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TOPOLOGIA DELLA LIBERTÀ: HANNAH ARENDT E
L’ESPERIENZA DELLA POLIS1
DARIO ZUCCHELLO
Our tradition of political thought has a definite beginning in the teachings of
Plato and Aristotle […] The beginning was made when Plato, in the Republic
through the allegory of the cave, described the realm of human affairs, i.e. all
things which belong to the living together of men in a common world, in
terms of darkness, confusion and deception from which those, who aspire to
true being, must turn away, which they must leave if ever they want to
discover the clear sky of eternal ideas.2
Dall’esame dei quaderni e dei dattiloscritti di corsi e conferenze dei
primi anni Cinquanta trova conferma la convinzione che, all’epoca
della pubblicazione di The Origins of Totalitarianism (1951), la Denkwelt di Hannah Arendt fosse, nell’essenziale, già definita, in
attesa di un’articolazione che sarebbe intervenuta, nel corso degli anni,
in coincidenza con specifici progetti d’indagin3. Si rafforza soprattutto
1 Le pagine che seguono sono parte di una ricerca più ampia condotta sugli inediti arendtiani raccolti in The Hannah Arendt Papers, Manuscript Division, Library of Congress, Washington, D.C.. La collezione è consultabile on-line all’indirizzo http://memory.loc.gov/ammem/arendthtml/. Ho deciso di utilizzare gli originali dei corsi, limitandomi a tradurre solo i testi tedeschi. In nota si rinvia alle eventuali
edizioni disponibili e alle relative traduzioni italiane. Per il Denktagebuch e la Einführung in die Politik ho invece per lo più seguito il testo delle due ottime edizioni tedesche di Ursula Ludz. Le traduzioni sono nostre. 2 Si tratta del brano di apertura del corso “Karl Marx and the Tradition of Western Political Thought”, lectures, Christian Gauss Seminar in Criticism, Princeton University, Second draft, Part I, 1953 (Series Speeches and Writings File: 1923-1975), The Hannah Arendt Papers, Manuscript Division, Library of Congress, Washington D.C. 3 Mi riferisco in particolare al “Project: Totalitarian Elements in Marxism” (sottoposto per finanziamento alla Guggenheim Memorial Foundation, 1951-1952) - a cui sono riconducibili i corsi “Karl Marx and the Tradition of Western Political Thought” (professato a Princeton nel 1953) e “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution” (professato nel 1954 presso la University of Notre Dame) – e alla “Projektbeschreibung” (dicembre 1959) che accompagna la richiesta di finanziamento alla Rockefeller Foundation per una Introduction into Politics, prospettata come un seguito di The Human Condition. Tra le due note si
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l’impressione che, di fronte al trauma della politica del Novecento,
ella fosse alla ricerca di quelle esperienze storiche in cui l’«elemento
politico» (das Politische) si fosse integralmente realizzato, così da rivelare pienamente «il senso della politica» (der Sinn von Politik): il
reiterato confronto con il mondo greco costituisce appunto l’occasione
per discutere quelle idee e concetti che, compiutamente (ma per breve tempo) sviluppatisi in quella civiltà, avrebbero poi condizionato anche
epoche storiche cui rimase interdetta «una piena esperienza del
politico» (eine volle Erfahrung des Politischen) 4 . Tali riflessioni
arendtiane non sarebbero quindi da leggere in prospettiva storica, ma definirebbero piuttosto una sorta di «idealtipo» (Idealtypus) sul
modello weberiano: un artificio teorico cui ricorrere per riassumere i
tratti essenziali di una realtà storico-sociale, concentrandone gli elementi e riconducendoli a un unico paradigma. Nel caso specifico
delle pagine dedicate alla vita della polis, l’enfasi sarebbe stata posta
unilateralmente su determinati aspetti dell’azione politica nella città-
stato greca, al fine di denunciarne la scomparsa nella tradizione politica occidentale5.
collocano i materiali del progetto della Einführung in die Politik, per la quale Arendt aveva stretto accordi con l’editore tedesco Piper sin dal 1955. A quel periodo e a quello immediatamente precedente dovrebbero risalire i frammenti pubblicati come H. ARENDT, Was ist Politik?, herausgegeben von U. LUDZ, München-Zürich, Piper, 20032 , edizione italiana Che cos’è la politica?, a cura di U. Ludz, Milano, Edizioni di Comunità, 1995. Hanno richiamato l’attenzione sul rilievo di questi materiali inediti -
oltre alla Ludz nel suo fondamentale commento ai testi arendtiani di Was ist Politik? - M. CANOVAN, Hannah Arendt. A Reinterpretation of Her Political Thought, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, pp. 253 ss.; L. BOELLA, Hannah Arendt: Agire politicamente Pensare politicamente, Milano, Feltrinelli, 20052, pp. 99-100; A. MECCARIELLO, Philosophy and Politics. The Problem of Action and Thought after the French Revolution. Appunti su un inedito arendtiano, in Hannah Arendt. Percorsi di ricerca tra passato e futuro. 1975-2005, a cura di M. DURST e A. MECCARIELLO, Firenze, Giuntina, 2006, pp. 135-147; S. FORTI, Hannah Arendt tra
filosofia e politica, Milano, Bruno Mondadori, 2006, pp. 98 ss.. 4 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 42; Che cos’è la politica?, cit., p. 32. Il passo è tratto dal frammento 3B (I. Kapitel: Der Sinn von Politik). 5 T. PARVIKKO, Committed to Think, Judge and Act: Hannah Arendt’s Ideal-Typical Approach to Human Faculties, in J.J. HERMSEN and D.R. VILLA (eds.), The Judge and the Spectator. Hannah Arendt’s Political Philosophy, Peeters, Leuven 1999, pp. 114-5. La quasi totale assenza di riferimenti a questo importante impatto del modello weberiano sulla Arendt sarebbe da imputare, secondo la studiosa, alla scarsa
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ZOON POLITIKON
Gli appunti tra 1950 e 1951 rivelano, in effetti, da parte della Arendt, nel serrato corpo a corpo con i testi platonici (Politico, Leggi),
la persuasione che la nascita della filosofia politica abbia coinciso con
un radicale stravolgimento dell’esperienza e del senso pre-filosofici
della politica, incentrati sul concreto esercizio della libertà nelle poleis, per fare della politica strumento di affrancamento in vista di
attività in realtà «impolitiche»:
Entscheidend ist, dass Politik immer als Mittel zum Zweck konzipiert war
[…] Politik war immer die Voraussetzung für die Möglichkeit des Unpolitischen. È decisivo il fatto che la politica sia sempre stata concepita
come mezzo in vista di un fine […] La politica è sempre stata il presupposto
per la possibilità dell’impolitico. (quaderno II, dicembre 1950, n. 24)6.
Appaiono in questa prospettiva indicative le osservazioni
sull’espressione aristotelica zôon politikon (animale politico). Essa da un lato riassumeva plasticamente un’evidenza:
Frei-Sein und In-einer-Polis-Leben waren in gewissem Sinne ein und
dasselbe. Essere liberi e vivere in una polis erano in un certo senso la stessa
identica cosa7,
frequentazione critica della produzione giovanile della Arendt (dedicata alla Jewish pariahdom, che riprenderebbe palesemente l’interpretazione weberiana dell’ebraismo europeo), che solo recentemente ha ricevuto la dovuta attenzione. 6 H. ARENDT, Denktagebuch 1950-1973, 2 Bände, herausgegeben von U. LUDZ und I. NORDMANN, in Zusammenarbeit mit dem Hannah-Arendt-Institut Dresden, München-Zürich, Piper, 20032 [da ora in poi Denktagebuch], Bd. I, p. 52; H. ARENDT, Quaderni e diari 1950-1973, a cura di Ch. MARAZIA, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2007 [da ora in poi Quaderni e diari), p. 52. L’edizione italiana (in unico volume) dell’originale tedesco dei 29 quaderni manoscritti è priva del Nachwort delle curatrici tedesche e presenta apparati ridotti. 7 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 38; Che cos’è la politica?, cit., p. 29.
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puntando a una forma di organizzazione (polis) e alle relative attività
(“politiche”, appunto), nel cui effettivo esercizio, per i Greci,
consisteva concretamente la libertà. Aristotele, osserva Arendt8, non intendeva tuttavia riferirsi a una generica coestensione di umanità e
politica: se politikon è aggettivo della Polis-Organisation, non ogni
genere di convivenza è “politica”:
Was er meinte, war lediglich, dass es eine Eigentümlichkeit des Menschen ist,
dass er in einer Polis leben kann und dass diese Polis-Organisation die
höchste Form menschlichen Zusammenlebens darstellt und daher in einem
spezifischen Sinne menschlich ist. Ciò che [Aristotele] intendeva era solo che
è una peculiarità dell’uomo il fatto che egli possa vivere in una polis e che
questa organizzazione della polis rappresenti la più alta forma di convivenza
umana e quindi sia, in un senso specifico, umana9.
La politica, nella comune accezione greca sedimentata nell’espessione aristotelica, non costituisce dunque un’«evidenza scontata»
(Selbstverständlichkeit), che si manifesti ovunque gli uomini
convivano. Per vivere in una polis, infatti, l’uomo doveva già essere
“libero”, emancipato dalle incombenze quotidiane, dalle necessità vitali: la dimensione politica era ulteriore rispetto al dominio dei
bisogni materiali (e della violenza fisica che essi comportavano).
Arendt parla di «präpolitische Befreiung für die Freiheit in der Polis» (emancipazione pre-politica per la libertà nella polis) 10 : questo,
secondo lei, il «senso» (Sinn) della skolé greca (e dell’otium romano),
che rappresentava, evidentemente, un fine da perseguire con determinati mezzi:
Diese Befreiung erfolgte durch Zwang und Gewalt, und sie beruhte auf der
absoluten Herrschaft, die jeder Hausherr in seinem Haushalt ausübte. Questa
liberazione si conseguiva attraverso costrizione e forza, e poggiava sulla
signoria assoluta che ogni padrone esercitava nella propria casa11.
8 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 37; Che cos’è la politica?, cit., p. 28. 9 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 37; Che cos’è la politica?, cit., pp. 28-29. 10 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 39; Che cos’è la politica?, cit., p. 30. 11 Ibidem.
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Il fine, dunque, era predisporre le condizioni (pre-politiche) per
l’attività politica e l’esercizio della libertà, consentendo che
determinati uomini - affrancati da altre occupazioni - si rapportassero gli uni agli altri da pari, regolando ogni cosa «attraverso il dialogo
reciproco e la mutua persuasione» (durch das Miteinander-Reden und
das gegenseitige Sich-Überzeugen)12. Non vi è dubbio, allora, che le due definizioni aristoteliche dell’uomo – zôon politikon e zôon logon
echon (animale dotato di logos)- catturino ancora un aspetto
fondamentale dell’esperienza greca della libertà politica:
And when Aristotle gave his twofold definition of man as a zôon politikon
and a zôon logon echon, he meant to distinguish free men as the Greek knew
them from the barbarians on one hand and the slaves on the other, that is, he
gave not so much a definition according to his own philosophy […] as that he
summarized and explained what Greeks in general thought man to be – a
being that can be free only if he lives in a polis and manages his affairs with
his fellow-men in the manner of speech, through persuasion and not through mute violence. In this, as in most other respects, Aristotle echoes here the
general opinion of Greek polis life much more faithfully than Plato13.
D’altra parte, zôon politikon è formula ambigua, nella misura in cui
pare suggerire un’«essenza» (Essenz) politica nell’uomo, come se al
singolo individuo dovesse appartenere strutturalmente un substrato politico: in realtà la politica non è aristotelicamente «sostanza»
(politische Substanz), ma «relazione» (Bezug):
Dies gerade stimmt nicht; der Mensch ist a-politisch. Politik entsteht in dem
Zwischen-den-Menschen, also durchaus ausserhalb des Menschen. Es gibt daher keine eigentlich politische Substanz. Politik entsteht im Zwischen und
etabliert sich als der Bezug. Ciò proprio non torna: l’Uomo è a-politico. La
politica sorge nello spazio [nell’infra] tra gli uomini, dunque assolutamente
al di fuori dell’Uomo. Non esiste quindi una sostanza propriamente politica.
12 Ibidem. 13 Il testo è tratto dai dattiloscritti di “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, lecture, 1954 (1 of 4 folders), nn. 023361-62, pp. 6-7 (Series: Speeches and Writings File, 1923-1975), The Hannah Arendt Papers, Manuscript Division, Library of Congress, Washington D.C..
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La politica sorge nello spazio intermedio [infra] e si stabilisce come relazione.
(quaderno I, agosto 1950, n. 21)14.
Alla dimensione politica in senso greco Arendt riconduce, in
effetti, due distinte (e complementari) accezioni di libertà: (i) lo svincolamento (pre-politico) dai rapporti di dominio (Herrschaft) –
caratteristici dello spazio familiare ed “economico” della «casa»
(oikos); (ii) la sfera delle relazioni in cui si esprimeva il pari diritto all’attività politica (così ella rende il termine isêgoria, ovvero si
esercitava la «libertà di parola» (Redefreiheit). Uno spazio di
confronto attraverso dialogo e persuasione (che presuppone i “molti”), in cui ognuno aveva la possibilità di muoversi tra pari: in questa
prospettiva, Arendt può rilevare che «la politica poggia sul fatto della
pluralità degli uomini» (Politik beruht auf der Tatsache der Pluralität
der Menschen) 15 . Senza quella emancipazione (e il conseguente allontanamento) dall’ambiente della costrizione (casa, famiglia),
questa possibilità di circolazione a piacimento (gehen können, wohin
es einem beliebt) tra gli altri non sarebbe stata garantita. Nella misura in cui l’oikos non rappresentava soltanto il luogo delle relazioni di
coartazione (uomo-donna, padrone-servo) funzionali alla
conservazione, ma certamente, proprio per ciò, anche uno spazio di
tutela, alla libertà in senso politico apparteneva «l’elemento di rischio e di audacia» (das Element des Risikos, des Wagnisses), e libero era
dunque chi fosse disposto a rischiare la propria vita16.
AGORA
Negli ultimi rilievi traspare l’incidenza della matrice degli assunti
arendtiani: per cogliere traccia degli elementi di ciò che ella definisce
das Politische, infatti, la tradizione del pensiero politico era
14 Denktagebuch, Bd. I, p. 15; Quaderni e diari, p. 22. Si tratta di un passo con titolo (Was ist Politik?) dell’agosto 1950, che costituisce il primo frammento del progetto omonimo ricostruito dalla Ludz. 15 Denktagebuch, Bd. I, p. 15; Quaderni e diari, p. 20. 16 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 44; Che cos’è la politica?, cit., p. 34.
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praticamente inservibile; per recuperarne il senso (il senso, cioè, delle
esperienze alla base dello stesso vocabolario politico che sopravvive
nelle lingue occidentali), Arendt ricorre agli echi ancora rinvenibili nella storiografia di Erodoto e Tucidide, ma soprattutto
(paradossalmente) al passato pre-politico del mondo omerico 17 .
Essenziale, per esempio, la convinzione che i poemi di Omero celassero un vero e proprio deposito di esperienze paradigmatiche:
senza l’epica omerica, in particolare, non saremmo in grado di
comprendere nulla della polis e delle sue origini, della peculiarità del
politico18:
[die griechische Polis] hat die Polis um die Homersche Agora, den
Versammlungs- und Redeplatz der freien Männer, gebildet und damit das
eigentliche «Politische» - nämlich dasjenige, was nur der Polis eignete und
was die Griechen daher allen Barbaren und allen nicht-freien Männern
absprachen – um das Zueinander-, Miteinander- und Über-etwas-Reden
zentriert, und diese ganze Sphäre im Zeichen einer göttlichen «peitho», einer
Überzeugungs- und Überredungskraft, die ohne Gewalt und ohne Zwang
zwischen Gleichen waltet und alles entscheidet, gesehen. Essa [la polis greca]
ha formato la polis intorno alla agorà omerica, al luogo di assemblea e discussione degli uomini liberi, e così ha incentrato l’elemento propriamente
«politico» - in altre parole quello che apparteneva alla polis e che i Greci
perciò negavano a tutti i barbari e a tutti gli uomini non liberi – sul parlare
agli altri, con gli altri, su qualcosa, e ha inteso tutta questa sfera nel segno di
una divina Peitho, di una forza di persuasione e convinzione che, senza
violenza e senza costrizione, domina tra pari e tutto decide19.
È evidente come, nella semplificazione arendtiana, l’accampamento
(Heereslager) greco prefigurasse plasticamente una “topologia” della libertà, disegnando, all’interno di un sito protetto, l’ambito privato
delle tende degli eroi (uomini liberi) e quello pubblico della agorà.
17 Su questo punto si veda il materiale del corso “Karl Marx and the Tradition of Western Political Thought”, cit.; ora anche H. ARENDT, The Tradition of Political Thought (corrispondente al Second Draft, Part II,), in H. ARENDT, The Promise of Politics, edited and with an introduction of J. KOHN, New York, Schocken Books, 2005, pp. 44-45. 18 F. FISTETTI, Hannah Arendt e Martin Heidegger. Alle origini della filosofia occidentale, Roma, Editori Riuniti, 1998, p. 65. 19 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 93; Che cos’è la politica?, cit., p. 73.
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Essa, in particolare, costituiva il luogo in cui potevano svilupparsi il
libero confronto e la libera comunicazione tra eguali: quella vita in
comune e quel dialogo diretto e franco tra pari sarebbero poi riecheggiati, secondo Arendt, nelle nozioni di isonomia e isêgoria. A
differenza di quel che accadeva nell’ambito privato (delle
disuguaglianze), nell’agorà gli eroi si ritrovavano tra eguali e potevano reciprocamente prestarsi attenzione, assistendo, parlando,
meravigliandosi delle rispettive gesta:
erscheint hier alles in jenem Licht, das nur die Öffentlichkeit, und das heisst
die Anwesenheit der Anderen, erzeugen kann. qui tutto appare in quella luce
che solo lo spazio pubblico, cioè la presenza degli altri, può generare.20
La polis avrebbe quindi trasfigurato quell’esperienza, consolidandone
lo «spazio pubblico» (Öffentlichkeit), assicurando, in altre parole,
riparo permanente alla fragilità intrinseca all’agire umano, alla
volatilità di gesti e parole degli esseri mortali 21 : se la «luce» che origina da quello spazio è «precondizione per ogni reale, effettivo
manifestarsi» (Vorbedingung alles wirklichen Erscheinens), essa
rimane tuttavia ingannevole se intermittente ed esige quindi di essere stabilizzata in istituzioni, così da non dileguare, come gli
accampamenti alla fine di una campagna militare:
[…] ist es, als ob das Homersche Heereslager sich nicht auflöst, sondern nach
der Rückkehr in die Heimat sich aufs neue zusammenfindet, die Polis gründet
und nun einen Raum gefundet hat, wo es ständig zusammenbleiben kann. […] è come se l’accampamento omerico non si sciogliesse realmente, ma,
dopo il ritorno in patria, si adunasse di nuovo, fondasse la polis, avendo così
recuperato uno spazio dove poter rimanere unito.22
La “politicità” della polis rispetto ad altre forme di insediamento23 è
segnalata appunto dalla sua edificazione intorno allo spazio pubblico
20 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 45; Che cos’è la politica?, cit., p. 35. 21 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 46; Che cos’è la politica?, cit., p. 35. 22 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 47; Che cos’è la politica?, cit., p. 36. 23 Indicate, come suggerisce la curatrice Ursula Ludz, con astu, la «città» in contrapposizione alla campagna (agros), ovvero il sito materiale distinto dalla istituzione politica.
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dell’agorà, a un luogo, cioè, in cui «i liberi e gli eguali» (die Freien
und die Gleichen) potevano sempre incontrarsi e misurarsi:
So war Freiheit für griechisches Denken selber noch einmal verwurzelt, an einen Standort gebunden und räumlich begrenzt, und die Grenzen des
Raumes der Freiheit fielen mit den Mauern der Stadt, der Polis oder, genauer
gesagt, der von ihr eingeschlossenen Agora, zusammen. Ausserhalb dieser
Grenzen lag auf [der] einen Seite das Ausland, in dem man nicht frei sein
konnte, weil man in ihm nicht mehr ein Bürger oder besser ein politischer
Mensch war; und auf der anderen [Seite] der private Haushalt, in dem man
dies auch nicht sein konnte, weil die anderen Gleichberechtigen fehlten, die
zusammen allein den Raum der Freiheit konstituierten. Così, per il pensiero
greco la libertà era a sua volta radicata, vincolata a un luogo, e spazialmente
limitata: i confini dello spazio della libertà coincidevano con le mura della
città, della polis, ovvero, più esattamente, con l’agorà da essa contenuta. Al
di fuori di quei confini vi era, da un lato, l’estero, in cui non era possibile essere liberi in quanto non vi si era più cittadini o meglio uomini politici;
dall’altro la sfera domestica, all’interno della quale, di nuovo, non era
possibile essere liberi, poiché mancavano gli altri eguali, che solo insieme
costituivano lo spazio della libertà24.
Questo fatto ha due conseguenze rilevanti nella riflessione arendtiana.
La prima riguarda il vincolo locale di quella libertà “politica”: la polis assicurava l’unico spazio (l’agorà) in cui fosse possibile essere liberi,
in compagnia con i propri pari, o, detto altrimenti, in cui si svolgesse
la libera interazione tra eguali (der freie Verkehr unter Gleichen).
Laddove una qualche forma di tirannia fosse esercitata, quello spazio era distrutto: «l’agorà era svuotata» (die Agora war vereinsamt), e «la
libertà politica non esisteva più» (politische Freiheit gab es nicht
mehr) 25 . Donde l’importanza della sua conservazione, che Arendt attribuisce ad attività che rimangono sostanzialmente esterne alla
politica: tanto la «fondazione» (Gründung) della polis (che richiedeva
un nomoteta), quanto la sua difesa esterna (politica estera) non erano come tali atti politici, ma piuttosto «fenomeni di contorno»
(Randphänomene) del «fenomeno del politico» (Phänomen des
24 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 99; Che cos’è la politica?, cit., p. 78. Si tratta di un passo del frammento 3C (2. Kapitel. A. Der totale Krieg) della progettata Einführung in die Politik. 25 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 41; Che cos’è la politica?, cit., p. 31.
10
Politischen) in senso proprio. Che si introducessero istituzioni o si
provvedesse alla tutela militare, imposizione e violenza risultavano
estranee a quel franco confronto paritario identificato come specificamente politico, o al limite solo collaterali garanzie per
l’effettivo esercizio della libertà. La seconda conseguenza è ancora più
notevole: nella propria trasfigurazione dell’esperienza omerica, la polis avrebbe concorso a modificarne anche la comprensione della
libertà, con uno slittamento di baricentro dall’agire al parlare. Nello
spazio pubblico dell’agorà sarebbe infatti progressivamente sfumato il
senso dell’impresa avventurosa, lasciando in primo piano quanto nel mondo di Omero accompagnava quelle azioni: la costante presenza
degli altri, la comunicazione tra uguali. Così la ἰ σηγορία si sarebbe
fatta sostanza reale dell’essere liberi (wird zum eigentlichen Inhalt des
Frei-Seins) 26 : un glissement (Verschiebung) indicativo, secondo
Arendt, nella misura in cui poneva implicitamente l’accento su una distinzione (tra agire e parlare) di fatto assente nella tradizione greca
arcaica. In Omero l’attore di grandi gesta era anche il «proferitore»
(Redner) delle grandi parole che le accompagnavano, illustrandole e
giustificandole, per evitare che cadessero nell’oblio: parlare era considerato sin dall’inizio un modo di agire. Peculiare a questo “agire
comunicativo” (dem Handeln und dem Reden, sofern es ein Handeln
ist) era la «spontaneità» (Spontaneität), la libertà come «porre-un-inizio-e-cominciare-qualcosa» (Einen-Anfang-Setzen-und-etwas-
Beginnen): un nodo semantico di cui, secondo Arendt, si può ancora
avvertire l’eco nel verbo (archein) – a un tempo «dare inizio» e «essere a capo». Capo (Führer) era chiamato, evidentemente, colui
che cominciava qualcosa e cercava compagni per portarla a termine:
un «portare a compimento» (Durchführen) originariamente veicolato
dal verbo (prattein), termine che definiva propriamente l’agire. Questa accezione di spontaneità, senza la quale sarebbe perduto il significato
più profondo della libertà politica, rimane, tuttavia, «prepolitica»
(präpolitisch), almeno nel senso che, pur rappresentando una condizione, essa non risulterebbe distrutta con l’annichilimento della
scena politica (per esempio con l’affermazione di una tirannide),
avendo la propria scaturigine nel singolo individuo (aus dem
26 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 47; Che cos’è la politica?, cit., p. 36.
11
Einzelnen entspringt), a differenza di quella libertà – eminentemente
“politica” – che consiste nel mutuo dialogare, possibile soltanto nella
interazione con gli altri27. La costruzione (e costituzione) della polis intorno alla spazio pubblico dell’agorà avrebbe dunque comportato,
nella lezione arendtiana, il decisivo affermarsi della «libertà di
espressione di opinioni» (Freiheit der Meinungsäusserung), che dipende, in misura straordinariamente maggiore rispetto alla più
originaria «spontaneità», dalla presenza degli altri. Questa operazione
di carotaggio compiuta all’interno della tradizione del pensiero
politico per recuperare schegge delle esperienze - antecedenti quella stessa tradizione, ma essenziali per comprenderne il vocabolario - è
chiaramente giustificata da Arendt nel corso Karl Marx and the
Tradition of Western Political Thought (1953):
[…] the tradition of political philosophy, beginning as it did at the moment of
incipient decay in Greek polis life, could not but formulate and categorize
these earlier experiences in terms of the polis […] Only rudimentary traces of
the original meaning of such words as archein and prattein were preserved,
so that whether we know it or not, when we speak and think of action, which
after all is one of the most important and perhaps even the central concept of
political science, we have in mind a categorical system of means and ends, of
ruling and being ruled, of interests and moral standards. This system owes its
existence to the beginning of traditional political philosophy, but in it there is
hardly any room for the spirit of starting an enterprise and, together with others, seeing it through to its conclusion, which once animated the words
archein and prattein.28
Riguardo al nostro contesto e alle considerazioni sul senso della
politica, ella trae un importante corollario: nella Grecia arcaica, solo
alle «gesta umane» (human deeds) si attribuiva «una grandezza specifica, loro propria» (a specific greatness of their own): esse,
quindi, non richiedevano (né avrebbero potuto adottare) alcun «fine»
ulteriore per la propria giustificazione:
27 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 51; Che cos’è la politica?, cit., p. 39. 28 “Karl Marx and the Tradition of Western Political Thought”, cit., Second Draft, Part II, pp. 10-11 (images 2-3 of 17); H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 45.
12
Nothing could be more alien to the pre-polis experience of human deeds than
the Aristotelian definition of praxis that became authoritative throughout the
tradition: «with respect to the beautiful and the non-beautiful actions differ
not so much in themselves as in the end for the sake of which they are
undertaken» (Politics, VII 1333 a9-10)29.
AIEN ARISTEUEIN
Arendt sottolinea come dal mondo omerico la civiltà della polis mutuasse e accogliesse nella propria «forma organizzativa»
(Organisationsform) anche l’idea che il «combattimento» (Kampf)
rappresentasse un modello superiore di convivenza: ciò si sarebbe
riflesso – secondo lei - in quello «spirito agonale» (der agonale Geist) che spiegherebbe la concentrazione di genialità in tutti i campi della
produzione umana nei secoli di fioritura greca, così come, in
conseguenza della conflittualità intestina, la sua rapida decadenza30. Esso non si sarebbe semplicemente rivelato un generico aspirare a
mostrarsi i migliori (indicato con aristeuein), ma sarebbe stato
trasfigurato in una vera e propria attività a tempo pieno (eine lebensauffüllende Tätigkeit), incidendo profondamente nella mentalità
e nella cultura greche 31 . Fondamentale per il significato della
competizione (Wettkampf) così intesa è - nella lettura delle pagine
della Einführung in die Politik - il paradigma (Urbild) del combattimento tra Achille e Ettore:
29 “Karl Marx and the Tradition of Western Political Thought”, cit. Second Draft, Part II, p. 12 (image 4 of 17); H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 46. 30 Questa implicazione è marcata soprattutto nelle pagine dattiloscritte della lecture “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French
Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023401, p. 37; questa parte del corso è ora riprodotta, con il titolo Socrates, in H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., pp. 5-39; in particolare p. 16: In this agonal spirit, which eventually was to bring the ruin to the Greek city states because it made alliances between them well-nigh impossible and poisoned the domestic life of the citizens with envy and mutual hatred […], the commonwealth was constantly threatened […]. 31 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 94; Che cos’è la politica?, cit., pp. 73-74 (frammento 3C).
13
der [Kampf] ganz unabhängig von Sieg und Niederlage [jedem von] beiden
erst Gelegenheit gibt, sich so zu zeigen, wie er eigentlich ist, das heisst
wirklich in Erscheinung zu treten und damit völlig wirklich zu werden.
il quale [combattimento] – in modo del tutto indipendente da vittoria e
sconfitta – per la prima volta offre a ognuno dei due contendenti occasione
per mostrarsi così come propriamente è, cioè apparire effettivamente e così
diventare pienamente reale32.
La figura dell’eroe greco avrebbe in particolare avuto un’efficacia profonda «nell’improntare il tipo dell’uomo greco nella polis» (für die
Ausprägung des griechischen Menschentypus in der Polis), con la sua
insistenza nel mettersi sempre in evidenza come il migliore (aei aristeuein), per conseguire gloria immortale: ambizione che imponeva
necessariamente la presenza di molti e di molti pari, che trovava
nell’agorà, appunto, il proprio punto focale. Nell’appropriazione da parte della polis del nesso tra confronto competitivo e disvelamento
della realtà, si sarebbe consumata una decisiva (ulteriore)
metamorfosi: essa si sarebbe incaricata di consentire la competizione
senza violenza, garantendo (senza poeti) l’unico modo in cui gli uomini possano rendersi immortali 33 . Attraverso la polis i Greci
vennero a capo dell’elemento distruttivo del polemos,
“addomesticando” la guerra 34 ; l’indistinta solidarietà omerica tra potenza delle grandi gesta e forza trascinante delle grandi parole si
sarebbe scissa in due diverse tipologie di eventi: la gara sportiva (dove
la potenza si esprime senza violenza), da un lato, e gli agoni oratori,
dall’altro, in cui la violenza è sublimata nelle tecniche della discussione. Se in entrambe le fenomenologie di combattimento
assistiamo quindi alla neutralizzazione di violenza e costrizione, in
funzione dell’affermazione di un luogo di incontro di uomini liberi, è poi soprattutto sul confronto dialogico che si sofferma l’analisi
arendtiana, attenta a valorizzarne le implicazioni essenziali per la
determinazione di uno spazio autenticamente politico e la connessa nozione di libertà. Per un verso, infatti, quei certami rivelano gli
oratori, ne fanno apparire le qualità; per altro, essi contestualmente
32 Ibidem. 33 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., pp. 101-102; Che cos’è la politica?, cit., pp. 79-80 (frammento 3C). 34 F. FISTETTI, Hannah Arendt e Martin Heidegger…, cit., p. 67.
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illuminano la realtà degli oggetti su cui vertono, diventando in questo
senso esemplari della peculiare apertura della sfera pubblica. Nella
discussione, in effetti, una pluralità di oggetti risulta investita dalla luce delle diverse prospettive con cui sono affrontati: in tal modo essi
«sono trascinati nella luce della pubblicità [sfera pubblica]» (an das
Licht der Öffentlichkeit gezogen werden), dove, attraverso l’incalzante contrapposizione di punti di vista, «sono per così dire costretti a
svelare ogni loro lato» (wo sie gleichsam gezwungen sind, alle ihre
Seiten zu offenbaren): Erst in solcher Allseitigkeit kann ein und die gleiche Sache in ihrer vollen
Wirklichkeit in Erscheinung treten. Solo in tale multilateralità è possibile che
la stessa unica cosa appaia nella sua piena realtà35.
Con una conseguenza:
Sofern der politische-öffentliche Raum für die Griechen das Gemeinsame
(koinon) ist, in dem sich alle versammeln, ist er der Bereich, in welchem alle
Dinge erst voll in ihrer Allseitigkeit zur Geltung kommen können. Nella
misura in cui lo spazio politico-pubblico per i Greci è ciò che è comune a tutti (koinon), in cui tuti si riuniscono, esso è l’ambito nel quale tutte le cose
possono per la prima volta essere pienamente valorizzate nella loro
multilateralità36.
Il corollario implicito è che la perdita di tale dimensione pubblica (la
dimensione della libertà) comporti anche una perdita di realtà, una riduzione di quella luce - «la luce della pubblicità» - che manifesta le
cose nella loro effettiva natura. In questo modo, nella «traslazione dal
terreno militare a quello politico», Arendt rivela l’«intima connessione
tra il logos e il polemos»37 , riconducendo al modello competitivo omerico (e alla relativa «imparzialità» (Unparteiischkeit) del poeta di
fronte ai contendenti) la capacità (Fähigkeit) – proposta con
particolare intensità nella civiltà urbana greca - di considerare dapprima i lati opposti di una questione, e via via vagliare tutti gli altri
35 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 96; Che cos’è la politica?, cit., p. 75 (frammento 3C). 36 Ibidem. 37 F. FISTETTI, Hannah Arendt e Martin Heidegger…, cit., p. 68.
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punti di vista: un’autentica facoltà di deambulare liberamente nel
campo dello spirito (eine wahre Bewegungsfreiheit in der Welt des
Geistigen), di assumere posizioni diverse rispetto a un oggetto di discussione, guardare alle cose anche da angolature alternative, così da
valutare le tante possibili prospettive presenti nel mondo reale 38 .
Questa capacità (non a caso correlata alla Bewegungsfreiheit nel mondo fisico) è dunque commisurata e sovrapposta alla libertà di
parola e di dialogo («libertà di parlare gli uni con gli altri», Freheit
des Miteinander-Redens), e insieme definiscono quell’orizzonte di
senso che è il mondo nella sua oggettività e realtà:
Erst in der Freiheit des Miteinander-Redens ersteht überhaupt die Welt als
das, worüber gesprochen wird, in ihrer von allen Seiten her sichtbaren
Objektivität. In-einer-wirklichen-Welt-Leben und Mit-Anderen-über-sie-
Reden sind im Grunde ein und dasselbe […] Solo nella libertà di parlare gli
uni con gli altri il mondo emerge davvero come ciò di cui si parla, nella sua
oggettività visibile da ogni lato. Vivere in un mondo reale e parlarne con gli
altri sono fondamentalmente un’unica e identica cosa […]39.
Di questa nozione di «mondo»40 e della sua natura politica possono evidenziarsi due aspetti. Intanto la sua “linguisticità”, il fatto cioè che
della sua apertura condizione essenziale sia il parlare (Mit-Anderen-
über-sie-Reden): come nelle definizioni aristotetliche da cui abbiamo preso le mosse, gli uomini condividono il mondo – e sono capaci di
politica – in quanto hanno facoltà di parola41. Il logos ha inscritta in sé
la pluralità e il conflitto (polemos) dei punti di vista, ed è appunto a tale «apertura “polemica”» che si connette per loro (nella lettura
38 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., pp. 96-97; Che cos’è la politica?, cit., pp. 75-76 (frammento 3C). 39 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 52; Che cos’è la politica?, cit., p. 40
(frammento 3B). 40 Sul debito arendtiano nei confronti di Heidegger per questa nozione si veda M. CANOVAN, Hannah Arendt…, cit., pp. 112-113. Mi sono interessato della questione in D. ZUCCHELLO, Il mondo in Hannah Arendt: apparenza e libertà, in Frammenti di filosofia contemporanea, vol. I, a cura di I. POZZONI, Villasanta (MB), Limina Mentis, 2012, pp. 227-255. 41 Su questo punto si veda anche S. GIORCELLI BERSANI, L’auctoritas degli antichi. Hannah Arendt tra Grecia e Roma, Firenze, Le Monnier Università, 2010, pp. 79-80.
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arendtiana) la specifica attitudine politica 42 . La realtà di azioni e
pensieri coincide con le parole con cui quelle sono accompagnate e
questi espressi, in entrambi i casi parole che portano all’apparenza (potendo essere udite dagli altri) ciò che essi (azioni e pensieri)
propriamente sono: solo attraverso le parole le azioni umane
acquisiscono il proprio significato e la propria dignità; solo attraverso il discorso i pensieri possono trovare accoglienza nel mondo degli
uomini, essere registrati e ricordati. In questo senso la presunta
opposizione tra la concretezza dell’azione e la spiritualità del pensiero
è tolta, nella misura in cui la realtà di entrambi dipende dalle parole43: la polis era dunque l’istituzione deputata a tradurre in contenuto
concreto della vita quotidiana dei cittadini le attività – essenzialmente
dialogiche e discutive – politeuesthai e agoreuesthai - fondative della realtà del mondo umano:
The sovereignity of men began where this possibile meaningfulness of
human life, which physei, by nature, belonged to the human condition, had
found its corresponding body politic, which was the polis, because here
speaking had become a daily way of life44.
In secondo luogo, la lezione arendtiana rileva l’intrinseca “doxasticità” di tale mondo, l’imprescindibilità del punto di vista da
cui guardare a esso, ma, a un tempo, la possibilità di muoversi tra
punti di vista disparati: in tal modo, assumendo, in vece della propria, la posizione degli altri, era possibile condividere effettivamente lo
stesso mondo. Su questa facoltà di emanciparsi da un’unica e rigida
prospettiva poggia la relazione politicamente più rilevante
dell’esperienza della polis: la reciproca persuasione – il vero rapporto politico dei liberi cittadini all’interno dell’istituzione urbana 45 .
L’universalità dello spazio pubblico-politico (e dunque il suo
privilegiato dischiudimento della realtà) era garantita quindi non solo dal fatto che la stessa situazione fosse al centro di un confronto plurale,
42 F. FISTETTI, Hannah Arendt e Martin Heidegger…, cit., p. 72. 43 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (1 of 4 folders), n. 023364, p. 9. 44 Ibidem. 45 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., pp. 96-97; Che cos’è la politica?, cit., p. 76 (frammento 3C).
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ma anche dalla possibilità di considerarla acquisendo il quadro più
ampio delle prospettive teoricamente disponibili. In questo senso gli
inediti arendtiani evidenziano, insieme alla concezione generale della politica come spazio di libertà (e dell’agorà come condizione e teatro
del suo esercizio), un’originale assunzione riguardo a tale nozione:
l’insistenza sulla dimensione dialogica rivela come ciò che Arendt recupera come uguale diritto di parola (isêgoria) sia da intendere non
semplicemente come libertà di espressione (il diritto di ciascuno di
dire quello che vuole, in termini cioè individualistici, senza tener
conto del punto di vista degli altri), ma come una vera e propria possibilità di accedere alla realtà muovendosi tra punti di vista
differenti46. A ciò si riferiscono due significativi rilievi culturali: (i) il
riconoscimento del contributo dei sofisti (contra Platone e le sue condanne morali), la cui capacità di escogitare stratagemmi risultava
funzionale all’affrancamento del pensiero umano dai vincoli
dogmatici, rappresentando una vera e propria palestra di libertà
spirituale; (ii) il rinvenimento di un collegamento diretto tra tale libertà e la «virtù cardinale del politico» (Kardinaltugend des
Politischen), la phronêsis, quella forma di «acume» (Einsicht, insight)
dell’autentico uomo di stato che Aristotele nettamente demarcava dalla «sapienza» (Weisheit) del filosofo:
Einsicht in einem politischen Sachverhalt heisst nichts anders als die
grössmögliche Übersicht über die möglichen Standorte und Standpunkte, aus
denen der Sachverhalt gesehen und von denen her er beurteilt werden kann,
zu gewinnen und präsent zu haben. Discernimento in una questione politica
non significa altro che acquisire e aver presente la visione d’insieme più
ampia disponibile delle possibili posizioni e dei possibili punti di vista da cui la questione può essere guardata e giudicata47.
This kind of understanding – seeing the world (as we rather tritely say today)
from other fellow’s point of view – is the political kind of insight par
excellence. If we wanted to define traditionally the one outstanding virtue of
46 Coglie acutamente questo aspetto C. VALLÉE, Hannah Arendt: Socrate et la question du totalitarisme (1999), traduzione italiana a cura di F. FISTETTI, Hannah Arendt: Socrate e la questione del totalitarismo, Bari, Palomar, 2006, p. 70. 47 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., pp. 96-97; Che cos’è la politica?, cit., p. 76 (frammento 3C).
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the statesman, we could say that it consists in understanding the greatest
possibile number and variety of realities48.
Virtù decisiva per l’uomo politico (statesman) è dunque quella di
«vedere il mondo dal punto di vista degli altri»: interessante osservare come, già alla metà degli anni Cinquanta, Arendt sottolineasse la
continuità tra questa accezione di phronêsis e la «mentalità aperta»
(erweiterte Denkungsart) propria della Urteilskaft kantiana 49 : la
capacità (Fähigkeit) di «pensare dalla posizione di ogni altro» (an der Stelle jedes andern [zu] denken). Indicativa una annotazione del 1953:
Es ist wohl keine Frage dass das politéuein der Athener de facto im krinein -
urteilen und entscheiden – bestand. Cf. Aristoteles: arké kai krisis. Non è in
discussione il fatto che il politeuein degli Ateniesi de facto consistesse nel
krinein – giudicare e decidere. Cfr. Aristotele: archê kai krisis: magistratura e tribunale]. (quaderno XIII, gennaio 1953, n. 9)50.
DOXAI
Nella ricostruzione della ricerca arendtiana, essere politici, cioè
vivere nella polis, significava dunque – come ancora attesta la Politica
aristotelica - che tutto si decideva con le parole e non con la forza e la violenza. L’azione politica, insomma, era compiuta attraverso la
parola e la parola in politica era forma privilegiata di azione51: peithein,
48 Si tratta di un passo delle lezioni su “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023402, p. 38; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 18. 49 Al centro di corsi tra il 1964 e il 1970: “Kant’s Political Philosophy”, lectures, University of Chicago, 1964, 1970; New School for Social Research, New York, 1970 (Series Speeches and Writings File: 1923-1975), The Hannah Arendt Papers,
Manuscript Division, Library of Congress, Washington D.C.). Le lezioni sono state pubblicate come H. ARENDT, Lectures on Kant’s Political Philosophy, Edited and with an Interpretative Essay by R. BEINER, Chicago, University of Chicago Press, 1989; edizione italiana H. ARENDT, Teoria del giudizio politico. Lezioni sulla filosofia politica di Kant, con un saggio interpretativo di R. BEINER, Genova, il Melangolo, 1990. 50 Denktagebuch, Bd. I, p. 301; traduzione italiana p. 261. 51 C. VALLÉE, Hannah Arendt…, cit., p. 62.
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«persuasione», appunto, che aveva sostituito, nella conduzione degli
affari politici, la costrizione violenta in pratica presso i «barbari».
Nelle pagine della Einführung in die Politik azione e parola sono intrinsecamente politiche, nella misura in cui presuppongono
direttamente la relazione tra gli uomini e dunque la pluralità: essa,
come abbiamo riscontrato, è per altro anche condizione dell’obiettivarsi del mondo:
niemand all das, was objektiv ist, von sich her und ohne seinesgleichen
adäquat in seiner vollen Wirklichkeit erfassen kann, weil es sich ihm immer
nur in einer Perspektive zeigt und offenbart, die seinem Standort in der Welt
gemäss und inhärent ist. nessuno, da sé e senza pari, può afferrare
adeguatamente, nella sua piena realtà, ciò che è obiettivo, in quanto gli si
mostra e rivela sempre solo in un’unica prospettiva, quella che è conforme e
inerente alla sua posizione nel mondo52.
L’assunto - sviluppato in particolare in Philosophy and Politics (1954)
- è che il mondo si apra a ciascuno in modo diverso, secondo la
posizione che occupa in esso: la sua oggettività (nel lessico del
soggettivismo moderno) ovvero comunanza (koinon): ciò che è comune a tutti) risiede nel fatto che lo stesso mondo si apre a ciascuno
e che – nonostante le differenze tra gli uomini e le loro posizioni nel
mondo, e quindi tra le loro doxai - «io e te siamo entrambi umani» (both you and I are human)53. Il termine doxa è espressione di ciò che
«appare a me» (dokei moi), e in questo senso, evidentemente, non
individua distorsione arbitraria, né fraintendimento: essa è una forma di comprensione del mondo, così come si dischiude al singolo
individuo. Il significato “politico” di tale schiusura è implicito
nell’ulteriore accezione della parola: non solo «opinione» ma anche
«splendore» e «fama». È al cospetto dei propri simili, infatti, che si può apparire, palesare chi si è: asserire la propria opinione è essere in
grado di mostrarsi, essere visti e ascoltati dagli altri. Si tratta del
peculiare privilegio della sfera pubblica, assente in quella privata e
52 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 52; Che cos’è la politica?, cit., p. 40 (frammento 3B). 53 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023399, p. 35; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 14.
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familiare, dove si è nascosti e non si può né apparire, né risplendere54:
analogamente all’omerico kleos («fama», «gloria»), nella doxa si
appalesa il piacere del rivelarsi e l’aspirazione a rendere memorabili le proprie azioni e convinzioni, sottoponendole alla luce dell’attenzione
dei propri pari. La modalità specifica con cui, secondo Arendt, nella
lezione omerica era indicata la via per l’immortalità:
The difference between the things which were given by nature as part of the
universe (as well as this universe itself) and human affairs which owed their
existence to man was not that the latter were less great but that they were not
immortal. Neither the mortality of man nor the frailty of human affairs was
yet an argument against the greatness of man and the potential greatness of
his enterprises. Glory was the specifically human possibility of immortality
and was due to everything that revealed greatness55.
Nella misura in cui la doxa rivela, lo scambio di opinioni – a dispetto del contesto competitivo delle poleis greche - è occasione per
promuovere riconoscimento reciproco, «una sfera di comprensione»56
il cui specifico principio attivo – la persuasione – concorre alla ricerca
di un significato condiviso, e, in un certo senso, a controbilanciare l’eccesso agonistico 57 . Persuadere (peithein) è proporre degli
argomenti (logoi) alla ragione di un interlocutore, per corteggiarne il
consenso58 senza esercitare pressioni; attivarne la sensibilità ai punti di vista alternativi implicita nel logos in quanto Mit-Anderen-Reden. In
questo senso il rilievo politico, nell’esperienza greca, del peithein (di
cui, secondo Arendt, «persuasione» è traduzione «debole») e delle tecniche al suo servizio (retorica), e l’eminenza di Peithô, dea della
persuasione, in Atene59. Ancora una volta è indicativa la “topologia”
della libertà politica: al dispotismo della vita privata familiare
confinato nell’oikos, si contrappone la pratica “persuasiva” della vita
54 Ibidem. 55 “Karl Marx and the Tradition of Western Political Thought”, Second Draft, Part II, p. 12 (image 4 of 17); H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 46. 56 A. MECCARIELLO, Philosophy and Politics…, cit. p. 141. 57 Ibidem. 58 Su questo punto C. VALLÉE, Hannah Arendt…, cit., p. 63. 59 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023394, p. 32; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 7.
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pubblico-politica che ha il proprio luogo deputato nell’agorà. È in
questo contesto doxastico che Arendt disloca l’evento cruciale alle
origini della filosofia politica occidentale, che viene così delineato:
Our tradition of political thought began when the death of Socrates made
Plato despair of polis life and, at the same time, doubt certain fundamentals
of Socrates’s teachings. The fact that Socrates had not been able to persuade
his judges of his innocence and his merits, which were so obvious to the
better and younger part of Athen’s citizenship, made him doubt the validity
of persuasion. […] Closely connected with the doubt of the validity of
persuasion is Plato’s furious denunciation of doxa, opinion, which not only
runs like a red thread through his political works, but became one of the
cornerstones of his concept of truth. Platonian truth even when doxa is not mentioned is always understood as the opposite of opinion, doxa60.
La filosofia politica sarebbe cominciata, dunque, con un profondo
conflitto tra la filosofia e l’ambito di realtà cui essa si rivolgeva61:
quello degli «affari umani» (the human affairs), delle «cose che riguardano gli uomini in quanto vivono insieme» (things that concern
men insofar as they live together) –: il drammatico spettacolo di
Socrate che sottomette la propria doxa alle doxai irresponsabili degli
ateniesi indusse Platone al dispregio delle opinioni e all’introduzione di criteri assoluti:
philosophy sice Plato required an explicit and permanent turning-away from
the multitude and the world of common human affairs, and that this world, if
it is not “ruled” by philosophy o, what amounts to the same, by philosophical
standards, will be antagonistic and detrimental to the philosopher himself62
.
Come osserva Hannah Arendt, «l’opposizione tra verità e opinione fu
certamente la conclusione più antisocratica che Platone ricavò dal
60 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), nn. 023394-023395, pp. 32-33; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., pp. 6-8. 61 Si tratterebbe, secondo Arendt, di un caso unico. Su questo “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (1 of 4 folders), n. 023358, p. 3. 62 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (1 of 4 folders), nn. 023358-023359, pp. 3-4.
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processo a Socrate»63. In questa prospettiva, già nei dattiloscritti dei
corsi della prima metà degli anni Cinquanta la figura socratica assume
i contorni “idealtipici” del pensatore capace di una comprensione autentica di ciò che è la politica, della pluralità che ne è sostanza, e
dunque funge, allo stesso tempo, anche da paradigma su cui misurare
l’erramento della tradizione da Platone a Marx.
DIALEGHESTAI: «DIE SOKRATISCHE POSITION»64
Il Socrate della Arendt risulta in qualche modo esasperazione del
modello del cittadino: evitando il ritiro privato nell’oikos e dislocandosi sulla scena pubblica, tra le doxai nell’agorà, egli era tutto
votato a un’attività intesa a far recuperare la verità nelle doxai, cioè a
quella «maieutica» (the art of midwifery) che «aiuta gli altri a partorire ciò che essi stessi comunque pensavano» (help others give birth to
what they themselves thought anyhow). Dal momento che ogni singolo
individuo è portatore di una doxa peculiare, effetto della sua particolare apertura al mondo, Socrate era in effetti impegnato, con le
proprie domande, a far manifestare il dokei moi dei suoi interlocutori
concittadini: egli voleva rendere la polis «più vera» (more truthful),
attendibile, rivelando l’apertura al fondo di quelle doxai, in altre parole «sgravando ogni cittadino della sua verità» (delivering each of
the citizens of their truths). Il suo metodo era appunto «dialogare»
(διαλέγεσθαι, dialegesthai), saggiare la consistenza delle opinioni
interrogando circa la loro natura e i loro contenuti: era così possibile
rivelare la veridicità della doxa (ciò che essa aveva da dire sul mondo
63 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French
Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023395, p. 34; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 8. 64 “Die Sokratische Position” era il titolo pensato per il terzo capitolo del progetto della Einführung in die Politik, come ancora risulta dagli appunti manoscritti di Hannah Arendt consultabili in “Einführung in die Politik” (7 of 7 folders, n. 022385), (Series: Speeches and Writings File, 1923-1975), The Hannah Arendt Papers, Manuscript Division, Library of Congress, Washington D.C.; ora in appendice a H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p.195; Che cos’è la politica?, cit., p. 155.
23
comune), senza distruggerla 65 . Socrate agiva da «levatrice»
comportandosi come un «tafano» (gadfly): pungolando i concittadini
con le proprie richieste, stimolandone la coscienza all’uso del pensiero, ridestandoli a una partecipazione più consapevole. Socrate era dunque
interessato non a educare i cittadini, ma a migliorarne le doxai,
rendendole più chiare e trasparenti, indipendentemente dall’esito veritativo generale (donde l’aporeticità dei primi dialoghi platonici): si
trattava di attività politica a tutti gli effetti, volta a conservare e
valorizzare la pluralità dei punti di vista all’interno di una polis in cui
la contesa era accesa e incessante e sempre potenzialmente minacciosa. Arendt rileva come un’attività dialogica che non necessiti di un
risultato conclusivo per essere significativa è appropriata a una
compagnia di amici, che parlano tra loro di ciò che hanno in comune e che in tal modo (parlando di quel che è tra loro) lo condividono ancora
più intensamente: in questo senso, il Socrate arendtiano cercò di
trasformare i cittadini ateniesi in «amici», affinché più forte risultasse
la comunanza del mondo politico (the commonness of the political world)66. Proprio in quanto sembra identificare la funzione politica del
dialegesthai nel contributo alla costruzione di questo mondo comune,
in quanto conduce ognuno ad assumere il proprio punto di vista tra i suoi pari, Socrate appare alla Arendt fondatore di un’autentica
filosofia politica. Ciò, in particolare, si riflette nell’opzione
fondamentale dello scenario della pratica filosofica:
Die Sokratische Position: Das einzige Philosophieren, das je in der
Öffentlichkeit stattfand. Dagegen die Akademie. La posizione socratica:
l’unico filosofare che mai abbia avuto luogo nella sfera pubblica. Di contro
l’Accademia67.
65 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French
Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023400, p. 36; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 15. 66 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023401, p. 37; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 16. 67 Si tratta sempre di appunti manoscritti per la stesura della Einführung in die Politik: “Einführung in die Politik”, cit., (7 of 7 folders), n. 022385; ora in appendice a H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p.195; Che cos’è la politica?, cit., p. 155.
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Benché il dialogo, di per sé (cioè in quanto ristretto a due
interlocutori), non abbia alcuna valenza politica, i dialoghi socratici, in
effetti, la acquisiscono per lo spazio pubblico (l’agorà) in cui si svolgono, per i temi che affrontano (coraggio, giustizia, pietà: non
fenomeni d’intimità di una conversazione tra amici), per la loro stessa
struttura regolata, con ruoli definiti (Socrate interroga e si rifiuta di rispondere) 68 : di fronte a spettatori interessati e potenzialmente
partecipi, è il mondo tra loro a essere illuminato, nella misura in cui
scopo dell’interrogare di Socrate è l’accertamento della posizione
dell’altro nel mondo comune, e chi assiste impara a guardare il mondo dal punto di vista dell’altro. A rivelare la statura “politica” di Socrate
è poi la sua estraneità al pregiudizio che avrebbe minato la tradizione
della filosofia politica:
Die philosophische Vorurteile: gegen Pluralität, Zusammensein und gegen
Meinungen. Hier sehr viel ernster, weil nicht ein Vorurteil über die Politik,
sondern eine Verurteilung dessen, was Politik in der Tat ist. I pregiudizi
filosofici: contro la pluralità, l’essere-insieme e contro le opinioni. Qui la
cosa è molto più seria, dal momento che non si tratta di un pregiudizio contro
la politica, piuttosto di una condanna di ciò che di fatto è la politica69.
La ripresa socratica del motto delfico «conosci te stesso» è così reinterpretata dalla Arendt: solo mediante la conoscenza di ciò che
appare unicamente a me, e quindi restando sempre in relazione con la
mia esistenza concreta, posso comprendere la verità70: Absolute truth, which would be the same for all men and therefore unrelated,
independent of each man’s existence, cannot exist for mortals. For mortals
the important thing is to make doxa truthful, to see in every doxa truth and to
speak in such a way that the truth of one’s opinion reveals itself to oneself
and to others71.
68 Insiste su questi aspetti C. VALLÉE, Hannah Arendt…, cit., p. 66. 69 “Einführung in die Politik”, cit., (7 of 7 folders), n. 022385; H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p.195; Che cos’è la politica?, cit., p. 155. 70 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023403, p. 39; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 19. 71 Ibidem.
25
Il limite della verità per i mortali risiede nel dokein, ovvero: la verità
(per i mortali) aderisce sempre all’apparenza, che, in questo senso,
non ha nulla dell’illusione soggettiva. Ed è nella direzione della positività dell’apparire che Arendt ripropone l’accostamento (positivo)
alla sofistica: se l’essenza di quell’insegnamento risiedeva
nell’insistenza sulla possibilità di discutere ogni argomento in due modi diversi (dittos legesthai), Socrate è allora il maggior sofista, dal
momento che, per lui, vi sono tanti logoi quanti sono gli uomini:
all these logoi together form the human world, insofar as men live together in
the manner of speech72.
Ma è a partire dalla riflessione sul criterio considerato da Socrate essenziale per poter parlare con sincerità della propria doxa che la
nozione di pluralità penetra ancora più in profondità nell’analisi
arendtiana: la coerenza personale, l’accordo con sé stessi presuppongono, infatti, la fondamentale «paura della contraddizione»
(fear of contradiction), che accompagna l’esperienza del pensare73 .
Tale paura deriva dal fatto che ciascuno di noi, «essendo uno», può allo stesso tempo parlare con se stesso come se fosse due: pensare è
dialogare con sé stessi. L’uomo (l’uomo soltanto) esiste in una
condizione di pluralità: essa è inscritta in lui: Voraussetzung: dass ich, wenn ich mit mir selbst bin (= denken), zwei bin
und nicht einer. Pluralität dringt in das Alleinsein. Presupposto: che io,
quando sono solo con me stesso (= pensare), sono due e non uno. La pluralità
penetra nell’esser soli74.
72 Ibidem. 73 Anche in questo caso impressionante l’anticipazione in questi materiali di motivi al
centro della produzione più tarda di Arendt: “Thinking and Moral Considerations. A Lecture”, New School for Social Research, N.Y., 1971 (Series Speeches and Writings File: 1923-1975), The Hannah Arendt Papers at the Library of Congress, Washington D.C.; “Thinking” in The Life of the Mind (1978). Come ha puntualmente sottolineato Ursula Ludz, escludendo fratture nel pensiero arendtiano (H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p.150; Che cos’è la politica?, cit., p. 120. 74 “Einführung in die Politik”, cit., (7 of 7 folders), n. 022385; H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p.195; Che cos’è la politica?, cit., p. 155.
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Logos e pluralità risultano correlati non solo perché verbalmente si
comunica con gli altri con cui si condivide il mondo, ma soprattutto
nel senso che, «parlando con me stesso, io vivo insieme a me stesso» (speaking with myself, I live together with myself)75. Pensare implica
intrattenersi con un interlocutore interiore che fa valere il punto di
vista degli altri: la pluralità è interiorizzata, e il pensare contribuisce a quella forma di comprensione (understanding) in cui consiste, come
abbiamo visto, «l’acume politico per eccellenza» (the political kind of
insight par excellence).
SOLITUDE VERSUS LONELINESS
Per valutare l’impatto di questi rilievi riguardo alla «posizione
socratica» sulla riflessione arendtiana, è necessario tenere a mente la
costellazione di nozioni entro cui essa è condotta: mondo comune, libertà, pluralità, dialogo, pensiero. Un quadro che proietta verso il
contemporaneo spazio di ricerca intorno agli «elementi» del
«totalitarismo» e i posteriori esiti delle analisi di The Life of the Mind, come attesta limpidamente la lecture del 1953 “The Great Tradition
and the Nature of Totalitarianism”76, che riprende passaggi di Ideology
and Terror. A Novel Form of Government77:
Loneliness and uprootedness: Out of uprootedness, losing one’s place in the
world comes loneliness as general experience. Who is uprooted is
superfluous. I am lonely when I am superfluous, when I have no place in the
world […] Solitude: I am by myself, together with myself, and with every
75 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023403, p. 40; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 20. Nel 1954, dunque, si accennava già chiaramente a una «vita»
connessa al pensare. 76 “The Great Tradition and the Nature of Totalitarianism”, lecture, New School for Social Research, N.Y., 1953 (Series: Speeches and Writings File, 1923-1975), The Hannah Arendt Papers at the Library of Congress, Washington D.C.. 77 Uscito in inglese su “The Review of Politics”, XV, n. 3, 1953 e in tedesco in Offener Horizont. Festschrift für Karl Jaspers, München, Piper, 1953, il saggio sarebbe stato poi ristampato nella seconda edizione ampliata di The Origins of Totalitarianism (1958).
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body. The dialogue of thought which is pure activity […] The duplication of
solitude in which I am equivocal and never One. I become one through the
others who identify me. My thoughts come into the realm of the common
where common sense judges them and where I talk about them. Against the
thinking dialogue where I think of something and think something, but not
about something78.
Arendt esplicitamente rievoca la distinzione tra êremos e monos in Epitteto, tra l’uomo estraniato dagli altri (nella condizione di
loneliness) e l’uomo «da solo», solitario79: mentre il primo, ancora
circondato dagli altri, non è in grado di stabilire contatto, è – poprio per ciò - «impotente» (esperienza di helplessness), esposto alla loro
eventuale ostilità, l’altro è in compagnia di se stesso, conserva la
capacità di dialogare con se stesso. Nella desolazione dello
straniamento si è effettivamente abbandonati da tutti, sradicati (uprooted) dal mondo, senza collocazione e relazioni stabili: si è perso
il mondo e sé stessi. Nella solitudine si è due-in-uno: nel dialogo tra
me e me il contatto con il mondo rimane aperto, gli altri sono rappresentati nell’io, diventano interlocutori nel dialogo del pensiero.
Così, l’isolamento (isolation) del solitario ha certamente l’effetto
(politico) di far perdere la capacità di agire (che richiede il concorso degli altri), ma l’estraniazione (loneliness) fa perdere la sintonia con
gli altri, il «senso comune», il significato di ciò che si ha in comune
con gli altri80. In questo contesto ritroviamo un’eco delle osservazioni
sulla doxa in quanto splendore e fama (collegata alla sfera pubblica in cui ciascuno può apparire - asserire la propria opinione- e mostrare chi
è): la pluralità, riprodotta nella solitudine del due-in-uno, è in vero
essenziale anche per ridiventare uno, per acquisire la propria irripetibile identità. A tale scopo non è funzionale l’interiorizzazione
delle istanze plurali nel pensiero, la rappresentazione degli altri nel
dialogo della riflessione (che mantiene l’io comunque in un equilibrio
equivoco): è necessaria la compagnia degli altri, il confronto diretto con loro, la discussione su ciò che è comune, che in tal modo –
78 “The Great Tradition and the Nature of Totalitarianism”, cit., p. 9 (image 10 of 14). 79 L’uomo che sceglie la solitudine per essere indipendente. A tale condizione si riferisce Arendt citando Catone in Cicerone: «never less solus than when solus». Ibidem. 80 Ibidem.
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parallelamente alla conferma dell’indentità dell’individuo nel
consorzio umano – acquisisce la sua piena consistenza reale. È questa
ulteriore, specifica rete di nozioni (isolamento, solitudine, due-in-uno, pluralità) a determinare la peculiare «posizione» di Socrate nella polis.
«Be as you would like to appear to others» 81 è l’ammonimento
socratico, consapevole delle profonde radici plurali dell’umanità: nell’ambito pubblico-politico gli uomini raggiungono la loro piena
umanità in quanto non semplicemente sono, ma appaiono. Anche soli
(alone), non siamo mai soli: in the dialogue of solitude in which I am strictly by myself, I am not
altogether separated from that plurality which is the world of men and which
we call in its most general sense humanity. This humanity, or rather this
plurality is indicated already in the fact that I am two-in-one82.
Coerenza personale (con il rifiuto della contraddizione) e coscienza (in
senso morale: conscience) passano attraverso questa esperienza solitaria del due-in-uno, che attesta la realtà dell’io:
No man can keep his conscience intact who cannot realize the dialogue with
himself, that is who lacks the solitude required for all forms of thinking83.
Certo, la mutevolezza (changeability) intrinseca a tale dialogare
interiore genera virtualmente equivocità (equivocality): ma è attraverso le potenzialità di quelle forme variabili del sé con cui
conviviamo che possiamo rappresentarci l’umanità degli altri uomini,
aspettarci da essi determinati comportamenti. È questa appunto la doxa, l’apertura al mondo propria di ognuno, che assume rilievo
politico per Socrate: «the dialogue of myself with myself» - essenziale
al pensiero – costituisce allora, con le sue implicazioni, il tratto
81 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023406, p. 42; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 22. 82 Ibidem. 83 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023407, p. 43; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 25.
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decisivo del suo contributo (l’identità di pensiero e discorso era già un
dato acquisito nella cultura greca).
«MAN IS THE TOPIC OF PHILOSOPHY AND MEN THE
SUBJECT OF POLITICS»84
La rilevanza politica di tale dialogare fu, nella lettura arendtiana,
drammatica, nella misura in cui veniva – di fatto – a proporre la «solitudine» (condizione del dialogo interiore del sé con se stesso)
come requisito necessario al buon funzionamento della polis85: non si
trattava solo – come risulta da “Philosophy and Politics” – di una associazione oggettivamente pericolosa, in quanto la solitudine era
riconosciuta prerogativa e «costume professionale» (professional
habitus) del filosofo, tale da renderla sospetta alla polis come anti-
politica per eccellenza. In realtà, quel pregiudizio palesava implicitamente una connessione che si sarebbe pienamente rivelata nel
suo significato politico solo con Platone, e, in tale prospettiva, ne
presentiva i rischi:
Solitude: Isolation is the prerequiste of solitude. In solitude thinking in whose
dialogue I am in contact with everybody, and myself. In Loneliness: I lose
both self and world, the faculties of thought and experience and making
things, creativity in the largest sense. The first invasion of loneliness through
the transformation of solitude into loneliless […] Philosophers the only ones
for whom solitude condition of their work; they need to be left alone. Their
best “government” is tyranny in the enlightened way […] Political
philosophy: What is the attitude of the philosophers to politics? […] Plato:
Human pragmata are not worth of full seriousness; they are the sphere of opinions as against truth. In this sphere nothing can be made out86.
84 Si tratta di passaggio di una nota in lingua inglese, del novembre 1950: Denktagebuch, Bd. I, p. 43; Quaderni e diari, p. 47. 85 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (2 of 4 folders), n. 023407, p. 43; H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 24. 86 “The Great Tradition and the Nature of Totalitarianism”, cit., p. 11 (image 12 of 14).
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Se la diffidenza della polis per la filosofia (e il suo ritrarsi in
solitudine) era, secondo Arendt, probabilmente ricambiata sin dai
tempi di Parmenide (il primo a sostenere che il libero parlare insieme su qualcosa non produca realtà ma illusione)87, fu solo con Platone,
fondatore della filosofia politica occidentale, che l’ostilità si manifestò
con il rifiuto di ricavare i criteri del politico dalla sfera doxastica della libertà nella polis e l’opzione di desumerli direttamente dalla
filosofia 88 : la «pluralità» appariva al filosofo un elemento di
«disturbo»: Plurality seen as annoying:
a) because it interferes with isolation and solitude;
b) because it accounts for opinions instead of truth;
c) because it makes us dependent on others89.
Di fronte al «filosofo» Platone si svolge il dramma del conflitto tra
Socrate e la Città: il suo tentativo di rendere le doxai dei concittadini più consistenti mettendole alla prova, ricercando la verità in esse,
portava spesso alla loro distruzione (come attestato dall’aporeticità dei
dialoghi socratici) e al conseguente sospetto che colui che si
proclamava «sterile» di sapere fosse in realtà esperto di verità. Insomma, la strategia socratica di fare della filosofia un’esperienza
rilevante per la polis non fece che innescarne la sconfitta: solo
ritraendosi dal mondo con la apolitia (con un apoliteutos bios, vita ritirata dalla sfera pubblica), il filosofo poteva proteggersi dall’ostilità
del mondo90. Nelle annotazioni per la lecture del 1953 sulla “grande
tradizione”, Arendt così schizza la differenza tra teoresi (platonica) e
pensare (socratico):
87 H. ARENDT, Was ist Politik?, cit., p. 54; Che cos’è la politica?, cit., pp. 4-42. Il passo è tratto dal frammento 3B (I. Kapitel: Der Sinn von Politik). 88 Ibidem. 89 “The Great Tradition and the Nature of Totalitarianism”, cit., p. 11 (image 12 of 14). 90 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (3 of 4 folders), p. 44 (image 59 of 72); H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 26.
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Plato’s contemplation of ideas: No way to action out of contemplation, out of
this absorption into something not earthly. Distinction to thinking which
never leaves the dialogue and therefore never becomes enrapt91.
L’originaria esperienza socratica del pensiero come dialogo di due-in-
uno fu oscurata dalla frattura platonica tra «anima» (soul) - elemento divino (teoretico) nell’uomo, capace di elevarsi alla speculazione delle
idee - e «corpo» (body) - ciò che nell’uomo abita il mondo degli
uomini. Introiettato in tal modo dal filosofo, il conflitto tra filosofia e occupazioni umane fu risolto analogamente al “governo” (in realtà
dominio) dell’anima sul corpo92: con l’esito di ditruggere la possibilità
della politica: Political activity seen as the art of statesmanship: This art construed
according to two models: Physician who also deals with the body; or the
herdman, the shepherd93.
La necessità della politica discenderebbe dunque, nella prospettiva
platonica, da due premesse negative: (i) «we live together with other
people», e (ii) «man is not independent»94. È a causa dei nostri bisogni e dell’originaria pluralità umana che si impone l’esigenza di governo
(rule), in forza della superiorità (di genere e valore) della Ragione:
The rule of the statesman-philosopher supposes such a difference in kind. This rule according to Reason, or the “ideal” order: The tyranny of Reason95.
Affascinato dalla forza costrittiva (Zwang) dell’argomento logico
(Argument), dall’esperienza del dispotismo del logismos (Despotie des
logismos)96, Platone introduce un problema che impegnerà la Arendt nei due decenni successivi:
91 “The Great Tradition and the Nature of Totalitarianism”, cit., p. 12 (image 13 of 14). 92 “Philosophy and Politics: the Problem of Action and Thought after the French Revolution”, cit., (3 of 4 folders), p. 44 (image 61 of 72); H. ARENDT, The Promise of Politics, cit., p. 28. 93 “The Great Tradition and the Nature of Totalitarianism”, cit., p. 11 (image 12 of 14). 94 Ibidem. 95 Ibidem. 96 Denktagebuch, Bd. I, pp. 34-35; Quaderni e diari, p. 39. Appunto del settembre 1950.
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Die Affinität des Philosophen und des Tyrannen seit Plato […] Die
abendländische Logik, die als Denken und Vernunft gilt, ist tyrannisch «by
definition». Gegen die unabänderlichen Gesetze der Logik gibt es keine
Freiheit; wenn Politik eine Angelegenheit des Menschen und der
vernünftigen Staatsverfassung ist, kann nur Tyrannei gute Politik produzieren.
– Die Frage ist: Gibt es ein Denken, das nicht tyrannisch ist? L’affinità del
filosofo e del tiranno da Platone ]…] La logica occidentale, che vale come
pensiero e ragione, è tirannica by definition. Contro le inalterabili leggi della logica non vi è alcuna libertà; se la politica è una faccenda che riguarda
l’uomo e l’organizzazione razionale dello stato, solo la tirannia può produrre
buona politica. L’interrogativo è: Esiste un pensiero che non sia tirannico?
(quaderno II, dicembre 1950, n. 20)97.
97 Denktagebuch, Bd. I, p. 45; Quaderni e diari, pp. 48-49.