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OSSERVATORIO SUL MARKETING DEL VINO
AREA MARKETING – SDA BOCCONI
Report di ricerca
Team di ricerca
Andrea Rea Carlo Schettino Gabriele Troilo
Karin Zaghi
Research assistants
Stefania Brivio Monica Grosso Stefania Costa
Camilla Semenza
Copyright SDA Bocconi
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INDICE
Introduzione: il settore vinicolo nel triennio 2001-2003
1. Gli obiettivi e il disegno della ricerca
2. Il campione di ricerca
3. I risultati
La gestione del prodotto
La concorrenza
Le analisi e le decisioni di marketing
Le analisi di mercato Le decisioni di marketing: le scelte di distribuzione Le decisioni di marketing: le scelte di prezzo Le decisioni di marketing: le scelte di comunicazione Le relazioni con i fornitori specializzati di servizi di marketing
I fattori competitivi e le performance
Gli scenari futuri
4. Conclusioni
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Introduzione: il settore vitivinicolo nel triennio 2001-2003
Prima di descrivere obiettivi e risultati della ricerca, ci è sembrato utile riassumere
brevemente i tratti salienti del contesto settoriale, in cui le aziende vitivinicole si
trovano a operare. Nelle prossime pagine, quindi, verranno segnalati i dati relativi alla
produzione, al giro d’affari, all’export e all’import, che hanno caratterizzato il settore
nel triennio di interesse della ricerca: 2001-2004. I dati sono stati prodotti dalle fonti
istituzionali maggiormente significative e vogliono rappresentare una fotografia degli
elementi principali del settore di interesse.
Il comparto vitivinicolo in Italia, recentemente censito dal 5° Censimento Generale
dell’Agricoltura per il periodo 1999-2000, rispetto al totale della superficie investita in
produzioni agrarie di 13.212.652 ettari, è rappresentato da 675.580 ettari destinati a vite
per produzione di vino da tavola, 232.522 destinanti a vino DOCG – DOC, e 442.057 di
altri vini (IGT) (tabella 1).
Tabella 1 - Aziende e superficie investita nelle coltivazioni agrarie (n° di aziende ed ettari di superficie)Totale Legnose agrarie Vite per vino Vite per Doc-Docg Vite per altri vini
Aziende* 2.551.822 1.858.535 770.206 108.711 694.894Quota sul totale 100,0% 72,8% 30,2% 4,3% 27,2%Superficie agric 13.212.652 2.457.994 675.580 233.522 442.057Quota sul totale 100,0% 18,6% 5,1% 1,8% 3,3%*Riferite alla Sau.Fonte: Elaborazione Ismea su Censimento Istat 2000.
Le aziende che producono uva da vino risultano essere 770.206 nello stesso periodo
(2000) e dai dati relativi ai precedenti Censimenti generali (1982, 1990) si rileva un
sostanziale incremento delle superfici, a conferma dell’attrattività del settore (tabelle 2 e
3).
Tabella 2 - Aziende e superficie investita nella viticoltura (n° di aziende ed ettari di superficie)Uva da tavola Viti non innestate Viti madri da portinnesto Barbatelle
Totale per Doc-Docg per altri viniAziende 770.206 108.711 694.894 34.062 2.176 729 2.053Superficie investita 675.580 233.522 442.057 39.975 1.810 1.367 2.776Fonte: Elaborazione Ismea su Censimento Istat 2000.
Uva da vino
Tabella 3 - I dati della vitivinicoltura negli ultimi censimenti (n° di aziende ed ettari di superficie)
Aziende Superficie investita Aziende Superficie investita Aziende Superficie investita 2000 1990 1982per vini Doc-Docg 108.711 233.522 92.590 190.852 105.019 209.794 2,15 2,06 2,00per altri vini 694.894 442.057 1.089.352 671.535 1.512.454 853.536 0,64 0,62 0,56Fonte: Elaborazione Ismea su Censimento Istat 2000.
Superficie media aziendaleAnno di censimento
2000 1990 1982
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I principali vitigni allevati – in termini di estensione della superficie investita (tabella 4)
– per la produzione di vini da tavola sono, per i bianchi, il Catarratto bianco comune, e
per i rossi il Sangiovese Nero: quest’ultimo si conferma essere la principale fonte di
produzione di vini DOCG-DOC e complessivamente il vitigno nazionale più
rappresentativo, in quanto diffuso su tutto il territorio.
Tabella 4 - Superficie investita ad uva da vino per vitigno - Censimento Istat 2000 (ettari)
Catarratto bianco comune B. 42.429Sangiovese N. 37.797Trebbiano toscano B. 32.224Montepulciano N. 20.690Merlot N. 17.599Trebbiano romagnolo B. 15.624Negro Amaro N. 14.383Barbera N. 12.096Calabrese N. 10.880
Vini da Tavola
Tabella 4.1 - Superficie investita ad uva da vino per vitigno - Censimento Istat 2000 (ettari)
Sangiovese N. 31.950Barbera N. 16.242Moscato bianco B. 10.668Trebbiano toscano B. 10.233Montepulciano N. 9.138
Vini DOCG - DOC
Le regioni più densamente sfruttate in termini quantitativi risultano essere quelle del
Sud Italia - tra cui principalmente la Sicilia e la Puglia - seguite immediatamente da
Veneto, Emilia Romagna e Toscana (tabella 5). Le ragioni di questa tipicità meridionale
sono notoriamente legate ad una concentrazione sulla produzione di materia prima
piuttosto che di prodotto finito: la tabella 56, infatti, evidenzia che, a fronte di regioni
come il Piemonte o il Friuli, in cui la percentuale della superficie vitata dedicata a
produzioni DOCG e DOC supera il 70%, la Sicilia mostra una percentuale pari allo
0,03%, la Puglia dell’11,6% e la Campania del 15,7%.
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Tabella 5- Superficie investita in uva da vino in Italia: I dati regionaliCensimento Istat 2000 (ettari)
per altri vini per Doc-Docg TotalePiemonte 13.186 39.400 52.585Valle d'Aosta 284 225 509Lombardia 6.530 15.426 21.956Liguria 1.567 760 2.327Trentino Alto Adige 1.441 12.380 13.821Veneto 40.223 33.413 73.636Friuli Venezia Giulia 4.820 12.936 17.755Emilia Romagna 35.255 24.602 59.857Toscana 23.473 34.798 58.271Umbria 8.762 5.441 14.203Marche 12.670 7.142 19.812Lazio 20.280 8.691 28.971Abruzzo 23.379 10.106 33.484Molise 4.998 868 5.866Campania 24.547 4.589 29.136Puglia 75.041 9.918 84.959Basilicata 6.392 1.316 7.708Calabria 10.754 2.704 13.459Sicilia 107.485 4.154 111.638Sardegna 20.970 4.655 25.625Totale Italia 442.057 233.522 675.580Fonte: Elaborazione Ismea su Censimento Istat 2000.
La produzione 2003 (Fonte: Il Sole 24 Ore - “Vino, Madrid sfida Roma” e “Parte bene
la vendemmia 2004”) è stata di circa 44 milioni di ettolitri (di poco inferiore a quella del
2002, a sua volta inferiore di circa il 15% rispetto al 2001 – tabella 6), a fronte di una
produzione media negli ultimi 5 anni pari a circa 54 milioni di ettolitri. La regione più
produttiva è stata il Veneto (7,37 milioni di ettolitri), seguita da Sicilia, Puglia, Emilia
Romagna, Piemonte e Toscana.
Il settore del vino rappresenta un giro d’affari in Italia stimato di 8 miliardi di euro, ma
l'intero patrimonio della filiera vitivinicola (compreso quindi anche il valore degli
impianti e strutture legate alla produzione di vini, liquori, distillati e aceti balsamici)
sfiora i 50 miliardi di euro (fonte: Università di Bologna/Federvini), con circa 1,2
milioni di occupati che sono legati al settore, compresa la fase della distribuzione
(stime: Università di Bologna).
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Tabella 6 - Produzione di vino in Italia (migliaia di ettolitri)1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
Piemonte 3.222 2.709 3.107 3.405 3.171 3.267 2.938 3.324 2.329 2.282Valle d'Aosta 31 28 47 22 26 31 27 18 16 18Lombardia 1.416 1.438 1.583 1.665 1.452 1.488 1.360 1.286 1.123 856Trentino Alto Adige 1.126 953 1.251 1.001 1.204 1.226 1.177 1.230 1.063 1.076di cuiBolzano 362 487 378 420 384 387 399 358 333Trento 591 764 623 784 842 790 830 705 743Veneto 7.544 5.953 7.861 6.785 8.276 9.265 8.825 8.668 6.847 7.369Friuli Venezia Giulia 1.176 1.086 1.200 1.018 1.224 1.155 1.152 1.111 1.006 1.113Liguria 273 131 160 165 157 158 169 104 93 106Emilia Romagna 7.192 6.002 6.874 4.733 6.494 7.143 6.915 7.116 5.682 5.305Toscana 2.694 2.808 2.873 2.156 2.554 2.665 2.540 2.220 2.319 2.274Umbria 1.003 969 919 740 838 979 966 879 776 812Marche 1.980 1.946 1.747 1.815 1.805 1.686 1.609 1.683 1.258 940Lazio 3.295 3.207 3.267 2.940 3.305 3.689 3.733 3.008 2.859 2.441Abruzzo 4.257 3.856 4.440 4.184 4.256 4.225 3.689 3.441 3.808 3.319Molise 406 377 416 360 323 346 310 342 307 274Campania 2.313 2.115 2.066 1.971 2.249 2.164 2.013 1.717 1.761 1.655Puglia 9.631 10.035 9.727 7.236 8.294 8.235 7.782 6.877 5.580 6.089Basilicata 469 532 532 481 484 525 473 391 309 284Calabria 925 968 874 753 743 718 613 884 531 476Sicilia 9.300 10.391 9.017 8.073 9.200 8.160 7.106 7.149 6.209 6.553Sardegna 1.037 698 584 1.062 1.085 947 693 845 729 856Italia 59.290 56.201 58.543 50.563 57.140 58.073 54.088 52.293 44.604 44.096Nord-Centro 30.951 27.230 30.888 26.444 30.506 32.753 31.409 30.647 25.370 24.592Mezzogiorno 28.339 28.972 27.655 24.119 26.634 25.320 22.678 21.646 19.234 19.505Fonte: Istat.
La produzione italiana rappresenta (dati 2002), il 16,1% della produzione mondiale
(tabella 7) e circa il 28% di quella dell’Unione Europea.
Tabella 7 - Principali Paesi produttori di vino (tonnellate)
Media 1990-1994 Media 1995-1999 2000 2001 2002 Quota 2002Francia 5.621.486 5.759.080 5.974.100 5.533.800 5.196.700 18,8%Italia 6.106.036 5.610.415 5.408.752 5.229.300 4.460.413 16,1%Spagna 3.044.080 2.950.920 4.557.200 3.393.700 3.941.900 14,2%Stati Uniti 1.757.460 2.099.420 2.660.000 2.300.000 2.540.000 9,2%Argentina 1.715.077 1.848.918 1.684.153 1.913.523 1.712.450 6,2%Australia 431.717 620.800 806.000 1.035.000 1.174.000 4,2%Cina 424.800 888.131 1.050.000 1.080.000 1.080.000 3,9%Germania 1.080.248 960.100 985.200 889.100 1.050.000 3,8%Sud Africa 738.200 795.258 694.917 647.077 718.831 2,6%Portogallo 791.600 677.863 669.350 742.580 626.500 2,3%Cile 337.352 416.886 641.937 545.179 562.323 2,0%
Grecia 367.670 418.406 500.040 427.661 500.000 1,8%Altri 4.718.339 4.262.931 4.287.079 4.371.557 4.146.391 15,0%Mondo 27.134.065 27.309.127 29.918.728 28.108.475 27.709.508 100,0%
L’Italia è il primo Paese esportatore al mondo per quantità ed il comparto vino conferma
il ruolo primario delle esportazioni agroalimentari italiane (fonte: ISMEA).
Su un totale di quasi 800.000 aziende – di cui oltre 30.000 si occupano anche di
imbottigliamento – solo 1.200 risultano essere le aziende che esportano. L’export 2003,
2003: Il Sole 24 Ore
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si è attestato su un valore di 2.700 milioni di euro, registrando una flessione rispetto al
2002 del 3,0%, ma un aumento del 5,4% nel 2004 (tabella 9). Il prezzo medio del
prodotto è aumentato, infatti, del 15,4%, passando da 1,69 a 1,95 euro al litro (fonte:
Istat).
Gli USA rappresentano il mercato più importante in valore (tabella 8). Nel 2004,
l’aumento delle esportazioni verso gli Usa è stata circa del 4,2% (rispetto al 2003); è
proseguita la tendenza al rialzo che, da 5 anni, caratterizza la domanda statunitense di
vini stranieri: 5,5 milioni di ettolitri per una spesa di oltre 2,6 miliardi di dollari, +19%,
malgrado l’influenza negativa dell’euro rispetto al dollaro, che ha reso più cari i
prodotti. Infatti in valore assoluto sul quinquennio dal 2000-2004 l’aumento è del 36%,
che in media rappresenta un aumento annuo del 7,2%(inferiore al tasso medio di
crescita del mercato) ma che rappresenta un trend sostanzialmente positivo malgrado le
difficoltà valutarie e l’abbassamento della soglia di competitività dei ns prodotti che in
caso di riallineamento tra le valute, potrebbe segnare maggiori incrementi.
Tabella 8 – Esportazioni di Vino Italiano 2000-2004
Paesi EXPORT2000 EXPORT2001 EXPORT2002 EXPORT2003 EXPORT2004
Francia 137.169.403 111.355.672 92.052.154 75.247.392 78.719.340
Spagna 29.276.360 13.753.666 14.177.855 17.896.553 29.211.111
Australia 11.968.097 10.603.956 10.666.826 9.799.922 11.358.502
Cile 25.431 52.434 93.653 11.212 17.680
Stati Uniti 543.018.416 611.602.672 718.593.876 710.144.519 740.181.656
Germania 759.900.861 767.841.932 755.063.266 705.560.380 717.128.549
Sud Africa 508.340 523.888 451.530 463.621 714.585
Portogallo 20.427.110 9.922.217 8.013.301 8.509.234 8.512.525
Argentina 701.664 500.068 108.923 53.969 51.935
Regno Unito 241.062.804 266.131.966 287.206.959 295.063.377 320.470.912
Svizzera 137.981.785 167.458.528 172.789.482 174.833.880 192.215.532
Canada 105.722.160 113.314.283 126.707.683 127.264.531 140.501.745
Svezia 41.704.387 51.096.745 66.992.951 63.719.333 58.436.947
Austria 55.968.310 64.530.058 70.547.819 67.798.605 71.885.394
Giappone 100.827.701 112.603.979 115.780.223 110.162.308 104.422.284
Danimarca 46.306.588 50.780.877 60.135.184 59.605.415 70.840.603
MONDO 2.480.206.422 2.618.414.970 2.785.436.266 2.700.739.783 2.847.444.819
Esportazioni di Vino Italiano Vs principali Paesi in valore 000 (€) 2000-2004
Ns Elaborazione dati ISTAT
L’import, al 31 dicembre 2004, si è attestato sul valore di circa 2,53 milioni di Euro,
con un aumento, sul 2003 (stesso periodo), del 5,4% in valore che in assoluto segna nel
quinquennio un aumento del 23,4%. Il prezzo medio del prodotto estero sul mercato
italiano è stato di circa 2,10 euro al litro. In “pole position” c’è la Francia, con circa il
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67% delle importazioni, seguita da Spagna, Portogallo e Germania. Una nota
interessante è rappresentata dal superamento nel 2004 degli Stati Uniti a scapito della
Germania (probabilmente per la forza dell’Euro che sulle importazioni ha reso più
vantaggioso l’acquisto di vini da quel paese) con un notevole distacco (quasi il doppio)
rispetto alla concorrente. A differenza dei paesi target delle esportazioni Italiane, i
prodotti provenienti dal New World (Australia, Cile, Argentina, Sud Africa, Nuova
Zelanda) sono meno richiesti dal consumatore italiano. Tuttavia la competizione
valutaria è probabilmente la causa primaria di un rilancio dei prodotti di Argentina (+
38%), Australia (+ 100,1%), Cile (+ 36%).
Tabella 9 – Importazioni di Vino in Italia 2000-2004
Paesi IMPORT2000 IMPORT2001 IMPORT2002 IMPORT2003 IMPORT2004
Francia 171.695.237 136.518.891 169.432.548 172.834.408 170.642.842
Spagna 6.894.371 13.003.635 15.366.037 38.541.079 40.069.523
Australia 369.551 739.290 838.786 808.047 1.625.531
Cile 1.448.950 1.905.045 1.364.573 1.794.825 2.434.390
Stati Uniti 1.775.069 1.138.987 1.153.685 1.090.354 8.381.528
Germania 3.013.153 3.170.532 3.747.281 2.894.892 4.110.049
Sud Africa 854.904 466.398 286.053 369.686 334.650
Portogallo 9.776.458 9.812.379 12.350.576 12.069.995 14.540.253
Argentina 269.205 425.327 387.837 871.844 1.203.182
Regno Unito 2.192.570 7.607.738 2.523.015 2.306.331 2.104.663
Svizzera 1.155.410 882.337 554.253 458.987 561.756
Canada 160.936 47.417 109.178 69.192 143.651
Svezia 12.037 81.299 52.531 4.004 28
Austria 817.226 492.312 1.178.327 1.168.790 946.194
Giappone 83.245 907.007 94.362 14.977 77.244
Danimarca 40.057 139.008 98.678 20.355 6.394
MONDO 205.473.127 182.633.815 216.073.673 240.281.972 253.200.102
Importazioni in Italia di Vino da principali Paesi in valore 000 (€) 2000-2004
Ns elaborazione dati ISTAT
In conclusione, quindi, il settore vinicolo si conferma come uno dei settori portanti
dell’agricoltura italiana, sia in termini di produzione che di occupazione. In termini
strutturali appare che la tendenza alla razionalizzazione dei volumi a favore della qualità
del prodotto sia continuata anche negli ultimi anni, permettendo anche il rafforzamento
della presenza dei prodotti italiani sui mercati stranieri. In termini generali, dunque,
l’attenzione posta dai produttori verso il controllo dei fattori e dei processi produttivi ha
dato degli ottimi risultati, ormai acclarati e in via di consolidamento. Ciò di cui si ha
scarsa conoscenza sono invece le modalità con cui le imprese vinicole italiane
gestiscono le proprie relazioni con i mercati di riferimento. A questo tema è dedicata la
ricerca di seguito presentata.
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1. Gli obiettivi e il disegno della ricerca
La ricerca dell’Osservatorio sul marketing del vino è stata pensata come una ricerca
iniziale sullo stato dell’arte dell’applicazione dei principi, delle metodologie e delle leve
operative del marketing nel settore vinicolo italiano. La ricerca, quindi, è il primo
tassello di un Osservatorio che si pone l’obiettivo di un monitoraggio sistematico dei
cambiamenti nel tempo delle strategie e delle decisioni operative di marketing di un
campione rappresentativo di aziende vinicole italiane.
Gli obiettivi di dettaglio che la ricerca si pone sono molteplici. A fronte di un interesse
primario verso la cultura e le scelte di marketing, il primo obiettivo è quello di fornire
una fotografia dell’evoluzione strutturale in termini sia di assetti produttivi – superfici
vitate, produzioni, varietà colturali – sia dimensionali generali – numero di dipendenti,
età dell’azienda, settore di provenienza dell’imprenditore. Il perseguimento di tale
obiettivo è motivato, da un lato, dalla necessità di verificare la rappresentatività del
campione di ricerca rispetto all’universo delle aziende vinicole italiane, dall’altro, dalla
volontà di costruire una database che, aggiornato regolarmente, permetta di dare
evidenza alle variazioni strutturali del settore.
Il secondo obiettivo di ricerca – abbastanza legato alle variazioni strutturali – è relativo
alla gestione del prodotto da parte delle aziende. Vista la tradizionale attenzione delle
aziende del settore verso la qualità dei prodotti, si è deciso di focalizzare l’attenzione
sulle scelte di produzione che hanno più impatto sulla qualità: quindi i materiali per
l’affinamento, la tipologia di package, le tipologie di tappi.
Gli elementi strutturali e quelli relativi al prodotto influenzano le strategie competitive
delle imprese. Un altro obiettivo che la ricerca si dà, di conseguenza, è quello di
approfondire le modalità di identificazione degli ambiti concorrenziali da parte delle
imprese e le percezioni relative ai fattori competitivi su cui le imprese costruiscono il
proprio vantaggio concorrenziale.
Il cuore della ricerca è, come anticipato, relativo al marketing. La ricerca quindi si pone
il fine di fornire evidenza alla diffusione degli strumenti di analisi del mercato e alle
modalità con cui le imprese assumono le decisioni strategiche e operative di marketing,
relativamente alla distribuzione, al prezzo, alla comunicazione.
L’ultimo obiettivo è quello di rilevare le percezioni sul futuro. Si è quindi dedicata
l’ultima parte della ricerca all’evidenziazione dei fattori relativi al contesto competitivo,
alle decisioni produttive e di marketing ritenuti di importanza crescente nel prossimo
futuro.
10
Per poter raggiungere questi risultati si è optato per un disegno di ricerca quantitativo,
tramite la metodologia della survey (sondaggio). Il campione è stato costruito attraverso
le principali guide specializzate sul settore vinicolo italiano (Gambero Rosso, Veronelli,
Espresso, Luca Maroni, AIS Bibenda). Si è costruito un database di tutte le imprese
presenti in queste guide negli anni dal 2002 al 2004, pervenendo quindi a un numero
complessivo di 2.526 imprese. A ognuna è stato inviato – fra giugno e settembre 2004 -
un questionario strutturato le cui domande fossero in grado di ottenere le informazioni
obiettivo della ricerca. Il questionario è stato inviato via posta all’attenzione del
Direttore Marketing o del Direttore Commerciale dove le figure fossero presenti, oppure
dell’imprenditore in caso di mancanza dei precedenti. Dopo il primo invio è stato
effettuato un follow up telefonico e sono stati inviati nuovamente via posta o via e-mail
alcuni questionari alle imprese che hanno dichiarato di non averlo ricevuto. In definitiva
sono stati raccolti 228 questionari, con una redemption del 9,03%. Tante sono quindi le
imprese che costituiscono il campione di ricerca.
2. Il campione di ricerca
Le 228 imprese costitutive del campione sono abbastanza ben distribuite nel territorio
italiano, rappresentando adeguatamente la distribuzione complessiva delle imprese del
settore. La tabella 2.1 descrive la distribuzione territoriale.
Tabella 2.1 – La distribuzione geografica delle imprese del campione
Aree geografiche Numero Percentuale Nord Ovest (Valle D’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia) 70 30,70% Nord Est (Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia)
52 22,80%
Centro (Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise)
72 31,57%
Sud e Isole (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia)
34 14,91%
11
In termini dimensionali, la superficie mediana1 aziendale è di 17 ettari, in crescita
rispetto agli anni precedenti (tabella 2.2).
Tabella 2.2 – La superficie mediana aziendale nel triennio 2001-2003
Superficie vitata totale
14,0015,56
17,00
0
5
10
15
20
2001 2002 2003
Anno
Supe
rfic
ie m
edia
na (h
a)
In termini geografici, le aziende del Centro e del Sud e Isole risultano sul campione
mediamente più grandi di quelle del Nord (tabella 2.3).
Tabella 2.3 – La ripartizione geografica del campione in termini di superficie vitata
(2003)
Superficie (ha) Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole < 5 7,2% 4,6% 2,6% 0,7%
5 - 10 5,2% 4,6% 6,5% 2,0% 11 - 20 7,8% 5,2% 11,8% 1,3% 21 - 50 7,2% 2,6% 9,2% 5,2% 51 - 100 2,0% 1,3% 2,6% 2,0% 101 - 500 0,7% 0,7% 1,3% 2,0%
> 500 0,0% 1,3% 1,3% 1,3%
1 La mediana è la misura di sintesi che segnala il valore che, in una sequenza ordinata di dati, è preceduto e seguito da un uguale numero di osservazioni. In altre parole è il valore entro cui ricade il 50% del campione. Rispetto alla media, la mediana permette di dare meno enfasi al ruolo dei valori estremi. Per quanto riguarda la superficie aziendale, i valori della media nei tre anni sono: 95,6 ha nel 2001, 105,15 ha nel 2002, 114,45 ha nel 2003.
12
E’ interessante notare come l’incremento di superficie media nel triennio sia dovuto a
una netta riduzione delle dimensioni minori e a un marcato aumento delle dimensioni
medie (nel range dai 50 ai 100 ettari si è verificato l’incremento maggiore) (tabella 2.4).
Tabella 2.4 – Le variazioni dimensionali nel triennio 2001-2003
Superficie vitata totale
3,68%4,29%4,91%
20,86%26,38%21,47%
18,40%
19,38%
3,75%4,38%6,88%
23,13%25,63%
16,88%
3,75%5%8,13%
23,75%26,25%
18,13%15%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
<5 ha 5-10 ha 10-20 ha 20-50 ha 50-100 ha 100-500 ha >500 ha
Superficie
Freq
uenz
e
2001 2002 2003
Il numero di dipendenti medio delle imprese del campione è pari a 15, in crescita nel
triennio (tabella 2.5). Nella funzione marketing in media lavora solo un dipendente. La
tabella 2.6 mostra, inoltre, come le dimensioni medie nel triennio siano aumentate, a
causa di una netta riduzione delle aziende con numero di dipendenti minore a cinque e
un deciso incremento di quelle tra 10 e 20.
Tabella 2.5 – La numerosità dei dipendenti
N° dipendenti
6 6
8
1
7
1
7
1
7
0
2
4
6
8
10
Fissi Stagionali Nella funzione mktg
Dipendenti
N° m
edio
2001 2002 2003
13
Tabella 2.6 – La variazione della numerosità dei dipendenti nel triennio 2001-2003
N° dipendenti totale
20,09%18,22%20,09%
41,59%39,72%
21,96%19,16%
19,16%
35,85%
17,92%22,17%24,06%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
<5 5-10 10-20 >20
N° dipendenti
Freq
uenz
e
2001 2002 2003
In termini di caratteristiche settoriali, le aziende del campione sono storicamente
aziende agricole, ma non è limitata la presenza di aziende in cui l’imprenditore proviene
da settori diversi (tabella 2.7). Questo può significare, da un lato, che il settore vinicolo
ha rappresentato nel triennio un investimento interessante per aziende provenienti da
altri settori, e, dall’altro, che la provenienza da altri settori può aver contribuito a
introdurre nel settore vinicolo logiche e modalità manageriali diverse da quelle
tradizionali.
Tabella 2.7 – Il settore di provenienza
Settore di provenienza dell'imprenditore
60,18%
8,14%9,05%8,14%14,48%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Agricoltura Industria Commercio Servizi Plurimo
Settore
Freq
uenz
a
14
Per quanto riguarda gli aspetti produttivi, il campione della ricerca mostra una
produzione mediana di 839 ettolitri, un numero di bottiglie mediano pari 110.750 e un
numero di etichette medio pari a 12.
Per confermare la rappresentatività del campione rispetto all’universo delle aziende
vinicole, per ognuno degli aspetti precedenti la ricerca ha rilevato le variazioni avvenute
nel triennio di interesse.
Per quanto riguarda la produzione mediana si è avuto un incremento del triennio2
(tabella 2.8), dovuto a un notevole incremento nella fascia intermedia, corrisposto da
una riduzione delle fasce produttive minori e da un leggero incremento di quella di
maggiori dimensioni (tabella 2.9).
Tabella 2.8 – La produzione mediana nel triennio 2001-2003
Produzione totale
690 765839
0
250
500
750
1000
2001 2002 2003
Anno
Prod
uzio
ne m
edia
na (h
l)
2 La produzione media aziendale nei tre anni è stata: 3829,01 hl nel 2001, 4226,03 hl nel 2002, 4753,36 hl nel 2003.
15
Tabella 2.9 – Le variazioni nella produzione nel triennio 2001-2003
Produzione totale (hl)
60,67%
20%
2%8%9,33%
59,59%
19,86%
8,22%1,37%
10,96%
8,90%0,68%
13,01%19,18%
58,22%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
<1000 hl 1000-2000 hl 2000-5000 hl 5000-10000 hl >10000 hl
Produzione
Freq
uenz
a
2001 2002 2003
Relativamente alla numerosità delle bottiglie, il campione della ricerca si concentra
nelle fascia fra le 10.000 e le 500.000 (circa l’80%), ma, corrispondentemente alla
distribuzione dell’universo di riferimento, con una buona presenza di aziende molto
piccole e anche di dimensioni ragguardevoli (tabella 2.10).
Tabella 2.10 – La produzione di bottiglie nel 2003
Produzione bottiglie totale 2003
41,59%
7,48% 3,74% 4,67%6,54%
35,98%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
<10.000 10.000-100.000 100.000-500.000 500.000-1 mil. 1-3 mil. >3 mil.
N° bottiglie
Freq
uenz
a
16
In termini geografici, il campione vede la presenza di un numero di bottiglie per azienda
mediamente più elevato per le aziende del Nord-Est e del Centro (tabella 2.11).
Tabella 2.11 - La ripartizione geografica del campione in termini di bottiglie prodotte
Bottiglie Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole < 10.000 3,4% 1,5% 1,5% 0,5%
10.000-100.000 16,0% 8,3% 14,1% 2,9% 100.001-500.000
10,7% 6,8% 12,6% 5,8%
500.001 – 1 ml 0,0% 3,4% 2,4% 1,9% 1 ml – 3 ml 0,5% 1,0% 0,5% 1,5%
> 3 ml 0,0% 2,9% 1,5% 0,5%
In termini di variazione della numerosità di bottiglie prodotte nel triennio, si è preferito
dare evidenza alla scomposizione della numerosità per tipologia di vino (tabella 2.12).
Tabella 2.12 – La variazione della produzione di bottiglie per tipologia nel triennio
2001-2003
Produzione bottiglie
1800 4410
28000 30300
110750
9000
20820
42000
1500 4518
3000022500
83600
40001500
88500
3000025000
10000
25000
41000
10000
30000
50000
0
20000
40000
60000
80000
100000
120000
Vini rossi Vini bianchi Vini rosati Vini liquorosi Vini passiti Spumanti Vini frizzanti TOTALE
Tipologie vino
Med
iana
2001 2002 2003
Il campione è quindi caratterizzato da una maggiore presenza di produzione di vini
rossi, seguita dai frizzanti e dai bianchi, e in successione dagli spumanti. Si evidenzia
anche una discreta produzione di rosati, e una minima di liquorosi e passiti. E’
17
interessante notare che mentre per i vini rossi, per gli spumanti e per i passiti nel 2002 si
è verificato un leggero decremento della produzione mediana, per tutte le altre categorie
la produzione è stata in crescita costante nel triennio di riferimento.
Da ultimo, relativamente al numero di etichette, non si è verificato un incremento
sostanziale nelle imprese del campione (tabella 2.13): la variazione, comunque, è stata
dovuta a una sostituzione di vini da tavola con IGT (tabella 2.14). In termini di
specifiche categorie di vino, i risultati sono riportati nella tabella 2.15.
Per quanto riguarda la numerosità di etichette di qualità rispetto al totale, il campione,
vista la modalità di costruzione dello stesso, manifesta uno sbilanciamento verso le
produzioni di qualità: è indice in tal senso che l’81% non produce vino da tavola.
Tabella 2.13 – Il numero di etichette medio nel triennio 2001-2003
N° medio di etichette totali
11 1112
0
3
6
9
12
15
1 2 3
Anno
Valo
re m
edio
Tabella 2.14 – Le variazioni del numero di etichette per categoria
N° etichette
1
5
1
2
11
5
2
1 11
5
3
1 1
0
1
2
3
4
5
6
DOCG DOC IGT VINI DATAVOLA
SPUMANTI
Tipologie etichette
Valo
re m
edio
2001 2002 2003
18
Tabella 2.15 – La variazione del numero di etichette per tipologia di vino
N° etichette
1
32
3
2 22
43
4
2
4 4
2
11
11
3
112
3
12
0
3
6
9
12
15
Rossi
DOCG
Bianch
i DOCG
Rosati
DOCG
Rossi
DOC
Bianch
i DOC
Rosati
DOC
Rossi
IGT
Bianch
i IGT
Rosati
IGT
Rossi
da ta
vola
Bianch
i da t
avola
Rosati
da ta
vola
Spuman
ti
Spuman
ti di q
ualità
Spuman
ti aro
matici
V.S.Q
.P.R
.D.
Passit
i
Aromati
zzati
TOTALE
Tipologie etichette
Valo
ri m
edi
2001 2002 2003
Le imprese del campione manifestano una notevole volontà associativa o una forte
esigenza di associazioni cui aggregarsi, visto che solo pochissime aziende non sono
iscritte a nessuna associazione; la gran parte appartiene mediamente a più di due
associazioni, con punte che arrivano a più di cinque associazioni (tabella 2.16). La
tabella 2.17 segnala la tipologia di associazione di appartenenza.
Tabella 2.16 – L’appartenenza media ad associazioni
N° associazioni di appartenenza
3,51%
15,35%
58,34%
22,80%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
0 Ass. 1 Ass. 2-4 Ass. Più di 5 Ass.N°
Freq
uenz
a
19
Tabella 2.17 – La tipologia di associazioni di appartenenza
Associazioni
35,53% 29,96%21,59%
68,28%
24,56% 28,51%37,89%
12,33%
45,37%
6,58%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Conso
rzio di
tutel
a
Assoc
iazioni
di ca
tegori
a
Assoc
iazioni
locali
Assoc
iazioni
nazio
nali
Slowfoo
d
Enotec
a reg
ionale
Banca
del V
ino
Assoc
iazione
Strada
del Vino
Assoc
iazione
Don
ne del
Vino
Movim
ento Turi
smo d
el Vino
Associazioni
Freq
uenz
a
In sintesi, quindi, le aziende del campione sembrano rappresentare adeguatamente
l’universo delle imprese vinicole italiane produttrici di vino di qualità, in termini di
ripartizione geografica, di assetti produttivi, di origini aziendali, e di propensione alla
cooperazione . Per quanto riguarda le variazioni strutturali, il triennio di riferimento si
caratterizza per moderate variazioni positive negli assetti produttivi: infatti sia le
superfici vitate sia la produzione in termini di ettolitri e bottiglie sia il numero di
etichette in portafoglio aumentano moderatamente, proseguendo il trend di
miglioramento qualitativo degli anni precedenti. Il campione di ricerca risulta quindi
interessante non solo perché rappresentativo dell’universo, ma anche perché il
consolidamento delle scelte produttive lascia avanzare l’ipotesi che le imprese possano
aver dedicato maggiori energie e investimenti alle relazioni con i mercati di riferimento.
I risultati descritti nei paragrafi successivi intendono dare evidenza a questi aspetti.
20
3 I risultati
3.1 La gestione del prodotto
Data la rilevanza che la gestione del prodotto, e soprattutto della qualità, ha
tradizionalmente rappresentato per le aziende del settore vinicolo, la ricerca ha voluto
dedicare un’attenzione particolare a quest’ambito. La gestione del prodotto è una delle
tipiche aree decisionali del marketing, ma in un settore con un forte orientamento al
prodotto, come storicamente risulta essere quello vinicolo, le scelte relative ai prodotti
tendono a essere definite in funzione più di obiettivi tecnici e interni all’azienda che di
obiettivi di mercato e di soddisfazione delle aspettative dei consumatori. Per questo
motivo si è deciso di tenere separati i risultati afferenti alla gestione del prodotto
rispetto a quelli relativi alle altre leve del marketing mix.
Il primo risultato interessante mostra che nel triennio di riferimento della ricerca le
aziende hanno ampliato la numerosità dei vitigni coltivati. Questa evidenza può essere
spiegata, in termini di strategia commerciale, come aumento della rilevanza data
all’ampiezza della gamma nel tentativo di garantirsi maggiore copertura e visibilità di
mercato, e come maggiore attenzione attribuita ai vitigni autoctoni, quale leva di
potenziale differenziazione competitiva. La tabella 3.1.1 infatti mostra che la
percentuale di produzione ottenuta dal vitigno più importante (in termini di superficie
dedicata) è diminuita dal 30% circa del 2001 al 24% circa del 2003. Inoltre, la
percentuale ottenuta dai primi cinque vitigni è diminuita dal 79% circa del 2001 al 70%
circa del 2003.
21
Tabella 3.1.1 – La concentrazione della produzione per i singoli vitigni coltivati
Concentrazione dei vitigni 2001
62,85%
84,45%
100,00%
100,00%
99,23%96,69%93,46%
89,60%
78,56%71,71%
53,24%
30,36%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
C.1 C.2 C.3 C.4 C.5 C.6 C.7 C.8 C.9 C.10 C.11 C.12N° vitigni
Freq
uenz
e cu
mul
ate
Concentrazione vitigni 2002
26,15%
65,42%
100,00%
99,27%96,88%93,37%
89,74%84,93%
79,99%73,67%
56,92%
47,87%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
C.1 C.2 C.3 C.4 C.5 C.6 C.7 C.8 C.9 C.10 C.11 C.12
N° vitigni
Freq
uenz
e cu
mul
ate
Concentrazione vitigni 2003
100,00%
99,35%
97,21%92,94%
88,59%82,99%
76,74%
23,79%
43,28%54,01%
62,01%69,49%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
C.1 C.2 C.3 C.4 C.5 C.6 C.7 C.8 C.9 C.10 C.11 C.12
N° vitigni
Freq
uenz
e cu
mul
ate
22
Per quanto riguarda invece le scelte relative alle categorie di vino, nel triennio in
questione non appaiono grandi variazioni (tabella 3.1.2), se non per un leggero
incremento medio della produzione di IGT. Questo risultato può essere interpretato
come una conferma delle scelte effettuate negli anni precedenti relativamente all’elevata
qualità delle aziende del campione, che, si ricorda, hanno una produzione decisamente
sbilanciata a favore dei vini di qualità.
Tabella 3.1.2 – La variazione delle etichette per tipologia di vino nel triennio 2001-2003
Percentuale etichette DOCG sul totale
3,17%0,45%3,62%8,14%
14%
71%
3,24%0,46%4,17%8,33%12,96%
70,83%
1,79%1,79%4,04%7,62%
13,45%
71,30%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
0% 1-25% 25-50% 50-75% 75-99% 100%
Incide nza
Fre
que
nza
2001 2002 2003
Percentuale etichette DOC sul totale
13,64%8,64%
20,00%24,55%25,00%
8,18%
12,09%10,23%18,60%
26,98%
7,44%
24,65%
12,16%9,91%17,58%
26,58%
8,56%
25,23%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
0% 1-25% 25-50% 50-75% 75-99% 100%
Incidenza
Freq
uenz
a
2001 2002 2003
23
Percentuale etichette IGT sul totale
5,41%0,90%5,86%
21,17%15,32%
51,35%
5,07%1,38%5,53%
23,04%14,29%
50,69%
5,80%0,89%
6,70%
19,64%17,86%
49,11%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
0% 1-25% 25-50% 50-75% 75-99% 100%
Incidenza
Freq
uenz
a
2001 2002 2003
Percentuale etichette VINI DA TAVOLA sul totale
0,00%0,00%0,45%4,02%14,29%
81,25%
0,47%0,00%0,00%3,26%
14,42%
81,86%
0,00%0,00%0,45%4,05%
14,41%
81,08%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
0% 1-25% 25-50% 50-75% 75-99% 100%
Incidenza
Freq
uenz
a
2001 2002 2003
Relativamente alle scelte di cantina, a fronte di una sostanziale tenuta dell’acciaio quale
materiale per l’affinamento (utilizzato da quasi il 50% delle aziende del campione), si
nota un incremento dell’importanza del legno, in misura più marcata per quel che
riguarda le botti di piccole dimensioni, e, in misura meno evidente, per quelle di
dimensioni maggiori (tabella 3.1.3).
24
Tabella 3.1.3 – Le scelte relative ai materiali di affinamento
Materiali utilizzati per l'affinamento
22,79%13,84%
7,51%
47,30%
21,95%13,50%
7,65%
46,42%
24,94%14,53%
6,31%
47,43%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
acciaio cemento botti legno grandi botti legno piccole
Materiali
Perc
entu
ale
di u
tiliz
zo
2001 2002 2003
Relativamente alla tipologia di package, rarissimi sono i casi di utilizzo di materiale
diverso dal vetro, con un preferenza assolutamente predominante per la bordolese e in
misura minore per le altre tipologie (tabella 3.1.4). Inoltre le scelte relative alla bottiglia
non hanno subito variazioni rilevanti nel triennio.
Tabella 3.1.4 – Le scelte relative all’imbottigliamento
Tipologie di package utilizzate
0,93%2,31%7,15%
95%
8,38% 0,90%2,31%7,03%8,19%
92,50%95%
8,21% 6,55%2,31% 0,88%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Bordolese Borgognona Champagnotta Albeisa Alsaziana
Tipologie
Perc
entu
ale
di u
tiliz
zo
2001 2002 2003
25
Da ultimo, per quanto riguarda la tipologia di tappo, emerge una netta preferenza per il
sughero monopezzo, e una stabilità delle scelte nel triennio, con l’eccezione di un
notevole incremento relativo (a fronte comunque di un contenuta importanza in termini
assoluti) del tappo in cork (tabella 3.1.5).
Tabella 3.1.5 – Le scelte relative ai tappi
Tipologie di tappi utilizzati
5,89%3,94%0,61%2,63%
16,12%
68,32%
5,95%4,86%0,57%
2,78%15,15%
65,97%
5,99%5,47%0,50%2,11%
15,59%
68,03%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Sugheromonopezzo
Sugherobirondellato
Sugheroagglomerato
A vite In cork A fungo sughero
Tipologie
Per
cent
uale
di u
tiliz
zo
2001 2002 2003
In sintesi, quindi, per quanto riguarda la gestione del prodotto, i risultati mostrano come
gli sforzi delle aziende del campione siano stati votati a un consolidamento delle scelte
tecniche effettuate negli anni precedenti, e a un tentativo di tradurre tali scelte in
strategie commerciali segnate da un ampliamento della copertura del mercato e
dall’orientamento verso l’innovazione del prodotto.
3.2 La concorrenza Le decisioni di marketing, relative alle relazioni con i propri mercati di riferimento,
dipendono dalle rappresentazioni di quei mercati detenute dalle imprese. La percezione
che il mercato sia omogeneo o frammentato, a elevata o a ridotta intensità
concorrenziale, con tendenza alla cooperazione o piuttosto alla competizione, porta le
imprese ad adeguare le proprie scelte e quindi a decidere di percorrere specifici sentieri
di sviluppo.
Per questo motivo la ricerca ha voluto indagare le rappresentazioni delle imprese del
campione relativamente alla concorrenza diretta. In particolare si è richiesto a ogni
azienda di segnalare le prime cinque imprese ritenute dirette concorrenti, sia sul mercato
nazionale sia internazionale. L’analisi dei dati è stata poi effettuata riclassificando le
26
imprese segnalate come concorrenti dirette sulla base di un criterio geografico:
regionali, nazionali e internazionali.
Le tabelle 3.2.1 e 3.2.2 riportano i dati relativi al mercato nazionale e internazionale.
Tabella 3.2.1 – I concorrenti diretti sul mercato nazionale
Concorrenti diretti a livello nazionale
17,24%
1,72% 2,30% 4,60%
74,14%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
regionali nazionali internaz ionali no concorrenti non so
Tipologia concorre nti
Fre
qu
enza
Tabella 3.2.2 – I concorrenti diretti sul mercato internazionale
Concorrenti diretti a livello internazionale
16,30%22,96%
38,00%
11,11%5,19% 7,41%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
non opera alivello
internazionale
regionali nazionali internazionali no concorrenti non so
Tipologia concorrenti
Freq
uenz
a
27
In termini generali appare una rappresentazione del mercato molto sbilanciata sul
confronto “merceologico”, nel senso che i concorrenti ritenuti diretti sia sul mercato
italiano – in modo nettamente prevalente – sia su quello internazionale, sono
prevalentemente aziende della stessa regione, quindi presumibilmente produttrici di vini
simili. In questo senso, quindi, appare molto limitata la capacità di interpretare il
mercato ponendosi dal punto di vista del consumatore, il quale non necessariamente
pone in concorrenza diretta vini dello stesso vitigno, ma può utilizzare sistemi di
categorizzazione differenti.
Le imprese che operano a livello internazionale mostrano una capacità di
rappresentazione maggiormente sofisticata, segnalando una certa attenzione anche verso
le imprese internazionali. In questo senso il nesso merceologico appare meno diretto, e
la rappresentazione concorrenziale è più spostata verso altre tipologie di fattori
competitivi, quali presumibilmente l’ampiezza della gamma, il presidio dei canali, la
notorietà della marca.
L’attenzione elevata posta dalla maggioranza delle imprese del campione ai concorrenti
più vicini geograficamente anche relativamente ai mercati internazionali viene
confermata dal fatto che (come si vedrà più avanti nel par. 3.3.1, tabella 3.3.3) per la
valutazione dell’attrattività dei mercati internazionali il 53% circa delle imprese dichiara
di imitare le scelte dei concorrenti.
Un dato oltremodo interessante è costituito dalla percentuale non ridotta di imprese che
non hanno un’idea della concorrenza: il 7% circa relativamente al mercato nazionale, il
13% relativamente all’internazionale (si è ritenuto opportuno sommare alle risposte di
coloro che “non sanno” anche quelle di coloro che dichiarano di “non avere
concorrenti”, per il semplice fatto che l’assenza di concorrenza maschera evidentemente
un’assenza di conoscenza dei processi di scelta dei consumatori).
In sintesi quello che emerge dal campione è una rappresentazione dei fenomeni
concorrenziali poco sofisticata, con una forte centratura sul prodotto e con una limitata
capacità di porsi dal punto di vista dei consumatori. La presenza sui mercati
internazionali, però, sembra permettere alle imprese un ampliamento dello sguardo
interpretativo e una maggiore considerazione di imprese, non vicine
merceologicamente, ma simili per sistema di offerta.
28
3.3 Le analisi e le decisioni di marketing
Utilizzando la tradizionale concettualizzazione del marketing che prevede che una fase
di analisi del mercato preceda la definizione della strategia di mercato e del sistema di
offerta, la ricerca ha voluto rilevare in primo luogo l’utilizzo di alcune metodologie di
analisi del mercato, e poi le scelte attuate dalle aziende relativamente alle tipiche leve
costitutive del sistema di offerta.
3.3.1 L’analisi del mercato
Per quanto riguarda il mercato italiano, le attività di monitoraggio del mercato poste in
essere dalle imprese del campione sono riportate nella tabella 3.3.1.
Tabella 3.3.1 – Le attività di monitoraggio del mercato italiano
Attività di monitoraggio del mercato
73,64%
12,73%
21,08%20,36%22,62%
14,03%
40,81%
34,09%
21,36%
43,05%
50,23%
33,03%32,58%39,01%
53,18%
5%
35,87%29,41%
44,34%
53,39%
20,18%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
Panel gustativi Ricerchequantitative
Ricerche sulposizionamento
Ricerchesull'evoluzione
del mkt
Consulenzeesterne
Intuito delproduttore
Rilevazioneattività
concorrenza
Tipologie attività
Freq
uenz
a
Regolarmente Talvolta Mai
A un primo sguardo colpisce che la grande maggioranza delle imprese si affida al
proprio intuito – che spesso, nel caso di imprese di piccole dimensioni, coincide con
l’intuito dell’imprenditore – nel monitorare il mercato. Per quanto l’intuito sia una delle
caratteristiche dell’attività imprenditoriale, e spesso dietro la parola “intuito” si
nasconda la capacità di sintesi di informazioni provenienti da fonti e ambiti diversi,
riteniamo che in questo caso l’intuito, come principale azione di monitoraggio del
mercato, non esprima un segnale confortante. In un mercato molto dinamico, infatti, in
29
cui l’affollamento competitivo inizia a essere evidente, in cui il sistematico lancio di
nuovi prodotti e nuove etichette sposta la precedente struttura di quote di mercato, in cui
alcune aziende straniere cominciano a diventare concorrenti temibili, la
rappresentazione del mercato che un’impresa può costruirsi solamente col proprio
intuito non può che essere carente e limitata. La segnalazione dell’intuito come metodo
di analisi implica, a nostro avviso, un’insufficiente comprensione dell’importanza del
monitoraggio del mercato, e una sorta di indulgenza nelle proprie capacità
imprenditoriali che, seppur di successo sul versante produttivo, non necessariamente
risultano trasferibili su quello commerciale.
Di fianco a questo risultato, emerge però anche un numero non limitato d’imprese che
investono in attività più strutturate di monitoraggio del mercato. L’attività utilizzata
con maggiore regolarità – a conferma ulteriore di una notevole attenzione posta sul
prodotto – è data dai panel gustativi: se si sommano le imprese che dichiarano di
realizzarli regolarmente e meno sistematicamente si raggiunge l’80% circa del
campione. Questo è un risultato comunque positivo e confortante in quanto segnala che,
almeno sul prodotto, un’apertura verso il mercato esiste, e la valutazione della qualità
non viene – anche questa – affidata all’esclusivo intuito del produttore.
Continuando a tenere in considerazione congiunta le imprese che dichiarano di
utilizzare – con regolarità o meno – le attività di monitoraggio, appare che un quota
oscillante fra il 45% e il 70% del campione utilizza modalità più strutturate di
monitoraggio, tipicamente ricerche di marketing di vario genere effettuate sia
direttamente che dai consorzi o associazioni di categoria o da società specializzate.
Anche questo è un segnale di apertura verso un bagaglio di competenze non tradizionale
per le imprese del settore vinicolo, ma ben radicate nelle imprese produttrici di beni di
consumo, cui, di fatto, le imprese vinicole iniziano a guardare con attenzione.
E’ interessante verificare se esiste una differenza fra aziende di aree geografiche diverse
nell’utilizzo delle attività di monitoraggio del mercato. La tabella 3.3.2 riporta le
frequenze di utilizzo ripartite per le quattro macro-aree in cui il campione è stato
distinto.
30
Tabella 3.3.2 – L’utilizzo delle attività di monitoraggio del mercato in funzione della
localizzazione geografica delle imprese
Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e isole MediaREGOLARMENTE 13,8% 7,8% 11,8% 32,1% 14,2%Talvolta 23,1% 27,5% 38,2% 35,7% 30,7%Mai 63,1% 64,7% 50,0% 32,1% 55,2%REGOLARMENTE 17,2% 11,8% 24,6% 42,9% 21,7%Talvolta 29,7% 27,5% 36,2% 35,7% 32,1%Mai 53,1% 60,8% 39,1% 21,4% 46,2%REGOLARMENTE 6,2% 12,0% 11,6% 22,2% 11,4%Talvolta 32,3% 26,0% 30,4% 59,3% 33,6%Mai 61,5% 62,0% 58,0% 18,5% 55,0%
Ricerche quantitative sui potenziali di mercato
ZONA GEOGRAFICA
Ricerche sul posizionamento dei prodotti e delle marcheRilevazione sistematica dei
dati delle attività della concorrenza
Dai dati emerge una maggiore attenzione delle aziende del Centro e soprattutto del Sud
e delle Isole verso tale tipologia di attività. E’ molto particolare il risultato relativo alla
totale assenza di utilizzo delle attività di monitoraggio del mercato da parte delle
imprese del Nord, sia Ovest che Est, a segnalare una notevole chiusura verso tipologie
strutturate e formalizzate di analisi del mercato.
* * *
Per quanto riguarda i mercati internazionali, la tabella 3.3.3 riporta i risultati relativi alle
modalità di valutazione dell’attrattività, quindi un’attività più focalizzata rispetto al più
generico monitoraggio, ma sicuramente rilevante per lo specifico problema
dell’internazionalizzazione.
31
Tabella 3.3.3 – Le modalità di valutazione dell’attrattività dei mercati internazionali
Valutazione dell'attrattività dei mercati stranieri
5,43%
41,67%
33,51%
13,37%8,56%
11,76%9,68%
29,89%
43,75%40,96%
49,20%
21,93%
34,76%
43,01%
64,67%
14,58%
25,53%
37,43%
69,52%
53,48%47,31%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
Imitazioneconcorrenti
Ricerche dimercato
Imprese diconsulenza
Consorzi dipromozione
Tradingcompany
Fiere Scout
Tipologie attività
Freq
uenz
a
Regolarmente Talvolta Mai
Sono due i risultati interessanti relativamente ai mercati internazionali. Il primo è la
preferenza assoluta per modalità non strutturate e spesso finalizzate al raggiungimento
anche di altri obiettivi; la seconda è la delega a soggetti terzi.
L’enfasi posta sulle fiere mostra, infatti, come si tenda a sfruttare eventi con scopi
tipicamente comunicativo-commerciali, anche a fini di valutazione di potenzialità di
mercato. Per quanto sia indiscutibile che i contatti ottenuti in fiera possano fornire
segnali di potenzialità, è anche vero che questa modalità soffre di un notevole bias di
rappresentatività. Infatti la presenza di alcuni soggetti in fiera non necessariamente è
un’evidenza del fatto che tutti i soggetti che esprimono le stesse caratteristiche mostrino
lo stesso interesse, e, soprattutto, che la non presenza in fiera non necessariamente è un
segnale di disinteresse: per questo motivo assumere che i contatti ottenuti nelle fiere
siano indicativi di attrattività può risultare fuorviante e pericoloso.
Allo stesso modo può essere inteso l’utilizzo dell’imitazione dei concorrenti. Anche
questo approccio si basa sulla forte assunzione che le preferenze del mercato siano
determinate dalla merceologia, motivo per cui se il concorrente che produce un vino
merceologicamente simile ha avuto successo, risultano dimostrate le potenzialità di quel
mercato. Questo modo di procedere nasconde una non completa comprensione del fatto
32
che il successo abbia determinanti di vario genere. Quindi, piuttosto che la sola
similarità merceologica, l’imitazione dei concorrenti, dovrebbe essere preceduta anche
da un’analisi delle risorse, delle competenze, e dei processi produttivi e, soprattutto,
commerciali, posti in essere dai concorrenti le cui orme si vuole seguire. In assenza di
queste considerazioni, anche in questo caso l’assunzione di condizioni ceteris paribus
può essere rischiosa e fuorviante.
E’ interessante inoltre, l’evidenza del ruolo giocato da soggetti terzi nella valutazione
dell’attrattività: consorzi, trading companies, scout (anche se questi in misura molto
minore). Inserire soggetti così diversi nella stessa categoria è un’evidente forzatura, ma
l’intenzione è segnalare che il ricorso a competenze/risorse esterne alla singola impresa
è un indicatore sicuramente di apertura da un lato, e dall’altro di ragionevole
valutazione dell’indisponibilità di risorse e competenze interne, che renderebbe
altrimenti impossibile procedere nella valutazione. Tra consorzi e trading companies e
scout esiste una notevole differenza, visto che, ancora una volta, il consorzio tende ad
avere una visione “merceologica” del mercato – essendo indirizzato alla tutela della
produzione di un particolare vino – e quindi permette la valutazione dell’attrattività dei
mercati a un livello più ampio, dell’intera categoria di prodotto; la trading company
invece, tendenzialmente è più in grado di valutare anche le specificità della singola
impresa, permettendo quindi una valutazione di attrattività più specifica, e, forse, più
calibrata su questo profilo aziendale.
Da ultimo è comunque interessante segnalare la presenza di una percentuale non
minima di imprese che inizia ad avvicinarsi a strumenti più formalizzati di valutazione
dell’attrattività, quali le ricerche di marketing. Per quanto sia dichiarato soprattutto un
utilizzo sporadico, comunque questo può essere assunto come indicatore di apertura
verso uno strumento che rappresenta tipicamente un segnale di cultura e orientamento al
mercato.
3.3.2 Le decisioni di marketing: le scelte di distribuzione
Uno dei temi più sentiti dalle aziende vinicole negli anni più recenti è sicuramente
quello della distribuzione e delle relazioni con i vari partner commerciali.
La ricerca ha verificato innanzitutto se nell’ultimo triennio si è verificata una variazione
della percentuale di fatturato “intermediata” sul mercato nazionale dai vari canali
distributivi: diretto (tramite vendita diretta al pubblico, vendita per corrispondenza e
Internet) e indiretto (tramite grossisti, dettaglio tradizionale, dettaglio moderno, e
33
ho.re.ca). La tabella 3.3.4 riporta i dati sull’evoluzione nel triennio sul mercato
domestico.
Tabella 3.3.4 – La ripartizione del fatturato sui vari canali nel triennio 2001-2003 nel
mercato italiano
Ripartizione del fatturato per canali distributivi in Italia
0,32%
37,56%37,39%
20,64%
1,53% 0,17%
10,85% 8,79% 10,05%4,05%
19,97%
1,45% 0,23%
10,95% 8,57% 9,78%4,65%
36,43%
5,55%10,17%8,99%10,50%1,50%
19,00%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Vendita diretta Vendita percorrispondenza
Internet Grossistinazionali
Grossistiregionali
Piccolidettaglianti
Grandedistribuzione
Ho.Re.Ca.
Canali distributivi
Valo
ri m
edi
2001 2002 2003
Le aziende del campione mostrano una sostanziale stabilità delle loro scelte di canale
nel triennio preso in considerazione. Infatti i due canali che raccolgono la gran parte del
fatturato delle aziende (il 57% circa) risultano essere l’ Ho.Re.Ca. (circa il 37%) e la
vendita diretta in cantina (intorno al 20%), in coerenza – in termini generali - con una
forte attenzione alla valorizzazione della qualità del prodotto, resa sicuramente possibile
da un canale “professionale” quale l’Ho.Re.Ca. e da un contatto non mediato con i
consumatori. In termini di variazioni percentuali, la grande distribuzione vede un
aumento di circa il 50%, pur mantenendosi su quote limitate (il 5,5%), e Internet un
aumento del 100% circa, pur coprendo una quota ancora assolutamente minimale (lo
0,32%).
Oltre alle scelte di struttura del canale la ricerca ha voluto indagare le scelte di copertura
del mercato, ovvero le strategie distributive attraverso cui le imprese del campione
affrontano il mercato nazionale. In tabella 3.3.5 sono riportati i dati relativi alla
frequenza di utilizzo delle diverse strategie: le due dimensioni di analisi utilizzate sono
state il grado di copertura (estensiva o selettiva) e i confini geografici del mercato di
riferimento (regionale, pluriregionale, nazionale).
34
Tabella 3.3.5 – Le strategie di copertura del mercato domestico
Scelta dei distributori a livello nazionale
1,64%
23,50%
36,07%
4,37%
19,13%
5,46%7,10%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Estensivanazionale
Estensivapluriregionale
Estensivaregionale
Selettivanazionale
Selettivapluriregionale
Selettivaregionale
Nonpianif icata
Metodo
Freq
uenz
a
Coerentemente con le dimensioni delle aziende del campione e con le strutture di canale
maggiormente impiegate, la strategia di copertura del mercato maggiormente diffusa
risulta essere la strategia selettiva. Le aziende quindi preferiscono in maggioranza una
strategia di focalizzazione in termini di canale, qualunque sia il confine del mercato di
riferimento: sia regionale che pluriregionale che nazionale. L’ambito di riferimento per
la maggioranza delle imprese risulta essere quello pluriregionale, seguito da quello
nazionale: sono la minoranza invece le imprese che dichiarano un ambito di riferimento
spiccatamente regionale.
Un dato non trascurabile e di un certo interesse ai fini della ricerca è la numerosità di
aziende che non ha alcuna strategia di copertura del mercato (circa il 20%). Queste
aziende sostanzialmente non pianificano la propria strategia distributiva e adottano
quindi una modalità di approccio al mercato fondata sulla soddisfazione delle richieste
solo quando queste si presentano e da qualunque soggetto provengano. Evidentemente
questa situazione suona molto pericolosa perché evidenzia una delega completa sul
proprio posizionamento di mercato che, soprattutto per aziende attente alla qualità,
dovrebbe essere evitato il più possibile.
La ricerca ha anche indagato le scelte distributive sui mercati esteri, distinguendo
l’analisi delle variazioni in termini di struttura di canale (tabella 3.3.6) e le strategie di
copertura (tabella 3.3.7).
35
Tabella 3.3.6 - La ripartizione del fatturato sui vari canali nel triennio 2001-2003 nel mercato internazionale
Ripartizione del fatturato sui canali distributivi esteri
13,13%
64,06%
14,31%
64,25%
13,14%
66,31%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Agenti Importatori
Canali
Rip
artiz
ione
2001 2002 2003
Tabella 3.3.7 – Le strategie di copertura del mercato internazionale
Scelta dei distributori a livello internazionale
17,55%24,13%
48,69%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Distribuzione capillare Distribuzione selettiva Non pianificata
Metodo
Freq
uenz
a
Sui mercati esteri sono gli importatori a giocare un ruolo fondamentale raccogliendo
circa il 70% del fatturato delle aziende del campione. Al contrario del mercato italiano,
in termini di strategie di copertura, prevale la strategia estensiva. Questo dato va però
letto a confronto con quello relativo alla stragrande maggioranza delle imprese che non
ha alcuna strategia pianificata: questo significa che sui mercati esteri poche aziende
pianificano e tentano di essere presenti nei Paesi scelti in modo ampio, mentre la
maggioranza si affida a importatori che decidono la strategia di copertura in base ai
propri obiettivi aziendali.
* * *
36
Lateralmente alle variazioni di struttura di canale la ricerca ha voluto indagare le
eventuali modifiche intervenute nella struttura commerciale utilizzata dalle imprese del
campione per servire gli intermediari selezionati. Le tabelle 3.3.8 e 3.3.9 riportano i dati
relativi alla numerosità e alla tipologia delle strutture di vendita.
Tabella 3.3.8 – La dimensione della rete di vendita
N° totale componeti rete di vendita in Italia
2,78%11,81%13,89%13,19%
58,33%
4,86%13,19%18,06%11,11%
52,78%
5,59%13,99%
23,78%
6,99%
49,65%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
<10 10-20 20-50 50-100 >100
N° componenti
Freq
uenz
e
2001 2002 2003
Tabella 3.3.9 – La struttura della rete di vendita
Struttura della rete di vendita in Italia
3 3
16 16
19
3333
0
5
10
15
20
Rete diretta Agenti e rappresentantimonomandatari
Agenti e rappresentantiplurimandatari
Tipologia
Valo
ri m
edi
2001 2002 2003
Due dati emergono evidenti dalle tabelle: nell’ultimo triennio le dimensioni medie delle
reti di vendita delle aziende del campione stanno aumentando, con una diminuzione
marcata delle reti fino a 20 persone, e un aumento considerevole delle dimensioni
intermedie (fra 20 e 50) e un aumento consistente ma relativamente inferiore per quelle
37
di classi dimensionali molto elevate (più di 50); in secondo luogo, l’aumento delle
dimensioni appare dovuto soprattutto ad agenti e rappresentanti plurimandatari.
Alcune possibili giustificazioni per questi fenomeni sono le seguenti. In un periodo di
sviluppo del mercato del vino le aziende hanno cercato di migliorare la propria capacità
di copertura del mercato acquisendo una maggiore capillarità nella distribuzione dei
propri prodotti. Probabilmente la velocità dello sviluppo, insieme con l’incertezza sulla
possibilità che questo permanga nel tempo, ha spinto le imprese a non dotarsi di una
rete interna, bensì ad affidarsi a operatori specializzati ma con un portafoglio di marche
più ampio. Ancora una volta il trade off fra controllo del posizionamento e garanzia di
ampiezza delle copertura è stato risolto a favore di quest’ultima, con il rischio che i
propri elementi distintivi vengano affidati ai calcoli di convenienza e alle strategie di
mercato di operatori che selezionano le marche da inserire in portafoglio non
necessariamente secondo criteri di aderenza alle esigenze del mercato.
* * * Un ultimo aspetto relativo alla strategia distributiva a cui la ricerca è interessata è quello
degli strumenti di valutazione della performance distributiva. L’utilizzo di strumenti
formali di valutazione della performance è, infatti, sintomo della volontà e della
capacità di controllo dei canali distributivi utilizzati e delle relazioni con gli
intermediari. In tabella 3.3.10 sono riportati i risultati relativi ai vari strumenti.
Tabella 3.3.10 – Gli strumenti di valutazione della performance distributiva
Valutazione dei clienti intermedi
34,67% 36,55%
9,19%12,04%9,57%
48,74%
21,24%
31,47%
20,54%
32,98%
26,60%
23,12%29,53%
20,10%
27,64%
44,72%48,70%
63,30%54,45%
31,47%
69,73%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
CE per cliente Analisiconcorrenti
Fatturatoazienda/ fatt.
cliente
Prodotto inpromozione/
prodottovenduto
N° eventi/fatturato cliente
Contributimerchandising/fatturato cliente
Opportunità dicrescita
Metodo utilizzato
Freq
uenz
a
Regolarmente Talvolta Mai
38
Anche in questo caso appare che la toolbox delle aziende del campione risulta molto
limitata. Infatti la maggioranza dichiara di non utilizzare mai la gran parte degli
indicatori, con l’eccezione del grado di penetrazione sul cliente, per il quale viene
segnalato un utilizzo regolare o sporadico. Gli altri due strumenti/indicatori impiegati
con regolarità sono il conto economico per cliente e l’analisi delle opportunità di
sviluppo, quindi uno strumento di valutazione della redditività e uno di tipo più
strategico.
In termini generali, quindi, appare una situazione abbastanza polarizzata, con la
maggioranza delle aziende che, pur affidandosi con grande enfasi a intermediari esterni,
poi non ha la volontà o la capacità di misurare l’efficienza e l’efficacia delle proprie
scelte. Al contrario, emerge un nucleo di aziende più “avanzate” che controlla con una
certa regolarità e con una varietà di strumenti se le proprie scelte distributive sono
redditizie e orientate allo sviluppo futuro.
In termini generali emerge quindi un controllo notevole da parte degli intermediari sui
mercati che le aziende del campione intendono servire.
3.3.3 Le decisioni di marketing: le scelte di prezzo
Il prezzo dei prodotti gioca un ruolo fondamentale nelle strategie di marketing delle
imprese, sia in termini economici – in quanto garantisce il margine di copertura dei costi
e la redditività unitaria – sia in termini competitivi – perché segnala il posizionamento
del prodotto ai clienti.
La ricerca ha voluto indagare soprattutto l’elemento di differenziazione competitiva
connessa al prezzo, in primo luogo rilevando se nel triennio oggetto di analisi le imprese
avessero modificato il livello dei prezzi dei propri prodotti, e, in secondo luogo, se
emerge l’utilizzo di una strategia di discriminazione dei prezzi e su quali basi.
Come mostrato dalla tabella 3.3.11, con rarissime eccezioni, il triennio trascorso è stato
caratterizzato da un aumento medio dei prezzi per la maggioranza delle imprese del
campione, con un prevalenza del range fra il 5% e il 10% ma con una considerevole
presenza anche nel range dal 10% in su.
39
Tabella 3.3.11 – Le variazioni dei prezzi nel triennio 2001-2003
Variazione del prezzo medio
3,11% 0,89% 0%0,44% 0,89%
11,56%
31,11%25,33%26,67%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Riduzione< 5%
Riduzioneda 5 a10%
Riduzioneda 10 a
30%
Riduzione> 30%
Stabile Aumento< 5%
Aumentoda 5 a10%
Aumentoda 10 a
30%
Aumento> 30%
Variazione
Freq
uenz
a
In termini generali, è possibile fare due considerazioni. La prima è che probabilmente le
imprese hanno iniziato a utilizzare la leva prezzo come indicatore di qualità, e quindi,
in coincidenza di un miglioramento generale della qualità dei prodotti e di una maggiore
attenzione alla valorizzazione degli stessi, si è usciti dalla logica del prezzo quale
semplice vettore di economicità e si è passati a una sua considerazione anche dal punto
di vista comunicativo, e quindi di posizionamento. La seconda considerazione va un po’
più sulle intenzioni, e quindi ha meno basi su cui fondarsi: l’ipotesi che si avanza è
relativa a un certo opportunismo delle imprese, che, a fronte di un mercato in sviluppo,
forse hanno pensato di “monetizzare” il buon momento, aumentando i prezzi medi a
prescindere da un’equivalente miglioramento del sistema di offerta. Se questa ipotesi
avesse una solida base, ciò purtroppo segnalerebbe un rischio molto forte per le aziende
che hanno praticato tale percorso, poiché, in un momento di raffreddamento del
mercato, i consumatori tornerebbero a dare maggiore valore alla correttezza del rapporto
prezzo/qualità, e queste aziende sarebbero le prime a essere penalizzate.
E’ interessante verificare l’esistenza di differenze geografiche nel campione analizzato,
in termini di variazione dei prezzi medi. Come si può notare dalla tabella 3.3.12, sono
soprattutto le imprese del Nord, sia Ovest sia, soprattutto, Est, ad avere aumentato
maggiormente il prezzo medio dei propri prodotti, a fronte delle aziende del Centro e
del Sud e delle Isole i cui prezzi sono rimasti stabili o sono aumentati in linea con la
media del campione. Va comunque segnalato che la percentuale maggiore delle imprese
che dichiara un aumento considerevole dei prezzi medi è costituita da imprese del Sud e
delle Isole.
40
Tabella 3.3.12 – Le differenze geografiche nella variazione dei prezzi medi
Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole Mediarimasto stabile 22,4% 17,3% 35,7% 33,3% 26,9%aumentato meno del 5% 34,3% 21,2% 21,4% 18,5% 25,0%aumentato dal 5% al 10% 32,8% 44,2% 20,0% 33,3% 31,5%aumentato dal 10% al 30% 7,5% 17,3% 11,4% 7,4% 11,1%aumentato più del 30% 1,5% 0,0% 0,0% 3,7% 0,9%
ZONA GEOGRAFICA
Il secondo ambito di analisi ha riguardato la discriminazione dei prezzi, ovvero la
definizione di prezzi diversi per lo stesso prodotto in territori competitivi differenti,
nello specifico in aree geografiche (sia in Italia che all’estero) o in canali distributivi
diversi. La tabella 3.3.13 evidenzia che la maggioranza delle imprese del campione
adotta una strategia di prezzi differenziata per canale distributivo, segnalando quindi
una capacità di riconoscimento del diverso contributo di servizio che i vari canali
possono apportare e del diverso contributo all’immagine e al posizionamento del
prodotto. Allo stesso tempo, è interessante notare che circa un 30% del campione non
effettua alcuna discriminazione: questo risultato può essere giustificato in due modi: il
primo, è che alcune aziende non hanno la volontà o la capacità di negoziare un
contributo differenziale da parte dei diversi canali, oppure di riconoscere il differente
posizionamento nelle diverse aree geografiche e, quindi, sono disposte a vendere a tutti
allo stesso prezzo; il secondo, invece, è che alcune aziende distribuiscono su canali o su
territori abbastanza omogenei e quindi percepiscono la necessità di controllare il proprio
posizionamento, evitando che gli intermediari possano in qualche modo, variando i
prezzi, influenzarlo.
Per quanto riguarda invece il criterio geografico, prevale l’assenza di discriminazione
per area geografica, segnalando in questo modo la volontà di controllare il prezzo e il
posizionamento all’interno dei diversi mercati, in modo da evitar eventuali
comportamenti opportunistici o rivendicativi da parte degli intermediari della stessa
area.
41
Tabella 3.3.13 – La discriminazione dei prezzi
Politica di prezzo
24,12%
62,72%
13,16%29,39%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Differenziazione percanale
Diff. per zonagerografica Italia
Diff. per zonageografica estero
No differenziazione
Politica
Freq
uenz
a
L’analisi dei dati a livello di macro-aree regionali in Italia ha mostrato che non esistono
significative differenze fra le aziende delle varie macro-regioni, se non per la
discriminazione per aree geografiche all’estero, dove le imprese del Centro e del Sud e
delle Isole sono in media più propense alla discriminazione rispetto a quelle del Nord,
che, invece, in maggioranza, non discriminano. Ovviamente questo dato potrebbe avere
due giustificazioni opposte: la prima è che le aziende del Centro e del Sud e Isole,
riconoscendo le diversità competitive e di domanda dei vari mercati esteri, giocano la
leva prezzo come leva di posizionamento adattandola alle specificità dei vari mercati
nazionali; la seconda è che le imprese del Nord, volendo mantenere un forte controllo
sul posizionamento, non variano i prezzi nei diversi mercati. Volendo incrociare questi
risultati con quelli precedenti sull’utilizzo delle attività di monitoraggio del mercato,
appare più ragionevole la prima ipotesi.
3.3.4 Le decisioni di marketing: le scelte di comunicazione
La comunicazione è una leva fondamentale ai fini della creazione di un vantaggio
competitivo in quanto svolge un ruolo essenziale per la differenziazione del sistema di
offerta. La combinazione dei vari strumenti in un’ottica di comunicazione integrata e la
definizione di piani media adeguati rispetto ai target che si intende servire costituiscono
dunque due decisioni critiche ai fini di un corretto posizionamento e di un’efficace
costruzione dell’immagine nel mercato. Per questo motivo la ricerca ha voluto indagare
le scelte effettuate dalle imprese del campione, nel triennio in esame (tabella 3.3.14).
42
Tabella 3.3.14 – Gli investimenti in comunicazione nel triennio 2001-2003
Investimenti in comunicazione
1,76%1,14%
11,01%
2,09%7,20%
2,56%1,95%1,30%
28,90%
1,18% 1,81% 2,80%7,78%
2,23% 1,28%10,61%
27,70%
1,38% 2% 2,71%7,64%
2,76%
11,39%
26,00%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Pubblicitàinternazionale
Pubblicitànazionale
Pubblicitàlocale
Guidenazionali
Guideinternazionali
Fiere nazionali Fiereinternazionali
Merchandising
Tipologia investimento
Inve
stim
enti
in p
erce
ntua
le
2001 2002 2003
Investimenti in comunicazione (segue)
3,15% 3,80% 2,67% 2,99%1,19%3,65%4,39%6,31%2,91% 4,14%
2,55% 3,21%1,44%4,24%3,86%7,02%
2,79%3,86% 2,67% 3,69%1,89%4,21%4,64%7,86%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Comun
icazio
ne ne
l pdv
Promoz
ione ne
l pdv
Spons
orizz
azioni
Eventi
Sito in
ternet
Conco
rsi na
ziona
li
Conco
rsi in
terna
ziona
li
Relazio
ni co
i med
ia
Tipologia investimento
Inve
stim
enti
in p
erce
ntua
le
2001 2002 2003
Dai dati risulta una concentrazione degli investimenti su tre strumenti: le fiere, le guide
e gli eventi. In termini generali è evidente una certa coerenza fra il posizionamento di
aziende di qualità e la scelta di strumenti e mezzi di comunicazione altamente selettivi
in termini di target e notevolmente capaci di contribuire al rafforzamento del
posizionamento sulla qualità del prodotto. Infatti, per loro natura, sia le fiere, che le
guide, che gli eventi permettono di selezionare il target di comunicazione e non
43
disperdere gli investimenti, anche in funzione della dimensione media non eccessiva
delle aziende del campione.
In termini diacronici appare che le fiere internazionali stanno assumendo una valenza
maggiore rispetto a quelle nazionali, a significare un maggiore interesse delle imprese
verso i mercati internazionali. Parallelamente, le guide – sia nazionali che
internazionali – e gli eventi manifestano una costante crescita di attenzione, e quindi di
investimenti. E’ utile ricordare che, per quanto riguarda le guide, non si parla qui di
semplice presenza nelle guide stesse ma di investimenti pubblicitari (quindi di acquisto
di spazi pubblicitari), a rimarcare una scelta di comunicazione chiara piuttosto che una
presenza dovuta a un riconoscimento della qualità di prodotto raggiunta. Gli altri
strumenti – sia classici, come la pubblicità, sia selettivi, come la comunicazione sul
punto di vendita, i concorsi, e le altre attività di pubbliche relazioni – mostrano una
lieve crescita, ma, in termini assoluti, sono ben distanti dagli altri.
Dal punto di vista manageriale è interessante comprendere in che modo vengono
effettuate le scelte di investimento sugli strumenti e i mezzi di comunicazione. La
tabella 3.3.15, che presenta i risultati al riguardo, mostra che diversi metodi sono
impiegati dalle imprese del campione, spesso in modo combinato fra loro. Alcuni fra i
metodi più utilizzati, per quanto dotati di una chiara razionalità, mostrano una certa
“semplicità” nell’approccio. Decidere, infatti, in funzione delle risorse disponibili
oppure in seguito a sollecitazioni esterne (ovvero a stimoli provenienti in genere dai
proprietari degli spazi pubblicitari), oppure ancora in percentuale del venduto, mostra
un approccio alla comunicazione ancora limitativo: la comunicazione appare come una
leva considerata utile, solo quando altri investimenti (immaginiamo sul prodotto) siano
stati coperti. In questo senso quindi è da venire un utilizzo più strategico della
comunicazione stessa.
44
Tabella 3.3.15 – I metodi di scelta degli investimenti in comunicazione
Pianificazione del budget promo-pubblicitario
23,25%
45,61%41,23%
3,95%
21,49%
3,51%
26,32%
45,61%43,86%
21,49% 28,51%
47,81%46,05%
3,07%
23,68%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Percentuale sulvenduto
Imitazione concorrenti Funz. obiettivi Funz. risorse Funz. sollecitazioniesterne
Risposte percentuali
Mod
alità
dec
isio
nali
2001 2002 2003
3.3.5 Le relazioni con i fornitori specializzati di servizi di marketing
Da ultimo la ricerca ha voluto indagare il grado di apertura delle imprese del campione
verso soggetti dotati di competenze specialistiche relativamente alle analisi e alle scelte
di marketing. L’ipotesi alla base di questa parte dell’analisi era che aziende di
dimensioni non ampie, e quindi non dotate di risorse (anche umane) cospicue,
trovassero maggiormente conveniente una scelta di tipo buy – quindi di acquisizione
esterna – rispetto a una make – ovvero di investimento interno. I dati presentati nella
tabella 3.3.16 mostrano una situazione a due facce. La maggioranza delle aziende del
campione non utilizza in nessuna occasione i servizi offerti da società specializzate: in
presenza di imprese mediamente di dimensioni minori è facile ipotizzare che piuttosto
che l’opzione make, che comunque richiede la disponibilità interna di risorse
specializzate, la situazione prevalente è quella di un più artigianale “fai da te” in cui le
analisi e le decisioni vengono poste in essere secondo “buon senso”.
Emerge comunque una percentuale non minima delle imprese che, invece, segnala di
mantenere relazioni stabili con società specializzate, soprattutto per quanto riguarda la
comunicazione. In questa area, quindi, sembra emergere la percezione maggiormente
diffusa della necessità di un contributo specialistico, che le imprese non ritengono di
detenere al proprio interno.
45
Tabella 3.3.16 – Le relazioni con i fornitori specializzati
Utilizzo dei servizi di marketing
85,02% 85,29%
67,80%
81,37%
58,65%
5,31% 3,92%8,78% 7,80%
1,47% 1,49%7,21%
9,66% 10,78%17,07%
24,39%17,16%
8,46%
34,13%
90,05%74,15%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Imprese diconsulenza
nazionali
Imprese diconsulenza
locali
Agenzie dicomunicazione
nazionali
Agenzie dicomunicazione
locali
Istituti di ricercanazionali
Istituti di ricercalocali
Società di PR
Tipologia servizio
Freq
uenz
a
Regolarmente Solo su problemi specifici Mai
3.4 I fattori competitivi e le performance
Un ulteriore obiettivo della ricerca è quello di evidenziare se le aziende del campione
percepiscono di detenere fattori competitivi distintivi rispetto ai propri concorrenti, sia
relativamente al mercato nazionale, che a quelli internazionali. A questo scopo il
questionario prevedeva una batteria di domande riguardanti i potenziali fattori distintivi
in termini di gestione del prodotto (qualità, innovazione, confezione ecc.), della
comunicazione (tipologia di strumenti e dei mezzi), dei prezzi, dei canali distributivi e
della rete di vendita (tipologia e gestione), del marketing in generale (azioni e risultati).
I fattori distintivi sul mercato nazionale
La tabella 3.4.1 presenta i valori medi per ognuno dei fattori ritenuti distintivi della
propria posizione competitiva sul mercato nazionale3.
3 I giudizi sono stati rilevati su una scala da 1 a 7, dove 1 sta a indicare “per nulla distintivo” e 7 “molto distintivo”.
46
Tabella 3.4.1 – I fattori competitivi distintivi sul mercato italiano (valori medi)
Elementi distintivi nazionali
5,16
4,00 4,07 4,11
2,93 2,70 2,80
3,79 4,054,74
3,63
2,653,423,51
4,224,324,244,29
1
2
3
4
5
6
7
Qualità
Innov
ativit
à
Confez
ione
Conve
nienz
a
Prezzo
elev
ato
Reperi
bilità
Canali
spec
ializz
ati
Notorie
tà
Rete di
vend
ita
Comun
icazio
ne ne
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Mercha
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Comun
icazio
ne su
l pdv
Pubbli
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Spons
orizz
azione
Degus
tazion
e
Relazio
ni co
i med
iaFier
e
Guide s
pecia
lizza
te
Elementi
Valo
ri m
edi
Dalla tabella emerge come i fattori ritenuti maggiormente distintivi, rispetto alla
concorrenza sul mercato nazionale (ovvero che mostrano un punteggio superiore alla
media), si riferiscono soprattutto all’area del prodotto (qualità e innovatività) e della
presenza in canali o mezzi di comunicazione specializzati (le guide). A un livello
leggermente più basso (ma sempre superiore alla media) si posizionano la convenienza
dei prezzi, la possibilità di far degustare il prodotto e la competenza delle rete di
vendita. Ben al di sotto della media si posiziona l’utilizzo di strumenti classici di
comunicazione nei mercati di consumo, quali la pubblicità, le sponsorizzazioni e l’area
della comunicazione sul punto di vendita.
Quello che appare, quindi, è la considerazione che la distintività rispetto ai concorrenti
si conquista sul presidio di un sistema di valore che ruota intorno al prodotto: tale
sistema è alimentato dalle relazioni con soggetti “esperti” (canali e guide specializzati),
a cui viene affidato il compito di trasferire questo valore al pubblico dei consumatori. A
livello generale quindi, appare che le imprese del campione tendono a ritenere che i
fattori critici di successo non risiedono tanto nelle relazioni dirette con i consumatori,
bensì con dei soggetti intermedi. Gli elementi tradizionalmente afferenti alla sfera del
marketing non sono percepiti come perni su cui costruire un sistema di valore.
Questi sono i risultati medi, quindi rappresentativi del quadro generale di riferimento. Si
è ritenuto però interessante capire se alcuni elementi ritenuti distintivi fossero
fortemente correlati tra di loro, a evidenziare un unico insieme di fattori distintivi. In
sostanza la domanda a cui si è tentato di rispondere è la seguente: esistono elementi
47
distintivi che vengono sistematicamente segnalati congiuntamente? A questo scopo è
stata effettuata un’ulteriore analisi (tramite una tecnica statistica denominata factor
analysis), i cui risultati mostrano l’esistenza di cinque gruppi differenziati di fattori
competitivi ritenuti distintivi sul mercato italiano:
• la comunicazione integrata;
• il presidio del mercato;
• la comunicazione specializzata;
• la gestione del prodotto;
• il prezzo.
Con comunicazione integrata si è nominato una gruppo di fattori afferenti alla sfera
dell’utilizzo di diversi strumenti di comunicazione: pubblicità, comunicazione e
merchandising sul punto vendita, sponsorizzazioni e comunicazione effettuata in
cantina. La combinazione di questi strumenti viene considerata quindi come un unico
fattore distintivo a livello competitivo.
Un ulteriore insieme di fattori distintivi è quello connesso alla capacità di costruire e
mantenere solide relazioni con il mercato, denominato presidio del mercato: le
competenze della rete di vendita, la notorietà della marca, le relazioni con i canali che
generano facile reperibilità, le relazioni con i canali specializzati. In questo caso, quindi,
le imprese segnalano che essere presenti nel mercato (in altri termini noti, reperibili, con
una buona reputazione costruita tramite i canali specializzati, e con una rete in grado di
sostenere queste relazioni) permette di distinguersi dalla concorrenza.
Il terzo gruppo di elementi distintivi è costituito dalla comunicazione specializzata. Per
alcune aziende, cioè, la presenza nelle fiere specialistiche, la presentazione e la
degustazione del prodotto in eventi, la presenza sulle guide specializzate e l’efficace
relazione con i media, è il reale fattore di distintività rispetto ai concorrenti.
La gestione del prodotto costituisce il quarto fattore competitivo. Con questo gruppo
vengono segnalati diversi aspetti afferenti al prodotto: la sua qualità, l’innovatività, la
confezione. Quindi emerge una gestione del prodotto a tutto tondo, in termini di
sperimentazione, di controllo e anche di efficace presentazione.
Da ultimo il prezzo, considerato soprattutto in termini di convenienza e non di
posizionamento elevato.
48
Di conseguenza, da un’analisi più approfondita dei fattori competitivi distinti, emerge
che, se al livello medio il sistema del valore ruota intorno al prodotto, imprese diverse
cercano di costruire la propria distintività su fattori differenti, tra cui il prodotto è
sicuramente un asse importante, ma a fianco del quale emergono fattori distintivi
maggiormente legati a elementi tipici del marketing, quali il presidio del mercato, la
comunicazione e il prezzo.
A questo punto risulta interessante verificare se i fattori distintivi evidenziati
corrispondono a imprese diverse, ovvero se ai gruppi di fattori descritti prima possono
essere associate tipologie di imprese con caratteristiche differenti. In sostanza si è
voluto rispondere alla domanda: esistono gruppi di imprese che segnalano gli stessi
fattori distintivi? E se sì, che tipo di caratteristiche hanno?
Per effettuare questa verifica si è utilizzata la cluster analysis, una tecnica che permette
di raggruppare le aziende per omogeneità rispetto ai fattori evidenziati e poi di
descrivere l’eventuale presenza di specifiche caratteristiche in grado di distinguere tali
aziende. In particolare le caratteristiche su cui si è posta attenzione sono quelle
strutturali (dimensione, localizzazione geografica, tipologia di processi in cantina) e
quelle relative alle scelte produttive e commerciali effettuate. Dall’analisi sono emersi
quattro gruppi (cluster) di imprese:
1. orientate alla comunicazione;
2. poco orientate, e solo al prezzo;
3. orientate al presidio del mercato;
4. orientate alla valorizzazione del prodotto.
1. Le imprese orientate alla comunicazione sono quelle che descrivono i propri elementi
distintivi sul mercato nazionale in termini di utilizzo integrato di una varietà di
strumenti di comunicazione non specialistici (tipicamente pubblicità, sponsorizzazioni,
comunicazione sul punto di vendita e in cantina).
Rispetto alle altre imprese del campione, queste – che rappresentano il 13,09% - in
termini di struttura sono caratterizzate per una maggiore presenza rispetto alla media di
imprese del Nord-Ovest, con mercato di sbocco prevalentemente nazionale, di piccole
dimensioni (tra 10 e 50 ha, con produzione tra 10.000 e 100.000 bottiglie annue), con
una rete di vendita soprattutto indiretta di dimensioni fra 20 e 50 persone.
49
In termini di marketing, questo cluster è composto in prevalenza da imprese che non
svolgono mai ricerche di mercato (di nessun genere), con conseguente scarsa apertura
verso competenze specialistiche esterne (agenzie di comunicazione, istituti di ricerca,
consulenti), che utilizzano pochissimi strumenti di valutazione dell’efficacia e
dell’efficienza delle relazioni con gli intermediari commerciali, e che, per le scelte
commerciali relative ai mercati internazionali, imitano soprattutto i concorrenti,
affidandosi in prevalenza a scout ma non ad agenti.
2. Il secondo cluster – che rappresenta il 24,61% del campione – è costituito dalle
imprese poco orientate, e solo al prezzo. Questo gruppo è il più pallidamente definito in
termini di scelte di relazione con il mercato, e il prezzo risulta l’unica variabile che
desta l’attenzione. La presenza di queste imprese nel mercato è talmente “leggera”, sia
in termini di caratteristiche strutturali che di scelte commerciali, che risulta veramente
difficile connotarle in modo chiaro e distinto. Sicuramente sono, nel campione
analizzato, le meno orientate al mercato. In termini strutturali, il cluster è costituito in
prevalenza da imprese del Centro-Nord (soprattutto Ovest), con la minore propensione
all’internazionalizzazione di tutto il campione, con le seguenti caratteristiche: piccole
dimensioni (meno di 20 ha e meno di 100.000 bottiglie annue), con rete di vendita
minore di 10 persone.
Si caratterizzano per la totale assenza di utilizzo di strumenti di analisi del mercato e
delle relazioni con gli intermediari. Quelle poche che operano sui mercati esteri si
affidano in prevalenza ad agenti.
3. Il terzo cluster è composto da imprese orientate al presidio del mercato, e
rappresenta il 29,32% del campione. Si è preferito definire il cluster come orientato al
“presidio del mercato” e non semplicemente “al mercato”, perché queste imprese
mostrano soprattutto volontà e capacità di mantenere una consolidata e stabile presenza
sul mercato, garantendosi facile reperibilità e buone relazioni con gli intermediari
commerciali.
In termini strutturali, sono imprese prevalentemente del Centro Italia, con una buona
presenza di imprese di dimensioni medie (dai 20 ai 50 ha, con produzione tra 100.000 e
500.000 bottiglie) e con la maggiore presenza, nel campione, delle imprese di maggiori
dimensioni (dai 100 ha in su, con più di tre milioni di bottiglie). Anche le dimensioni
50
strutturali della rete di vendita sono allineate, con la maggiore prevalenza di reti fra 20 e
50 persone, con qualche caso di reti con più di 100 persone.
E’ composto, inoltre, dalle imprese con la più elevata propensione
all’internazionalizzazione, garantita sia dall’utilizzo di agenti (con la maggiore
concentrazione di aziende del campione che fanno tra il 20 e il 50% del fatturato estero
tramite agenti, e con una buona presenza di aziende che fanno dal 50 al 99%), sia dal
ricorso a trading companies (la maggiore rappresentanza nel campione): in particolare
sono molto autonome nelle scelte di internazionalizzazione, segnalandosi come il
gruppo più consistente del campione che indica di non imitare mai ciò che fanno i
concorrenti. Sempre relativamente all’internazionalizzazione, tali aziende si
caratterizzano anche per la sistematica presenza a fiere internazionali.
Le aziende di questo cluster, inoltre, coerentemente con l’orientamento al presidio del
mercato sono sia buone utilizzatrici di strumenti di analisi di mercato (molte dichiarano
di utilizzarle regolarmente), sia di metodi di valutazione dell’efficienza ed efficacia
delle proprie scelte distributive, sia aperte nei confronti di competenze apportate
dall’esterno. Infatti sono prevalentemente aziende con relazioni consolidate di
partnership con agenzie di comunicazione (soprattutto locali) e la maggiore
rappresentanza del campione di aziende che utilizzano istituti di ricerca di mercati
nazionali; al contrario, non sono tipiche utilizzatrici di servizi di consulenza di
marketing.
Per misurare le performance delle proprie scelte distributive, tali aziende segnalano un
sistematico uso della valutazione delle potenzialità di sviluppo dei propri clienti e,
quindi, delle proprie vendite potenziali, ma un utilizzo meno sistematico di tutti gli altri
strumenti: contributi merchandising su fatturato del cliente, valutazione numero di
eventi per cliente su fatturato del cliente, grado di penetrazione sul cliente (in termini di
percentuale di fatturato del cliente coperto dall’azienda).
Da ultimo, coerentemente con la volontà di distinguersi per solide relazioni distributive,
le aziende di questo cluster tendono a non differenziare i prezzi per canale distributivo.
4. Le imprese orientate alla valorizzazione del prodotto – il 32,98% del campione –
costituiscono il quarto cluster. Si caratterizzano per il presidio di tre fattori distintivi: la
gestione del prodotto, la gestione della comunicazione su mezzi specializzati (guide e
fiere), l’attenzione al prezzo. Si è deciso di denominarle “orientate alla valorizzazione”
proprio perché non mostrano di essere focalizzate solo sulla garanzia della qualità e
51
dell’innovazione del prodotto, ma pongono una corretta attenzione ai mezzi di
comunicazione che permettono di trasferire un’immagine di qualità coerente, e
un’altrettanto debita attenzione al prezzo.
Sono in prevalenza aziende del Sud e delle Isole e del Nord Est. Sono prevalentemente
imprese di micro o medie dimensioni: infatti rappresentano la più elevata presenza nel
campione di aziende con meno di 10.000 e tra 100.000 e 500.000 bottiglie/anno. In
termini di superficie vitata si concentrano fra i 10 e i 100 ettari (con una polarizzazione
nelle classi da 10 a 20 e da 50 a 100). Le dimensioni della rete di vendita sono coerenti,
con una maggiore presenza nelle classi: minore di 10 persone e tra 50 e 100.
Le aziende di questo cluster mostrano un buon grado di internazionalizzazione (le
seconde dopo il cluster 3), che viene perseguito in termini distributivi sia tramite
l’utilizzo di scout internazionali, che tramite agenti e tramite relazioni dirette.
Relativamente all’utilizzo degli agenti, questo cluster evidenzia una polarizzazione delle
imprese: infatti, c’è una compresenza di imprese con una percentuale di fatturato estero
realizzato tramite agenti compresa fra il 50 e il 99%, contestualmente alla più elevata
percentuale di imprese che fa meno del 20% del fatturato estero tramite agenti. Inoltre,
le imprese di questo gruppo sono le più assidue frequentatrici di fiere internazionali.
In questo cluster sono rappresentate inoltre le imprese che utilizzano più regolarmente
ricerche di marketing (sul posizionamento dei marchi, sui mercati internazionali), più
regolarmente un ampio insieme di strumenti di analisi della performance distributiva
(penetrazione, numero di eventi su fatturato del cliente, contributo merchandising su
fatturato del cliente, analisi delle opportunità di sviluppo del cliente). Sono imprese,
inoltre, che fanno il maggiore ricorso a società di consulenza di marketing, hanno
regolari relazioni con agenzie di comunicazione locali, mentre utilizzano istituti di
ricerca nazionali solo su problemi specifici.
Da ultimo, come nel cluster 3, anche le imprese del cluster 4 non differenziano il prezzo
dei prodotti per i diversi canali.
52
I fattori distintivi sui mercati internazionali
La tabella 3.4.2 presenta i risultati ottenuti in termini medi di vari elementi su cui è stato
rilevato un giudizio di distintività.
Tabella 3.4.2 – I fattori competitivi distintivi sul mercato internazionale (valori medi)
Elementi distintivi internazionali
3,063,73
2,70 2,683,05 2,75
2,10 2,02 1,85
2,98 2,74
3,643,11
2,27
3,333,253,33
4,37
1
2
3
4
5
6
7
Qualità
Innov
ativit
à
Confez
ione
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a
Prezzo
elev
ato
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Canali
spec
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Spons
orizz
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Degus
tazion
e
Relazio
ni co
i med
iaFier
eGuid
e
Elementi
Valo
ri m
edi
Dai dati si evince che, al contrario dei fattori competitivi ritenuti distintivi sul mercato
nazionale, su quelli internazionali le percezioni sono molto meno nitide. Infatti, a parte
la qualità del prodotto – unico valore superiore al 4 – e la convenienza dei prezzi e la
presenza sulle guide specializzate, tutti gli altri elementi relativi al prodotto, alla
distribuzione e alla comunicazione non vengono segnalati come distintivi. Tutto ciò fa
emergere il sospetto di uno scarso controllo dei fattori critici di successo nei mercati
internazionali, da cui un generico richiamo al rapporto prezzo-qualità come unico
elemento di differenziazione. In termini di percezioni, dunque, i mercati internazionali
sembrano “lontani”, anche per quelle aziende che vi operano con sistematicità. Con
grande probabilità l’approccio all’internazionalizzazione è stato di tipo “causale”,
ovvero stimolato dall’esterno (scout, importatori ecc.) e questa sorta di peccato di
origine si è mantenuto nel tempo, facendo permanere i caratteri di scarsa conoscenza e
scarso radicamento negli stessi.
Come per i fattori competitivi nazionali, anche in questo caso si è proceduto con
un’analisi fattoriale e una cluster analysis per provare a evidenziare una correlazione fra
i fattori distintivi e, eventualmente, la presenza di gruppi omogenei d’imprese
accomunate dalla percezione di distintività costruita sugli stessi fattori.
53
Per quanto riguarda l’analisi fattoriale, emergono quattro fattori distintivi, denominati:
• comunicazione integrata;
• gestione delle relazioni chiave;
• innovatività;
• presidio del rapporto qualità/prezzo.
Per comunicazione integrata s’intende la gestione degli strumenti di comunicazione
integrata: quindi sia quelli classici (pubblicità, sponsorizzazione) sia quelli più diretti
(comunicazione e merchandising sul punto vendita, comunicazione in cantina).
Per gestione delle relazioni chiave, invece, s’intende il presidio delle relazioni con gli
attori principali del “sistema-vino” – canali specializzati, guide, media, fiere – attraverso
competenze di vendita e distributive e investimenti volti a costruire notorietà della
marca.
L’innovatività riguarda gli aspetti di prodotto ulteriori rispetto alla qualità, tipicamente
l’innovazione di prodotto e la tipologia di confezione.
Da ultimo, il presidio del rapporto qualità/prezzo riguarda proprio la combinazione dei
due elementi costitutivi del rapporto. Questo fattore dà evidenza quindi alla
considerazione dell’offerta di un buon valore per il cliente, ma, allo stesso modo, data la
genericità del concetto di qualità, rischia di nascondere semplicemente un
posizionamento di “buon senso”.
La cluster analysis ha fatto emergere cinque gruppi omogenei di imprese, denominati:
1. orientate all’innovazione;
2. orientate alle relazioni;
3. orientate alla convenienza;
4. orientate alla comunicazione;
5. orientate alla valorizzazione del prodotto.
E’ interessante notare che la localizzazione geografica non è una variabile in grado di
distinguere i vari cluster, ovvero non esiste una concentrazione di imprese localizzate in
alcune aree geografiche all’interno dei vari cluster, confermando che
54
l’internazionalizzazione è vocazione, e strategia, più della singola azienda che della
zona geografica.
1. Le imprese orientate all’innovazione sui mercati internazionali rappresentano il
gruppo meno numeroso del campione, il 7,46%. E’ costituito da imprese medio-grandi
(da 500.000 bottiglie a tre milioni), ma non emergono caratteristiche strutturali
distintive, se non la presenza, maggiore che nella media del campione, di imprese che
producono vino spumante. Le imprese orientate all’innovazione mostrano una certa
apertura verso gli strumenti di analisi del mercato: infatti effettuano con una certa
regolarità ricerche di mercato, hanno rapporti di partnership sia con agenzie di
comunicazione (eminentemente locali), sia con agenzie di PR e di organizzazione di
eventi, sia con società di consulenza. Gli elementi maggiormente caratterizzanti queste
imprese riguardano gli investimenti in comunicazione: dal 20 al 50% degli investimenti
in comunicazione è effettuato sulle guide nazionali, un ulteriore e simile ammontare
(dal 20 al 50%) è effettuato sulle fiere internazionali, e un’altra non piccola parte (fino
al 20%) è dedicata alle attività di merchandising sul punto di vendita. Di conseguenza
emerge un quadro di aziende attente all’innovazione, e soprattutto attente alla
comunicazione di quest’ultima su mezzi di comunicazione, che possano svolgere un
ruolo di volano per la domanda internazionale: sia le guide nazionali (evidentemente
utilizzate anche da compratori esteri), sia direttamente fiere internazionali sia
comunicazione diretta.
2. Il cluster di aziende orientato alle relazioni rappresenta il gruppo più consistente del
campione: il 37,16%. Tale dato sembra confermare che il processo
d’internazionalizzazione da parte della maggioranza delle imprese del campione è visto
soprattutto come il processo di costruzione di solide relazioni con alcuni attori chiave
del sistema-vino internazionale. Questo cluster è costituito da aziende mediamente più
piccole di quelle del cluster precedente, ma pur sempre di dimensioni medie
(tipicamente da 100.000 a un milione di bottiglie). Le aziende sono moderate
utilizzatrici di competenze specialistiche di marketing: infatti i rapporti con agenzie di
comunicazione, società di PR e di consulenza sono solo su problemi specifici. La vera
specificità è che questo è il gruppo che investe meno in guide nazionali (circa il 44%
non investe nulla del proprio budget di comunicazione su questo mezzo) e più sulle
fiere internazionali (dal 20 al 99% del budget): la fiera diviene quindi il vero momento
55
di contatto e di sviluppo delle relazione con gli attori chiave e di costruzione e sviluppo
della notorietà di marca dell’azienda.
3. Le aziende orientate alla convenienza rappresentano il terzo cluster in termini
dimensionali: il 31,76% del campione. Sono soprattutto piccole aziende (la gran parte si
concentra nelle classi di produzione inferiori a 100.000 bottiglie) e probabilmente in
questo sta la spiegazione del loro orientamento alla convenienza. La scarsa dimensione
non permette a queste aziende di costruirsi un’immagine e un posizionamento in termini
di innovatività né probabilmente di mantenere una rete di relazioni con attori chiave,
motivo per cui la distintività sui mercati internazionali non può che basarsi sul prezzo,
corrisposto da una garanzia di buona qualità. Questa ipotesi è confermata anche dalla
sostanziale inesistenza di relazioni con società specializzate in attività di marketing
(comunicazione, consulenza, PR). La conferma che l’internazionalizzazione per queste
aziende è un’attività piuttosto saltuaria è data anche dalla limitatissima presenza alle
fiere internazionali (è il cluster con la maggiore concentrazione di imprese che dedica lo
0% del proprio budget a questa forma di comunicazione), al contrario degli investimenti
su guide nazionali che raggiungono quote dal 50 al 99% del budget.
4. Le aziende orientate alla comunicazione costituiscono il quarto cluster e
rappresentano il 9,46% del campione. E’ il cluster maggiormente rappresentativo delle
aziende di media dimensione (da 100.000 a 500.000 bottiglie) e con la più alta
concentrazione di produttori di spumanti. Un dato interessante è che queste aziende
risultano le meno propense all’innovatività all’interno del campione. Mostrano una
notevole attenzione alla diversificazione delle attività di comunicazione, segnalando una
partnership con società di PR e organizzatrici di eventi, una buona concentrazione degli
investimenti sia sulle guide nazionali sia sulle fiere nazionali che su quelle
internazionali (dal 20 al 50% del budget). Anche per le aziende di questo cluster, però,
l’internazionalizzazione più che una strategia sembra una tradizione: essendo poco
propense all’innovazione, l’approccio ai mercati internazionali sembra essere definito in
termini di mera presenza, lasciando ad attori esterni il compito di manifestare interesse e
stimolare la relazione.
56
5. L’ultimo cluster – il 14,19% del campione – è costituito dalle imprese orientate alla
valorizzazione del prodotto. Si è deciso di denominarle così perché queste imprese si
distinguono per il presidio congiunto sia dell’innovatività, sia del rapporto
qualità/prezzo, sia della comunicazione. Rispetto alle precedenti, quindi, queste aziende
dimostrano un’intenzione di costruzione di un posizionamento nel mercato
internazionale gestendo il prodotto non solo in termini di qualità, ma anche di
innovatività, ponendo una giusta attenzione al prezzo, e comunicando il valore del
prodotto attraverso i diversi strumenti di comunicazione integrata. Risalta la minore
attenzione posta alla gestione delle relazioni chiave che difatti avvicina queste aziende a
quelle del primo cluster, orientato all’innovazione: l’atteggiamento che sembra
emergere è quello di imprese convinte che la cura data al prodotto, adeguatamente
comunicata, sia comunque in grado di attrarre il mercato internazionale. Anche in
questo caso il cluster è costituito da aziende mediamente piccole (fino a 100.000
bottiglie), con una grande attenzione al mercato: infatti emerge una certa regolarità
nell’uso delle ricerche di mercato, la presenza di rapporti di partnership con società di
PR e organizzazione di eventi, con società di consulenza ma non di comunicazione.
Queste imprese rappresentano le più regolari presentatrici alle fiere nazionali, e,
coerentemente con l’obiettivo di valorizzazione, suddividono abbastanza equamente gli
investimenti sulle guide nazionali, le fiere internazionali e il merchandising sul punto
vendita (fino al 20% del budget per ognuna delle attività precedenti).
I fattori distintivi e le performance
I fattori competitivi distintivi richiamano le scelte strategiche e operative effettuate dalle
imprese con lo scopo di acquisire un vantaggio sui propri concorrenti e, quindi, delle
performance sia competitive che economiche positive e differenziali.
Per verificare se la scelta di alcuni fattori distintivi sia risultata premiante sui mercati
nazionali e su quelli internazionali, si è misurata la correlazione fra i singoli fattori e gli
indicatori di performance nel triennio 2001-2003: variazione media del fatturato,
variazione media dell’utile, variazione della quota di mercato.
Innanzitutto il primo risultato interessante che emerge è che né per la variazione del
fatturato né per quella della quota esistono delle correlazioni significative sul mercato
sia nazionale che internazionale. Ciò vuol dire che piuttosto che la scelta dell’uno o
dell’altro fattore distintivo, le variazioni positive di fatturato e di quota sono dipese
dalla coerenza dei fattori distintivi scelti con le risorse e le competenze della singola
57
impresa. Non sembra emergere quindi, nel triennio in questione, una scelta “vincente”
né sui mercati nazionali che internazionali relativamente a uno dei fattori risultanti
dall’analisi fattoriale.
Una significativa differenza emerge invece relativamente all’utile. Sul mercato
nazionale, infatti, l’incremento medio maggiore dell’utile nel triennio è correlato alla
scelta di distinguersi in termini di gestione del prodotto, ovvero in termini di qualità,
innovatività e tipo di confezione. Quindi, essendo il cluster di imprese orientate alla
valorizzazione del prodotto quello che pone maggiore enfasi sulla distintività ottenuta
sulla gestione del prodotto, è possibile affermare che l’orientamento alla valorizzazione
del prodotto sul mercato nazionale è stato, nel triennio 2001-2003, il più premiante in
termini di incremento medio dell’utile.
Leggermente diverso è invece il risultato per quanto riguarda il mercato internazionale.
Infatti in questo caso la correlazione positiva con l’incremento medio dell’utile è della
distintività ottenuta sull’innovatività – quindi innovazione di prodotto e attenzione alla
tipologia di confezione. In questo caso, sono due i cluster di imprese che mostrano una
maggiore enfasi posta sull’innovatività: sia quelle orientate all’innovatività sia quelle
orientate alla valorizzazione del prodotto. Di conseguenza è possibile sostenere che
l’orientamento all’innovatività e quello alla valorizzazione del prodotto sul mercato
internazionale, nel triennio 2001-2003, sono stati i più premianti in termini di
incremento medio dell’utile.
In sintesi, quindi, se i dati mostrano che sia il fatturato che la quota di mercato sono
variate nel triennio oggetto dell’analisi in funzione non tanto della scelta di alcuni
specifici fattori competitivi, ma della coerenza di questi con le risorse e competenze
delle imprese, l’incremento medio dell’utile è associabile soprattutto all’enfasi posta
sulla valorizzazione del prodotto, e in particolare sull’innovatività, sia sul mercato
nazionale che internazionale: dove valorizzazione va intesa come capacità di creazione
di valore per il cliente tramite l’attenzione posta su tutti gli aspetti relativi alla gestione
del prodotto, e anche come capacità di comunicazione di tale valore al mercato,
attraverso una serie di strumenti adeguati.
58
3.5 Gli scenari futuri
L’ultimo dei temi di ricerca ha riguardato le percezioni sul futuro delle imprese del
campione. L’obiettivo è di comprendere quali fattori strutturali, competitivi, distributivi,
di prodotto, comunicativi e commerciali in genere, siano percepiti come di importanza
crescente nei prossimi anni.
La tabella 3.5.1 presenta i valori medi dei giudizi relativi ai vari fattori.
Tabella 3.5.1 – Gli scenari futuri: gli elementi costitutivi (valori medi)
Gli elementi costitutivi degli scenari ritenuti particolarmente probabili riguardano vari
aspetti. In primo luogo, viene confermata la rilevanza assoluta della qualità dei
prodotti. Questo conferma la tendenza caratterizzante l’intero sistema vinicolo italiano
degli anni più recenti, per cui l’attenzione alla qualità è stata ed è tuttora un catalizzatore
degli investimenti e degli sforzi sia produttivi sia competitivi - come visto nei paragrafi
precedenti - delle imprese. Con un valore elevato, e sempre con riferimento alla sfera
del prodotto, emerge anche la percezione della rilevanza di avere vini provenienti da
vitigni autoctoni. In un ambito in cui la competizione è sempre più intensa, e la
Sce nari
4,04
4,84
3,91
5,074,90
2,97
3,82
5,50
4,59
3,06
4,694,70
4,184,46 4,53
3,56
5,915,65
4,614,18
4,59
4,00
5,565,52
3,54
4,55
4,99
6,23
4,034,084,47
4,95
3,59
5,715,35
5,14
3,76
5,735,79
4,08
5,14
1
2
3
4
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Spon
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Valo
ri m
edi
59
differenziazione sulle qualità tende a sfumare quando la qualità media è elevata, la
ricerca di valorizzazione delle varietà clonali autoctone permette di ristabilire un
differenziale competitivo sia nei confronti dei concorrenti italiani sia, soprattutto,
internazionali. In linea con le precedenti, emerge l’importanza – con valori superiori alla
media – associata alla capacità di sviluppo di nuovi prodotti e alla selezione clonale.
La significatività di questi elementi a fini di differenziazione è confermata
dall’emergere forte dell’importanza associata sia all’aumento dell’intensità competitiva
in generale sia, in particolare, alla concorrenza crescente da parte di aziende straniere,
soprattutto sul mercato estero.
E’ interessante notare come, sempre a livello medio del campione, gli elementi ritenuti
d’importanza crescente subito dopo la qualità del prodotto fanno riferimento al
marketing genericamente inteso e alla distribuzione in particolare. Vengono infatti
segnalati come sempre più importanti sia l’immagine e la notorietà di marca, sia il
marketing in generale. Sembra emergere quindi la percezione che, dopo aver garantito
un livello qualitativo dei prodotti elevato, sarà sempre più importante costruire, sulla
base di tale qualità distintiva, una solida relazione con il mercato, utilizzando le
competenze di marketing per affermare una marca e per costruire e mantenere
un’immagine distintiva. In altre parole, dopo il periodo di sviluppo occorso nel
decennio passato e costruito sull’innalzamento della qualità dei prodotti, il settore
sembra aver compreso che il futuro necessita sempre più di attenzione verso il mercato,
quindi di valorizzare il prodotto attraverso relazioni durature e proficue con i
consumatori. A conferma ulteriore della propensione verso un maggiore presidio delle
relazioni col mercato sta anche l’importanza elevata associata alla possibilità di avere
una rete di vendita diretta.
Quando si passano ad analizzare gli strumenti di marketing classici, a livello
distributivo si conferma la rilevanza ritenuta ancora crescente del ruolo dei canali
specializzati, e comunque del canale lungo (grossisti), relativamente alla grande
distribuzione, su cui il giudizio di importanza si attesta su un valore medio. Sembra,
quindi, che venga confermata l’importanza di un sorta di circolo virtuoso della qualità,
che viene creata in vigna e in cantina, ma che poi deve essere trasferita adeguatamente
al mercato con competenze elevate, che sono ancora percepite come presenti nel
dettaglio specializzato, ma non nella grande distribuzione.
Interessante è anche l’insieme di percezioni relative alla comunicazione. Infatti, a fronte
di un’importanza elevata associata alla comunicazione in generale, che va di pari passo
60
con la rilevanza del presidio del mercato, emerge una certa freddezza sugli strumenti
tradizionali (pubblicità sui vari mezzi e sponsorizzazione). Invece, a fianco di una
conferma del ruolo delle fiere, ma con un giudizio solo leggermente superiore alla
media - quasi a segnalare che le fiere abbiano raggiunto oramai la maturità in termini di
capacità comunicativa – emergono con grande significatività innanzitutto gli strumenti
innovativi di comunicazione, e in seconda battuta, la comunicazione e il merchandising
sul punto di vendita. In sintesi, quindi, ciò che appare è che la comunicazione
tradizionale dei beni di largo consumo manifesta dei limiti di credibilità nel settore, che
ritiene che la complessità del prodotto vada comunicata in modo diverso, ricercando un
contatto diretto coi consumatori, oppure attraverso canali nuovi.
Da ultimo, un accenno al prezzo, solo per segnalare che l’unico elemento ritenuto
importante negli scenari futuri è la convenienza. Riteniamo che questo sia da
interpretare più come elemento di una corretta proposizione di valore al cliente, che
come elemento di differenziazione competitiva: infatti questo dato suona quasi come un
promemoria e un monito, visti gli incrementi medi nei prezzi di vendita segnalati nel
triennio.
Anche nel caso degli elementi costitutivi degli scenari futuri si è deciso di verificare la
presenza di fattori, ovvero di combinazioni di elementi molto correlati fra di loro. I
risultati dell’analisi fattoriale evidenziano la presenza di dieci fattori:
• le attività sul punto di vendita, questo fattore evidenzia la crescente importanza
delle specifiche attività poste in essere sul punto di vendita: merchandising,
comunicazione e promozione;
• la gestione delle relazioni di canale, questo fattore associa l’importanza relativa
alle relazioni di canale, tipicamente con grossisti (di qualunque tipologia
geografica) e con la grande distribuzione;
• la gestione del marketing e della comunicazione, in questo fattore sono associati
gli elementi relativi alla comunicazione in generale, agli eventi e agli strumenti
innovativi di comunicazione, e al marketing;
• l’aumento della concorrenza, questo fattore segnala l’incremento d’importanza
della concorrenza in generale, e quella delle aziende straniere in particolare;
• la gestione della marca, con questo fattore s’intende la percezione di maggiore
importanza della notorietà e dell’immagine di marca;
61
• le fiere, con questo s’intende la rilevanza delle fiere sia nazionali che
internazionali;
• la gestione del prodotto, in questo fattore sono correlate le percezioni di
aumentata rilevanza relative alla qualità, alla selezione clonale e ai vitigni
autoctoni;
• l’innovazione di prodotto, in questo fattore sono invece correlate le percezioni di
importanza legate alla capacità di lanciare nuovi prodotti, alla capacità di
ampliare la gamma, e alla tipologia di confezione;
• l’aumento del numero di aziende, questo fattore evidenzia la convinzione che il
numero di aziende nel settore aumenterà;
• il controllo del margine e del posizionamento, questo fattore riguarda invece la
combinazione dell’importanza associata alla disponibilità di una rete di vendita
diretta, corrisposto dalla previsione dell’aumento dei prezzi medi dei prodotti.
Dopo aver identificato i fattori, si è proceduto all’effettuazione di una cluster analysis
per evidenziare l’esistenza di gruppi di imprese omogenee per caratteristiche strutturali
o decisionali, che condividessero le stesse percezioni relative agli scenari futuri.
Si sono identificati quattro cluster, così denominati:
1. orientate al presidio del mercato;
2. orientate all’immagine;
3. orientate al confronto competitivo;
4. lontane dal futuro.
In termini generali è interessante notare che i cluster non differiscono per variabili
strutturali – quali la dimensione produttiva o commerciale, la struttura della rete di
vendita o di canale – ma solo per localizzazione geografica prevalente e per alcune scelte
di marketing e di comunicazione.
1. Le imprese che percepiscono scenari futuri in termini di maggiore orientamento al
presidio del mercato rappresentano il 31,49% del campione. Sono soprattutto aziende del
Sud e delle Isole e utilizzano la leva prezzo come fattore di discriminazione nelle diverse
zone geografiche (in Italia e all’estero). Effettuano regolarmente valutazioni di
62
potenzialità dei loro clienti, e valutano le relazioni distributive monitorando regolarmente
il rapporto fra prodotto venduto in promozione e il totale del venduto, e anche il numero
di eventi sul cliente in rapporto al fatturato. Invece utilizzano con minore sistematicità
ricerche di mercato realizzate da consorzi o associazioni di categoria. All’estero
prediligono il canale degli importatori e tendono a non partecipare a fiere internazionali,
mentre le scelte su questi mercati vengono assunte prevalentemente imitando i
concorrenti. Questo cluster appare costituito da aziende che finora hanno avuto un
approccio “lieve” al mercato, con una maggiore concentrazione sui canali piuttosto che
sui consumatori finali. Per il futuro prevedono di rafforzare il presidio del mercato,
attraverso un maggiore controllo sia degli strumenti di comunicazione, sia della leva
prezzo, sia della rete di vendita.
2. Le imprese che qualificano il futuro con un maggiore orientamento all’immagine
costituiscono un altro 31,49% del campione. Queste ritengono che il futuro si connoterà
per una maggiore importanza dell’immagine e della notorietà di marca e per il ruolo delle
fiere sia nazionali che estere. Al contrario, non prevedono né l’aumento del numero di
aziende nel settore, né un maggiore controllo del margine e del posizionamento tramite
una propria rete di vendita. Sono prevalentemente aziende del Nord-Est e del Sud e delle
Isole. Anche le aziende di questo cluster usano la leva prezzo per discriminare fra le
diverse aree geografiche sia sul mercato nazionale, che estero e, in più, anche sui diversi
canali distributivi. Mostrano una percentuale di vendita diretta al pubblico che può
arrivare al 20% del fatturato. Utilizzano regolarmente strumenti di valutazione delle
potenzialità di sviluppo dei clienti, mentre utilizzano senza grande regolarità altri
strumenti di valutazione dei propri clienti intermedi. All’estero si affidano quasi
completamente a importatori, mostrano un buon livello di partecipazione a concorsi
internazionali (che possono arrivare a coprire il 20% del budget di comunicazione),
tendono però a seguire le scelte dei concorrenti. Questo cluster appare costituito da
imprese che si affidano - e percepiscono che ciò avverrà anche in futuro - a operatori
specializzati nelle loro relazioni con il mercato e su questi vogliono migliorare il proprio
posizionamento: ecco quindi l’importanza delle fiere e dei concorsi, la predilezione degli
importatori esteri, la tendenza a seguire abbastanza i concorrenti.
63
3. Il cluster delle imprese che vedono il futuro soprattutto connotato da un maggiore
confronto competitivo hanno i caratteri di maggiore conservatività. Infatti i fattori
percepiti come rilevanti nel futuro sono l’aumento della concorrenza e l’importanza della
gestione del prodotto, ma non per gli aspetti di innovazione (quindi capacità di sviluppo
di nuovi prodotti, di ampliamento della gamma, di confezionamento); inoltre, sono le più
lontane dal pensare che nel futuro aumenterà l’importanza del marketing e della
comunicazione. Rappresentano il 20,99% del campione, e sono prevalentemente aziende
del Centro Italia. Si distinguono per non utilizzare mai ricerche di mercato né strumenti
di valutazione dei clienti intermedi. Tendenzialmente non effettuano nessuna
discriminazione di prezzo né per area né per canale distributivo, e mostrano la minore
concentrazione in assoluto di aziende che partecipano a concorsi internazionali. In
termini distributivi, in Italia questo cluster è caratterizzato da una prevalenza di imprese
che realizza una buona percentuale del fatturato (tra il 20 e il 50%) tramite vendita diretta
ai consumatori, mentre all’estero realizza con gli importatori solo dal 20 al 50% del
fatturato. Le aziende di questo cluster sembrano voler affrontare il futuro ponendosi
come i difensori della tradizione di qualità, i rappresentanti della convinzione: “un
prodotto di qualità trova sempre il suo mercato”. Mostrano un atteggiamento un po’
troppo auto-riferito, vista la scarsissima propensione attuale – e anche quella futura
dichiarata – all’utilizzo di strumenti sia di conoscenza del mercato sia di relazione con lo
stesso.
4. L’ultimo cluster è anche il più piccolo: il 16,02% del campione. Le aziende che lo
compongono hanno uno sguardo molto semplice sul futuro che connotano solo per un
aumento del numero di aziende: per questo sono state denominate lontane dal futuro.
Percepiscono che nel futuro non saranno più importanti né la qualità del prodotto, né il
marketing e la comunicazione, né aumenterà la concorrenza: insomma sono le aziende
che fanno più fatica ad avere un’idea di quello che potrà succedere nel futuro. Sono
imprese soprattutto del Nord-Ovest e mostrano il minor grado di internazionalizzazione
del campione. Per la conoscenza del mercato si affidano soprattutto a consorzi e
associazioni, confermando quindi una sorta di delega all’interpretazione dei fenomeni
di mercato, che rende difficoltoso avere una percezione diretta di quello che potrà
cambiare. Nessuna di loro dichiara di discriminare i prezzi per zona geografica
all’estero e la gran parte neanche in Italia, mentre è molto utilizzata la differenziazione
dei prezzi per canale distributivo. L’utilizzo di strumenti di valutazione delle
64
performance dei clienti è sostanzialmente assente. Investono una buona parte del
proprio budget di comunicazione nella partecipazione ai concorsi internazionali, e, in
Italia, mostrano una certa presenza di aziende che realizzano dal 20 al 50% del proprio
fatturato vendendo direttamente al pubblico. Le imprese di questo cluster si mostrano
come fortemente orientate alla produzione: sono quindi quelle che continueranno a
necessitare di soggetti esterni, tipicamente associativi, per comprendere l’andamento
del mercato e gestire le relazioni con esso.
4. Conclusioni
A seguito dell’analisi dei risultati della ricerca è possibile effettuare alcune
considerazioni conclusive relativamente al marketing delle aziende vinicole italiane.
Vale la pena, innanzitutto, riassumere le caratteristiche del contesto settoriale che
hanno marcato il periodo di riferimento della ricerca. Il triennio 2001-2003,
relativamente a tutti gli elementi strutturali, sia in termini di dimensioni aziendali che
di scelte produttive e commerciali, può essere definito come un periodo di crescita
ponderata. Infatti tutti gli indicatori strutturali relativi alle aziende del campione –
superficie vitata, produzione, dipendenti – mostrano degli incrementi di dimensione
moderata. Ricordando che il campione della ricerca è costituito da aziende produttrici
di vino di qualità, la crescita ponderata può stare a segnalare una strategia di sviluppo
senza strappi, ovvero di ricerca di un sistematico allineamento all’andamento del
mercato, attraverso un bilanciamento delle scelte produttive e commerciali.
Sui due fronti, produttivo e commerciale, emergono indicazioni differenti. Dal punto di
vista produttivo tutte le scelte di cantina mostrano una certa stabilità del triennio, a
dimostrazione del fatto che gli investimenti sul miglioramento della qualità del
prodotto effettuati negli anni precedenti sono ritenuti efficaci e quindi, nel prossimo
futuro, ci si può aspettare una strategia di consolidamento. Sul fronte commerciale,
invece, emerge l’indicazione di una chiara volontà di ampliamento della presenza nel
mercato. Infatti, a fronte di un ampliamento della gamma dei prodotti offerti, segnalato
dall’aumento del numero di vitigni coltivati, e del numero delle etichette in portafoglio,
emerge anche un ampliamento delle dimensioni medie delle reti di vendita. La
combinazione di questi due risultati può essere intesa come indice di una volontà di
maggiore copertura del mercato e di maggiore visibilità sullo stesso.
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A fronte di questa volontà ci si aspetterebbe un equivalente investimento nelle risorse e
nelle competenze dedicate alle relazioni con il mercato, e quindi nelle attività che
tipicamente ricadono nell’ambito del marketing. Questa aspettativa viene abbastanza
delusa dai risultati della ricerca.
Infatti, in termini di cultura di marketing, a livello generale di intero campione, gli
investimenti in attività di generazione di conoscenza dei mercati appaiono decisamente
scarsi, e le decisioni riguardanti alcune scelte strategiche – la struttura dei canali
distributivi, l’entrata in mercati esteri, la pianificazione delle attività di comunicazione
– sono per lo più affidate all’intuito personale e raramente basate su strumenti formali
di analisi e decisione. Di conseguenza appare come le aziende del campione mostrino
tuttora una cultura assolutamente predominante di orientamento al prodotto e non al
mercato. Questo significa che la cultura tipica delle aziende vinicole italiane è ancora
radicata sulla convinzione che la qualità del prodotto sia in grado di generare mercato,
e quindi performance positive sia in termini economici che competitivi. Questa
convinzione è anche confermata dai dati sulle percezioni di quali siano le imprese
direttamente concorrenti e da quanto conti la concorrenza nell’assunzione di alcune
decisioni: nel primo caso prevale una visione della concorrenza “merceologica”,
definita quindi in termini di similarità di prodotto, nel secondo emerge una sorta di
assunzione di fondo – alla base delle scelte di entrata in alcuni mercati o di selezione di
alcuni canali – che ciò che è stato fatto dai concorrenti sia necessariamente adeguato
anche per se stessi.
La cultura di orientamento al prodotto si traduce in una serie di scelte commerciali
evidentemente coerenti. Un risultato emergente dalla ricerca, infatti, è che le aziende
del campione mostrano di controllare solo minimamente il posizionamento dei loro
prodotti sul mercato. La crescita delle porzioni di reti di vendita costituite da agenti e
rappresentanti plurimandatari, la scarsissima pianificazione delle scelte distributive e
comunicative – che quindi molto spesso costituiscono semplici reazioni a sollecitazioni
esterne – lo scarsissimo utilizzo di strumenti formali di valutazione delle performance
distributive e di mercato in generale, l’affidarsi quasi esclusivo al supporto di
importatori per la presenza sui mercati esteri, sono tutte evidenze del fatto che il settore
vinicolo è tuttora un settore channel driven, ovvero un settore in cui il presidio del
mercato è nelle mani dei distributori e non dei produttori. Appare quindi una sorta di
contraddizione fra la volontà di ampliamento della propria presenza nel mercato e la
delega della gestione del posizionamento ai distributori e agli intermediari
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commerciali. In verità, tale contraddizione appare sanata dall’ambizione, espressa nella
parte della ricerca che ha rilevato gli scenari futuri, dall’importanza assegnata proprio
al marketing, e in particolare alla gestione della marca in termini di notorietà e
immagine. Sembra emergere, quindi, una consapevolezza da parte dei produttori: che il
reale presidio del mercato debba avvenire con un investimento, negli anni futuri,
proprio su quelle attività di relazione col mercato, che permettono di ottenere una
visibilità e un’immagine differenziale rispetto ai concorrenti.
Se quanto detto è vero per il campione preso nel suo complesso, un interessante
risultato della ricerca è proprio l’evidenza che nel campione esistono gruppi di imprese
abbastanza disomogenei in termini di cultura di marketing. A grandi linee quello che
emerge è che gli storici produttori di vino di qualità, focalizzati soprattutto nel Nord
Ovest del Paese, sembrano rappresentare l’ala più conservatrice del settore, ovvero
quella maggiormente orientata alla convinzione che la gestione della qualità del
prodotto sia di per sé una garanzia di successo sul mercato. All’opposto, le imprese del
Sud e delle Isole sembrano rappresentare “il nuovo” in termini di cultura di marketing.
Probabilmente a causa dell’assenza di una consolidata presenza sul mercato, tali
imprese mostrano una maggiore libertà di pensiero e una maggiore capacità di
sfruttamento delle potenzialità offerte dalle attività di conoscenza del mercato e degli
strumenti formalizzati di pianificazione e decisione. Non a caso sono proprio queste
aziende quelle che ricorrono maggiormente sia a società specializzate di servizi di
marketing e ricerca di mercato sia a investimenti in strumenti di comunicazione
innovativi. Sembrerebbe quindi che l’assenza di una storia passata di successo e
sviluppo abbia permesso a queste aziende di essere più libere da schemi di pensiero e di
azione, che inducono a un’eccessiva auto-indulgenza, che spinge verso la
concentrazione sulla gestione del prodotto a scapito della gestione del mercato.
Questa differenziazione dei punti di vista all’interno delle aziende del campione è ben
rappresentata dal risultato sui diversi cluster relativi ai fattori competitivi distintivi.
Mentre in generale viene confermato che il campione è costituito da aziende che
ritengono che la gestione della qualità del prodotto sia il proprio elemento distintivo
rispetto ai concorrenti, a livello di maggiore dettaglio, emergono dei gruppi di aziende
che iniziano a percepire che la distintività competitiva si ottiene affiancando al presidio
della qualità una corretta gestione della valorizzazione della stessa nel mercato,
ottenuta prestando la dovuta attenzione alla gestione della comunicazione e della
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distribuzione. In questo senso le aziende del Sud e delle Isole, insieme con quelle del
Nord Est mostrano la maggiore consapevolezza al riguardo.
Passando dalla cultura di marketing alle scelte in cui questa si traduce, la ricerca
evidenzia che per i produttori di vino italiano di qualità sembra esistere un modello di
business abbastanza consolidato, che conferma la presenza di un forte controllo del
mercato da parte dei canali. Il business model s’impernia su un circolo che si auto-
alimenta, che vede i produttori concentrare sforzi e investimenti sul controllo della
qualità del prodotto per poi delegare ai canali distributivi specializzati (l’ho.re.ca per
tutti) e ai veicoli di comunicazione specializzati (guide e fiere in particolare) il
trasferimento della qualità al mercato. I produttori, quindi, sembrano concentrarsi
soprattutto sulla parte a monte della catena del valore, delegando ai canali distributivi e
comunicativi specializzati il controllo di quella a valle. Ma questa scelta porta a un
certo allontanamento dal mercato finale, con conseguente scarsa conoscenza delle
esigenze e delle preferenze dei consumatori finali, e, nuovamente, scarso controllo del
proprio posizionamento. In presenza di un mercato in cui la competizione va sempre
più intensificandosi e il numero dei concorrenti di qualità aumenta, tale modello di
business rischia di mostrarsi sempre meno capace di creare valore economico per le
imprese. Una classica giustificazione all’esistenza di questo modello è data dalle
limitate dimensioni medie delle aziende in questione, che non hanno a disposizione
risorse tali da investire in attività percepite come costose, e, soprattutto, con ritorni non
immediati. Ovviamente tale motivazione è più che legittima, fino a quando, però, non
diventi un alibi. Se è vero che alcune attività richiedono soglie di investimento troppo
elevate per le minime dimensioni di molti produttori, questo non vuole dire che ciò
debba accadere per tutte le attività, e, d’altro canto, il problema delle dimensioni
minime può essere superato attraverso una strategia di cooperazione con altri
produttori. Il dubbio che ci sentiamo di avanzare è sulle modalità di attuazione di tale
cooperazione. Il modello utilizzato finora è quello della “cooperazione fra eguali”,
dove eguali sta per simili merceologicamente. I consorzi di tutela rappresentano un
evidente esempio di tale forma cooperativa. Il problema è che in presenza di un
obiettivo di differenziazione competitiva, e a fronte di processi di acquisto dei
consumatori che non necessariamente vedono la tipologia del vitigno quale fattore di
scelta primario, la cooperazione fra uguali mostra tutti i suoi limiti. In un contesto di
mercato che cambia è necessario immaginare forme di “cooperazione fra diversi” dove
la diversità può essere valorizzata come punto di forza nei confronti di mercati, canali
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distributivi e clienti che sono stimolati dalla ricerca del nuovo e dalla curiosità della
sperimentazione. Questo passaggio richiede però un salto culturale che il
conservatorismo attuale del settore non sembra assecondare, con tutti i limiti e le
conseguenze che questo comporta.
In conclusione, quindi, la ricerca, coerentemente con gli obiettivi che si era posta, ha
evidenziato che il percorso di avvicinamento alla cultura del marketing delle aziende
vinicole italiane è agli inizi. Attualmente il mercato evidenzia che alcuni gruppi di
aziende si sono avvicinate al marketing comprendendone le potenzialità e iniziando a
sfruttarle senza troppi pregiudizi e con quel minimo di spregiudicatezza che l’attuale
situazione competitiva richiede. Molte aziende hanno segnalato che nel futuro prossimo
la loro attenzione sarà sempre più dedicata ai principi, agli strumenti e alle tecniche di
marketing. I prossimi passi dell’Osservatorio saranno dedicati a valutare quanto questa
ambizione si tradurrà in realtà.