono al cervelletto, e di qui hanno an-che rapporto con la corteccia cerebrale, acquisendo di fatto la possibilità di divenire coscienti. Comunque sia il tipo di propriocezione, il risultato fi-nale è sempre lo stesso, cioè che la risposta motoria avviene senza che l'individuo vi apporti alcuna volon-tà. D. Quali sono i segni dell’affaticamento psicolo-gico? R. A volte i ritmi della vita ci travolgono e non riusciamo a reagire in tempo utile per non risentirne. Ci sono alcuni sintomi che ci fanno capire quando siamo affaticati e occorre correre ai ripari, ad esempio quando: • Chiudamo la porta e giriamo la chiave

dall'interno in modo che nessuno possa distrarci

• Sentiamo che qualcosa ci sta buttando giu' e

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sopprimiamo questi pensieri • Prendiamo troppi caffe', fumiamo troppe

sigarette, mangiamo troppi dolci, beviamo troppo

• Cerchiamo sempre di fare tutto perche' siamo responsabile di tutto

• Non rimandiamo mai a domani quello che possiamo fare a mezzanotte

• Pensiamo che delegare sia un segno di debolezza, e che se vogliamo una cosa fatta bene dobbiamo farcela da soli

• Pensiamo che dobbiamo smetterla di pensare ai nostri problemi, perche' è solo segno di egoismo

• Il nostro corpo da' segni strani e spingiamo sulla mente, convinti che lui ci seguira'

I segni dell'affaticamento psicofisico sono ben riconoscibili e non devono essere confusi con i sintomi depressivi. Infatti la persona affaticata : • ha voglia di fare le cose, ma si stanca

facilmente. • Inizia la giornata con un certo entusiasmo, ma

non tiene il ritmo e non porta a termine ciò che ha avviato.

• Conclude la giornata scoraggiata, al limite. • Rimugina sulle sue preoccupazioni prima di

addormentarsi. • È cosciente dei fattori esterni: troppo lavoro,

vita non adatta. • Sa che ci deve essere una soluzione, anche se

difficile da trovare. • Il futuro è chiaro: domani andrà meglio.

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La persona depressa invece: • ha perso la voglia di intraprendere qualsiasi

cosa e se lo rimprovera. • Già dal risveglio è annientata dalla prospettiva

della giornata che l’aspetta. • Il momento migliore della giornata è la sera. • Si sveglia più presto del solito in stato di

angoscia. • Percepisce che il suo malessere viene

dall'interno. • Non ha speranza di uscirne. • Il futuro è oscuro: nulla può cambiare. D. Quali suggerimenti pratici consiglia per l’autostima? R. La nostra esperienza ci suggerisce un percorso dove sono fondamentali la consapevolezza del proprio stato d’essere, i bisogni relativi e la capacità di azione che si riesce ad attivare. Per volersi più bene il punto di partenza riguarda l’apprezzamento di noi stessi attraverso l’accettazione psicologica di quello che siamo e attraverso il sentire più profondamente il nostro ‘clima’ vitale. La crescita personale riguarda quel miglioramento del contatto con noi stessi e la consapevolezza che il nostro mondo interiore è molto più articolato di quello che pensiamo, e ci invita a vivere al meglio delle nostre esperienze, siano esse negative o positive. Uno strumento psicologico molto apprezzabile, perchè aiuta a focalizzare l’attenzione, è la capacità di riconoscere figura e sfondo in ogni processo percettivo. Se ad esempio ci ascoltiamo possiamo essere attratti da sensazioni particolari senza essere distratti da

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tutto quello che succede nel corpo. Questo aiuta a selezionare, ma soprattutto a ricercare nuovi significati dell’esperienza. Per migliorare l’opinione di noi stessi cercando di riconoscere le parti di noi più reali e imparando a distinguere fantasie e false concezioni personali, sono utili esercizi di autocritica, come nel gioco delle parti dove si impersonano componenti di noi stessi contrastanti, o di rivalutazione del passato alla ricerca di un percorso causale che ci aiuti a capire meglio come siamo oggi. Il tuffo nel passato può a volte aiutarci a capire cosa manca nel presente, soprattutto a livello di sentimenti. Per migliorare in generale la consapevolezza è utile riconoscere quei contenuti della coscienza, che in genere riguardano pensieri ripetitivi, per accettarli e ridimensionarne il giudizio negativo che talvolta associamo ad essi. Prendere coscienza di cosa accade, vivere nel presente o smettere di controllarsi per alcuni minuti al giorno sono esercizi utili per distinguere i fatti dalle idee. Idee che talvolta possono crearci ansietà e preoccupazioni al di là delle effettive condizioni di vita. Per migliorare la propria fantasia e creatività sono interessanti quegli esercizi di identificazione che liberano i soliti percorsi mentali per sviluppare la sensibilità di una ‘pietra’, di una ‘pianta’, di un ‘animale’ o di una ‘maschera’. Altri utili esercizi sono vere e proprie fantasie guidate realizzate attraverso stati di rilassamento che riproducono la creazione del pensiero ‘magico’, delle fiabe, dei miti. Hanno lo scopo di richiamare i livelli dell’essere al loro pieno sviluppo. Per il corpo invece occorre sviluppare una chiara percezione di ciò che si muove e si sente, ma anche

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di ciò che è statico e ‘sordo’. Il sistema corpo è vivo e si fa sentire. A volte, nello stimolare i processi vitali attraverso il respiro e movimenti espressivi, spaventa sentire sensazioni troppo intense. Il nostro corpo è un libro aperto e sempre nuovo se lo desideriamo. Se ci ascoltiamo senza giudicare possiamo sentire le cose di cui abbiamo veramente bisogno. Fame, sete, fumo, quando ci ascoltiamo veramente ci rendiamo conto che, al di là delle abitudini, sono gli stati mentali che sovrastano i processi naturali del corpo. Quindi, almeno impariamo a respirare e magari a rilassarci e a meditare su parole o suoni o immagini che possono risvegliare in noi stati di coscienza nuovi e decondizionarci da abitudini che troppo spesso ci fanno vivere ‘fuori’ di noi. Per concludere, visto che non mancano gli strumenti psicologici per migliorarci sarebbe utile usarli effettivamente e con maggiore costanza. D. In che senso è possibile rafforzare il senso di sicurezza psicologica? Molto spesso soffriamo della nostra insicurezza più che per dolori, lutti o privazioni e ritieniamo che sia desiderabile possedere un ‘Io’ forte. Un ‘Io’ capace di rispondere efficacemente a tutte le sfide quotidiane. Ma le nostre insicurezze oggi riguardano la difficoltà di uscire da rigidismi mentali e realizzare appieno la nostra esperienza di vita. Il desiderio di sicurezza e la paura dell’insicurezza ci invitano a ‘sentire’ dove vive la nostra reale esperienza. Al di là delle ‘corazze’, al di là delle immagini, al di là delle aspettative dobbiamo riconoscere che la ricerca di sicurezza è un’aspirazione inconciliabile con la piena esperienza di

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tutto ciò che è sperimentabile. Possiamo abbandonarci alla nostra esperienza di vita se cerchiamo l’autenticità dei nostri moti vitali corroborati da valori sempre più tolleranti. La ricerca della sicurezza è un fissare l’orologio biologico di noi stessi: sempre quel tempo, quella temperatura, quella stabilità. Per non sentirci insicuri e inadeguati rispetto alle nostre pretese occorre rimetterci in contatto fisico con le correnti vitali e viverle pienamente.

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DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ D. Che cos’è l’ansia? R. E’ il sentimento di anticipazione di un pericolo incombente, la cui origine è ignota o non riconosciu-ta; sua principale caratteristica è un intenso disagio psichico, causato dalla sensazione di non essere in grado di fronteggiare gli eventi futuri. I sintomi fisici comprendono tensione muscolare, sudore alle mani, blocco allo stomaco, difficoltà respiratorie, debolez-za e tachicardia. D. Che cos’è la nevrosi? R. E’ il termine che descrive una vasta gamma di disturbi psicologici, un tempo attribuiti a disfunzioni neurologiche e oggi considerati esclusivamente di origine psichica. Le nevrosi sono caratterizzate da ansia, sentimenti di inadeguatezza e insoddisfazione e disturbi del comportamento. Di solito non sono così gravi da compromettere il funzionamento lavo-rativo e sociale, come accade per le psicosi (che in-vece richiedono spesso il ricovero in ospedale). D. Quali altri disturbi piscologici possono esse-re ritenuti comuni? R. E’ chiaramente difficile generalizzare, ma le cate-gorie dei disturbi più comuni riguardano: Disturbi da ansia generalizzata Rappresentano la condizione stabile di ansia appa-rentemente immotivata e spropositata rispetto agli eventi che la provocano, che può protrarsi lunga-mente. Disturbi da attacchi di panico

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Sono caratterizzati da accessi di ansia in forma acu-ta, accompagnati da sintomi fisici (tachicardia, af-fanno, tremore, nausea) e dalla sensazione di stare per morire. Disturbi fobici La Fobia è una paura intensa e persistente per par-ticolari oggetti o situazioni, che può comportare una notevole riduzione delle proprie attività; l'ansia che deriva dallo stimolo fobico è spropositata e l'indivi-duo che la prova è pienamente consapevole dell'ir-razionalità del fenomeno. L'ansia da fobia, o "fobica", si esprime con sintomi fisiologici come tachicardia, disturbi gastrici e urina-ri, nausea, diarrea, senso di soffocamento, rossore, sudorazione eccessiva, tremito e spossatezza. Alcu-ne persone imparano col tempo a controllare gli sti-moli fobici, ma spesso, per evitare situazioni temu-te, si accetta una graduale limitazione della propria libertà. In psicologia si distinguono tre tipi di fobia. La fobia semplice, riferita a animali o situazioni specifiche (insetti, serpenti, paura degli spazi chiusi o dell'al-tezza), compare di solito durante l'infanzia e persi-ste nell'età adulta. L'agorafobia, paura di spazi a-perti come strade e negozi affollati da cui risulti dif-ficile la fuga, è la forma che comporta il maggior grado di riduzione della vita sociale (spesso il pa-ziente agorafobico smette di uscire di casa o può farlo solo se accompagnato) e in genere insorge nella tarda adolescenza. La fobia sociale è la paura di apparire incapaci e di vergognarsi in pubblico; tende anch'essa a insorgere durante l'adolescenza. Disturbi ossessivo-compulsivo Riguardano la persistente intrusione di pensieri e-

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stranei e indesiderati (ossessioni) e di azioni la cui necessità è irresistibile (lavarsi le mani, controllare la chiusura dei rubinetti del gas e altre) e la cui ulti-mazione, spesso ritualizzata, comporta una momen-tanea riduzione dell'ansia. Disturbi di ansia da separazione Hanno il loro punto di partenza nell’infanzia. Sono costituiti da una paura irrazionale di vedere l’allontanamento di uno dei due genitori e per e-stensione di ogni figura affettiva significativa. I bambini sviluppano, da adulti, una serie di difese psicologiche che possono sfociare in sintomi quali l’agorafobia (una morbosa paura degli spazi aperti), attacchi di panico, nevrosi, depressione, dipenden-za, bulimia, anoressia, etc. Distimia Disturbo caratterizzato dalla presenza di umore de-presso per la maggior parte del giorno e per un lun-go periodo di tempo. A differenza di quanto accade nelle depressioni maggiori, che talvolta prevedono l’ospedalizzazione, questo disturbo dell'umore non interferisce in modo invalidante con le attività abi-tuali. D. Quali tecniche psicologiche aiutano a modifi-care il comportamento? Le principali tecniche di modificazione del comporta-mento sono la desensibilizzazione sistematica, la terapia aversiva e il biofeedback. La desensibilizzazione sistematica riguarda la capa-cità di controllare gradualmente gli stimoli negativi ed è indicata per il trattamento di disturbi circoscrit-ti, come la claustrofobia (paura degli spazi chiusi). La tecnica prevede l'addestramento del soggetto a

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rilassarsi in presenza di stimoli che riproducono le condizioni temute. La terapia aversiva, invece, viene utilizzata per ri-durre i comportamenti disattativi: in concomitanza con la comparsa del comportamento in questione viene inflitto uno stimolo che può essere sgradevole o al limite doloroso. Il biofeedback è la tecnica più utilizzata per i distur-bi somatici. Consiste nel fornire al paziente informa-zioni sull'andamento di alcuni valori fisiologici, come la pressione sanguigna o il battito cardiaco, attra-verso l'uso di ausili meccanici che producono segnali (spie luminose o suoni di crescente intensità): il pa-ziente impara a controllare i propri valori e a farli decrescere quando necessario, ad esempio impie-gando una tecnica di rilassamento. L'analisi del comportamento prevede cinque fasi prefissate: 1) decidere che cosa un individuo possa fare per migliorare una situazione; 2) stendere un programma relativo ai compor-tamenti da incentivare o disincentivare; 3) formulare un programma di lavoro sulla ba-se dei principi di modificazione del comporta-mento; 4) registrare accuratamente i risultati; 5) proporre un nuovo programma sulla base degli obiettivi raggiunti

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CAPITOLO 2 CENNI SU ALCUNI MODELLI DI PSICOTERAPIA Letteralmente la parola "psicoterapia" vuol dire "curare la mente": quindi, la psicoterapia e' un tratta-mento che si basa su procedimenti psicologici. Gli interventi psicoterapeutici sono molteplici e per configurare una cornice nella quale inserire la proposta di questo libro di Training Mentale base, il mio interesse parte dalla integrazione dei modelli psicoterapeutici. L’ obiettivo è la presa dei diversi modelli e la costruzione di una visione unitaria per il benessere degli individui. Il mio punto di vista sarà quello di vedere la psicoterapia non soltanto e non prevalentemente come un intervento medico, ma come un’attività di prevenzione e di miglioramento della vita delle persone. Nella pratica individuale ricorro essenzialmente a quattro tipi di psicoterapia: di Sostegno, Organismica, Cognitiva, Comportamentale.

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TERAPIA DI SOSTEGNO E' la più semplice, e ha come riferimento l'esperienza e l'insieme delle conoscenze del terapeuta. Consiste nell'aiutare il cliente giorno per giorno, ascoltandolo con disponibilità e dandogli dei suggerimenti che gli permettano di avere un’idea più chiara delle situazioni che deve affrontare, e che lo sostengano nelle fasi critiche. Il numero di sedute non viene stabilito in an-ticipo e la loro frequenza dipende dalle condizioni del

SINTESI

La Terapia di sostegno si basa sull’ascolto, sul riconoscimento degli equilibri decisionali relativi alla vita

della persona e su consigli.

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cliente e dalle sue richieste. TERAPIA ORGANISMICA Si tratta di una teoria del sistema psichico ed energe-tico, di un sistema filosofico e al tempo stesso di una pratica psicoterapeutica. La Psicoterapia Organi-smica, come altre forme di psicoterapia del profondo e transpersonali, tende alla cura dei disturbi psichici e all'esplorazione della personalita', attraverso l'auto-riconoscimento e la presa di coscienza dei conte-nuti inconsci. E' una via per crescere, divenire sé, integri, affrontare e risolvere i conflitti emozionali del passato e sviluppare le facoltà creative della gioia, dell'amore e della salute nell'essere in contatto con se' e con gli altri. Essa tende a facilitare, attraverso il contatto diretto con il corpo, l'esperienza della consa-pevolezza e contribuire all'evoluzione dell'uomo. La Psicoterapia Organismica e', per un crescente numero di persone, il mezzo idoneo per fare esperienze con-sapevoli e conoscere meglio se stessi, ed e' uno dei metodi piu' equilibrati nel campo delle Psicoterapie Corporee. Le sedute di Psicoterapia Organismica seguono la prassi di un colloquio e di un numero di incontri, che varia da sei a otto, per identificare le necessità indivi-duali e la tipologia caratteriale. Nell'ambito di tali incontri, con l'uso di tecniche cor-poree, del colloquio clinico, dell'analisi dei sogni, del vissuto esperienziale e favoriti da condizioni logistiche appropriate e da strumenti idonei per rendere più a-gevole tale lavoro (materasso per lavori nella posi-zione orizzontale, poltrona relax e lettino per il mas-saggio) si crea un clima di collaborazione e di proficue comunicazioni. Il prosieguo della Psicoterapia Organi-smica può svilupparsi anche per un tempo molto lun-go con incontri di una o due ore la settimana.

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SINTESI

La Psicoterapia Organismica si occupa di Disturbi Psichici, di Conflitti e di Disturbi della Personalità.

Gli strumenti con i quali opera riguar-dano l’Analisi, la Consapevolezza e particolari forme di Relazione e

Contatto Corporeo:

Radicamento Orizzontale Radicamento Verticale

Contatto Diretto Contatto Catalitico

Respirazione

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TERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVA Questo tipo di trattamento studia i "modi di fare" del cliente, ed e' fondato sul principio secondo cui e' ne-cessario correggere il comportamento disfunzionale che fa soffrire il cliente aggravandone i problemi. Il cliente interviene in modo attivo per tutta la durata del trattamento. Questo tipo di terapia e' di breve du-rata e si associa con la TERAPIA COGNITIVA che ha lo scopo di analizzare ed eventualmente modificare il meccanismo di pensiero sottostante a comportamenti inadeguati. La teoria cognitiva suppone che il cliente elabori in modo erroneo le informazioni che riceve, interpretando tutti gli avvenimenti che si verificano intorno a lui in una prospettiva di pericolo o di insicu-rezza. Queste due psicoterapie sono particolarmente efficaci per le fasi critiche dei disturbi ansiosi, fobici e os-sessivi. Nel corso della prima seduta viene fatta la diagnosi. Il terapeuta conosce il cliente e capisce quali sono le sue condizioni di vita ( a livello familiare, professiona-le e del tempo libero). Successivamente vengono spiegate al cliente i principi del trattamento: - apprendere delle tecniche di controllo emotivo - procedere a una ristrutturazione cognitiva - imparare a confrontarsi con le situazioni an-siogene controllandole. Il primo incontro serve soprattutto a definire il conte-sto della terapia. Vengono stabiliti obiettivi precisi che dipendono dalle difficolta' vissute dal cliente nella sua vita quotidiana. Si progetta anche il numero di sedute

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che sembrano necessarie per raggiungere l'obiettivo. Infine il terapeuta stabilisce un accordo con il suo cliente in cui si precisa: - il tempo che il cliente e' disposto a dedicare alla te-rapia, - gli obiettivi che si prefigge, - ma anche le eventuali abitudini che e' disposto a modificare o anche i vantaggi che gli dà il suo handi-cap attuale e a cui dovrà rinunciare. Infine vengono richieste al cliente delle autovalutazio-ni da focalizzare nel corso della settimana attinenti al tipo di sintomi, pensieri e all'intensità degli episodi. Sulla base delle autovalutazioni si seguiranno poi le evoluzioni dei disturbi e delle distorsioni cognitive. Dalla seconda seduta in poi si individueranno i pen-sieri automatici associati ai sintomi e all'ansia, che serviranno da base alla ristrutturazione cognitiva, e si comincerà l'apprendimento del rilassamento. Le tecniche di rilassamento che utilizziamo sono quel-le del Training Mentale. Si prefiggono l'obiettivo di rilassare il corpo, di controllare le emozioni e di svi-luppare l'immaginazione creativa attraverso visualiz-zazioni e fantasie guidate. Sono tecniche che vanno apprese e poi praticate regolarmente. La respirazione naturalmente e' il vettore di base di ogni tecnica di rilassamento. Ad ogni seduta il cliente apprende qual-cosa di nuovo sulle tecniche e le dovrebbe applicare diverse volte al giorno, sia disteso che seduto o in piedi, ovverosia in tutte le situazioni in cui può avere una crisi di angoscia. Dopo aver imparato a costruire monologhi, frasi posi-tive e discorsi interiori, il cliente comincerà gradual-mente ad affrontare situazioni d'ansia, fobiche e os-sessive. Il principio consiste nell'immaginare delle si-

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tuazioni cercando di capire con precisione quali sono le sensazioni che generano in lui. Affinché il cliente si abitui a questi esercizi, gli si fa visualizzare una scena piacevole che progressivamente prende in considera-zione i suoi sintomi e le sue paure. Allo scopo di accentuare la capacità di tolleranza alle situazioni si farà rivivere, attraverso tecniche respira-torie, il momento acuto della crisi passando per le fasi di scarica dell'emozione, di controllo del respiro e del-la capacità di rilassarsi. A questo punto il cliente e' pronto per esporsi diretta-mente alle situazioni ansiogene reali o a controllare comportamenti ossessivo - compulsivi

SINTESI

La Terapia Cognitivo Comportamentale si occupa di correggere i Comporta-

menti Disfunzionali.

I suoi strumenti principali riguardano le Tecniche di Autocontrollo, la Ristrut-turazione Cognitiva, il Controllo del Comportamento e i Rinforzi Positivi.

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PSICOTERAPIA DI GRUPPO "La conoscenza dei bisogni nostri e degli altri ci aiuta a capire le persone che ci vivono accanto. Ci impegna ad aiutare chi ha molti bisogni nevrotici. Ci avvicina a persone psicologicamente sane. Ci permette ottimi rapporti interpersonali. Ci fa investire tempo ed ener-gie per le cose che contano: salute, felicità, creativi-tà." In venti anni di esperienza nell'applicazione della ricerca psico-organismica nell'ambito del nostro gruppo di lavoro abbiamo creato e sviluppato precise tecniche di salute psicologica, emozionale e corporea. Ci siamo posti primariamente degli obiettivi legati alla consapevolezza e alla crescita dell' individuo. Questi riguardano lo sblocco, la conoscenza e l'e-spressione del sistema emozionale; il decondiziona-mento degli automatismi gestuali; il risveglio del pro-prio ritmo naturale e della propria voce; il riconosci-mento delle proprie maschere e ruoli; la creazione della propria autoimmagine; la consapevolezza dello spazio e degli oggetti; la gestione dei conflitti; la let-tura del corpo, dei gesti e del comportamento; la riappropriazione del movimento naturale; la gestione della dinamica di gruppo; l'autoesplorazione come strumento di conoscenza. Per rispondere a queste e ad altre esigenze, peraltro più pedagogiche che terapeutiche , un'unica tecnica o un'unica scuola non sono mai state sufficienti. Si è pertanto tenuto conto della complessità dei pro-blemi in campo e si è sviluppato, con la pratica e l'e-sperienza, un sistema di tecniche le quali provengono singolarmente da culture e discipline le più varie e lontane.

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In ogni programma che abbiamo preparato possono trovare applicazione, di volta in volta, strumenti e tecniche più razionali, più emotive o corporee. La sensibilità e l'intuito del terapeuta lo porterà, mo-mento per momento, a decidere il procedimento ap-propriato. Per capire il perché di questo modo di operare, e cioè l'integrazione di varie metodologie, bisogna conside-rare, come ci insegna il controllo delle emozioni sulla qualità della nostra vita, che se impariamo a trattene-re le emozioni, un sistema automatico negativo ci condizionerà il modo di interpretare la realtà e di ca-pire le scelte di vita più appropriate. Per esprimere determinate verità della propria perso-nalità, che nel quotidiano si preferisce tenere segrete e che spesso interagiscono nella nostra vita in modo negativo, diventa indispensabile esplorare attraverso dei rituali, dei movimenti, delle drammatizzazioni la totalità della propria personalità. Agendo in modo simbolico, ci si può riappropriare della propria perso-nalità "messa fuori" o in "ombra". "Esprimendola", rendendola visibile a se stessi e agli altri si diventa più interi, più integri, più ricchi. L'integrazione di tecniche tiene conto della straordi-naria complessità del sistema corpo - psiche - spirito regolato da una dinamica fisiologica che è in continua evoluzione ma che ha una storia di 200 milioni di an-ni. E non esistendo nel nostro cervello connessione diretta tra rinencefalo e corteccia superiore, siamo costretti ad assistere all'espressione della nostra ag-gressività come "spettatori". Il nostro organismo con-serva, appunto, una memoria istintuale di cui dob-biamo tenere conto. Essa è legata ad emozioni forti come l'ira o la rabbia, la paura o la collera. Spesso, quindi, ci ritroviamo con la sensazione di non poter controllare completamente il nostro comporta-

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SINTESI

La Psicoterapia di gruppo si occupa di favorire la consapevolezza e la crescita della persona come singolo e come sog-getto inserito in una rete di relazioni. Alcuni suoi benefici riguardano l’Espressione Emozionale e il Decondi-zionamento degli Automatismi appresi, il Risveglio del Ritmo Naturale e della Voce; il riconoscimento e rinforzo di u-na propria Autoimmagine, la Consape-volezza Qui e Ora di Spazio e Oggetti, la Gestione dei Conflitti, la Consapevolez-za del Linguaggio Corporeo, dei Gesti e del Comportamento. Il tutto favorisce la Riappropriazione del Movimento Natu-rale e dell’Autoesplorazione.

mento. Qualcosa che co-abita in noi si esprime attra-verso il nostro corpo e lo governa per la durata dell'accesso. Con le tecniche espressivo-corporee, pe-rò, si ha la possibilità di esplorare determinate emo-zioni: per consapevolizzarle, se sono represse, e con-temporaneamente scaricarle e integrarle in un siste-ma di reazioni più appropriate. Impariamo quindi ad osservare dando fiducia ai nostri sensi e alle associa-zioni tra immagini, intuizioni e pensieri che ci guidano a riconoscere ciò che è importante e significativo. Nel cercare insieme al gruppo di simbolizzare le situa-zioni conflittuali minuziosamente, evitiamo l'illusione che i tabù sociali proteggano le nostre separazioni interiori. Per mezzo del lavoro di gruppo cerchiamo di

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trasformare il tabù in consapevolezza. CAPITOLO 3 IL VALORE DELL’INDIVIDUO Chiarita la cornice psicologica del nostro approccio integrato, cominciamo ora ad addentrarci nello specifico del nostro tema: l’identità, il rilassamento, la comunicazione e l’atteggiamento psicologico appropriati. Per cominciare, quando ci riferiamo all'identità - tanto individuale quanto collettiva - tendiamo a "pietrificare" il concetto, dando per scontato che si tratti di un qualcosa di fisso. In realtà la nostra esperienza è frutto di un continuo interagire con il mondo: nel momento in cui nasciamo sono gli altri a proporci uno spaccato di realtà attraverso cui definirci, e in seguito riusciamo a costruire una nostra rete di relazioni e rapporti tramite una continua interazione con il mondo. Al contrario, quando cristallizziamo l'identità in un'entità fissa e rigida miriamo a costruire differenze arbitrarie separando gli individui gli uni dagli altri in base a schemi prefissati. Se non riusciamo ad interrogarsi a fondo per ridefinire costantemente la nostra identità e costruire in maniera creativa la nostra esistenza, corriamo il rischio di rifugiarci in una sorta di "feticcio di identità". Ognuno di noi può attraversare un momento di smarrimento in cui non sappiamo più determinare chi siamo, dove stiamo andando e chi siano coloro che ci hanno preceduto: torniamo ad interrogarci su di noi proprio nei periodi più difficili. Una delle grandi conquiste del pensiero democratico é stata la valorizzazione dell’identità del singolo. Molti retaggi del passato continuano a parlarci e tocca a noi interrogarli, proprio come faceva Edipo con la Sfinge:

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l’individuo deve scoprire e riscoprire di continuo il valore dell’interrogazione. Smarrito tale valore non resta che rifugiarsi nel feticcio. ENERGIA E COMUNICAZIONE Un bel regalo che possiamo fare a noi stessi è riuscire a trovare quello stato di serenità che è presente nel profondo del nostro essere. Se ci accettiamo e ci vo-gliamo bene possiamo stabilire e mantenere natural-mente relazioni armoniose e affettuose con gli altri. Ma nessuno può risparmiarci dallo sforzo di compiere i passi del nostro viaggio. Infatti, è lo sforzo del no-stro impegno personale e le pause ritempranti che ci prendiamo a rendere possibile una maggiore energia, comunicazione e cambiamento. Quali sono, dunque, le cose da non dimenticare, i pensieri, gli esercizi; qual’é la filosofia di vita che può aiutarci, incoraggiarci e guidarci per migliorare la comprensione di noi stessi? Siamo, oggi come ieri, sulla stessa strada a cercare e mantenere ‘la via giusta’. IL RILASSAMENTO Siamo tutti di fronte a una scelta: possiamo vivere sempre sulla ‘corsia di sorpasso’, gettandoci da un’esperienza all’altra fino al giorno in cui raggiungia-mo un limite oltre il quale non è più possibile andare; oppure uscire dall’autostrada e seguire vie più tran-quille, più lente, strade che incoraggiano non solo l’abilità e la velocità nella guida, ma anche uno sguar-do più attento ai paesaggi dentro e fuori di noi. La destinazione può essere la stessa; ma sarà il percorso seguito nel viaggio a determinare, all’arrivo, lo stato della nostra mente e del nostro corpo.

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Forse abbiamo dimenticato il senso di scelte di questo tipo. Per molti di noi non c’è dubbio che la strada più veloce sia quella ovvia. Imboccarla significa tuttavia rinunciare a molte cose. Perdiamo il fascino dei pae-saggi e dei panorami, nonché l’incanto stesso, sottile, del seguire vie più tranquille. Le strade del rilassamento sono invece sinuose e ric-che di deviazioni. Di tanto in tanto ci perdiamo, ma la cosa non fa che aggiungere piacere e senso dell’avventura e della sorpresa. Lasciare l’autostrada può rivelarsi difficile come ab-bandonare il radicato modo di pensare che ci lega alle nostre abitudini e al modo veloce di interpretare la vita. Il rilassamento può essere affrettato, ma dobbiamo avere fiducia che il nostro lento e tortuoso viaggio ci porterà a una maggiore tranquillità, a sguardi più lie-ti, ad atteggiamenti amorevoli. Possiamo riconoscere la mancanza di rilassamento: ‘è la percezione della nostra mancanza di significato all’interno dell’universo’. Molti di noi, consapevoli di questo, si ritirano all’interno delle proprie ‘nicchie’ in-dividuali ponendosi limiti immaginari alle proprie po-tenzialità. Può capitare, per esempio, di non ascoltarci e/o cominciare a dubitare del valore delle nostre opi-nioni, in questi casi la mancanza di autostima psicolo-gica può alimentare un meccanismo in grado di soste-nersi da sé. Mentre pensiamo che il mondo procede in maniera caotica ci isoliamo e assumiamo l’atteggiamento della sopravvivenza e della diffidenza. Iniziamo a ritirarci di fronte al conflitto con il mondo, solo per scoprire che quanto più ci ritiriamo tanto più tesi e impauriti diventiamo. Se però diventiamo consapevoli che i nostri pensieri e le nostre azioni hanno delle conseguenze sugli altri, allora entra a far parte dell’equazione una dimensione

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etica: nessuno di noi è veramente felice se le persone che ci stanno vicino non lo sono. La nostra positività ci ritornerà riflessa nella felicità degli altri; la positivi-tà degli altri ci incoraggerà. Siamo di fronte ad una scelta. Possiamo optare per un individualismo autosufficiente, credere in un mon-do separato dalla mente e dal corpo e dalla nostra alienazione da quel mondo, di cui saremo timorosi. Oppure scegliamo una prospettiva integrata , un compiuto equilibrio tra l’influenza della mente e del corpo e l’influenza del mondo. Una volta che riuscia-mo a concepire il mondo come il nostro e non come quello degli altri, e noi stessi come agenti attivi nel quadro di un complesso sistema di interrelazioni, la paura inizia a svanire.

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LIBERIAMO LA NOSTRA ENERGIA

Secondo la medicina orientale l’energia scorre attraverso tutte le cose animate e inanimate. Per quanto riguarda il corpo, l’energia scorre attra-verso dodici meridiani influenzando specifici pun-ti, riflessi e organi. Se l’energia fluisce libera-mente ci sentiamo rilassati. Se si blocca, per e-sempio per pensieri negativi o insicurezza, pos-sono derivarne stress, malessere, disordini o in-cidenti. Stendiamoci supini sul pavimento e chiediamo al nostro partner di poggiare il palmo di una mano sul nostro addome e l’altra sul petto. Restiamo fermi qualche minuto e avvertiamo il flusso e-nergetico generato dal contatto, dal respiro e dal rilassamento. Ascoltiamoci. Successivamente, stendiamoci a pancia in giù e chiediamo al nostro partner di sciogliere le con-tratture del collo e delle spalle con un contatto pieno: premendo, ruotando e stirando. Infine, accarezziamo le mani, sciogliamo le con-tratture delle mani; contattiamo i piedi, scioglia-mo le contratture dei piedi. Chiediamo al nostro partner di esercitare delle delicate pressioni su queste parti del corpo, stando comodamente distesi. Ne sarà favorito il flusso della nostra energia verso un riequilibrio della mente e delle emozio-ni. Ascoltiamo questo flusso e sentiamo questo sta-

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to di sereno rilassamento. UN VIAGGIO AL CENTRO DI NOI STESSI La chiave della comprensione di noi si trova al di sotto dell’apparenza superficiale, a grande di-stanza dalle ‘etichette’ o dalle ‘mitologie personali’. Potremmo definire quel luogo come il nostro ‘centro’, il cuore di quello che siamo e la nostra intima verità. Con gli occhi chiusi respiriamo profondamente per qualche minuto. Concentriamoci sulla quiete della mente. Immaginiamo di galleggiare in un mare caldo, con il sole che picchia sulle spalle. Lasciamoci trasportare senza sforzo. Immaginiamo di nuotare dolcemente sotto la su-perficie del mare dove le carezze dell’acqua ci immergono in una calma crescente. Appena sotto noi notiamo un relitto di una vec-chia imbarcazione: è la conchiglia, l’involucro esterno della nostra psiche. Avviciniamoci e osserviamo il legno corroso. Entriamo nuotando per un’apertura. Più ci ad-dentriamo, più l’acqua si fa limpida e luminosa. Al centro di questa imbarcazione, troviamo una cassa di oggetti preziosi, ognuno dei quali rap-presenta un aspetto della nostra autentica per-sonalità. E’ il momento di riscoprirli. Raccogliamo ciascun oggetto e riflettiamo sul suo significato. Risaliamo di nuovo in superficie, rilassati e mag-giormente consapevoli del nostro valore.

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LA MISSIONE DELLA NOSTRA VITA La missione della nostra vita è una sorta di traiettoria ad arco che dà una certa forma alla vita stessa. Po-tremmo dire che cerchiamo la ‘felicità’, quella che ha significato per noi naturalmente; oppure cerchiamo un contatto più profondo con gli altri o con la natura. Se definiamo il nostro scopo la tappa successiva è quella di individuare i cambiamenti che lo consenti-ranno (ad esempio abbandonare l’attaccamento ai beni materiali o superare la paura dell’insuccesso). In ogni caso, il rilassamento ci fornisce quella condi-zione ideale di riparo in cui trovare autentica calma e concentrazione sul nostro Io più profondo. E se sare-mo pronti a cogliere le opportunità che soddisfano la nostra più profonda visione della vita, queste stesse opportunità tenderanno a presentarsi con sorpren-dente frequenza. Creiamo la nostra vita. Pensiamo a come la immagi-niamo nel futuro. Identifichiamo i nostri scopi, obiettivi e compiti e cer-chiamo di essere concreti. Trasformiamoci in una calamita, sviluppiamo la fidu-cia nel fatto che incontreremo le opportunità adatte e che saremo pronti a coglierle. LA COMUNICAZIONE POSITIVA Quando riusciamo a pensare più positivamente ai rap-porti, e cerchiamo il meglio di quello che l’altro ci sta dicendo –e nella sua personalità– possiamo trasmet-tere energia positiva disinnescando situazioni poten-zialmente ansiogene. In genere, la nostra attenzione tende a concentrarsi sui segnali trasmessi dagli altri.

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Così, se qualcuno si mostra critico verso di noi, auto-maticamente riflettiamo su di lui quella sensazione negativa. Purtroppo, l’ostinazione ad un atteggiamen-to conflittuale alimenta i ‘rimpalli’ di colpa e i senti-menti negativi si rafforzano. Se riusciamo invece a focalizzare la nostra coscienza sulla coesistenza e sul positivo, giungiamo a una vi-sione più equilibrata e compiuta dei nostri rapporti con gli altri. LA CONCENTRAZIONE Tutti sappiamo che la nostra mente costituisce il po-tere centrale, il crocevia di tutti i pensieri, le idee, le immagini le decisioni. E’ anche lo strumento per mez-zo del quale siamo in grado di concentrarci e la con-centrazione profonda è un percorso prezioso verso il rilassamento. La concentrazione ci permette di imbrigliare la forza che deriva dalla focalizzazione della mente in un pun-to, superata la dispersione nei pensieri. In questo modo, possiamo raggiungere la pace interiore trovan-do valore nelle cose più piccole e apparentemente più insignificanti. La concentrazione ci aiuta a fermarci o a rallentare. Ci invita al non giudizio quando ci impe-gniamo in qualcosa. In definitiva rafforza il potere della nostra azione. Il potere della mente si estende in diverse direzioni: Il potere della percezione ci permette di vedere dentro le cose e di comprenderle davvero, senza complicazioni e con-fusione. Il potere della scelta ci richiede di scegliere ciò che sentiamo e il valore che attribuiamo al nostro sentire’.

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Il potere dell’energia interna può stimolarci verso nuove scoperte incoraggiandoci a ‘stare nella vita’ . Il potere della positività fa sì che infondiamo ener-gia agli altri con il nostro atteggiamento sereno. L’energia rimbalza verso di noi perpetuando un ciclo positivo. Il potere della concentrazione ci fornisce energia legata al potere ‘cumulato’ della mente, liberandoci da legami o frustrazioni, collera e preoccupazioni .

NON SI SMETTE MAI DI IMPARARE

“I cambiamenti nel modo di pensare presagiscono i cambiamenti nei comportamenti. Il cambiamento è necessario prima di tutto nel 'mondo delle idee' !”

L’ascolto del corpo, il rilassamento, la visualizzazione e la crescita psicologica sono per noi assolutamente vitali: portano, nella nostra quotidianità, un approfondimento qualitativo della nostra vita.

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I COMPITI INERENTI ALLO SVILUPPO

La vita ordinaria consiste di una serie di compiti inerenti allo sviluppo. Cominciando dalla prima infanzia, si deve imparare a gattonare e poi a camminare, a parlare, a controllare l'intestino e la vescica, e così via. In particolare, si devono apprendere le intricate sottigliezze del linguaggio in modo da potersi esprimere adeguatamente.

Si devono recepire i valori fondamentali della cultura di appartenenza integrandoli e automatizzandoli nella propria struttura mentale in modo da poter dire e fare delle scelte appropriate senza compiere ogni volta una fatica immane. Bisogna poi differenziarsi dai propri genitori, imparare un mestiere e provvedere al proprio sostentamento. Si deve imparare a socializzare e ad avere una vita sentimentale ragionevolmente soddisfacente. La maggior parte di noi dovrà anche imparare a dialogare con il proprio partner e a sperimentarsi come genitore. Certo non è poco, e nessuno riesce a realizzare tutto alla perfezione, ma la maggior parte della gente riesce a soddisfare i requisiti base di una vita relativamente normale.

LA PSICOLOGIA EVOLUTIVA Le ricerche psicologiche studiano i comportamenti de-rivati dal mancato sviluppo di questo apprendimento evolutivo. Così, nella prospettiva di una non evoluzio-ne, la persona può risultare incapace di costruire ami-cizie, di sentirsi a suo agio in compagnia di altre per-sone o di avere un lavoro perché non ha acquisito al-cune comuni capacità, oppure le ha apprese in un

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modo che denuncia il suo disadattamento. E’ altresì possibile che la persona non sia riuscita ad interioriz-zare la realtà consensuale, a plasmare la propria co-scienza affinché potesse funzionare automaticamente e così riflettere la realtà condivisa. In una persona con una grave patologia, come ad e-sempio la psicosi,emerge in modo ancora più eviden-te una forma di arresto evolutivo traumatico, soprat-tutto per quanto riguarda l'interiorizzazione della real-tà consensuale, sviluppando altre modalità di funzio-namento che interferiscono gravemente con le capa-cità comuni. La persona psicotica vive in una simula-zione interiore del mondo talmente lontana dal modo in cui tutti gli altri simulano il mondo che si ritrova terribilmente isolato da ciò che è la coscienza comu-ne. Possiamo quindi considerare efficace una psicoterapia che sappia, da una parte, individuare ed eliminare le cause della mancata acquisizione o messa in pratica dei normali compiti evolutivi, e dall'altra suggerire altre modalità di relazione con se stessi e con gli altri da poter integrare nella realtà attuale del paziente.

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VISUALIZZAZIONE E COSCIENZA In questa sezione ci proponiamo valorizzare gli argo-menti dei bisogni, dell’autorealizzazione, della consa-pevolezza, della crescita personale, dell’intuizione, della sensibilità e della capacità di attenzione. In altre parole, l’"essere presente". LA GERARCHIA DEI BISOGNI DI A. MASLOW Abraham Maslow, uno dei fondatori della psicologia umanistica, studiò dei soggetti felici e creativi che a-mavano la loro vita e che si sentivano realizzati. A partire da questo studio elaborò, tra l'altro, il concetto di ‘gerarchia dei bisogni’. In genere è necessario che i bisogni più basilari ven-gano adeguatamente soddisfatti prima che quelli ge-rarchicamente più elevati, per esempio la creatività o l’autorealizzazione possano diventare importanti. Un uomo che soffre la fame, ad esempio, non si pre-occuperà troppo di salvaguardare la propria immagine sociale se sacrificandola riuscirà a mangiare. Dall'alto al basso, la gerarchia dei bisogni di Maslow è

AUTOREALIZZAZIONE

AUTOSTIMA

AMORE E SENSO DI APPARTENENZA

BISOGNO DI SICUREZZA

FONDAMENTALI BISOGNI FISIOLOGICI

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la seguente: L'autorealizzazione si riferisce ad un innato bisogno di realizzare se stessi, di scoprire, sviluppare e utilizzare pienamente le proprie potenzialità e capacità. Sfortu-natamente, sono ancora poche le persone in grado di viversi tutto questo. Ma chi si impegna in questa dire-zione diventa capace di realizzare le aspirazioni più profonde e di sperimentare le proprie potenzialità. Nella nostra attività associativa abbiamo affrontato più volte questi temi, proponendo suggerimenti, ini-ziative e tecniche, ci siamo trovati d’accordo sul fatto che servono sia a migliorare la nostra vita quotidiana che a trascenderla, permettendoci la ricerca di valori personali più profondi. Proviamo ora un attimo a pensare: quante tecniche abbiamo già sperimentato? Tra quelle su cui ci siamo esercitati quante sono quel-le che abbiamo eseguito fino in fondo? La maggior parte di noi ha frequentato diverse espe-rienze di crescita personale. Molte delle cose che ab-biamo appreso, dopo qualche tentativo, le abbiamo abbandonate perché non accadeva niente di ‘spettacolare’. Dal punto di vista psicologico, il risultato di tutto ciò è che si è creato un implicito (e forse esplicito) atteg-giamento verso tali strumenti che ne sminuisce il va-lore ("Ce ne sono così tante"; "Io di quelle esperienze ne ho già sentito parlare; per quanto ne so non offrono niente di interessante"). L’aspettativa più comune è quella di voler ottenere risultati immediati da un qualsiasi training di crescita personale. Questa aspettativa talvolta supera la nostra sensibili-tà e ogni nostra capacità di risposta e di impegno ver-so strumenti e atteggiamenti nuovi ("Questa espe-

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rienza si discosta di poco dalle tante che già conosco e che comunque per me non funzionano"). Ora il nostro interrogativo è questo: come intendiamo comportarci nei confronti delle tecniche di crescita personale? Un approccio maturo dovrebbe partire da una piena accettazione del fatto che siamo stati esposti a tecni-che diverse senza praticarle. Naturalmente, è possi-bile che il risultato sia un attacco del nostro genitore interiore: "Tu avresti dovuto fare quelle cose perché ti avrebbero giovato. Sei pigro, sei pessimista". Non c'è bisogno di fornire ulteriore energia a questo auto-sabotaggio; in effetti, come abbiamo visto, possiamo osservarci per imparare a conoscerci meglio. Allo stesso modo, dovremo ammettere che probabil-mente abbiamo la necessità di concentrare gli sforzi. Tanto per cominciare, dato che ormai abbiamo una buona possibilità di scelta, non c'è abbastanza tempo per sperimentare tutte le tecniche. Poi c'è anche il fatto che alcuni di questi esercizi perseguono obiettivi talvolta opposti e quindi non è possibile combinarli. È difficile, ad esempio, praticare tecniche di tipo com-portamentale cercando contemporaneamente di as-saporare le sensazioni trascendenti che si ottengono concentrandosi e ripetendo un ‘mantra’. Poichè non disponiamo di una quantità illimitata di attenzione ed energia, è necessario scegliere di con-centrarci su una particolare tecnica che ci ispiri dav-vero, e dedicare con grande convinzione un periodo di tempo abbastanza lungo per poter cogliere in noi qualche risultato. Naturalmente all'inizio, prima di decidere di prenderci questo impegno, sarà utile ap-prendere e sperimentare, attraverso i corsi, un certo numero di tecniche ma, una volta deciso quale eser-cizio vogliamo esplorare, impegniamoci quotidiana-mente a eseguirlo per almeno due mesi , e facciamo-

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lo davvero. È con questo atteggiamento che dovremo avvicinarvi alle tecniche. Supponiamo che non succeda granché. Se queste e-sperienze inizialmente non sono molto soddisfacenti, proviamo a non cacciarle subito nel dimenticatoio: diciamoci, magari, con sincerità che non ci ispirano più di tanto e che abbiamo deciso di lasciarle perdere. Forse non siamo pronti per dirigerci verso questa for-ma di ascolto. Questo fa sì che ci sia una chiara interruzione, una fine esplicita. L’IMPEGNO CONSAPEVOLE VERSO LA PRATICA Se in seguito ad un corso trovate interessanti alcune idee e tecniche, il consiglio che vi diamo è quello di assumervi la responsabilità di un impegno cosciente e di dedicare attenzione al vostro tempo. Potreste formalizzare l'impegno per iscritto, oppure unirvi ad altre persone che seguono lo stesso tipo di percorso, magari creando un gruppo di studio e di ricerca. Un'ultima annotazione su questo argomento, prima di cominciare a parlare dell'osservazione di se. Abbiamo parlato di impegno verso se stessi perché desiderare profondamente di migliorarsi è fondamen-tale ma non è sufficiente. E’ necessario promuovere un’azione interiore ed esteriore che diano voce, in modo congruo, all’originario bisogno. Siamo alla ricerca della creatività e, benché spesso ci tocchi essere seri, dobbiamo anche essere capaci di un po' di leggerezza. Prendiamoci sul serio e facciamo lo stesso con il nostro obiettivo, ma proviamo a colti-vare anche la capacità di ridere di noi stessi . L'autoi-ronia, infatti, è assolutamente essenziale in ogni per-

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corso di autorealizzazione. DIVENTARE PILOTI DI SE STESSI Il nostro comune percorso comporta innanzi tutto che si apprenda come funzionano e operano i nostri mec-canismi psicologici e, successivamente, aiuta a sco-prire una parte vigile e sapiente della nostra mente, potremmo definirlo ‘il pilota’, in grado di guidare bene i nostri processi e di portarci fino alla destinazione che noi abbiamo scelto. Capire il funzionamento dei nostri meccanismi psico-logici è il lavoro dell' osservazione di se. Creare il nostro pilota è il lavoro del ricordarsi di se. La pratica dell' osservazione di se comincia con un desiderio e un obiettivo da parte nostra: "Voglio sa-pere chi sono realmente, e non solo come vorrei es-sere”. Questa è una decisione che deve essere costante-mente rafforzata, perché si oppone alla corrente dei processi automatici della falsa personalità e, a meno che non vogliate attivamente sapere la verità, è facile che si indebolisca e che venga sostituita accurata-mente dal ‘falso se’. Oltre alla volontà, questa decisione richiede pazienza e lungimiranza. Ci sono quantità enormi di cose da sapere e da sco-prire, l'impegno all'osservazione di se vorrebbe in re-altà essere un impegno ad assumere un atteggia-mento attivo, recettivo e comprensivo verso la vita. OSSERVAZIONE DI SE’ Nella sua forma più generale, la pratica dell'osserva-zione di sé comporta semplicemente che si presti at-tenzione a tutto quello che accade, mantenendo una mente aperta e curiosa di tutto ciò che avviene intor-

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no a noi. Questo tutto, quasi sempre,sarà un misto di percezione degli eventi esterni e di reazione agli stes-si. Dovremo lasciar cadere qualsiasi convinzione apriori-stica su cosa dovrebbe suscitare il nostro interesse, su ciò che è importante e ciò che non lo è. Tutto ciò che esiste è degno di essere osservato. Questa ‘apertura mentale’ dev'essere qualcosa di più della semplice attenzione intellettuale. L’attenzione che potremmo cercare di dedicare al mondo e a noi stessi è di tipo emozionale e fisico oltre che intellettu-ale. Spesso pensiamo che il processo di osservazione sia rappresentato dal dire prevalentemente il nome di ciò che stiamo osservando e sorvoliamo sui sentimen-ti che può suscitare quell’informazione. Che sentimenti provoca in noi, se ne provoca? Quali effetti produce nel nostro corpo? A volte le nostre osservazioni possiedono soltanto una o due di queste qualità, ma dovremo sforzarci di es-sere sempre aperti a tutte quante. Qualsiasi cosa ac-cada, andrà comunque bene. Quando saremo diven-tati bravi ad ascoltare, ad osservarci, ci accorgeremo che non è necessario che ci identifichiamo o che ci lasciamo coinvolgere da ogni attacco e da ogni dub-bio; questi diventeranno delle informazioni, dei dati su cui intervenire e non una sequenza di compulsioni irrefrenabile. L'osservazione è, quindi, una forma di attenzione, un atteggiamento verso se stessi utile sia nei momenti di difficoltà e sofferenza sia nei momenti di maggiore serenità. RICORDARSI DI SE’ Ogni osservazione equivale ad una fotografia di se stessi che ritrae un nostro modo di essere in una data

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situazione. Può capitare che delle singole osservazio-ni, delle singole fotografie, siano particolarmente ri-velatrici. Le raccolte di fotografie, la quantità di os-servazioni su noi stessi che andiamo raccogliendo, possono tuttavia essere ancora più importanti, perché ci consentono di avere termini di paragone, di indivi-duare modelli a prima vista poco evidenti, di poterci analizzare. E’, tuttavia, molto importante non confondere l’osservazione di sé con l’autoanalisi. Quest’ultima è un’attività intellettuale che può facilmente divenire troppo astratta offrendo una visione alterata dei fatti. Attraverso il ricordo di sé si integrano le proprie facol-tà dissociate in un insieme più unitario. Questa unita-rietà comporta un’espansione volontaria della co-scienza in modo che l’intero nostro essere, o perlo-meno alcuni aspetti di quel tutto, siano conservati nella mente insieme ai dettagli della coscienza. Si tratta di ricordare il proprio corpo, i propri istinti, i sentimenti e il sapere intellettuale; in questo modo si incoraggia lo sviluppo e il funzionamento integrato del corpo, delle emozioni e della mente. Creando un apposito centro di coscienza potremo co-struire un sé più vigile, una base che ci consentirà di conoscerci meglio e di funzionare con maggiore effi-cienza. Un esercizio relativo al ricordo di sé consiste nel fare mente locale alle varie parti del corpo, senza perdere di vista lo sfondo rappresentato dal nostro mondo interiore. La pratica in questione si chiama sentire, guardare e ascoltare. L'osservazione di se stessi sembra molto semplice, talmente semplice che talvolta siamo tentati di sotto-valutarla ritenendo che sia una cosa che già facciamo. Può essere, ma esercitandoci con costanza rimarremo piacevolmente sorpresi nello scoprire quanto più ricca

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può essere la nostra vita. CONCENTRAZIONE E RILASSAMENTO Per addentrarci nella pratica del nostro Training Men-tale gli argomenti di maggiore interesse riguardano le tecniche di concentrazione e di rilassamento. Le parole concentrazione e rilassamento hanno nu-merose e importanti accezioni. Diciamo di essere con-centrati quando siamo coscienti in modo focalizzato di qualcosa. Siamo rilassati quando proviamo benessere a livello psicologico, emozionale e fisico. Siamo in uno stato alterato di coscienza quando entriamo in uno stato alfagenico o di trance. Siamo in uno stato misti-co quando sperimentiamo realtà superiori e figure religiose. In tutti i casi chi si rilassa sta facendo qual-cosa per uscire dal suo abituale stato inferiore di real-tà che è mondano, non concentrato, non rilassato. Un altro livello di pratica della consapevolezza riguar-da la capacità di divenire attenti, vivendo ciò che la mente fa nel suo svolgimento. Per questo occorre metodo e pratica quotidiana per apprendere buone abitudini. Per afferrare in che cosa consista rilassarsi, bisogna rendersi conto di quanto poco presenti siamo normal-mente. Di solito, notiamo la tendenza della mente a vagare solo quando cerchiamo di eseguire un compito mentale e questo errare ci disturba. In realtà solo ra-ramente il corpo e la mente sono strettamente coor-dinati. Abbiamo pertanto la necessità di calmare e controlla-re la mente e di sviluppare le facoltà di comprensione che permettono di intuirne la natura e il funziona-mento. Lo scopo di calmare la mente non è solo quel-lo di creare stati di beato assorbimento o di dominare atteggiamenti e comportamenti ma è quello di intuire

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la natura della realtà al di là dei condizionamenti. In un certo senso si realizza un "risveglio" rispetto a qualsiasi cosa accada. Ci si rende conto di quanto spesso si è sconnessi dalla propria esperienza. Perfino la più semplice e piacevole delle attività quotidiane, come mangiare, conversare, guidare l'automobile, leggere, pensare, fare l'amore, fare progetti, bere, ricordare, manifestare i propri sentimenti scorre rapi-damente con la mente proiettata alla cosa successiva. Questo atteggiamento astratto, questo non essere presenti diventa l'abitudine con la quale teniamo a distanza la nostra esperienza. Fortunatamente le abitudini possono essere spezzate ed ecco la necessità di esercitare la consapevolezza. Questa non è solo relativa alla concentrazione su una posizione fisica, sul respiro o su comportamenti per dieci minuti o più, e quindi esercizio meramente tec-nico, ma è la capacità di sperimentare la presenza di sè in una prospettiva più ampia che include la vita quotidiana e anche la notte. Si può essere consapevo-li momento per momento, sempre. Quale è l'utilità pratica della consapevolezza? Fondamentalmente l'utilità è quella di portarci più vi-cini alla nostra esperienza. Nel suo movimento senza fine la nostra mente cerca di aggrapparsi a punti ap-parentemente stabili come i pensieri, i sentimenti o i concetti, dissociandoci dall'esperienza profonda delle cose. In noi governano le abitudini, ma non appena queste abitudini vengono affrontate con metodo si impara ad assumere un atteggiamento di "lasciar an-dare", "uno sforzarsi di non sforzarsi", che permette alla nostra mente di conoscere se stessa e di riflettere sulla propria esperienza. Questo è il principio di una maturità profonda che rende possibile divenire un'entità unica con la propria esperienza.

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Ma noi non siamo solo mente, il nostro radicarci nell'esperienza ci porta a una riflessione radicata nel corpo, nelle sensazioni. La consapevolezza diventa così azione concreta che spezza la catena di pensieri e di concetti abituali, in modo da diventare aperta a possibilità diverse da quelle contenute nelle nostre solite rappresentazioni dello spazio vitale. Il fatto che la nostra mente e il nostro corpo possano essere dissociati, che la mente possa vagare, che noi si possa essere inconsapevoli di dove siamo e di che cosa il nostro corpo o la nostra mente stiano facendo, è una questione di semplice esperienza. Questa abitu-dine a non essere attenti può essere modificata. Il corpo e la mente possono essere percepiti unitaria-mente. Possiamo sviluppare abitudini nelle quali essi siano perfettamente coordinati. Il risultato è una pa-dronanza della quale è conscio non solo chi pratica determinati metodi di rilassamento, ma è visibile an-che ad altri: un gesto animato da una completa con-sapevolezza viene facilmente conosciuto dalla grazia e dalla precisione con la quale è compiuto. Con l'eser-cizio la connessione fra intenzione e atto fisico diviene più stretta finché il loro distacco non è più percepibile e sparisce quasi del tutto. La consapevolezza in que-sta riflessione si rivela un tipo particolare di unità mente-corpo del tutto naturale ed auspicabile. Questo processo di apprendimento lo chiamiamo Training Mentale. Adesso ne parleremo più da vicino.

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CAPITOLO 4 CHE COSA E' IL TRAINING MENTALE? L'uso delle macchine ha creato nel tempo l'idea, an-gusta e pericolosa, che la mente umana abbia, come uno strumento o un apparecchio, capacita' di elabora-zioni statistiche date una volta per tutte. Ma non e' cosi'; e la storia del pensiero lo dimostra: le potenzia-lita' psichiche dell'uomo sono inimmaginabili. Su que-sta base il metodo di training mentale propone un percorso graduale, che ciascuno puo' individualizzare, per esercitare l'intelligenza come un muscolo e sfrut-tare le immense riserve della mente umana. Che cosa e' allora il TRAINING MENTALE? E' un metodo di lavoro su di se' che permette di dina-mizzare le facolta' intellettuali facilitando una migliore utilizzazione del corpo e della mente. In particolare sviluppa la CONCENTRAZIONE, la MEMORIA, l'INTUI-ZIONE e la CREATIVITA' interpretando i complessi processi della mente umana. La base per realizzare lo sviluppo della personalita' e dell'Io e' la pratica del RILASSAMENTO TOTALE che permette, in poco piu' di mezz'ora, il raggiungimento di un livello interiore di coscienza corrispondente al ritmo ALFA dell'attivita' elettrica del cervello. Esistono vari tipi di ritmi, o onde cerebrali, collegati a stati di coscienza: le BETA corrispondono allo stato di attenzione e concentrazione rivolta verso l'esterno; le THETA corrispondono ad alcune fasi del sonno o stati emotivi; le DELTA corrispondono al sonno profondo o ad uno stato grave come il coma, ma solo il livello ALFA sembra dotato delle maggiori potenzialita' di utilizzazione, almeno per l'uomo comune. Normalmente noi sperimentiamo tre stati di coscien-za.

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1. Stato di coscienza di veglia 2. Stato di coscienza di sonno 3. Stato di coscienza di sogno Ognuno di questi tre stati ha caratteristiche fisiologi-che ben precise e distinte. Attraverso la pratica rego-lare delle tecniche di Training Mentale si sperimenta un quarto stato di coscienza o stato meditativo con caratteristiche fisiologiche proprie e diverse dagli altri tre stati di coscienza: il corpo e' estremamente rilas-sato e la mente e' chiara e consapevole. In questo stato la vita e' vissuta più serenamente, il corpo e' sano e forte e si sviluppa una armonia che e' in sinto-nia con le leggi della natura. Durante il seminario di Training Mentale che dura tre giorni e che comprende l'insegnamento di circa 15 tecniche, si ha la possibilità di poter accedere a que-sto livello interiore. Infatti, apprendendo ad usare i segnali - stimolo, "agganci", di solito un gesto, un suono o un'immagine e' "facile" ritrovare questi "punti di riferimento". I miglioramenti dello spirito, come sappiamo, non so-no quantificabili e se vogliamo vincere un malumore, eliminare le inibizioni, rimuovere le cause di conflitto o sostenere un dibattito abbisogniamo di vaste nozio-ni di psicologia pratica. Il Training Mentale ha ben interpretato questa neces-sità dell'uomo moderno di ritrovare un equilibrio inte-riore e di avere fiducia in se stesso portando a mi-gliaia di persone la conoscenza di come funziona la mente a "certi" livelli. Questo metodo motiva la gente a credere nelle proprie possibilità potenziali ed e' senz'altro, per le sue applicazioni (lavoro, educazione, salute, sport, relazioni interpersonali), motore di cambiamento della società. Basta pensare all'ATTEG-

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GIAMENTO DI BASE che influenza e caratterizza l'e-laborazione delle esperienze di ognuno. L'atteggia-mento di base e' prevalentemente inconscio, tuttavia esercita una forte influenza sulle opinioni e decisioni e quindi sul pensiero e sull'azione. Ci sono vari atteggiamenti che simbolicamente si pos-sono assumere: vitalità, difesa, disinteresse, ten-tenza al passato e interiorità, prevalenza men-tale, ambizione, fiducia nell’avvenire, ma per vi-vere occorre un "sano" e "positivo" atteggiamento di base nei confronti della vita. Dalla Psicocibernetica sono arrivate le prime indica-zioni sul come fare: "agire in conformita' all'im-magine di se stessi", "creare un'esperienza pro-gressiva per sviluppare nuovi comportamenti", "potenziare la volonta' per mezzo dell'immagi-nazione", "utilizzare il sub-cosciente per acce-dere a soluzioni creative". Questi principi scientifici sono insegnati praticamente nel metodo di Training Mentale ma non e' il solo pregio di questa esperienza. Infatti è interessante l’abbinamento dell’uso dei colori

ROSSO - LIVELLO FISICO ARANCIONE - LIVELLO EMOZIONALE GIALLO - LIVELLO MENTALE VERDE - LIVELLO DELLA PACE BLU - LIVELLO DELL'AMORE INDACO - LIVELLO DELLE ASPIRAZIONI VIOLA - LIVELLO SPIRITUALE,

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dell’arcobaleno per richiamare i livelli dell'essere: e la simbologia che viene evocata attraverso visualiz-zazioni e fantasie guidate, quali veicoli di molte infor-mazioni e stimoli sulla vita psichica dell'individuo. La persona che utilizza queste tecniche, in particolare: Rilassamento Totale, Autoimmagine, Esperien-za Sintetica, Automiglioramento, Schemi di So-pravvivenza o Laboratorio Mentale può beneficia-re di notevoli risultati sui tre primi livelli: fisico - e-motivo - mentale e constatare una graduale consa-pevolezza di sé, degli altri e del mondo. I colori e le luci colorate hanno una grande influenza sulla vita di tutti gli esseri viventi. Tutto quanto ha un determinato colore e una vibrazione: le cose, le emo-zioni, i pensieri, gli stati d'animo ecc... Recenti scoperte hanno dimostrato grazie alla teoria dei biofotoni, che luce colorata a bassissima intensità viene emessa dalle cellule e costituisce un rapido mezzo di comunicazione infracellulare. E' possibile misurare questa mini energia emessa al nostro inter-no e si nota che se le cellule sono in uno stato di sa-lute emettono un certo colore, mentre se sono in uno stato di disequilibrio emettono su bande più scure. Visto che l'intero organismo (come tutto l'Universo) è vibrazione, energia elettromagnetica, allora se inter-feriamo mediante l'uso di luci colorate, abiti colorati, occhiali con lenti colorate, visione subliminale, ecc. possiamo riportare l'equilibrio là dove è stato momen-taneamente perso o indurre particolari stati. Frequenze dei colori: L'occhio umano riesce a percepire solo radiazioni comprese tra 4000 e 8000 Å (angstrom). Ogni fascia di lunghezza d'onda corrisponde a un colore ed ha una specifica azione terapeutica:

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ROSSO: 6200 Å (angstrom) = (620 nanometri) ARANCIO: 5890 Å (angstrom) = (589 nanometri) GIALLO: 5510 Å (angstrom) = (551 nanometri) VERDE: 5120 Å (angstrom) = (512 nanometri) BLU: 4750 Å (angstrom) = (475 nanometri) INDACO: 4490 Å (angstrom) = (449 nanometri) VIOLA: 4230 Å (angstrom) = (423 nanometri) Å= (angstrom) unità di misura delle radiazioni, cor-risponde a 1/100.000 di millimetro. Al di sotto del viola troviamo l'ultravioletto e al di s o p r a d e l r o s s o l ' i n f r a r o s s o . La quantità di energia di ciascun colore è inversa-mente proporzionale alla lunghezza d'onda. Più è alta la lunghezza d'onda più forte sarà la penetrazio-ne cutanea e minore la carica energetica. Quindi il rosso è il colore più penetrante, poi ci sarà l'arancio, il giallo, il verde, il blu, l'indaco e il viola. Quest'ultimo arriva a profondità limitate, ma infonde un'alta quantità di energia.

Rispetto alla medicina e alla psicoterapia classica, il Training Mentale e' un valido supporto per essere au-tonomi, in tempi relativamente brevi, da medicine, da atteggiamenti di sfiducia e di dipendenza. Rispetto alla società è un metodo per essere più coscienti del proprio valore e dei propri scopi. Questa esperienza costituisce un modo efficace per crescere e capire quanto importante sia dedicare un po' di tempo al giorno all'introspezione e desiderare di estendere il campo del proprio sviluppo personale. Infatti, il Training Mentale, e' una disciplina che si prefigge lo scopo di sviluppare l'utilizzazione di quel settore dell'attivita' mentale definita inconscia o soggettiva. Per farlo esistono diverse ipotesi ordina-

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trici che utilizziamo per entrare nello stato di coscien-za dal quale operare in modo efficace. • Una di queste ipotesi riguarda il fatto che sareb-

be meglio avere delle possibilità di scelta piutto-sto che non averne;

• un'altra e' la nozione di scelta inconscia. • Un'altra ancora e' che ogni persona possiede già

tutte le risorse che le servono per cambiare, purché possa essere aiutata ad applicare le ri-sorse appropriate nel contesto appropriato.

• Una quarta ipotesi e' che ogni singolo comporta-mento possiede in un certo contesto una funzio-ne positiva.

Queste considerazioni ci allontanano dall'insegnamen-to e dalla pratica terapeutica in quanto il cambiamen-to di qualsiasi atteggiamento e comportamento avvie-ne attraverso un approccio creativo, generativo o di arricchimento. Invece di andare alla ricerca di quello che non funziona in modo da aggiustarlo, si pensa semplicemente al modo in cui si potrebbe arricchire la propria esistenza. Gli strumenti che utilizziamo, come abbiamo già anticipato, riguardano quattro aree di intervento: Immaginazione Autoimmagine Rilassamento Sogno lucido con l'ausilio di circa 60-70 tecniche mentali e fisiche. Nell'apprendimento delle tecniche non c'e' niente di nuovo o di difficile, c'e' semplicemente un enorme sforzo di organizzare le potenzialità di cui ognuno e' dotato fin dalla nascita, in maniera costruttiva. Ciò che normalmente rende difficile l'utilizzazione di tali risorse sembra il fatto di averle "semplicemente di-menticate". Quando i bambini piccoli disegnano non si capisce be-

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ne cosa hanno fatto, se un albero, una mucca o una casa. Il disegno e' qualsiasi cosa loro vogliono che sia. Gli adulti invece, hanno fatto tante esperienze; queste sono diventate dei ricordi sbiaditi e successi-vamente delle abitudini e delle convinzioni radicate; e così hanno dimenticato com'era bello, allora, finire presto un disegno o un'esperienza per scoprire cosa voleva dire. I bambini sono molto "ignoranti", ma hanno molto più spazio per tramutare le cose. In altre parole, nel nostro sistema educativo si seguono degli schemi molto precisi, delle illusioni e una cultura che pongono dei grossi limiti al comportamento creativo. Se si puo' nascondere a se stessi inconsciamente ri-cordi piacevoli e gratificanti, nonché ricordi inaccetta-bili e dolorosi, ci chiediamo: " In quale misura e quanto spesso inganniamo noi stessi con un'azione mnemonica selettiva? E riusciremo a riconoscere fino a che punto le convinzioni inconsce - come "non sono all'altezza", oppure "non riesco ad eseguire il lavoro che si pretende da me" - limitano l'efficienza e le po-tenzialità individuali? Soltanto dopo aver riconosciuto la fantastica capacita' di inganno presente in noi stessi saremo in grado di constatare che la usiamo sia collettivamente sia indi-vidualmente. Gran parte di cio' che noi conosciamo come "vero", forse vero anche sul piano scientifico, puo' essere una falsa convinzione collettiva difficile da modificare perche' condivisa da tutti. Lo studio dell'esperienza umana interiore, o soggetti-va, pertanto, rappresenta un'esplorazione scientifica e sistematica dell'immenso e mal conosciuto universo esistenziale. La mente soggettiva e' potenzialmente molto piu' capace di quanto siamo soliti pensare, spe-cie sul piano intuitivo e creativo. E se abbiamo un co-si' smisurato potenziale, perche' non lo manifestia-mo? La risposta sembra: "ci ostacoliamo da noi".

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CROMOTERAPIA Luce, colori, terapie e salute L'influenza che i colori hanno sui nostri stati d'animo è nota a tutti (o, almeno, dovrebbe esserlo!). Ma i colori, se opportunamente usati, possono essere di grande aiuto anche nei disturbi del corpo fisico, of-frendo una valida alternativa, quando sia possibile, a l l ' u s o i n d i s c r i m i n a t o d i f a r m a c i . La cromoterapia ha delle solide basi scientifiche e viene applicata perfino in qualche reparto ospedalie-ro. Le vibrazioni dei colori hanno un'azione riequilibrante sul metabolismo cellulare. E' stato dimostrato da esami di laboratorio che le cel-lule, in condizione di salute, emettono una certa luce colorata, che varia a seconda del tessuto al quale ap-partengono. Se le cellule di un certo tessuto si "ammalano", ossia smettono di funzionare in modo ottimale, la loro emissione cromatica cambia ed influ-enza in tal senso tutte le cellule vicine. Applicando il colore appropriato, in base alla legge fisica della riso-nanza è possibile riportare il sistema alla sua origina-ria condizione di equilibrio. Questa la base scientifica della cromoterapia. Ma il vero valore dei colori va ben al di là di una semplice osservazione e sta nei risultati. La cromoterapia funziona sempre, anche su quei soggetti per i quali è da escludere un'azione di suggestione, come, per esempio, i neonati, gli animali e le piante. D'altra parte, tutti usiamo la cromoterapia pur senza saperlo: imparare ad usarla con consapevolezza non può fare altro che tradursi in vantaggi concreti per la nostra vita quotidiana. Che cos'e' la Cromoterapia? La cromoterapia è una medicina alternativa che

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usa i colori per aiutare il corpo e la psiche a ritrova-re il loro naturale equilibrio. I colori possono essere assorbiti in diversi modi: attraverso gli alimenti, at-traverso la luce solare, attraverso le onde elettroma-gnetiche della luce, attraverso il bagno, attraverso la meditazione, attraverso la visualizzazione. In particolare, la cromoterapia con onde elettroma-gnetiche è l'utilizzazione della luce colorata che, all'in-terno di una precisa lunghezza d'onda, penetra nei tessuti creando le condizioni di interagire con le cellu-le ripristinando l'equilibrio elettrico e chimico dell'o-meostasi cellulare migliorandone le funzioni biologi-che. Anche questa cromoterapia non cura i sintomi ma scende alle radici dello squilibrio e non lascia, come alcuni farmaci, residui dannosi che il corpo deve fati-cosamente eliminare. Non ci si deve stupire di fronte al fatto che le irradiazioni colorate agiscono sui nostri stati emotivi, sull'andamento del nostro stato psichico e sul nostro corpo favorendo così l'equilibrio, la calma e il benessere fisico. Proprio per questi motivi sempre più ricercatori e me-dici si stanno concentrando nell'analisi di questa me-dicina alternativa e più persone si stanno con essa curando data per certa l'influenza che i colori hanno sulla nostra psiche, sulle nostre emozioni e quindi sul nostro stato fisico, come anche documentato dal fa-moso test cromatico di fama mondiale di Luscher. Le origini La cromoterapia ha origini antichissime, poiché le medicine tradizionali hanno sempre attribuito grande importanza all'influenza dei colori sulla salute e sullo stato d'animo dell'uomo. Egizi, Romani e Greci prati-cavano l'elioterapia (esposizione alla luce solare diret-ta) per la cura di diversi disturbi. In India la medicina ayurvedica ha sempre tenuto conto di come i colori

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influenzino l'equilibrio dei chakra, i centri di energia sottile che vengono associati alle principali ghiandole del corpo. Anche i Cinesi affidavano il proprio benes-sere fisico all'azione delle varie tinte: il colore giallo serviva a rimettere in sesto l'intestino, il violetto ad arginare gli attacchi epilettici. In Cina, addirittura, le finestre della camera del paziente venivano coperte con teli di colore adeguato e il malato doveva indos-sa r e i ndumen t i d e l l a s t e s sa t i n t a . Negli ultimi anni la cromoterapia ha avuto un note-vole sviluppo grazie ai numerosi studi scientifici che evidenziano l'influenza dei colori sul sistema nervoso, immunitario e metabolico. Curiosita' Perché nella sale operatorie si usa il verde? Perché il verde ha delle riconosciute proprietà antibatteriche. E perché i bambini che nascono con l'ittero vengono posti sotto una luce blu? Perché il blu scompone la bilirubina, responsabile del fenomeno. Il viola rappresenta un efficacissimo sistema per di-magrire senza troppi sacrifici. E il rosso è un validissi-mo alleato di qualsiasi dieta. Con il verde chiaro, il viola ed il rosso si risolvono moltissimi disturbi femminili. Per dormire bene e riposare davvero occorre fare molta attenzione ai colori della camera da letto e del-le lenzuola. Per far abbassare la temperatura corpore-a troppo alta (quella che comunemente si chiama 'febbre'), sconfiggere il mal di gola e gli abbassamenti di voce, non è necessario rimpinzarsi di farmaci. Con alcune bottiglie colorate, riempite di comunissima ac-qua e poste al sole, puoi avere in casa, con pochissi-ma spesa ed ottimi risultati, un antirughe, un collirio, un disinfettante, un collutorio, un antidepressivo, un tonico… e tante altre cose ancora.

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DALLA VEGLIA AL SONNO: ONDE ALFA Apprendere per esperienza propria e' molto piu' edu-cativo che apprendere solo razionalmente. E' possibile imparare tutti i movimenti del nuoto mentre si sta distesi sulla pancia su una panca? Si puo' fissare il ritmo, la respirazione, i movimenti della testa, delle braccia, i movimenti dei piedi? Non basta. Quando si entra veramente nell'acqua ci si muove goffamente. E' nell'acqua che si deve imparare a nuotare. Quando l'abbiamo imparato, abbiamo imparato qualcosa che non scorderemo piu'. La cosa importante, allora, sara' imparare dalla propria esperienza. Tutti sappiamo, dagli insegnamenti della scuola, che dobbiamo impa-rare coscientemente. Invece, dentro l'acqua, si com-piono certe azioni inconsciamente. E chi non sa nuo-tare, non sa, non puo' descrivere le sensazioni del corpo mentre si muove nell'acqua. Nei momenti in cui si e' mezzi qui e mezzi la', quando non si e' ne' addormentati ne' svegli, in quello stato ipnagogico, si impara moltissimo sulla propria "sottile" esperienza mentale. Naturalmente ognuno ha il proprio modello individuale con i propri ritmi e una regola: "non cercare di capire un'esperienza mentre la si vive. Se si vuole capire un'esperienza, la cosa migliore e' lasciare a un tempo successivo l'esa-me, il riesame e l'analisi, a quando si sara' raggiunta una certa distanza dall'esperienza stessa". Il modo sistematico di apprendere dalla propria espe-rienza interiore e' quello di sviluppare e utilizzare il ritmo alfa del cervello. Ognuno di noi, nell'arco delle 24 ore, passa spontane-amente dalla veglia al sonno in modo del tutto sem-plice e naturale. E forse non tutti sanno che questo processo di passaggio dalla veglia al sonno consta di sette momenti concatenati. Inizialmente la persona

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ha un senso di vigilanza tranquilla. Poi, assopendosi, compaiono spasmi e scariche muscolari; la tempera-tura si abbassa. Successivamente, con i movimenti di rotazione degli occhi compare la fase delle fantasti-cherie con l'abbozzo di qualche sogno. Si passa al sonno, con due livelli di profondita', e il corpo si raf-fredda ulteriormente. Da ultimo, a parte movimenti spontanei del corpo e movimenti oculari piu' rapidi, compare il sonno REM, un fenomeno fisiologico estre-mamente importante per il recupero delle forze fisi-che e psichiche. Questi sette livelli sono stati definiti dagli studiosi partendo da osservazioni di varia natura: il tracciato delle onde cerebrali, il controllo del comportamento, la profondita' del sonno, controlli fisiologici vari e la presenza o meno dei sogni. Quello che gli studi hanno confermato e' che lo stadio di vigilanza distesa o di rilassamento, caratterizzato a livello di elettroencefa-logramma dal ritmo cerebrale alfa, appare simile al periodo REM sul piano sia fisiologico che su quello comportamentale. In altre parole, in pochi minuti, attraverso una tecnica di rilassamento e in modo del tutto cosciente, rag-giungendo la profondita' ottimale, si realizza uno sta-to fisiologicamente uguale a quello prodotto durante il sonno REM (con il vantaggio di minori inconvenienti - basti pensare ai sonni agitati - e del controllo dell'in-tero processo). Tutto questo e' possibile usando consciamente i ritmi cerebrali piu' lenti. COSA SUCCEDE QUANDO CI RILASSIAMO Il corpo si riposa, si ripara, elimina tossine e tensioni, il sistema immunitario si rinforza, le emozioni si cal-mano ed il cervello/mente comincia a produrre delle onde cerebrali diverse da quelle dell'attivita' ed estre-

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mamente benefiche (misurabili con l'elettroencefalo-grafo); sono le onde alfa o alpha (in molto casi anche theta). In questo gradevolissimo stato i sensi, le percezioni esterne ed interne aumentano e cominciano a funzio-nare in modo nuovo. Inoltre il rilassamento ci consente un maggior con-trollo su corpo e mente aumentando le capacita' di apprendere in modo naturale e piacevole. Studi recenti sostengono che per un apprendimento duraturo servano certe sostanze che rilasciamo quan-do ci divertiamo. Infatti in questo stato il sistema ner-voso libera delle piacevoli sostanze chiamate "endorfine"; le stesse sostanze che vengono liberate per calmare il dolore, dopo un allenamento sportivo o durante l'attivita' sessuale. Il rilassamento subliminale non ottunde in alcun mo-do le facoltà intellettive. Al contrario, stimola la crea-tivita', la memoria e l'integrazione fra le funzioni in-tuitive e le funzioni logiche della mente. Gli effetti di questa tecnica sonora e i suoi benefici si basano sull'esperienza concreta e su uno studio mul-ticulturale durato piu' di 15 anni, in cui sono interve-nuti volontariamente migliaia di soggetti. Ci auguriamo veramente che questo metodo divenga uno strumento efficace per farvi scoprire le forze na-scoste dentro di voi, dandovi lo stimolo necessario per concedere una pausa, uno spazio di rigenerazione alla parte piu' profonda e sconosciuta di voi stessi. LE ONDE CEREBRALI Nel corso della nostra vita quotidiana tutti noi speri-mentiamo diversi "stati di coscienza". Per esempio, nell'arco di una giornata, tra la luce del mattino e il buio della notte, ci muoviamo da uno stato ordinario di veglia ai diversi stadi del sonno.

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Ma anche gli stati di coscienza "straordinari" fanno parte della nostra comune esperienza: quando ci sen-tiamo particolarmente "creativi", insolitamente "intuitivi", eccezionalmente "lucidi", profondamente "rilassati". Ordinari, o straordinari che siano, tutti gli stadi della nostra coscienza sono dovuti all'incessante attivita' elettrochimica del cervello, che si manifesta attraver-so "onde elettromagnetiche": le onde cerebrali, ap-punto. La frequenza di tali onde, calcolata in 'cicli al secon-do', o Hertz (Hz), varia a seconda del tipo di attivita' in cui il cervello e' impegnato e puo' essere misurata con apparecchi elettronici. Gli scienziati suddividono comunemente le onde in "quattro bande", che corri-spondono a quattro fasce di frequenza e che riflettono le diverse "attivita' del cervello". FREQUENZE E STATI CEREBRALI Da un punto di vista scientifico, lo strumento per mi-surare le vibrazioni elettriche del cervello è elettroen-cefalogramma e si utilizza applicando degli appositi strumenti sulla superficie del cuoio capelluto. Il tracciato che ne risulta contiene, solitamente, fre-quenze al di sotto dei 30Hz. Le frequenze si possono classificare in 4 stati: Delta da 0,5 a 4Hz >> Sonno profondo Theta da 4 a 8 Hz >> Sonnolenza e primo stadio del sonno Alpha da 8 a 14 Hz >> Rilassamento vigile Beta da 14 a 30 Hz >> Stato di allerta e di concentrazione La frequenza dominante nell'elettroencefalogramma determina in quale stato il cervello si trova, e, se l'ampiezza delle onde alpha e' piu' alta delle altre, si dice che il cervello si trova nello stato Alpha.

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ONDE DELTA Hanno una frequenza tra 0,5 e 4 Hz e sono associate al piu' profondo rilassamento psicofisico. Le onde ce-rebrali a minore frequenza sono quelle proprie della mente inconscia, del sonno senza sogni, dell'abban-dono totale. In questo senso vengono prodotte du-rante i processi inconsci di autogenerazione e di auto-guarigione. ONDE THETA La loro frequenza e' tra i 4 ed i 8 Hz e sono proprie della mente impegnata in attivita' di immaginazione, visualizzazione, ispirazione creativa. Tendono ad es-sere prodotte durante la meditazione profonda. Il so-gno ad occhi aperti, la fase REM del sonno (cioe', quando si sogna). Nelle attivita' di veglia le onde the-ta sono il segno di una conoscenza intuitiva e di una capacita' immaginativa radicata nel profondo. Generi-camente vengono associate alla creativita' e alle atti-tudini artistiche. ONDE ALFA Hanno una frequenza che varia da 8 a 14 Hz e sono associate a uno stato di coscienza vigile, ma rilassata. La mente, calma e ricettiva, è concentrata sulla solu-zione di problemi esterni, o sul raggiungimento di uno stato meditativo leggero. Le onde alfa dominano nei momenti introspettivi, o in quelli in cui più acuta è la concentrazione per raggiungere un obiettivo preciso. Sono tipiche, per esempio, dell'attività cerebrale di chi è impegnato in una seduta di meditazione, yoga, taiji. ONDE BETA Hanno una frequenza che varia da 14 a 30 Hz e sono associate alle normali attivita' di veglia, quando siamo concentrati sugli stimoli esterni. Le onde beta sono infatti alla base delle nostre fondamentali attivita' di sopravvivenza, di ordinamento, di selezione e

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valutazione degli stimoli che provengono dal mondo che ci circonda. Per esempio, leggendo queste righe il vostro cervello sta producendo onde beta. Esse, poi, ci permettono la reazione più veloce e l'esecuzione rapida di azioni. Nei momenti di stress o di ansia le beta ci danno la possibilita' di tenere sotto controllo la situazione e dare veloce soluzione ai problemi. IL FENOMENO DELLA RISONANZA Nel 1665 il fisico e matematico olandese Christiian Huygens, tra i primi a postulare la teoria ondulatoria della luce, osservo' che, disponendo a fianco e sulla stessa parete due pendoli, questi tendevano a sinto-nizzare il proprio movimento oscillatorio, quasi "volessero assumere lo stesso ritmo". Dai suoi studi deriva quel fenomeno che oggi chiamiamo 'risonanza'. Nel caso dei due pendoli, si dice che uno fa risuonare l'altro alla propria frequenza. Allo stesso modo e per lo stesso principio, se si percuote un dia-pason, che produce onde alla frequenza fissa di 440 Hz, e lo si pone vicino a un secondo diapason 'silenzioso', dopo un breve intervallo quest'ultimo co-mincia anch'esso a vibrare. La risonanza puo' essere utilizzata anche nel caso delle onde cerebrali. Studi che si sono serviti dell'elettroencefalogramma hanno mostrato un' evidente correlazione tra lo stimolo che proviene dall'esterno e le onde cerebrali del soggetto in esame. Inizialmente, le ricerche in questo campo utilizzavano soprattutto la luce; poi, si e' passati ai suoni ed alle stimolazioni elettromagnetiche. Cio' che si e' osservato e' che se il cervello e' sottoposto a im-pulsi (visivi, sonori o elettrici) di una certa frequenza, la sua naturale tendenza e' quella di sintonizzarsi. Il fenomeno e' detto 'risposta in frequenza'. Per esem-pio, se l'attivita' cerebrale di un soggetto e' nella ban-da delle onde beta (quindi, nello stato di veglia) e il

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soggetto viene sottoposto per un certo periodo a uno stimolo di 10 Hz (onde alfa), il suo cervello tende a modificare la sua attivita' in direzione dello stimolo ricevuto. Il soggetto passa dunque ad uno stato di rilassamen-to proprio delle onde alfa. I DUE EMISFERI CEREBRALI Il cervello umano e' suddiviso in due emisferi: DESTRO: - sintetico (comprende l'insieme delle parti), concre-to, spaziale (coglie le relazioni nello spazio), intuitivo (usa sensazioni e immagini), analogico (usa le meta-fore), irrazionale, olistico (percepisce le strutture di assieme), atemporale e non-verbale. E' la sede delle attivita' creative, della fantasia. SINISTRO: - analitico (comprende i dettagli), astratto (giunge all'interno, partendo dal dettaglio), lineare (lavora in ordine sequenziale), Logico, numerico, razionale, simbolico, temporale, verbale. E' la sede di tutte quelle attivita' che coinvolgono il linguaggio, la scrit-tura, il calcolo. I due emisferi sono uniti da una lamina orizzontale di fibre nervose, il cosiddetto "corpo calloso". Ogni emisfero ha competenze proprie: l'occhio sinistro, l'orecchio sinistro e tutta la parte sinistra del corpo sono connesse all'emisfero destro; l'occhio destro, l'orecchio destro e tutta la parte destra del corpo sono connesse all'emisfero sinistro. I due emisferi, poi, funzionano in modo diverso; elaborano, cioe', tutti i processi informativi, secondo modalita' distinte. Per come si e' finora strutturata, la

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nostra società da' una maggiore rilevanza alle modalita' di pensiero dell'emisfero sinistro, tanto che fino a poco tempo fa i neurologi definivano "minore" l'emisfero destro. Ma, una visione piu' bilanciata delle due componenti, un maggiore equilibrio tra le funzioni, una armonia tra razionalita' e fantasia e' ciò che, oggi, forse, l'umanita' necessita con piu' urgenza. Uno strumento semplice ed efficace per riequilibrare il potere dei due emisferi cerebrali e' il suono. Come abbiamo visto, ogni attivita' cerebrale emette onde particolari, che possono entrare in risonanza con le onde sonore esterne. In questo modo il cervello viene 'veicolato' attraverso il suono, stimolato a sintonizzarsi su una frequenza (e quindi sull'attivita' cerebrale che le corrisponde), portato a funzionare come un insieme.

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CAPITOLO 5 UNA SINTESI DI MENTE E DI CORPO Il metodo di Training Mentale ed il suo insieme di tec-niche cercano di stimolare processi spontanei nell'uo-mo attraverso una pratica "formale". Queste tecniche evocano una sorta di attenzione con-sapevole, indirizzata e fluttuante, in cui il pensiero razionale viene saltato e le parole hanno assai meno importanza che nella vita abituale. Tipico di questo stato e' l'assorbimento o concentrazione al proprio mondo intimo. Il Training Mentale condivide con altri metodi lo scopo di alterare il modo di sentire la propria esistenza e di creare una "camera di isolamento" interiore. Si dice che l'individuo faccia di se stesso, in particolari mo-menti, il "centro" esclusivo dei propri interessi. Esistono due tipi di atteggiamento che si alternano nell'uso delle tecniche mentali: il primo e' "direttivo" e richiede una stretta concentrazione sull'oggetto in questione (colori, numeri, immagini, agganci menta-li); il secondo e' "permissivo" e richiede di "sforzarsi di non sforzarsi". Una alternanza di queste modalita' aiuta, da una par-te, ad evitare l'intromissione di pensieri estranei, dall'altra a tollerare pensieri e sentimenti inaccettabili che possono cosi' scaricarsi nella fantasia. Nella pratica quotidiana assistiamo alla necessita' di apprendere queste tecniche per rendere la vita piu' facile e piu' piacevole, ma quando parliamo di svilup-po personale in genere e' necessario rendersi conto che occorrono insegnanti e terapeuti qualificati per guidare l'aspirante sul cammino dello sviluppo interio-re, insegnanti capaci di dire "come" e "quando" modi-ficare o integrare le tecniche usate in modo da pro-muovere ulteriore sviluppo.

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Un effetto dell'uso quotidiano delle tecniche di Training Mentale e' quello di facilitare un risultato te-rapeutico denominato "normalizzazione". La nor-malizzazione procura la liberazione spontanea di ten-sioni psicofisiche residue prodotte da precedenti e-sperienze traumatiche o stressanti nella vita di una persona. Per praticare questo metodo occorrono dai 20 ai 30 minuti, seduti o distesi, in un ambiente tran-quillo. In tali circostanze si entra in uno stato "alfagenico" che tra l'altro si realizza comunemente e giornalmente in noi quando l'attenzione si concentra su un unico o su pochi oggetti, fatti o pensieri. Questa pratica non e' una forma di autoipnosi. Infatti, uno degli aspetti essenziali dell'autoipnosi e' l'aumen-tata ricettivita' a suggerimenti autonomi di comporta-mento fisico e mentale che si vogliono realizzare. Lo sforzo finalizzato e' una delle caratteristiche primarie di tutti gli stati autosuggestivi. Nell'uso delle tecniche di T. M., come le conosciamo e le utilizziamo, la diversita' dallo stato di autoipnosi e' che nulla si cerca con sforzo. Ora e' vero che influen-zando immagini mentali, o utilizzando particolari ag-ganci psicologici per indurre il rilassamento, si puo' parlare di suggestione o di controllo, ma hanno solo una funzione pratica per il raggiungimento di un piu' elevato stato di coscienza. Le tecniche del T. M. producono qualcosa di piu' di una semplice somma di onde cerebrali alfa. Esse in-fluenzano i vari sistemi dell'organismo ad un funzio-namento integrato provocando un rilassamento con-temporaneo di vari reparti fisiologici. Utilizzare e inco-raggiare le risposte antistress del sistema immunita-rio del corpo umano, diventa disciplina e metodo fruibile da migliaia di persone. Con strumenti quali sono serviti negli studi sulla "biocontroreazione" si e' riusciti a capire che processi

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involontari come il ritmo cardiaco, la pressione san-guigna, la temperatura corporea, le onde cerebrali e altri, possono essere influenzati da un atto di volonta' cosciente, mentre la visione dei rapporti tra mente e corpo e' stata rivoluzionata dalla possibilita' di "dominare" il corpo. Attraverso gli strumenti scientifici, quali il biofee-dback, si e' valorizzato cio' che si sapeva empirica-mente sull'uso delle tecniche distensive: la consape-volezza finemente armonizzata degli stati interiori; delle esperienze dello psicosoma che possono essere sentite, ma non definite razionalmente; del cambia-mento degli stati soggettivi; dell'elevazione dello "spazio interiore" a rispettabile territorio scientifico. I PENSIERI AL SERVIZIO DELLA NOSTRA NUOVA COSCIENZA Se la nostra esperienza non ci piace, vuol dire che bisogna modificare la natura dei nostri pensieri, im-magini e aspettative. Dobbiamo cambiare il tipo di messaggi che attraverso i pensieri inviamo al nostro corpo, agli amici e agli altri. Ciascun pensiero produce un risultato: uno stesso pensiero, ripetuto abitual-mente, produrra' un effetto concreto. Capire questo principio significa responsabilizzarsi per modificare le eventuali condizioni negative della vita che creano insoddisfazione. Nessuno ci obbliga a pen-sare in un determinato modo. Forse in passato abbia-mo imparato a considerare le cose in modo pessimi-stico. Forse crediamo che il pessimismo sia piu' reali-stico dell'ottimismo. Sta di fatto che abbiamo una mente e una coscienza per modellare, avvallare e for-mare le nostre creazioni. Tutte le aspirazioni profonde e le motivazioni incon-sce, tutte le spinte inespresse, si sottopongono all'ap-

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provazione o alla disapprovazione della mente co-sciente. Soltanto quando rifiutiamo la responsabilita' ci troviamo alla fine in balia degli eventi sui quali sembriamo non avere alcun controllo. Che ce ne rendiamo conto o meno, siamo stati noi a perseguire il nostro attuale stato, con l'impiego di molte risorse e per ragioni che in un certo momento avevano il loro valore. Dire a noi stessi: "Per me non ha nessun valore star male", oppure: "Non ho certo voluto io chiudere un rapporto". Non ci aiuta a capire "come" cambiare gli eventi e ad ap-prezzare la capacita' di trasformare l'esperienza per-sonale. Il metodo e' semplice. 'Dobbiamo usare consciamente le nostre capa-cita', esaminare la natura dei nostri pensieri, immagini e sentimenti, e proiettare quelli che approviamo'. La grande creativita' della coscienza e' un patrimonio che contribuisce alla realizzazione del nostro mondo quotidiano. Ogni effetto della nostra realta' e' genera-to da una fonte interiore che accade dentro la nostra mente. Abbiamo gia' spiegato come la mente abbia suoi livelli operativi in ogni fase del processo vitale. (Psicoterapia Organismica - L. Manfredini, 1993). Non e' un "caso" se il nostro corpo e' magro o gras-so, sano o malato. Noi siamo il quadro di noi stessi. Proiettiamo all'esterno, nella carne, cio' che pensiamo di essere. Tutti i nostri pensieri coscienti e inconsci, modificano e determinano la nostra immagine fisica. L'immagine di noi stessi e' caratterizzata dalle condi-zioni mentali che noi le assegniamo. La nostra indivi-dualita' e' , pertanto, latente nella nostra anima e ne va riconosciuta sia la storia che la memoria inconscia. E' la psiche creativa che ha il compito di stimolare le strutture psicologiche alla loro realizzazione. La psi-che si esprime attraverso una formazione psicologica,

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l'ego, finalizzata alla percezione della realta' esterio-re. L'ego e' formato da varie parti della personalita', una combinazione di caratteristiche in continua modi-ficazione che agiscono in modo unitario. E' la parte della personalita' che ha a che fare piu' direttamente con il mondo. E' una parte molto specializzata della nostra identita'. Quando l'ego assume funzioni di con-trollo anche sul mondo interiore, sfruttandone le po-tenzialita', obbliga la mente cosciente a operare solo in determinate direzioni e blocca la sua consapevolez-za rispetto ad altre. La nostra esperienza sgorga verso l'esterno dal centro della nostra psiche interiore. Gli eventi, le circostanze e le condizioni esterne non sono altro che una specie di feedback vivente. Modificando lo stato della psiche, modifichiamo automaticamente le circostanze mate-riali. I nostri pensieri, le nostre emozioni, le nostre immagini mentali si materializzano nella realta' psi-chica. Assumendo un atteggiamento diverso nei loro con-fronti, noi cambiamo di continuo anche gli aspetti piu' stabili della nostra vita. Anche la scelta delle intera-zioni con gli altri e' influenzata dal nostro modo di ve-dere. La nostra esperienza interiore influenza la realta' og-gettiva attraverso le strutture mentali dello spazio e del tempo. Lo spazio e' formato da oggetti che noi soggettivamente condizioniamo con pensieri ed emo-zioni. Il tempo e' tradotto nelle strutture psicologiche degli eventi. Da cio' risulta che ogni evento od ogget-to si concretizzano in forma simbolica nella nostra mente. Rimangono inscritti nella nostra memoria in costellazioni che noi alimentiamo in base alla nostre esigenze, consapevolezza e maturazione. Se perdia-mo un oggetto a noi molto caro, questo esistera' nel tempo assolutamente vivo finche' lo ricorderemo. In

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altre parole, noi reagiamo a pensieri, emozioni, im-magini, oggetti ed eventi che noi accettiamo come la realta', anche se non hanno piu' ragione di persistere. Siamo noi che creiamo la nostra esperienza attraver-so le nostre convinzioni su noi stessi e sulla natura della realta'. Noi creiamo le nostre esperienze attra-verso le nostre aspettative. I nostri atteggiamenti e-motivi sono lo sfondo, ne' positivo ne' negativo, del nostro essere. Pertanto, una volta imparato ad indivi-duare le sensazioni del nostro tono interiore, saremo consapevoli del suo potere, della sua forza e potremo accedere verso esperienze piu' profonde e vitali. E dunque, e' dalla nostra piu' ampia identita' che noi formiamo la nostra realta'. Dipende da noi farlo con gioia e vigore, mantenendo focalizzata la nostra men-te sulle potenzialita' della nostra identita' e delle sue espressioni. Proviamo a percepire dentro di noi i profondi toni di sensibilita'. Accettiamo qualunque cosa accada unica-mente come nostra. Ogni qualvolta ci sentiamo ner-vosi o irrequieti, dedichiamo qualche momento alla percezione del nostro centro interiore, e ci troveremo in contatto con il nostro essere sicuri. Le idee su noi stessi influiscono sui nostri pensieri e sulle nostre emozioni. Spesso consideriamo vere, in-discutibili e parte di noi le nostre convinzioni riguardo la realta'. Esse, diventano assunti invisibili che colora-no e formano la nostra esperienza personale. La nostra mente cosciente, attraverso immagini e in-tuizioni, ci comunica sempre il quadro chiaro della nostra realta'. Ma spesso permettiamo a idee precon-cette di bloccare questa intelligenza. Tutto cio' avviene a livello subconsciente. Esso ha il compito di contenitore di impulsi potenziali, e dovreb-be essere visto come territorio da esplorare e consa-pevolizzare in quanto contribuisce a creare la nostra

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autoimmagine. Le nostre convinzioni su di noi hanno il potere di realizzare o condizionare la nostra vita. Bisogna riconoscere l'esistenza di queste barriere per-che' rappresentano i confini della nostra esperienza. Imparando ad esaminare la natura delle nostre con-vinzioni saremo piu' consapevoli degli automatismi che ci inducono a pensare e sentire in un certo modo. E' importante rendersi conto che qualunque idea ac-cettata come verita' non e' altro che una convinzione nutrita da noi. Un modo per superare le barriere artificiali dei condi-zionamenti corrisponde ad una convinzione che si e-spande e che trapassa le idee false ed inibenti: Il Se' non e' limitato come crediamo. Il Se' non ha confini o separazioni. Noi creiamo la nostra realta'. Per capire cio' che siamo, possiamo imparare a sen-tirci in modo diretto, al di fuori delle nostre con-vinzioni su noi stessi. Nessuno puo' cambiare le nostre convinzioni per noi e nessuna convinzione ci viene imposta a forza dall'e-sterno. Noi, pero', possiamo cambiarle in noi stessi, con la consapevolezza e l'applicazione. A questo proposito, sarebbe opportuno scrivere le convinzioni su noi stessi, man mano che ne diventia-mo consapevoli ed esaminare i pensieri coscienti e le immagini riflettendo sullo stato della mente interiore o soggettiva, sulle intenzioni e aspettative. La sola presa di coscienza ci aiutera' ad affrontare in modo diretto difficolta' e problemi. I pensieri e le immagini, una volta esaminati, ci permetteranno di vedere do-ve stiamo andando. Essi possono diventare utili nel mostrare con chiarezza l'origine degli eventi concreti. Infatti cio' che esiste fisicamente esiste prima nei pensieri e nelle emozioni.

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SCELTA E LIBERTA’ La nostra vera libertà è quella di scegliere. Ogni volta che scegliamo abbiamo due risultati: il nostro io si differenzia e cresce, i nostri progetti si integrano e conquistiamo sempre maggiore spazio di libertà. Se non ci progettiamo e non scegliamo, ci sottraiamo alla presenza e allo sfondo dal quale emerge la nostra umanità. Se, al contrario, scegliamo responsabilmente in funzione di obiettivi realistici, ossia «facendo sì che il mondo accada», accediamo a una piena realizzazione di noi stessi. La scelta autentica di fatto è sempre un compromesso tra la ricerca della libertà e le condizioni del suo radicamento reale. Quando scegliamo in funzione di prospettive future non possiamo negare il passato ne tanto meno le costrizioni del presente, mentre se ci si lasciamo andare al piacere mmediato o ci si buttiamo compulsivamente nell'azione, senza ponderare adeguatamente le conseguenze della nostra scelta, di fatto non scegliamo, ma cerchiamo soltanto di compensare uno stato di profonda inerzia interiore e di evitare la paura d'incontrare le nostre fragilità. Una scelta che non tiene conto dei condizionamenti, non è una scelta autentica, ma soltanto una fuga dalla realtà. Ogni forma di progetto esistenziale comporta la valu-tazione di qualcosa che ci è possibile fare, ma anche di qualcosa che non ci è o non ci sarà più possibile fare. Quando scegliamo con maturità in funzione di precisi obiettivi non possiamo continuare a sognare che tutto sarà possibile. Ogni scelta comporta un sacrificio, «un prezzo da pagare», un qualcosa a cui rinunciamo. Chi sceglie in termini progettuali è costretto ad abbandonare le infinite possibilità

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dell'esserci dell'infanzia per canalizzare le proprie risorse nella realizzazione di un ambito più ristretto di possibilità. Un bambino può pensare di fare tante professioni, ma un adulto, quando sceglie di intraprendere una determinata professione, sa che dovrà dedicarsi ad essa «anima e corpo» e che dovrà abbandonare l'aspettativa di poter raggiungere altre mete professionali («Se farò il medico non potrò più fare l'avvocato. Se scelgo di fare una cosa non potrò più sperare di fare ed essere tutto»). La realizzazione di ogni scelta esige che ci impegniamo in toto per essa. Ciò non significa, tuttavia, che in assoluto una scelta debba precludere altre scelte. Essa, di fatto, comporta sempre un restringimento del campo delle possibilità, ma non dobbiamo dimenticare che se anche ci impegniamo per una precisa scelta, dobbiamo fare in modo che questa al momento opportuno possa rinnovarsi e, se ciò non fosse più possibile, legittimarci il fatto di poterla abbandonare. In altri termini, possiamo dire che la scelta di una professione diventa autentica se possiamo continuare a sceglierla, ossia se ci impegniamo perché questa aderisca col passare del tempo sempre di più alla nostra vocazione e ai nostri interessi. Le scelte radicali vanno perseguite anche nei momenti di difficoltà. Quando c'è nebbia non è positivo andare alla ricerca di nuove strade. Tuttavia se, nonostante il nostro impegno a rivitalizzare la nostra scelta, ci rendiamo conto che la strada intrapresa non porta più a nulla di buono, se verifichiamo che le condizioni oggettive non sono più quelle di prima così da non giustificare il permanere in uno stato improduttivo e talora dannoso, se la nostra scelta non è mai stata una vera scelta, perché dovremmo rimanere aggrappati alla scelta -o alla

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pseudo scelta -fatta senza darci nuove prospettive? Se da un lato non è opportuno restare nel limbo del tutto possibile, nella facile convinzione che in qualsiasi momento si possa fare una scelta diversa da quella di qualche attimo prima, come se ogni obiettivo fosse equivalente a un altro e tutto fosse indifferente, dall'altro è altrettanto opportuno garantirci in ogni momento ulteriori possibilità di scelta. Così chi sceglie un rapporto affettivo, non può circo-scrivere la scelta al giorno in cui ha dichiarato il proprio amore, ma deve impegnarsi affinché in ogni momento tale rapporto d'amore si rinnovi (altrimenti ciascuno, come oggi spesso accade, alla prima avvisaglia di crisi, si sente legittimato a interrompere improvvisamente la relazione con il proprio partner, nella ricerca, sovente, di chissà quale nuova, illusoria ed effimera soluzione). Tuttavia non possiamo illuderci che anche lo sforzo più strenuo possa rendere eterno un sì d'amore. In taluni casi, con il mutare di determinate condizioni, è necessario separarsi per potere ritrovare la propria capacità d'amare. Alcuni, pur di evitare la responsabilità di assumersi il peso della propria vita e della solitudine, preferiscono anziché ridare all'altro la libertà d'amare, trattenerlo legato a se, con minacce e ricatti affettivi, precludendosi così ogni possibile cambiamento. Per agire in funzione di scelte autentiche occorre riconoscere prima di tutto i propri desideri; senza la consapevolezza dei nostri desideri, privati della capacità di scoprire le priorità per le quali scegliere, d i ven t i amo «es t rane i a no i s t ess i » . La vera scelta non è né adesione passiva né opposizione a un altro, né fuga da qualcosa di insopportabile e neppure un veto, ma un sì a se

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stessi, un muoversi per realizzare qualcosa che è fortemente motivato dai nostri desideri. Quando compiamo una scelta dobbiamo chiederci per chi scegliamo: per noi o per gli altri, che cosa abbandoniamo, cosa ci lasciamo alle spalle, e soprattutto, cosa vogliamo raggiungere, in quali luoghi e con quali persone quella scelta ci conduce. Scegliere di partire senza la consapevolezza di ciò a cui si vuole rinunciare e della meta che si vuole raggiungere è sempre un fatto sospetto, che ci porta a rimanere degli insoddisfatti cronici, sempre pronti a lamentarci che «tutto va male e che il destino non ci aiuta». Ogni scelta comporta un prezzo da pagare, una rinun-cia, talora irreversibile, «a qualcosa che non saremo più o non avremo più». Talora il prezzo da pagare può essere in termini di denaro, di energia o di sofferenza, una sofferenza che oggi viene sempre più tacitata con il divertimento coatto e la chimica che assopisce l'anima. Cosicché la comprensione della nostra interiorità, come straordinaria offerta di senso e principio di libertà, è sempre più negata in modo più o meno manifesto. Il riconoscimento di se non procede solo sulla base di «ciò che siamo stati», ma anche sulla base di «ciò che saremo». «Senza scelte non ci si sceglie mai». Tutte le volte che assumiamo un atteggiamento rinunciatario, vaste zone della nostra personalità si atrofizzano, così, che l'urto dei nostri conflitti interiori prende il sopravvento. Quando, al contrario, rischiamo una qualche scelta la stima di noi stessi si amplia. Con la scelta diventiamo padroni delle nostre potenzialità, ci mettiamo in contatto con le nostre risorse interiori e nella ricerca di valori per i quali scegliere ampliamo le nostre capacità di giudizio.

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Possiamo osservare come in molteplici situazioni di sofferenza esistenziale vi sia uno stretto rapporto di inferenza reciproca tra l'assenza di progettualità e l'indebolimento della coscienza di se. Nelle varie forme di dipendenza come la droga, i disturbi alimentari, l’alcol e altri, notiamo come i soggetti si presentano incapaci di futurizzarsi e nello stesso tempo per effetto di una carenza di stima in se stessi sono impossibilitati a tollerare un qualsiasi tipo di frustrazione. Il tempo dell'identità non porta con se altro che non quello di cui ognuno è artefice nella realizzazione di sè e del proprio mondo. La nostra soggettività si configura come il prodotto di uno sforzo di ricerca di direzioni. Con la scelta non ci limitiamo ad essere ciò che sen-tiamo e pensiamo, ma siamo anche ciò che vorremmo essere, abbandoniamo gli inganni delle nostre parziali identificazioni, per scoprire la nostra vera identità. Quando soffriamo e siamo troppo identificati con la nostra sofferenza ci sentiamo tutt'uno con il nostro disagio, non riusciamo ad identificarci con l'altra parte di noi che, guardando dall' alto la scena della sofferenza, può trascenderla. Alcuni di noi, di fronte a un seppur minimo fallimento, cadono in depressione in quanto, identificando se stessi con il fallimento, rimangono impossibilitati a prospettarsi un altra immagine di se che non sia quella negativa del proprio essere falliti. Ma non dobbiamo aver paura di scegliere. Chi non sceglie parla spesso di provare ansia e noia. La noia non è conseguente all'assenza di piaceri, ma è il prodotto della diminuita capacità di dominare il tempo sulla base di una scansione determinata di obiettivi realizzabili. Quando ci annoiamo non è che non è che ci

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estraniamo dal piacere delle cose, semplicemente non attiviamo un processo positivo di cambiamento. Talvolta, percependoci costantemente in una condizione di «fragilità», mettiamo in dubbio le decisioni prese e lasciamo il più possibile che siano gli altri a decidere per noi, dimenticando che la fragilità è soltanto la conseguenza di quella perenne indecisione da cui siamo afflitti. Tra l’altro la noia è un tonico che stimola la possibilità di scegliere e di scegliersi. La motivazione di certi nostri blocchi all’azione riguardano la non identificazione di valori e di ideali. Ogni scelta di azione impone un fine, un modo di es-sere, una ricerca di valori. I valori indicano le priorità per le quali compiamo la scelta e la progettazione di noi. La progettazione di noi nel mondo si connette quindi alla conquista della conoscenza di valori. Non ci si può progettare in assenza di idee anticipatrici che danno un senso al corso della nostra esistenza. Sono i valori che guidano le scelte e con esse si pongono al costituirsi della coscienza individuale, là dove questa si configura non nell'inconsapevole sequenza di azioni, ma nella selezione ordinata di un quadro specifico di idee e di informazioni. I valori sono rappresentazioni mentali che, se incarnati nell'esistenza, servono ad orientare atteggiamenti, e pertanto sono implicati nel processo di individuazione. Il valore è una necessità interna, esprime ciò che deve essere oggetto di preferenza e di scelta; senza valori non ci sono scelte. Quello che ci prefiggiamo attraverso il programma di formazione di Psicologia Integrata MenteCorpo lo riscontriamo nella pratica psicoterapeutica e nei corsi,

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la volontà di conoscere dell'individuo deve essere educata al superamento dei valori chiusi al confronto e al cambiamento, e deve dirigersi nella ricerca di valori aperti alla verifica e alla riflessione. Educare ai valori non significa imporre valori, ma aiutare a diventare coscienti di un proprio mondo di valori e di propri ideali. Formarsi e crescere non riguarda un esercizio intellettuale, ma una riflessione su di se, un ritrovarsi nei propri conflitti e nei propri dubbi. Formarsi e crescere esige uno sguardo umile su se stessi, sui propri limiti e sui propri difetti. Fintanto che giuriamo di andare bene come siamo e di non volere cambiare nulla di noi, la nostra capacità di discernimento è compromessa. Per iniziare occorre che ci mettiamo in contatto con le nostre emozioni e con i nostri sentimenti, e che, talora, tali emozioni e tali sentimenti impariamo a esprimerli e «condividerli» con gli altri. Solo nel rivelarci per quello che siamo, anche con i nostri difetti, diventiamo capaci di svelare il «nemico interno», che ci vuole perfetti od arrendevoli. Occorre che impariamo a conoscere i nostri limiti, i nostri confini, le nostre possibilità.

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CRESCITA E SALUTE Siamo consapevoli che la nostra formazione come persone, la nostra esistenza e la nostra realizzazione hanno una dimensione fondamentalmente storica e sociale, e non è solamente la psicologia a detenere i segreti dei "fatti umani". La "crescita" e la "salute" sono, infatti, la conquista integrata di un processo educativo che si sviluppa in ogni esperienza umana. Si va a scuola per imparare a leggere e scrivere, si fa apprendistato per un lavoro, si fa di tutto per poter migliorare la nostra condizione materiale, ma chi ci può insegnare ad educare l'arricchimento di noi stes-si? Spesso siamo scoraggiati verso le discipline dell'auto-conoscenza dal retaggio che chi 'studia' se stesso, o è matto o è strano. Ma fortunatamente, i termini e gli argomenti psicologici sono all'ordine del giorno e sempre più comprensibili a una larga maggioranza di utenti. Molti si chiedono cosa vuol dire autostima, an-sia, insicurezza, ego, inconscio, ecc. Alcuni si pongo-no il problema di collegare i propri vissuti interiori con la loro realtà quotidiana. Molti hanno il problema di capire come possono stare meglio e non soffrire. Tutti prima o poi, sentono il problema della salute, della vecchiaia, della morte. Quando le circostanze impediscono alle persone di affrontare la realtà delle proprie vicende, si insinua, prima sottilmente poi prepotentemente, un "disagio" psichico e fisico che fa tremare le fondamenta della propria sicurezza. All'inizio, il disagio lo si vive "dentro" e questo rende difficile la presa di coscienza dei motivi che l'hanno provocato e soprattutto sul che cosa fare per ridurlo. "Dai propri problemi si esce da soli" è il motto di chi

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dimostra di aver ben appreso la lezione del nasconde-re le proprie "ferite". Alcuni le proprie ferite le curano in piazza, mentre altri se le negano, ma può essere utile se non indispensabile educare la presa di co-scienza di tali situazioni. Per se significa rendersi conto di vivere una situazio-ne psichica, corporea, ambientale spesso alienata. Questa comprensione aiuta a "cambiare", a usare nuovi strumenti, a dar vita alle modificazioni di se e dell'ambiente, ed è bene averla perchè nessuno aiuta uno scoraggiato e un impotente. Si lavora su di sè, si apprendono nuovi metodi, si u-sano nuovi strumenti e con orgoglio si fonda una per-sonalità sviluppata. Questo è quanto offrono le espe-rienze che in tempi concentrati aiutano a rivivere le tappe del divenire se stessi. Non ci vuole molto tempo per stabilizzare un "atteggiamento positivo" alla vita, mentre il processo della crescita non ha mai realmente fine. Al contrario, quando la nostra realtà è racchiusa attorno a mura apparentemente sicure, dove i conflitti vengono man-tenuti ad alto livello e mai chiariti, ci formiamo come persone insicure, scettiche nei confronti delle nostre capacità, succubi di un senso di inadeguatezza. Il "vero rischio" per la nostra identità personale è il non confrontarsi, il non raccontarsi, il non ascoltare. In tali condizioni, ed è normale, non è difficile rimane-re ingabbiati nella falsa coscienza di se stessi, in una realtà complessa, e percorrere le vie confuse tra loro della "nevrosi", della "ansia", del "conformismo", della "ubbidienza", della "rinuncia". Questo si può evitare quando non si evade la realtà ne la si accetta passivamente, ma la si comprende e la si fa propria.

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ABBIAMO PROBLEMI PSICOLOGICI O NO? Coloro che affrontano la psicologia per conoscersi o per vivere meglio, si pongono spesso il quesito delle malattie psicologiche. Ho problemi psicologici o no? Ho bisogno di aiuto o no? Ogni individuo ha in se tutti i sintomi delle malattie psicologiche. Ciò che fa la differenza tra salute, di-sturbo o patologia è l'intensità di questi sintomi. Per patologico, nell'ambito del nostro programma, non s'intende la persona malata di mente, da ricove-rare in manicomio o da sottoporre a cure psichiatri-che. E nemmeno che la patologia impedisce la vita attiva del lavoro e dei ruoli quotidiani. Per patologico ci riferiamo ai nevroticismi di normalis-simi individui, come ce ne sono milioni nel mondo, che si pongono il problema di vivere meglio. Per farlo vanno alla ricerca di consigli di persone e-sperte. Si avvalgono delle proprie idee, delle proprie intuizio-ni, della propria creatività. Sperimentano nuove soluzioni, nuovi itinerari filosofi-ci, nuove forme di saggezza. Si pongono il problema dell'imparare a vivere bene e del costruire da se la propria vita:

per conoscere i motivi dei propri comportamenti e di

quelli altrui;

per capire e rimuovere le cause di propri difetti;

per avventurarsi nella vita con un atteggiamento ma-

turo;

per aiutare la propria mente a sviluppare atteggia-

menti , sentimenti e comportamenti positivi.

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BENESSERE E AUTOGUARIGIONE Il benessere è qualcosa che è entrato sempre più nei nostri interessi quotidiani. Esso riguarda, depurato dalle ideologie consumistiche, la completa integrazio-ne di corpo, mente e spirito di un individuo che si prende cura di se e che è consapevole che ciò che fa, pensa, sente e crede ha un effetto sulle sue condizio-ni fisiche e psichiche. Il benessere è una scelta, è la decisione di cercare di raggiungere uno stato di salute ottimale e di vivere al meglio la propria vita. Il benessere è un processo, è una consapevolezza che non esiste un punto di arrivo, ma che la salute e la felicità sono sempre possibili nel momento presente, qui e adesso, qualsiasi siano le nostre condizioni. Il benessere è un modo di vivere, è uno stile di vita sensibile e attento a ogni sfera della vita: la sfera fisi-ca, quella emotiva, quella sociale, quella intellettuale, quella vocazionale e quella spirituale. Il benessere non è un approccio parziale, ma coinvol-ge il nostro essere totale. Il benessere richiede un continuo miglioramento e un rinnovamento in tutti i settori della vita. Il benessere poggia le sue basi sulla capacità del no-stro organismo di mantenere un equilibrio, di autori-pararsi e di crescere. Sta a noi aprire la mente, metterci in discussione e impegnarci per questa "nuova" frontiera. Dal funzionamento e dalle proprietà del DNA, delle cellule, dei tessuti, degli organi, ci rendiamo conto della straordinaria capacità dell'organismo di riparare i propri guasti, di riconoscerli, di riproporre un nuovo equilibrio: il nostro organismo è dotato, per la sua sopravvivenza e per la sopravvivenza della specie, di un sistema di "guarigione" spontaneo, efficace e

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sempre attivo. Nei secoli, come esseri umani, ci siamo adattati ai mutamenti ambientali, oggi siamo influenzati dallo stile di vita. E' aumentata la velocità ai cambiamenti cui siamo sottoposti. Lo stress, le emozioni, il dolore psicologico sono le variabili quotidiane con le quali ci confrontiamo atti-vando il nostro sistema di autoguarigione più alto, e cioè la nostra mente . Infatti è la nostra attività mentale cosciente che, quando viviamo un dolore psicologico, ci invita a rico-noscere la sofferenza come un lavoro che dobbiamo fare su noi stessi, fatto di passaggi di accettazione per raggiungere un nuovo equilibrio. Nel dolore psicologico, i meccanismi di guarigione del-la mente si esprimono attraverso un "anestetico" del dolore che è la negazione. Quando il dolore è insop-portabile subentra la rabbia o la depressione per il tempo necessario ad ognuno di noi di accedere ad una accettazione, resa, conscia. Il dolore cessa quan-do la perdita viene accettata e possiamo riacquistare la normale emotività in condizioni mutate. La mente funziona con equilibri meravigliosi! Il ruolo della mente nel processo di guarigione consi-ste nel far sì che tutte le sue strutture abbiano modo di esprimersi adeguatamente, comprese quelle parti della nostra psiche che consideriamo inconsce e quin-di incontrollabili dal punto di vista della coscienza. Il fatto è che dobbiamo ipotizzare meccanismi di gua-rigione ad ogni livello mentale riconoscendo a livello intuitivo istanze regolatrici col nome di sè superiore, sè transpersonale, sè corporeo o altri, il cui compito è quello di regolazione dell'intera personalità. Quindi, la nostra mente non può combattere contro il suo programma, pena la sofferenza. Essa deve agire,

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per ottenere dei risultati integrativi e salutari, attra-verso il meccanismo dell'accettazione. L'accettazione di una malattia, ad esempio, e quindi la guarigione di un aspetto parziale dell'organismo, è intrinsecamente correlata all'accettazione più ampia di noi stessi. Questo rappresenta un cambiamento che può dare inizio a una trasformazione della perso-nalità, e con essa, alla guarigione della malattia. Il traguardo finale vero della malattia è lo sviluppo della coscienza umana. In termini più fisici significa che il nostro sistema di guarigione agisce attraverso un terreno, attraverso un sistema immunitario, attraverso un sistema visce-rale e umorale che naturalmente si dispongono all'a-dattamento delle mutevoli circostanze ambientali. Questo processo è inconscio, ma un presupposto coe-rente con quanto stiamo affermando sui processi di guarigione, è che l'inconscio stesso "capisce" la natu-ra della malattia. Il problema per noi riguarda la capacità di riconoscere quei segnali, quei messaggi: sogni, immagini, sensa-zioni, intuizioni in grado di accedere alla coscienza per essere elaborati. Ecco un aspetto sul quale dedicare tempo e attenzio-ne: il contatto con il nostro corpo e il suo linguaggio. Accettazione, sottomissione, resa, quale sia il termine che si voglia usare, potrebbe essere proprio questo cambiamento mentale la chiave per aprire la porta al processo di guarigione e alla integrazione della perso-nalità.

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SINTESI Il ripercorrere la propria storia biografi-ca permette a volte di incontrare Espe-rienze dolorose e Verità insopportabili. Il vero problema però riguarda non solo il trauma in sé, ma la non consapevo-lezza, gli atteggiamenti vittimistici, gli schemi emotivi non sviluppati e le Illu-sioni. Un atteggiamento che aiuta a prendersi cura di sé riguarda la Responsabilità e la Convivenza con il passato, la Capaci-tà di vivere i Lutti, la ricerca di Vitalità, di Affettività e di Autostima. Tutto que-sto permette di contattare sentimenti autentici e di valorizzare quello che de-finiamo Sé creativo Il BENESSERE rappresenta il punto di equilibrio evoluto di ogni organismo. La malattia, invece, è il momento di ri-flessione profonda su quell’equilibrio, sui sistemi di autoguarigione, sul rap-porto tra sistema immunitario e psiche, sul sé biologico. La risposta costruttiva ad ogni malattia porta a una Integrazione della Persona-lità a Scelte di Salute e in definitiva a Qualità di Vita.

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ACCETTAZIONE Se le cose più importanti della vita riguardano la salu-te, il denaro, l'amore e la stima, per vivere serena-mente e felicemente occorrono invece fiducia e pa-dronanza di sé; e accettazione e serenità interiore per godere di ciò che si ottiene. Tutto questo non si ottiene magicamente ma lottando e cioè sviluppando la volontà di vivere e di crescere: portando avanti un processo di sviluppo delle qualità umane che sono nate con noi e che non abbiamo an-cora scoperto. Per stare bene occorre agire. Per essere infelici non dobbiamo fare nulla. Il passo fondamentale per crescere psicologicamente si chiama accettazione. L'accettazione è un processo di pensiero che riduce il dispiacere che avvertiamo quando qualcosa non va . Perdere stima, prestigio o potere provoca certamente dispiacere e forse anche rabbia. Sentimenti normalis-simi. Non è normale la rabbia eccessiva o il rimugina-mento ossessivo. Che fare? Imparare a memoria la parola accettazione. Fare in modo che salga alla coscienza, agisca sui sentimenti e ridimensioni la portata degli avvenimenti al loro reale valore. Nulla è più importante della vita, della salute o della serenità. Quindi, dobbiamo imparare ad accettare le perdite. La vita non è tutta rose e fiori, anzi. E per questo dobbiamo accettare gli inconvenienti e gli imprevisti di ogni giorno ricordando che più ci arrabbiamo per qualcosa che ci accade più diamo potere alle circo-stanze. L'accettazione non è una risposta passiva alle circo-

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stanze, è bensì la prima migliore reazione di fronte a ciò che è negativo. Alcune cose non le possiamo cambiare mentre altre le possiamo migliorare direttamente. Nel primo caso sarebbe opportuno imparare a rilas-sarci o infastidirci il minimo indispensabile. Nel secon-do caso dobbiamo accettare, rinforzarci e cercare di cambiare le cose. La realtà più difficile da padroneggiare però siamo proprio noi. E cambiare le nostre abitudini, percezioni o comportamenti è veramente difficile. Ma non im-possibile. Conosco persone che in particolari momenti della pro-pria vita hanno preso dolorosamente atto di aver vis-suto egoisticamente, senza valori e direzioni, e sono cambiati. Hanno deciso di cambiare. Hanno dato ani-ma e corpo, hanno lottato e hanno riconosciuto le proprie ristrettezze di cuore e di anima. E' necessario quindi raccogliere intorno ai propri sen-timenti tutta la costanza e la coerenza di cui siamo capaci per migliorare la nostra vita e il mondo che condividiamo. Accettare non significa però entrare a far parte di un'elite di pochi uomini esclusivi, significa bensì recu-parare il rispetto dell'altro che la pensa diversamente. Noi dobbiamo imparare ad accettare noi e i nostri sentimenti per accettare l'altro. Anche quando l'altro ci infastidisce, ci invita ad accet-tare la diversità, e cioè l'altro che abita in noi. Per fare tutto questo dobbiamo pensare il cambia-mento in ogni sua forma, interiore ed esteriore. E si può cambiare, non ha importanza l'età, l'importante è ritrovare le risorse e le motivazioni interiori. E' inutile credere che gli altri possano cambiare se prima non cambiamo noi. E ancora peggio è pensare che gli altri debbono essere convinti del nostro cambiamento.

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In realtà, più abbiamo timore di cambiare noi stessi, più cerchiamo di cambiare gli altri o ne cerchiamo l' approvazione. Dobbiamo cercare di abituarci ai cambiamenti, cer-cando di rendere più pratico ed elastico il nostro pen-siero anche di fronte alla mutevolezza altrui, all'incoe-renza altrui e alle incertezze dei rapporti interperso-nali. Dovremo riconoscere ai rapporti la dinamicità e l'evo-luzione. Dovremo accettare l'incertezza come la bel-lezza della vita. Per questo essere felici, non dipende dagli altri ma dipende da noi, dal riuscire a sviluppare le nostre qualità, dalla capacità di vivere il presente, di vedere il bello in ogni sfaccettatura, di capire, di gioire, di amare, di vivere bene insieme agli altri sa-pendoli accettare. Quando si è deboli e dipendenti da qualcuno di cui si ha bisogno perché, non tutti siamo sicuri e forti, biso-gna comunque accettare. E nel frattempo bisogna la-vorare su di sè, rinforzarsi e migliorare. Quando si avrà la necessaria indipendenza, la necessaria forza morale, e abbastanza coraggio si potrà fare quel salto di qualità che permette di troncare i rapporti che non vanno e costruirne dei nuovi che ci piacciono. La mente che pensa tutto questo è quella che costrui-sce pensieri, che crea amore, che penetra nell'essen-za delle cose, che fornisce gli strumenti per far rag-giungere alla nostra vita l'esperienza della felicità. Per questo dobbiamo imparare a pensare di più e me-glio. Dobbiamo cercare di sviluppare le nostre capaci-tà mentali e quell'immaginazione creatrice di pensieri alti per i quali vivere è un bel vivere.

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IL MUTAMENTO INTERIORE Il mutamento interiore è alla base di ogni cambia-mento. Il punto critico del processo interiore riguarda la con-figurazione di un mondo immaginato, mitico, attra-verso il quale viene mediata la scoperta di un nuovo mondo nella realtà. In effetti ciò che vediamo o non vediamo dipende dalla configurazione interiore che influenza la nostra realtà: una realtà che viviamo congruentemente e che creiamo attraverso le nostre scelte. Alcune di queste scelte riguardano la ricerca di un'e-nergia personale inesauribile, di individualismo e di fiducia in se stessi, di adeguatezza ad ogni circostan-za ed avversità. In queste ricerche ci si scontra sempre più con la soli-tudine: soli con se stessi, soli con gli altri, soli e senza radici. Ma la solitudine più profonda è quella di sentir-si senza guide interiori, senza occasioni che rafforzino i legami, senza esperienze che inizino al sacro. Invece di muoversi prevalentemente nello spazio bi-sognerebbe riappropriarsi del tempo, delle radici, del-le tradizioni. La più importante implicazione riguarda il cambia-mento di sè non attraverso le cure psicologiche o me-no, ma nuovi modi di vita, per cambiare modo di vi-vere. Cambiare è la parola magica di oggi , vorremmo abi-tuarci, vorremmo non legarci a nulla e vorremmo considerarla condizione naturale che da vita ai mira-coli che ci accadono intorno. Un punto intermedio tra la tradizione e il nuovo è la qualità dei valori dell'equilibrio e della serenità inte-riori. Queste si raggiungono attraverso l'ascolto delle nostre più profonde intuizioni, dicendo ciò che vera-

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mente pensiamo e riconoscendo chi siamo e chi sia-mo stati. Fare ciò che gli altri si aspettano da noi, rappresenta-re i ruoli che ci vengono richiesti, non rappresenta un cambiamento, ma un adattamento. Per evadere le nostre angoscie quotidiane paghiamo il prezzo della solitudine profonda e del senso di isolamento. A que-sti si accompagnano la depressione e la sensazione di non aver mai vissuto veramente, di essere stati esi-liati dalla vita. Il nostro sforzo di sfuggire ad ogni pe-ricolo ci fa appassionare a mete senza anima e dilapi-dare le nostre forze. Poco vediamo della natura e po-co rimane nei nostri cuori. Reggerci sulle nostre gambe, imparare a fare da sè e non dipendere da nessuno, ci invita a creare una soli-da comunità dove possiamo dire la nostra.

SINTESI Quando si identifica il compromesso che chiamiamo ADATTAMENTO e desi-deriamo modificarlo, occorre ipotizza-re un CAMBIAMENTO SOGGETTIVO dove le SCELTE CONSAPEVOLI vanno nella direzione di una maggiore ENER-GIA, AMORE DI SE', senso di FIDUCIA e di ADEGUATEZZA. Il GRUPPO come momento di incontro, relativamente alle potenzialità della comunicazione e della CONDIVISIO-NE, svolge un compito prezioso.

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ILLUSIONI LEGAMI LIBERTA' Le sensazioni che sentiamo insorgere dentro di noi davanti ad un tramonto o a un'aurora, davanti alla natura in generale, o quando si legge un libro e si è presi completamente, derivano da una autorealizza-zione: sono sensazioni dell'anima. La soddisfazione del lavoro, che prende tutta la no-stra attenzione, la sensazione di intimità o di affiata-mento che si può provare con un partner o un amico, sono sensazioni dell'anima. Ma non si tratta di sensazioni naturali. La società e la cultura in cui siamo inseriti ci ha insegnato che la feli-cità o la pienezza si raggiungono se ci comportiamo in modo edonistico e consumistico. Per non vivere una vita vuota e senza anima, il vero problema che dobbiamo affrontare riguarda le false certezze, i condizionamenti, gli schemi mentali co-strittivi, le visioni distorte del mondo. Siamo autenticamente programmati a fidarci delle certezze che abbiamo attinto dalla tradizione, dalla cultura, dalla società e dalla religione, arrivando al punto di compiangere noi stessi e non avvertire la nostra infelicità. E quando non sentiamo, non cerchiamo. E quando non sappiamo, non siamo responsabili. La colpa del nostro malessere viene attribuita a qualcun altro e ci sentiamo impotenti. Gli impedimenti alla felicità riguardano: l'attaccamen-to possessivo a cose e persone; la ricerca spasmodica di ciò che non si ha, invece di apprezzare ciò che si ha; la proiezione nel futuro al fine di controllare e pia-nificare i timori, le ansietà, i legami, i conflitti, invece di vivere nel presente; la manipolazione delle situa-zioni e delle persone con lo scopo di ristrutturare se stessi e il mondo, invece di migliorare i propri pensie-

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ri; l'appagamento di tutti i desideri, invece di chiarire le proprie false certezze. I motivi per cui siamo fondamentalmente "ciechi" ri-spetto alle false certezze, riguardano l'aver assunto come fatti concreti, e quindi realtà, la visione interio-re, e aver riconosciuto come unico mondo il mondo dei desideri, dei legami, delle paure, delle tensioni, delle ansie, delle colpe con quel carico di contraddi-zione che siamo tenuti ad accettare. Se si vuole raggiungere un grado di autonomia e di felicità si dovrà essere disposti a dire addio a quella serie di sogni e incubi, e quindi di illusioni, che riguar-dano i rapporti significativi e le cose a cui siamo tanto legati. L'utilità non sta tanto in un processo di distacco for-zoso, quanto nella capacità di togliere potere a realtà illusorie: un rinnovamento che libera dalla necessità di aggrapparsi avidamente a false certezze. La programmazione culturale che diviene program-mazione di abitudini e di comportamenti ci fa selezio-nare un'esistenza conforme ai programmi interiorizza-ti. Cosa succede quando diventiamo consapevoli e cer-chiamo di cambiare? Meccanismi interiori vengono sollecitati a mantenere gli equilibri preesistenti: entriamo in agitazione, evi-tiamo le situazioni o cerchiamo di cambiarle. L'effica-cia di questi meccanismi interiori consiste nel farci provare irritazione, apprensione, colpa e altre emo-zioni negative. Il problema vero però sta nel riconoscere che le emo-zioni negative che proviamo non sono derivate dalle situazioni o dalle persone, ma dalle nostre interpreta-zioni e dai nostri meccanismi di difesa. E' nella nostra mente che reagiamo in maniera negativa. Non sono le circostanze o le persone che invece sono quello che

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sono. Ci ritroviamo in una prigione interiore che distrugge la nostra serenità di spirito tutte le volte che le circo-stanze esterne non corrispondono al quadro interiore. E' dalla costrizione della nostra pianificazione interiore che dobbiamo essere liberati. La libertà interiore diventa la spinta necessaria e con-creta per percepire la realtà delle cose. Ma come faremo senza il concetto che se non abbia-mo certe persone o certe cose non saremo felici? Cosa ne facciamo della dipendenza emozionale? Noi fremiamo quando raggiungiamo i nostri obiettivi, diventiamo ansiosi quando non ci riusciamo, ci sentia-mo miserabili quando li perdiamo. Siamo letteralmente ostaggio dei nostri legami. Ci stressiamo invece di impegnarci a vivere. Ci condan-niamo a vivere in condizioni di tensione. E tutto que-sto per far aderire la realtà ai nostri desideri: per un poco siamo felici. E' così breve questo momento che già temiamo il momento in cui tutto questo ci sfuggi-rà. Ci sentiamo gelosi, infastiditi, oberati o depressi in relazione a qualche tipo di legame. Ovviamente percepiamo l'assurdità implicita di questa situazione, ma ci è stato insegnato che la felicità è legarsi, e che il prezzo può essere l'ansia, la delusio-ne, la sofferenza, però... quell'attimo, che meraviglia. Per essere autenticamente felici occorre allora depia-nificarsi, sciogliersi da quei legami che non possiamo chiamare neanche più nevrotici, ma normali. Una nor-malità che diventa follia per essere fuori dalla realtà. Una follia che viene pianificata, dove tutti siamo tenu-ti a condividere una "normale follia" e una "normale infelicità". Forse non sappiamo, e dovremo scoprirlo, che per liberarci dai legami non dovremo usare la volontà o la

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rinuncia, ma la consapevolezza. Dovremo aprire gli occhi su alcune verità per poter stabilire con le cose e con le persone quel rapporto di inter-libertà che na-sce dal cedimento di determinate illusioni. Possiamo vivere ed essere felici anche senza quelle particolari persone o cose. Possiamo godere delle cose senza diventarne schiavi. Possiamo rinunciare ad avere tutto perché, gli attac-camenti, quelli programmati, prosperano nel buio del-le illusioni.

SINTESI

Ogni attaccamento quando è POS-SESSIVO rappresenta una forma di CONTROLLO DELLE SITUAZIONI. Si sviluppa perlopiù inconsapevol-mente come una MANIPOLAZIONE DEL COMPORTAMENTO, propria e al-trui, con conseguente distorsione della realtà e illusioni sulla realtà stessa.

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CAPITOLO 6 PRATICA RICORDARE ESPERIENZE POSITIVE: "Ognuno in un certo momento del passato ha avuto un successo, anche se non un successo enorme. Puo' essere stato un fatto poco importante come l'af-frontare lo spaccone della scuola; vincere una gara; guadagnarsi l'affetto di una ragazza ambita da altri; o un successo nel lavoro. Non importa quello che hai fatto, quanto la sensazio-ne di successo che ha accompagnato l'azione. L'im-portante e' l'esperienza del momento in cui hai otte-nuto successo nell'eseguire cio' che volevi, nel rag-giungere cio' che avevi prestabilito e che ti ha conferi-to un qual senso di soddisfazione. Torna indietro nella memoria e rivivi queste esperien-ze di successo. Rivivile interamente e nei minimi par-ticolari, nella tua immaginazione. Scegli un'esperienza particolare. Consapevolmente cerca di "vedere" non soltanto l'av-venimento piu' importante, ma anche tutte le piccole cose insignificanti che hanno accompagnato il tuo successo. Quali suoni c'erano? Qual'era l'ambiente che ti circon-dava? Che cosa accadeva intorno a te? Che periodo dell'anno era? Quali sensazioni fisiche hai provato? Se puoi ricordare con sufficienti particolari cio' che accadde in passato quando hai ottenuto un successo,

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proverai gli stessi sentimenti che hai provato allora. Se riuscirai a ricordare i sentimenti che hai provato nel passato, essi verranno riattivati nel presente. Pro-verai fiducia in te stesso, poiche' essa e' costruita sul-la memoria di passati successi. Avverti questa gene-rale sensazione di successo. Cosa avverti nel corpo quando hai questa sensazione? Cosa provi emotivamente? Che pensieri hai? Che tipo di atteggiamento hai? Ora, dopo aver fatto sorgere e radicato questa gene-rale sensazione di successo volgi il pensiero ai tuoi progetti personali. Usa la tua immaginazione per vedere come agiresti o come ti sentiresti se avessi raggiunto questo risultato. Questa sensazione di fiducia si chiama "atteggiamento al successo". Ricorda che acquisire abilita' e' una questione di pra-tica, di esercizio fatto per tentativi ed errori, finche' non viene registrato nella memoria un certo numero di centri o azioni di successo. Quando esegui un'azione di successo, essa non solo viene registrata nella memoria cosciente, ma anche nei nervi e tessuti. Ricorda di andare con la memoria a quella sensazione di successo e di fiducia avuta in particolari circostan-ze. Ricorda i dettagli piccoli e incidentali che hanno ac-compagnato questo senso di equilibrio e di successo. Vediti mentre attui i tuoi progetti con successo, con la medesima sensazione di equilibrio e di fiducia.

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La nostra mente cosciente ha il compito di ricevere e interpretare i dati che arrivano dal se' interiore. Quando la addestriamo a raccogliere esclusivamente i dati dell'esperienza esteriore innalziamo barriere con-tro la conoscenza interiore. Questo stato di cose im-pedisce di attingere pienamente dalle fonti primarie del se' e nega le illuminazioni e le intuizioni che affio-rano di continuo e che non si possono ricevere in altro modo. Chiudendo fuori dalla nostra esperienza il va-sto apparato di conoscenze interiori, nel se', per quanto illusorie, compaiono le divisioni. Il se' per sua natura armonizza le impressioni ricevu-te da fonti oggettive e soggettive. Ma una volta che la mente cosciente ha accettato un gruppo di convinzio-ni contrastanti, e' necessario uno sforzo mirato alla loro eliminazione. Per cambiare la nostra esperienza o qualunque sua parte, dobbiamo cambiare le nostre idee e i dati sen-soriali che confermano una convinzione errata. Si tratta di cambiare un'idea errata su di noi e modifica-re le nostre convinzioni limitanti. Noi dipingiamo la nostra realta' con le nostre idee, ma non siamo le no-stre idee e nemmeno i nostri pensieri. Accettare, pe-raltro, ogni dato della nostra esperienza senza esami-narlo, indiscriminatamente, vuol dire essere ciechi e nient'affatto spontanei. Quando la mente cosciente accetta troppe false con-vinzioni e avverte il se' interiore come una minaccia, si sente assediata da una realta' che le sembra piu' grande di se' perdendo il profondo senso di sicurezza che dovrebbe farle da àncora. La messa a fuoco della mente cosciente e' rappresen-tata dall'ego. L'ego e' la nostra immagine fisica in re-lazione al mondo. La nostra autoimmagine, quindi, non e' inconscia, ne siamo perfettamente consapevoli anche se spesso respingiamo informazioni e pensieri

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distorcendone i messaggi. Prestando ascolto al filo dei pensieri che scorrono in testa nel corso della giornata prendiamo atto di come si materializzano nella nostra esperienza quotidiana. Se ci soffermiamo mentalmente sulle limitazioni, pri-ma o poi le incontriamo. Creiamo allora un nuovo di-pinto nella nostra mente. E dovra' riguardare gli am-biti in cui desideriamo un cambiamento. La mente cosciente e' in continua mutazione. Quando e' guidata dall'ego si conforma alle sue convinzioni. Se queste convinzioni sono cristallizzate l'ego realiz-zera' le proprie potenzialita' limitate. Se siamo malati, per esempio, ci sara' una ragione. Noi pensiamo che per guarire completamente bisogna scoprirla. Una volta compreso che siamo noi a creare la nostra realta' dobbiamo lasciare che la mente cosciente sco-pra i contenuti delle convinzioni che sostengono la malattia. In questo modo i problemi inconsci vengono riconosciuti e agiti attraverso un processo cosciente. Il rilassamento e la visualizzazione saranno le due condizioni per arricchire la nostra esperienza e com-prendere la malattia o qualsiasi comportamento erra-to.

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LE FASI DELLE VISUALIZZAZIONI IL procedimento completo per ogni esercizio di visualizzazione proposto in questo testo consta di un certo numero di fasi concatenate. 1) Raggiungimento dello stato alfagenico attraverso il rilassamento. 2) Visualizzazione di un posto tranquillo della natura. 3) Visualizzazione di agganci psicologici ( Schermo mentale, laboratorio). 4) Contatto con l'archetipo che si intende utilizzare ( Innocente, martire, guerriero, guaritore, viandante, mago, etc.). 5) Esecuzione della tecnica che deve preve-dere l'integrazione di pensiero-azione-emozione e il raggiungimento finale di un rilassamento equilibrato. 6) Fissare l'attivita' mentale (Attenzione-memoria-pensiero) sul risultato raggiunto. 7) Celebrare la consapevolezza raggiunta con suoni e movimenti. 8) Rivivere le situazioni passate in modo "alternativo" riparando passati condiziona-menti. 9) Concludere, salutando e ringraziando .

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E' opportuno diventare coscienti dei pensieri che nu-triamo. Renderci conto di come essi formino la nostra realta'. Concentrarci su quelli che consideriamo desi-derabili per estendere la nostra esperienza. Per aiu-tarci, possiamo esaminare la nostra realta' quotidiana in tutti i suoi ambiti: familiare, amicale, lavorativo. Se riscontriamo una realta' positiva, le nostre convinzioni sono benefiche, ma se riscontriamo una realta' nega-tiva, e' bene prendere atto delle nostre convinzioni e cominciare ad esaminarle e cambiarle. Le idee hanno una realta' elettromagnetica. Le con-vinzioni sono forti idee sulla natura della realta'. Le idee producono emozioni. I simili si attraggono, e co-si' idee simili si raggruppano tra loro e noi accettiamo quelle che si armonizzano con il nostro particolare sistema di idee. Le nostre inclinazioni e capacita' vengono realizzate attraverso cambiamenti e adattamenti continui del nostro se' integrale. Per realizzare compiutamente le sue potenzialita' il se' agisce le proprie pulsioni attra-verso l'autoimmagine. L'autoimmagine diventa l'occa-sione della messa a fuoco della mente cosciente e at-tua i suoi adeguamenti secondo idee maturate. Quando determinate convinzioni ci impediscono di riconoscere parti di noi, i messaggi arrivano ugual-mente. Siamo noi che non vi prestiamo attenzione. Ma se li cerchiamo sono li'. Pertanto cio' che conside-riamo inconscio, e' semplicemente un materiale inac-cessibile per mancanza di consapevolezza o elabora-zione di determinate informazioni. Tutto cio' che dobbiamo fare e' decidere di esaminare i contenuti della nostra mente cosciente, consapevoli che essa contiene tutto cio' che abbiamo trascurato. I pensieri e le immagini rivelano chiaramente le nostre convinzioni. E che lo vogliamo o meno, producono effetti nella nostra vita quotidiana.

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L'immaginazione ha una parte importante nella nostra vita soggettiva, poiche' da' mobilita' alle nostre con-vinzioni. E' uno degli agenti stimolanti che aiutano a trasformare ogni idea in azione fisica. E' pertanto es-senziale comprendere l'interrelazione tra le idee e l'immaginazione. Per riuscire a smuovere le convin-zioni insoddisfacenti e a promuovere le nuove, dob-biamo imparare a usare l'immaginazione in modo og-gettivo. L'uso corretto dell'immaginazione e della vi-sualizzazione dara' maggiore spinta alle idee da noi auspicate. Se seguiamo, attraverso i pensieri e le immagini inte-riori, il corso degli avvenimenti spiacevoli della nostra vita, scopriamo che essi erano vincolati a convinzioni ben precise, maturate in determinati eventi e sistemi di idee. Quindi abbiamo la piena responsabilita' della nostra realta'. Possiamo cambiarla attraverso un pro-cesso di consapevolezza e di cambiamento personale. Infatti, reagiamo alle circostanze della vita che si u-niformano al nostro sistema di convinzioni. Piu' e' in-tenso il campo di convinzioni e piu' cerchiamo, nella realta' che viviamo, le circostanze che vi si adattano. Non e' pensabile, quindi, non riconoscere il proprio sistema di convinzioni senza subire la mortificazione di una vita limitata e limitante. In un'ottica generale, i termini positivo o negativo hanno poco valore, perche' l'esperienza quotidiana va intesa come un'esperienza di apprendimento. Se ab-biamo un atteggiamento mentale negativo, questo, ovviamente, interferisce nel normale svolgimento del-la nostra vita. Se riconosciamo alcune convinzioni rimaste invisibili all'attenzione cosciente; le focalizziamo nella concre-tezza della nostra esistenza; e le riconosciamo come false, i suoi effetti svaniranno grazie all'accettazione di una nuova realta'.

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"Io non valgo niente". "Quello che faccio e' inutile". Sono esempi di convinzioni limitanti. Ma, nel consa-pevolizzare le proprie idee e' bene focalizzare quelle negative, per cambiarle, e quelle positive per trasfe-rirle in ambiti piu' estesi della propria esperienza. Via via che le convinzioni cambiano, la nostra espe-rienza e il nostro comportamento si modificano, e noi diventiamo piu' creativi. Quando dissolviamo una convinzione radicata si apro-no interrogativi su altre limitazioni. Si arriva a com-prendere che il benessere raggiunto apre ad ulteriori profondita' dell'esperienza prima inaccessibili. Certe cose capite attraverso vari disagi, possono essere re-alizzate senza doversi ammalare ancora o sbagliare. Creano uno stress,ed e' vero, ma uno stress creativo che ci incoraggia ad accettare e affrontare le diffi-colta' come opportunita' di crescita personale.

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COME MODIFICARE LE CONVINZIONI Quando esaminiamo i contenuti della mente co-sciente, dobbiamo riconoscere, i connotati emo-zionali e le immagini collegate a una determinata idea. Dobbiamo generare un'emozione opposta a quella prodotta dalla convinzione che si vuole cambiare. Dobbiamo volgere la nostra immaginazione nella direzione contraria a quella dettata dalla nostra convinzione. A livello razionale prendiamo coscienza che la convinzione insoddisfacente e' un'idea sulla realta' e non la realta' stessa. Le idee non sono immobili. Le emozioni e l'im-maginazione le orientano, le rafforzano o le vani-ficano. Agire "come se", "facendo finta" che il desiderio sia perfettamente reale, e' un modo di agire cre-ativo che inventa nuove possibilità di azione.

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RILASSAMENTO TOTALE PREMESSE E INDICAZIONI Tra le prime tecniche di psicologia pratica insegnate all'interno dei seminari di T.M. troviamo appunto il rilassamento totale. Questa tecnica puo' essere utiliz-zata in varie direzioni e con diverse modalità a secon-da della inclinazione dei soggetti che la praticano. Pur nella diversa utilizzazione di una medesima tecni-ca di rilassamento e' indispensabile, all'inizio, seguire alcune semplici regole: 1) Programmare le sessioni di rilassamento a stoma-co vuoto evitando, un'ora o due prima, il consumo di stimolanti come caffè o thè. 2) Scegliere una stanza relativamente tranquilla dove si possa restare soli. Il rilassamento deve essere pre-so sul serio, evitando le distrazioni. 3) Non stare rivolti verso la luce, che puo' essere vis-suta come interferente. Non e' necessario che la stan-za sia buia, ma la luce soffusa e' piu' piacevole. 4) Sedersi su una sedia o distesi in una posizione co-moda e sciolta. Togliersi le scarpe e allentare legger-mente gli indumenti aderenti al corpo. 5) Può succedere di cambiare posizione, stirarsi, sba-digliare o grattarsi. L'importante è sentirsi a proprio agio. Il rilassamento comporta non il dominio delle distrazioni ma un momento di disteso isolamento con se stessi. 6) Se nel seguire le istruzioni, non si ricordano i pas-saggi tecnici perfettamente, è bene concedersi tempo e non darsi fretta. Non uscire dallo stato di rilassa-mento in modo brusco, ma muoversi lentamente, sbadigliare se occorre, stirarsi e solo successivamente alzarsi, come al risveglio da un sonno profondo. 7) Far durare il tempo di rilassamento 20/30 minuti. All'inizio si puo' sbagliare ma con l'esperienza si sara'

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più che puntuali. 8) Finito il rilassamento prendersi il tempo, un mi-nuto o due, di tornare ai pensieri quotidiani, prima di aprire gli occhi. 9) Non aspettarsi risultati immediati, ma avere fiducia di realizzare primariamente una condizione di tran-quillità e di non sforzo. LA TECNICA Per rilassarsi da un punto di vista fisico si comincia dalla testa e si individuano, senza soffermarsi troppo a lungo, le sensazioni e le immagini connesse alle specifiche zone, e si usano frasi e parole che facilita-no il processo di distensione. Le parti del corpo che vengono focalizzate riguardano il cuoio capelluto e la fronte, la nuca e gli occhi, la mascella e il viso; si pro-segue lungo le spalle, le braccia, la schiena, il torace, l'addome, gli organi interni, il bacino, le gambe e i piedi. Terminata questa prima fase, si passa al rilassamento del livello emozionale che viene attuato concentran-dosi, alcuni momenti, su emozioni positive quali la gioia, la felicita', la contentezza, la disponibilita', il sentirsi utili e cosi' via. Questa fase persegue lo scopo di evocare uno stato d'animo piacevole creando un equilibrio emozionale positivo; insegnando un control-lo sul delicato equilibrio tra emozioni negative e posi-tive. Il rilassamento mentale, invece, si persegue focaliz-zando o ricordando immagini rilassanti e serene della natura. Questo orientamento della mente su immagi-ni naturali ha lo scopo di aiutare a prendere le distan-ze dai problemi e dalle preoccupazioni quotidiane. Se viene realizzato l'ottimale rilassamento-distensione del corpo, dell'animo e della mente e'

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possibile vedere se stessi in pace con il mondo, come se ci si trovasse sul tetto della propria casa ad osser-vare, in tutta tranquillita', quello che accade all'inter-no. Questa fase e' molto utile quando i problemi quo-tidiani vengono vissuti con troppo coinvolgimento. Successivamente ci si concentra, come naturale evo-luzione, sui sentimenti e gli affetti piu' genuini che viviamo o che vorremmo vivere. La meta sara' vivere il sentimento piu' potente che ci sia: l'amore. Cosi' facendo, si concretizza la riflessione sulle nostre aspirazioni personali e collettive, intese come il fine ultimo del nostro io piu' profondo, o se' interiore. Da ultimo si stabilisce un contatto con la nostra real-ta' piu' intima, quella che riguarda la dimensione spi-rituale. In questo stato di profondo rilassamento il conscio viene "soggiogato" e placato, mentre la voce quieta e sottile che proviene dall'inconscio e' in grado di espri-mersi in sensazioni ed immagini. Come abbiamo accennato, in coincidenza di inclina-zioni personali diverse e per facilitare l'uso eclettico della tecnica di rilassamento, si possono utilizzare una o piu' alternative. La concentrazione sulla lunghezza d'onda dei colori. Una volta appresa la sequenza dei colori la si ripete piu' volte lasciandosi avvincere, in ognuno dei colori, da sensazioni, immagini e agganci mentali diversi. Queste ultime, ad ogni ripetizione di esercizio, saran-no sempre piu' evidenti, particolari e sentite all'inter-no. La concentrazione sul respiro. Nell'insieme delle varie tecniche di respirazione inse-gnate risaltano tre aspetti: l'attenzione al respiro,

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l'accompagnamento dentro-fuori del respiro e la natu-ralezza con la quale il respiro deve compiersi. L'attivita' motoria in rilassamento. Si basa su movimenti segmentari lenti compiuti senza sforzo, usando il minimo di energie. L'intento e' quello di abbandonarsi al flusso del ritmo naturale dell'orga-nismo sviluppando la capacita' di "sentire". La visualizzazione. E' la capacita' di potersi concentrare su immagini mentali per "vedere" e facilitare scoperte o cambia-menti interiori. Nel metodo del Training Mentale, queste varie possi-bilita' sono integrate per dare l'opportunita' ad ogni praticante di recepire, sin dai primi momenti dell'ap-prendimento, dei benefici sia fisici che psicologici. Non va dimenticato che se il metodo si apprende "facilmente" nell'ambito dei seminari, successivamen-te, attraverso riunioni o incontri individuali, un piccolo costante impegno e' d'obbligo per consistenti miglio-ramenti. Se si desidera perseverare nella pratica del Training Mentale e' essenziale, inoltre, far tesoro dei seguenti consigli: 1) E' importante programmare il rilassamento in modo che esso entri a far parte della routine giornaliera. L'uso saltuario di una tecnica, anche se piacevole, non porta a benefici duraturi. 2) La mattina presto o il tardo pomeriggio sono adatti per un efficace uso delle tecniche di Training Mentale. 3) Dallo stato di rilassamento si esce lentamen-

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te concedendosi almeno un minuto per tornare in "superficie" - ciò aiutera' a sintonizzare la tranquilità raggiunta nella vita di ogni giorno. 4) Se si decide di intraprendere un training di autoconoscenza come il Training Mentale e' be-ne non accontentarsi di un manuale, bensì di persone esperte e qualificate che aiutino a fami-liarizzarsi con le difficoltà che si possono incon-trare e le loro possibili soluzioni. 5) Se durante gli esercizi a casa ci si accorge di provare disagio, e' sufficiente abbreviare le ses-sioni a pochi minuti e parlarne con l'istruttore. 6) Se si e' in cura dal medico per malesseri di tipo psicosomatico, forse originati da stress e tensione, e' necessario tenersi sotto controllo senza abbandonarsi o cantare vittoria per "miglioramenti" transitori. Un controllo incro-ciato medico-paziente-psicologo, nel tempo, può stimolare effettivi miglioramenti. 7) Chi si trova in trattamento psicoterapeutico deve parlarne con il suo terapeuta per decidere se sia consigliabile o meno, il momento per fre-quentare questa esperienza. Questi consigli sono esplicitati, non solo per i buoni risultati ottenuti dall'applicazione del metodo di Training Mentale, ma anche perche' sono stati seguiti e verificati da ormai centinaia di persone che oggi hanno piu' fiducia in se stesse e un atteggiamento piu' positivo nei confronti della vita.

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MESSAGGI DAL CORPO Il rilassamento totale, tra funzione tonica e attivita' quotidiana, svolge il compito di modificare le reazioni dell'organismo all'ambiente, dando luogo a quell'adat-tamento psicologico e comportamentale che contrad-distingue il benessere dell'uomo. Questa operazione di aggiustamento e sintesi interna, coinvolge i proces-si dell'apprendimento, della memoria, della creati-vita', garantendo la continuita' dell'individuo verso il suo sviluppo personale. Quando parliamo di una persona rilassata, intendiamo che la sua condizione di base sia l'avere un'attivita' tonica complessiva che faccia da sfondo alle attivita' motrici e posturali, fissando l'atteggiamento, prepa-rando il movimento, sottendendo al gesto, mantenen-do la statica e l'equilibrazione. La funzione tonica e' cosi' fondamentale che produce, oltre ad uno stato di preparazione della muscolatura, che la rende atta a molteplici forme di attivita', a ri-flessi sull'attivita' volizionale. Il mantenimento e l'adattamento del tono muscolare ai bisogni della postura, dell'atto motore e del com-portamento derivano da riflessi di stiramento dei mu-scoli (riflesso miotatico). Per semplificare diremo che, a seconda della lunghezza imposta al muscolo e dal gioco armonioso e antagonista di diversi sistemi rego-latori, si evita di diffondere la tensione, di provocare contrazioni dell'atteggiamento e irradiazioni a gruppi muscolari diffusi. Le influenze alle condizioni ottimali del tono muscola-re (autoregolazione che avviene localmente tramite gli organi tendinei di Golgi, i recettori cutanei e arti-colari, i recettori profondi della pelle, i recettori visce-rali; al centro-corteccia con vari sistemi: il sistema

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reticolare, sistema piramidale, cervelletto, rinencefalo e ipotalamo in particolare), fanno si' che la funzione tonica sia al centro di un discorso psicosomatico. Quando si effettua un rilassamento, sia passivo che dinamico, si abbassa il livello di vigilanza e, questa e' la nostra ipotesi, vengono liberati numerosi automati-smi motori ed espressioni tonico- emozionali che, sot-to il facoltativo controllo della coscienza, moltipli-cano le possibilita' di apprendimento, aumentano la plasticita' degli automatismi stessi e regolano le emo-zioni che possono essere in ogni momento modificate con l'intervento corticale. Questa ipotesi ci offre lo spunto per parlare degli ef-fetti di scaricamento e riequilibratura del rilassamento totale. La lista di effetti collaterali dello scaricamento della tensione compilata da noi coincide con numerosi altri metodi, tra i quali il Training Autogeno, la Meditazio-ne, lo Yoga, etc. Dobbiamo subito dire che, pur trattandosi di fatti as-solutamente "normali", possono turbare chi ne e' pre-so alla sprovvista, senza essere stato precedente-mente informato e consigliato sul come comportarsi. Durante gli esercizi di rilassamento si puo' ad esem-pio provare una inspiegabile sensazione di pesantez-za, oppure sentirsi, al contrario, senza peso. Tali sen-sazioni possono interessare tutto il corpo o solo una parte specifica di esso, come le braccia, le gambe o la testa. Terminata la seduta e ripresa l'attivita' giornaliera, spariscono in genere anche gli effetti collaterali. In-tense sensazioni di freddo, di caldo o bruciore posso-no insorgere durante un rilassamento particolarmente profondo. In questo stato e' possibile provare improv-visi pruriti o anche temporanei intorpidimenti in qual-che parte del corpo, oppure pulsazioni che percorrono

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le membra o la parte superiore del capo. Queste sensazioni sono spesso piacevoli, al contrario di effetti disturbanti, come il sentire il corpo percorso da una corrente elettrica, la testa come chiusa in una morsa o un improvviso intirizzimento delle membra. Si possono anche verificare fenomeni di sudorazione, brividi, tremiti o, se lo scaricamento della tensione e' particolarmente intenso, battito cardiaco forzato o respirazione celere. Queste reazioni sembrano avere la loro utilita' nel processo di distensione, perche' il risultato di sedute apparentemente cosi' scabrose e' spesso un profondo rilassamento. In stato di profondo rilassamento si possono avere, come nella visualizza-zione di scene della natura, precise e intense sensa-zioni tattili, gustative, olfattive, uditive. Anche i con-cetti relativi al corpo possono subire importanti modi-ficazioni; si puo' provare di avere le mani enormi o una testa gonfia. A volte si ha la sensazione che le braccia, le gambe o la testa siano separate dal corpo, che il tronco sia assente, oppure di essere divenuti minuscoli. Tutte queste sensazioni possono costituire una specie di piacevole "viaggio". Altre volte possono provocare disturbi passeggeri, dolori intermittenti, mal di testa, punture di spillo nelle mani o nei piedi o altrove. La gola puo' stringere o sembrare infiammata. La saliva-zione puo' farsi cosi' abbondante che si e' costretti continuamente a deglutire. Oppure la bocca si fa ari-da, il naso cola, si hanno starnuti o colpi di tosse. Al-tre volte si hanno sospiri e sbadigli, oppure si compio-no movimenti involontari di succhiamento con le lab-bra, o lo stomaco si mette a gorgogliare. In rari casi si puo' provare nausea o un impellente bisogno di e-vacuare o di orinare. Si possono avere, ancora, picco-le contrazioni muscolari, sussulti e movimenti invo-lontari, oppure "vedere" ogni sorta di immagini, spi-

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rali, mulinelli, forme geometriche, colori vividi e luci scintillanti. A volte si ha l'impressione che il corpo sia inclinato, rovesciato o a testa in giu'. Non e' cosa eccezionale provare irrequietezza e forti sensazioni emotive, co-me il riso o il pianto, oppure rabbia violenta o piace-voli sensazioni sessuali. Questo e' un elenco sia pur limitato delle molte forme di scaricamento della tensione, che peraltro sono pre-senti solo all'inizio della pratica di rilassamento. In ogni caso, il superamento di tali situazioni avviene da se' nel giro di pochi minuti. Lo scaricamento della tensione presenta per ognuno un comportamento diverso. In piu' occasioni si e' po-tuto constatare come passate esperienze spiacevoli possano, collegandosi a zone specifiche del corpo, presentarsi ripetutamente fino a che "quella situazio-ne traumatica" si esaurisca progressivamente. Cio' che colpisce positivamente e' che certi tipi di scarica-mento della tensione si relazionano con profondi con-flitti e preoccupazioni inconsce fino a che non trovano sbocco attraverso il rilassamento. Vale la pena rendersi conto di un ragionevole periodo di adattamento alla distensione che, lontani dall'offri-re solo risultati di rilassamento, puo' inoltrare l'indivi-duo in una realta' assai viva e ricca di autoconoscen-za.

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BENEFICI DEL RILASSAMENTO Praticando con costanza una corsa a piedi o in bici-cletta i benefici che si ottengono riguardano la circo-lazione sanguigna e la respirazione, con un effetto distensivo anche a livello mentale. Questo e' dovuto al rilassamento dei circuiti nervosi periferici che per-mettono il riposo della corteccia cerebrale. Anche nell'attività di palestra riscontriamo analoghi benefici, ma queste attività non sono sempre sufficienti a smaltire la tensione psichica di una normale giornata lavorativa. Vediamo allora perché e importante rilassarsi e che benefici porta. Il comportamento abituale, come lavorare, incontrare persone, vivere in famiglia, influenza il metabolismo in maniera significativa. Questo effetto e' testimonia-to da numerosi esperimenti sul lavoro e in famiglia dove, a seconda degli orari, delle voci delle persone, dei ritmi dell'ambiente, si hanno cambiamenti fisici e psicologici cumulativi. Tutto ciò accade anche senza una partecipazione attiva degli interessati, perché e' sufficiente essere presenti fisicamente o mentalmen-te. Subire senza volerlo, per semplice abitudine, degli adattamenti metabolici, cozza contro l'autodetermina-zione e l'autocontrollo che ogni persona vorrebbe a-vere. Peraltro e' possibile, come ha testimoniato la ricerca scientifica su soggetti in stato di rilassamento, ridurre il ritmo cardiaco, controllare volontariamente il metabolismo, la respirazione, la conduzione elettri-ca della pelle, senza perdere coscienza, semplicemen-te raggiungendo uno stato di profonda distensione fisiologica e mentale. Secondo l'uso corrente delle parole, il nostro compor-tamento e' "volontario" quando facciamo ciò che vo-

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gliamo e "cosciente" quando siamo pienamente con-sapevoli di ciò che stiamo facendo. Questo risulta fa-cile quando muoviamo i muscoli scheletrici, pratica-mente impossibile quando vogliamo controllare gli organi interni o le ghiandole. L'omeostasi, che rappresenta l'equilibrio all'interno del corpo, si mantiene grazie a meccanismi involonta-ri e inconsci e reagisce automaticamente a stimoli interni (emozioni o malattie psicosomatiche) secondo modelli stereotipati. Si ritiene, infatti, che i centri superiori del cervello non possano modificare tali comportamenti tranne che con mezzi indiretti: il dirigente angosciato può allontanarsi dall'ufficio o distrarsi, ma non e' in grado di far sparire semplicemente uno spasmo intestinale con un atto di volontà, come farebbe per alzare o ab-bassare un braccio. Nei sintomi delle classiche nevrosi abbiamo delle rea-zioni psicofisiche apprese in condizioni di grande ten-sione e conflitto interiore. Quando una persona e' at-territa o ansiosa, qualsiasi reazione che riduca la pau-ra o l'angoscia tende a ripresentarsi anche se alla lun-ga risulta incompatibile e distruttiva per il normale svolgersi della vita quotidiana. Un'abitudine nevrotica si manifesta in momenti critici come un accesso di collera, oppure essere completa-mente nascosta, come la rimozione di determinati pensieri e sentimenti. In entrambi i casi il rilassamen-to può essere un utile strumento di rieducazione, du-rante il quale si eliminano le connessioni "negative", mentre vengono connesse reazioni "positive" e mi-gliorative. Abbiamo diversi benefici fisiologici, psicologici e sulla comunicazione interpersonale che fanno delle tecni-che di rilassamento un vero e proprio strumento di salute personale e di ausilio terapeutico.

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Effetti fisiologici: Riduzione del tono metabolico Riduzione della concentrazione di acido lattico nel sangue Diminuzione significativa del ritmo respiratorio Aumentato grado di resistività cutanea Riduzione del ritmo cardiaco con aumento della riser-va cardiaca Stabilizzazione e normalizzazione del sonno Normalizzazione della pressione arteriosa Equilibrio inter-emisferico dell'attività del cervello Potenziamento dell'equilibrio fisiologico Effetti psicologici: Maggiore stabilità emozionale Stabilizzazione e potenziamento della memoria Ricchezza intellettuale Capacità di concentrazione e stabilità dell'attenzione Diminuzione dell'ansia, delle tendenze nevrotiche e depressive Maggiore sensibilità nella percezione del vissuto delle altre persone Rafforzamento dell'IO e maggior conoscenza, fiducia e dominio di sé Maggiore capacità introspettiva Effetti sulla comunicazione interpersonale Minori inibizioni a parlare di sé, dei pensieri e delle sensazioni Facilità a comunicare apertamente con gli altri Maggiore disponibilità al contatto fisico Maggiore sensibilità nella percezione del vissuto delle altre persone Più comprensione per le esperienze altrui Maggior creatività ed energia negli scambi sociali

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La profonda alienazione dal nostro corpo e dai suoi intimi processi, grazie a queste tecniche, può essere sensibilmente ridotta aprendoci all'interessante feno-meno del controllo dell'equilibrio organismico.

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DIALOGO CON IL CORPO Un ottimo esercizio di integrazione della tecnica di rilassamento totale riguarda il dialogo mentale con gli organi e apparati del nostro corpo. Esso è particolar-mente utile quando esistono situazioni di tensione specifica o è necessario focalizzarsi per migliorare de-terminate funzionalità corporee. TECNICA "Ora che sei in questo stato di profondo rilassamento preparati, con le mani e con le parole, a dialogare con gli organi del tuo corpo. Porta la mano e il pensiero sull'organo su cui vuoi la-vorare - lo stomaco. Visualizzalo, spostando la localizzazione del tuo IO dalla testa allo stomaco, come se la tua volontà e la tua mente si fossero trasferite qui, per lavorare me-glio. Assumi il tono e il modo di parlare che ti sembrano più appropriati per farti ubbidire: calmo e dolce se ti sembra che la mente cellulare di questo organo sia ubbidiente e remissiva; imperativo e secco se hai bi-sogno di importi, divertito e sommesso se il carattere a cui ti rivolgi ti sembra gaio e infantile. Fai un vero e proprio discorso, cercando di stabilire un dialogo, ascoltando le risposte e le necessità dell'interlocutore. "Io so che tu puoi funzionare nel migliore dei modi, anzi ho bisogno che tu faccia circolare il sangue e l'ossigeno nei tuoi tessuti, perché tu possa lavorare bene, sempre meglio, digerendo ogni sostanza che arriva dentro di te, in modo che tutto l'organismo funzioni bene a sua volta. So che puoi farlo: adempi al meglio la tua funzione. Elimina ogni gonfiore, ogni

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pesantezza, senza trattenere aria o cibo. So che da questo momento funzionerai sempre meglio. Ogni tua cellula sarà ogni giorno più sana e più attiva, collabo-rando a portare avanti il programma per cui sei stata creata. Da parte mia, cercherò di inviarti sostanze sane, genuine, di non appesantirti troppo, di mastica-re bene e molto, in modo da facilitare il tuo lavoro, di tenerti coperto, al caldo, evitandoti le congestioni. Lavora per me, per contribuire al mio benessere. So-no sicuro che mi ascolti e che hai già incominciato a lavorare". Ora poni le mani sull'intestino, fino a sentire questa zona invasa di calore. Visualizzalo e instaura un dialo-go: " cerca di lavorare bene, di non fermarti. Ogni tua cellula, irrorata di ossigeno e di sangue, da questo momento funzionerà bene, sempre meglio, quindi an-che tu cerca di contribuire alla salute dell'organismo. Non trattenere dentro di te aria, cibo o altre sostanze. Lavora senza tensioni, senza contrazioni, con calma e pazienza. (In caso di diarrea il consiglio e' di limitare i movimenti peristaltici di trattenere e normalizzare il lavoro). Aiutami e cerca di non gonfiarti, in modo da non premere sugli organi vicini. Sii un buon vicino e lavora. Da questo momento so che lavorerai nel mi-gliore dei modi, senza creare tensioni". Ora posa la mano sul fegato. Il fegato e' più sordo, più difficile da influenzare. Visualizzalo, parlandogli con tono deciso e sicuro: "Sei troppo pigro e grasso. Devi funzionare meglio. Fai circolare il sangue e l'ossigeno nelle tue cellule e controlla la giusta quantità di bile, in modo che que-sta possa preparare le sostanze da digerire. Elimina ogni sostanza tossica. Purifica il sangue ed estrai le sostanze nutritive di cui l'organismo ha bisogno. Tutte

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le cellule concorrono a questo lavoro, svolgendo o-gnuna la sua funzione. Io ti aiuterò tenendoti al caldo e mangiando in modo sano ed equilibrato, evitando ogni abuso. Ora rivolgiti allo stesso modo al pancreas, che ha una importante funzione nei processi digestivi. Invitalo a collaborare e a lavorare nel migliore dei modi. E così anche con altri organi: la milza, le ovaie, i polmoni, il cuore o il cervello. Nel dialogo fidati delle tue sensazioni e usa formule generalizzate prospettando un lavoro armonico che tenda alla salute del tuo organismo. Scegli ora il tuo organo più sensibile e dialoga con esso".

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CAPITOLO 7 SVILUPPIAMO LA CREATIVITA' Sono tante le cose che impariamo a livello conscio; solo che poi dimentichiamo quello che impariamo e ci serviamo delle capacità acquisite. Per esempio, abbiamo imparato a stare in piedi ma non sappiamo come lo abbiamo fatto. Oggi possiamo pensare di camminare tranquillamente da un posto all'altro, ma non ricordiamo che allora, da piccoli, non riuscivamo a camminare in linea retta con un passo regolare. Stare diritti era un'impresa, mentre oggi e' un fatto scontato. Allora, probabilmente, imparare nuove cose era una delle migliori forme di diverti-mento. Ancora oggi lo e' quando apprendiamo le cose che di solito sono inconsce, come inconsci sono i mo-vimenti che compiamo mentre camminiamo lungo la strada. E' importante ricordare le epoche nelle quali imparare e' stato forse difficile ma gratificante, perché si può "seminare" o investire in se stessi per produrre un raccolto da godere nel futuro. Il processo dell'apprendimento e' tutt'altro che minac-cioso e anzi e' interessante; e' soprattutto un atteg-giamento, una disponibilità ad apprendere. Noi non sapevamo come imparare a stare in piedi, ma possediamo quell'informazione. La fiducia che o-gnuno possa trovare, nella propria storia naturale, le risorse per affrontare qualsiasi problema segue il principio che "possediamo delle risorse delle quali non ci rendiamo conto e di cui non siamo consapevoli". Certo non tutto si può avere nella vita ma siamo for-tunati ad essere vivi e una ricetta per godere la vita e prolungarla e' quella di puntare sempre ad una meta concreta, nell'immediato futuro. Questa e' creatività!

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Usiamo molte parole per descrivere la creatività: premonizione, ispirazione, intuizione, illuminazione. Dobbiamo riconoscere che eventi rivelatori, idee e immagini, spesso soluzioni ai nostri problemi più gra-vi, sono venuti nello stato di coscienza nel quale ac-cediamo quando facciamo attenzione al flusso di e-sperienza mentale. L'ascolto interiore e' la capacità che esiste in tutti in forma latente, in attesa di essere risvegliata. La nostra cultura non ci ha incoraggiati a pensare all'aspetto creativo dell'inconscio e questa tendenza trova riscontro in un analogo pregiudizio nel pensiero scientifico. Le teorie dell'inconscio, dominanti, ne hanno sottolineato il ruolo negativo e repressore. Mentre altre teorie hanno messo in rilievo il ruolo dell'inconscio come fonte dell'intuizione e della creati-vità, definendo sopraconscio il luogo di queste latenti capacità. Molti ricercatori, operanti in vari settori, stanno stu-diando la fonte del potere creativo dell'uomo e stanno mettendo insieme un nuovo quadro delle capacità, delle motivazioni e delle inibizioni umane. E' probabile che chi trarrà vantaggio da queste ricerche sarà la gente comune, saranno gli uomini d'affari, le casalin-ghe, gli impiegati, gli operai, gli scolari. Il nostro sco-po e' soltanto quello di mettere in evidenza alcune scoperte e proporre alcuni esperimenti, mostrando quanto le nuove scienze della coscienza, debbano contribuire alla soluzione dei problemi che affrontia-mo oggi nella nostra vita. Quando tutti avremo ap-preso gli strumenti della creatività che in passato era-

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no riservati ai geni, il contributo della nostra opera sarà un più sano e umano modo di vivere. Anche se le nostre intenzioni sono buone, noi produ-ciamo fino ad un certo grado quello che riceviamo. Se ci troviamo in un ambiente positivo, dove si accettano le persone e si instaura un'intesa empatica, la creati-vità di pensare, di sentire, di essere qualsiasi cosa sia vera per se stessi, viene incoraggiata. E' il permesso di avere paura, di avere torto, di sentirsi disorientati. Il vantaggio di essere creativi e positivi non riguarda solo le persone che ci stanno vicine, in famiglia o sul lavoro, riguarda anche la nostra città, la nostra nazio-ne, il mondo. Il processo creativo consiste in quattro componenti: preparazione, incubazione, illuminazione e verifica, e corrispondono ad un processo di elaborazione incon-scia che può portare alla risoluzione di un qualsiasi problema. Preparazione Esaminando con molta attenzione un problema, raffi-gurandosi e creando schemi di eventuali soluzioni, apprendendo anche i fatti più secondari al riguardo, avendo inoltre tutte le intenzioni di risolverlo, viene messa in azione la conoscenza complessiva che e' a disposizione della memoria, sia inconscia che conscia, della persona creativa. Il programma che questa co-noscenza più profonda attua deriva dalla preparazio-ne e dall'intenzione con cui si affronta il problema del momento. Incubazione In questa fase gli ingredienti vanno lasciati sedimen-tare per consentire al subconscio di agire sul proble-ma. Nell'elaborazione e' importante dimenticare, ri-lassarsi o dormire.

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Illuminazione Rappresenta la fase nella quale, come dal nulla, sotto forma di illuminazione religiosa, di immagine lettera-le, di conoscenza scientifica, di tema per un concerto, di innovazione aziendale e via dicendo, si manifesta lo stato intuitivo. Questo, in persone particolarmente creative significa accedere all'unita' di elaborazione inconscia di un'idea, con la possibilità di leggere solu-zioni senza interrompersi. Verifica La fase di verifica e' lo stadio selettivo nel quale si vagliano le ispirazioni, le intuizioni o le illusioni, allo scopo di tradurle in azioni, scoperte o comportamenti efficaci.

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ROGETTO CREATIVITA’ Fin da piccoli abbiamo imparato dai genitori in particolare e dall’ambiente familiare in generale a sorridere, a parlare, a voler bene al mondo e a muoverci nella realtà. Siamo stati plasmati dall’ambiente con impronte profonde e durevoli. Non solo. Siamo inoltre il prodotto di fattori ereditari dai quali dipendiamo in modo condizionante. Gli studi sulle influenze delle due componenti, ambientale e genetica, sulla nostra vita hanno identificato le conseguenze sui nostri comportamenti e scelte. Alla fine ci sentiamo ‘sollevati’ e parzialmente responsabili di ciò che siamo perché abbiamo l’alibi dei genitori o quello di presunte ‘sensibilità’ o ‘fragilità’ innate. Se così fosse saremmo solo degli automatismi intelligenti senza la capacità di esercitare la ‘libertà’: la libertà di nuovi scenari, di nuove opzioni, di nuove e creative opportunità di vita. In realtà, nel nostro mondo psicologico si ‘crea’ libertà sotto forma di progetti e di scenari interiori che preparano nuove scelte e decisioni. La nostra mente ha la possibilità di proporci delle alternative ai comportamenti abituali. Quindi non solo abbiamo la capacità di agire, ma abbiamo più scelte. Per quanto ci riguarda consideriamo una grande conquista i concetti di creatività e di libertà nel nostro agire quotidiano, ma neppure questi da soli bastano. Occorre l’atteggiamento alla responsabilità. Occorre saper scegliere. Occorre saper dare al nostro destino la valenza delle possibilità e non solo relegarlo negli angusti vincoli del fatalismo karmico, della fortuna, delle stelle o del destino. I ‘giochi già fatti’ fissano una catena di eventi e di

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cause, cancellano tutte le alternative, ma non ci invitano a cercare e a vivere le ‘varianti’. Ma tutti noi intimamente lo sappiamo: se lo volessimo potremmo trovare le cose che ‘sognamo’ e scegliamo.

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DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ D. Perché è importante stabilire e raggiungere i propri traguardi? R. Spesso il nostro agire quotidiano non coincide con i nostri desideri o aspirazioni. Lo sviluppo della coscienza ci ha affrancato da un modo di fare esclusivamente istintivo e sopravvivente. Per questi motivi, prefiggersi un traguardo significa cominciare una strada dove la ragione sintetizza mezzi sapienti e istintivi per orientarli nella direzione di maggiore efficienza. Stabilire della mete è, per la maggior parte della gente, un lavoro automatico e inconscio. Molte delle mete, che stabiliamo senza rendercene conto, finiscono per realizzarsi, ma non ce ne accorgiamo quasi mai. Per questa ragione, è estremamente importante renderci coscienti di quali sono i nostri obiettivi nella vita. Qualunque sia il traguardo che ci siamo proposti, possiamo raggiungerlo se crediamo di poterlo fare e se sappiamo programmarlo consapevolmente. Il nostro progetto mentale consiste nel definire con chiarezza quello che desideriamo e nel tradurre in convinzione la fattibilità dello stesso. D. Posso influenzare il mio destino? R. Quello che chiamiamo destino non è solo un pro-cesso ineluttabile in cui l’uomo appare passivo osser-vatore della propria esistenza ma è anche il risultato di molte mete, di molti punti di vista e di molte decisioni prese in cui l’uomo diviene protagonista, ca-pace di intervenire e cambiare il corso della propria vita.

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Se vogliamo che il nostro destino cambi occorrerà sviluppare un carattere e delle abitudini adeguate, insieme ad azioni coerenti e a un modo di pensare più creativo. D. Come posso concretizzare i miei desideri? R. Tutto quello che creiamo, prima di tutto accade ‘dentro’ la nostra mente. Il nostro compito consiste nel fissare e nel rendere esplicito ciò che vogliamo realizzare, compresi i nostri sogni. Dopo aver verificato se il progetto è ecologico al nostro sistema vitale, occorre sapere che ci vuole costanza di pensiero: coscienza dei propri sogni, coscienza di ciò che bisogna fare, coscienza di ciò che bisogna cambiare. D. Cosa si può fare praticamente? R. Quando programmiamo un traguardo, dobbiamo essere onesti con noi stessi. Dobbiamo essere capaci di sentire realmente ciò che è importante per noi e quello che è secondario o trascurabile. Fatto questo bisogna scrivere le proprie mete, disegnare gli obiettivi e attivare il subconscio attraverso tecniche di rilassamento e di visualizzazione. Operare in questo modo sui propri traguardi significa oltretutto migliorare la propria stima. D. Quali sono i problemi che si incontrano più di frequente? R. I problemi più frequenti riguardano le sfere delle nostre resistenze, delle nostre abitudini e dei nostri condizionamenti. In generale la soluzione dei problemi non si trova mai allo stesso livello del problema ma ad un livello supe-riore, quello della creatività.

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Questa affermazione ‘apparentemente banale’ ci invita ad un cambiamento di prospettiva: il problema è una opportunità di crescita, una sfida che fa parte del gioco. D. Come posso cambiare senza aspettarmi miracoli? R. La vita cambia a partire da piccoli piaceri e da una felicità che si costruisce su piccole cose. Si chiama autostima psicologica, quella capacità di apprezzare le cose che facciamo anche quando sembrano piccole e insignificanti. Ricordando piccole mete e provando gioia quando accadono rafforziamo l’abitudine a raggiungerle. D. E’ giusto incolparsi se il non raggiungere delle mete dipende dagli altri? R. E’ pur vero che le condizioni ambientali sono rilevanti per la costruzione di un modo di pensare costruttivo. Ma dovremmo smetterla di incolpare qualcuno o qualcosa per i nostri insuccessi. Quello su cui ci dovremo soffermare sono le trappole dei pensieri negativi che ci invitano a spostare la nostra responsabilità sugli altri o sulle circostanze. Riconoscendo i nostri errori e accettandoli, noi esercitiamo la nostra intelligenza e la nostra responsabilità. Toglieremo così potere alle circostanze. Se ci impegniamo nel percorso della creatività arriveremo a sapere sempre meglio cosa scegliere. Scegliere è una parola magica che si sposa con ‘adesso’, ‘ora’. Accettiamo ‘ora’ quello che abbiamo scelto, incominciamo ‘ora’ a lavorare e a fare e impariamo ‘ora’ ad avere pazienza.

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Ricordiamoci infine che quello che facciamo dipende dalla qualità dei nostri pensieri e che i traguardi si raggiungono prima mentalmente e poi fisicamente.

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CAPITOLO 8 CONDIZIONAMENTI E MEDIAZIONI Nel passato i mutamenti importanti nel modo di vive-re dell'uomo derivavano da ritmi lenti e naturali ed egli aveva la possibilità di ambientarsi gradualmente alle nuove trasformazioni sociali. Con la rivoluzione tecnologica e il progresso scientifico, il mondo è stato investito da una serie di innovazioni tali da sconvolge-re il naturale ritmo della vita. Le conseguenze, derivate dalla mancanza di fasi in-termedie, si manifestano oggi nella crisi di identità che attraversa l'attuale società. Le persone adulte so-no state educate ad un modo di pensare che appar-tiene ad un passato che non esiste più; l'avvento di tanti mutamenti ha proiettato la società in un'altra dimensione. L'umanità è confusa, incapace di tagliare il cordone ombelicale che la tiene ancora legata a concezioni mistiche ed occulte, sente la necessità di trovare dei punti fermi che le diano delle certezze a cui appoggiarsi. Essa è alla ricerca di motivazioni che la inducano a conformarsi ad un mondo da cui emer-gono nuove realtà e nuove esigenze di ordine razio-nale. Ognuno nella vita sente la necessità di credere in qualcosa: movimenti politici, fede religiosa, rap-porti famigliari e affettivi ecc, i quali condizionano sensibilmente il nostro modo di ragionare e di agire. Pensate quale trauma provocherebbe constatare che, dopo una vita spesa per loro, questi ideali possano rivelarsi fallaci, errati o peggio ancora, dannosi. Di fronte al crollo di quello in cui si è sempre creduto è molto duro per chiunque riconoscere di aver sba-gliato, di aver creduto seppure in buona fede, in qual-

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cosa che ha tradito la sua fiducia e che ha procurato più danni che bene. E' umano e comprensibile, anche se sciocco, non riuscire ad ammettere l'evidenza di certi fatti; non ci si rende neppure conto che persi-stendo oltremodo in convincimenti palesemente irra-gionevoli si inducono altri a commettere gli stessi er-rori. Purtroppo però è quello che accade nella mag-gior parte dei casi; occorrerebbe avere il coraggio di guardarsi dentro e fare un serio esame di autocritica, ma quest'ultima è un piatto che si serve di rado sulle nostre mense. Con il termine "condizionamento" è indicato quel processo mentale tendente ad influire in modo diretto o indiretto sul comportamento e sulle decisioni delle persone persuadendo gli individui a tenere atteggia-menti non autonomi. E' un mezzo subdolo per limita-re la libertà dei singoli, inducendoli a scelte che in condizioni di indipendenza psicologica essi non fareb-bero. Ogni nostra azione è strettamente legata alle motiva-zioni per espletarla, le quali dovrebbero essere deci-se, in teoria, da nostre scelte libere, autonome; se al contrario, veniamo obbligati dall'esterno a ragionare in un determinato modo o a tenere comportamenti indotti da altri, vuol dire che stiamo subendo un "condizionamento". Moltissime persone hanno il convincimento di non sottostare ad alcuna pressione condizionante. Esse credono, ingenuamente, che le loro azioni possiedano un'arbitrarietà interiore, vale a dire una libertà, che le pone al di sopra di eventuali imposizioni inconsce. Ovviamente non è così, ma non se ne rendono conto. Le dipendenze psicologiche sono molto frequenti nel vivere sociale, spesso sono tenute involontariamente, sia da chi ne è causa, sia da chi le subisce. Già da

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bambini si cerca di condizionare i genitori a soddisfare le proprie esigenze piangendo, facendo capricci, atti-rando l'attenzione, a loro volta essi cercano di condi-zionare i figli costringendoli a fare ciò che vogliono o che ritengono giusto. Sin dalla sua origine l'umanità ha cercato di condizio-nare tutto quanto le è stato possibile, in quanto, è ovvio che, il benessere di ogni persona dipende dai vantaggi conseguibili influenzando il prossimo. Più o meno inconsciamente, spingiamo gli altri a tenere comportamenti che riteniamo utili a noi stessi. Tutte le creature devono adeguarsi all'ambiente in cui vivono e l'uomo vi aderisce sia da un punto di vi-sta fisico che da quello mentale. Per cui deve costritti-vamente assumere gli usi ed i costumi dell'ecosiste-ma in cui esprime la sua vita. Cosi facendo egli acqui-sisce i pregi e i difetti della società circostante. E' evi-dente che se fossimo coscienti di subire da essa dei condizionamenti negativi avremmo una reazione di rifiuto e di rivolta verso chi è causa limitante della nostra libertà, ma ciò accade raramente, perché in primo luogo è difficile con l'attuale cultura capire cosa è utile e cosa sbagliato per noi stessi e secondo per-ché il condizionamento prolungato nel tempo porta all'assuefazione passiva. E' proprio questa assuefazio-ne a far assimilare comportamenti psicologici che li-mitano la nostra capacità di scelta. Vale dire che, quando si abitua la mente a pensare con schemi pre-fissati per un lungo periodo di tempo, diviene molto traumatico operare dei mutamenti radicali nel modo di agire. La conseguenza di tutto ciò è il rifiuto incon-scio al cambiamento stesso. Fossimo educati ad avere uno spirito critico e al convincimento che ogni cosa può essere migliorata,

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capiremmo che "cambiare" deve rientrare nella nor-malità delle cose. Solo cosi avremmo meno problemi nel modificare le nostre abitudini. Con questo, non si vuol ripudiare ciò che resiste ad un'analisi corretta, ma bisogna avere il coraggio di combattere ogni sciocca tendenza al conservatorismo, quando questa si dimostra palesemente in contrasto con i principi evolutivi della vita. Quello dell'assuefazione ai condizionamenti è un argomento molto delicato perché investe una parte preponderante della società. Spesso coloro che de-tengono il potere, modificano le leggi unicamente quando queste manifestano la loro evidente iniquità, al punto da non essere più tollerate dalla collettività. Non si cambia quando è ragionevole e logico farlo, non si cerca di prevenire, ma si aspetta che il siste-ma arrivi al punto di collasso, al limite di sopportazio-ne, per essere poi costretti al mutamento forzato. Questo è un metodo insulso di gestire l'interesse della società ed è la diretta conseguenza dell'aver stabilito delle regole senza basi oggettive. Quando si dà spes-sore ed importanza a delle opinioni, anziché ricercare valori scientificamente dimostrabili, è solo perché non si ha coscienza di quali siano le vere regole da segui-re. I movimenti religiosi sono la prova diretta di come la mente umana possa essere indirizzata verso un comportamento mentale chiuso, teso ad impedire con dei condizionamenti qualsiasi apertura critica del si-stema costituito.

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CONVINZIONI E LIMITI INTERIORI Come fare, allora, per uscire da un atteggiamento mentale negativo, magari cristallizzato e consolidato? Semplicisticamente, ma funziona, il primo passo e' rilassarsi. Il secondo passo e' provare l'esperienza del successo mentre si e' "confusi", quando viene meno l'abituale tensione e l'abituale atteggiamento mentale negativo. Quando riusciamo a sostituire un nuovo at-teggiamento ad uno vecchio, con nuove reazioni, pos-siamo affrontare situazioni difficili senza portarci die-tro le paure associate a precedenti "errori". Talvolta e' importante non utilizzare le cose che sap-piamo, o certe percezioni che normalmente adottia-mo. Basta "chiudere gli occhi", non vedere nel solito modo, rilassarsi, e portiamo a termine in modo più efficace ed efficiente i nostri impegni e compiti. A volte, immaginare vividamente i propri timori può produrre una reazione fisica, cenestetica, che ci fa adottare un atteggiamento sbagliato. Se ci chiedessero: "E' difficile per te entrare in casa?" La risposta più ovvia e' "No!" E se ci chiedessero: "Cosa proveresti invece sapendo che in casa c'e' qual-cuno che vuole spaventarti?" Quando associamo la sensazione visiva con quella cenestetica, legata in questo esempio alla paura, la maggior parte delle persone perde il proprio senso di sicurezza. Per riuscire in una cosa del genere, come per fare qualche esperienza nuova, può essere impor-tante il non utilizzare qualcosa che si adotta automa-ticamente, e cioè la vista o l'immaginazione. Altre volte, invece, per superare un limite naturale bisogna attingere a ciò che sappiamo - "ma che non sappiamo di sapere, in quanto allo stato potenziale" - in modo da compiere una vera e propria ricerca interna di

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nuove soluzioni. Una frase che può aiutare di fronte a compiti che con-sideriamo insormontabili e': "Noi cresciamo con l'idea che dobbiamo per forza finire un compito. Ma non e' vero, noi dobbiamo continuare sino a che non siamo finiti". La sensazione coercitiva di dover essere in un certo modo, blocca la spontaneità e la creatività. Un modo molto più efficace di portare a termine qualcosa e' di essere in accordo con il proprio ritmo interno, con il proprio inconscio, per inventare modi nuovi di supe-rare i limiti abituali. Tra le profonde convinzioni incon-sce condivise da tutti ci sono proprio quelle relative alle potenzialità e alle limitazioni umane, di se stessi e degli altri. Tali limiti tendono ad essere confermati dall'esperienza, non perché siano veri bensì perché ci crediamo. Nei ben noti fenomeni usati nelle dimostrazioni delle ipnosi, una persona ipnotizzata, a cui e' comandato di non riuscire a sollevare una matita, riesce a "percepire" l'esperienza come reale al punto che i muscoli, pur compiendo un enorme sforzo, non ce la fanno a terminare l'impresa. Quando un'idea e' radicata, si eleva una barriera mentale che può contribuire a rendere vera un'opinio-ne su se stessi e sulle proprie capacità, proprio come un ipnotizzatore influisce su un soggetto ipnotizzato. Se ci convinciamo che un'idea e' vera, non ha più im-portanza sapere il modo in cui e' sorta nella mente, ne' di dove essa provenga. Fa parte di noi e la difen-diamo come una verità certa. Approfondite ricerche cliniche hanno avvalorato l'ipo-tesi secondo la quale fino ad un certo livello noi ve-diamo cio' che la nostra cultura ci permette di vedere e conosciamo soltanto ciò che la nostra società ci per-mette di conoscere.

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Quando qualcuno, che ha fiducia e crede nelle nostre capacità, ci dice di andare avanti, di fare, in realtà ci dice di usare le energie che possediamo, anche se non sappiamo di averle. Noi, con le nostre opinioni negative, possiamo opprimere le nostre potenzialità e possiamo impedire loro di manifestarsi. E allora, vale la pena "disipnotizzarsi", decondizionarsi, dalle false credenze su noi stessi. Esistono esperienze di vita che hanno sconvolto le nostre convinzioni personali e sono stati momenti che possiamo definire di illuminazione e di rinascita, ma sappiamo anche con quanta cocciutaggine difendiamo il nostro sistema di credenze, con "rifiuto" e "resistenze", ad informazioni che potrebbero cambia-re la nostra personalità. Sembrerebbe che il timore maggiore riguardi il riconoscere il potenziale che e' in noi stessi. Sebbene, in definitiva, desideriamo scoprire e realiz-zare le nostre più alte capacità, possiamo mobilitare e mettere insieme gli strumenti per l'esperienza intuiti-va personale. Il primo strumento e' l'immaginazione o visualiz-zazione. E' un modo per capire e per usare il lin-guaggio della mente inconscia. Il secondo strumento, strettamente attinente al pri-mo, e' l'autoimmagine o affermazione, cioè un modo di riprogrammare modelli di azione e di com-portamento che vogliamo far accettare alla nostra mente. Il terzo strumento, e' il rilassamento totale e facili-ta la sedimentazione delle idee e calma i pensieri di superficie che potrebbero disturbare l'attivita' dell'in-conscio profondo. Il quarto strumento, l'attivita' onirica, ci fa entrare direttamente al centro dell'unita' di elaborazione dell'idea e ci fa vedere come entrare e richiamare

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alla memoria le preziose indicazioni che vi troviamo. Tali strumenti sono semplici ed efficaci. Nessuno di essi richiede un particolare sforzo, una disciplina par-ticolare, o una pratica lunga e difficile. Pare che di difficile ci sia solo di "toglierci gli occhiali".

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CAPITOLO 9 IMMAGINAZIONE E VISUALIZZAZIONE L'immaginazione nel suo manifestarsi, produce di-verse reazioni contemporaneamente: sensazioni, im-pulsi, desideri, sentimenti, pensieri, intuizioni, combi-nando queste funzioni in varie proporzioni. L'immaginazione e' evocativa e creatrice di immagini, sia a livello cosciente che a livello inconscio. Percio' e' una delle funzioni mentali che dovrebbe venire rego-lata quando e' eccessiva o dispersa, venire sviluppata quando e' debole e inibita; e poi utilizzata, data la sua grande efficacia applicativa, come sintesi delle diverse funzioni mentali (Attenzione-Memoria-Pensiero). Ogni immagine, infatti, ha in se' un impulso motore che tende a suscitare le emozioni e a produrre le condi-zioni fisiche e gli atti ad essa corrispondenti. La visualizzazione e' la capacita' che permette di immaginare in modo cosciente e volontario cio' che si desidera. Essa costituisce l'allenamento preliminare e necessario all'azione, alla concentrazione e allo svi-luppo dell'immaginazione. A questo proposito ricor-diamo che e' piu' facile ricordare gli ambienti e gli og-getti della propria casa che non immaginare dal "niente", cioe' senza riferimenti reali, uno schermo cinematografico blu. La differenza tra il ricordare e il creare dimostra facil-mente quanto scarso sia il dominio sulle nostre fun-zioni psichiche e quanto sia debole la nostra volonta' di mantenerci concentrati. Le immagini scappano, cambiano dimensione e colore, si trasformano, si muovono nel campo della coscienza; bisognerebbe sviluppare una maggiore capacita' di controllo su tut-to cio'. Questo e' compito della volonta', funzione dell'Io e del Se', per decidere di usare qualsiasi tecni-

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ca e persistere nell'attuarla. L'immaginazione, data la sua importanza, non e' se-conda ne' alla percezione, ne' alla memoria, anzi, per alcuni studiosi, essa sembra assolutamente necessa-ria al mantenimento della salute mentale. Inoltre, es-sa unisce cio' che e' volontario (volizione) con l'invo-lontario (spontaneita') e questo spiegherebbe come, a volte, il conflitto tra il voler essere adeguato alle si-tuazioni e un'immagine inadeguata, determini discre-panze e inibizioni nell'ambito della personalita' e del comportamento. La produzione di immagini ci offre una traccia diretta della natura del processo creativo. Non e' una coinci-denza il fatto che la nostra cultura identifichi la creati-vita' con l'immaginazione. La capacita' di immaginare, di evocare immagini o visioni di cose diverse dalla nostra normale realta' e' sempre stata riconosciuta come il segno caratteristico della mente innovativa. Inoltre, se apprendiamo ad immaginare o visualizzare in modo migliore, abbiamo compiuto un passo decisi-vo per diventare piu' creativi. L'immagine conserva tradizionalmente un grande po-tere. Infatti, prima della parola, fu per i nostri ante-nati il primario modo di descrivere, attraverso graffiti, il mondo a se stessi e agli altri. I nostri occhi e la nostra vista si sono specializzati a tal punto da diventare "autonomi" ai processi mentali superiori. Cio' vuol dire che essi, basandosi semplice-mente su sagome e contorni e comunicando al cervel-lo solo "elementi caratteristici" di corrispondenza, fa-voriscono percezioni di idee, concetti, sentimenti, conclusioni spesso ingannevoli. E dato che la mente funziona mediante il processo deduttivo, e' ragione-vole ritenere che la semplice creazione di un'immagi-ne mentale, simile all'oggetto reale, possa produrre una reazione come se ci si trovasse di fronte alla real-

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ta' A volte durante i Seminar di Training Mentale chiedia-mo: " Come funziona la vostra mente?" Le risposte, spesso, sono stimolanti ma confuse. Per quanto ci riguarda affermiamo che la produzione di immagini e' il linguaggio dell'inconscio e il potere di quest'ultimo viene evocato in modo estremamente diretto dalla pratica intenzionale della rappresentazio-ne mentale e dalla capacita' di visualizzazione. Le im-magini sono dei messaggeri che portano ispirazione alla consapevolezza, in superficie, e contemporanea-mente sono messaggi che, trasmessi coscientemente, arrivano nel piu' profondo dell'inconscio. Sembra che questo mezzo, l'immagine, riguardi il linguaggio pri-mario dell'unita' di elaborazione inconscia dell'idea. L'immagine inoltre darebbe una forma e un'identita', attraverso l'organizzazione dei processi della perce-zione, dell'attivita' organica e dell'attivita' mentale, in un tutto, divenendo il mezzo che collega il conscio con l'inconscio, l'oggettivo con il soggettivo. Per coloro che vedono facilmente immagini e' possibi-le, nella formulazione di domande, che le risposte e-mergano sotto forma di immagine creativa. Questo processo avviene spontaneamente e occorre solo "addestramento" affinche' i significati possano venire decodificati e costituire uno stimolo alla risoluzione creativa. Per coloro, invece, che hanno difficolta' nella visualizzazione, inizialmente sono utili esercizi inte-grativi nei quali viene data rilevanza ad altri canali sensoriali quali le sensazioni fisiche e i suoni. Alla fine dei conti, vale la pena esercitarsi un po' e fare qualche sforzo per apprendere il linguaggio dell'incon-scio, in modo da poterlo comprendere, dialogarci e comunicare. E' davvero piu' facile di quanto sembri, perche' in realta' dobbiamo ‘solo’ creare nuove im-magini.

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AFFERMAZIONE E AUTOIMMAGINE Il cervello e il sistema nervoso che reagiscono auto-maticamente all'ambiente sono gli stessi che ci dicono che cosa e' l'ambiente. La normale reazione di timore che si prova in un posto sconosciuto viene comune-mente spiegato come dovuto a un'emozione piuttosto che ad un'idea. Tuttavia sono le idee - consistenti in dati ricevuti dal mondo esterno ed elaborati dal cer-vello - che producono le cosiddette "reazioni emoti-ve". Le emozioni sono la conseguenza delle idee e delle opinioni di cio' che crediamo essere l'ambiente. I messaggi riportatici da quest'ultimo consistono in im-pulsi provenienti da vari organi sensoriali, impulsi va-lutati e decifrati dal cervello e trasmessi a noi attra-verso idee e immagini mentali. Ed e' a queste imma-gini mentali - engrammi - che noi reagiamo. Noi agiamo e sentiamo non in conformita' con il reale aspetto delle cose, ma secondo l'immagine che la no-stra mente se ne e' fatta. Noi abbiamo alcune immagini di noi stessi, del nostro mondo, della gente che ci circonda, e ci comportiamo, al di la' di cio' che rappresentano, come se queste immagini fossero reali e vere. Infatti, in base ai dati sperimentali, il sistema nervoso non puo' valutare la differenza tra un'esperienza reale e una realmente immaginata. L'aver capito che le nostre azioni, i nostri sentimenti e il nostro comportamento sono il risultato delle nostre immagini e credenze, ci da la chiave che la psicologia ha sempre cercato per il cambiamento. Se riusciamo ad immaginare il successo, in qualunque forma sia per noi significativa, e lo sentiamo come il nostro rea-le comportamento, aiutiamo il nostro Io a migliorarsi e a valorizzare la fonte della nostra forza interna:

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l'autoimmagine. L'immagine che si ha di se stessi e' il parametro entro il quale sottoponiamo ogni esperienza interna ed e-sterna a confronto. Quello che si immagina che la gente pensi di noi, o quello che si crede di essere, possono contribuire alla nostra fortuna o alla nostra sfortuna, al nostro successo o al nostro insuccesso. Immaginarsi positivamente, felici, fa scattare le rea-zioni positive dell'organismo e questo non perche' si "vuole" ottenere un risultato, ma perche' nell'immagi-nazione, a livello subcosciente, si "vede" farlo; ed e' perche' ci si vede che scatta la speranza e la realizza-zione. Lo scopo dell'autoimmagine psicologica non e' creare un se stesso fittizio, infinitamente potente, arrogante, egoista e molto importante; ma trovare l'Io reale di noi stessi e porre le immagini mentali di noi stessi piu' in linea con gli oggetti che esse rappresentano. Nei nostri seminari non si dice di credere ciecamente, ma di credere in misura sufficiente da mettere alla prova quanto affermato. Provando l'esercizio di "vedersi" in un nuovo ruolo si cambiano deliberatamente delle convinzioni subcon-scie, istruendo e riprogrammando precedenti immagi-ni "errate". Il procedimento segue un principio sem-plice: "la mente non fa differenza fra l'esperien-za vissuta e cio' che e' soltanto intensamente immaginato". Gli allenatori sportivi, unitamente ad ausili quali il vi-deoregistratore, usano regolarmente le tecniche dell'affermazione. Durante gli allenamenti si lavora sull'incremento dell'atteggiamento al successo, si pre-cisano mete e programmi da realizzare, attraverso immagini vivide di successo associate a sensazioni fisiche. Il lavoro psicologico dello sportivo e' mirato alla rimozione delle convinzioni negative sulle limita-

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zioni fisiche e psicologiche. L'immaginazione affermativa, inoltre, ha applicazioni curative. Si utilizzano immagini e frasi affermative riguardante la salute fisica e psichica, allo scopo di mobilitare le difese attive dell'organismo e rinforzare il sistema immunitario. Il Dott. Carl Simonton, a questo proposito, ha avuto incoraggianti risultati lavorando su pazienti affetti da malattie cancerose attraverso immagini affermative e il rafforzamento di un atteggiamento mentale positi-vo. Vi e' sempre, naturalmente, qualche dubbio sul fatto che la semplice ripetizione di immagini o dichiarazioni possa aiutare a risolvere i propri problemi. Tuttavia la resistenza si puo' vincere affermando che il nostro organismo sa gia' come funzionare. A noi spetta di facilitare la rimozione delle limitazioni che abbiamo imposto al suo naturale sviluppo. Il resto fa parte del dibattito tra scienza e possibilita'.

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ATTEGGIAMENTO MENTALE POSITIVO Un'affermazione e un successo duraturi nell'ambito della nostra vita avvengono quando la nostra disposi-zione interiore diventa un atteggiamento mentale positivo. L'atteggiamento mentale positivo non puo' essere, pero', condizionato alla soluzione di un problema e-sterno, poiche' risolto un problema ne sorge imme-diatamente un altro. La vita e' una sequenza di pro-blemi. Se saremo positivi, dovremo esserlo per abitu-dine mentale e non a causa di qualcosa. La felicita' , a questo proposito, nascera' dall'avere pensieri positi-vi, gradevoli, per buona parte della giornata, e questo ci rendera' meno schiavi delle circostanze.

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IL POTERE DI SOGNARE Passiamo un terzo della vita a dormire e sembra del tutto naturale chiederci che cosa accade in quello sta-to. Il linguaggio simbolico del sogno e' forse l'unico lin-guaggio universale che sia mai stato creato dall'uo-mo, rimasto identico per ogni civilta' e nel corso della storia. In esso la logica e' diversa da quella convenzionale diurna, in quanto non lo spazio e il tempo sono le ca-tegorie di riferimento, ma l'intensita' e l'associazione. Il sogno e il suo linguaggio sono il veicolo di un pote-re enigmatico che per vari motivi, incredulita' o inca-pacita' a comprenderlo, ha fatto parte della cultura degli uomini da sempre. Il merito di aver rivalutato il linguaggio onirico e' sta-to di S. Freud, che scopri' come il sogno fosse un fe-nomeno identico sia nella persona sana sia in quella malata. Ma mentre Freud si preoccupo' dei messaggi mascherati del sogno, C.G. Jung si interesso' di piu' a quelle immagini che potevano servire da guida verso la piena realizzazione dell'uomo. E' in questa seconda prospettiva che siamo interessati ad usare e conoscere il linguaggio onirico concordan-do sulla necessita' di un autoaddestramento per inter-pretare quei messaggi. Non e' possibile, infatti, scri-vere un dizionario di significati onirici (anche se in commercio ne esistono molti!), in quanto ogni simbo-lo ha un significato unico per chi lo sogna. Oppure, riusciamo ad interpretare un sogno, ma lo releghiamo all'interno delle nostre categorie di pensiero rischian-do di perdere cio' che esso rivela potenzialmente. Il sogno rappresenta la strada maestra per arrivare a comprendere il nostro inconscio in modo diretto. In-fatti, se e' possibile contestare un genitore, un guru o

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un terapeuta, dobbiamo fare "carte false" per non in-terpretare un sogno il cui messaggio arriva diritto al "cuore". Le cose piu' efficaci che possiamo attuare per isolare il significato del sogno sono: 1) negare la saggezza che vi e' contenuta, non rendendoci conto della sua importanza; 2) interpretare malamente ed in modo distorto il suo significato; 3) non ricordare i sogni. Coloro che hanno indagato sui sogni hanno evidenzia-to che in essi sono contenute: rappresentazioni di e-sperienze interiori, retrospettive di passioni represse nel quotidiano, anticipazioni del futuro, rivelazioni dell'inconscia trascendenza dell'individuo e diagnosi di malattie agli inizi, sia fisiche che psicologiche, per ci-tarne alcune. In linea di massima, tecnicamente, le fasi da attuare per lavorare sul sogno sono le seguenti: - Avere l'intenzione cosciente di ricordare i so-gni e di concentrarvi l'attenzione. - Essere in sintonia e ricevere i sogni, tenendo un diario, eventualmente discutendone in grup-po. - Interpretare le immagini oniriche personali con varie modalita' e tecniche. - Imparare in modo lucido ad agire sul sogno stesso.

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- Associare i messaggi alla vita di ogni giorno, cioe' imparare a guidare se stessi. I consigli per incominciare praticamente ad interpre-tare i sogni, invece, riguardano le seguenti fasi: 1) Tenere a portata di mano un taccuino, accan-to al letto. 2) Prima di addormentarsi, ripetere a se stessi che si intende ricordare un sogno. 3) Nel caso in cui si sia consapevoli di sognare, agire sul sogno con domande chiarificatrici. 4) Da svegli entrare di nuovo nel sogno, allo scopo di ricostruirlo, ponendo domande da sve-gli. 5) Scrivere pensieri, frasi , parole, immagini o sentimenti, associati alla vita notturna e al ri-sveglio. 6) Appena svegli, riguardare gli appunti sui so-gni scritti di notte. La nostra esperienza ci dice che si può passare anche qualche notte in ansia per applicare quanto abbiamo appena detto. Ciononostante, questa tecnica del ri-cordare e interpretare il sogno, e' assai più difficile del rilassamento e pertanto occorre una reale disponi-bilità ad apprendere. Quello che crediamo affascini di più la gente comune e' la tecnica del sogno lucido. Essa consiste nella capacità di modificare la realtà del sogno mentre so-gniamo. E' un modo interessante per affrontare, nel

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sogno stesso, le figure paurose che vi compaiono, allo scopo di ridimensionarle e integrarle. Questo avviene grazie al fatto di renderci conto che stiamo sognando e grazie al fatto che i singoli personaggi del sogno rappresentano particelle di una totalità che ci appar-tiene e che vorremmo integrare. Ponendo domande e agendo al contrario di cio' che sta avvenendo nel so-gno "sgonfiamo" questi personaggi "terribili" inte-grando coscientemente e intenzionalmente alcuni no-stri conflitti intimi. Tecnicamente si sviluppa in questo modo: a) Al risveglio ricordiamo un sogno. b) Ci distraiamo per alcuni momenti occupando-ci della toilette o di qualunque altra occupazione mattutina. c) Ci riaddormentiamo, ricordando il sogno. d) Agiamo sul sogno. C'e' un'altra cosa che crediamo sia ancora più affasci-nante, ed e' svegliarsi quando si e' svegli. Stiamo parlando con qualcuno e siamo imbarazzati. Tutto a un tratto ci ricordiamo che il nostro comportamento e' come un brutto sogno, siamo tesi e sulla difensiva; ci "svegliamo", tiriamo un respiro di sollievo e il nostro comportamento diventa più spontaneo perché comin-ciamo ad interessarci del nostro interlocutore e agia-mo in modo attivo. La realtà di ogni giorno, vissuta in questo modo, di-venta il più bel sogno che possiamo fare e al risveglio scopriremo con soddisfazione che c'e' un nuovo stato di coscienza.

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DIALOGO INTERIORE Sino ad ora abbiamo elencato gli strumenti che ven-gono adottati nell'ambito del programma di Training Mentale. Essi sono sviluppati attraverso tecniche e metodi che ne risaltano l'utilizzazione nella pratica quotidiana. Immaginazione, Autoimmagine, Rilassa-mento, Sogno Lucido, hanno lo scopo di rivelare alla consapevolezza cosciente ciò che e' stato definito so-vra conscio, la parte più essenziale del sè. Quando ci fa male un ginocchio lo facciamo curare da un ortopedico e non ci identifichiamo con il nostro do-lore, anche se lo sentiamo. Ci fa male, ma continuia-mo a fare le nostre cose. Lo stesso capita quando vi-viamo un'emozione, la sentiamo, ma non e' "noi", riu-sciamo a tenerla distinta da noi. Molto piu' difficile, invece, riconoscere una differenza o assumere una condizione di distacco, quando si tratta di un atteg-giamento o di un comportamento che coinvolge la nostra "mente". Falso orgoglio e' definito questo at-taccamento della mente alle sue manifestazioni e sappiamo tutti quanto sia difficile dire: "Scusa, ho sbagliato. Ho un carattere collerico, irascibile"; o al-tro; e ancora piu' difficile e' cambiare il proprio punto di vista per non parlare di certe convinzioni radicate. Sono l'Io e il Se' le due strutture psicologiche che ci permettono di elevarci e crescere come esseri umani. L'Io viene rafforzato dalla disipnotizzazione della cul-tura in cui cresciamo e dalle sue illusioni. Il Se' diven-ta accessibile, quando l'Io, nella sua funzione di faro che illumina il sistema organismo, fa si' che questo acquisti coscienza e si realizzi, si integra al se' reale. Quando il Se' comincia ad esprimersi come "un'autorita'" le finalita' coscienti si unificano con quelle sopracoscienti. L'Io si integra al se' reale. Quando cio' avviene non si e' piu' soli, nel mondo si

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percepisce il proprio legittimo spazio, e si partecipa alle finalita' comuni. Il Se' puo' essere definito un principio interiore di gui-da, che determina la maturazione e l'espansione co-stante della personalita'. Le sue possibilita' di svilup-parsi occupano l'intero arco della vita e dipendono dalla disponibilita' dell'Io di seguirne e attuarne i messaggi. Come rendere stabile questa tendenza creativa ed unificatrice della coscienza? Normalmente usiamo le nostre risorse creative in casi di emergenza, dove le capacita' razionali e analitiche non arrivano; e quando, non sapendo rispondere alle cause delle nostre problematiche economiche, coniu-gali, sociali e di lavoro, ci guardiamo "dentro". Non e' pero' sufficiente riconoscere il potere della creativita' e usarlo solo in casi estremi. Una volta capito come mobilitarlo e' decisivo affermare - nel senso di capire e agire - importanti domande: "Come dovrei vivere la mia vita?", "Come posso diventare piu' umano?", op-pure "Che cosa dovrei fare ora?", rispetto alle quali puo' cambiare il nostro modo di vivere. Qualsiasi esperienza che abbia il potere di risolvere i nostri problemi piu' difficili ci fa toccare con mano l'importanza di avere piu' fiducia nelle nostre guide interiori che sono sempre esistite, come figure di as-sistenti, maestri e guide spirituali, nei nostri sogni. L'idea che abbiamo capacita' superiori, latenti ma ac-cessibili, non e' un concetto nuovo. Quel che e' nuovo e' la necessita' di rendere tali concetti ampiamente disponibili. Nel programma T.M. e' rilevante lo spazio rivolto ad accettare l'idea di superiori capacita' umane nelle im-magini che si hanno di se stessi e degli altri. A tale scopo e' proposta la tecnica di trovare una "guida", un consigliere degno di fiducia: "il proprio Se' supe-

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riore", che grazie alle immagini ci faciliti l'ottenimento di una mediazione e di un dialogo con il Se' interiore. Questo consigliere interno aiuta a raccogliere dati im-portanti dal subconscio, migliorando la dimestichezza con parti di se stessi prima irraggiungibili, e indirizza scelte e decisioni presenti e future. Questa tecnica si serve della produzione di immagini come strumento per impiegare l'immaginazione, sotto la guida dell'in-telletto e della volonta', e cosi' insegnare a passare con facilita' dal pensiero razionale a quello intuitivo, dal conscio all'inconscio. C.G.Jung indico' tra vari personaggi, che possono fun-gere da guida, il saggio anziano, figura presente in quasi ogni cultura e religione. Il fatto di usare questa tecnica in modo cosciente per-mette, piu' facilmente che nel contesto dell'interpre-tazione del sogno, di ricevere simboli che emergono dall'inconscio. Simili esercizi e stratagemmi per visualizzare un dia-logo interiore, protratti nel tempo, appartengono ad una realta' apparentemente molto distante dal quoti-diano di ognuno di noi. Ma se grazie a questo dialogo risolviamo un problema, impostiamo meglio la nostra vita e mettiamo in pratica le conoscenze come faccia-mo con qualsiasi altro tipo di intuizione, non e' forse dire che comprendiamo e creiamo la nostra stessa vita? E non e' questo un modo realmente creativo di sopravvivere?

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CAPITOLO 10 SINTOMI: MAL DI TESTA E CEFALEA Mal di testa è un'espressione generica con la quale si definiscono patologie molto diverse fra loro. Sono sta-te individuate tredici forme di cefalea (termine scien-tifico con cui si indica il mal di testa) suddivise, a loro volta, in primarie e secondarie, con oltre novanta di-verse "sottocategorie". Caratteristiche fondamentali per la classificazione dei vari tipi di cefalea sono: qua-lità, intensità, ciclicità del dolore e sua modalità di insorgenza. La cefalea primaria rappresenta una malattia vera e propria, indotta da cause non sempre immediatamen-te identificabili, nell'ambito delle quali si possono indi-viduare alcuni fattori scatenanti di natura ormonale o ambientale. L'emicrania, la cefalea tensiva e la cefalea a grappolo sono le tre principali forme di cefalea primaria. Le cefalee secondarie sono invece dei sintomi indicati-vi di altri disturbi (allergie, difficoltà digestive, sinusi-te, ipertensione o artrosi) o scatenati da un motivo preciso, come l'assunzione o la mancata assunzione di particolari sostanze quali caffeina, alcool o alcuni tipi di farmaci. Il mal di testa è una patologia molto diffusa: in Italia ne soffrono 26 milioni di persone (Eurisko, Nov.1999), di cui la maggior parte donne. È anche una malattia sociale che fa perdere oltre duecento milioni di ore di lavoro all'anno e che incide sulla qua-lità della vita di chi ne è colpito. Il mal di testa è un'esperienza comune alla maggior parte delle persone. Ognuno di noi ha certamente a-vuto occasione di sperimentare, almeno una volta nella vita, una crisi di cefalea, associandola di volta in

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volta a ragioni diverse: ansia, insonnia, stress, stan-chezza, fumo, alimentazione, sforzi fisici, eccetera. Ma quali sono le cause del mal di testa? La difficoltà nel rintracciare con sicurezza le cause del mal di testa risiede in gran parte nel fatto che la cefalea può con-figurarsi come sintomo di diversi disturbi di natura patologica. Il primo passo da compiere è dunque quello di distinguere tra cefalee primarie (cefalee-malattia) e cefalee secondarie (cefalee-sintomo). Mentre le secondarie rappresentano un sintomo di altre malattie, le primarie sono esse stesse la malatti-a. Nell'ambito delle principali forme di cefalee prima-rie (cefalea tensiva, emicrania e cefalea a grappolo) i meccanismi da cui scaturiscono gli attacchi sono poi di natura diversa a seconda dei casi. È importante distinguere tra cause e fattori scatenan-ti. Con il termine cause si intendono quelle alterazioni di fattori fisiologici interni al nostro organismo (alterazioni di tipo vascolare, nervoso, muscolare, or-monale, eccetera) che sono responsabili dell'insorgere del dolore. I fattori scatenanti sono rappresentati, invece, dall'in-sieme di elementi e situazioni in grado di indurre, in qualche modo, le modifiche funzionali che causano il dolore, quindi stress, intensa attività lavorativa, man-canza di sonno, esposizione a particolari fattori am-bientali, fumo, alimentazione inadeguata, consumo eccessivo di alcool, mantenimento di posizioni scor-rette, eccetera. Le modalità con cui i fattori scatenan-ti interagiscono con il nostro organismo non sono completamente note. Le diverse forme di cefalea, emicrania, cefalea a grappolo, cefalea tensiva, hanno ciascuna una cura specifica, che è correlata con le cause che determina-no l'insorgere del dolore. Affinché la cura sia vera-

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mente efficace, quindi, è fondamentale identificare con la maggior precisione possibile il tipo di mal di testa in questione e le sue caratteristiche. A questo scopo ci si può servire di un "diario del mal di testa", dove annotare sintomi, fattori scatenanti e, in generale, tutto ciò che accompagna la crisi doloro-sa. È uno strumento utile per avere una diagnosi pre-cisa e per permettere al medico di scegliere la terapia migliore. Un altro metodo per monitorare il proprio mal di testa è compilare il Midas (Migraine Disability Assesment Scale), un test di carattere scientifico che consente di calcolare il grado di disabilità determinato dalla cefa-lea. Una volta accertata la natura della cefalea, si può scegliere il trattamento più adatto, che è quasi esclu-sivamente di tipo farmacologico nel caso dell'emicra-nia e della cefalea a grappolo. Soprattutto nel caso della cefalea tensiva si può ricorrere anche a metodi di cura alternativi. Per trovare sollievo al dolore si può ricorrere anche a quelli che possiamo definire "i rimedi della nonna", tramandati dalla tradizione popolare. Una precauzione importante da prendere durante la crisi di mal di testa è il riposo: buio, silenzio e sonno sono spesso in grado di porre fine all'attacco e favori-scono la velocità d'azione di un farmaco. Altri tipi L'IHS (International Headache Society) ha classificato ben tredici tipi di cefalee, suddividendole in due cate-gorie: primarie e secondarie. Le cefalee primarie sono vere malattie e non hanno una causa specifica che ne giustifichi l'insorgere. Ap-partengono a questo gruppo emicrania, cefalea tensi-

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va, cefalea a grappolo e altri tipi di cefalee non asso-ciate a lesioni strutturali, ma innescate da vari, e spesso insospettabili, fattori. Le cefalee secondarie, invece, sono scatenate da cause diverse da quelle del mal di testa e possono essere sintomo di un'altra malattia. Si manifestano come conseguenza di: traumi cranici o, comunque, lesioni del capo; malattie o disfunzioni dei vasi sanguigni della circolazione celebrale, per e-sempio ischemia, trombosi, aneurisma ed emorragia cerebrale; malattie del cervello o delle strutture circo-stanti, come tumori o meningiti; assunzione o so-spensione di sostanze esogene, come alcool, caffeina, oppiacei; infezioni virali o batteriche; malattie del metabolismo, come diabete o malattie renali; dolori facciali legati a patologie del cranio, del collo, delle orecchie, del naso, dei denti, della bocca; nevriti e nevralgie craniche. Vi è poi un certo numero di cefalee non classificabili. Possiamo ricordare in particolare alcune delle patolo-gie elencate. La nevralgia del trigemino è l'irritazione di uno dei due nervi cranici (localizzati uno a destra e uno a sini-stra del cranio) che danno mobilità e sensibilità al volto. Il dolore si manifesta solo su metà della faccia, è intensissimo e compare all'improvviso. Il dolore è scatenato ogni volta che si muove o si stimola la par-te interessata (per esempio parlare, masticare, lavar-si il volto), dura uno spazio di tempo di solito breve, ma può presentarsi più volte al giorno. Anche la sinusite, l'infiammazione dei seni nasali e paranasali, ha tra le sue conseguenze un fastidioso mal di testa in corrispondenza delle arcate sopracci-liari, sotto gli occhi e alla radice del naso. Il dolore è

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di tipo gravativo ed è descritto come un peso, acutiz-zato dalla pressione delle dita sulla zona interessata. Il mal di testa dovuto alla malocclusione dell'articola-zione temporo-mandibolare si localizza sotto l'orec-chio, diffondendosi verso le guance e il collo. È causa-to dal fatto che le arcate mandibolari non combaciano perfettamente, per motivi di costituzione fisica o per interventi dentistici mal riusciti o non effettuati. Alcune cause e fattori scatenanti La postura Forse può sembrare strano, ma il cerchio alla testa che infastidisce tanto può avere un'origine banale: una posizione scorretta del corpo. Una postura errata può provocare un'eccessiva tensione dei muscoli della testa e del collo, condizione che rappresenta una del-le principali cause della cefalea tensiva, una delle for-me più comuni di mal di testa. In questi casi il rimedio è semplice, basta scoprire quali posizioni mettono a dura prova nervi e muscoli e imparare a governare meglio i movimenti. In automobile, per esempio, guidare tenendo il corpo proteso verso il volante può mettere in tensione la muscolatura e far partire "in quarta" il mal di testa. La soluzione è semplice: guidare sempre con la schie-na appoggiata al sedile, dopo averlo regolato nella posizione più comoda. Se il traffico è intenso, oltre ad aumentare lo stress aumenta anche la tendenza ad aggrottare continua-mente la fronte e il cerchio alla testa si stringe sem-pre più. Se non si riesce a sfuggire alla congestione del traffico, consigliamo di farsi accompagnare, du-rante la guida, da una rilassante musica di sottofon-do. Passare molto tempo alla scrivania, con la testa recli-nata in avanti per leggere o scrivere, non è molto sa-

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lutare. Se non vuole che il mal di testa ci faccia com-pagnia, è bene usare una sedia con schienale e sedile regolabili e tenere la schiena dritta e gli avambracci appoggiati sul tavolo con i gomiti ad angolo retto. Sciogliamo almeno ogni due ore i muscoli delle spalle, rimanendo con la schiena diritta e lasciando cadere le braccia lungo il corpo. Se poi usiamo un computer c'è qualche regola in più da seguire. Attenzione anche al letto! Un cuscino o un materasso troppo duri o troppo molli possono causare un'antipa-tica cefalea al risveglio. Infine un'avvertenza per tutte le donne: i tacchi alti possono provocare il mal di testa, perché il corpo è costretto a irrigidire i muscoli del dorso per mantene-re il giusto equilibrio nella posizione eretta. Anche in questo caso il rimedio è semplice: scarpe con un tac-co non più alto di tre o quattro centimetri e, quando è possibile, camminare a piedi nudi. Al computer Quando ci si siede davanti al computer alcune sempli-ci regole ci aiuteranno a mantenere una posizione corretta e a evitare inutili affaticamenti che possono sfociare in un fastidioso mal di testa. 1. La parte superiore del monitor deve stare al livello degli occhi o appena più in basso, così è possibile te-nere la testa e il collo eretti. 2. Occorre collocare la tastiera in una posizione cen-trale sulla scrivania, davanti al monitor o ai documen-ti che si stanno consultando. 3. La distanza della tastiera deve permettere di tene-re gli avambracci stesi e rilassati e appoggiati sulla scrivania. 4. Sarebbe opportuno usare un sedile regolabile in altezza.

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5. Sistemare lo schienale del sedile in modo che so-stenga la zona lombare, con un inclinazione tra i 90º e 110º. 6. Appena si sente in fastidio al collo o alle mani oc-corre fermarsi, alzarsi e fai quattro passi nella stanza. 7. In ogni caso è utile prendersi una pausa dopo due ore passate davanti al computer. Lo stress Che stress! Quante volte abbiamo usato questa e-spressione?! Sicuramente molte, e a ragione: lo stress è considerato la malattia del secolo, ne sof-frono addirittura due italiani su tre. Ma cos'è lo stress? Possiamo definirlo "ansia da pre-stazione". Ci assale, infatti, quando affrontiamo in maniera troppo emotiva le situazioni quotidiane, op-pure in tutte quelle occasioni della vita in cui siamo presi da mille cose o ci sentiamo in dovere di dare il cento per cento di noi stessi. E queste occasioni sono veramente numerose: una scadenza molto vicina, un lavoro urgente, un'interro-gazione o un compito in classe e, ancora, i conflitti familiari, le emozioni intense, le malattie, le fasi di cambiamento di vita, come il matrimonio o la nascita di un bimbo. Il problema dello stress interessa in special modo i manager o chiunque occupi ruoli di grande responsa-bilità, e le donne, sempre più spesso divise fra gli im-pegni della famiglia e quelli del lavoro. Ma cosa c'entra lo stress con il mal di testa? C'entra, c'entra ... Quando ci si trova nel bel mezzo di una si-tuazione snervante, anche se non ce ne accorgiamo, irrigidiamo e teniamo contratti i muscoli del collo, del-le spalle e del cranio. Questo atteggiamento può far scattare il cosiddetto "cerchio alla testa", provocando un attacco di cefalea tensiva, una forma di mal di te-sta non particolarmente dolorosa ma molto fastidiosa.

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Lo stress è anche uno dei fattori che possono scate-nare l'emicrania, che si manifesta con un dolore pul-sante che interessa un solo lato della faccia. Nelle crisi di cefalea tensiva il dolore si fa sentire pro-prio mentre si sta vivendo la situazione stressante, al contrario nell'emicrania questo compare in un mo-mento successivo alla fase di stress, mentre ci si ri-lassa. Questo è quanto accade, per esempio, con la cosiddetta cefalea da week end, un attacco di emicra-nia che aggredisce abitualmente durante il fine setti-mana. Il rimedio al "mal di testa da stress" è semplice, al-meno a dirsi: “provare a eliminare l'ansia e la tensio-ne ed evitare, per quanto è possibile, le situazioni che le provocano.” Per combattere lo stress bisogna prima di tutto saper-ne riconoscere le cause e poi imparare a gestirlo nella maniera migliore. Un valido aiuto è rappresentato proprio dalle tecniche di rilassamento specifiche. Ricordiamoci che, analogamente allo stress, anche uno sforzo fisico intenso può provocare un mal di te-sta pulsante e persistente, specie se non si è al mas-simo della forma o si è particolarmente stanchi. Quindi va bene l’esercizio fisico, ma attenzione a gra-duare l'intensità dell’allenamento. Lo stress e tutti gli stati emotivi ad esso associati, come ansia, depressione, stanchezza, tensione nervo-sa e insonnia, sono considerati i principali fattori sca-tenanti la cefalea tensiva, tanto che questa viene spesso considerata un disturbo psicosomatico. Quando ci si trova in questi stati si tende a respirare di meno e a convogliare nelle spalle la tensione accu-mulata e a contrarre le fasce muscolari del cranio e del collo. Questo sforzo, involontario ma continuo, si traduce in mal di testa.

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È stato inoltre dimostrato che le persone particolar-mente stressate hanno una soglia del dolore alterata, più bassa della media, a causa della diminuzione del livello delle endorfine. Queste sono sostanze prodotte dal cervello, che fun-zionano come analgesici naturali e svolgono un ruolo fondamentale nel ridurre la sensibilità al dolore. Quando il livello di endorfine diminuisce, anche una semplice contrattura muscolare può essere avvertita in maniera più dolorosa e intensa. Bisogna infine segnalare che, mentre l'attacco di ce-falea tensiva causato da stress si verifica nel momen-to stesso in cui si vive la situazione stressante, nel caso dell'attacco di emicrania indotto dallo stress, il dolore arriva quando l'episodio che lo ha provocato è terminato. Tabacco e alcol "Bacco, tabacco e Venere riducono l'uomo in cenere" recita il famoso proverbio. Forse esagera ma certa-mente gli stravizi non giovano alla salute. Nel caso del mal di testa, poi, possono rivelarsi la causa di una crisi, specialmente per chi è naturalmente predisposto alla cefalea. Il fumo, tra le sue tante controindicazioni, ha anche quella di mettere in circolo nel sangue una grande quantità di monossido di carbonio, che va a sostituirsi all'ossigeno nei globuli rossi. Mancando l'ossigeno, il cervello ne patisce e si mettono in moto fenomeni di vasomotilità, cioè di cambiamento del calibro dei vasi sanguigni, che provocano il dolore. Smettere di fuma-re, quindi, o almeno diminuire il numero delle sigaret-te giornaliere, è una buona norma in generale e un'ottima regola se vuoi evitare un fastidioso mal di testa. Cosa dire poi delle bevande alcoliche? L'alcol è un po-tente vasodilatatore e, in più, aumenta la produzione

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di istamina, una sostanza in grado di provocare mal di testa. Gli effetti di tutto questo, se si è predisposti, sono dannosi anche se si beve "solo un goccio". Il ben noto mal di testa da sbornia, dovuto agli effetti resi-dui del troppo alcol, si accompagna a un generale stato di malessere. Per evitare le conseguenze più spiacevoli di un'abbondante bevuta, è utile mangiare un po' di miele prima di andare a dormire. Il miele, infatti, contiene il fruttosio, lo zucchero derivato dalla frutta, che aiuta l'organismo a smaltire più rapida-mente l'alcol. Parliamo ora di Venere. La cosiddetta cefalea da rap-porto sessuale colpisce "durante" il rapporto e inte-ressa esclusivamente quei maschi che sono natural-mente predisposti a questo tipo di mal di testa. Non è dovuta alla qualità o alla quantità delle "prestazioni" ma dipende dall'aumento della pressione arteriosa che accompagna l'eccitazione sessuale. Anche dormire troppo o troppo poco può dare alla te-sta, perché altera i ritmi naturali di sonno e veglia e, di conseguenza, la produzione di alcune sostanze che influiscono sul nostro benessere. Un tipico caso è la cefalea del nottambulo, il mal di testa che viene quando si fanno le ore piccole la notte e poi si tenta di recuperare durante il giorno il sonno perduto. Un altro è la cefalea da week end, che colpi-sce durante il fine settimana quando si modificano gli orari del sonno rispettati dal lunedì al venerdì. L'ambiente L’ambiente in cui si vive, come è facile immaginare, influisce fortemente sulla qualità della nostra vita e sullo stato di salute. In particolare, esistono numerosi fattori di natura ambientale che possono scatenare o aggravare le crisi di cefalea nei soggetti predisposti. Ecco i principali. Se si ha naso e orecchie "sensibili" cercare di evitare i

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rumori e gli odori troppo intensi. Il chiasso assordan-te, un suono acuto e prolungato, aromi e fragranze pungenti ma anche un profumo particolarmente in-tenso possono, infatti, far scattare il mal di testa. Un effetto analogo può avere la luce troppo forte, soprat-tutto quando fissata a lungo. Se quota e testa non vanno d'accordo, attenti alle e-scursioni in alta montagna. L'effetto che l'altitudine esercita sulla qualità dell'aria in alta quota può, infat-ti, avere ripercussioni anche su di noi. Con l'aumento della quota, l'aria diventa più rarefatta e può provo-care mal di testa, vertigini e nausea. Per evitare que-sto sgradevole effetto da altura basta salire in modo graduale e fermarsi spesso durante il percorso per consentire all'organismo di adattarsi un po' per volta al cambiamento di altitudine. Paura di volare? Se si soffre di questa fobia, abbiamo una scusa in più per preferire altri mezzi di trasporto. La pressurizzazione cui sono sottoposte le cabine de-gli aerei e gli effetti spesso destabilizzanti del cambia-mento di fuso orario sono, infatti, due fattori che pos-sono indurre mal di testa, insonnia e senso di stordi-mento. Quando ci si sposta in aereo, soprattutto per destinazioni lontane, è utile cercare di dormire alme-no qualche ora durante il viaggio senza appesantirsi eccessivamente con il cibo prima e durante il volo. Tra i fattori ambientali che più influiscono sulla com-parsa del mal di testa, possiamo sicuramente citare il clima e l'inquinamento nelle sue diverse forme Un discorso a parte merita la casa, il primo ambiente con cui ci rapportiamo ogni giorno. I cibi Ci è mai capitato di avere mal di testa dopo un pran-zo, una cena o magari un banale spuntino? Se la ri-sposta è sì, probabilmente abbiamo mangiato qualche cosa che ce lo ha scatenato.

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Esistono molti alimenti che possono determinare una crisi di mal di testa. Questo perché i cibi in questione contengono particolari sostanze vasodilatatrici che, inducendo un allargamento dei vasi sanguigni (compresi quelli del cranio), provocano il dolore. Non confondiamo, però, questo tipo di mal di testa, generalmente sopportabile, con quello causato dalle allergie alimentari! In questo caso il dolore è una ri-sposta del corpo a qualche sostanza che scatena una reazione immunitaria. Riconoscere questo mal di te-sta "allergico" è facile perché spesso è accompagnato da altri fastidiosi sintomi, come eruzioni cutanee, au-mento del battito del cuore, disturbi intestinali. Per evitare il mal di testa da cibo l'unico rimedio è quello di prestare attenzione a ciò che si mangia. Cer-chiamo, quindi di riconoscere e di limitare, o meglio ancora eliminare, le pietanze e le bevande "a rischio". Seguiamo una dieta sana e bilanciata, ricca di alimen-ti come carni e verdure fresche che contengono ma-gnesio, sostanza che sembra capace di prevenire la cefalea. Altri cibi consigliati sono latte, yogurt, pane bianco, zucchero, miele, pesce e cereali. Durante la gravidanza e l'età dello sviluppo, o nella stagione e-stiva, si dovrebbe associare alla dieta vitamine e sali minerali, la cui carenza, dovuta allo sforzo e al caldo, rende più esposti alla crisi. Abbondiamo pure con il peperoncino che, grazie alla capsaicina (sostanza capace di regolarizzare la circo-lazione del sangue e di ridurre la produzione delle so-stanze che trasmettono il dolore) sembra essere un ottimo antidolorifico. Anche il digiuno può scatenare il mal di testa. Quando assumiamo pochi zuccheri possiamo incorrere in una crisi ipoglicemica (il cosidetto "calo di zuccheri") che ha un effetto dilatante sui vasi sanguigni del cranio. Per evitare questo fastidio, che generalmente compa-

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re a metà mattina e per garantirci una riserva di e-nergia, facciamo una prima colazione completa, abbi-nando a caffè, tè o latte, biscotti, fette biscottate, magari con la marmellata e cereali. Vi è, infine, un mal di testa dovuto alla temperatura del cibo. Quando mangiamo un gelato o un ghiaccio-lo, si manifesta un dolore lancinante e improvviso, dovuto all'eccessiva sollecitazione delle terminazioni nervose del palato. Anche in questo caso l'unico con-siglio è quello di evitare di mangiare troppi cibi freddi o, quanto meno, di mangiarli lentamente. La donna Lo stato di salute di una donna dipende molto dal suo delicato equilibrio ormonale, spesso soggetto ad alte-razioni durante le diverse fasi della vita. Il ciclo me-struale, la gravidanza, la menopausa, l'uso di con-traccettivi orali, sono tutte situazioni in cui si verifica-no variazioni ormonali che possono scatenare attacchi di mal di testa. Quando il mal di testa è … donna! Per molte donne, il legame tra ciclo mestruale e mal di testa è un evento tristemente noto. Secondo l'ACHE (American Council for Headache Edu-cation) almeno il 60% delle donne che soffre di mal di testa lamenta un aumento nel numero di attacchi di cefalea durante il periodo mestruale. Mentre una percentuale minore (circa il 10%) riferisce di accusare crisi di emicrania solo in corrispondenza dei giorni del ciclo e non altrimenti. In realtà, anche se l'effetto esercitato dalle variazioni ormonali sul "mal di testa femminile" è da tempo una conoscenza acquisita, il meccanismo con cui tale in-fluenza si verifica rimane ancora in parte sconosciuto. Perché gli ormoni ci danno alla testa? L'origine del "mal di testa al femminile" è legata alle variazioni or-monali che si verificano in particolare momenti della

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vita di una donna. Anche se il meccanismo di interazione non è ancora del tutto chiaro, è stato ipotizzato da tempo che gli estrogeni (gli ormoni sessuali femminili) giochino un ruolo determinante nel causare la cosiddetta "sindrome mestruale". Sembra, infatti, che il brusco calo di estrogeni, che si verifica in concomitanza dell'arrivo del ciclo, causi una riduzione di alcune so-stanze prodotte dal cervello (le Beta-endorfine) che svolgono un ruolo determinante nel ridurre la sensibi-lità al dolore. Con il calo degli ormoni, aumentano invece le prosta-glandine, sostanze responsabili dei processi infiam-matori che facilitano gli squilibri nella circolazione sanguigna cerebrale. Anche il progesterone, altro or-mone sessuale femminile, è coinvolto nell'insorgenza del mal di testa femminile: il suo livello scende alcuni giorni prima dell'inizio delle mestruazioni causando quella che alcuni identificano come "emicrania preme-struale". Metodi di prevenzione e trattamento Norme generali Prevenire il mal di testa è possibile applicando e ri-spettando, innanzitutto, alcune semplici norme e buo-ne abitudini di vita: controllare la propria dieta, elimi-nare o ridurre il fumo e l'alcol, fare un'adeguata atti-vità fisica, non assumere o mantenere a lungo posi-zioni del corpo scorrette, cercare di gestire ansia e stress. Prevenzione farmacologia La prevenzione attraverso i farmaci (terapia di profi-lassi), è consigliata nei casi di dolore cronico o fre-quente e nelle forme di cefalea particolarmente dolo-rose, varia a seconda del genere di mal di testa e de-ve essere studiata in base alle indicazioni e alle carat-teristiche del paziente. L'assunzione dei medicinali

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deve avvenire, naturalmente sotto il controllo del pro-prio medico curante. Nel caso dell'emicrania si interviene con la terapia di profilassi quando si hanno tre o più crisi al mese, che durano almeno due giorni. La profilassi è particolarmente indicata nel caso della cefalea a grappolo, perché può aiutare a ridurre la durata degli attacchi e anche perché, data la brevità delle crisi, spesso il trattamento sintomatico non ha il tempo di agire. La cefalea tensiva può richiedere un trattamento pre-ventivo nel caso sia cronica, con più di due attacchi alla settimana. Trattamento farmacologico L'efficacia del trattamento farmacologico dell'emicra-nia dipende, in buona misura, dalla tempestività con cui si interviene. Gli analgesici da banco, soprattutto se assunti all'in-sorgere dei primi sintomi, possono risultare efficaci nel contrastare il dolore provocato dagli attacchi emi-cranici di minore intensità. Questi farmaci esercitano, infatti, azione antidolorifica e antinfiammatoria. Nei casi di crisi più dolorose e acute, si può ricorrere ai triptani, farmaci che agiscono sui recettori della serotonina riducendo la dilatazione dei vasi cerebrali. Queste sostanze, però, possono avere effetti collate-rali (costrizione al petto, stanchezza) e sono controin-dicati in determinate situazioni. In passato venivano usati gli ergotaminici (derivati dell'ergot), farmaci che, esercitando un'azione vaso-costrittrice, contrastano la fase di vasodilatazione cra-nica responsabile dell'insorgere del dolore. In tutti i casi, dal momento che la nausea è spesso un

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sintomo di accompagnamento nelle crisi emicraniche, è preferibile (quando possibile) limitare l'uso di far-maci per somministrazione orale per evitare il rischio che questi possano indurre il vomito. È bene ricordare, infine, che l'assunzione di farmaci dovrebbe sempre avvenire dietro indicazione del pro-prio medico. Alcuni di questi farmaci possono, infatti, presentare effetti collaterali, risultare inadeguati per chi soffre di altre patologie (disturbi cardiaci, circola-tori o renali) o essere sconsigliati durante la gravi-danza. IL CONTROLLO DEL DOLORE Metodi "dolci" Attraverso le tecniche del Programma di Training Mentale avviene una comunicazione di idee e concetti ad un livello tale - livello soggettivo - che massimizza la motivazione ad esplorare le potenzialita' del proprio corpo in direzione del controllo delle sue reazioni psi-cologiche e fisiologiche. Per la maggior parte delle persone, il dolore e' una sensazione immediata, soggettiva, che capta tutta l'attenzione, un'esperienza assolutamente penosa che, al meglio delle convinzioni e dei modi di vedere di chi ne e' vittima, e' totalmente incontrollabile. E tuttavia, a seguito degli eventi della nostra vita, noi tutti abbiamo immagazzinato nel nostro corpo certi apprendimenti, associazioni e condizionamenti, di va-ria natura che ci rendono possibile controllare e persi-no eliminare il dolore. Basta pensare a situazioni di tensione e angoscia per rendersi conto che il dolore piu' grave svanisce quando la consapevolezza di chi ne e' vittima e' costretta a concentrarsi su altri stimo-li. Come esempi, tratti dalla vita di ogni giorno, abbia-

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mo il mal di denti, che dimentichiamo mentre ci re-chiamo dal dentista; o quel mal di testa che svanisce mentre seguiamo una conferenza interessante. Attra-verso esperienze di questo tipo, il corpo impara una gran varieta' di associazioni e condizionamenti. Questi apprendimenti inconsci, ripetutamente rinforzati da ulteriori esperienze di vita, costituiscono la fonte di quelle potenzialita' che possono essere utilizzate at-traverso tecniche di Training Mentale. per controllare intenzionalmente il dolore, e senza ricorrere a farma-ci. Per poter impiegare alcune tecniche specifiche nel trattamento del dolore, e' necessario considerare il dolore nel modo piu' analitico possibile, e invece di lottare per eliminarlo, impariamo innanzitutto a: 1. Riconoscere cio' che non va ( ad esempio: "Ho mal di testa") 2. Riconoscere il bisogno di cambiare (" Non vo-glio avere il mal di testa") 3. Dire a se stessi come si vorrebbe essere ( "Voglio che la testa sia sgombra e rilassata") La nostra mente funziona come un calcolatore elet-tronico e non facendo salti nel processo di elaborazio-ne, ha bisogno di ricevere disposizioni precise. Il dolore non e' solo uno stimolo nocivo semplice, e' innanzitutto un'esperienza conscia, soggettiva, con significati emotivi e psicologici spiacevoli: e' una forza propulsiva, motivante nelle esperienze della vita. Co-stituisce la ragione principale dell'andare alla ricerca di un medico o di uno psicoterapeuta. Il dolore e' un complesso formato dal dolore passato che viene ricordato, dal dolore attuale e dall'anticipa-zione del dolore futuro. Dunque, il dolore presente viene aumentato dal dolore passato e accresciuto dal-

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la possibilita' del dolore futuro. Lo stimolo doloroso immediato non e' che un terzo, centrale, dell'espe-rienza complessiva. Quando ci si rende conto che il dolore attuale e' un evento isolato, grazie ad un at-teggiamento mentale positivo e ad affermazioni verbali adeguate, si riesce a ridurre e quindi a con-trollare lo stimolo doloroso. Anche l'abitudine ha la sua rilevanza. Il protrarsi di un dolore in una zona del corpo può portare all'abitudine di interpretare come dolorose tutte le sensazioni di quella zona. Il dolore, essendo un meccanismo soma-tico protettivo, motiva la persona a proteggere quella parte e a cercare aiuto. A questo scopo e' importante riuscire, grazie alla propria aumentata ricettivita' e sensibilita' corporea, a sentire i molti modi -sensazioni - attraverso i quali il dolore si puo' espri-mere. In questo caso, una tecnica a-specifica di rilas-samento puo' far sparire il dolore. Per controllare il dolore, oltre alla tecnica citata in precedenza e definita "dei tre passi" e realizzata in stato di rilassamento, ce ne sono altre che tutti ab-biamo sperimentato nella nostra vita e che possono tornarci ancora utili. a) Uno dei modi per affrontare le sensazioni spiacevoli e' quello di dimenticarle - come quan-do si va al cinema, ci si lascia assorbire dalla trama, e intanto si dimentica il mal di testa. Ma-gari ci ricordiamo ’dopo’ che avevamo il mal di testa. b) Una tecnica eccellente per affrontare il dolore è l'analgesia. Attraverso questa si provoca una perdita del dolore mantenendo intatte le sensa-zioni tattili, le sensazioni di pressione e le sen-

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sazioni cenestesiche. c) Sostituire sensazioni spiacevoli con sensazio-ni piacevoli. Questa e' una tecnica nella quale si offrono piu' informazioni e si sostituiscono le sensazioni spiacevoli cercando quelle positive e piacevoli. d) Un'altra importante misura per affrontare il dolore e' la dissociazione psicologica. E' la sen-sazione che si ha metaforicamente quando: "il corpo e' a letto e la testa e' sul comodino". Il corpo puo' provare tutto il dolore possibile, ma il sistema percettivo non supera la soglia di attenzione. e) C'e' poi un altro modo di affrontare il dolore che comporta il disorientamento della percezio-ne del corpo. Si attua, ad esempio, con i bambini quando si fanno male, e gli si chiede:" Ti fa male qui, qui o qui?", indicando punti diversi del cor-po. Disorientati, e' piu' facile che accettino l'in-dicazione che si tratta di un dolore sopportabile, quasi nullo. f) Da ultimo, e' possibile usare il metodo di ri-durre un dolore dal 100%, al 90%, al 70% e co-si' via. Queste sono tecniche che, come abbiamo detto all'ini-zio, riguardano le esperienze di vita di ognuno di noi. Si attuano perlopiù in modo inconscio e si tratta di usarle in modo cosciente e deliberato.

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UN ALTRO PUNTO DI VISTA SUL "GUARIRE" Ci troviamo spesso di fronte ad individui che sperano, attraverso le tecniche di Training Mentale, di risolvere efficacemente e definitivamente alcuni loro sintomi o malattie o problemi, e di tornare "in fretta" come era-no prima di tali episodi. In altre parole chiedono di poter "guarire". Il training porta sostanzialmente verso un maggiore equilibrio psicofisico e ad un interessante migliora-mento attraverso in cambiamento dell'atteggiamento con cui ognuno analizza affronta le cose. Questo e' possibile quando si riesce a capire il linguaggio della coscienza, a comprenderne le carenze e a colmarle. Il nostro intervento riguarda il coinvolgimento pieno, di disponibilita' e potenzialita', dell'unica persona che puo' fare qualcosa per se stessa; e cioe' ci prodighia-mo affinche' la persona coinvolta si renda ben conto che e' la vera e autentica artefice del proprio miglio-ramento e cambiamento. La malattia, il sintomo o il problema, che di solito mo-tiva l'interessamento ad un corso di Training Mentale, non riguarda disturbi casuali, e quindi sgraditi, che ci colgono per strada. Anzi, potenzialmente, sono una opportunità per rivedere la direzione e lo scopo della vita e rappresentano un messaggio capace di rivelare, se correttamente interpretato, le necessità e i bisogni profondi, fino ad ora evasi. La malattia, il sintomo o il problema, in realtà, ci informano sulla correttezza della via che abbiamo intrapreso. Perciò "guarire" non e' solo vincere un sintomo ma diventare più sani, più integri, più completi. E questo avviene attraverso la dilatazione di tutti i piani della coscienza nei quali vie-ne integrato ciò che e' in ombra e viene portato a ter-mine l'incompiuto. In questo senso c'e' una notevole differenza tra la guarigione sintomatica e la guarigio-

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ne dei significati nel senso di espansione della co-scienza. La prima e' interessata all'eliminazione del "problema"; la seconda alla comprensione profonda dei significati che il problema veicola. Lo scopo, per quanto riguarda la nostra prospettiva di intervento, non e' combattere la malattia, ma utilizzarla. Per po-terlo fare si dovrà accettare la malattia e la guarigio-ne come importanti aspetti della vita, come due lati della stessa medaglia. Entrambe hanno una loro di-gnita': la malattia veicola un messaggio; la guarigio-ne si esprime come dilatazione della coscienza. Per ironia della sorte, la malattia, il sintomo o il proble-ma, persisteranno finche' escluderemo qualcosa dalla nostra coscienza o ci lasceremo limitare da qualcosa. E quando diremo: "Questo io non lo faro' mai!", "questo non mi e' possibile accettarlo!", realizzeremo il modo migliore per "non guarire". Infatti, non e' pri-mariamente il sintomo che va eliminato, anche, ma e' la consapevolezza, soprattutto, che dovremo educare e sviluppare. Quale e', dunque, il servizio che ci rende la malattia? Essa ci permette di disseppellire i lati d'ombra della coscienza, portare i contenuti repressi alla luce, affin-che' trovino adeguato riconoscimento. Normalmente verifichiamo che alla malattia chiudia-mo gli occhi. E' questo il vero problema, la malattia la combattiamo come un nemico. Quando invece sare-mo cresciuti in consapevolezza potremo aiutarci con diversi strumenti che hanno lo scopo di illuminare il messaggio della malattia, del sintomo o del problema. Alcune di queste procedure riguardano: 1) L'interpretazione dei sintomi non solo come catene causali fisiologiche, morfologiche, chimi-che, nervose, ma come contenuti e manifesta-zioni soggettive che veicolano un messaggio.

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2) L'analisi del momento in cui il sintomo si ma-nifesta, interrogandosi sulla situazione di vita, i pensieri, le fantasie, i sogni, gli eventi e le noti-zie relative al momento della comparsa del sin-tomo. 3) La trasformazione del linguaggio del corpo in un linguaggio psicosomatico, simbolico. 4) Il porsi domande come "Cosa mi impedisce di fare, il sintomo?" e "A che cosa mi costringe, il sintomo?". Se ci atterremo a queste indicazioni potremo acquisi-re una notevole conoscenza del significato del nostro "sintomo". Anche se non e' possibile dire in anticipo fino a che punto l'esperienza acquisita penetrera' nel-la coscienza, con tutte le sua conseguenze, possiamo dire che cio' dipendera' dall'evoluzione emozionale e spirituale di ogni individuo. Piu' forte sarà la resisten-za personale, piu' forte verrà percepito il problema; piu' estesa sarà la comprensione dei problemi, piu' opportunita' si avranno di adottare i metodi appro-priati per risolverlo. E' per questo motivo che nelle esperienze teorico-pratiche dello sviluppo personale hanno una rilevanza enorme lo sviluppo dell'immagi-nazione, dell'autoimmagine, del rilassamento, dell'in-terpretazione dei sogni e del dialogo interno: per dila-tare la coscienza, per superare le limitazioni interiori e per sviluppare la creativita'. Prima che un problema si manifesti nella realta' quo-tidiana, si presenta nella mente come tema, idea, de-siderio o fantasia. Dietro una malattia si cela un'in-tenzione, un contenuto, che ha la possibilita' di realiz-zarsi in modo concreto. Per questo una malattia puo' usare come causa tutte la cause possibili. In altre pa-

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role, non sono le condizioni esteriori ad ammalare l'uomo, e' l'uomo che utilizza tutte le possibilita' per metterle al servizio della sua malattia. E si arriva a soffrire sempre e soltanto della propria mancanza di coscienza. Piu' aperta e disponibile, invece, una per-sona sara' nei confronti degli impulsi che le vengono dall'inconscio, piu' pronta sara' a dare uno spazio ai propri impulsi, tanto piu' vivace e affascinante sara' la sua vita. E' evidente come tutto questo debba avveni-re grazie ad una costante evoluzione fisica, emozio-nale, mentale e spirituale. "Ma, se non tutte le persone sono allo stesso grado di consapevolezza? ; e se le malattie, i sintomi e i pro-blemi persistono?; che fare?". Se si accetta che e' la dilatazione della coscienza che guarisce, e non la "pillola", di qualunque genere essa sia, allora si puo' fare molto. Infatti e' possibile, usan-do le tecniche del Training Mentale: - stimolare i processi soggettivi in modo che funzionino in forma mirata; - utilizzare i meccanismi mentali e le caratteri-stiche della personalita' per il conseguimento di obiettivi specifici; - portare a termine esperienze a livelli diversi di coscienza, attraverso l'immaginazione e il pen-siero, in modo da riorganizzare, ri-associare e proiettare esperienze soggettive per arricchire il mondo interiore; - usare i più profondi livelli di coscienza per rea-lizzare una ri-sintesi interiore del comportamen-to complessivo dell'individuo.

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Per avere risultati pratici e tangibili, pertanto, non e' necessario un'analisi approfondita della propria espe-rienza interiore, ma è sufficiente la conoscenza di al-cuni sani meccanismi mentali di base che, per funzio-nare bene, hanno bisogno di una direzione e di uno scopo. In questo senso va maggiormente valorizzata l'esperienza generale della vita quotidiana e i rapporti interpersonali rispetto ai quali dovremo diventare più acuti osservatori. I semplici avvenimenti quotidiani di carattere breve o fuggevole possono esercitare un'influenza profonda e durevole sulla personalita'. Eventi del genere influen-zano il presente e il futuro di un individuo e non sono solo riedizioni di esperienze traumatiche infantili, di cui bisogna comunque tenere conto. Spesso i proble-mi contingenti hanno bisogno di risposte immediate che non toccano il passato remoto dell'individuo. Allo scopo di realizzare velocemente determinati risul-tati personali, nell'insegnamento delle tecniche del Training Mentale sono previste alcune condizioni di metodo: - la realizzazione di uno stato di coscienza mul-tidimensionale; - lo sviluppo di alternative nella soluzione di problemi, nonche' una maggiore scelta nella gamma dei comportamenti adottabili; - la volorizzazione delle risorse personali in sen-so pratico; - il riconoscimento del lato positivo di un com-portamento, nel suo contesto. Nella nostra vita passiamo da un insegnante all'altro,

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da una tecnica all'altra, da un libro all'altro, e tutto questo aiuta a guardare dentro se stessi e a portare fuori le varie realta' che coesistono in noi. Sembra talvolta che ci sia qualcosa che ci spinge, una inten-zionalita' e un desiderio vividi. Altre volte invece que-sto non c'e'. Ma se non ci diamo il tempo per esami-nare i nostri stati soggettivi, non potremo lagnarci se alle nostre domande di una vita piu' soddisfacente non seguono risposte. Quando accumuliamo un tentativo sopra l'altro e ci aspettiamo che gli altri ci dimostrino il valore della nostra esistenza, cadiamo senz'altro in una trappola. Quella dell'ignoranza. Non e' possibile sapere precisamente quando si apro-no le "porte interiori", di sicuro, da quel momento, dovremo concepire la nostra personalita' assai piu' creativa e multidimensionale di quanto abbiamo fatto fino a questo momento. Familiarizzando con noi stessi e con il nostro mondo soggettivo potremo offrirci un'esperienza diretta della natura della nostra anima e metterci in contatto con quelle porzioni del nostro essere dal quale scaturisce la nostra profonda vitalita'. "E' possibile, allora, guarire la malattia, il sintomo o risolvere il mio problema?". La nostra risposta e' che: "Forse possiamo fare qual-cosa di piu'!".

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CAPITOLO 11 IL CONTROLLO DELLE ABITUDINI Le abitudini che piu' frequentemente si vorrebbero cambiare sono l'obesita', il fumo e l'alcolismo. Esistono naturalmente molte altre abitudini a cui e' possibile applicare alcuni principi del nostro lavoro; tra queste la dipendenza da droghe, il gioco d'azzar-do, mangiarsi le unghie, tirarsi i capelli, succhiarsi il pollice ed altre. I punti principali da tenere in considerazione nell'af-frontare un'abitudine "negativa" sono relativi a queste consapevolezze: 1) noi siamo limitati nei nostri modelli di com-prensione e di azione (tante cose che abbiamo imparato sono basate su istruzioni limitate); 2) possiamo sostituire le nostre istruzioni limi-tate e limitanti con nuovi modelli, che noi stessi possiamo trovare; 3) dobbiamo avere fiducia nel nostro inconscio per inventare nuovi modi di superare i limiti abi-tuali. Gli psicologi sostengono che per diventare creativi o pensare in modo creativo, bisogna esercitarsi, oltre al ben noto pensiero convergente che unifica le informa-zioni e le costringe in comportamenti stereotipati, in quello che e' stato chiamato "pensiero divergente". La domanda allora è questa: “Come si può fare per ridurre le limitazioni, le rigidita' o gli atteggiamenti ristretti e sviluppare un pensiero divergente?” Il metodo principale consiste nel mettersi in nuove situazioni sia da un punto di vista soggettivo attraver-

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so nuove tracce cognitive, sia da un punto di vista comportamentale. Riferito alle tre abitudini che abbiamo presentato, fumo, cibo, alcol, significa ristrutturare il passato ri-valutando sia le motivazioni che sostengono le abitu-dini, ma anche evidenziando l’inefficacia di certe alle-anze interiori. I bisogni insoddisfatti di un tempo, grazie alle abitudi-ni apprese, sono diventati dei vantaggi secondari, e come tali costituiscono un valido "sostegno" all'abitu-dine negativa. Vediamo ora alcuni vantaggi secondari, presenti in proporzioni diverse nei singoli casi, delle tre principali abitudini negative: FUMO - gestione dello stress / autotranquillizzarsi - ostinazione / indipendenza - gratificazione / premio - amico / compagno fidato - emulazione di una o piu' persone amate - mangiare meno ed evitare di ingrassare - stimolazione (effetto nicotina) - respirare profondamente - socializzare / conformarsi al gruppo MANGIARE - gestione dello stress / autotranquillizzarsi - ostinazione / indipendenza - gratificazione / premio - amico / compagno fidato - evitare rapporti intimi / evitare la sessualita' (i pro-pri impulsi e quelli altrui) - emulare una o piu' persone amate - scacciare la noia - socializzare / conformarsi al gruppo

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BERE - gestione dello stress / autotranquillizzarsi - gratificazione / premio - amico / compagno fidato - evitare i rapporti intimi - scusa per agire o comportarsi in maniera irrespon-sabile - conformarsi al gruppo - scacciare la noia - emulare una o piu' persone amate STADI DEL CAMBIAMENTO Per cambiare occorre riconoscere il problema. Gli stadi del cambiamento riguardano un processo graduale che attraversa specifici stadi, seguendo un percorso ciclico e progressivo. Nelle varie fasi si in-contrano problemi di consapevolezza, di difese psico-logiche e di abitudini non facilmente controllabili: - Assenza del riconoscimento che esiste un

problema. - Coscienza del problema attraverso dubbi,

contraddizioni, ambivalenze. - Ricerca attiva di una soluzione. - Momento di azione vero e proprio nel quale i

cambiamenti vengono concretamente speri-mentati.

- Consolidamento delle nuove abitudini fino ad un'eventuale definitivo abbandono del pro-blema.

- Autoefficacia quale fiducia dell'individuo nel-le proprie capacità.

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PROCESSI DEL CAMBIAMENTO Il modello di intervento sulle abitudini consta di alcuni preci e preziosi passi: - Aumento della consapevolezza attraverso una

maggiore elaborazione di informazioni. - Rivalutazione di sé e della propria immagine inte-

riore a livello cognitivo e affettivo. - Attivazione ed espressione dei sentimenti di fronte

ad eventi emotivamente significativi - Rivalutazione del significato dei comportamenti

all'interno del proprio ambiente familiare e socia-le.

- Scelta a attuazione di strategie di automigliora-

mento. - Apprendimento di comportamenti alternativi o e-

cologici. - Nuove attività e nuovi punti di osservazione del

problema. - Sviluppo di empatia e fiducia.

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LA TECNICA IL CONTROLLO DELLE ABITUDINI Genericamente, per modificare una abitudine si do-vrebbe innanzitutto accettare il fatto che l'abitudine di fumare, bere o mangiare ha effetti negativi sull'orga-nismo; accettare di voler cambiare o smettere la spe-cifica abitudine; e infine desiderare di sentirsi perfet-tamente sani e a proprio agio. Alcuni esercizi che vengono proposti allo scopo di raf-forzare le tre indicazioni appena esposte consistono nel: - Rilassarsi (due volte al giorno per 21-30 giorni) - Ricordare con precisione a quali momenti, posti, persone e stati d'animo e' ancorata questa abitudine negativa (per una settimana) - Ricordare nitidamente esperienze passate nelle quali si possedeva realmente il controllo della situazione (da farsi finche' non ci si e' identificati a sufficienza con sensazioni di padronanza, di forza, di sicurezza o di rilassamento, in modo da poterle richiamare quan-do occorre) - Vedersi in una situazione futura nella quale si rifiuta il cibo, il fumo o l'alcol e si dice a se stessi: "No, non ne ho bisogno!" (da effettuarsi per 21-30 giorni con modalita' ed obiettivi diversi per ogni abitudine. Per il fumo si trovera' una data importante oltre la quale non si fumera' piu'; per l'alcol si cercheranno compor-tamenti attivi, quali il camminare e simili; per il cibo si indichera' esattamente il peso desiderato, miglio-rando inoltre le proprie norme alimentari e dieteti-che).

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Lavorando in modo creativo e attivo e' possibile sco-prire effettivamente i propri limiti e questo grazie all'esperienza soggettiva. Questa ci permette di rico-noscere, dietro ogni abitudine, gli impulsi e le sensa-zioni che la sostengono, e invece di dialogare "solo" con l'intelletto e i suoi concetti si utilizzano altre risor-se disponibili. Quando "razionalizziamo" abbiamo sempre valide giu-stificazioni per continuare a fare qualcosa di inutile, ma se vogliamo davvero cambiare e' necessario dialo-gare con il subconscio e rafforzare le quote di positivi-tà che costituiscono le nostre risorse. Ogni cambiamento che produrremo nel nostro com-portamento avrà come riflesso un effetto positivo an-che sugli altri. Inizialmente non sarà facile essere ri-conosciuti in nuovi modi di proporsi o di essere, ma la maggiore fiducia di sè rafforzerà il fratello o l'amico o i familiari a scegliere a loro volta e in libertà i propri comportamenti. Persino i genitori possono imparare ad essere meno ansiosi riguardo ai propri figli. Benche' sia un piccolo cambiamento individuale, riuscire a comportarsi in modo diverso, interessera' e cambiera' ciascun com-ponente del nostro "mondo". Quando riusciamo a fare leva sul desiderio di cresce-re, invece di badare a cio' che si e' perso nel passato, ci indirizziamo verso il futuro dove l'essere adulti e maturi e' ‘solo’ una questione di guardare e valorizza-re ciò che si ha nel presente.

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RISTRUTTURAZIONE Ristrutturare vuol dire sapere di più, fare meglio e fare tesoro di ciò che si apprende di nuovo. Spesso parliamo di ricordi "belli" o "brutti". Questa pe-ro' non e' altro che una dichiarazione del fatto che ci piacciono o meno. In genere si vorrebbero avere solo ricordi piacevoli, e si pensa che si sarebbe molto piu' felici se tutti i ricordi brutti sparissero. Ma riusciamo ad immaginare come sarebbe la nostra vita se non a-vessimo mai vissuto un'esperienza spiacevole? Che crescita personale sarebbe se tutto andasse a meravi-glia? Forse diventeremmo totalmente incapaci di af-frontare la vita e le sue difficolta'. Pare che un notevole contributo a limitare il nostro campo d'azione vitale lo compiano le cattive abitudini e i comportamenti coatti. Questi rappresentano forme di irrigidimento comportamentale che tendono a scle-rotizzare e rendere apparentemente piu' gestibile e "tranquilla" la realta' che viviamo. Naturalmente sap-piamo che il comportamento "rigido" non e' uno sche-ma di sopravvivenza valido per soddisfare i nostri bi-sogni. Una tecnica mentale utile per creare nel nostro com-portamento maggiori liberta' di manovra e' denomina-to ristrutturazione. Essa parte dal presupposto che uno schema non sano di comportamento abbia dei vantaggi secondari di cui bisogna tenere conto.

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LA TECNICA RISTRUTTURAZIONE La tecnica si effettua dedicando alcuni momenti all'i-dentificazione dello schema del comportamento da cambiare. Identificatolo, il passo successivo e' quello di diventare coscienti e comunicare con la "parte" in-conscia che nel passato e' stata responsabile di esso, mettendo a fuoco i benefici e i vantaggi che ha appor-tato. Poi, tenendo in considerazione le vecchie solu-zioni, si cercano, in alternativa, almeno tre nuovi mo-di di soddisfare i benefici, o i vantaggi che in passato quel comportamento ha dato. Successivamente, ven-gono consciamente esaminate le nuove alternative e se superano il "controllo ecologico", cioè vengono consciamente e inconsciamente accettate, ci si imma-gina in contesti futuri mettendo in pratica le nuove alternative. I processi coinvolti nella ristrutturazione, lo ribadia-mo, sono facilitati e potenziati dallo stato di rilassa-mento. Il risultato finale, la nuova abitudine, diventa una opportunita' di comunicazione creativa sottoposta a controllo. Non e' importante, pero', solo il cambia-mento di una o piu' abitudini, quanto il creare nuove alternative di comunicazione. E' il robot di prima ge-nerazione quello che non ha alternative. Nella nostra ricerca di diventare piu' "umani", la ricerca di alterna-tive rappresenta un'indicazione di smetterla di agire da "stupidi", cioe' di agire senza consapevolezza o scopo, e di incanalare e dirigere i nostri impulsi: spontaneita', curiosita', esplosivita', gioia, in modo intelligente. Un cambiamento sorprendente che si puo' avere nel quotidiano, al di la' di tecniche specifiche, e' quando si affinano le capacita' di ristrutturare il contesto e il

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significato di un comportamento allo scopo di render-lo piu' utile per noi. Per ristrutturare il contesto ci si dovrebbe chiedere: "In quale altra situazione questo comportamento e' utile?". Per ristrutturare il significato ci si dovrebbe chiedere: "C'e' una cornice piu' ampia, o diversa, all'interno della quale questo comportamento e' uti-le?". Riuscire a rispondere efficacemente a queste doman-de determina la capacita' di comunicare con gli altri elasticamente. Infatti non e' colpa degli altri se non siamo capiti, dipende da noi inviare messaggi suffi-cienti sino ad ottenere la risposta voluta. Se non riu-sciamo nel nostro intento abbiamo sbagliato qualco-sa: e' un'opportunita' per imparare a comunicare me-glio. Ci sono dei segni visibili che testimoniano il passaggio dall'empasse alla soluzione creativa di un comporta-mento o di una comunicazione. Quando affrontiamo un problema, o comunichiamo una lamentela, si atti-va il sistema nervoso simpatico, con conseguenti rea-zioni di difesa; quando ristrutturiamo, invece, si atti-va il sistema nervoso parasimpatico, con reazioni di rilassamento e con la comparsa di strategie che, dap-prima bloccate, promuovono un nuovo punto di vista. Quando, durante le sedute, chiediamo di pensare ad un nuovo comportamento da attuare, spesso risulta difficile, a detta degli allievi, vedersi compiere certi atti. Superiamo l'ostacolo suggerendo una dissocia-zione tra il pensare a un comportamento e compierlo effettivamente, perche' quando ci riescono possono potenzialmente considerare a fondo che effetto fareb-be fare qualsiasi cosa. Questa e' un'esperienza sin-tetica : un modo per pensare ad un risultato; sentire cosa si prova internamente ad attuarlo; e vedere se vale la pena di provarlo o meno nella propria esperie-

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za quotidiana. Questa tecnica e' anche molto utile per non sviluppa-re la propria presunzione di poter fare ed essere qual-siasi cosa senza verifica o buon senso. Questo avvie-ne attraverso validi feedback sensoriali che danno precise informazioni su se stessi. Per molte persone non e' piacevole mettere in dubbio le proprie capa-cita', ma la confusione che ne deriva e' una via mae-stra per riorganizzare le proprie percezioni e imparare qualcosa di nuovo. La confusione va letta come un segnale del fatto che qualcosa non va, e si ha un'oc-casione senza precedenti per vedere e imparare cose che altrimenti non si sarebbero mai notate.

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CAPITOLO 12 AMORE COME PROGETTO DI CAMBIAMENTO L’amore è un sentimento che nasce, cresce e si sviluppa dal movimento vitale di consapevolezza, energia e significati nei rapporti umani. E’ il sentimento che ha cambiato il volto dell’uomo portandolo a riconoscere se stesso attraverso l’esperienza di un suo simile e ha nutrito le condizioni di sviluppo dell’attività mentale superiore. Senza amore non c’è una vera e profonda crescita interiore. Si potrà sviluppare l’Io o i molti Io con i quali facciamo esperienza del mondo. Potremo sviluppare l’Ego quale insieme di credenze, di opinioni o di abitudini. Ma l’esperienza della fusione, dell’energia primordiale, del potere, della centratura interiore riguarda l’esperienza dell’amore che arricchisce il Sé e spinge la nostra ricerca alla pienezza e alla totalità. L’amore può guarire, può rinnovare, può farci sentire al sicuro, può infonderci forza, può arricchire di significati la nostra vita. Noi abbiamo l’esperienza della nascita, quale simbolo di un processo ideale, che ci ricorda il cammino evolutivo dei nostri sentimenti. Là, nel paradiso di abbracci e di amore, familiari e materni, vorremmo forse inconsciamente tornare, ma per essere là dobbiamo passare attraverso il contatto e l’espressione del nostro Sé. Amore e Sé, vivenza ed essenza, mano a mano si esprimono, rivelano sempre più una verità innegabile: l’uomo, l’ambiente e la natura sono ‘amanti‘. LE FASI DELL’AMORE Il cammino dell’amore lo percepiamo idealmente

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come un bisogno che allarga la nostra esperienza emotiva e psicologica, al quale non possiamo rinunciare. Infatti, la ricerca del ‘vero’ amore è la ricerca creativa della nostra vita. Da un punto di vista molto pratico amare può significare semplicemente la soddisfazione di trovare un partner o di mettere su famiglia. Ma questo modello sociale non rappresenta automaticamente un cammino interiore della coppia. La storia dell’amore inizia nell’innocenza, con la nascita di una creatura tra le braccia di una madre amorevole. Procede attraverso fasi di crescita, a mano a mano che il bambino compie i suoi passi nel mondo. Aumentando l’esperienza, il cerchio dell’amore si allarga a comprendere gli amici, i compagni più intimi, ma anche cose astratte come la conoscenza, la verità, il perdono, l’altruismo. Per ognuno di noi innamorarsi significa percorrere un viaggio curiosi di approfondire e sperimentare varie tappe. Queste riguardano: l’attrazione (inizia quando si sceglie un partner con mezzi sconosciuti o inconsci); l’infatuazione (quando il partner diventa oltremodo desiderabile e domina tutti pensieri); il corteggiamento( quando si adottano le strategie per creare nel potenziale partner la stessa attrazione); l’intimità (quando i partner si incontrano nell’esperienza della sessualità e del contatto con il mondo reale); il rapporto (è il momento dell’esperienza e di un’ulteriore crescita nell’amore). A mano a mano che si cresce nell’amore si abbandonano sentimenti superficiali e si scambiano emozioni profonde dove lo scambio e il servizio all’altro diventano una realtà.

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DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ D. Avrei un forte desiderio di innamorarmi, ma non ci riesco. R. Le difficoltà che incontriamo nell’innamorarci riguardano modelli troppo rigidi o atteggiamenti troppo esigenti. Il nostro mondo interiore è chiuso e suddiviso in stanze psicologiche nelle quali releghiamo le nostre paure segrete, le nostre debolezze, i nostri difetti, il nostro profondo senso di incertezza, la nostra convinzione che possiamo essere brutti o che non suscitiamo amore. Spesso pensiamo di non suscitare amore perché sentiamo di dover affrontare qualcosa di molto intimo come l’immagine negativa di noi stessi. Fortunatamente, innamorarsi significa entrare nelle nostre stanze segrete e aprire il nostro intero essere. Ci innamoreremo di un’altra persona se rischiamo di aprire il nostro mondo interiore e agiamo le parti più profonde e reali di noi. D. Sono separata. Nel matrimonio non mi sono sentita accettata per come sono, né mi sono permessa di crescere come donna. Riuscirò a vivere da sola? R. Quando intraprendiamo un cammino interiore, emergono tutti quei condizionamenti che ci dicono, in particolare alle donne, che non è sicuro andare da sole, che non ce la faremo senza un appoggio esterno. Anche se la società sta cambiando, e l’indipendenza per entrambi i sessi è più accettata di un tempo, questo non cambia la sensazione di solitudine che colpisce quando si infrangono vecchie convenzioni, vecchi modelli, vecchi standard sociali. Spesso il conflitto riguarda la scelta tra un

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matrimonio vissuto come limitante e l’essere se stessi. Spessissimo la visione del matrimonio e dell’amore che non collima con la nostra realtà vissuta, determina la penosa percezione di una frattura e la conseguente separazione. Ma anche dopo la separazione l’insicurezza, la solitudine, la confusione e i conflitti sono ancora lì. Il bisogno di rispettarsi che nasce dalla paura o dalla mancanza in effetti può essere distruttivo e può prostrarci. Il bisogno di cambiare, allora, dovrà essere equilibrato con una disponibilità alla trasformazione insieme al sostegno di questo. Non si può pensare di cambiare se non si accetta il proprio fermento interiore con un caldo senso di incontro. D. Mi sento molto gelosa e sto esasperando il mio partner. Come posso aiutarmi ? R. La gelosia come sappiamo è spesso accompagnata da insicurezza e sfiducia, non solo verso il partner, ma soprattutto verso se stessi. Se vogliamo evitare penose indagini, discussioni o travestimenti e ci domandiamo “cosa posso fare io per me stesso”, dobbiamo operare una scelta emotiva di autogestione e cogliere dai nostri malesseri opportunità per nuove considerazioni. Ad esempio: se pensiamo ‘Mio marito si interessa ad un’altra donna’, dovremmo aggiungere ‘Questo sospetto non sono io’. Se pensiamo ‘Il mio partner è molto più attraente di me’, dovremmo aggiungere ‘Questa insicurezza non sono io’. E così via. Le situazioni rispecchiano le convinzioni, cosicché ricercare e favorire i quesiti intimi in se stessi sono un ottimo modo per esplorare le nostre verità interiori. D. Mi accontento di vivere le esperienze d’amore

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nella mia fantasia. R. La sola fantasia può essere eccitante e divertente, ma quasi mai è associata alla profonda comprensione di sé. A questo proposito, a volte si inseguono partner impossibili per il timore di essere rifiutati. E così la paura del coinvolgimento e la fantasia si intrecciano intimamente a far diventare l’amore privo di speranza. Si cerca l’amore, lo si trova difettoso, ci si rifugia nella fantasia. Un’alternativa a tutto ciò, è amare se stessi per la propria normalità, per la propria ordinarietà, per il fatto di esistere. Si chiama autostima esistenziale la possibilità di sperimentare come atto di fede la semplice realtà che noi siamo. D. In questo momento, nella nostra coppia non c’è più comunicazione né scambio come ai primi tempi. R. Analizzare il proprio essere coppia può portare al riconoscimento che i delicati rapporti di comunicazione e di reciproca soddisfazione sono cambiati. Magari si sono fissate reciproche pretese e ci si sente nella posizione di chi ci ha provato, ma adesso è stanco e vuole vedere un passo dall’altra parte. Credo che in questi casi sia utile capire se la coppia ha ancora fiducia nel presente e nel futuro. Se la risposta è positiva, per continuare il viaggio diventano indispensabili la comunicazione rinnovata delle emozioni, quel sentirsi a proprio agio con il proprio partner nella tranquillità come nel caos, quelle espressioni tenere, quegli occhi sfavillanti.

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CAPITOLO 13 LE DIETE LE ABBUFFATE E IL CAMBIAMENTO Cambiare è possibile? E’ possibile cominciare a man-giare ancora normalmente? E’ possibile gustare il cibo anzichè mangiare con paura, dispiacere o senso di colpa? E’ possibile mangiare con gli altri ed essere felici? Queste sono alcune domande che si pongono coloro, e sono ormai tanti, che hanno un problema di anores-sia, di bulimia o di obesità. Senza addentrarmi, per motivi di spazio, nella diffe-renza tra questi problemi, le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato che nel tempo le persone passano da uno stato all’altro, dal dimagrimento estremo alla obesità o viceversa, vivendo il sintomo delle abbuffa-te. Queste ultime sono espressione di un comportamento alimentare dettato dalla perdita di controllo: la sensa-zione di fare qualcosa che non si vorrebbe fare ma che irresistibilmente non si riesce ad evitare. Per molte persone un’abbuffata è qualcosa di innocu-o, uno scivolone o un errore dietetico, un semplice abuso a cui si può rimediare. Spesso nel rimediare si innescano comportamenti viziosi come il vomito, l’abuso di lassativi e diuretici, pillole dietetiche, super-lavoro fisico. Il problema dei disordini alimentari ha tra i suoi fatto-ri provocativi il desiderio di un aspetto piacevole e di un peso adeguati. Cose perfettamente auspicabili nel contesto culturale nel quale siamo inseriti. Purtroppo il persistere di questi problemi nella vita delle persone comporta effetti sull’umore e sulle relazioni sociali sotto forma di qualità della vita, di depressione, di scarsa volontà, di sensi di colpa e di difficoltà ad a-

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prirsi nella comunicazione; effetti sulla personalità, nel senso che la mascherano, accrescendo il senso di inadeguatezza e di disistima, il senso di fallimento e il suo opposto, il perfezionismo, insieme ad un modo di pensare dicotomico: bianco o nero; effetti fisici sullo stomaco, nel senso che può far male quando è pieno, sul sistema ormonale come nel caso di assenza di mestruazioni, ecc. ecc.

UN PERCORSO DI CAMBIAMENTO

Chi desidera trovare un nuovo approccio al suo pro-blema o comportamento alimentare è invitato prima di tutto a prendere coscienza della realtà che sta vi-vendo e cioè il bisogno di iniziare quei comportamen-ti, la perdita di controllo, il tipo di pensieri associati, l’evitamento delle tensioni e delle sensazioni negati-ve, la negazione del problema, la segretezza, l’incapacità di evitare di stare male, l’insuccesso dei tentativi per smettere tutto ciò. Tutto questo si sviluppa attraverso una informazione corretta in un centro che affronta tali problemi trami-te un colloquio. Data però la difficoltà di proseguire un lavoro autono-mo su di sè, si è dimostrato efficace il gruppo di auto-aiuto dove persone con problemi simili si scambiano vissuti ed esperienze nel giro di alcuni incontri. Suc-cessivamente si affrontano gruppi di incontro mirati con educatori o professionisti che supportano con strumenti e programmi la successiva evoluzione del gruppo. A fianco di questi interventi, che comunque durano nel tempo, si consiglieranno terapie mirate quale quella cognitivo comportamentale che lavora sulle convinzioni distorte e sui comportamenti disfunziona-li; o quella organismica che lavora sul piano fisico-energetico, emotivo-affettivo e spirituale-simbolico.

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Ci sono altre possibilità il cui risultato è però incerto e comprendono il trattamento con farmaci antidepressi-vi e l’ospedalizzazione. Attualmente non vi sono indicazioni su quale sia la via migliore, certamente bisogna cominciare con il parlar-ne, il porsi il problema e avere voglia di cambiare.

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QUEST IONAR IO SU I D I STURBI ALIMENTARI 1. Hai mai sentito parlare di anoressia, di bulimia o

di adiposi? Di problemi alimentari o di disturbi del comportamento alimentare?

2. Sai a chi rivolgerti per saperne di più? 3. Quanto sei preoccupato/a del tuo peso o della

tua autoimmagine durante il giorno? 4. Stai praticando attualmente una dieta? 5. L’hai realizzata tu, hai seguito guide dietologi-

che o i consigli di medici? 6. Ti è capitato di usare pillole dietetiche? 7. Per controllare il tuo peso ti capita di utilizzare il

vomito autoprodotto, lassativi o diuretici? 8. Ti capita di parlarne con qualcuno senza mini-

mizzare? 9. Da quanti anni ti poni il problema del peso o

della dieta? 10. Hai capito alcuni schemi tipici della tua alimen-

tazione? 11. Hai notato alcuni tuoi atteggiamenti mentali

quali eventualmente il rigore, il perfezionismo, il tutto o nulla, e altri?

12. Hai verificato o associato alcuni tuoi disturbi e-motivi, fisici, psicologici o relazionali con il pro-blema dell’equilibrio alimentare?

13. Hai interessi quotidiani che ti danno soddisfazio-ne e di cui ti ‘nutri’?

14. Pratichi attività fisica? 15. Rispetto ai problemi di tutti i giorni hai la sensa-

zione di poterli gestire o hai delle difficoltà? 16. Riesci a crearti delle attività alternative a quelle

di routine? 17. Hai la forza di rimetterti in carreggiata quando

qualcosa non va?

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D O M A N D E L U O G H I C O M U N I E RESPONSABILITA’

D. Ho problemi di bulimia e non ho particolari motivazioni a modificare le mie abitudini ali-mentari. Non so più dove prendere la spinta. R. Credo che un lavoro di rieducazione alla salute sia particolarmente efficace, così come il parlarne con qualcuno che possa capirci. E’ più facile che migliorando la propria attenzione al problema alimentare si capisca che a volte l’irascibilità, la scarsa concentrazione, l’evitamento dei rapporti sociali o i problemi di salute sono proprio collegati a questo. Quindi, il convergere prima la con-sapevolezza e poi alcuni comportamenti cognitivi e comportamentali accenderanno le motivazioni al cam-biamento con sicuri benefici a livello della personalità che può così riprendere la sua funzionalità di base, interessi compresi. D. Cosa succederà al mio peso se smetto di abbuffarmi? R. Nel caso di coloro che sono sottopeso la guarigione comporterà un riallineamento del peso nel senso di recuperare qualche chilo in relazione alla struttura. Nel caso di coloro che sono invece sovrappeso non è certo che guarire dalle abbuffate comporterà facil-mente anche un mantenimento del peso desiderato. Quello che si dovrebbe imparare è vivere con il pro-prio peso, dal momento che combatterlo con strategie inefficaci significherà una lotta senza fine contro la propria biologia, lotta che non si potrà mai vincere. Il consiglio è quello di smettere di pesarsi, di pensare ossessivamente al peso e cominciare ad usare pensie-ri e comportamenti correttivi.

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D. Da dove si comincia? R. Da cose molto pratiche che toccano i vari piani del-la nostra attività vitale: si comincia con una dieta re-golare e smettendo le pratiche del vomito, dei lassati-vi e dei diuretici, per poi passare alla ricostruzione del proprio senso di autoefficacia attraverso la soluzione di vecchi e nuovi problemi. D. Cosa posso fare quando mi viene un ‘attacco’ di cibo? R. Scherzando ma non troppo, il consiglio è quello di accendere il cervello e cioè, dal momento in cui ci si rende conto che il nostro cervello è incatenato ai soliti pensieri per gran parte della giornata occorre sia in-terrompere la catena mentale sia costituire e realizza-re una lista di attività alternative. Alcuni esempi sono: fare dello sport, mantenere frequenti contatti con gli amici, fare una doccia o un bagno, uscire con il par-tner o con i figli, ascoltare musica, iscriversi a dei cor-si, leggere, etc. D. Ho provato tante volte a smettere, ma pur-troppo ho delle ricadute. R. Quando si è passati dall’inferno alimentare non è nè utile nè realistico pensare che non si ricadrà più. Pertanto si dovrà convivere con questo tallone d’Achille. Ci saranno momenti di stress che lo solleci-teranno, ma bisognerà esserne preparati. Non è gra-ve se la bilancia interiore rispetto a questo problema è configurato verso la guarigione e la conseguente gestione degli equilibri. D. Qual’è la regola standard che mi permette di capire se sono sotto o sovrappeso? R. Grazie ad un semplice calcolo è possibile trovare l’indice della massa corporea. Questo si ottiene divi-

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dendo il peso corporeo per l’altezza in metri (al qua-drato). Facciamo un esempio: siete alti 1,74 m e pe-sate 58 Kg. 58 / (1,74 al quadrato) = 19 I valori critici da monitorare per il sottopeso vanno dal 18 al 20 e per il sovrappeso vanno dal 25 al 27. Questo vale sia per gli uomini che per le donne indi-pendentemente dalla loro corporatura. D. Ho un problema di abbuffate e di sovrappeso. Vorrei affrontarli entrambi. R. Affrontarli entrambi è difficile. Il consiglio sarebbe quello di concentrarsi sulle abbuffate e uscire dal cir-colo vizioso.

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CAPITOLO 14 CAMPI DI APPLICAZIONE DEL TRAINING MENTALE Il miglioramento perseguibile attraverso le tecniche del T.M. riguarda tutti i campi della vita. Le ricerche condotte su discipline simili, che hanno valorizzato lo sviluppo della creativita' come risorsa (Training Auto-geno, Meditazione, Sofrologia, Ipnosi, Dinamica Men-tale, ecc.) e le ricerche dell'Istituto di Dinamica Com-portamentale di Ferrara, testimoniano le positive ap-plicazioni delle tecniche del T.M. nel campo Ostetrico, nell'educazione dei figli, nell'ambito della scuola, nelle discipline sportive, nell'ambiente del lavoro e nella terza eta'. E' ormai da tempo, infatti, che lo studio dei meccani-smi mentali ha permesso di focalizzare un intervento istruttivo, utile ed efficace in tutti questi campi. E perche' non dovrebbe essere altrimenti? Le cellule cerebrali controllano effettivamente il corpo in un gran numero di modi - dal punto di vista neurologico, fisiologico e anche psicologico. Oggi e' accettato con "naturalezza" il concetto di "tensione psicosomatica" anche se non sempre e' accettata la sua realta' e cioe' che le preoccupazioni di lavoro, o le preoccupazioni coniugali, o le preoccu-pazioni di qualunque tipo che hanno luogo "dentro" la testa possono portare come conseguenza delle ulcere nello stomaco. Le proccupazioni, sia reali che immaginarie, possono produrre molte affezioni fisiche e alterazioni fisiologi-che. Col riconoscimento dei meccanismi di funziona-mento dell'organismo, che agiscono sul corpo e sulla comunicazione, si apre la strada al T.M. quale stru-mento psicologico nella vita di ognuno.

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TRAINING MENTALE E OSTETRICIA Nell'ambito ostetrico, le tecniche di T.M. applicate alla preparazione al parto riguardano la predisposizione della donna e del suo compagno a diventare consape-volmente e responsabilmente madre e padre, facili-tando lo svolgimento fisico e psicologico della gravi-danza e del parto. Tre sono i sintomi dominanti sui quali si interviene perche' una donna viva con "naturalezza" il processo del parto: la paura proveniente dalla societa', dall'ambiente culturale, da tutto quanto la donna ha sentito dire del parto; la tensione come riflesso di difesa; e il dolore come conseguenza della tensione. Quando una donna si appresta a vivere la gravidanza si viene a trovare di fronte a momenti molto critici. Il rifiuto della femminilita', i problemi di coppia, il rifiuto della maternita' e le tendenze regressive, rappresen-tano il segnale di cambiamenti estremamente impor-tanti che vanno "preparati" psicologicamente. IL METODO Per entrare nello specifico, il metodo che adottiamo per la preparazione al parto riguarda la spiegazione del parto, la respirazione, il rilassamento, la spinta espulsiva e la ginnastica. - La spiegazione del parto comporta un po' di anato-mia, di fisiologia e psicologia, con nozioni sufficienti per sapere come comportarsi durante la gravidanza. - La respirazione e' fondamentale per la donna e per il bambino. E' importante respirare efficacemente per aiutare lo sforzo durante il parto e per facilitare il bambino nell'uscita. Gli esercizi respiratori sono desti-nati a matenere una buona ossigenazione durante la

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gravidanza e per far prendere coscienza, alla gestan-te, della respirazione diaframmatica e toracica. - Il rilassamento viene appreso attraverso le tecniche piu' semplici ed efficaci. Rilassarsi e' importante du-rante il parto perche' facilita il controllo della dilata-zione e quindi il parto stesso; e' utile inoltre per ge-stire le emozioni e conseguentemente il dolore. - Il comportarsi adeguatamente durante le contrazio-ni espulsive, cioe' a prendere la posizione piu' corret-ta e a spingere con efficacia, facilita la collaborazione con l'ostetrica. - La ginnastica e' attuata allo scopo di essere in forma durante la gravidanza e il momento del parto. Gli e-sercizi muscolari hanno lo scopo di tonificare i musco-li, correggere la statica vertebrale, evitare la lordosi lombare, migliorare la circolazione sanguigna negli arti inferiori, distendere gli adduttori - i muscoli inter-ni delle cosce - assumendo le posizioni richieste nel parto.

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TRAINING MENTALE E RELAZIONE DI COPPIA Perché fra persone che si presume siano legate da amore e affetto scoppiano dispute accanite? Durante il corteggiamento un naturale egocentrismo dei partner scompare nella fusione dei loro sentimenti e delle loro identità. L’amore mitiga le differenze di temperamento, interessi e scopi, favorendo l’altruismo e l’empatia. Ciascun partner sente il bisogno di piacere all’altro. E’ gratificato quando può renderlo felice, è dispiaciuto quando l’altro è triste. Nel tentare di essergli gradito, si sforza di vedere ogni cosa con gli occhi dell’altro. Per molte persone la ricompensa alla propria abnegazione, la subordinazione al proprio egoismo, è in parte il sollievo alla solitudine. Per altre sono preminenti i puri piaceri dell’intimità condivisa, come se niente possa essere più prezioso del senso di appartenenza e comunione reciproca. Poiché durante il corteggiamento i loro interessi sono strettamente legati, i partner non avvertono quasi il sacrificio del loro egoismo. Inoltre sono abbondanti le remunerazioni che ciascuno dei due ottiene esaudendo i desideri dell’altro. Oltre al rinforzo diretto che proviene dalla soddisfazione di averlo accontentato, c’è anche un rinforzo indiretto nell’immaginare il piacere del partner. Questo continuo rinforzo rinsalda la motivazione a sospendere l’egocentrismo. La donna innamorata è altruista perché vuole esserlo, non perché ‘debba’ esserlo. L’uomo infatuato fa dei sacrifici per l’amata perché gli piace farli. Che fine fa poi l’altruismo dell’amore? Nello sviluppo di una relazione viene eroso da più forze. Rinvigoriti dalla sicurezza del rapporto stabile,

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coloro che prima di accoppiarsi si sentivano soli non avvertono più il rapporto come un antidoto alla solitudine. I partners possono accorgersi che i loro bisogni non ricevono un adeguato soddisfacimento e convincersi che è meglio soddisfare i propri desideri, anche quando sono in contrasto con quelli del coniuge. Con il diminuire delle gratificazioni e dell’altruismo, essi finiscono per essere mossi più dal si deve che da un genuino desiderio di rendersi graditi a vicenda. E quando privilegiare i desideri del partner diventa un obbligo, i compromessi e le concessioni indispensabili in ogni rapporto molto stretto diventano gravosi. Quando i partner incominciano a sostenere desideri e interessi propri i disaccordi sono inevitabili e si può notare la tendenza di entrambi a passare dall’altruismo all’egocentrismo. In questo senso si evidenziano veri e propri problemi di comunicazione legati al modo di percepire le stesse circostanze, alle opinioni sulle cose e al giudizio conseguente. Ne risulta così una partner ‘caparbia’ e ‘capricciosa’ e un partner ‘ottuso’ e ‘infantile’che non ascolta. I PREGIUDIZI DI COMODO Nella vita di coppia c’è in genere una tendenza a interpretare gli eventi nella luce più favorevole o nel modo più consono al proprio interesse. Questi pregiudizi esercitano una forte influenza sulle percezioni, facendoci credere di sembrare migliori di quel che siamo tanto agli occhi degli altri quanto ai nostri. Così, nelle discussioni si tende a descrivere il proprio apporto alla coppia in termini di sacrifici e di anni perduti dimostrando la propria superiorità morale. Tali pregiudizi allargano la frattura nella

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comprensione fra partner. Con l’accentuarsi delle divergenze dei punti di vista, comincia a cambiare anche l’immagine del coniuge, che può diventare quasi lo spettro di un nemico e diventare una seria minaccia. Allora anche il minimo disaccordo può scatenare una lite violenta. I partner si denigrano a vicenda con pensieri o dichiarazioni di questo genere: ‘Mi stai contraddicendo solo per mettermi a tacere ’, ‘Ma tu cosa ne sai? ’, ‘Non capisci niente ’. Nessuno dei due ha facilità a rendersi conto del punto di vista dell’altro e questa miscela di egocentrismo e intolleranza porta facilmente a dispute che feriscono profondamente e che sembra impossibile risolvere. Il carattere fortemente emotivo del vincolo di coppia rende molto difficile ai partner conseguire un accordo come accade per legami di affari o di amicizia. Di solito essi sono attratti reciprocamente, all’inizio del rapporto, da caratteristiche come l’aspetto esteriore, la personalità, il fascino, l’humor e l’empatia, non certo dalle loro capacità potenziali di operare bene insieme. Se le qualità personali possono cementare un solido legame emotivo, esse hanno però poco a che fare con il modo in cui nella coppia si prendono decisioni o si curano gli aspetti essenziali del vivere insieme.

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DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ D. Quali sono gli elementi o le capacità per mantenere un buon rapporto di coppia? R. Dando per acquisiti l’amore, l’attrazione o le qualità personali, sembrano essere fondamentali per il consolidamento della coppia alcune capacità quali: la corretta definizione dei problemi, il saper negoziare, l’assunzione delle responsabilità. Il raggiungimento degli obiettivi pratici di una coppia che sa rispondere alle esigenze della vita quotidiana (faccende domestiche, bilancio familiare, educazione dei figli) o alla propria salute emotiva (tempo libero, rapporti sessuali, condivisione di esperienze) richiedono collaborazione,pianificazioni e decisioni prese di comune accordo. D. Ho difficoltà a lavorare con il mio partner o perlomeno siamo spesso in disaccordo sul fare. R. Sembra un’ironia, ma succede che proprio verso il partner adottiamo standard di comportamento più rigidi che verso altre persone. Dietro questi comportamenti si nascondono in genere paure e insicurezze. Per capire i diversi significati che diamo ai compiti da svolgere e sui quali c’è appunto un disaccordo, occorre esaminare le clausole inespresse del contratto di coppia non scritto. In genere c’è un tacito consenso sulla natura degli obiettivi e sulle procedure per conseguirli ma nella pratica tutto viene complicato dalla componente emotiva e dalla aspettative reciproche: “I tuoi interessi vengono sempre al primo posto”, “Qui si fa solo quello che decidi tu” Proprio per i significati emotivi che si attribuiscono alle azioni dell’altro i partner sono spesso intolleranti.

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Le manchevolezze rispetto agli standard di coppia innescano una sequenza di valutazioni: Sta agendo responsabilmente? Mi è veramente affezionata? Chi gli dà il diritto di comportarsi così? Se lui ha una qualche distrazione nell’esecuzione di un compito, è biasimevole. D. Mia moglie ed io ci troviamo spesso in disaccordo sulla qualità del tempo passato insieme. R. Benché i partner si lamentino spesso di non passare abbastanza tempo insieme, ho constatato che i problemi nascono piuttosto dal modo in cui lo passano. Le dispute accalorate sono certo dannose per il rapporto di coppia, ma può essere più rovinosa la mancanza di reciproche attenzioni a tavola, in società o a letto. D. Non riusciamo ad accordarci sulla distribuzione dei compiti familiari. R. Poiché i ruoli tradizionali sono diventati meno netti, mancano per lo più i precedenti sui quali basarsi per stabilire gli specifici settori di responsabilità di ciascun partner. La tendenza attuale, dove entrambi i partner lavorano ha certamente contribuito a creare legami più stretti, ma ha anche originato nuovi motivi di conflitto nei campi in cui i ruoli sono meno netti. Una delle principali fonti di frizione in questo campo è la dottrina dell’equità: Talvolta i partner di un matrimonio in crisi asseriscono di fare di più di quanto non gli spetti e discutono aspramente su questioni come a chi tocchi fare la spesa, lavare i piatti o mettere a letto i bambini. Sotto i battibecchi di questo tipo c’è un guazzabuglio di atteggiamenti, preoccupazioni e paure che alimentano il conflitto.

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D. Una delle aree di tensione che abbiamo è quella dell’educazione dei figli. R. La formazione degli atteggiamenti mentali che guidano nell’educazione dei figli risale per buona parte agli anni dell’infanzia, al trattamento ricevuto allora dai genitori. Certe persone seguono il loro esempio, mentre altre ne ripudiano le pratiche. Un genitore potrà così essere per il partner eccessivamente permissivo oppure al contrario troppo severo. In ogni caso tutto ciò può essere generato dalla paura delle rispettive esperienze infantili. E’ uno dei motivi per i quali, dietro le esperienze difficili dei figli, stanno alcune problematiche genitoriali non risolte. Tra le altre il dubbio di non essere un buon genitore. D. Come possiamo inquadrare nella coppia il disaccordo sessuale? R. L’unione sessuale è a volte decantata come l’acme del rapporto coniugale, ma spesso svanisce in un mare di lacrime o in rotture fra scoppi di rabbia. I problemi riguardano tipicamente la frequenza, la tempestività e la qualità del rapporto sessuale. Ognuno di questi aspetti reca in sé un significato simbolico e ne è a sua volta influenzato. Marito e moglie hanno spesso inclinazioni diverse su quando e quanto frequentemente avere il rapporto. La frequenza e la scelta del rapporto possono quindi avere il profondo significato di esercitare, con danno, falsi diritti o aspettative.

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TRAINING MENTALE ED EDUCAZIONE DEI FIGLI La nostra educazione non e' stata probabilmente mol-to equilibrata, nel senso che molti aspetti della nostra realta' personale sono stati soffocati o distorti a van-taggio di condizionamenti volti alla ricerca di sicurez-ze quotidiane. Oggi, come educatori, rischiamo di for-malizzare tanti errori che a suo tempo abbiamo con-testato. Possiamo pero' sbagliare di meno. Facciamo alcuni esempi: a) Guardiamoci dallo stimolare "artificialmente" la consapevolezza del bambino. Questo, fatto in giovane eta', corrompe lo sviluppo a uno stato di autocoscien-za prematuro. In effetti sarebbe meglio educare pro-muovendo l'abc della vita che essere sopraffini in un'eta' in cui non ce ne bisogno. I bambini non devo-no "capire" le cose. La loro vita non e' la nostra. Quando chiedono insistentemente non lo fanno solo con lo scopo di avere risposte, lo fanno anche per e-sprimere la loro meraviglia. Aiutando l'intelligenza del bambino a uscire fuori non e' opportuno proporci la consapevolezza razionale co-me meta di questo aiuto. Prima dei 15 anni, al bambino si dovrebbe insegnare ad agire, a muoversi e a fare. Compito dei genitori e' dimenticare mentalmente i propri figli, avendoli sem-pre presenti interiormente; e' credere nei propri figli, credere nella propria umanita' e non occuparsi di al-tro. Bisogna semmai insegnare in modo vivido la pie-na attenzione dell'Io, lasciando ogni scoperta dinami-camente possibile. Occorre porre un'autentica atten-zione. Tutto qui! Non dobbiamo avere paura di far vedere a un bambi-no le passioni adulte, solo non dobbiamo forzare il

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bambino in nessuna direzione, soprattutto in quella della pieta'. E' naturalmente discutibile raccontare e coinvolgere i bambini nei fatti adulti. Allo stesso modo, parlare ad un bambino di un adulto per metterne in risalto a-spetti negativi e' vile. Gli adulti tengano i loro senti-menti di adulti con gente della loro eta'. E' importante rifiutare la solidarieta' di un bambino, anche quando due genitori litigano. Ed e' meglio un "vai via", "tu ne sai troppo", "non capisci niente", che "spiegare". E' spregevole per qualsiasi genitore accettare la soli-darieta' del bambino: quello che riceve la solidarieta' e' sempre piu' spregevole di quello che e' soggetto di odio. Lasciamo quindi al bambino i suoi sentimenti limitati ma profondi, incomprensibili ma suoi, evitan-dogli quel tipo di amore altruista e spirituale che non e' preparato ad accogliere. b) I fatti sessuali del bambino vanno vissuti o per-messi senza trascinarli nella consapevolezza mentale o peggio ancora non va risvegliata la passionalita' tra figlio e genitore, o la vergogna. Nella puberta' si possono descrivere i semplici fatti del sesso, ma si deve evitare un avvicinamento al sesso in modo ideale o troppo scientifico. Utili a tal proposito sono i rituali sociali dove esperienze forti o difficili sul piano emotivo permettono di destare la consapevolezza: lo sforzo fisico, la sofferenza emoti-va, lo sconvolgimento della coscienza devono prece-dere il risveglio del sesso. Da queste righe non emerge l'applicazione di alcuna tecnica specifica, bensi' qualcosa di piu' importante per la nostra funzione di educatori: un atteggiamento di profonda conoscenza di se stessi e dei fatti della vita.

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A PROPOSITO DI RAGAZZI

EMOZIONE E RAZIONALITA’

La qualità dell’esistenza di ogni bambino è influenzata dal modo in cui egli apprende, fin dai primi anni, ad affrontare le proprie emozioni: se in lui prevalgono reazioni emotive distruttive, queste finiranno per caratterizzare la sua vita scolastica determinando relazioni insoddisfacenti con i compagni e con gli insegnanti. Per questo vorrei soffermarmi innanzitutto sul rapporto esistente tra le esperienze emotive del bambino e il suo adattamento sociale. Risulta abbastanza evidente il fatto che determinate emoz ion i hanno un ’ in f luenza r i l evante sull’apprendimento e sulla motivazione scolastica. Quanto più mettiamo il bambino in grado di vivere emozioni positive in ambito scolastico, tanto più lo aiuteremo ad imparare. Se lo studio viene associato a stati d’animo piacevoli, sarà stimolata la capacità di partecipazione attiva dell’alunno al processo di apprendimento. Purtroppo questo si verifica ancora p i u t t o s t o r a r a m e n t e . E’ importante tenere presente che un’eccessiva tensione emotiva interferisce negativamente sull’efficacia di molte prestazioni. Ciò significa che se il bambino è troppo teso e coinvolto, il suo rendimento diminuirà in qualsiasi attività, non solo in quelle strettamente scolastiche, ma anche in attività sportive, artistiche o di altro tipo. Quindi, se è bene che vi sia un certo coinvolgimento, è altrettanto utile e v i t a r e u n e c c e s s i v o s t r e s s . Le emozioni, inoltre, interferiscono con le attività mentali. Certi meccanismi cognitivi quali la capacità di concentrazione, la capacità mnemonica e l’attenzione sono influenzate negativamente da un’eccessiva tensione emotiva. Diventa quindi difficile focalizzare

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bene la propria mente su ciò che si deve apprendere quando si è troppo agitati o turbati. Le emozioni influenzano anche i rapporti interpersonali. Bambini che ad esempio manifestano un livello eccessivo di aggressività riceveranno spesso risposte altrettanto aggressive, oppure tenderanno a essere evitati, rifiutati, allontanati. Se invece è presente un’eccessiva timidezza nei rapporti interpersonali, il bambino avrà difficoltà ad inserirsi nel gruppo e potrebbe trovarsi socialmente isolato. Rimane infine da tener presente che le emozioni più frequenti diventano modalità di risposta abituali. Quindi se abbiamo bambini che spesso provano ansia di fronte a interrogazioni o compiti in classe, è molto probabile che tale ansia, in assenza di un intervento specifico, si consolidi anche negli anni successivi. Lo stesso vale anche per altre emozioni quali, ad esempio, l’ostilità o la tristezza che se non vengono affrontate adeguatamente finiranno per diventare parte stabile del repertorio emozionale del bambino.

TIPOLOGIA DEI DISTURBI EMOTIVI

Quando consideriamo i disturbi emotivi e comportamentali dell’età evolutiva può essere utile differenziarli in due ampie categorie. Una prima categoria riguarda i disturbi emotivi esteriorizzati. Come il termine può far supporre si tratta di disturbi nei quali il disagio del bambino si manifesta soprattutto verso l’esterno. Essi si caratterizzano come tendenza ad esigere che i propri bisogni personali vengano immediatamente soddisfatti e che abbiano la precedenza sui bisogni degli altri. E’ inoltre frequente il ricorso all’aggressività per conseguire i propri scopi e talvolta all’ oppositività,cioè una tendenza alla trasgressione di norme sociali e a volte

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anche legali. Tipici disturbi esteriorizzati sono i disturbi della condotta e le sindromi ipercinetiche. L’altra categoria è costituita dai disturbi interiorizzati, caratterizzati da una sofferenza che viene vissuta interiormente e che spesso passa inosservata ad una forma di attenzione superficiale. Tipici disturbi interiorizzati sono l’ansia e la depressione. In questo caso abbiamo ragazzi che tendono a isolarsi, a chiudersi in se stessi e che rimangono passivi e sottomessi nei confronti degli altri. In effetti un deficit nelle abilità relazionali è una costante di molti disturbi emotivi. Se il bambino è ansioso, ma ancor più se è depresso, manifesterà una certa inadeguatezza nel modo in cui si rapporta con i propri coetanei. Si è potuto constatare che la maggior parte dei disturbi emotivi sono influenzati da alcune modalità distorte con cui il bambino o l’adolescente rappresenta mentalmente se stesso e il proprio mondo. Si tratta della tendenza ad ingigantire gli aspetti negativi della realtà ricorrendo a modalità di pensiero rigide e assolutistiche, ad esempio, con un’eccessiva frequenza di termini quali “sempre, mai, nessuno”; oppure considerazioni del tipo "non me ne va mai bene una", "tutti ce l’hanno con me", "nessuno mi vuole bene", "non ne faccio mai una buona". La tendenza a categorizzare in modo estremo influisce negativamente sull’umore e quando si consolida, diventando il modo abituale di considerare se stessi e il proprio mondo, può condurre a disturbi emozional i qual i ansia e depressione. Per molto tempo una parte della psicologia ha cercato di spiegare le cause del disagio emotivo, andando alla ricerca di ipotetiche cause nascoste, negando gli aspetti più ovvii del comportamento e delle emozioni: se un bambino manifestava rabbia voleva dire che

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era angosciato, se appariva depresso significava che era arrabbiato con se stesso.

I più recenti contributi nell’ambito della prospettiva cognitivo-comportamentale hanno evidenziato che i meccanismi psichici che governano le reazioni emotive sono da identificare come meccanismi cognitivi, cioè modalità di pensiero e rappresentazioni mentali. Ed è proprio aiutando il bambino a correggere gli errori presenti nel suo modo di rappresentarsi la realtà che possiamo metterlo in grado di superare emozioni spiacevoli. In pratica, per toccare il cuore del bambino dobbiamo passare per la sua mente, aiutandolo a cambiare gli elementi disfunzionali del suo dialogo interno. Dentro la nostra mente parliamo in continuazione a noi stessi, sia che ne siamo consapevoli, sia che non ne siamo consapevoli. Quando non ne siamo consapevoli non è che questi meccanismi siano inconsci, ma semplicemente non siamo abituati ad ascoltare la nostra mente. Si è visto che se un bambino viene allenato fin da piccolo con apposite procedure, può essere in grado di ascoltare se stesso e di essere cosciente di quali sono i contenuti mentali che influenzano il suo stato emotivo. Per questo, la maggior parte dei programmi di prevenzione messi a punto in questi ultimi anni, prendono in considerazione il rapporto esistente tra pensiero ed emozione. L’educazione psicoemotiva si muove appunto dalla constatazione che è possibile favorire il benessere emotivo del bambino insegnandogli, quanto prima possibile, a pensare in modo corretto.

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TRAINING MENTALE E SCUOLA Gli effetti positivi dal punto di vista educativo, risul-tanti dalla regolare pratica dell'allenamento mentale, hanno spinto numerosi autori a suggerire l'adozione del metodo quale procedura standard di igiene men-tale nella scuola. L'eta' adeguata per una adeguata interpretazione e applicazione delle tecniche e' da considerarsi quella dagli 8 anni in su. Bambini giovanissimi (8-12 anni) si inseriscono facil-mente in piccoli gruppi e possono essere guidati indi-vidualmente con successo. Da un allenamento settimanale e da una pratica (minima) individuale giornaliera, si possono sicura-mente prevedere risultati eccellenti anche in circo-stanze e condizioni sfavorevoli e difficili. Con i gruppi di ragazzi di scuola media, in cui i cam-biamenti della puberta' e la transizione dall'adole-scenza alla maturita' rappresentano tappe evolutive importanti, l'applicazione del T.M. costituisce un con-siderevole supporto per superare le difficolta' di am-bientamento e di transizione. DA UNO STADIO DI SVILUPPO ALL'ALTRO Generalmente la pratica regolare degli esercizi la con-sideriamo un mezzo valido per migliorare le funzioni adattive di un dato stadio di sviluppo e per facilitare la transizione da uno stadio di sviluppo all'altro. Que-sto effetto generale e' associato a mutamenti favore-voli per quanto concerne gli aspetti educativo-scolastici. Le osservazioni riportante da vari tecnici che hanno seguito studenti delle scuole medie, inferiori e supe-riori, concordano con i seguenti risultati:

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MUTAMENTI DI DISPOSIZIONE: miglior disponibilita' all'apprendimento, maggior inte-ressamento attivo al lavoro di classe, migliore autodi-sciplina, migliore organizzazione del lavoro, piu' ade-guate abitudini di studio, diminuzione delle interfe-renze inibitorie associate a dinamiche legate a conflit-ti, migliore concentrazione. MUTAMENTI DI UMORE: maggiore tranquillita', minore emotivita', diminuzione dell'ansieta' in vista di interrogazioni ed esami. MUTAMENTI DI RELAZIONE: migliore assestamento e adeguamento delle relazioni ambientali, migliore e piu' facile contatto con i com-pagni, piu' produttiva interazione studente-insegnanti. PREPARAZIONE ALLO SVILUPPO: aumentata flessibilita' e prontezza verso le nuove possibilita' di sviluppo, ri-equilibrio e ri-orientamento. ATTENUAZIONE DEGLI STATI DI TENSIONE: diminuizione delle interferenze da reazioni psicofisio-logiche (disturbi del sonno, disturbi gastrointestinali, mal di testa, tic, ecc.).

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TRAINING MENTALE E SPORT Nell'ambito sportivo, piu' che in altri contesti, vengo-no ad accentuarsi certe tensioni d'ansia, di stress o di sintomi da "campo sportivo". Gli studiosi hanno definito "ansia d'attesa" quella si-tuazione nella quale l'atleta ha paura di se stesso e dei propri limiti, si chiude in uno stato di difesa e non ne esce che a gara finita. Quali sono gli scopi che si prefigge lo sportivo per rendere al meglio, da un punto di vista non stretta-mente tecnico? Quelli che abbiamo identificato come interferenze al rendimento sono riconoscibili in quasi ogni atleta da noi intervistato. In sintesi l'atleta vorrebbe avere: - minore tendenza alla depressione - minori alti e bassi d'umore - minore evidenza del complesso di inferiorita' - maggiore obiettivita' nelle scelte - maggiore introversione del pensiero - maggiore aggressivita' - maggiore recupero fisico tra un allenamento e l'al-tro, tra una gara e l'altra - maggiore concentrazione - maggiore coordinazione tra gli stati di tensione- di-stensione. Le tecniche del T.M. applicate al maggior rendimento sportivo non fanno altro che affinare le potenzialita' gia' presenti nell'atleta, accentuandone l'espressione. Training Mentale nello sport significa, in fondo, adde-strarsi attraverso la ripetizione di un esercizio esegui-to con regolarita' secondo un programma e tendente

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ad un preciso scopo. Il lavoro mentale viene integrato all'allenamento fisico allo scopo di utilizzare le risorse psichiche dell'atleta. Grazie all'allenamento mentale, l'atleta prende co-scienza di se' e cosi' puo' meglio programmare e per-fezionare le sue possibilita' senso-motorie. Infatti l'immaginazione di un movimento provoca una rea-zione nei muscoli interessati, a testimonianza dell'in-tegrazione mente-corpo. Il Training Mentale permette di raggiungere, meglio e prima, un'armonizzazione dei vari componenti dell'attivita' sensomotoria, come velocita', precisione, coordinazione dei movimenti, potenziamento dei ri-flessi e neutralizzazione ragionata degli impulsi nega-tivi. Gli esercizi per la preparazione individuale e di gruppo che proponiamo ad atleti e tecnici ri-guardano specificamente: - Esercizi preparatori per la presa di coscienza del proprio schema corporeo, di movimento e di sensibilizzazione musco-lare, eseguiti ad occhi aperti e chiusi. - Esercizi di rilassamento fisico, emotivo e mentale. - Esercizi di affermazione mentale e fisica. - Esercizi di identificazione riguardo gli scopi da rag-giungere. - Esercizi di allenamento mentale, da eseguire con la visualizzazione di nuovi possibili schemi esecutivi, da selezionare e utilizzare per ogni specialita' sportiva, nella pratica sul campo, in allenamento e in gara. - Esercizi musicali abbinati a movimenti creativi. Il fine di questo programma e' rappresentato dalle buone prestazioni e dall'emancipazione dell'atleta.

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TRAINING MENTALE E LAVORO I miglioramenti immediati riscontrabili nell'ambito del lavoro, grazie alle tecniche del T.M., riguardano il re-cupero di energie personali e una maggiore capacita' di concentrazione. Eliminando uno stato di tensione, per esempio negli intervalli tra un lavoro e l'altro, si possono ridurre i fattori stressanti e frustranti cui sono sottoposti il diri-gente, l'impiegato o l'operaio, che svolgono non tanto e non solo un lavoro fisico, ma soprattutto un lavoro psichico. Come non tenere presente la necessita' di accettare o di adattarsi ad un lavoro non desiderato, soprattutto in questi anni di carenza di lavoro? Come dimenticare la pesantezza di una giornata tra-scorsa accanto a persone frustranti per carattere, cul-tura o comportamento? Come non pensare alla noia di un lavoro compiuto meccanicamente, senza motivazione? Come superare lo sforzo di una giornata passata da-vanti a una macchina da scrivere o al tavolo di lavo-ro? Come affrontare decine di telefonate che comportano decisioni pronte e risposte adeguate? E' facile comprendere come le tecniche del T.M., che permettono di dosare meglio le proprie energie, aiuti-no a prevenire gli infortuni scaricando, inoltre, l'accu-mulo di aggressivita'. I motivi pratici relativi all'applicazione delle tec-niche del T.M. nel lavoro riguardano: - il miglioramento della salute e dell'efficienza; - la protezione a lungo termine contro gli effetti di vari elementi stressanti legati all'industria e alle va-

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riabili professionali, dannosi per la salute; - la diminuzione dell'assenteismo e del disinteresse, di errori che fanno perdere tempo e denaro, di inci-denti sul lavoro; - il miglioramento delle relazioni interpersonali duran-te le ore di lavoro; -una maggiore attenzione e capacita' produttiva. CORRELATI Durante un corso presso una società che si occupa di Cosmetica, per spiegare l’importanza di mantenersi curiosi di fronte al mondo e a se stessi, feci l’esempio di due bambini di 2 anni che, accompagnati dalle mamme, furono sottoposti ad un esperimento per ca-pire come affrontavano le novità dell’ambiente e l’ostilità verbale di uno psicologo sperimentatore. Durante l’esperimento, il primo bambino, nonostante l’ambiente nuovo cerca un contatto con il compagno, gli sorride e gli porge un giocattolo. Il secondo bambi-no, si ritrae nervosamente e si aggrappa alle gambe della propria madre. Nella seconda fase un uomo vestito da clown entra nella stanza e inizia a parlare ai bambini. Il primo bambino sorride e comincia a parlottare, il secondo comincia a piangere e nasconde la faccia nel-la gonna della mamma. Nella terza fase dell’esperimento, il primo bambino allunga la mano per prendere un giocattolo mentre il clown lo sgrida severamente. Il bambino si ferma, guarda la mamma e poi ancora il clown, riflette un attimo e poi allunga nuovamente il braccio. Il secondo bambino, nel frattempo, scoppia in lacrime sul grembo della mamma. Queste reazioni sono tipiche dei bambini! Quante volte abbiamo riflettuto su situazioni simili.

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Il primo bambino, con il quale tutti vorremmo identifi-carci quale prototipo di un comportamento curioso e fiducioso, creerà le basi per un adulto più elastico, più disposto a fare dei tentativi. E’ più abile a percepire e a confidare nella valutazione che sua madre ha fatto dell’intera situazione trovando in lei un sano sostegno e il coraggio di esplorare. L’abilità di ‘leggere’ correttamente le nuove situazioni, di sapere quando esplorare e quando tirarsi indietro, la volontà di tollerare i sentimenti che vanno di pari passo con l’apprendimento, formano le basi di una decisiva elasticità comportamentale. Ma queste pri-missime differenze non sono immutabili. In base a ciò che sono state le nostre primissime e-sperienze, abbiamo consolidato o modificato le iniziali reazioni. In un mondo senza certezze, abbiamo bisogno di im-parare ad apprendere e di acquisire delle strategie per affrontare le incertezze e le difficoltà quotidiane. Due ragazze di quattordici anni stanno cercando di risolvere una serie di problemi che includono, ‘per sbaglio’, alcuni problemi troppo difficili per il loro li-vello di conoscenze. Affrontano la prima batterie di compiti piuttosto be-ne, ma appena cominciano quelle più difficili, una del-le due ragazze si scoraggia. L’altra fa diversi tentativi, si pone alcune domande e alla fine si rivolge all’insegnante che chiede a tutto il gruppo di prose-guire con gli altri esercizi perché effettivamente c’è stato un errore nell’assegnazione del compito. La ragazza scoraggiata nel frattempo non si è ripresa e non prosegue il compito. Guarda alcuni esercizi fatti precedentemente, ma non riesce a riconoscere che sono dello stesso tipo. Una delle due protagoniste vive il compito come una minaccia e si scoraggia se le cose non vanno come lei

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vorrebbe: ha un problema di autostima. L’altra ragaz-za ha invece vissuto il compito come una sfida e si è concentrata su come risolvere il problema. Elasticità e intraprendenza si rafforzano reciproca-mente e da queste derivano una maggiore fiducia nelle proprie capacità. Più si impara e più si è in grado di imparare. Una delle sfide della nostra modesta attività associati-va è proprio quella di aumentare il nostro bagaglio esperienziale attraverso delle ‘sfide di apprendimento’. Ci sono persone, come abbiamo dimostrato con le nostre brevi storielle, che hanno bisogno di essere curiose, disponibili, sperimentali, altre che hanno bi-sogno di un atteggiamento riflessivo e analitico, e al-tre ancora che hanno bisogno di un atteggiamento più meditativo e creativo. La crescita di ognuno di noi, non è un’attività omoge-nea né tantomeno finisce con il corso degli studi, ben-sì è un continuo imparare ad apprendere. Una coppia si lamenta che il proprio figlio di 8 anni usa il computer per ore e vorrebbe coinvolgere nei suoi giochi anche i genitori. I genitori per un po’ fin-gono di sapere come funzionano i giochi e il computer stesso, ma sono completamente digiuni sull’argomento. Un bel giorno, la moglie torna a casa e dice al marito di essersi iscritta a un corso di computer. E’ stanca di non sapere. Se può imparare suo figlio, può imparare anche lei. L’arte dell’apprendimento presuppone la mancanza di inibizioni e di preconcetti. Anche noi possiamo fare qualcosa per la nostra cre-scita. A volte ci lasciamo frenare dal rischio di fallire. Te-miamo di non farcela. Crediamo che il fatto di non

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aver imparato le cose giuste al momento giusto de-ponga a sfavore della nostra intelligenza, della nostra personalità e del nostro valore. Basterebbe sviluppare, o meglio recuperare, gli stru-menti di apprendimento più adatti e integrare la co-noscenza cosciente con la conoscenza pratica. Non si può stare sempre a riflettere come non si può solo agire, non si può solo essere nell’atteggiamento mentale del ’sognatore’ come non si può pensare di essere solo in una giungla di cemento. Abbiamo bisogno di imparare ad accettare la nostra complessità e quella dell’ambiente nel quale viviamo. Accumuliamo nozioni e informazioni e metabolizziamo questa conoscenza in opinioni. Utilizziamo nuove tec-nologie, andiamo in bicicletta, impariamo a cucinare, raccontiamo le storie, scriviamo o suoniamo e svilup-piamo una conoscenza pratica. Riconosciamo lo stato d’animo di un amico, ricono-sciamo il linguaggio dei gesti e del corpo, distinguia-mo un certo tipo di vino, impariamo a fare delle di-stinzioni. I nostri gusti cambiano con il passare degli anni, cam-biamo lavoro e punti di riferimento, impariamo nuove preferenze. Non ridiamo più per battute che un tempo ci sembra-vano divertenti e che oggi ci sembrano crudeli; siamo più tolleranti con persone che un tempo ci facevano perdere la pazienza, abbiamo sviluppato nuove incli-nazioni. Abbiamo imparato cosa vuol dire essere una ragazza, un nonno, un insegnante, un malato, e ad agire di conseguenza. Abbiamo scoperto molti lati della nostra personalità. Ampliamo il nostro raggio di azione emotiva, espri-miamo i nostri sentimenti, riconosciamo i nostri confi-ni. Cambiamo il nostro essere.

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La nostra mente si adatta in modo istintivo e automa-tico. E’ sì la sua base ma non il suo completamento. La naturale capacità della mente ad apprendere può essere aumentata, orientata, trasformata - ma anche spesso penalizzata - in molti modi. L’apprendimento è molteplice. Coscienti di questo, nell’ambito delle nostre iniziative integrate mente, corpo e relazione riteniamo utile far convergere i vari momenti dell’esperienza individuale. Ci sono quattro dimensioni che costantemente cer-chiamo di integrare. La prima riguarda l’immersione diretta nell’esperienza e le capacità di sentire, di esplorare e di sperimenta-re. All’interno di questa dimensione si esplora il cor-po, la percezione e l’autopercezione, l’altro, coinvol-gendo l’interazione, l’imitazione e le capacità espres-sive. Poi c’è l’immaginazione e l’abilità della fantasia, della visualizzazione e della creazione, che permette di in-ventare ed esplorare mondi ipotetici che ci apparten-gono. Poi ci sono le abilità intellettive del linguaggio e del ragionamento, attraverso le quali l’esperienza può essere sezionata, analizzata e comunicata. E infine, c’è l’intuizione, un nome generico per tutta la famiglia di quei processi più intuitivi e ricettivi, da do-ve nascono e si sviluppano le idee creative e le varie forme di ispirazione. Per poter vivere nel modo migliore, bisogna avere sviluppato appieno le proprie abilità di apprendimento e avere una buona conoscenza pratica. Si chiama congruenza l’atteggiamento che ci permet-te di essere coerenti tra pensiero e azione. Ma non basta, occorre anche essere pertinenti alle situazioni ed essere capaci di trasferire un’abilità da una situa-zione ad un’altra. Insomma, una realtà complessa che

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ci ricorda che l’elemento intelligente di tutta questa situazione siamo noi, con tutta la nostra coscienza interiorizzata e pratica. Se vogliamo imparare dobbiamo essere intraprenden-ti e contemporaneamente dobbiamo avere risorse in-teriori ben sviluppate. Anche se le opinioni correnti danno una prevalente importanza alla ‘mente’ ritenia-mo che il ‘corpo’ insieme alle ‘emozioni’ rappresenti il vero terreno di sviluppo del fattore psicologico indivi-duale. Quando si sceglie di imparare, soprattutto nel campo psicologico, si spera che i frutti delle nostre investiga-zioni saranno la conoscenza, la padronanza, nuove risorse e alleanze che ci aiuteranno nelle scelte futu-re. Per raggiungere quelle competenze, spesso dobbiamo rinunciare al controllo, alla sicurezza, agli equilibri, alle illusioni dell’Io. Il processo di apprendimento, nel corso di un pro-gramma di formazione personale, implica dei rischi, ma promette dei benefici. Ci richiede la capacità di tollerare le frustrazioni e la confusione, di agire senza sapere in anticipo cosa succederà, di essere incerti ed a volte insicuri. Se il nostro primo sintomo di frustrazione ci spinge a tirarci indietro, il nostro processo di apprendimento sarà superficiale e poco stimolante. E spesso credia-mo che il giusto apprendimento debba essere senza scosse e tranquillo. Niente di più lontano dalla realtà vissuta. Le nuove conoscenze delle basi biologiche delle emo-zioni dimostrano che i nostri sentimenti sono una par-te totalmente integrante del nostro apprendimento. Le emozioni e i sentimenti sono fattori vitali sul tipo di apprendimento più adatto e su come si procede, e spesso li ignoriamo o li sopprimiamo del tutto, a no-

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stro esclusivo svantaggio. Gran parte del nostro cammino richiede sprizzi di en-tusiasmo, momenti di frustrazione e regressioni. Quello che desideriamo offrire è la sperimentazione concreta di una ricerca attualissima sulla capacità di amplificare il proprio potenziale “corpo-mente” e delle condizioni ottimali affinché questo avvenga.

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LA PSICOLOGIA NELLE ORGANIZZAZIONI Le prospettive psicologiche che aiutano ad interpretare i fenomeni e le dinamiche che caratterizzano le organizzazioni lavorative riguardano la visione psicoanalitica, la visione Junghiana, la visione psicodinamica. E’ evidente che la volontà di muovere verso una lettura profonda dei "sottosuolo" organizzativo, in contrapposizione ai semplicismi delle teorie organizzative classiche, deriva dalla consapevolezza che molto di ciò che accade nelle organizzazioni è imputabile a processi che potremmo definire irrazionali. A tale riguardo, soprattutto l'ottica psicoanalitica, ci aiuta a chiarire l'apparentemente inestricabile intreccio di storie e vicende individuali e collettive che entrano in gioco nel dar vita alle instabili fondamenta di quell'edificio, che si vorrebbe monolitico e privo di qualsiasi crepa, che chiamiamo organizzazione. La vita organizzativa, cioè il risultato delle azioni, delle motivazioni, dei pensieri, dei desideri degli uomini che nelle organizzazioni lavorano, è percorso da un'onda invisibile ma percepibile: l'ansietà. Ansietà inerente sia la dimensione operativa che relazionale. Al fine di sottrarsi, per quanto possibile, a questa ansietà, di ridurla, di contenerla, gli uomini ricorrono a meccanismi di difesa che, pur promanando dalle diverse, intime, storie individuali, finiscono per pervadere ogni ambito dell'organizzazione, assumendo quindi un carattere condiviso e socializzato. Ma dove nasce questa ansia? Quali origini ha? Fondamentalmente, il vissuto dell'ansia è legato strettamente all'esperienza dell'incertezza. Più specificamente, le fonti dell'ansia sono riconducibili a

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tre dimensioni principali: le frontiere organizzative, l'esercizio del potere, le dinamiche di ruolo. Le teorie dell’ “Analisi Transazionale” permettono di rendere evidenti i "giochi" e i “copioni” nei quali gli individui si "usano" l'un l'altro in linea di massima collusivamente, mentre le teorie delle “relazioni oggettuali” aiutano a spiegare come si raggiunge la stabilizzazione del mondo interiore e come si riduce l’incertezza soggettiva. Le relazioni vengono studiate come il perno su cui si incontrano i tentativi di contenimento dell'ansia, un contenimento che si traduce, al livello delle relazioni fra gli individui, nel tentativo spasmodico di esportare, proiettare sugli altri quello che di se stessi non si riesce a sopportare. Questo fenomeno viene denominato dagli studiosi: "Sistema dei normali danni psicologici". Esso riguarda l’insieme delle offese normali e prevedibili che le persone subiscono quando tentano di collaborare con gli altri nel realizzare i compiti di lavoro all'interno di un ambiente incerto. Facile intuire che ciò può essere fonte, molto spesso, di esperienze reciprocamente negative e frustranti, costituendo delle relazioni rigide e conflittuali. In definitiva, i danni psicologici "prendono il posto" dell'ansietà.

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IL VISSUTO DELL’ANSIA NEGLI AMBIENTI DI LAVORO In questa parte del nostro lavoro desideriamo puntualizzare le tre dimensioni principali, associate al vissuto dell'ansia negli ambienti di lavoro. La prima dimensione riguarda le frontiere organizzative dell’organismo azienda che richiama all’attenzione il concetto di "frontiere soggettive" del mondo persona; di fronte all'emergere dell'ansia, gli individui giungono ad instaurare fra loro legami che alterano profondamente la struttura dei confini, in quanto prevista dal disegno organizzativo e dai criteri di funzionalità, per sostituirvi una sorta di sistema di relazioni parallelo ed ulteriore rispetto a quello formalmente previsto. La seconda dimensione riguarda l’esercizio del potere. E’ proprio la dimensione del potere ad essere connessa alla genesi dell'ansia e all'attivazione dei meccanismi di difesa. Le incomprensioni e le resistenze che, inevitabilmente, scaturiscono come conseguenza dell'esercizio del potere, alimentano il processo di rielaborazione dei confini organizzativi, sino a dar vita alla cosiddetta "organizzazione fantasticata". La terza dimensione è relativa alla dinamica di ruolo. Se l'ansietà associata al lavoro è troppo grande per essere tollerata, gli individui la fuggiranno, ovvero tenderanno ad abbandonare il proprio ruolo organizzativo. Si giunge, a questo punto, al tema fondamentale dei meccanismi di difesa. Teatro della genesi e della propagazione dell'ansia, è l'organizzazione stessa che finisce, in ragione della propria articolazione per gruppi, per fornire le opportunità difensive tramite le quali gli individui esperiscono i complessi giochi della

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proiezione, scissione e identificazione proiettiva. In questa prospettiva, tre sono le principali modalità di difesa che si riconoscono: Assunti di base: rappresentano il desiderio primordiale che si possa creare, senza lavorare, un ambiente benevolo e supportivo. Allorché le attività di lavoro espongono gli individui all'ansietà, gli assunti di base consentono loro di superare il senso di isolamento e di depersonalizzazione, permettendo di credere di appartenere a un gruppo unito e coeso. Coalizioni nascoste: indicano modalità di difesa più persistenti, permettono di controllare l'ansietà tramite la creazione di modalità di relazione che superano, ampliandole, i limiti di quelle formalmente previste. Il gruppo tende in questo modo a fornire ai propri membri un'immagine di se stesso tale da divenire motivo di identificazione totale. Rituali organizzativi: indicano pratiche e procedure che vengono agite benché non siano razionalmente connesse con l'obiettivo primario dell'organizzazione; comportamenti quindi, non prescritti, ma capaci di divenire parte integrante del modo di lavorare, e addirittura della stessa cultura organizzativa. Ogni rituale organizzativo ha un carattere sostanzialmente impersonale, e ripara dall'ansia permettendo a ciascun individuo, nel perseguimento dell'imperativo da assolvere, di estromettersi da ciò che sta facendo.

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DOMANDE, LUOGHI COMUNI E RESPONSABILITA’ D. Come fa un’organizzazione a riconoscere e limitare gli effetti dell’ansia individuale e di gruppo? R. La necessità di riconoscere e di evitare l'ansia derivante dall'imprevedibilità legata ad ogni situazione lavorativa o di relazione interpersonale, rappresenta il filo conduttore di gran parte dei comportamenti organizzativi. E’ nell'organizzazione stessa che il "sistema" si difende, in particolare l oca l i z zandone g l i snod i fondamenta l i nell'articolazione formale dei ruoli e delle funzioni, e nella rete, al contempo formale e informale, dei gruppi. L'immagine che scaturisce è quella di una dinamica complessa, profondamente collusiva, in cui gli individui utilizzano l'organizzazione al fine di difendersi dall'incertezza che essa produce, mentre l'organizzazione stessa provvede ad una propria costante ridefinizione per contenere le incertezze derivanti dalle attività difensive dei singoli e dei gruppi. Specificamente i ruoli consentono di rielaborare l'ansia nel senso di una loro forzatura, mentre i gruppi accolgono le istanze dei singoli individui, riproponendole in termini condivisi. La duplicità dei ruoli che si vengono a interpretare nelle realtà organizzative (ruolo manifesto, ruolo latente), orientano le organizzazioni a trovare antidoti appropriati per lo stress, l’ansia, l’autostima e il sistema di sé, quali variabili dei propri membri, da capire e da affrontare. Stress: la situazione di stress assume connotati di pericolosità, dove particolarmente forte sia il vissuto di incapacità nel fronteggiare adeguatamente una

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richiesta proveniente dall'ambiente di lavoro. Ansia: è una funzione che mette in guardia l'individuo da rischi potenziali, ed assume i connotati di elemento motivante per la messa in atto di comportamenti difensivi capaci di ristabilire una certa prevedibilità, sicurezza, tranquillità. Autostima: rappresenta la capacità di confrontarsi con gli stress ambientali senza perdere l'integrità personale e di assumere le responsabilità delle proprie azioni. In presenza di un livello disfunzionale (esagerato) di autostima, si verificherà una ipersensibilità agli eventi stressanti, a cui si tenderà a reagire, inconsapevolmente, tramite una scissione del sé in una componente idealizzata e in una componente disprezzata, identificandosi con la prima, qualora tale livello sia esageratamente alto, con la seconda in caso di un livello esageratamente basso. Sistema di sé: è definito come una struttura con funzioni difensive e adattive, finalizzata a rassicurare l'lo e a risolvere, almeno momentaneamente, il problema dell'ansia. Se il livello di autostima risulta estremizzato le attività difensive assumeranno una connotazione nevrotica. In questo senso, si possono individuare cinque diversi stili difensivi, ovvero configurazioni disturbate del sistema di sé, risposte momentanee di difesa dall'ansia: perfezionismo, arroganza e vendicatività, narcisismo, autosvalutazione, passività. Perfezionismo: è una modalità difensiva che consente di ridurre l'ansia attraverso due strategie: da un lato sviluppando standard di lavoro così elevati

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da consentire di attribuire ad altri la responsabilità di eventuali insuccessi; dall'altro, sviando l'attenzione da tutte le possibili imperfezioni che potrebbero essere fonte di indebolimento dell'immagine personale, mettendosi quindi al riparo da eventuali critiche e sanzioni. Arroganza e vendicatività: gli individui che ricorrono a questa modalità difensiva, tentano di contenere l'ansia coinvolgendo gli altri in una incessante competizione. Vedono altresì con sospetto e sfiducia, ogni relazione interpersonale che non li veda come protagonisti; temono soprattutto di perdere il controllo sugli avvenimenti. Narcisismo: la forzatura di ruolo di tipo narcisistico testimonia di un'immagine di sé onnipotente e grandiosa. I soggetti che condividono questo profilo saranno caratterizzati da sentimenti di inutilità e insicurezza, da tenere nascosti ad ogni costo, coltiveranno grandi progetti, evitando al contempo di impegnarsi nell'azione diretta. Il loro investimento personale sarà quindi orientato all'acquisizione di ammirazione e lealtà. Autosvalutazione: è determinata dalla paura e dall'ansia della possibile contro-aggressività degli altri. Se l'ansia rispetto ai risultati dei propri gesti impulsivi e aggressivi diventa insostenibile, si potrà produrre un ribaltamento dell'ostilità nei propri confronti, con la conseguente continua esibizione della debolezza di sé. Passività: se l'autosvalutazione risulta insufficiente a proteggere dalle ansie della realtà organizzativa, non restano altre alternative difensive che quelle di

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forzare ulteriormente il ruolo nella direzione del ritiro e della passività. Vi sarà una rinuncia a ogni competizione, minaccia, aggressività nei confronti degli altri, e il desiderio di evitare conflitti o addirittura, di evitare le relazioni stesse. Nel gruppo, quindi, si sviluppano le condizioni di un contesto privilegiato per l'emergere delle modalità difensive. Il punto di partenza va ricondotto al dilemma psicologico fondamentale tra identità e integrazione, nonché alla constatazione del fatto che la situazione di gruppo orienta verso la scelta della regressione (la regressione protegge e preserva le persone dall'annullamento attraverso il ritiro in uno spazio intimo protettivo e sicuro) come modalità difensiva. Essa può assumere diverse configurazioni: Gruppo di lavoro omogeneizzato: caratterizzato dall'assenza della differenziazione tra sé e gli altri, in quanto vi è la rinuncia al senso di identità personale. Gruppo di lavoro istituzionalizzato: incoraggia la sottomissione ad una struttura gerarchica formale e all'autorità. Gruppo di lavoro autocratico: partecipa alla costruzione di un solido legame di identificazione con un capo carismatico.

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TRAINING MENTALE E LA TERZA ETA' Non sappiamo proprio come funziona il cervello. Ci sono troppi miliardi di cellule cerebrali per poter avere un concetto molto preciso della complessita' delle po-tenzialita' cerebrali. Molte ricerche dimostrano che quando una parte del cervello e' danneggiata si puo' ricorrere a un'altra parte dello stesso per ricreare gli apprendimenti perduti. Nel T.M. presentiamo all'anziano "idee", e gli chiedia-mo di imparare nuovi e diversi modi di funzionare e-straendoli dal gran numero di cellule cerebrali dispo-nibili e dall'enorme quantita' di capacita' ancora laten-ti. Le tecniche del T.M. in questo caso possono essere efficaci quando l'anziano riesce ad essere davvero a-critico - quando e' disponibile a recepire un'idea allo scopo di esaminarla. L'uso dei livelli soggettivi crea il vantaggio di focalizzare, controllare, dirigere e pro-lungare un comportamento che nella vita di tutti i giorni verrebbe fuori appena. In altre parole, viene chiesto all'anziano di impiegare gli apprendimenti esperienziali e le capacita' in modi dei quali sinora non era consapevole. Non cose diffici-li, quindi, ma una nuova prospettiva nell'utilizzazione delle proprie risorse. Mantenendo il cervello attivo la vecchiaia puo' non esistere, se si vuole che non esista. Certo mancanza di motivazioni reali, le malattie, la depressione, "ricordano" la vecchiaia; ma gli artisti, grazie alla loro creativita', ci dicono che ogni eta' puo' essere bella e la terza eta' perfino piu' bella. Si puo' lasciare agli al-tri il compito di produrre, stressati, sognando una li-berta' che non hanno. Le tecniche del T.M. stimolano quindi una "ginnastica" mentale intesa a "fare". Fare come ascoltare musica, disegnare, pensare, leggere, fare attivita' fisica, in-

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somma riportare alla luce i ricordi dei molti desideri che si sarebbero voluti appagare, ma che la mancan-za di tempo, le preoccupazioni o la pigrizia hanno im-pedito. E' una questione di stimoli, di interessi, di creativita', o piu' in generale di attaccamento alla vita. Sembra che le cellule del cervello, dopo i quarant'a-nni, comincino a diradarsi, ma contemporaneamente, se stimolati, producano nuovi germogli, nuovi neuro-ni, insomma nuova vita. Alcuni studiosi sostengono che per essere creativi bi-sogna imparare sin da giovani l'educazione alla vec-chiaia - anche se, per i ritardatari, non e' mai troppo tardi. E vince la battaglia contro la vecchiaia chi e' in grado di reinventarsi, facendo cio' che davvero desi-dera.

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UN PROGRAMMA POSITIVO Il programma di Training Mentale, al di la' delle sue applicazioni speciali, viene proposto normalmente della durata di tre giorni - venerdi' sera, sabato e do-menica - comprensivo di una quindicina di tecniche, mentali e bioenergetiche, gia' ampiamente illustrate in questa trattazione. Questo metodo non e' appannaggio di pochi eletti, particolarmente dotati o culturalmente preparati. Al contrario, al fine di superare barriere pregiudizievoli, il metodo e' stato studiato e strutturato in maniera tale che non viene richiesto alcuno sforzo da parte dell'allievo per il raggiungimento dei risultati auspica-ti. Infatti, il motto di "sforzarsi di non sforzarsi di fare qualcosa" e' prioritario a qualsiasi impegno razionale. Tutti gli strumenti-esercizi che vengono proposti, ol-tre ad essere estremamente efficaci e particolarmente eleganti, sono presentati in modo semplice e pratico. Sono il minimo di cui si puo' disporre per apprezzare questo metodo di sviluppo personale che assomiglia alla preparazione di un "buon risotto". Esso prevede una fase di precottura (fase di apprendimento - il Se-minar) e una fase di applicazione pratica alla vita quotidiana. Nell'impiego di questi strumenti ci sono due modalita' per utilizzarli malamente. Pensiamo che essere al cor-rente di che si tratta permettera' di superare gli inevi-tabili condizionamenti relativi all'apprendimento e alla pigrizia. Il primo sistema consiste nell'applicarli in modo estre-mamente rigido. Questo significhera' perdersi alle mi-nime difficolta', non avere flessibilita' e non ricorrere alla propria esperienza sensoriale (immagini-sensazioni-suoni), che in effetti seguono tutto il pro-cesso degli esercizi.

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Il secondo sistema per far fiasco consistera' nell'appli-care questi strumenti in modo incongruente e non convinto. Questo comportera' una non-adesione e sfiducia nei confronti delle tecniche da utilizzare in rapporto ai bisogni personali. Per evitare questi "errori" nell'usare le tecniche e' previsto, dopo il seminar di base, una attivita' deno-minata LABORATORIO.

LABORATORIO Laboratorio e' il nome dato ad un programma conti-nuativo, settimanale o mensile, per studiare, applica-re e approfondire le tecniche apprese nel T.M. I vantaggi di un addestramento continuativo, indivi-duale o di gruppo, sono ben conosciuti: sia per i vo-lonterosi che per i procrastinatori, un tassello dopo l'altro produce una formidabile esperienza umana, nonche' risultati soddisfacenti e duraturi. Spetta all'utente la responsabilita' di instaurare e mantenere un canale efficace di comunicazione con le parti di se stesso alle quali accedere per cambiare. E' ovvio che imparando a farlo crescera' la propria auto-nomia e creativita'. Per diventare veramente autonomi nell'uso del-le tecniche servono tre requisiti. Il primo consiste nella capacita' di determinare lo scopo da raggiungere. Il secondo consiste nella massima flessibilita' di comportamento. Bisogna cioè essere in grado di generare moltissimi tipi di comportamento, in modo da capire che risposte se ne ottengono.

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Il terzo consiste nell'avere a disposizione un'espe-rienza sensoriale sufficiente a osservare quando e' che si ottiene la risposta adeguata. Se si possiedono questi tre talenti non si deve fare altro che modificare il comportamento finche' non si ottiene il risultato voluto.

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CONCLUSIONI Abbiamo scoperto che se un qualsiasi essere umano dotato di normali potenzialità e' in grado di fare una certa cosa, anche noi, se adottiamo un approccio ade-guato siamo in grado di farla. Tutto quello di cui ab-biamo bisogno e' un metodo che ci permetta di essere buoni osservatori di persone e fruitori di ciò che vale per noi, capaci di imparare dall’esperienza degli altri e confezionando la nostra. Questo vale per ogni com-portamento. Noi possiamo scegliere di essere migliori, di cambiare se occorre, di crescere perché è una necessità. La maggior parte delle persone non dispone di molte strategie per fare tutto quello che fa. Spesso viene usato lo stesso tipo di strategia per fare tante cose diverse, e allora succede che si ottengono buoni risultati in certe cose e risultati meno buoni in altre. Se siamo onesti con noi stessi ci rendiamo con-to che se adottiamo poche strategie di base, forse quattro o cinque, l’umiltà della creatività ci invitereb-be ad allargare il nostro repertorio a più possibilità. Dopo questa lettura, grazie all'esperienza del Training Mentale ed a progetti di formazione possiamo scopri-re la non banale possibilità di aggiungere altre scelte a quelle che possediamo normalmente. Le risorse dell’uomo sono un nuovo affascinante terri-torio da esplorare e da condividere con ognuno. Grazie dell’attenzione Lorenzo Manfredini

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BIBLIOGRAFIA PSICOCIBERNETICA, M. MALTZ, Astrolabio CREATIVITA' SUPERIORE, W. HARTMAN e H. RHEINGOLD, Astrolabio SOFROLOGIA, BOON - DAVROU - MAQUET, Giunti Martello L'UOMO E I SUOI SIMBOLI, C.G. JUNG, Longanesi USARE IL CERVELLO PER CAMBIARE, R. BANDLER, Astrolabio DINAMICA MENTALE BASE, M. BONAZZOLA, CRS-IDEA - BG LA DINAMICA MENTALE, C. GODEFROY, Sugarco DINAMICA MENTALE, A. e M. ZAFFUTO, SIAD DINAMICA MENTALE E COMPORTAMENTALE, T. LOMBARDI, Cortina TRAINING AUTOGENO, I. CAPONIO, Sperling e ku-pfer OPERE, M. H. ERICKSON,Astrolabio RACCONTI DIDATTICI, M. H. ERICKSON, Astrolabio CAMBIARE GLI INDIVIDUI,J. HALEY, Astrolabio LA METAMORFOSI TERAPEUTICA, R. BANDLER e GRINDER, Astrolabio LA STRUTTURA DELLA MAGIA, BANDLER e GRIN-DER, Astrolabio LA PROGRAMMAZIONE NEUROLINGUISTICA, BANDLER e GRINDER, Astrolabio LA RISTRUTTURAZIONE, BANDLER e GRINDER, A-strolabio PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE UMANA, BEAVIN - WATZLAWICK - JACKSON, Astrolabio SEMINARI, DIMOSTRAZIONI E CONFERENZE, M. H. ERICKSON, Astrolabio L'ETA' DELL'UOMO -RIVISTA - CRS DEP - FE DINAMICA COMPORTAMENTALE PER "GIOCO", L. MANFREDINI CRS DEP - FE

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