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Un a perduta raffigurazione federi ciana descritta da Francesco Pipino e la sede
della cancelleria imperiale
Francesco Pipino, un cronista bolognese della prima metà del XIV secolo C), al capitolo 39 del II libro del suo Chronicon e), riferisce alcune notizie relative a una raffigurazione presente in un palazzo di Napoli, nella quale erano ritratti l'imperatore Federico II e il suo protonotario e logoteta Pier della Vigna. Questa è la descrizione che Francesco Pipino fornisce dell'immagine, andata purtroppo perduta:
« .. .in Neapolitano palati o imperatoris et Petri effigi es habebantur. Imperator in throno, Petrus in cathedra residebat. Populus ad pedes imperatoris procumbens, iustitiam sibi in causis fieri his versibus innuebat:
Caesar amor legum, Friderice piissime regum, causarum telas nostras resolve querelas.
Imperator autem his aliis versibus ad haec videbatur tale dare responsum:
Pro vestra lite censorem iuris adite: hic est; iura dabit, vel per me danda rogabit. Vinee cognomen Petrus iudex est sibi nomen.
Imperatoris enim figura respiciens ad populum, digito ad Petrum sermonem dirigere indicabat ».
La descrizione della raffigurazione è piuttosto precisa, ed è l'unica che ci è stata tramandata e). Essa è da considerare come
(l) Sull'autore cfr. soprattutto T. KAEPPELI, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, l, Roma 1970, pp. 392-95; A. l. PINI, Pipino Francesco, in Lexicon des Mittelalters, VI, MiinchenZiirich 1993, col. 2166.
(2) Pubblicato da L.A. MuRATORI nei RIS, IX, Milano 1726. Il capitolo in questione («De magistro Petro de Vineis ») è riportato alle coli. 559-60. L'unico codice che riporta l'opera, lo stesso di cui Muratori si è servito per la sua edizione, è conservato a Modena, Biblioteca Estense, " X. l. S.
(3) A dire il vero una descrizione assolutamente identica è fatta anche da BENVENUTUS DE
r
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una simbolica rappresentazione dell'idea di iustitia, su cui l'imperatore svevo aveva incentrato gran parte della propria concezione politica e statuale (4
). Federico, infatti, appare come il dispensatore del diritto, ed è posto sul seggio imperiale; Pier della Vigna, invece, appare assiso sulla cattedra del giudice, di colui, cioè, che funge da mediatore tra l'imperatore e il popolo. Anche in molte arenghe di documenti redatti dalla cancelleria sveva è possibile trovare affermazioni intese a dimostrare che l'imperatore è stato insediato da Dio sul trono del mondo proprio per espletare la funzione di custode della giustizia e della pace CS). Tale era il senso anche del Proemio delle Costituzioni Melfitane - ossia di quel testo che rappresenta il manifesto più solenne della concezione ufficiale del potere imperiale - in cui si rappresentava l'imperatore come rimedio all'infirmitas generata dal peccato originale, come colui che, rerum necessitate et divina provisione, rappresenta uno strumento per impedire la dissoluzione del genere umano. È lui la lex animata in terris che funge da mediatore tra il diritto divino e quello umano. Nella continua sovrapposizione di elementi teologici e giuridici che caratterizza il periodo che è stato denominato << secolo del diritto » ( 6) non è, poi, difficile ritrovare << mistiche » esaltazioni anche di chi rappresentava il riflesso umano della divina figura imperiale: ad esempio nell'elogio composto da Nicola da Rocca in onore di Pier della Vigna quest'ultimo è descritto come un << novus legifer Moyses de monte Synai, legum copiam concessam sibi coelitus hominibus reportavit >> C).
RAMBALDIS DE IMoLA, Comentwn super Dantis Aldigherii Comoediam, ed. G. Lacaita. I, Firenze 1887. pp. 432-33. Benvenuto. tuttavia, si è sicuramente servito. a questo proposito. della cronaca di Pipino.
(4) Per uno sguardo complessivo sulla concezione politica di Federico II- qui necessariamente trattata molto rapidamente - si leggano soprattutto E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, Milano 1976, (ed. or., Berlin 1927-30), passim; In., I due corpi del re, Torino 1989 (ed. or., Princeton 1957), pp. 84-123; A. DE STEFANO, L'idea imperiale di Federico II, Bologna 19522;
H.M. ScHALLER, Die Kaiseridee Friedrichs II., in Stupor Mundi, Darmstadt 19822 [Wege der Forschung 101), p. 497 (questo saggio è apparso per la prima volta in Probleme um Friedrich II., a cura di J. FLECKENSTEIN, Sigmaringen 1974, pp. 109-34; ora si trova anche in In., Stauf'erzeit, MGH Schriften 38, Hannover, 1993, pp. 53-83).
(5) Cfr. ad esempio, J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia Diplomatica Friderici Il, Paris 1852-1861, V, pp. 372, 404, 1093; VI, p. 40; MGH, Legum Sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, 2, ed. L. Weiland, Hannover 1896, pp. 190, 267, 365.
(6) H. NIESE, Die Gesetzgebung der normannische11 Dynastie im Regnum Siciliae, Halle a. S. 1910, p. 200, è stato il primo a definire in tale modo gli anni 1150-1250.
(7) J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865 (rist., Aalen 1966), p. 290, doc. n. 2.
UNA PERDUTA RAFFIGURAZIONE FEDERICIANA 739
La raffigurazione che adornava il palazzo napoletano ci rende, dunque, consapevoli della trasposizione anche in campo iconografico del culto del sovrano svevo. Purtroppo essa - seguendo la stessa sorte della monumentale porta di Capua - non ci è pervenuta, privandoci, così, di un importante documento di interesse non solo storico-artistico. La sua funzione, infatti, era quella di contribuire alla creazione di una ben determinata ed evidente immagine della supremazia irradiata dall'imperatore: supremazia intesa nel suo senso più ampio. Quella raffigurazione era - allo stesso modo di una corona, di uno scettro, ma anche del linguaggio cancelleresco e poetico, o di istituzioni di tipo culturale e amministrativo, come lo Studium fondato nel 1224 - un',, insegna di potere » ( 8
). Essa, rappresentando il popolo prono ai piedi di Federico, doveva servire ad imporre figurativamente il sacro timore della potenza imperiale: figurativamente, perché ciò che si percepisce « ex oculorum aspectu ... menti bus hominum magis infigitur quam dimissa per aures » ( 9
).
La raffigurazione, tuttavia, non manca di lasciare insolute alcune questioni. Innanzitutto, non sappiamo se essa fosse una scultura a rilievo (' 0
), un mosaico, un affresco(' 1) o altro. Inoltre sono riscontrabili delle incongruenze tra il primo gruppo di due versi, e il secondo gruppo di tre. Infatti i primi due versi sono esametri che rivelano una buona conoscenza della prosodia e della metrica, oltre a una certa sensibilità retorica e stilistica. Non presentano dunque alcun problema di ordine ritmico, dimo-
(8) Sull'accezione e sul concetto di "insegna di potere», limitato, tuttavia, a corone, scettri, mantelli ecc. usati da Federico II cfr. P.E. ScHRAMM, Kaiser Friedrichs II. Herrschaftszeichen, (Abhandlungen Gòttingen, 3. Folge Nr. 36), Gòttingen 1955 (una versione ridotta ditale saggio è pubblicata in Io., Herrschaftszeichen und Staatssymbolik, MGH Schriften 13, III, 1956, pp. 884-908); Io., Le insegne del potere di Federico II, in Atti del Convegno di Studi su Federico II (Jesi 28-29 maggio 1966), Jesi 1976, pp. 73-82; R. ELZE, Le insegne del potere, in Strumenti, tempi e luoghi di comunicazione nel Mezzogiomo normanno-svevo (Atti delle Undecime Giomate normanno-sveve), a c. di G. MuscA e V. S1vo, Bari 1995, pp. 113-29.
(9) J.L.A. HUILLARO-BRÉHOLLES, Historia Diplomatica, cit., VI, p. 441. Così viene detto nel bando che accompagnava, a mo' di minaccioso insegnamento, la visione di Tebaldo Francesco, orrendamente mutilato come punizione per aver, sacrilegamente, congiurato contro l'imperatore. Su questo personaggio sia consentito rimandare alla voce, da me compilata, in corso di stampa per il Dizionario Biografìco degli Italiani.
(IO) Questa è l'ipotesi avanzata da E. KANTOROWICZ, Federico Il, cit., p. 534 e seguita da E. Cuozzo- J. M. MARTIN, Federico II, Napoli 1995, pp. 103-9.
(Il) E. PANOFSKI, Rinascimento e rinascenze nell'arte occidentale, Milano 1971 (ed. or., Stockholm 1960), pp. 85 nota 46, 87 nota 52, 90 nota 60, pensa che si tratti di un dipinto murale e che il suo stile sia simile a quello della miniatura del Praeconium Paschale presente nel rotolo deli'Exultet della Biblioteca Capitolare di Salerno; F. BoLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414 e un riesame dell'arte nell'età fridericiana, Roma 1969, p. 41, pensa che possa trattarsi di un affresco o di un mosaico.
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strando, d'altro canto, una evidente tensione all'astrazione dei concetti. Federico è descritto come << amor legum » lasciando aperta una bivalente possibilità di interpretazione che intenda il Caesar come oggetto attivo oppure passivo della predilezione delle norme giuridiche. Egli, inoltre, è definito piissimus, un epiteto che al grado positivo viene usato anche nella titolatura del Proemio delle Costituzioni Melfitane - anche chiamate, più solennemente, Liber Augustalis- emanate da Federico II nel 1231 C2
): titolatura che - conviene rammentarlo - ricalca quella di Giustiniano (13), il predecessore dell'imperatore svevo C4
). Il secondo esametro, poi, rivela una struttura sintattica piuttosto complessa, zeugmatica, ed una metafora di tipo tessile ben appropriata all'idea che si vuole esprimere, quella, cioè, della inestricabilità della normativa giuridica, irrisolvibile se non da chi ne è la fonte terrena. Insomma questi due primi esametri risultano essere di fattura quantomeno non disdicevole.
Così non è, invece, per il secondo gruppo di versi, che del primo gruppo conservano la rima leonina, ma solo a stento possono definirsi esametri. Essi, innanzitutto, usano un lessico di tipo molto più concreto. Per indicare la contesa giudiziaria si abbandona ogni tipo di metafora - elegantemente impiegata, invece, nei versi precedenti- e si fa ricorso al più immediato << lis ». Nel secondo verso, poi, colpisce immediatamente il susseguirsi dei tre monosillabi << vel per me>> che rendono zoppicante l'andamento ritmico. Inoltre, l'uso di << Vinee >> per indicare il cognomen di << Petrus >> lascia quantomeno sorpresi: non risultano, in-
(12) Esso è stato edito criticamente, con un ampio e dettagliato studio sul suo più profondo significato e sulle sue fonti, da W. STURNER, Rerum necessitas und divina provisio. Zur lnterpretation des Prooemiums der Konstitutionen von Melfi (l 231), « Deutsches Archi v fur Erforschung des Mittelalters », 39 (1983), pp. 467-554: l'ed. è alle pp. 548-54. L'intero Liber Augustalis è stato edito sempre da W. STORNER, MGH, Constitutiones, II - Suppl., Hannover 1996.
(13) Titolatura del tutto simile a quella del Proemio delle Costituzioni Melfitane si trova nel Proemio delle Institutiones, nel De conceptione Digestorum (const. Omnem), nel De confirmatione Digestorum (const. Tanta), nel De emendatione Codicis Iustiniani (const. Cardi). Senza l'elenco delle popolazioni sottomesse si trova, inoltre, nel De conceptione Digestorum (const. Dea auctore) e nel De Iustiniano Codice conformando (const. Summa).
(14) Predecessore viene talvolta chiamato Giustiniano dai figli di Federico: da Corrado IV, nel privilegio per Capo d'Istria (Iustinopolis), Regesta Imperii, V, a c. di F. BOHMER, J. FICKER, E. WINKELMANN (sigla BF), 4568, J.F. BOHMER, Acta imperii selecta, lnnsbruck 1870, n. 345, p. 292; da Manfredi, nel manifesto ai Romani, MGH. Constitutiones, 2, cit., n. 424, p. 563, r. 8. Per Federico, i richiami impliciti al grande imperatore romano sono innumerevoli: cfr. E. KANTOROWICZ, Federico Il, cit., p. 329.
UNA PERDUTA RAFFIGURAZIONE FEDERICIANA 741
fatti, attestazioni di un simile uso coeve al personaggio a cui, in tale modo, si vuole fare riferimento. Gli strumenti notarili compilati dallo stesso notaio capuano, così come tutti i manoscritti più antichi ed autorevoli, riportano sempre la lezione Petrus de Vinea e5
); quindi non può non ingenerare qualche sospetto la trasformazione in una forma sostantivata di un appellativo che, evidentemente, doveva indicare un toponimo. Né, a dire il vero, potrebbe servire a molto un emendamento che sostituisca «Vinee » con << Vinea » e6
): emendamento che potrebbe risultare utile a ristabilire la giusta quantità metrica C7
), ma non a fugare i dubbi. Anche altrove, comunque, sussistono notevoli problemi di ordine prosodico. Nel primo verso, la e di << lite » è breve, ma, per rispettare la natura dell'esametro, risulta allungata in arsi. Anche al terzo verso, nel nome << Petrus » è da considerare breve l'ultima sillaba, nonostante sia seguita da due consonanti, e, quindi, dovrebbe subire lo stesso allungamento subito dal << censorem » del primo verso, che pure precede una parola, << iuris », che ha la stessa radice di << iudex )) e8
).
Insomma, differenze notevoli sembrerebbero rivelare che il secondo gruppo di versi, o almeno l'ultimo verso di quel gruppo, sia stato composto da un altro autore, e che esso, soprattutto per l'uso << scorretto» del cognomen << Vinee », sia stato aggiunto in un momento molto successivo. Risulta assai improbabile che, ancora in vita Pier della Vigna, qualcuno potesse commettere errori sul suo nome: specialmente se si pensa che la raffigurazione sua e dell'imperatore dovette essere eseguita in un periodo in cui la sua importanza e la sua influenza avevano raggiunto l'acme.
Questa nostra ipotesi, del resto, sembra essere confermata dal fatto che quei versi, con la sola esclusione dell'ultimo, vengono tramandati anche da un florilegio della seconda metà del XIV se-
(15) Cfr. J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Pierre de la Vigne, cit., p. l s.; H.M. SCHALLER, Della Vigna Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani (DBI), XXXVII, Roma 1989, p. 776.
(16) Tale emendamento, anche se non esplicitamente segnalato, viene proposto da J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Pierre de la Vigne, cit., p. 54; forse sulla base della parziale edizione del Comentum di Benvenuto da Imola proposta da L.A. MURATORI, Antiquitates Jtalicae Medii Aevi, I, Mediolani 1738, p. 1051. La più recente ed., già citata, di Benvenuto riporta invece la lezione« Vineae )).
(17) Vinee, tuttavia, potrebbe anche essere sentito, per sinizesi, come bisillabo, e l'esito romanzo vigne, con la palatalizzazione della nasale, potrebbe confermare questa ipotesi. Non si tratterebbe, quindi, di un errore metrico, ma solo di un modo non « classico » di computare le sillabe.
(18) Questi tre versi potrebbero seguire semplicemente un principio ritmico, e la cosa sarebbe ancora più significativa ai fini della nostra dimostrazione.
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colo, il Vaticano Latino 4957, in cui, tra lettere e documenti legati alla cancelleria imperiale e papale, al f. 38v, si legge:
<< Cesar amor legum, Frederice piissime regum, causarum telas nostrasque resolve querelas. Pro vestra lite censorem iuris adite: hunc qui iura dabit vel per nos danda rogabit >>.
A parte alcune evidenti differenze, soprattutto nel secondo e nel quarto verso, che rendono ancora più nette le incongruenze metriche, spicca la mancanza del verso in cui si fa esplicita menzione di Pier della Vigna. Naturalmente il codice vaticano non fa parola del palazzo napoletano in cui questi versi dovevano essere iscritti, dal momento che essi vengono riportati assieme ad altri che pure erano legati all'ambiente federiciano. Allo stesso foglio 38v, e in quello successivo, infatti, si trovano questi altri componimenti metrici:
<< FRE fremit in mundo. DE deprimit alta profundo. RI ius rimatur. CUS cuspide cuncta minatur, C9
).
<< Vinea per saltum subito devenit in altum Fertilis ampla fuit, sed putrefacta ruit , e0
).
<< Cum satis affligat ferri me maxima moles, quod michi donasti cape ferrum, regia proles. Si datur ad penam ferrorum sarcina, quare mors michi differtur, et sic consumor amare? Scis quod non fugiam cum liber non fugiebam, cum mala que patior nescis quod cuncta sciebam. Te duce, dux, dirum tenuit mea vita decorem, quo duce, dux, mirum vitet mea vita dolorem. Fortune tunc sint alii terrore fugati, tu lacere remanes anchora sola rati)) e1
).
Dunque, il codice vaticano raccoglie assieme diversi componimenti metrici che hanno per oggetto Federico II e Pier della Vi-
(19) Per questi versi cfr. O. HoLDER·EGGER, Italienische Prophetieen des 13. Jahrhunderts, "Neues Archiv der Gesellschaft fur altere deutsche Geschichtskunde >>, 33 (1908), p. 107; H. WALTHER, Initia carminum ac versuwn medii aevi posterioris Latinorum, Gottingen 1959, n. 6903.
(20) Per questi versi cfr. H. WALTHER, Initia canninum, cit., n. 20360. Nel ms. seguono immediatamente quelli che vengono riportati anche da Pipino e costituiscono con essi un unico componimento.
(21) Questi versi, che, generalmente, sono attribuiti a Pier della Vigna e che, probabilmente, sono indirizzati a Federico d'Antiochia, vengono editi, in forma talvolta diversa, da
UNA PERDUTA RAFFIGURAZIONE FEDERICIANA 743
gna e che, probabilmente, dovevano circolare in maniera tale da non risultare legati ad alcun concreto contesto. In ogni caso, per i versi che qui ci interessano, esso si rifà ad una tradizione diversa da quella usata dal cronista bolognese.
Resta, perciò, da capire quale sia stata la fonte da cui Pipino abbia attinto la descrizione della rappresentazione di Federico II e di Pier della Vigna. Innanzitutto, credo assai improbabile che Francesco Pipino abbia avuto modo di osservare di persona la raffigurazione che adornava il palazzo di Napoli. Dai documenti che ci sono pervenuti, e da quant'altro dice il cronista bolognese nel Chronicon e nelle restanti sue opere, non possiamo ricavare, infatti, attestazioni di una sua presenza a Napoli. Le uniche notizie che possediamo di suoi spostamenti sono quelle relative ad un pellegrinaggio in Terra Santa compiuto intorno al 1325. Ma, generalmente, le strade percorse da chi si dirigeva in Palestina passavano ben lungi da Napoli. C'è da supporre, piuttosto, che Pipino abbia letto di questa raffigurazione in qualche opera da lui utilizzata come fonte.
Pipino cita diversi documenti prodotti dalla cancelleria federiciana, e dimostra anche di conoscere l'epistolario di Pier della Vigna, perché, nello stesso capitolo II 39, cita l'inizio dell'elogio del dictator capuano composto da Nicola da Rocca e2
). All'inizio del capitolo, poi, introducendo la discussione sul protonotario e logoteta imperiale, cita il monosticum « hic redit in nihilum, qui fuit ante nihil » e l'inizio del distichon « Vinea per saltum ... », che si ritrova anche nel già citato codice Vaticano Latino 4957. Inoltre, parlando delle sue umili origini dice: << ipse namque infirmissimo genere ortus, utpote ex patre ignoto et matre abjecta, muliercula videlicet, quae mendicando suam et filii vitam inopem misere sustentabat, liberalibus tandem disciplinis e3
) insudans, pauper et modicus, casu ad imperatorem perductus ... >>.Informazioni, queste, che sembrano contrastare con altre notizie documentarie in nostro possesso. A dire il vero, anche Guido Bonatti,
J.L.A. HuiLLARD·BRÉHOLLES, Pierre de la Vigne, cit., p. 86 nota 2, che li legge da altri manoscritti; cfr. H. WALTHER, Initia carminum, cit., n. 3750.
(22) Questo elogio è conservato come cap. XLIV del libro III dell'epistolario di Pier della Vigna. Esso, comunque, è stato pubblicato anche da J.L.A. HuiLLARD-BRÉHOLLES, Pierre de la Vigne, cit., n. 2, pp. 289-91.
(23) Muratori pubblica « disciplini >>: si tratta, evidentemente, di un refuso.
l 744 FULVIO DELLE DONNE
un astrologo vissuto nella seconda metà del XIII secolo, aveva affermato che Pier della Vigna era di umili origini e4
): ma l'attestazione non è molto autorevole, dal momento che spesso le sue informazioni si rivelano inesatte e5
). Più significativa potrebbe essere la notizia che sull'origine del Capuano fornisce Enrico di Isernia in una lettera al vescovo Bruno di Olomouc: << ••• Petrum de Vinea exilibus parentibus editum ... , e6
). Certo, Enrico di Isernia dovette ben conoscere la cancelleria federiciana ed i suoi funzionari, tuttavia, questa notizia manca in un'altra lettera, pressoché identica, da lui inviata al francescano Bonaventura (27
). In ogni caso, Enrico di Isernia non dice che Pier della Vigna da bambino fu costretto a mendicare, e soprattutto non afferma che suo padre era sconosciuto. Sul padre del retore capuano, infatti, abbiamo alcune notizie di tenore completamente diverso, anche se tra loro parzialmente discordanti. Fonti utilizzate da autori del XVIII secolo, ora perdute, ci informano che si chiamava Angelo ed era giudice e8); inoltre anche nella corrispondenza tra Pier della Vigna e suo padre quest'ultimo figura con l'iniziale A CZ9
), pur se l'unico manoscritto che la tramanda è piuttosto tardo, e, quindi, poco autorevole e0). In un documento notarile del 1246, invece, Pier della Vigna compare come << filius quondam Magerii de Vinea dudum iudicis et quondam Adelitie legitimorum iugalium », ma nessuno dei due è nominato nei documenti capuani a nostra disposizione e1
). In entrambe le attestazioni, comunque, Pier della Vigna risulta figlio di un giudice: funzione conferita solo a cittadini notabili e, per lo più, nobili, anche se di una nobiltà minore.
(24) De astronomia tractatus X, Augustae Vindelicorum 1491, f. 99. (25) Su Guido Bonatti cfr. la voce curata da C. VAsou, in DBI, XI, Roma 1969, p. 605. Ba
sti riportare ciò che di questo personaggio pensava Pico della Mirandola, sempre cauto nell'esprimere giudizi: « is non ignarus est philosophiae, sed furit piane atque delirat » (Disputationes adversus astrologiam divinatricem, a c. di E. GARIN, I, Firenze 1946, p. 74).
(26) In K. HAMPE, Beitrdge zur Geschichte der letzten Staufer. Ungedruckte Briefe aus der Sammlung des Magisters Heinrich von Isernia, Leipzig 1910, p. 124.
(27) lvi, p. 124 nota 6; cfr. anche p. 122 nota 4. (28) Cfr. J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Pierre de la Vigne, cit., p. 4; H.M. SCHALLER, De/la Vi
gna Pietro, cit., p. 776. (29) Pubblicata da J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Pierre de la Vigne, cit., nn. 24 e 25, pp. 323 ss. (30) H.M. ScHALLER, Della Vigna Pietro, cit., p. 776. Bisogna, inoltre, aggiungere che, in te
sti di questo tipo, l'iniziale denotante nome di persona (soprattutto se essa è la prima lettera dell'alfabeto) generalmente non è molto significativa.
(31) Cfr. H.M. ScHALLER, Della Vigna Pietro, cit., p. 776.
UNA PERDUTA RAFFIGURAZIONE FEDERICIANA 745
Dunque, sulla scorta di tali considerazioni, possiamo affermare che Francesco Pipino, per la compilazione del capitolo dedicato a Pier della Vigna, dovette servirsi, oltre che dei documenti cancellereschi raccolti nell'epistolario del dictator capuano, anche di fonti tarde e di quantomeno dubbia attendibilità.
Tornando adesso al secondo gruppo di versi, e soprattutto all'ultimo di essi, che abbiamo visto essere sicuramente successivo, si prospettano diverse ipotesi. Esso poté esser letto di persona da Pipino durante una sua, comunque non attestata, permanenza a Napoli, e ciò porterebbe alla conclusione che fu aggiunto in un secondo momento ad esplicazione della raffigurazione di Federico II e di Pier della Vigna: se così fosse, si potrebbero anche formulare nuove ipotesi circa il materiale usato per la fattura di quelle immagini, facendo, quindi, almeno, escludere il mosaico e, probabilmente, il rilievo. Oppure Pipino dovette leggerlo in qualche altra fonte, il cui autore lo aveva, a sua volta, letto direttamente nel palazzo di Napoli, cosa che determinerebbe una situazione non dissimile dalla precedente. Oppure, ancora, l'autore utilizzato da Pipino lo aveva aggiunto solo per spiegare il significato dell'immagine, e potrebbe darsi, dunque, che il cronista bolognese abbia considerato come una didascalia realmente iscritta un verso, o un gruppo di versi, presente solo nella descrizione da lui presa a modello; questa ipotesi potrebbe essere suffragata anche dal verbo << videbatur », usato per introdurre la spiegazione: l'eventuale fonte di Pipino potrebbe aver usato quel termine per indicare una situazione di apparente realtà, fraintesa dal nostro cronista e trasposta nella effettualità con l'aggiunta del nesso << his versi bus ».
Sono troppo pochi gli elementi a nostra disposizione per poter affermare quale di queste ipotesi sia la più plausibile. Troppo pochi per poter determinare anche quale fosse il << Neapolitanum palatium » in cui era conservata quella raffigurazione iconografica. È probabile che fosse un palazzo imperiale, dato che poco prima Pipino, parlando della fortuna che, a un certo punto della sua vita, aveva benevolmente toccato Pier della Vigna, dice che << casu ad imperatorem perductus, sacrum eius palatium ingenio ac successibus dives incoluit ». Dunque quando parlerà delle due effigies è probabile che faccia ancora riferimento a quel palazzo; del resto una raffigurazione del genere mal si adatterebbe ad un palazzo privato, neppure a quello di Pier della Vigna, che pure
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della scena avrebbe potuto essere un protagonista C2). L'immagi
ne sarebbe stata maggiormente adatta ad un'aula di giustizia- in
cui effettivamente era più appropriato riferirsi all'imperatore come a colui che doveva risolvere le controversie - oppure ad un
luogo in cui si producevano documenti ufficiali destinati anche
alla definizione e al chiarimento di questioni amministrative e giuridiche. Insomma essa poteva essere collocata nella sede di un
ufficio, come quello della cancelleria, che, in Italia meridionale,
proprio intorno agli anni Quaranta del Duecento comincia a tro
vare un'ubicazione ben determinata C3): si potrebbe, perciò, sup
porre che tale ubicazione, o almeno una delle ubicazioni, fosse
nel palazzo di Napoli di cui parla Francesco Pipino. L'ipotesi che
la rappresentazione iconografica del palazzo di Napoli potesse
essere collocata proprio nella sede della cancelleria è confortata
dalla constatazione che nel dettato delle Ordinanze, varate, pro
babilmente proprio a Napoli, nel 1242 C4), si legge che la cancel
leria doveva accogliere petizioni e lettere, allo stesso modo in cui, nella raffigurazione - in ogni caso simbolica - descritta da
Pipino, l'imperatore, per il tramite di un suo consigliere, acco
glieva le richieste del popolo. Tuttavia, proprio nelle Ordinanze, nella descrizione, sia pure non molto dettagliata, dell'iter percor
so dalle pratiche, vengono nominati, per il disbrigo delle petizioni ordinarie, due giudici della gran corte: Taddeo di Sessa e Pier
della Vigna C5); non solo, quindi, quest'ultimo. Allora, se la raffi
gurazione fosse stata collocata nella sede della cancelleria, nell'i
scrizione non poteva esser menzionato il solo Pier della Vigna,
dal momento che egli svolgeva una mansione che condivideva
con un altro giudice. Anche se il Capuano, riunendo in sé, a par-
(32) Sulla ubicazione nella Contrada detta Capo di piazza del palazzo napoletano di Pier della Vigna, che divenne anche sede dell'archivio angioino, cfr. B. CAPASSO, Sulla casa di Pietro della Vigna in Napoli, in appendice a G. DE BLAsns, Della vita e delle opere di Pietro della Vigna, Napoli 1860, pp. 275-84.
(33) Cfr. R. DELLE DoNNE, Le cancellerie dell'Italia meridionale (secoli XIII-XV), « Ricerche storiche», 24 (1994), pp. 363 ss.
(34) Pubblicate, sulla base degli Excerpta Massiliensia, da E. WINKELMANN, Acta Imperii h1edita, I, Innsbruck 1880, n. 988, pp. 733-39, che propone, però, una datazione più tarda. E.
Sn!AMER, Das Amtsbuch des Sizilischen Rechmmgshofes, Burg 1942, p. 95, dopo un attento esame della tradizione testuale ne anticipa la datazione, forse persino al maggio 1242, dal momento che il Formulariwn Vaticanum, che pure le tramanda, presenta Napoli come data topica e che da BF, 3289-3291, sappiamo che Federico si trattenne in questa città non oltre la prima metà di maggio del 1242.
(35) Cfr. E. WINKELMANN, Acta, cit., n. 988/II, p. 736. Al disbrigo delle petizioni o lettere da sottoporre direttamente all'imperatore provvedeva, invece, Guglielmo di Tocco: cfr. ibidem.
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tìre dal 1243, i titoli di protonotarìo e logoteta e6), dovette finire,
di fatto, con l'essere il principale organizzatore dell'intera attività della cancelleria, formalmente non fu tale. D'altronde, l'identificazione, operata nell'ultimo verso dell'iscrizione, della figura assisa in cattedra - che probabilmente non rappresentava nessun personaggio in particolare - con Pier della Vigna è già risultata, da alcuni elementi, successiva, ed ora, per un altro motivo ancora, sì conferma posteriore. Essa, come abbiamo già considerato, non dovette avvenire in un periodo in cui il notaio capuano era ancora in vita, e neppure in età tardo-sveva, allorché di quel personaggio vi fu una sorta dì damnatio memoriae e7
), ma probabilmente in epoca angioina, in un periodo in cui non ebbe luogo, come è stato a lungo sostenuto, la distruzione sistematica dell'opera amministrativa sveva, ma la sua ripresa in uno spirito dì sostanziale volontà dì continuità e8
).
Vorrei infine fare un'ultima considerazione e avanzare un'ipotesi. Abbiamo già rilevato come, contrariamente a quanto viene solitamente sostenuto riguardo al carattere « ìtìnerante » della cancelleria sveva - che secondo alcuni avrebbe seguito l'imperatore in tutti i suoi spostamentì, pur se non con tutto l'archivio
(36) H.M. ScHALLER, Della Vigna Pietro, cit., p. 779. (37) Una sola volta Federico parla di Pier della Vigna dopo la sua caduta in disgrazia: nel
la lettera pubblicata da J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia Diplomatica, cit., VI, pp. 700-1, in cui il Capuano viene definito un "secondo Pietro», con allusione a colui che tentò di far commercio di cose sacre. In essa si legge così: " meminisse siquidem diebus hiis poteris per alia documenta prave suggestionis et scandali multiformis, Petri videlicet, Symonis et alterius proditoris qui ut haberet loculos ve) impleret, equitatis virgam vertebat in colubrum ». Ma l'edizione di Huillard-Bréholles risulta poco chiara, dal momento che egli aveva riconosciuto in Petrus un cardinale e in Symon un frate inviato dal papa nel Regno di Federico Il per organizzare rivolte. Questa interpretazione, tuttavia, è insostenibile: dal seguito della lettera si evince che si sta parlando di una sola persona che, perdipiù, godeva di tutta la fiducia dell'imperatore. Lo stesso Huillard-Bréholles (Pierre de la Vigne, cit., p. 80 nota l) rettifica la lezione precedentemente fornita sopprimendo l'et: " ... Petri videlicet, Symonis alterius, proditoris ... ». Questo emendamento, tuttavia, non sembra giustificato dai codici, ed è meglio seguire la lezione e la corretta interpretazione proposte da F. BAETHGEN, Dante und Petrus de Vinea, "Sitzungsber. der Bayerischen Akad. der Wiss. Phil.-hist. Kl. », 1955, fase. 3, p. 46: " ... Petri videlicet, Simonis et alterius proditoris ... ». Anche H.M. ScHALLER, Della Vigna Pietro, cit., p. 781, segue quest'ultima lezione, ma interpreta, in maniera non del tutto convincente, Simone come Simon Pietro anziché come Simon Mago.
(38) Cfr. E. STHAMER, Die Verwaltung der Kastelle im Konigreich Sizilien unter Kaiser Friedrich Il. und Karll. von Anjou, Leipzig 1914, pp. 27 ss. e 84 (di quest'opera è stata ultimamente approntata una traduzione italiana, Bari 1995); lo., Die Reste des Archivs Karls I. von Sizilien im Staatsarchiv zu Neapel, " Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken », 14 (1911), p. 79 e nota l, che fa notare che nei documenti di epoca angioina vengono talvolta menzionati quelli di epoca sveva; inoltre, proprio per la cancelleria, vedi R. DELLE DoNNE, Le cancellerie, cit., p. 369.
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dei registri -, intorno agli anni Quaranta del Duecento sembra cominciare a farsi largo l'esigenza di trovare una precisa collocazione per i suoi uffici. Proprio nei precetti delle Ordinanze si parla di una «camera que erit super cancellaria » C9
), e ancora siricorda che « circa cancellariam erunt hospicia pro consiliariis, sigillatore, notariis, iudicibus, advocatis et notariis curie iusticie » ( 40
). Queste concrete indicazioni denotano almeno la precisa volontà di dare un'ubicazione ben determinata a quell'ufficio; e se, come appare assai probabile, le Ordinanze furono emanate a Napoli, potrebbe risultare plausibile che quella ubicazione fosse stata stabilita proprio in quella città, in un palazzo che presentasse le indispensabili caratteristiche per ospitare un tale ufficio: forse proprio nel palazzo di cui parla Pipino, la cui raffigurazione federiciana traspone su un piano iconografico la metafora che domina le Consitutiones Augustales, secondo cui attraverso l'imperatore e i suoi funzionari la giustizia fluisce copiosa in tutto il Regno. Un palazzo che, a quanto potrebbe risultare proprio dall'aggiunta di uno o più versi a quelli che originariamente erano stati iscritti ad illustrazione dell'immagine rappresentante l'imperatore «in cultu iustitiae », poté essere utilizzato anche in seguito, in epoca angioina, per ospitare uffici legati a quello di cancelleria, come l'archivio che doveva custodire i documenti da essa prodotti. L'archivio angioino ebbe proprio a Napoli, diverse ubicazioni: nel Castel Capuano (41
), nel palazzo di Belvedere (42), nel
Castel dell'Ovo (43), nel palazzo che fu di Pier della Vigna (44) e,
infine, nel palazzo di S. Agostino alla Zecca (45 ). Alcune di queste sedi, per vari motivi, non possono identificarsi col Neapolitanum palatium di cui parla Pipino: Castel Capuano (46) e Castel dell'O-
(39) E. WINKELMANN, Acta, cit., n. 988/II, p. 736; cfr. anche R. DELLE DoNNE, Le cancellerie, cit., p. 363 nota 6.
(40) E. WINKELMANN, Acta, cit., n. 988/III, p. 739. (41) E. STHAMER, Die Reste des Archivs, cit., p. 76 e n. 13 p. 129. (42) lvi, p. 76 e n. 14 pp. 129-30. (43) lvi, p. 76 e note 5 e 9 con relativa bibliografia. (44) lvi, p. 78 e nota 3 con relativa bibliografia. (45) lvi, p. 78 e nota 5. (46) A dire il vero, Giovanni Vitolo, nella relazione su Napoli al tempo di Federico, tenuta
a Napoli il 15 dicembre 1995 durante il convegno internazionale di studio su "Cultura e politica al tempo di Federico II », ha cautamente proposto l'identificazione del palazzo descritto da Pipino col Castel Capuano. Sento qui la necessità di dire che il presente lavoro è stato concepito proprio in conseguenza dell'ascolto della stimolante relazione del prof. Vitolo. La relazione è stata poi pubblicata in" Studi Storici», 37 (1996), pp. 405-24.
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vo perché difficilmente connotabili col termine palatium; il palazzo che fu di Pier della Vigna perché, come abbiamo già detto, difficilmente avrebbe potuto contenere una rappresentazione così solenne della sacra funzione imperiale; il palazzo di S. Agostino della Zecca perché in epoca sveva apparteneva alla famiglia Somma (47
). Il palazzo di Belvedere, invece, posto nel gualdo di Napoli a breve distanza da Pozzuoli (48), sembra presentare caratteristiche più congrue con l'edificio della raffigurazione. Il palazzo del gualdo, infatti, fu fatto costruire da Federico II e, poi, ricostruire da Carlo I d'Angiò perché ormai semidistrutto. I lavori di restauro andarono molto per le lunghe e furono conclusi solo all'inizio del 1278, quando, il 22 febbraio, fu ordinato di portarvi l'archivio (49) e quando accanto a quel palazzo furono fatti costruire anche altri edifici destinati ad ospitare i maggiori ufficiali del regno. Così era previsto nelle Ordinanze federiciane, che accanto alla cancelleria venissero costruiti i vari uffici ad essa connessi.
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(47) Cfr. B. CAPAsso, Sulla casa di Pietro della Vigna, cit., p. 276. ( 48) Su questo palazzo e sulle sue vicende cfr. G. DE BLASIIS, Un castello svevo-agioino nel
gualdo di Napoli," Archivio storico per le province napoletane», 40 (1915), pp. 101-79. (49) E. STHAMER, Die Reste des Archivs, cit., n. 14, pp. 129-30.
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