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In copertina:G. B. Piranesi, Le Antichità Romane, t. 4, tav. XVI,Ponte Fabricio, 1756; calcografia.

Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia,Università degli Studi di Palermo

Pubblicazione effettuata con fondidi Ricerca Scientifica ex 60%e Dottorato di Ricerca

Editor

Alberto Sposito

Comitato Scientifico

Alfonso Acocella (Università di Ferrara), Tarek Brik(E.N.A.U., Tunisi), Tor Broström (GotlandUniversity, Svezia), Josep Burch (Universitad deGirona), Giuseppe De Giovanni (Università diPalermo), Maurizio De Luca, Gillo Dorfles, PetraEriksson (Gotland University, Svezia), Maria LuisaGermanà (Università di Palermo), GiuseppeGuerrera (Università di Palermo), Maria ClaraRuggieri Tricoli (Università di Palermo), MarcoVaudetti (Politecnico di Torino).

Redazione

Maria Clara Ruggieri TricoliSantina Di SalvoMaria Désirée Vacirca

Editing e Segreteria

Santina Di SalvoMaria Désirée Vacirca

Editore

OFFSET STUDIO

Progetto grafico

Giovanni Battista Prestileo

Collegio dei Docenti

Alberto Sposito (Coordinatore), Antonino Alagna,Giuseppe De Giovanni, Ernesto Di Natale, LilianaGargagliano, Maria Luisa Germanà, GiuseppeGuerrera, Marcella La Monica, Renzo Lecardane,Alessandra Maniaci, Angelo Milone, Maria ClaraRuggieri Tricoli, Cesare Sposito, Rosa MariaVitrano.

Finito di stamparenel mese di Settembre 2010da OFFSET STUDIO s.n.c. Palermo

Per richiedere una copia di AGATHÓN in omaggio,rivolgersi alla Biblioteca del Dipartimento diProgetto e Costruzione Edilizia, tel. 091\23896100;le spese di spedizione sono a carico del richiedente.

AGATHÓN è consultabile sul sitowww.contestiantichi.unipa.it

AGORÀGillo Dorfles

LA GRANDE PIRAMIDE DI STACCIOLI .................................................................................................................. 3Alberto Sposito

ELOGIO DELLA POLEMICA .................................................................................................................................. 7Chiara Visentin

SPAZI DI RELAZIONE NEI CONTESTI ANTICHI: NUOVI PARAMETRI PER I LUOGHI COLLETTIVI ............................13Josep Burch, Martirià Figueras, Lada Servitja

LA MUSEALIZZAZIONE DEI SITI ARCHEOLOGICI NEL NORD-EST DELLA CATALOGNA ..........................................19David Palterer

NECROPOLI DI PIL’ ‘E MATA: PROTEZIONE E MUSEALIZZAZIONE DI UN SITO ARCHEOLOGICO ............................25

STOÀMaria Clara Ruggieri

PERSONE E OGGETTI NEI MUSEI ARCHEOLOGICI: CASI DI STUDIO RECENTI ........................................................29 Renzo Lecardane

LE GRANDI ESPOSIZIONI: TERRITORI DELL’IMMAGINARIO ................................................................................ 37Cesare Sposito

RECUPERO DI UN’AREA DISMESSA A SIRACUSA..................................................................................................43

GYMNÁSIONAngela Katiuscia Sferrazza

IL PAESAGGIO AGRICOLO PERIURBANO DALLA MARGINALITÀ ALLA VALORIZZAZIONE ......................................49Maria Désirée Vacirca

SITE E SITE-MUSEUM DI EPIDAURO: UN RACCONTO MUSEALE CAPOVOLTO ......................................................55 Santina Di Salvo

LE MUSÉE DE POINTE-À-CALLIÈRE DE MONTRÉAL ..........................................................................................61 Alessandro Tricoli

COPERTI, SCOPERTI E RICOPERTI: STRATEGIE D’INTERVENTO PER I SITI ARCHEOLOGICI......................................67 Golnaz Ighani

CERTIFICAZIONE ENERGETICA IN GRAN BRETAGNA: CASI DI STUDIO ................................................................73

SEKÓSFederica La Morella

MARKETING E COMUNICAZIONE DEI BENI PAESAGGISTICI..................................................................................77Giorgio Faraci

HERCULANEUM CONSERVATION PROJECT ..........................................................................................................81

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Continues in this edition of Agathón the enlargement of the Scientific Committee withthe Researchers from other countries, in order to compare different international expe-riences: Tarek Brik, architect and professor at l’ENAU of Tunis, and Josep Burch ar-chaeologist and professor at Girona University.The first Section, Agorà, as the main and collective space in Greek polis, hosts the

contributions of Gillo Dorfles, Chiara Visentin, Josep Burch, David Palterer, and mine.In the Section, Stoà, as the porch where the philosopher Zeno taught his disciples, are gi-ven the contributions presentated by teachers of Doctoral College: Maria Clara Ruggie-ri, Renzo Lecardane and Cesare Sposito. In the third Section, Gymnasion as a placewhere young Greeks practiced gymnastics and where educated in arts and philosophy,are the contributions of Angela Katiuscia Sferrazza, Maria Désirée Vacirca, Santina DiSalvo, Alessandro Tricoli and Golnaz Ighani. The fourth Section, Sekós, as a room ofGreek house for youn people mentioned by Plato (Rep. 460/c), has two young graduates,Federica Morella and Giorgio Faraci. We indicate, on back cover of the review, the ca-lendar of seminars of the years 2009/2010. Finally, we must remember that the editorial activity has been possible thanks to the

Doctoral College, we specially thank, for their extraordinary work, Ph.D. Students San-tina Di Salvo and Maria Désirée Vacirca.

Alberto Sposito

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Chiara Visentin*

ABSTRACT - The value of public space in Europe is closely

linked to quality, not just urban, of a city, to participation

of the civitas, to the assembly of citizens in a specific pla-

ce, which amplifies the meaning of human space.

Investigate urban spaces, charmingly described not only

as “emptiness”, is a new observation mood to know pla-

ces. To decipher the value and complexity of them. To

assess limits or horizons. The discover that urban space is

not only identifiable in the public square or the forum of

the city market, but also in all those places where people

meet each other, exchange contacts and mutual links.

Place of citizens or, in any case, of the community that

finds itself, and equally complex as the community, which

should be a mirror. Viewed in its various aspects: open

square, hall of a public building of exchange, promenade,

museum or cultural context, and so to follow. For refur-

bished models and stimuli, in search of a more current

representation of space.

Il valore dello spazio pubblico in Europa èstrettamente connesso alla qualità, non solo

urbana, di una città, alla partecipazione della civi-tas, al consesso dei cittadini in uno specifico luo-go, che amplifica il significato spaziale ed uma-no. Indagare lo spazio urbano, descrivibile fasci-nosamente come vuoto, non è quindi un’opera-zione che privilegia fattori urbanistici o unica-mente sociologici, è invece un nuovo modo diosservazione per conoscere i luoghi. Per deci-frarne il valore e la complessità. Per valutarnegli ambiti e i limiti. Tutto questo porta a scopri-re come lo spazio urbano non sia solamente iden-tificabile nella piazza pubblica o nel foro del mer-cato cittadino, ma anche in tutti quei luoghi incui le persone s’incontrano, scambiano contatti enessi reciproci; per arrivare a definire quindi luo-ghi della relazione. Luogo dei cittadini o, in ognicaso, della collettività che si ritrova, parimenticomplesso della comunità, alla quale si dovreb-be specchiare. Visto nei suoi molteplici aspetti:piazza aperta, hall di edificio collettivo, luogo discambio, promenade, ambito museale o cultu-rale, e così a seguire.

Interessante indagare su alcuni strumentialtri, inconsueti rispetto a quelli tradizionalmen-te indicati, per rileggere con occhio contempo-raneo, ma con mente rivolta all’evoluzione storica(il futuro ha un cuore antico scriveva Carlo Levinel 1958), lo spazio pubblico in quanto campoarticolato, luogo dai molteplici mutamenti, madalla intatta -nel tempo- identità antropologica;per rinnovati modelli e stimoli, alla ricerca diuna più attuale rappresentazione dello spazio.Lo spazio pubblico diviene perciò una catego-

ria inscindibile dalla città, un fatto urbano,come aveva ben esposto Aldo Rossi; unmomento fondamentale e a-temporale per lacostruzione del territorio urbano, ma sorpren-dentemente individuabile oggi attraverso para-metri differenti rispetto alla lettura tradiziona-le. «E forse in questo l’espressione artistica ciaiuta. L’arte del nostro tempo che sia visiva (daMalevich a Wenders) o musicata (da Schoenberga Cage). L’arte che significa comprensione maanche ricerca della bellezza: ‘la categoria Bellezzache per la città è rappresentata, oltre quell’ordi-ne di cui parlavamo or ora, dalla qualità Arteapplicata agli edifici più importanti, nell’impos-sibilità d’applicarla a tutti, indistintamente»1.

Si è nella convinzione che LudovicoQuaroni tra gli edifici più importanti pensasseanche agli spazi aperti, collettivi, della città.Essenze vitali del contesto urbano. Luoghi pri-vilegiati per la messa in scena di una comunitàche pulsa, che si muove. Anche Ernesto NathanRogers2 nel 1952 sosteneva: «abbiamo intro-dotto la parola cuore nel linguaggio della tecnicaurbanistica. Avremmo potuto dire -come qual-cuno ha proposto- nocciolo, che è la parte delfrutto che contiene le sementi, cioè le poten-ziali energie di un organismo. Ma cuore ha piùpalpito e riassume, oltre che i valori fisiologi-ci e biologici, quelli del sentimento. Sentimentosuggerisce Rogers, proponendo quindi nuoviparametri per la rappresentazione di questi luo-ghi di relazione. Ebbene, identifichiamole que-ste peculiarità per una lettura più contempo-ranea dello spazio urbano»3. Gli strumentiindagati sono: il vuoto e il silenzio, il movi-mento, l’emozione, gli elementi ordinatori perla collettività, il dentro e il fuori, ed infinesomma di tutto ciò lo spazio tra le cose.«Occorre tener presente che una città non èdestinata solo ad uso di abitazione; deve ben-sì esser tale che in essa siano riservati spazipiacevolissimi e ambienti sia per le funzioniciviche sia per le ore di svago in piazza, in car-rozza, nei giardini, a passeggio» (Leon BattistaAlberti, De Re Aedificatoria 1452).

Il vuoto e il silenzio - Il termine compositivoda valutare per il suo altissimo significato archi-tettonico è il vuoto. Quello spazio ideale al qua-le noi siamo stati abituati ammirando le visionidelle città ideali rinascimentali. Ma lo spazio trale cose non è ideale nè immaginario, è reale. E ilsuo valore deve rimanere un elemento fonda-Domenico Ghirlandaio (1490), La Visitazione, Firenze.

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non c’è un gran che: il nulla, l’impalpabile, ilpraticamente immateriale: c’è la distesa, l’ester-no, quello che ci è esterno, ciò in mezzo a cui cispostiamo, l’ambiente, lo spazio tutt’intorno […]Il problema non è tanto sapere come ci siamoarrivati, quanto semplicemente riconoscere che cisiamo arrivati, che ci siamo […] Vivere è passa-re da uno spazio all’altro, cercando il più possi-bile di non farsi troppo male». Perciò quali carat-teristiche deve avere il vuoto rispetto all’edifi-cato, quali rapporti si devono intrecciare tra lafigura e il suo sfondo? E come si può chiamaretale legame, questa astrazione, tale dimensionetemporale? Spazio urbano, il luogo della rela-zione. Un vuoto pensato, definibile, misurato:progettato. «Secondo me barano tutti quanti -cominciò Alice in tono di protesta- e fanno tuttiun tale chiasso litigando che uno non sente nean-che la propria voce… poi sembra che non segua-no nessuna regola, almeno, se ci sono delle rego-le, non ci fa caso nessuno»; così scrive ancorauna volta Carroll nelle avventure di Alice nelPaese delle Meraviglie. Il vuoto, il silenzio peressere, deve in qualche modo venire misurato.

«L’eccezione, il vuoto urbano rispetto allaconcentrazione rappresentata dalla struttura del-la città è un fattore fondamentale per la comunitàche si incontra. Tale spazio però deve avere unsenso compiuto. La bella immagine di Roma diPietro del Massaio ci insegna proprio questo: lì learchitetture sono stabilite, comprensibili, catalo-gabili, ma fluttuano su un indefinito territoriofatto di niente. Dove sono gli spazi aperti checollegano gli edifici, dove sono i luoghi dove lagente può incontrarsi, dove può commerciare,riunirsi in preghiera, animarsi in dibattimen-ti pubblici? Dove sono le piazze? Questa nonè la mappa della città di Roma. È solamente larappresentazione grafica delle sue architettu-re. Dove i silenzi dei suoi spazi aperti, deisuoi luoghi urbani, risultano essere fonda-mentalmente mancanti […] Nel tessuto urba-no il vuoto rappresenta l’unicum all’internodel continuum, l’emergenza, la metrica pertracciare un nuovo ordine per la città, lo spa-zio di connessione. Il rapporto tra figura esfondo»5. Un’assenza nella pianta tolemaica diRoma che è mancanza, non è progetto. Il vuo-to diventa presenza invece quando è attenta-mente studiato: «non essere è più che esserequalcosa, è in un certo senso essere tutto», ciricorda J. L. Borges.

Un’assenza progettata da Livio Vacchini aBellinzona per la sua Piazza del Sole: una qua-drata piazza metafisica di 60 metri di lato, fatta digranito e cemento, corrispondente al suo spazioipogeo che contiene un parcheggio e che si rela-ziona alla parete di roccia a picco su di essa dovesorge l’imponente e antico castello. Quest’ultimomisura lo spazio come per altro anche i quattrocorpi emergenti progettati agli angoli dell’arena.E ancora la piazza del Duomo di Almería inSpagna, dove Alberto Campo Baeza usa il vuo-to come verifica e lettura del costruito. Una tan-gibile architettura senza architetture, pensata, cal-ma, densa di memoria, che accoglie la storia ela forza della facciata barocca del Duomo e laesalta. Scrive Campo Baeza nella relazione diprogetto, a proposito della piazza sistemata (perla quale ci sono voluti 20 anni, dal 1978 al 2000):

non succedeva nulla. Ma non avevano realizza-to che in quel silenzioso momento essi stavanoascoltando tutti i suoni del mondo. Cosa volevadire Cage attraverso quel brano? Era una provo-cazione? Cercava di sorprendere il pubblico conuna esperienza inaspettata? Era una situazionepassiva e cercava solo di non fare musica?Oppure voleva dimostrare che il silenzio (inmusica come in architettura) non esiste, ma deveessere indagato attraverso altri parametri, altremodalità, altre regole, che ne esprimano l’im-materialità; voleva dirci che non è necessaria-mente più difficile da indagare rispetto a ciò cheè visibilmente materiale, ma che è soltanto diver-so. Una rappresentazione concettuale e nello stes-so tempo concreta di questa condizione verràmessa in scena alla Factory nel 1974 da AndyWarhol con la sua Invisibile sculture4.

Anche l’architettura, a volte, per mostrare lasua dimensione più essenziale, tende all’imma-teriale e si perde nel vuoto. In ogni caso entram-be, musica e architettura, per esistere devono sta-gliarsi dal fondo del silenzio. Un bell’esempiodi mappa eloquentemente silente, che si intrecciatra architettura e arte letteraria, è quella presen-tata nel romanzo del 1876 di Lewis Carroll TheHunting of the Snark: tutti possono comprende-re quella mappa proprio perché non ha segni con-venzionali, ma presenta solo la realtà: l’oceanonella sua vacuità. Non a caso questa sarà ripro-posta nel Novecento da George Perec, che esor-dirà così in Specie di Spazi: «L’oggetto di questolibro non è esattamente il vuoto, piuttosto quel-lo che vi è intorno, o dentro. All’inizio, insomma,

mentale nella composizione della città, sempre.Perché l’architettura, a volte, per mostrare la suadimensione più essenziale tende all’immaterialee si perde nel vuoto, accrescendo in tal modo ilvalore dello spazio. È come dire che ogni silen-zio (lo spazio progettato) deve essere associato aun non-silenzio (l’architettura costruita), controcui si oppone, a cui si riferisce, con il quale simette in relazione. Gli spazi tra le cose in archi-tettura servono proprio a questo: a definire lapresenza degli spazi edificati. Arricchendo ilvalore, scambievolmente.

Tra i rinnovati modelli e stimoli c’è sicura-mente la musica. Ci sono occasioni in cui lamusica, quando mostra la sua più intima essenza,si muove fino a dissolversi lentamente nel silen-zio. Una celebre opera musicale, 4’33” di JohnCage del 1952, esprime completamente questosilenzio eloquente. La performance di Cage, for-temente influenzato dai White Paintings del suoamico Robert Rauschemberg, alla prima esibi-zione avvenuta a New York il 29 agosto del ’52davanti a un pubblico colto e all’avanguardia,presente per l’asta benefica del Benefit ArtistsWelfare Found, creò uno scandalo; essa consi-steva in quattro minuti e trentatré secondi in cuiil pianista, David Tudor presente sul palcosceni-co davanti ad un pianoforte, non suonava asso-lutamente niente. Il silenzio nella sala era inter-rotto dall’eco dei rumori dall’esterno: il ventosoffiava tra le fronde degli alberi, la pioggia col-piva il tetto dell’edificio. Il pubblico allora noncapì il messaggio di Cage: alcuni se ne andaronoirritati, altri borbottarono seccati per il fatto che

Pietro del Massaio, particolare della pianta di Roma nella Geographia di Tolomeo(Biblioteca Apostolica Vaticana Urb. Lat. 277, f. 131 r).

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«La piazza era schifosa. Ho cercato di farlarisuonare con il luogo, con la cattedrale.Almería è fatta di palme e marmo bianco. Lapavimentazione è diventata così un tappeto dimarmo bianco, mentre un reticolo di palmepopola la piazza. Siamo abituati a pensare allecattedrali gotiche come a foreste di alberi pie-trificati, dove le colonne sono i tronchi e levolte sono le fronde. Ho applicato all’inversoquesto pensiero. Semplicemente». Un vuotoche deve accogliere sia esperienze individualidel progettista che preesistenze ambientali,cogliendo valutazioni artistiche, sensoriali,ideali ma concretamente attuabili.

Il vuoto diventa spazio di pausa, usato conintensità decrescente. Esso dà valore all’intor-no e al contempo diviene quanto mai utile enecessario. Un contenitore di attività diversorispetto al contesto. Nel caso del vasto vuotourbano di Central Park è un concentratore diattività distinte rispetto alla metropoli. Un silen-zio di volumetria architettonica che acquistasignificato proprio nel suo essere l’intervallotra elementi diversi. Sempre a New York sipotrebbe dire lo stesso per il Seagram Buildingdi Mies van der Rohe del 1957: una estesa piaz-za si pone da filtro tra il grattacielo di 38 pianie la trafficata Park Avenue. Un luogo come sefosse un edificio a sua volta, una interruzione,un interstizio tra due vuoti, proposta per undiverso rapporto tra ciò che sta al di fuori e ciòche contiene.

Medesimi significati li troviamo, o meglio cisono tramandati, dalla cultura giapponese in spe-cial modo nei suoi giardini. Lì ciò che guida è,come direbbe Mies, una economia spirituale: «Secon il giardino si intendeva rappresentare l’ideadel vuoto, perché mettere le rocce e non sola-mente la ghiaia? Rocce e ghiaia sono in strettarelazione, esemplificando il motto zen secondocui riusciamo a comprendere il vuoto solo attra-verso la forma» (Raymond Thomas, Sabi-wabi-Zen, 1986). Senza il vuoto gli oggetti non sonoriconoscibili e viceversa. La vegetazione nel giar-dino giapponese è ridotta alla sua minima esten-sione: quasi sempre non è percorribile, quindidiventa ancora di più oggetto di contemplazione.La superficie bianca, di ghiaia, è considerata lospazio vergine, la rappresentazione del vuoto.Adorno affermava che l’armonia si comprendemeglio quando c’è qualcosa di disarmonico,potremmo aggiungere come il rapporto simme-tria-asimmetria. Le tensioni armoniche tra i pie-ni e i vuoti nel giardino giapponese ricordano larelazione tra luce e ombra nell’architettura degliinterni delle case orientali: si pensi alle stanzedel palazzo di Katsura. Vuoti essenziali. Le stan-ze nell’assenza non registrano altre forze se nonquelle dovute alla luce e all’ombra (e qui ritornala cinetica e luminosa sound masterpiece diWarhol…) e alla presenza di elementi mobiliquali porte e finestre. In architettura contempo-ranea esempi si trovano nelle opere di TadaoAndo e di Cesar Portela; come, tornando all’ar-te, nelle realizzazioni di Edward Hopper. Egliannoterà, spiegando un suo quadro Stanza vicinoal mare del 1951, che esso ritraeva la luce natu-rale entrata da una finestra: «forse non è moltoumano, ma desideravo dipingere la luce del solesu una parete».

Medesimo rapporto con la luce e con il vuo-to, con la contemplazione dello spazio, per il SalkInstitute a La Jolla vicino a San Diego di LouisKahn; un’architettura senza tempo, nè del pas-sato nè del presente: universale. Una piazza lapi-dea che organizza l’affaccio degli edifici latera-li per i laboratori. Louis Kahn e Luis Barragan,contemporanei, amici e architetti del silenzio:Kahn chiederà all’architetto messicano consigliper erigere questo istituto di ricerca. Barragangli invierà un semplicissimo schizzo prospetticocolorato: una superficie centrale lastricata, duefile di edifici simmetricamente disposti, le lineeverso l’orizzonte, l’oceano. «I would not put atree or blade of grass in this space. This should bea plaza of stone, not a garden. If you make this aplaza, you will gain a facade - a facade to thesky» (non mettere alberi o erba in questo spazio.Questa sarà una piazza, una piazza di pietra, nonun giardino. Se farai così guadagnerai una ulte-riore facciata, quella verso il cielo).Paradossalmente la richiesta di silenzio non èaltro che un volere parlare. Il silenzio infattinon si oppone alla parola, della quale potrem-mo dire che è fedele alleato, ma al rumore, cheè suo acerrimo nemico. Quando una architetturaha la proprietà di generare intorno a sé uno spa-zio e un tempo di silenzio, introdurci finalmentea una realtà diversa, ci spinge a guardare e aparlare in un modo diverso, grazie al quale ilmondo si offre sotto il segno della contempla-zione. Questo si trova in tutta la produzionearchitettonica di Louis Barragan.

Il movimento - Un parametro compositivospesso perduto nella memoria per l’analisi deiluoghi di relazione è invece lo strumento stessoattraverso il quale si riesce a vivere un’architet-tura, uno spazio anche raccontarla: il movimen-to. Il percorrere lo spazio. Il movimento si leggenel suo sviluppo orizzontale e verticale insieme.Una sorta di viaggio urbano in cui lo sguardo e ilimiti visivi che si aprono di volta in volta, sono

parimenti importanti allo spazio che viene inqua-drato. È come se nel movimento l’occhio com-pisse una sorta di selezione cinematografica. Perpoi raccontarla. Walter Benjamin non a caso cosìscriveva in Parigi, capitale del XIX secolo:«Essere sempre inquieto, sempre in movimento,che tra le mura dei palazzi vive, sperimenta,conosce, inventa». L’arte e la pittura ci insegna-no molto per tutto questo. La magnifica imma-gine in movimento su un piano inclinato dell’af-fresco di Domenico Ghirlandaio, La Visitazione,nella Cappella Tornabuoni in Santa MariaNovella a Firenze, esprime ampiamente l’idea dipercorso di uno spazio collettivo, di relazione trale persone e la superficie. Nell’affresco dalla tec-nica prospettica eccellente il protagonista è sen-za dubbio lo spazio che viene inteso dall’inizioalla fine di un percorso, spazio aperto in salitama anche architettura innalzata, in questo casoil lungo muro che occupa la posizione centrale eidentifica non solo le direzioni ma anche ledimensioni. Il luogo diventa il set dove gli atto-ri (nel nostro caso i fruitori dello spazio pubbli-co) recitano le loro scene quotidiane. Insommauna grande sequenza cinematografica, una pro-cessualità in un piano prospettico che tutto acco-glie. Un ambito fortemente articolato e attuale. Lamedesima idea di promenade si può avere, nelprogetto contemporaneo, in uno spazio vasto(aperto) o ristretto (dentro a un edificio), svilup-pandosi in orizzontale oppure in una verticalitàche si anima nel suo massimo durante l’ascesa. Lospazio pubblico perciò si può delineare anche inuna risalita, in uno spazio che non necessaria-mente e canonicamente è centrale. La realizza-zione (1997-2000) delle Escaleras de la Granja aToledo di José Antonio Martínez Lapeňa e di EliasTorres Tur, esprime nella sua materialità lo stes-so concetto: un percorso architettonico, un luo-go rituale dell’incontro sia visivo che umano; ana-logia contemporanea del cammino ascensionalesacro e del valore tettonico dello scavo, dell’in-

Ricostruzione dell’antico Foro romano in forma di impianto stradale (G. W. D. Henning, 1700).

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cisione su un pendio, identificata però per unambito di riqualificazione urbana e sociale. Seiscale mobili s’interrompono reciprocamente deli-neando nuove vie di collegamento e di ritrovo,modellando soste per l’incontro e lo sguardo dire-zionato sulla città e sul paesaggio.

Ma ritorniamo indietro, in una visione sin-cronica dell’architettura, al foro romano, comespazio pubblico che si coglie movendosi. Questoera l’antico foro fatto di variatio, di scambi e dimovimento. Ben diverso da una ricostruzionesettecentesca del forum classico: in una visioneillogica ma divertente e quasi postmoderna il fororomano viene rettificato sotto forma d’impiantostradale. Tutto è statico e intercambiabile, comein una scacchiera. Ogni geometrizzazione impo-sta relativizza lo spazio, facendolo decadere.Questa variatio è ben espressa nelle promena-des architecturales di Le Corbusier, che non sonoaltro che le trasposizioni e i ricordi memorizzatinei Carnets, delle passeggiate architettonichedurante i suoi grand tour in giro per l’Europa e inspecial modo per Grecia e Italia. A Pompei egliraffronta pianta e schizzo prospettico, mentreguardando i suoi schizzi dell’Acropoli siamo conlui sotto i Propilei e ci accingiamo insieme amuoverci per deambulare nello spazio sacro,attraverso la sua serie di prospettive consecutive,spettatori immaginari di quadri consecutivi e diluoghi di sguardi. Le Corbusier, rimasto affasci-nato da Pompei e dalla sua luce, dirà: «Bisogna(venirci) quando il sole del mattino entra esatta-mente sull’asse […] le misure sono la causa diquesta bellezzai»; e ancora, grande estimatore,anche se diversissimo, di William Lethaby, scri-verà, rubando parole e immagini dal libroArchitecture, Mysticism and Mith: «la luce acca-rezza forme pure […] i volumi semplici svilup-pano immense superfici che si annunciano […]cerchio, quadrato, cupole, terrazze, cilindri, pri-smi rettangolari o piramidi»6. Tutto questo poirestituito nello specifico della sua architetturaper eccellenza: Ville Savoye a Poissy del 1929-31.

L’emozione - Il fascino misterioso di alcuniluoghi e di alcuni spazi. L’emozione estetico-rappresentativa della scala urbana. Scrive Borgesnell’Aleph: «Emersi in una specie di breve piaz-za, anzi di cortile. Lo circondava un solo edificiodi forma irregolare e d’altezza variabile; a quel-l’edificio eterogeneo appartenevano le diversecupole e colonne. Prima di ogni particolare diquel monumento incredibile, mi stupì l’antichitàdella sua costruzione. Sentii che era anterioreagli uomini, anteriore alla terra. L’evidente anti-chità […] mi parve adeguata al lavoro di artefi-ci immortali. Cautamente al principio, poi conindifferenza, infine con disperazione, errai perscale e pavimenti dell’inestricabile palazzo (inseguito comprovai che l’estensione e l’altezzadei gradini erano incostanti, fatto che spiegavala singolare stanchezza che mi produssero).Questo palazzo è opera degli dèi, pensai in unprimo momento. Esplorai gl’inabitati recinti ecorressi: gli dèi che l’edificarono erano pazzi.Lo dissi, ricordo, con un’incomprensibile ripro-vazione ch’era quasi rimorso, con più orroreintellettuale che paura sensibile». Ebbene vi è unconcentrato di emozione e stupore nel frammen-to tratto dal romanzo. È come se ci fossero tuttele tracce per suggestionarci: l’emozione del vuo-to, dell’accesso a un luogo conchiuso, della sca-la degli edifici, del valore dei monumenti, dellevestigia. Il luogo di relazione si racconta attra-verso la suggestione che ispira, diventa ispirato-re di un comportamento.

L’emozione ad esempio di entrare in un recin-to, in un hortus conclusus, elemento ordinatoredella struttura, dove è presente il forte contrasto trala densità costruita e lo spazio aperto.Attraversando esempi quali i corral portoghesi espagnoli e le plazas Mayor latine, si capisce cometali suggestioni nascano appunto da impensatiambiti teatrali, luoghi della messa in scena che sivengono a formare (l’esempio dei corral: svilup-patisi da luogo residenziale organizzato intorno auna grande corte -tipica del bacino mediterraneotra il XV e il XVI secolo- a spazio teatrale dove lascena sta nel centro e intorno gli spettatori). Nellamorfologia tradizionale che accompagna la nostraconoscenza delle città europee ne sono esempimagistrali le imponenti Plaza Mayor spagnole:tutte chiuse, accessibili solo da una porta o dagrandi arcate, vuoti urbani densi di significato,dal valore primario.

E ancora le differenze di scala: le piazze ita-liane spesso ci emozionano attraverso le loromasse: il Palazzo della Ragione a Padova, laBasilica Palladiana a Vicenza, i palazzi che siaffacciano su Piazza della Signoria a Gubbio, lealte torri e campanili nella piazze di San Marcoa Venezia e del Campo a Siena. L’idea principa-le di piazza è nel suo essere spazio chiuso, defi-nito, recintato, circoscritto. Queste qualità pre-suppongono strette e vincolanti relazioni dimen-sionali perché non vada perso il senso di unità, diarmonia, d’identità, di appartenenza. Le piazzedella tradizione appaiono così: protette e appar-tate, circondate da edifici importanti, perimetra-te da portici che permettono un riparo ombrosod’estate e una protezione al vento d’inverno.Sono palcoscenici sui quali avviene la rappre-sentazione della collettività e del potere cittadino.Sono teatri aperti, senza interruzioni, concepiti

per accogliere la folla delle feste, dei mercati,delle celebrazioni religiose. È lì appunto che learchitetture che vi si affacciano e le dimensionidelle masse creano la spettacolarità dell’emo-zione. Le tavole prospettiche conservate aUrbino, Baltimora e Berlino testimoniano che,pur mutata ed evoluta la condizione sociale, ilprincipio di teatralizzazione dello spazio urbanoè ancora la regola compositiva. È nel vuoto chesi stagliano le architetture ideali, è nel silenzioche la città prende forma. È la città ideale, allaquale siamo emotivamente ancora legati, doveci aspettiamo da un momento all’altro di vedereattori che entrano in scena.

Gli elementi ordinatori - Ci sono una seriedi componenti, manifeste o immateriali, gerar-chicamente definite, che rendono meglio com-prensibili le funzioni negli spazi della relazione,che siano essi piazze, hall o centri di scambio. Gliassi, i tracciati, i flussi, insomma quelle chepotremmo chiamare le consuetudini d’uso, sonogli elementi invisibili, necessari fondamenti delprogetto di un luogo urbano. Poi ci sono gli ele-menti reali, spesso desunti dalla tradizione dellapiazza italiana («gli architetti sono stati semprestregati da un solo elemento del paesaggio ita-liano: la piazza» dirà Robert Venturi nel 1972 inLearning from Las Vegas). Elementi che fannoparte della comunità, indispensabili sostenitoridella vita pubblica, generati dalla stessa necessitàe poi elevati a momenti simbolici. Tra gli schiz-zi e i disegni lasciatici in eredità dal Bernini sulsuo progetto di sistemazione dell’area tra ilLouvre e le Tuileries del 1663, incarico che comesappiamo Luigi XIV consegnerà a ClaudePerrault, uno di essi esprime chiaramente le fun-zioni regolatrici di un ordine organizzato princi-palmente dal movimento. Lo schizzo planime-trico presenta tracciati e assi di percorrenza insie-me a elementi che egli posiziona ad hoc perdeterminare gli stessi movimenti e usi: ed eccosingole colonne che indirizzano un percorso chefiancheggia il perimetro interno, statue equestriche individuano l’asse centrale visivo, fontaneche diventano il culmine del flusso. Un esempiocompleto di come il progetto di un atto diventarisolutore di uno spazio.

«Nella realtà gli assi non si percepiscono avolo d’uccello come li mostra il progetto sul tavo-lo da disegno, ma si individuano sul terreno: l’uo-mo sta in piedi e guarda davanti a sé. L’occhiovede lontano e obiettivo imperturbabile, vede tut-to anche al di là delle sue intenzioni e dellevolontà, l’asse dell’Acropoli va dal Pireo alPentelico. Dal mare alla montagna […] non biso-gna sempre mettere le architetture sugli assi, dalmomento che sarebbero come persone che par-lano tutte in una volta» scrive Le Corbusier inVerso un’architettura del 1923, ricordandocicome per la costruzione dell’Acropoli ateniese,modello di perfezione calcolata, fossero stati fon-damentali gli assi visivi e i coni prospettici, ordi-natori, non percepibili, per la costruzione dellospazio. L’uomo sta in piedi e guarda intorno asé. Continuando a parlare di elementi immate-riali e rimanendo sempre in Grecia e in specifi-co ancora ad Atene, Dimitris Pikionis grandearchitetto degli anni Cinquanta, il Le Corbusiergreco, si fa interprete della cultura del Novecentoe al tempo stesso si presenta quale profondo

Gian Lorenzo Bernini, Sistemazione dell’area tra il Louvree Le Tuileries, 1663.

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conoscitore del patrimonio culturale della suaGrecia. Da ciò ne scaturisce la realizzazione del-la sistemazione dell’area archeologica dei sen-tieri alle pendici dell’Acropoli e al colle diFilopappo. Qui gli elementi ordinatori sono lecitazioni, nelle quali materiali nuovi e antichis-simi si svolgono in un medesimo brano. Un trac-ciato lungo un chilometro (300 metri circa per iPropilei e i restanti per il colle) che ne fanno unagrande composizione lapidea: «a volte percepivoche nelle fondamenta, che penetravano in profon-

dità nella terra, nei volumi delle mura e delle

volte, la mia anima era una pietra fra le tante,

murata nella massa anonima delle altre pietre».Difficilmente, ascendendo al colle delle Muselungo il percorso disegnato da Pikionis, è possi-bile scorgere la grandezza di un’opera evidente:tutto è parlato e progettato a bassa voce, ma conforza non solo compositiva ma anche di grandemodernità, che si caratterizza al tempo stessonella sua silenziosità e quasi, per paradosso,anche nella sua assenza.

Una componente visibile importante, mutua-ta da sempre, anche nel contemporaneo, dallatradizione, è il porticato, momento intermedio efiltrante tra l’ambito esterno e quello coperto. Ilportico, un volume semiaperto mediatore tra lospazio vuoto e quello costruito, si è trasformatonel tempo da stoa, in galleria, in passage7, inpiazza coperta. L’esempio tipologico delle piaz-ze venete di Vicenza, Padova e Verona, dove isistemi di piazze sono posti in comunicazionetra loro attraverso i lati unificati dagli spazi por-ticati, offre l’idea del valore urbano di questi sem-plici elementi ordinatori. Gli esempi sono mol-teplici, partendo dalla trasformazione dell’Agoràdi Atene prima e dopo l’insediamento romano,dove il portico coperto e colonnato delle stoái sisviluppa come momento intermedio e filtrantetra l’ambito esterno e quello interno. Arrivandopoi al Quattro e Cinquecento quando il porticatosi trasforma in broletto, in spazio scenico (comepotrebbe intendersi diversamente il lungo porti-cato bramantesco del Belvedere in Vaticano del1504?), in galleria. Fino al passage della grandicittà capitali europee ottocentesche, una piazzalongitudinale coperta che diventa interno ed ester-no al tempo stesso.

Per finire un altro elemento ordinatore mate-rico, visibile, è l’oggetto, il monumento, soprat-tutto quello utile, con funzione civile non solodi decoro. Precedentemente avevamo visto comeBernini intendeva organizzare il progetto per ilnuovo Louvre attraverso elementi e operemonumentali che segnassero le viste, ma lagrande scala vedremo non è per forza neces-saria: il piccolo pozzo quattrocentesco nellapiazza rinascimentale di Pienza, decentrato, dilimitate proporzioni, riesce a essere parimentianimatore dello spazio, co-protagonista del-l’architettura disegnata orizzontalmente einnalzata verticalmente. Medesimo intento cer-cherà Aldo Rossi in alcune sue piazze pensatee realizzate: a San Nazario de’ Burgundi del1967, dove nella sua astrattezza cerca di defi-nire elementi specifici, il porticato e il silosmonumentale, che ricorda i granai della cam-pagna pavese, ma soprattutto a Perugia quin-dici anni più tardi progetta la piazza per l’a-rea di Fontivegge: lo spazio è ben più ampio e

deve seguire inoltre la topografia inclinata delterreno. Per questo, per rimanere in armoniadimensionale con l’intorno gli elementi ordi-natori si devono fare più grandi, ed ecco cheassumono in loro anche funzioni ben precise:il monumento centrale diventa teatro, anzi tea-trino con la sua torre conica, e il tracciato visi-vo diventa fontana. Dai forti connotati civici.

Il dentro e il fuori - Come spazio aperto lapiazza è il luogo deputato agli incontri ma anchespesso alle funzioni rappresentative della città.Per questo nel tessuto urbano è sostanziale ilrapporto tra i vuoti e i pieni, dove ogni spazio trale cose diventa allo stesso tempo un centro e unsimbolo della città. Un elemento essenziale, unimportante nodo storico di quella forma urbische è la città e la sua architettura. La piazzaromana settecentesca di Sant’Ignazio di FilippoRaguzzini ad esempio è uno spazio aperto echiuso nello stesso tempo, un piccolo foro e unlabirinto, un esterno, ma che sorprende il visi-tatore con le sue caratteristiche di ambito inter-no, di contenuta scena teatrale. Non è più unapiazza, è un teatro dove chiunque può recitarecollettivamente la scena della vita. Anche lospazio chiuso può esprimere lo stesso signifi-cato: un interno-esterno aperto alla comunità,una piazza coperta. Un luogo d’incontro chiusoche non fa accorgere di essere tale, perché natu-rale prolungamento dell’ambito esterno. Da que-ste caratteristiche urbane si è anche sviluppatoil ruolo ottocentesco del Museo.

Oggetto d’identificazione e quindi di coesio-ne della società, le grandi hall pubbliche neimusei dei secc. XVIII e XIX ne sono maestosetestimonianze. Tale, oggi, è anche la rinnovataTate Modern londinese di Herzog e de Meuron:la sua Turbine Hall non è altro che una nuova,l’ennesima, piazza della capitale inglese. La suascala e dimensione non la presentano come sala,ma come luogo collettivo urbano. Il cui accessoè una porta sempre aperta, la stessa che LeonBattista Alberti suggeriva per edificare una piaz-za: bisogna porre un arco all’ingresso, quasi come

fosse una sala di una casa. Ma non per chiuderee allontanare, all’opposto per accogliere degna-mente e non fermare gli ospiti e con essi il nostrosguardo sulla città. Un modello di interno/ester-no, di piazza coperta e al medesimo tempo diedificio che si apre al suo circostante è la NeueGalerie di Mies van der Rohe a Berlino. Su unpodio Mies celebra in modo esemplare l’idea del-l’astrazione in architettura. E definisce un’archi-tettura che non si può definire semplice, anzinotevolmente complessa e ricca. Tralascia ognielemento marginale. Lascia dei vuoti. E la fadiventare bella, secondo i suoi parametri, cheforse, se volessimo guardare bene, sono anche iparametri della prima classicità, una classicitàsenza tempo. Egli utilizza la trasparenza peropporsi alla impenetrabilità e per arrivare allacontemplazione. Lo sguardo dello spettatore (siadentro che fuori) va oltre al limite fisico defini-to dall’opera stessa. In questo caso il silenzio ètrasparente, transitivo. Un lavoro basato sullaomissione, sulla rinuncia, dove si è disposti asepararsi da ciò che non resiste alla prova dellanecessità. In pratica la forma architettonica s’i-dentifica con il significato profondo, non sola-mente con la conformazione esterna, con lagestalt, avvicinandosi invece con più forza alsignificato settecentesco di carattere.

Il dentro/fuori può suggerire inaspettate enuove caratteristiche. Esse si trovano nella piaz-za in quota di Mirador, un’area periferica epopolare di Madrid: all’interno di un edificioabitativo di 22 piani, opera di MVRDV e BlancaLleo (2001-04), un imponente vuoto, ordinato-re della parcellizzazione residenziale, organiz-za una duplice e inattesa vita di questa archi-tettura. Una, forse invasiva, ma alquanto effi-cace soluzione a problematiche urbane e socia-li. Un luogo urbano collettivo all’interno di uninterno densamente costruito. Il concetto dimovimento regola il vuoto interno e diventa ilfulcro del progetto, di un’altra architettura con-temporanea: la Biblioteca Civica di Orihuela adAlicante di Alberto Campo Baeza (1992). Un

Mies van der Rohe, Neue Galerie, Berlino, 1965-68.

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edificio concepito a corte, due architetture, unantico palazzo e l’ampliamento, poste a L. Ilvuoto centrale, spazio coperto ma anche corteaperta, è prodotto dalla giustapposizione delledue strutture che non si toccano se non attra-verso appunto questo spazio di comunicazione.

Lo spazio tra le cose - Lo spazio tra le cose èl’aspetto conclusivo che tutto accoglie. Un esem-pio contemporaneo somma dei parametri nel testodescritti è individuabile nel quartiere dei Musei aVienna, progettato e restaurato dallo StudioOrtner & Ortner e da Manfred Wehdorn dal 1998al 2003. Il Museumsquartier viennese è un magi-strale esempio di come fare convivere la cittàstorica con annessioni contemporanee e di comeutilizzare l’architettura per il benessere collettivodi una città. Questa nuova architettura è diventatafondamentale connessione di quegli spazi pub-blici, che Adolf Loos aveva appellato, nella pri-ma decade del 1900 riferendosi alle piazze delRing viennese, condensatori sociali. Per ciò ilMuseumsquartier, un’immensa estensione urba-na di 60 mila metri quadri, costata all’Austria ealla municipalità di Vienna più di 145 milioni dieuro, è un simbolo per come insegnare oggi acostruire la città contemporanea, per dimostrareche con l’attenzione, ma anche con il coraggioilluminato di una politica per l’espansione urba-na, si riesce ancora a fare convivere in armonia icittadini e le metropoli del nostro tempo. Le nuo-ve architetture si sono identificate subito ciascu-na in forme e funzioni dalla importante identitàcaratteristica, divenendo tutte, in ugual misura, difondamentale importanza per l’assetto comples-sivo, e assurgendo a monumenti urbani veri epropri. Ma è soprattutto lo spazio aperto che cir-cola tra esse a diventare il reale protagonista diquesto vasto intervento metropolitano. La piaz-za è il luogo deputato agli incontri ma anchespesso alle funzioni rappresentative della città.Per questo nel tessuto urbano è sostanziale ilrapporto tra i vuoti e i pieni, dove ogni spazio trale cose diventa allo stesso tempo un centro e unsimbolo della città. Un importante nodo storicodi quella forma urbis che è la città e la sua archi-tettura. Il valore dello spazio vuoto, della piaz-za all’aperto, del grande salotto urbano influen-za percettivamente la dimensione degli edificicon cui si rapporta, aumentandola o decrescen-dola di volta in volta in proporzione inversarispetto a quella del suo invaso, a seconda del-la luce naturale e artificiale che anima tutto ilsistema.

Allo stesso tempo gli edifici, collocatiseguendo assi e traiettorie visive da scenografiateatrale, accrescono il senso dello spazio, espri-mendosi quali elementi scenici fondamentali peruna grande mise en scène inconsapevole, pariagli effimeri spettacoli barocchi. «Quello che le

statue insegnano senza che io lo chieda è unalinea di condotta: devi restare immobile, lascia-re che lo spazio circoli intorno a te»: sembra,oltrepassando le Scuderie Imperiali, che questafrase di Calvino in Le città invisibili vesta per-fettamente la grande piazza pubblica del quar-tiere museale: le statue sono le architetture, ilbianco e modernista Leopold Museum, lo scurocubo basaltico del Mumok, la Kunsthalle riani-mata da nuova funzione espositiva; lo spaziointorno è la piazza, il luogo maggiormente vissutoin tutte le ore del giorno. Dieci diverse entrateconducono all’invaso museale: ma è la porta prin-cipale a celebrare l’entrata in questo vasto recin-to, attraverso l’edificio settecentesco di Fischervon Erlach; l’attraversamento immette in uno spa-zio archetipo primario: il recinto, configurazio-ne morfologica ormai perduta nella realtà urbanaattuale. E invece qui rinasce di nuova vita, defi-nisce il limite dell’insediamento culturale, diven-ta atto di riconoscimento ma anche di appropria-zione collettiva: la porta è aperta, è la soglia, vi sipuò accedere per iniziare a fare parte della rap-presentazione teatrale dove tra gli attori vi sonocome protagonisti la città con la sua storia, la cul-tura, la società con le sue dinamiche di incontro.

Si riconosce al Museumquartier ciò che hascritto Herman Hertzberger8 nel 1991 in Lezioni diarchitettura, a proposito di quello da lui definitol’in-between, lo spazio intermedio: «la sogliacostituisce la chiave della transizione e della con-nessione fra aree con differenti vocazioni terri-toriali e, come luogo in sé, costituisce essenzial-mente la condizione spaziale per l’incontro e ildialogo fra aree di ordine diverso. Il valore diquesto concetto è esplicito particolarmente nellasoglia par excellence: l’ingresso di casa. In essasi incontrano e si riconciliano la strada, da unlato e il dominio privato dall’altro». Le viste, lescalinate, i terrazzamenti che guardano (e si fan-no guardare) verso il centro, il vasto cortile pedo-nale, gli ingressi, le sorprese: tutto compone que-sto grande salotto cittadino. Sempre gremito,sempre vitale. Dove la folla, anzi si potrebbe usa-re un termine attuale il flusso, diventa rinnovatacomponente esperienziale nel rapporto con lacittà. Un ambito analogamente raccontato già daCharles Baudelaire: «La sua professione è di spo-sare la folla. Per il perfetto curioso, per l’osser-vatore appassionato è un immenso godimentoeleggere come proprio domicilio la folla, l’on-deggiante, il movimento, il fuggitivo, l’infinito.Essere fuori di casa e ciò non pertanto sentirsiin casa propria».

È gremito e vitale il Museumsquartier.Sembra una piazza italiana, ricorda Siena, rin-novando il valore intrinseco della cultura comemotore per il rinnovamento della città. Si inter-rogava Michelucci sull’identità della sua amata

piazza toscana: «Ti sei mai chiesto come maiPiazza del Campo di Siena è sempre così piena digente che si siede sulla fontana o per terra, sullapavimentazione di mattoni, o passeggia vaga-bondando? Hai notato che mentre nella strutturaviaria della città è impresso il senso del transito,essa -la piazza- ha quello della sosta? Il senso cioèdi un luogo in cui troviamo sia i cittadini sia chi vie-ne da lontano per far mercato o per conoscere lacittà e le infinite opere d’arte che essa conserva?Una città, una piazza in cui sei il benvenuto, l’ospiteatteso [...] per cui è nata un opera d’arte collettiva,corale, nella quale ogni uomo può riconoscersi».Oggi, a Vienna, come allora a Siena, il disegnourbano è l’emblema per la società civile.

NOTE

1) L. QUARONI, I principi del disegno urbano nell’Italiadegli anni ’60 e ’70, “Casabella” n. 487/488 (1983).2) E. N. ROGERS, premessa in J. TYRWHITT e J. L. SERT (acura di), The Heart of the City, Pellegrini and Cudahy,New York 1952. 3) C. VISENTIN, Per un ritrovato valore dello spazio col-lettivo, “EdA”, num. mon., Lo Spazio Pubblico, Il Prato,n. 1 (2007), p. 8.4) Se ne legga la spiegazione in C. VISENTIN, op. cit.,pp. 7-8.5) Ibidem, p. 10.6) W. R. LETHABY, The Cosmos or Architecture, Mysticismand Myth (1891), trad. it. di C. VISENTIN, Architettura,misticismo e mito, Pendragon, Bologna, 2003.7) W. BENJAMIN, Das Passagenwerk, Frankfurt 1929, ed.it. W. BENJAMIN, “I passages di Parigi” in IDEM, OpereComplete, Einaudi, Milano 2000.8) H. HERTZBERGER, Lezioni di architettura, trad. it.Laterza, Roma-Bari 1996, p. 26, (Rotterdam 1991).

*Chiara Visentin, architetto, è Dottore di Ricerca in“Problemi di Metodo nella Progettazione dell’Architettura”,

e insegna “Progettazione Architettonica” alla Facoltà di

Architettura di Parma.

L. e M. Ortner: Vienna, Museumsquartier, 1998-2003.