tesi magistrale in Architettura

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New Transit Camp Social Club Politecnico di Torino tesi di laurea magistrale architettura (costruzione) studente: Francesco Strocchio relatore: Michele Bonino correlatori: Matias Echanove Subhash Mukerjee Rahul Srivastava Un processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai febbraio 2010

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riflessione sulle condizioni attuali e sulle prospettive future dello slum di Dharavi a Mumbai. proposta progettuale per un centro comunitario informale nel nagar di New Transit Camp, Dharavi

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New Transit Camp Social Club

Po l i te c n i co d i To r i n ote s i d i l a u re a m a gi s t ra l e a rc h i te t t u ra ( co s t r u z i o n e )

s t u d e n te :Fra n ce s co S t ro cc h i o

re l ato re : M i c h e l e B o n i n o

co r re l ato r i :M at i a s E c h a n oveS u b h a s h M u k e r j e eR a h u l S r i va s t ava

Un processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai

Why is it useful that Western architects work on places like Dharavi? Architecture is not unlike the idea of a just world.Just as a just world can be divided but has to be observed universally, so is architecture. If we can not provide for the super poor we will not be able to provide for the less poor.Most people live in the ignorance of the interdependence of one group on another. The relative wealth of Milano and Boston is closely related to the relative poverty in Mumbai and Lagos. If we could help set up a model of conduct in Mumbai, much else every where would effected.There is a world wide reciprocity which if we will ignore, it will be to our peril.

Yehuda Safran

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L’idea di progettare dentro Dharavi è forse una delle scommesse più stimolanti che potessero esserci proposte. Nel momento in cui siamo partiti dall’Italia l’idea di dover sviluppare un masterplan appariva come una sfida ardua, ma allo stesso tempo come il rischio di una proposta effimera che sarebbe sfociata in un progetto accademico distante delle dinamiche informali.La proposta avanzata da Matias Echanove e Rahul Srivastava, membri fondanti di URBZ, è stata invece di lavorare su un progetto reale, con un committente ed un budget reali su un piccolo lotto all’interno di New Transit Camp.Il porsi davanti ad un progetto di piccola scala, drasticamente costretto e limitato dalle condizioni al contorno, ci ha catapultati in un’ ottica di lavoro completamente differente. Come spesso accade per molti progetti di architettura, la difficoltà di essere posti di fronte a problemi che necessitano di output chiari e rapidi è divenuta per noi un vantaggio che ci ha tolti dalla situazione di empasse, non così voluta, di proporre un nuovo sviluppo per Dharavi.Ipotizzare soluzioni semplici e low cost, tenendo conto dei ragionamenti ereditati dall’installazione alla Biennale di Rotterdam, è divenuto un problema reale al quale era necessario dare risposte rapidamente.Progettare dentro Dharavi si è così rivelata un’esperienza completamente differente rispetto al farlo in qualsiasi altra parte del mondo (almeno

se per mondo si intende quello costruito formalmente). L’essere all’interno di una parte di città in cui praticamente nessuno degli edifici che ti circondano è stato progettato su carta pone interrogativi interessanti su quale debba essere il ruolo dell’architetto.La narrazione del processo è in realtà la parte ai nostri occhi più interessante di questo lavoro, più interessante anche dell’output progettuale in sè. Questo è infatti criticabile a livello formale e potrebbe forse essere stato risolto in maniera più brillante in alcune scelte tecnologiche, ma è in realtà solo una delle infinite soluzioni che l’architettura può proporre, non necessariamente giuste o sbagliate a priori, ma figlie dei processi e dell’ambiente in cui queste nascono.Restano quindi almeno due eredità importanti come risultato di questo lavoro accademico: da una parte la documentazione di un processo informale che è diametralmente opposto a quello per cui siamo stati preparati in questi anni di studio, che non bada ai regolamenti edilizi e che è profondamente radicato alle necessità della committenza in senso allargato. Inoltre resta l’idea di un differente approccio dell’architetto di fronte al tema della riqualificazione degli slum.

fe b b ra i o 2 0 1 0

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POLITECNICO DI TORINO

I Facoltà di Architetturacorso di laurea in Architettura (costruzione)

studente:Francesco Strocchio

relatore: Michele Bonino

correlatori:Matias EchanoveSubhash MukerjeeRahul Srivastava

febbraio 2010

Tesi di laurea specialistica

New Transit Camp Social ClubUn processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai

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Tesi di Laurea SpecialisticaNew Transit Camp Social Club. Un processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai

1. Un progetto di tesi in tre fasi

1.1 La partecipazione alla IV International Architecture Biennale di Rotterdam 11

1.2 L’esperienza di “vivere” a Dharavi 13

1.3 La conclusione del progetto dall’Italia 15

2. Mumbai e Dharavi: le premesse all’attività progettuale

2.1 Mumbai: 19

2.1.1 Cenni storici, Mumbai Oggi

2.1. 2 Origine e diffusione degli slums nella città di Mumbai

2.1.3 I meccanismi politici di intervento per lo “sviluppo” degli slums

2.2 Dharavi: 37

2.2.1 Cenni storici

2.2.2 Le politiche applicate per il risanamento di Dharavi

2.2.3 The Opportunity of the Millenium: il Dharavi Redevelopment Plan

2.2.4 The Opportunity for the Millenium (?)

3. IV International Architecture Biennale_Rotterdam: Coesistenza come sopravvivenza

3.1 IV International Architecture Biennale_Rotterdam 51

3.1.1 The open city

3.1.1 Designing coexistance: Squat

3.2 Lo studio delle dinamiche urbane di Dharavi attraverso un modello in sezione 55

3.2.1 Densità e sviluppo demografico nel corso degli anni

3.2.2 Il profilo sociale di Dharavi (rivedere capi-comunità)

3.2.3 Attività economiche, impiego e produzione all’interno di Dharavi

3.2.4 Utilizzo del suolo e analisi delle tipologie abitative

3.2.5 Ecologia dello slum”

3.3 Considerazioni conclusive 79

indice

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4. New Transit Camp Social Club: Temi e riflessioni di un progetto informale

4.1 La cooperazione con le organizzazioni locali 83

4.2 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE I 87

4.2.1 Committenza e tema progettuale

4.2.2 New Transit Camp e il lotto di progetto

4.2.3 Finanziamento e proposta del metodo costruttivo

4.2.4 Proposta progettuale I

4.3 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE II 103

4.3.1 La revisione del programma

4.3.2 Proposta progettuale II

I sistemi parete

Il sistema di copertura

Il piano terreno

4.4 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE III 121

4.4.1 Dharavi cresce senza bisogno degli architetti

4.4.2 Il coinvolgimento dei residenti all’interno delle scelte: un’esperienza di partecipazione

4.4.3. Il nuovo programma

4.4.4. Proposta progettuale III

4.4.5. Prospettive future

4.5 Riflessioni per un progetto a Dharavi 131

4.5.1 La tool-house come forma vincente di sviluppo urbano “dal basso”

4.5.2 Il futuro di Dharavi: Tokyo come riferimento

5. Considerazioni sul significato di un’esperienza progettuale a Dharavi 139

_Bibliografia 144

_Ringraziamenti 147

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_Appendici

Testi:

I. The tool house 151

Articolo pubblicato in MR ‘08 a cura di Matias Echanove e Rahul Srivastava

II. The Tokyo Model of Urban Development. 155

Lettera all’attenzione della SRA di Matias Echanove

III. Learning from Dharavi 159

Post pubblicato su airoots.net a cura di URBZ.

Biennale di Rotterdam:

IV. IV International Architecture Biennale_sezione Parallel Cases 165

Il layout dell’installazione

V. Il materiale esposto alla IV International Architecture Biennale_Rotterdam 167

Coexistance as survival. Enhancing informal synergies in the communities of Dharavi, Mumbai

_Tavole

FASE II*:

1. Planimetria

2. Piano terra e accessi 1:100

3. Piano primo 1:50

4. Piano secondo 1:50

5. Piano terrazza 1:50

6. Sezione AA’ 1:50 + dettagli 1:20

6A. Ingrandimento sezione AA’

7. Sezione BB’ + dettagli 1:20

7A. Ingrandimento sezione BB’

8. Sezione CC’ + dettagli 1:20

8A. Ingrandimento sezione CC’

9. Sezione DD’ scala 1:50

9A. Ingrandimento sezione DD’

* I testi riportati in appendice sono stati molto importanti per la comprensione della realtà informale di Dharavi e hanno contribuito alla filosofia e all’approccio progettuali durante tutto il suo svolgimento.** Il materiale riportato è stato esposto alla Biennale di Rotterdam tra il 26 gennaio e il 12 dicembre 2009.*** Vengono riportate le tavole della FASE II poiché la fase successiva non è ancora conclusa e poiché le maggiori scelte tecnologiche sono avvenute in questo momento

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testi:

MR ‘06: Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘06, UDRI, 2007, Mumbai.

MR ‘07: Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘07, UDRI, 2008, Mumbai.

MR ‘08: Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘08, UDRI, 2009, Mumbai.

RUM: Janina Gosseye (a cura di), Reclaiming (the urbanism of) Mumbai. Kelly Shannon, Uitgeverij Sun

Academia, 2009, Amsterdam.

glossario:

SRA: Slum Redevelopment Autority

SRS: Slum Rehabilitation Scheme

SRD: Slum Redevelopment Scheme

DRP: Dharavi Redevelopment Project

MHADA: Maharashtra Housing and Area Development Authority

MMRDA: Mumbai Metropolitan Region Development Authority

TDR: Transferable Development Rights

NSDF: National Slum Dwellers Federation

SPARC: Society for the Promotion of Area Resource Centers

CEPT: Ahmedabad’s Center for Environmental Planning & Technology

KRIA: Kamla Raheja Vidyanidhi Institute of Architecture di Varanasi

UDRI: Urban Design Research Insitute, Mumbai

abbreviazioni

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Il lavoro di ricerca che segue è strutturato in quattro

parti che conducono la riflessione attraverso

un’esperienza che si inserisce tra la ricerca e la

progettazione.

Un capitolo introduttivo riporta i temi e le finalità del

lavoro svolto presentando i successivi contenuti e le

tappe attraverso cui è stato strutturato il lavoro.

Due capitoli documentativi che seguono

costituiscono il lavoro preparatorio nell’ottica di

una successiva esperienza progettuale all’interno

dell’insediamento informale di Dharavi, a Mumbai.

Il secondo capitolo, in particolare, riporta alcuni

dati introduttivi sulla città di Mumbai, sull’origine

e la diffusione degli slums all’interno di questa ed

alcune informazioni circa le politiche applicate dalla

municipalità nel corso degli anni per affrontare il

problema degli insediamenti informali.

Nella parte conclusiva l’attenzione su rivolge allo

slum di Dharavi, documentandone brevemente la

storia ed analizzando i piani di sviluppo passati e

futuri che hanno coinvolto e che coinvolgeranno lo

slum negli anni a venire.

Il capitolo tre riporta invece i contenuti

dell’installazione “Coexistance as survival.

Enhancing the existing synergies in the communities

of Dharavi” presentata alla IV International

Architecture Biennale di Rotterdam (dal settembre

2009 al dicembre 2009). Il tentativo qui è stato quello

di raccontare la filosofia e gli obiettivi dell’indagine

che sono alla base dell’installazione.

La ricerca di dati statistici sottolinea un approccio

indiretto al tema e, attraverso cinque layer tematici

(density, landuse, social, economy_activities,

ecology), tenta di leggere l’intricata realtà di Dharavi

offrendo una visione tendezialmente neutra ed il

più possibile oggettiva.

La natura informale che caratterizza lo slum, tende a

sfuggire a questo meccanismo di catalogazione ed,

a posteriori, ci si rende conto che forse la semplice

analisi statistica non è sufficiente per descrivere

un mondo caotico e complesso come quello di

Dharavi.

Le riflessioni finali sono riferite ai dubbi che sorgono

pensando all’ipotesi di un piano di sviluppo che

coinvolgerebbe l’intera area.

Il quarto capitolo si sofferma sulle differenti fasi

in cui è avvenuto il processo di progettazione,

riportando anche i concetti assimilati durante

il periodo di permanenza a Mumbai che hanno

costituito il background dell’intervento.

Il lavoro presentato all’interno di questo capitolo

è stato sviluppato in collaborazione con

l’organizzazione no-profit URBZ grazie alla quale è

stato individuato il tema di progetto: il New Transit

Camp Social Club, un centro comunitario per le

persone anziane ed i bambini residenti nel nagar.

Il racconto di un progetto ad oggi ancora in

corso diviene in realtà lo spunto per riportare la

complessità delle dinamiche all’interno di Dharavi e

per riflettere su quanto siano distanti il mondo della

progettazione secondo gli statuti e le esperienze

occidentali e quello dello sviluppo-incremento del

costruito informale.

Le conclusioni di questo lavoro di ricerca, raccolte

nell’ultimo capitolo, si soffermano quindi più sul

processo di progettazione e sul ruolo dell’architetto

all’interno di una realtà informale che sul progetto

stesso.

Il lavoro di ricerca permette di leggere l’eterogeneità

e la ricchezza di un contesto progettuale

completamente estraneo a quello europeo e

diametralmente opposto alla realtà formale

e regolamentata in cui noi, come laureandi, ci

apprestiamo ad entrare.

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1. Un progetto di tesi in tre fasi

IV International Architecture Biennale Rotterdam

L’esperienza di “vivere” a Dharavi

La conclusione del progetto dall’Italia

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1.1 La partecipazione alla IV International Architecture Biennale di Rotterdam

Il progetto di tesi nasce dalla partecipazione del

Politecnico di Torino, tra settembre a dicembre

2009, alla IV International Architecture Biennale di

Rotterdam, nella sezione Parallel Cases, dedicata

ad ospitare le installazioni preparate da alcune

università internazionali.

La selezione dell’università è avvenuta in

continuità con due esperienze progettuali

passate:

- la riflessione Cutting Edge Bombay 1 presentata

alla Biennale di Venezia del 2006

- la partecipazione al workshop Urban Typhoon 2

a Dharavi nel 2008 da parte di alcuni studenti.

Le esperienze “indiane” sono state oggi

raggruppate all’interno di HINDUSTRY Urban

Research Group 3, costituito nel 2009.

Il lavoro di questo gruppo di ricerca, costituito

da studenti, ricercatori e docenti del Politecnico

di Torino, ma anche da professionisti esterni al

mondo dell’università, tende a riflettere su alcuni

temi urbani legati alla realtà indiana.

1. Il modello in esposizione alla IV International Architecture Biennale di Rotterdam all’interno della sezione Parallel Cases. Foto: Francesco Strocchio

Ad oggi le riflessioni hanno coinvolto

principalmente la città di Mumbai, con

una specifica attenzione al problema degli

insediamenti informali ed al rapporto con

l’acqua.

Questo “contenitore” si presenta come un spazio

di riflessione aperto in risposta ai piani urbani

proposti dalla municipalità negli ultimi anni

ipotizzando forme di sviluppo urbano “dal basso”

attraverso un’attenzione pronunciata verso le

comunità e le istanze locali.

La riflessione presentata a Rotterdam costituisce

il proseguimento naturale del lavoro di ricerca

su Dharavi avviato in seguito all’Urban Typhoon

Workshop.

L’analisi presentata vuole essere il primo passo

di un percorso, anche progettuale, per la

costituzione di nuove strategie che possano

ridiscutere il Dharavi Redevelopment Plan avviato

dalla municipalità nel 2004.

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Il lavoro di ricerca presentato all’interno della

tesi è arricchito da un periodo di permanenza,

della durata di venti giorni, all’interno dello

slum di Dharavi che ha seguito la presentazione

dell’installazione alla Biennale di Rotterdam.

Questo è stato l’occasione per conoscere in situ

la realtà dello slum e per accorgersi che quanto

presentato nel modello di Rotterdam fosse

sostanzialmente reale: definire Dharavi come

uno slum ci è apparso molto riduttivo. Questo

termine tende infatti a nascondere l’infinità di

meccanismi, anche molto complessi, che nel

corso degli anni sono stati sviluppati dai residenti

per ovviare alle mancanze del governo centrale e

che avevamo tentato di evidenziare attraverso la

nostra installazione.

Vivere all’interno di Dharavi ha significato

comprendere che questa è una parte di città

solo in apparenza molto differente dal resto del

tessuto urbano, ma allo stesso tempo fortemente

integrata nell’economia e nella società di

2. Fotomontaggio di orientamento per il percorso che conduce da Sion Station allo studio di URBZ all’interno dell’insediamento informale di Dharavi. Foto: Alberto Bottero

Mumbai. Lo slum non appare come un ghetto,

anche se così è definito nella maggior parte delle

pubblicazioni, le persone che vi abitano non se ne

vergognano né tantomeno aspirano a lasciarlo, o

almeno la differenza è più sottile rispetto a come

questa viene presentata.

Dharavi rappresenta in realtà una parte di città

in cui la municipalità ha deciso di rinunciare al

proprio ruolo di pianificatore e di costruzione

delle infrastrutture necessarie. Se questo non

fosse avvenuto probabilmente Dharavi non

sarebbe oggi così diversa dal quartiere di Sion

che sorge a pochi passi.

Vivere all’interno di Dharavi significa essere

circondati da una massa di persone costantemente

in movimento ed inserite in qualche processo

di produzione o riciclaggio. Allo stesso tempo

significa essere in grado di trovare ogni tipo di

prodotto commerciale reperibile in qualsiasi

altra parte di Mumbai. Per i residenti di Dharavi,

lo slum rappresenta la possibilità di mantenere

1.2 L’esperienza di “vivere” a Dharavi

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3. Il sito di progetto del New Transit Camp Social Club all’interno di Dharavi. Foto: Alberto Bottero

legami comunitari e familiari ancora molto forti e

utili per affrontare insieme le difficoltà oggettive

del vivere a Mumbai.

Nel nostro scoprire Dharavi siamo stati affiancati

da URBZ, un’organizzazione locale che tenta di

coinvolgere i residenti dello slum nello sviluppo

di un’alternativa ai piani urbani calati dall’alto.

Oggi su Dharavi pesa come una condanna

definitiva il progetto del Dharavi Redevelopment

Plan. La nostra idea, in linea con quella di URBZ,

è che Dharavi non debba essere “sviluppato”, ma

più semplicemente “incrementato”, “aiutato a

crescere” attraverso la fornitura di infrastrutture,

consolidato e messo in sicurezza nelle sue parti

più degradate.

L’approccio utilizzato dall’attuale piano di

risanamento, e dalla maggior parte di quelli

passati, tende a leggere Dharavi come una tabula

rasa impoverendo la discussione ed il confronto

su ogni possibile proposta progettuale

Il piccolo progetto all’interno del nagar di New

Transit Camp acquisisce dunque significato in

quest’ottica. Non un grande intervento di sviluppo

urbano con la presunzione di risolvere ognuno dei

problemi di Dharavi, ma un incremento “naturale”

del costruito, l’aggiunta di un tassello che possa

acquisire anche un valore architettonico e sociale

partendo da ciò che esiste e che oggi, a modo

suo, sembra poter funzionare.

La possibilità di costruire un Social Club

per persone anziane e bambini di strada

all’interno del terreno ereditato da Paul Raphael,

nostro committente, diventa così l’occasione

di dimostrare come Dharavi possa essere

incoraggiato e potenziato “dal basso”.

La possibilità di risiedere per un periodo

all’interno dello slum ci ha inoltre aiutato a

comprendere come le dinamiche informali siano

straordinariamente differenti rispetto a quelle

per cui siamo stati preparati durante il nostro

percorso di architetti. Anche le risposte che

l’architetto deve dare a questo processo dovranno

perciò ricollocarsi e riposizionarsi costantemente,

in un’ottica di continuo contatto con il contesto

reale.

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Durante il nostro periodo di permanenza, il

processo progettuale è in realtà arrivato solo ad

una prima fase di concept, anche a causa delle

molte difficoltà incontrate nel lavoro sul lotto.

La realtà complessa dello slum di Dharavi è

emersa prepotentemente nei mesi successivi

con cambiamenti di programma funzionale e di

possibilità di intervento sul sito.

Il lavoro di tesi ha tentato di riportare

dettagliatamente le diverse fasi di progetto

ad oggi sviluppate, consapevole che queste

aumenteranno prima della conclusione del

processo.

Il lavoro di progettazione prodotto dall’Italia è

stato costantemente aggiornato e guidato grazie

alla mantenimento della collaborazione con URBZ

che ha indirizzato e accettato le nostre proposte

progettuali, monitorando le possibilità reali di

costruzione in situ.

Un costante scambio di e-mails è stato alla base

degli sviluppi progettuali proposti e risulterebbe

essere il report più fedele delle difficoltà presenti

4. La collaborazione con Stefano Boeri nata in seguito ad un incontro a Dharavi. Foto: Matias Echanove

5. La costruzione del Social Club in progress durante lo sviluppo del progetto in Italia. Foto: Matias Echanove

in un processo di progettazione informale.

Durante lo sviluppo dell’idea progettuale, il

lavoro è stato inoltre presentato al Politecnico

di Milano4, grazie alla disponibilità di Stefano

Boeri, incontrato durante il nostro soggiorno a

Mumbai.

Il tentativo è stato quello di portare avanti un

progetto su più piani. Uno per quanto possibile

reale e costruito ed uno di riflessione teorica sulla

realtà di Dharavi e sulle possibilità di intervento.

Il progetto diventa così un meccanismo per

dimostrare come sia possibile incrementare

Dharavi in modo differente, attraverso processi di

progettazione inclusivi e puntuali.

Nel momento in cui venivano sviluppate idee

progettuali dall’Italia, cambiavano le condizioni

al contorno del progetto, rendendolo via via più

complesso e rappresentativo della realtà dello

slum.

La riflessione che emerge come capitolo

conclusivo è quindi sul nuovo ruolo acquisito

nel corso del periodo di progettazione, sempre

1.3 La conclusione del progetto dall’Italia

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più inserito e guidato, anche se a distanza, dalla

realtà locale.

Sebbene la proposta su cui stiamo lavorando

oggi abbia una metratura molto ridotta rispetto a

Note 1.Un progetto di tesi in tre fasi1. L’8 novembre 2006 un gruppo di studenti della I Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino è stato premiato con il Premio Speciale della Giuria alla 10. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, con il progetto Cutting Edge Bombay, nell’ambito del workshop internazionale “Learning from cities”. Il gruppo ha avuto come tutor Michele Bonino e Subhash Mukerjee di MARC ed ha lavorato sotto il coordinamento di Pierre-Alain Croset.

2.Il workshop Urban Typhoon si è svolto a Dharavi Koliwada tra il 16 ed il 22 marzo 2008 ed è stato coordinato ed organizzato da PUKAR insieme con ricercatori ed attivisti sociali indipendenti. Ha visto la partecipazione di architetti, artisti, docenti accademici e attivisti sociali provenienti da tutto che, uniti ai residenti di Koliwada, hanno prodotto idee, immagini , piani e prospettive per il futuro di Dharavi. La conclusione del workshop ha visto anche la nascita del sito web dharavi.org.Il Politecnico di Torino ha partecipato con una delegazione di studenti coordinati da Subhash Mukerjee (team leader).3. Attraverso gli strumenti di progettazione urbana, Hindustry studia le megalopoli indiane, con una particolare attenzione al rapporto tra aspetti sociali e architettonici. Hindustry nasce dalla partecipazione a tre eventi: - IABR Biennale Internazionale di Architettura di Rotterdam, 2009, sezione Parallel Cases, “Coexistance as Survival. Enhancing informal synergies in Dharavi communities, Mumbai. - Koliwada, Mumbai, 2008. Workshop “Urban Typhoon”, progetto Koalition- Biennale di Venezia, 2006. Workshop “Learning from cities”, progetto Cutting Edge Bombay. Vincitore del Premio Speciale per le Scuole di Architettura.4. La lezione a cui abbiamo partecipato è stata inserita nel programma corso Urban Design coordinato da Stefano Boeri presso il Politecnico di Milano. Alla lezione ha partecipato anche Yehuda Safran, riportando la propria posizione relativamente alla situazione attuale di Dharavi ed all’utilità dell’impegno di architetti occidentali nello studio di aree urbane iper-degradate.

quella delle fasi precedenti, questa ha sembrato

assecondare al meglio le condizioni locali e pare

avere più possibilità di essere costruita nei mesi

a venire.

Page 18: tesi magistrale in Architettura

2. Mumbai e Dharavi: le premesse all’attività

progettuale

Mumbai:

_Cenni storici, Mumbai Oggi

_Origine e diffusione degli slums nella città di Mumbai

_I meccanismi politici di intervento per lo “sviluppo” degli slums

Dharavi:

_Cenni storici

_Le politiche applicate per il risanamento di Dharavi

_The Opportunity of the Millenium I: il Dharavi Development Plan

_The Opportunity for the Millenium (?) II

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2.1.1 Cenni storici, Mumbai oggi

L’arcipelago, la dominazione portoghese, la

British East India Company

Bombay 1 ebbe origine da un arcipelago di sette

isole (Mumbadevi, Colaba, Isola Old Woman’s,

Mahim, Parel, Worli e Mazgaon), abitate un tempo

da contadini e dai kolis (pescatori) e coperte da

un’estesa macchia di foreste.

Il lungo braccio di mare tra le isole ed il continente

formavano un porto con acque profonde e l’isola

di Colaba fungeva da approdo naturale per i

naviganti.

Alla fine del secolo XV secolo, i portoghesi

presero il controllo delle isole e governarono,

senza opposizione, per poco più di un secolo.

Nel 1661 il territorio fu ceduto all’Inghilterra che

successivamente ne delegò il controllo alla British

East India Company. Nel 1681 questa decise di

trasferire la propria sede di controllo da Surat a

Bombay. L’urbanizzazione della città si è confinata

in questo periodo sull’isola di Mumbadevi (a sud

dell’attuale Mumbai).

Hornby Vellard, la “Manchester d’oriente”, la

Bombay coloniale

Tra il 1772 ed il 1838 ebbe luogo il primo piano

ingegneristico su vasta scala per la città, avviato

da William Hornby (Governatore di Bombay

1771-1787) contro la volontà della British East

India Company. Grazie agli interventi previsti da

questo venne colmata la parte di mare estesa tra

isole e venne costruita una via di collegamento

rialzata che portò alla formazione di un unico

porto naturale noto come “Hornby Vellard” (dal

portoghese vallado, terrapieno).

Nel 1853 venne inaugurata la prima linea

2.1 Mumbai

1. Carta storica del XVII secolo raffigurante Salsette island. Fonte: MR ‘06, p. 262

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ferroviaria indiana, lunga 35 km tra Bombay e

Thana e un anno più tardi, nel 1854, il primo

stabilimento per la lavorazione del cotone venne

fondato a Bombay.

Dalla metà del 1850, Bombay sarà una delle più

grandi ed importanti città coloniali dell’Asia, grazie

ai magazzini tessili ed al connesso commercio del

cotone, guadagnandosi anche l’appellativo di

“Manchester d’Oriente”. L’immigrazione su larga

scala dei lavoratori Marathi 2 verso la città iniziò a

crescere e Bombay acquisì una forma sempre più

vicina a quella odierna.

Dal momento in cui l’industria del cotone iniziò

ad espandersi, prima che la città avesse una rete

di trasporti adeguata, i proprietari industriali

decisero di alloggiare i migranti il più vicino

possibile agli opifici. Vennero così costruiti, in

prossimità dei luoghi di lavoro, i chawls, edifici

ad alta densità di 4-5 piani fuori terra, in cui una

stanza di 20 mq diveniva l’unico spazio abitativo

per una famiglia ed i servizi erano installati in

comune per ogni piano.

Dopo la prima guerra d’indipendenza nel 1857,

la British East India Company venne accusata di

cattiva gestione della città e Bombay tornò sotto

il controllo della corona britannica.

In seguito allo scoppio della Guerra civile

Americana nel 1861 l’economia di Bombay trasse

numerosi benefici per il commercio di cotone

con l’Inghilterra e, grazie anche all’apertura del

Canale di Suez nel 1869, divenne il porto indiano

più vicino all’Europa. L’economia cittadina venne

così trasformata da agraria in quella di una città

coloniale di fiorente produzione manifatturiera.

Come sottolineato in Reclaiming (The Urbanism

of) Mumbai, dal 1860 l’isola di Bombay ha

subito numerose opere di modificazione. Dalla

demolizione delle mura, alla bonifica progressiva

di numerose aree per la residenza e per

l’ampliamento delle aree portuali, la natura è stata

violata per garantire il successo economico del

paesaggio artificiale. La necessità di recuperare

terreno abitabile ha così caratterizzato l’intera

storia della città.

Tra il 1870 e il 1950 il boom economico ha portato

Bombay a crescere molto velocemente, senza che

fosse stato previsto alcun piano per lo sviluppo

urbano, ma proseguendo le grandi opere di

bonifica dei terreni paludosi presenti ancora nella

città.

La Back Bay Reclamation Company nacque negli

anni Sessanta dell’Ottocento con la volontà di

bonificare tutti i terreni estesi tra le attuali Malabar

Hill e Colaba, anche se le ultime opere di bonifica

datano 1970, ad opera del Bombay Development

Department.

Durante tutto il Novecento la città di Bombay

ha visto costantemente aumentare il numero

dei propri abitanti e si è sviluppata sottraendo

terreno al mare ed espandendosi verso le regioni

più a Nord.

Questa strategia funzionò fino al periodo alla metà

2. “Bombay with its harbour and country adjacent”. Carta storica del 1855 in cui emerge l’importanza del porto di Bombay. Fonte: RUM, p.14

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del Novecento. Al momento dell’indipendenza,

nel 1947, Bombay contava infatti una popolazione

che era ancora al di sotto del milione e mezzo di

persone.

Dopo l’Indipendenza e gli anni della Navi

Mumbai

Negli anni Sessanta, Bombay divenne la capitale

dello stato del Maharashtra ed il flusso migratorio

da questa e dalle altre regioni dell’India aumentò

notevolmente. Alla fine degli anni Sessanta la città

si trovava ad ospitare tra i cinque e i sei milioni di

persone.

Nel 1964 la municipalità di propose un piano di

massima per lo sviluppo cittadino in cui, per una

città che ospitava già quattro milioni e mezzo di

abitanti e per cui si prospettava un raddoppio

della popolazione nelle due decadi successive,

non vennero previste alternative allo sviluppo

urbano degli anni precedenti. La naturale

espansione verso nord che la città aveva avuto

negli anni passati, sarebbe stata sufficiente anche

per contenere gli abitanti futuri.

Un gruppo di architetti formato da Charles Correa,

Pravina Mehta, Shirish Patel propose quindi un

piano alternativo: la costruzione di una città

satellite progettata per due milioni di persone:

Navi Bombay. La “nuova Bombay” avrebbe

dovuto fungere da contro-magnete per fermare

l’immigrazione verso la città e per collocare nuove

abitazioni per gli abitanti più poveri degli slums.

Secondo quanto descritto da Charles Correa,

il progetto si basava su tre semplici principi: un

nuovo sviluppo pianificato, la costruzione di

adeguate infrastrutture grazie ai proventi ricavati

dalla vendita dei terreni e la volontà di deviare la

3. Trasformazioni geologiche della Salsette Island. Fonte: RUM, p. 11

1670: le sette isole originarie, principalmente coperte da foreste, abitate da pescatori e contadini.

1812: le prime opera di bonifica ad opera della corona britannica.

1864: si notano tre bande per le differenti composizioni geologiche dei terreni (roccia vulcanica, depositi alluvionali e roccia sedimentaria stratificata).

1933: la topografia dell’isola è notevolmente modificata con l’acceleramento delle opere di bonifica.

1969: le opere di bonifica maggiori sono state concluse e l’isola ha raggiunto la propria massima capacità.

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pressione della crescita verso la nuova città.

Il piano venne adottato nel 1969 dal Bombay

Metropolitan Regional Planning Board.

Navi Bombay nasceva come un insieme di piccole

città adatte ad ospitare ognuna tra i 100,000 e i

300,000 abitanti su un terreno di 500-800 ettari

con aree dedicate alla produzione industriale

e distretti finanziari. Le nuove polarità vennero

studiate come entità urbane autonome, collegate

tra loro da un imponente sistema infrastrutturale

e separate da spazi verdi.

Venne inoltre ipotizzato un nuovo porto,

opposto a quello della antica Bombay, nell’ottica

di muovere alcune attività commerciali ed

industriali.

In realtà Navi Bombay non si è rivelata essere

un magnete sufficientemente attrattivo per gli

immigrati e per le classi più povere.

La popolazione della vecchia Bombay ha

continuato ad aumentare nel corso di tutti i

decenni successivi raggiungendo gli odierni

quindici milioni di abitanti.

Mumbai oggi

Mumbai è oggi la più grande e più densamente

popolata delle città indiane, una megalopoli

che sta vivendo una fase di rinnovamento e

che rappresenta per molti indiani la speranza di

migliorare le proprie condizioni di vita e, prima

ancora, quelle delle generazioni future.

Il disagio è un investimento per migliorare il

futuro e le opportunità della propria famiglia.

La diffusione dei film di Bollywood, ha fatto

4. La nuova centralità di Navi Bombay e collegamenti navali con l’antico porto. Fonte: Charles Correa, Housing and Urbanization: Building Solutions for People and Cities, Thames & Hudson, London, 1997 p.116

5. I 22,000 ettari di terreno destinati alla costruzione della Navi Bombay. Fonte: Charles Correa, Housing and Urbanization: Building Solutions for People and Cities, Thames & Hudson, London, 1997 p.116

6. La crescita della popolazione di Bombay tra il 1901 ed il 2001. Fonte: Charles Correa, Housing and Urbanization: Building Solutions for People and Cities, Thames & Hudson, London, 1997 p.116 (ridisegnata)1901 11 21 31 41 51 61 71 81 91 01

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divenire Mumbai un sogno di massa per gli altri

abitanti del paese; il fatto che la casta qui non

abbia più lo stesso valore che ancora conserva nei

villaggi offre nuove possibilità anche agli abitanti

un tempo appartenenti alle caste più basse.

La popolazione della Mumbai (considerando

l’area della Greater Mumbai 3) oggi varia tra i 13 e

i 16 milioni, con una prospettiva di crescita pari al

14% nella prossima decade.

Una percentuale variabile tra il 40% ed il 60% di

questa oggi vive però in insediamenti informali.

Il prodotto medio lordo di ciascuno dei suoi

abitanti si aggira intorno alle 55,000 Rs pro-capite

(circa 1000 USD) contro un costo annuale medio

della vita di 22,000 Rs (circa 500 USD).

Il PIL cittadino costituisce il 2,4% del PIL nazionale

anche se il 72% della popolazione è impegnato in

settori informali dell’economia.

Suketu Mehta definisce Mumbai una Maximum

City, una città degli eccessi dove tutto sembra

espandersi in maniera esponenziale: dai call

center, all’industria cinematografica, allo status

di capitale finanziaria dell’India, ma anche agli

slums, al degrado delle infrastrutture e delle

condizioni ambientali.

Tra il 1998 e il 2002 la crescita annuale si è

attestata al 2.4%, contro il 7% rilevato tra il 1994

ed il 1998.

Anche la qualità della vita con notevoli problemi

di accesso all’acqua, di congestione del traffico e

di conseguente inquinamento, non è migliorata

ed il numero degli abitanti degli insediamenti

informali è in progressivamente aumentato.

Gli urbanisti oggi guardano al modello di Shanghai,

come guida per la città ed il Maharashtra State

Government ha appena approvato un documento

intitolato ‘Vision Mumbai’ 3, che mira a trasformare

Mumbai in una world-class city entro il 2013

anche se, come sostiene l’architetto Charles

Correa, ‘There’s very little vision. They’re more like

hallucinations.”

Secondo quanto riportato nel Mc-Kinsey report,

per consolidare nei prossimi anni il proprio

ruolo di metropoli finanziaria e commerciale,

7. Veduta della città di Mumbai dal nord della Salsette island. Fonte: Jehangir Sorabbjee in MMR ‘06, p. 246-247

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Mumbai dovrebbe continuare la propria crescita

economica ed incrementare il livello di qualità

della vita.

Il potenziamento del trasporto pubblico, la

costruzione di abitazioni per residenti a basso

reddito, il miglioramento delle condizioni

ambientali e di inquinamento dell’aria si

presentano quindi oggi come temi imprescindibili

per la costruzione della città che verrà.

I problemi di Mumbai non potranno comunque

essere risolti lavorando solo sulla città stessa, ma

sarà necessario migliorare anche le condizioni

delle aree limitrofe, dei villaggi del Maharashtra

e, più in generale, delle altre regioni dell’India.

Il problema principale che sarà necessario

affrontare resta comunque quello dell’accesso

alla casa per metà della popolazione. Come

raccontato nei paragrafi precedenti, la “mancanza

di terra” ha portato i prezzi degli appartamenti

della zona centrale a livelli inaccessibili per la

maggior parte degli attuali abitanti di Mumbai.

Spostare gli uffici centrali del Maharashtra

State Government a Navi Mumbai e dislocare le

numerose attività portuali dal sud della città al

di fuori delle Salsette island, sarebbero entrambi

processi che permetterebbero di liberare nuovi

terreni per infrastrutture e servizi.

La scelta di utilizzare l’area dismessa dei cotton

mills -2,43 kmq nella parte centro-occidentale

della città- per la costruzione di alloggi di lusso

e centri commerciali anziché per migliorare i

servizi di scuole, aree verdi e spazi pubblici, getta

in realtà alcune ombre su quello che possa essere

il futuro sviluppo della città.

In questo senso anche l’atteggiamento che la

municipalità sta tenendo durante lo studio del

Dharavi Redevelopment Plan, in uno degli slum

storici della città i cui terreni hanno acquisito

oggi enorme valore fondiario, sembra muoversi

nella direzione di un’occasione persa per la

concertazione tra abitanti degli slums ed il resto

della città.

8. Vision Mumbai , Bombay First-Mc Kinsey. Fonte: MMR ‘06

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9. Alcuni dei grafici inseriti all’interno di Vision Mumbai: in ordine- crescita economica e qualità della vita, le principali sfide per la Mumbai del futuro.- le iniziative prioritarie che aiuteranno Mumbai a raggiungere la qualità della vita prospettata Fonte: Vision Mumbai , Bombay First-Mc Kinsey, p. 4, 14

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2.1.2 Origine e diffusione degli slums nella città

di Mumbai

La contestualizzazione del fenomeno: alcuni

dati di città indiane a confronto

La questione degli slums si pone oggi come un

tema di fondamentale importanza per la città

indiana: in città come Kolkota, Delhi, Chennai

e la stessa Mumbai una buona parte della

popolazione vive all’interno di quelli che vengono

definiti come insediamenti informali. In generale,

oggi più di un quarto della popolazione cittadina

indiana vive oggi negli slum. A Delhi sono quasi

due milioni gli abitanti degli slums, a Kolkota

sono circa un milione e mezzo, mentre a Chennai

raggiungono le ottocentomila unità.

Osservando i rapporti percentuali tra popolazione

e abitanti degli slums, sono in realtà anche

città più piccole che emergono per dati che

si avvicinano a quelli di Mumbai. In città quali

Meerut e Faridabad circa il 45% della popolazione

vive in insediamenti informali, mentre a Nagpur

la percentuale supera la soglia del 30%.

Nella regione di Mumbai, il Maharashtra, si

stimano oggi più di undici milioni di persone,

circa il 33% della popolazione totale, allocate

negli slums.

Mumbai “Slumbay”

Il problema è particolarmente accentuato

all’interno di Mumbai, dove vivono oggi il 15%

degli abitanti totali degli slums indiani.

Tra il 1950 e il 1968 il numero delle baraccopoli

è aumentato del 18%, fino ad arrivare, nel 1980,

alla soglia limite del 50% della popolazione.

Oggi sei milioni e mezzo di persone su quindici

(mentre alcuni dati parlano addirittura di nove

milioni e mezzo su sedici milioni di abitanti)

10. La diffusione degli slums in alcune città indiane. Fonte: London School of Economics (a cura di), Urban India: understanding the maximum city, Urban Age, London, p. 36

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vivono all’interno di insediamenti informali

con limitato accesso alle infrastrutture ed ai

servizi e costituiscono tra il 40% ed il 60% della

popolazione della Greater Mumbai.

Nonostante i tentativi effettuati in passato

per risolvere il problema, il numero di persone

residenti negli slums è oggi ancora in crescita. Il

tasso di crescita è in realtà superiore al tasso di

crescita urbana della città formale e Mumbai ha

guadagnato, in molte pubblicazioni, il titolo di

“Slumbay”.

Tipologia e distribuzione degli slums a

Mumbai

E ‘importante riconoscere che gli slums di Mumbai

sono altamente differenziati per tipologia,

dimensione e posizione ed occupano terreni

appartenenti al Governo Centrale, allo stato del

Maharashtra, alla municipalità 5, ma anche terreni

privati. E’ valutato che circa il 43% dei terreni su

cui oggi sorgono gli slums è infatti di proprietà

privata.

Molti sono inoltre gli abitanti che non vivono

in veri e propri slums, ma che alloggiano ogni

giorno, anche per periodi lunghi, sui marciapiedi

della città per non allontanarsi troppo dal posto

di lavoro.

Come accennato in precedenza non tutti gli slums

hanno al proprio interno la stessa condizione

ambientale relativamente alla qualità delle

costruzioni e di accesso ai servizi.

Alcuni slums storici, come quello di Dharavi,

hanno avuto nel tempo la possibilità di restare fissi

in un luogo e hanno saputo, in maniera informale

e spesso al di fuori dei limiti di legge, migliorare

le proprie condizioni. Sono state costruite

abitazioni con materiali più duraturi, si è provvisto

all’allacciamento idrico ed a quello elettrico e

sono state costruite alcune infrastrutture per la

mobilità interna grazie ai piani di risanamento.

Facendo riferimento alla figura 12, se nelle zone

F e G riportate nella mappa il 61% degli abitanti

degli slums gode di un allacciamento all’acqua,

nelle zone R e P solo il 19% di questi ha accesso a

questo servizio.

Gli slums che si trovano oggi sui terreni

comunali hanno acquisito lo status di “ufficialità”

accordatogli dalla Bombay Metropolitan Autority

(BMA) ai sensi dello Slum and Central Urban

Land Act del 1976. Questo significa che la zona

è ufficialmente riconosciuta come “non idonea

all’abitazione umana” e la BMA avrà il compito di

provvedere al più presto alla fornitura dell’accesso

alle infrastrutture ed ai servizi necessari.

Prima del 1950 gli slums sono sorti principalmente

intorno alla zona dei cotton mills, nella parte

centro-occidentale dell’isola, nel quartiere

denominato Byculla. Questi erano per lo più

abitazioni di una stanza, in cui i lavoratori del

settore tessile abitavano con le proprie famiglie.

Negli anni successivi, con l’aumento della

popolazione, gli slums si sono allargati anche alle 11. The Times of India, articolo pubblicato nel 2006 sugli slums a Mumbai. Fonte: MR ‘06, p. 162-163

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zone limitrofe quali la Mahim Creek, Parel, Dadar

e Matunga.

Sebbene si possa considerare che il fenomeno

degli slums investa tutta la città di Mumbai,

va sottolineato che gli slums non sono

uniformemente diffusi: essi costituiscono il 79%

del costruito nella zona M e il 47% di quello delle

zone L, N e T. Queste due aree sono quelle in cui

è maggiore la diffusione del fenomeno, mentre

nelle zone A-E e P-R gli slums costituiscono

comunque una percentuale inferiore al 20%.

In ogni caso a Mumbai la popolazione che vive

oggi negli insediamenti informali può considerarsi

più inserita che in altre città indiane. Facendo

un raffronto con Delhi, per esempio, a Mumbai

più del 40% degli slums si trova oggi nelle zone

centrali della città (da A a K), mentre nella capitale

indiana questa percentuale è praticamente nulla

e gli slums si sviluppano sostanzialmente nelle

periferie.

La formazione degli slums di Mumbai: cause

ed origini

Sin dalla fine del XIX secolo la municipalità

di Mumbai ha tentato di impegnarsi, in modi

differenti e con investimenti altalenanti, nella

risoluzione del problema degli slums e delle aree

urbane iper-degradate. Una serie di politiche

amministrative, che nel corso degli anni Novanta

hanno teso a coinvolgere anche gli investimenti

privati, sono state applicate per risolvere i

problemi dell’housing per gli abitanti più poveri

e per quelli con redditi medio-bassi.

Il fenomeno dell’occupazione informale di terreni

vacanti sul territorio della Greater Mumbai

ha però origine ben prima dell’indipendenza

indiana e può essere associato, senza timore di

12. Suddivisione in settori della Greater Mumbai. Fonte: MR ‘06, p. 23

13. Greater Mumbai, la diffusione dei più di 3,000 insediamenti informali con almeno 1,000 residenti. Fonte: MR ‘06, p. 154-155

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semplificare eccessivamente, alla questione

dell’immigrazione verso la nascente capitale

finanziaria indiana.

Tra il 1941 ed il 1971 circa i due terzi della

popolazione di Mumbai erano costituiti da

migranti di prima generazione, arrivati in città

alla ricerca di un lavoro.

Se il dato sull’immigrazione ha continuato ad

aumentare nel corso degli anni, anche quello

relativo all’economia informale, che sottolinea

la presenza di una vita parallela a quella

della città formale, è divenuto sempre più

determinante rispetto all’economia cittadina:

se nel 1961 gli impiegati nel settore informale

costituivano circa il 50% di quelli totali, già

nel 1991 questa percentuale si avvicinava al

66%. Oggi, in Mumbai Visions, i dati parlano

addirittura del 72% della popolazione

impegnata nell’economia informale.

La maggior parte di questa aveva (ed ha) origine

all’interno degli slums, rendendoli luoghi di

produttività vitali per l’economia cittadina

piuttosto che aree di povertà e miseria come

dipinti nell’immaginario comune.

Anche se è difficile quantificare la ricchezza che

questi insediamenti producevano (e tuttora

producono), i prodotti a basso costo che questi

hanno sempre fornito al mercato formale sono

frutto di salari bassi e di un mercato affittuario

in grado di fornire abitazioni a prezzi molto

inferiori rispetto a quelli del mercato formale.

Il flusso migratorio ininterrotto verificatosi

lungo tutto il Novecento da ogni regione

dell’India verso Mumbai non è stato bloccato dai

progetti di decentramento del nucleo cittadino

attraverso la costruzione di città satellite quali

Navi Bombay. Poiché la rete infrastrutturale

14. Mumbai, la densità della popolazione nelle diverse parti della città. Si noti la densità a Dharavi, pari al valore massimo. Fonte: MR ‘06, p. 162

15. La differenza dei prezzi di mercato nelle diverse parti della città. Si noti il valore fondiario 10,000-15,000 Rs del Bandra Kurla Complex, accanto a Dharavi. Fonte: MR ‘06, p. 163

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dei trasporti non è migliorata a sufficienza nella

Mumbai Metropolitan Region 6, i migranti hanno

continuato a dirigersi verso le aree centrali della

città.

Anche se l’immigrazione è, come detto in

precedenza, una delle cause principali del

proliferare degli slums, va sottolineato che questa

non può essere considerata l’unica causa poiché

questa non è di molto superiore rispetto ad altre

città nei paesi in via di sviluppo.

Il problema dunque non è l’immigrazione in sé,

ma la pressione che questa produce su una città

che non ha più terra a disposizione per espandersi

ed in cui i terreni vacanti sono stimati tra i 3,000

e 20,000 ettari e si trovano per lo più in mano a

pochi privati.

Vi è una profonda differenza nella distribuzione

dei terreni all’interno della città: mentre sei milioni

di persone vivono oggi sul 5% del territorio

della Greater Mumbai, la parte più ricca della

popolazione occupa il restante 95% della città.

E’ chiaro inoltre che la fornitura di alloggi nel

suo complesso, ma soprattutto per le fasce della

popolazione più povere a Mumbai è stata negli

anni gravemente carente.

L’offerta di abitazioni formale è infatti coperta

prevalentemente dal settore privato che tra il

1984 e il 1991 ha contribuito alla costruzione

del 66% dell’edilizia nella Mumbai Metropolitan

Region. La domanda media annuale di abitazioni

è cresciuta da 46,000 negli anni Sessanta a 70,000

negli anni Settanta, a 66,000 negli anni Ottanta

ed a 85,000 durante gli anni Novanta. D’altra

parte però l’offerta fornita dal settore pubblico e

17. 6,000,000 di persone vivono oggi sul 5% del territorio della Greater Mumbai mentre la parte più ricca della popolazione occupa il restante 95% della città. 91 proprietari terrieri controllano quasi tutti i “terreni vuoti” mentre il 6% della popolazione controlla il 75% dei terreni della Greater Mumbai. Fonte: MR ‘06, p. 162-163

16.Vignetta ironica sulle condizioni di vita all’interno della densità estrema di Mumbai. Fonte: MR ‘07, p. 25

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privato insieme negli anni è stata sempre di molto

inferiore: 17,600 negli anni Sessanta, 20,000 negli

anni Settanta, 57,400 negli anni Ottanta e 65,000

negli anni Novanta. Questo gap presente nei dati

tra domanda e offerta è stato negli anni colmato

dagli insediamenti informali che oggi hanno

invaso la città.

Il prezzo di acquisto delle case è oggi un problema

fondamentale per le persone più povere: a

seconda della localizzazione, dei servizi e delle

infrastrutture poste nelle vicinanze il prezzo di

un’appartamento a Mumbai può variare tra le

1,700 Rs/sqfeet alle 16,000 Rs/sqfeet. Questi

18. Le contraddizioni dell’odierna Mumbai. Il proliferare degli slums a fianco dell città formale. Fonte: Jehangir Sorabbjee in MMR ‘06, p.232-233

prezzi sono notevolmente superiori rispetto ai

prezzi medi presenti nelle altre città indiane e

sono comparabili con i prezzi delle abitazioni nei

migliori quartieri di metropoli internazionali quali

Singapore, New York e Shanghai.

La persistente incapacità di fornire abitazioni

attraverso il mercato formale per incontrare la

domanda annuale ha determinato oggi nella

città di Mumbai questo profondo disequilibrio

che incentiva la speculazione edilizia, aumenta

i profitti dei costruttori privati e non consente a

molte persone una scelta alternativa a quella del

mercato “informale”.

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2.1.3 I meccanismi politici di intervento per lo

“sviluppo” degli slums

Già dal 1896, attraverso il Bombay Improvement

Trust Act 7 la città si è dotata degli strumenti

legislativi necessari per “liberare” il proprio

territorio dal problema delle baraccopoli.

La prassi adottata durante tutta la prima metà

del Novecento è stata quella dello “sradicamento”

degli slums dalle aree centrali della città,

rinnovandole attraverso nozioni di sviluppo e

lottizzazione occidentali.

La soluzione per la maggior parte dei residenti

informali era dunque muoversi in altre parti

della città, più periferiche, per tornare a vivere

nuovamente in uno slum.

Nel corso degli anni Settanta una crescente

opposizione è emersa nei confronti di questo tipo

di politica, applicato indistintamente prima dal

governo inglese, poi da quello indiano in seguito

all’indipendenza.

Il 1976 è sembrato essere, in un certo senso, l’anno

che ha segnato una mutata attenzione verso la

problematica dell’abitazione per i più poveri che

aveva ormai assunto dimensioni e proporzioni

decisamente ingombranti per l’intera città.

Il Maharashtra State Government Census

(1976)

Voluto dal Maharashtra State Government, il

primo censimento ufficiale risale al gennaio 1976

e ha rilevato la presenza, nella sola Bombay, di

902.015 costruzioni “informali” distribuite in 2335

aree urbane degradate di cui più del 50% nate su

territori posseduti da privati.

Grazie a questo primo tentativo di monitorare la

situazione relativa alle aree urbane iper-degradate

vennero distribuite carte d’identità ad ognuno

degli abitanti degli slums nati prima del 1976;

questi acquisirono di fatto l’ “eleggibilità”, cioè il

diritto ad ottenere un’abitazione in occasione di

eventuali piani di sviluppo e risanamento futuri.

Non venne però assicurata a nessuno degli

abitanti la “permanenza” futura dello slum.

Molti degli abitanti allocati lungo le linee

ferroviarie e lungo i marciapiedi non beneficiarono

di questo censimento continuando a rimare di

fatto cittadini “illegali”.

All’interno della stessa indagine vennero pubblicati

alcuni risultati interessanti per inquadrare il

fenomeno della città informale: gli insediamenti

nelle periferie di Mumbai ospitavano circa l’83%

degli abitanti degli slums e questi erano nati, nella

maggior parte dei casi, su aree non adatte per lo

sviluppo urbano quali terreni paludosi, collinari o

lungo linee ferroviarie.

Inoltre, furono rilevati alcuni dati relativi alle

condizioni lavorative: tra il 10% e il 15% degli

abitanti degli insediamenti informali lavorava

all’interno degli insediamenti stessi, mentre

questa percentuale si alzava di molto in

insediamenti più consolidati, quali Dharavi, dove

circa 350,000 persone vennero censite e dove le

industrie delle ceramiche, delle concerie, della

produzione di liquore e dei tessuti erano già

vivacemente avviate da alcuni decenni.

I dati raccolti relativamente alle condizioni

abitative parlano di abitazioni di circa 12.5 metri

quadri per ogni nucleo familiare; di queste solo

una minima parte era costruita con materiali

permanenti.

Inoltre, mentre all’interno degli slums il 48% della

popolazione era proprietario della propria casa,

mentre i restanti abitanti godevano di affitti molto

più bassi rispetto alla media di Bombay. Come

sottolineato già in precedenza, anche da questo

censimento emerse come il fenomeno degli slums

fosse strettamente connesso all’immigrazione

ed alla difficoltà di trovare casa nel mercato

formale: il 79% delle famiglie erano infatti arrivate

a Mumbai dopo il 1960 e circa il 50% dei migranti

era originario di altri stati dell’India.

Le strategie di potenziamento degli slums in

situ alla fine degli anni ‘70 ed inizio anni ‘80

Negli anni Ottanta circa il 50% della popolazione

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di Bombay, equivalente a 4.5 milioni di persone,

viveva all’interno degli slums ed il 70% di questa

risiedeva all’interno di insediamenti riconosciuti

e legittimati nel 1976.

Con oltre il 40% di questi che vivevano al di

sotto della soglia minima di povertà, il tema

dell’intervento statale sul mercato immobiliare

si prospettava come aiuto necessario ed

inderogabile. Tra la fine degli anni Settanta e

l’inizio degli anni Ottanta vennero adottate due

strategie successive e complementari: prima,

nel 1976 lo Slum Improvement Program (SIP) e

successivamente, dal 1983-84 lo Slum Upgradation

Program (SUP).

Queste strategie ebbero origine da un

“cambiamento di rotta” che si riscontrò anche a

livello internazionale sui metodi di intervento

dello stato nel risanamento delle aree urbane

iper-degradate: organizzazioni quali la World Bank

parlano in questi anni dell’importanza della tutela

delle condizioni ambientali e del miglioramento

degli insediamenti in situ .

I principi che vengono richiamati sono quelli

di “accessibilità” (adottando un approccio

realistico alla disponibilità economica degli

abitanti), “recupero dei costi” (legato al concetto

di accessibilità in quanto implicava che l’ utente

potesse pagare la nuova abitazione piuttosto che

usufruire di un “regalo”) e “replicabilità” (al fine

di creare progetti “trasferibili” nell’ottica di un

miglioramento complessivo degli alloggi).

Gli interventi attuati all’interno dei SIP cercarono

di aumentare le infrastrutture attraverso la

costruzione di una rete per la distribuzione

dell’acqua sanitaria e per la raccolta delle acque

reflue, l’inizio di un’opera di pavimentazione di

strade e marciapiedi, la fornitura di impianti di

illuminazione e di una rete di energia elettrica.

Nonostante il largo raggio d’intervento previsto

per questi piani (hanno interessato circa tre

milioni di abitanti degli slums fino al 1989), i

risultati ottenuti sono spesso stati inferiori alle

aspettative e la manutenzione dei nuovi impianti

installati si è rivelata difficile.

I SUP a Bombay saranno controllati principalmente

dalla World Bank attraverso meccanismi di

inclusione e partecipazione delle comunità locali.

Attraverso il consenso degli abitanti verranno

attivati meccanismi di utilizzo del denaro

pubblico per la costruzione di social housing per

gli abitanti degli slum. I primi edifici alti iniziarono

a sorgere all’interno degli slums anche se i costi di

mantenimento molto alti obbligarono molti dei

primi residenti a vendere l’alloggio che era stato

loro assegnato.

Il piano prevedeva il coinvolgimento di 100.000

famiglie ogni tre anni. Le difficoltà principali di

attuazione di questi piani si sono riscontrate nei

meccanismi di coinvolgimento delle comunità

e nei processi acquisizione dei terreni su cui

sorgevano gli slums.

Alla fine del 1989 questo processo aveva disatteso

la maggior parte delle aspettative e solo il 9%

degli abitanti dei nuovi edifici erano famiglie

appartenenti alle fasce di reddito più basse.

Nonostante i limiti riscontrabili nella riuscita degli

interventi di risanamento, l’approccio al problema

in questi anni sembra apparire più rispettoso delle

istanze locali se comparato con quello degli anni

passati. La considerazione riservata alle condizioni

ambientali e all’importanza delle comunità locali

ha portato a programmi politici in grado di

cogliere, anche se solo in parte, l’importanza del

rispetto del “diritto alla casa” anche per gli abitanti

delle aree urbane più degradate.

Prime Minister Grant Program (1985-1993)

Questo programma statale di investimento,

avviato dal Primo Ministro Rajiv Ghandi nel

1985 in seguito ad una sua visita a Dharavi, ha

investito un miliardo di rupie al fine di migliorare

le condizioni di vita negli slums di Bombay.

Di queste, seicento milioni sono in state destinate

allo slum di Dharavi che in quegli anni, con i sui

223 ettari di terreno occupati da 500.000 abitanti,

era conosciuto come il più grande slum dell’Asia.

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Oltre che alla costruzione di infrastrutture per

l’acqua e per le strade, il denaro era destinato

al finanziamento di 5,000 unità abitative

sovvenzionate.

Come successo anche nei piani precedenti, il

mantenimento di molti degli appartamenti

costruiti risultò però troppo costoso per gli

abitanti dello slum che furono costretti a vendere

a classi sociali economicamente più benestanti.

Il programma si concluse nel 1993, quando i fondi

investiti terminarono ed in seguito all’attuazione

di nuovi piani di intervento proposti dal

Maharashtra State Government.

Slum Redevelopment Scheme (SRD): la

privatizzazione nel risanamento degli slums

(1991-1995)

Gli anni Novanta segnarono una svolta

nell’approccio politico al tema del risanamento

delle aree urbane iper-degradate ed emerse un

nuovo modo di affrontare la questione.

Nel 1985, lo Shiv Sena (partito associato alla sfera

destra conservatrice) vinse le elezioni cittadine

per la prima volta.

Nel 1990, in occasione della presentazione del

proprio programma politico per le elezioni del

Maharashtra State Government, il suo leader

propose la realizzazione di un piano di “free-

housing” sovvenzionato in parte da promotori

immobiliari privati. Il tentativo era quello di

permettere agli imprenditori immobiliari di

costruire un numero maggiore di abitazioni

aumentando la densità massima di sviluppo

(Floor Space Index, FSI), qualora questi si fossero

impegnati nella realizzazione di housing

all’interno degli slums.

Nel 1990 lo Shiv Shena perse le elezioni ma il

Congress (partito antagonista riconducibile alla

sinistra) ha ugualmente ritenuto necessario

introdurre un programma simile per migliorare

l’offerta di abitazioni a basso costo.

Nel 1991 nacquero così gli Slum Redevelopment

Scheme (SRD), che prevedevano il coinvolgimento

dell’iniziativa privata nella costruzione di housing

all’interno degli slums: appartamenti da 17 a 21

metri quadri vennero costruiti da imprenditori

19. Grafico che rappresenta la differenza tra domanda e offerta di abitazioni a Mumbai dagli anni ‘70 ad oggi.Fonte: MR ‘06 p.158-159

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privati e venduti ad un prezzo di 15,000 Rs (circa

al 23% del costo medio di costruzione).

Il vantaggio per i privati risiedeva nel fatto che,

costruendo su queste aree era possibile innalzare

il FSI fino a 2.5 rispetto all’1.0 del resto della città,

avendo così una serie di alloggi liberi da vendere

al normale prezzo di mercato.

Alcune regolamentazioni limitarono però il

funzionamento di questi piani: la più ingombrante

fu il “tetto massimo” di guadagno complessivo

dell’intervento, posto al 25% del costo dell’intera

operazione. In base al concetto del guadagno

massimo era prevista anche la determinazione

del limite di FSI.

Queste restrizioni vennero valutate

negativamente da molti imprenditori che

ritennero non conveniente investire negli SRD.

Le problematiche legate all’assegnazione ed alla

scelta delle aree su cui applicare il programma,

le complicazioni nate dall’interazione con le

comunità e la lentezza burocratica delle istituzioni

furono soltanto alcuni dei deterrenti aggiuntivi

che bloccarono gli investimenti privati.

Nel 1995, da tutta la città, erano pervenute al

comune di Bombay soltanto 185 proposte di

adesione al programma.

Slum Rehabilitation Scheme (SRS): (1995-oggi)

Il 1995 segnerà il ritorno al potere al Maharashtra

State Government dello Shiv Shena.

Visti gli scarsi risultati raggiunti dall’SRD e la

crescita spropositata dei valori immobiliari, questo

deciderà di sostituire il programma esistente

(SRD) con un nuovo meccanismo di intervento:

gli Slum Rehabilitation Scheme (SRS).

Venne così istituito un comitato consultivo

composto da impiegati comunali, burocrati,

promotori immobiliari e rappresentanti della

società civile denominato Afzulpurkar Committee,

con il compito di analizzare le problematiche

dell’esperienza passata.

La principale modifica che questo intervento

portò fu la definizione chiara di coloro che

potessero essere definiti abitanti “eleggibili”: il

comitato propose che tutti coloro che potessero

dimostrare di vivere in uno slum di Mumbai dal

1 gennaio 1995 acquisissero l’eleggibilità futura.

Ad ogni famiglia di queste sarebbe spettato un

appartamento di 21 metri quadri nel caso in cui,

in futuro, si fosse deciso di procedere ad un piano

di risanamento. Per le abitazioni così assegnate

verranno inoltre ridotte le tasse di proprietà

comunale per i primi dieci anni, soggette poi ad un

progressivo aumento nel corso dei seguenti dieci

anni. I promotori immobiliari vennero in aggiunta

investiti della responsabilità di stanziare un fondo

di 20,000 Rs per coprire i costi di mantenimento

per ognuna delle famiglie re-insediate.

Il supporto agli investitori privati avvenne

attraverso la deregolamentazione del “tetto

massimo” di profitto e attraverso una valutazione

della possibilità di applicare il limite di 2.5 FSI in

modo proporzionale ai prezzi di vendita degli

alloggi nelle diverse parti di Mumbai.

20. I dati relativi all’applicazione degli SRS fino al 1998 (comprendono anche gli SRD). Fonte: Vinit Mukhija, Enabling Slum Redevelopment in Mumbai: Policy Paradox in Practice, 2001.

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L’ultima ma altrettanto importante innovazione

risiede nel concetto di trasferibilità dei diritti

di costruzione (Transfert Development Rights,

TDR): in caso di intervento nei quartieri in cui

non sarebbe stato possibile raggiungere, nelle

nuove costruzioni, il limite di 2.5 poiché già

eccessivamente densi, i diritti di costruzione

aggiuntivi acquisiti sarebbero potuti essere

utilizzati in altre parti Mumbai.

Il piano ha infine deciso di fornire un unico

intermediario responsabile dell’applicazione

degli SRS, la Slum Redevelopment Autority (SRA).

Questa introdusse già nel 1997 alcuni

abbassamenti negli standard richiesti ai

costruttori a partire dalla diminuzione delle

dimensioni minime di cucine e bagni fino

all’eliminazione delle norme anti-incendio.

La legge ha previsto anche la possibilità da parte

di agenzie pubbliche di proporsi come promotori

finanziari dei piani di risanamento, qualora queste

lo ritenessero una scelta utile e remunerativa.

I dati relativi agli interventi circoscrivibili al

programma degli SRS non sono però più

confortanti di quelli degli SRD: nel marzo 2000

solo 3,486 unità erano state costruite per

ospitare gli abitanti degli slums. Tuttavia, un

aspetto interessante di questa esperienza di

riqualificazione è che oltre 75.000 famiglie residenti

negli slums espressero interesse ad avere un piano

di risanamento per la loro baraccopoli. E‘ anche

importante riconoscere che l’applicazione di

questi interventi non è stata permessa in “luoghi

pericolosi” (quali pendici collinari) e lungo la costa,

dove lo sviluppo oggi è vietato e dove sorgono in

realtà molti degli slums di Mumbai.

D’altra parte, questo processo di delega del

problema ai costruttori privati, ha trascurato

le esigenze infrastrutturali e di servizi: non

prevedendo interventi di miglioramento

dell’accesso all’acqua ed all’elettricità, né la

costruzione di edifici pubblici per l’istruzione e

la sanità e tantomeno progetti per la viabilità,

le condizioni abitative in cui sorgevano i nuovi

edifici restavano inferiori agli standard cittadini.

La questione della “eleggibilità”

L’impressione iniziale data dagli SRS era quella che

le comunità diventassero finalmente promotrici

degli interventi di risanamento attraverso un

processo di mobilitazione della popolazione.

Il meccanismo legislativo proposto determinava

che, grazie al consenso del 70% degli abitanti

“eleggibili” (residenti installatisi prima del 1

gennaio 1995) sarebbe stato possibile creare

un CBO (Community Based Organization)8 che

avrebbe rappresentato l’interesse delle comunità

locali. A questo punto sarebbe stato sufficiente

individuare un promotore immobiliare privato

in grado di raccogliere i documenti necessari per

dimostrare l’eleggibilità e la volontà degli abitanti

di avviare le pratiche attraverso l’SRS.

Il processo descritto, in apparenza molto lineare,

ha trovato nella determinazione dell’eleggibilità

degli abitanti, e della conseguente inclusione

o esclusione all’interno del piano, il punto più

complicato della propria applicazione. In una

realtà informale, è in effetti difficile testimoniare

la propria residenza in un luogo attraverso

documenti scritti e validi.

Inoltre la ricerca di documenti necessari per

rientrare all’interno delle CBO ha creato un ampio

mercato di falsificazione e compravendita dei

documenti in cui le persone meno abbienti sono

state come sempre le più danneggiate.

Le strategie di riqualificazione dei quartieri poveri di Mumbai della fine degli anni Settanta e degli anni ‘80, gli interventi avviati con i fondi stanziati dal Primo Ministro nel 1985, i successivi piani di coinvolgimento del privato nel risanamento degli slums costituiscono sommariamente il quadro storico-legislativo di risposta della città di Mumbai al tema dello sviluppo delle aree urbane iper-degradate.Questo costituisce la base legislativa su cui nasce l’attuale Dharavi Development Plan che richiama alcuni concetti introdotti in passato e ne riutilizza le retoriche.

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2.2.1 Cenni storici

Nella mappa del Capitano Thomas Dickinson,

denominata Islands of Bombay e datata 1812-

1816 è riportata la presenza di un antico villaggio

di pescatori (Koliwada) che possiede già un

apparente forma costruita.

Come riporta il Gazetteer of Bombay City and

Islands, stampato per la prima volta nel 1909,

il nome di Dharavi si ritrova menzionato già

quando la città era ancora costituita da sette

isole separate dal torrente Mahim proveniente

dall’entroterra. Dharavi è descritto come uno

dei sei grandi koliwadas (villaggi di pescatori)

di Bombay: “Nel 1727, Bombay consisteva in due

città, Bombay e Mahim ed in 8 villaggi Mazagaon,

Varli, Parel, Vadala, Naigam, Matunga, Dharavi e

Colaba. Questa aveva inoltre sette frazioni: due al

di sotto di Vadala, due al di sotto di Dharavi e tre al

di sotto di Parel.“

Dharavi Koliwada, l’insediamento primario

attorno al quale si è sviluppato oggi lo slum, si

trova sul margine nord-ovest dell’odierna Dharavi

ed ha mantenuto una certa indipendenza rispetto

al restante del tessuto informale.

Lo sviluppo urbano della città di Bombay ebbe

un’accelerazione improvvisa nel corso del XIX

secolo ed in particolare dopo il 1858 quando la città

passò sotto il controllo inglese. Durante questi

anni, in modo progettato ed in modo naturale,

il mare tra le isole venne progressivamente

colmato fino a formare l’attuale Salsette Island.

Come riportato in City of Gold (Gillian Tindall),

Bombay può vantare l’eccentrica distinzione di

essere cresciuta su un terreno di pesce marcio e

foglie di palma da cocco.

A partire dall’inizio del XX secolo, da villaggio

2.2 Dharavi

22. Thomas Dickinson, Islands of Bombay, 1812-1816. Fonte: Dharavi Studio 2006-2007 KRVIA,

21. La collocazione di Dharavi, divenuta oggi centrale nello sviluppo urbano della Salsette Island.

ARABIAN SEA DHARAVI

MIRA-BHAYANDAR

THANE

NAVI MUMBAI

JAHARWAL NEHRUPORT TRUST (J.N.P.T.)

Vasai creek

Thane creek

central railway

western railway

harbour railway

ISLAND CITY

MUMBAI HARBOUR

SALSETTE ISLAND

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distante dalle periferie cittadine, Koliwada si

trovò sempre più a ridosso del territorio urbano

a causa del continuo incremento demografico.

Nonostante le importanti opere di bonifica che

hanno coinvolto tutta la città nel corso del XIX

e del XX secolo, il villaggio di Koliwada riuscì

a mantenere la propria economia basata sulla

pesca, fino alla fine degli anni Sessanta.

I primi abitanti che si mossero a Dharavi

incontrarono un terreno paludoso, ancora

assolutamente vergine da alcuni tipo di

infrastrutturazione e, diversamente da quanto

accadde in altre aree occupate della città, coloro

che si insediarono non dovettero successivamente

muoversi, poiché l’amministrazione cittadina

non ha mostrato interessi relativamente a questo

appezzamento di terreno.

Piccoli insediamenti informali iniziarono a sorgere

a partire dagli anni Venti, sino ad unirsi nell’unica

entità che oggi ha preso il nome di Dharavi.

La storia di Dharavi è indissolubilmente legata

alla storia dell’immigrazione di Bombay: così se

nella città i primi flussi migratori si riscontrarono

dal Maharashtra, in particolare dal Konkan ed

in parte dal Gujarat, anche per Dharavi la storia

non si discosta di molto. Queste comunità,

che si insediarono nel sud della città, vennero

generalmente “sradicate” dai propri insediamenti

informali e furono costrette a muoversi nelle aree

più periferiche. Attraverso questo meccanismo,

intere comunità furono spinte dal sud di Bombay

fino a Dharavi, a quel tempo limite nord della città.

Così i ceramisti di Saurashtra furono riallocati due

volte prima di essere spostati a Dharavi, tra il

1910 e il 1920. Anche alcune comunità originarie

del Tamil Nadu impegnate nel commercio del

cuoio vennero spostate durante gli stessi anni

dal sud di Bombay e si localizzarono a Dharavi,

approfittando della vicinanza del mattatoio

di Bandra. Il primo tempio di Ganesh Mandir

costruito a Dharavi data 1913, mentre la prima

scuola Tamil risale al 1924. Durante gli anni Trenta

si registrarono anche i primi flussi dall’Uttar

Pradesh con la conseguente nascita di un fiorente

mercato di tessuti ed indumenti.

Dalla Bombay Guide Map, datata 1969, si può

notare come in alcune parti di Dharavi si

riconoscano già zone ad alta densità di costruito.

Gli anni tra il 1971 ed il 1974 divengono in realtà

cruciali per comprendere la storia futura di

Dharavi: il Clearance and Redevelopment Act del

Maharashtra Slum Areas Improvement, definirà

infatti ufficialmente Dharavi come uno slum e

questa decisione incederà in maniera importante

sulla percezione da parte degli altri cittadini di

Mumbai e sul tipo di politiche adottate negli anni

a venire per questa parte di città.

Oggi Dharavi è nuovamente al centro

dell’attenzione cittadina. La sua posizione,

divenuta centrale in seguito all’espansione della

Greater Mumbai e al lato dell’efficiente complesso

finanziario di Bandra-Kurla 9, ha destato l’interesse

di molti imprenditori immobiliari e della stessa

amministrazione cittadina, intenzionata a

ridisegnare Mumbai come una world-class city.

La storia sembra perciò oggi ripresentarsi, con

la municipalità impegnata nel trovare il modo di

“spostare” il problema di Dharavi verso le periferie

più che nel tentare di risolvere e di migliorare le

condizioni abitative dei suoi abitanti.23. Bombay Guide Map, 1969. Fonte: Dharavi Studio

2006-2007 KRVIA,

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2.2.2 Le politiche applicate per il risanamento di

Dharavi

Il Clearance and Redevelopment Act del 1974

tenta di definire lo slum in termini di mancanza

di infrastrutture ed accesso ai servizi. In seguito

alla scelta di definire Dharavi come tale, lo Slum

Improvement Board avvierà un primo intervento

di risanamento. I primi sforzi saranno in direzione

dell’accesso all’acqua, ai servizi igienici ed della

costruzione di una rete elettrica più efficiente.

Questo sarà anche il periodo in cui verranno

costruite Sion-Mahim-Link Road, 60 Feet e 90 Feet

Road al di sotto delle quali vengono collocate le

reti fognarie e le tubazioni dell’acqua.

Alcuni transit camps verranno costruiti per allocare

le persone sfollate nell’ambito degli interventi di

costruzione delle nuove vie di attraversamento

principale. L’attuale nagar denominato New

Transit Camp deriva proprio dal ricollocamento di

una parte sostanziale della popolazione durante

questo periodo.

Nel 1976 la municipalità decise di condurre un

censimento sulle aree degradate di Mumbai. Le

persone che dimostrarono di essersi insediate in

una di queste aree prima del 1975 ebbero diritto

a un riconoscimento immediato dell’identità.

Gli slum nati dunque prima del 1975 vennero

riconosciuti e lo Stato si assunse l’onere di

garantire infrastrutture e servizi. In ogni caso non

venne garantita a nessuno slum la sicurezza che,

successivamente, non ci sarebbero stati interventi

di demolizione.

Durante il corso dello stesso anno l’Urban Ceiling

Regulation Act venne approvato permettendo di

confiscare i lotti di terreno inutilizzati all’interno

di ogni slum per dedicarli a funzioni di tipo

pubblico. In realtà non tutti i lotti di terra che

lo stato avrebbe potuto acquisire con la forza di

questo atto vennero utilizzati e solo una piccola

24. 90 Feet Road ed alcuni degli edifici alti costruiti grazie alle politiche di risanamento. Fonte: Alberto Bottero

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25. Il piano per Dharavi del1981 formulato attraverso i meccanismi degli Slum Improvement Program. Fonte: Dharavi Studio 2006-2007 KRVIA,

parte di infrastrutture e servizi vennero costruiti.

Il 1981 fu un anno tragico per molti slums di

Mumbai: una grande quantità di case venne

letteralmente rasa al suolo e migliaia di persone

furono lasciate senza casa e caricate a forza su bus

diretti fuori dalla città, con il consiglio di tornare

ognuno nelle regioni di origine.

In seguito all’apertura di un’inchiesta, la Supreme

Court nel 1985 dichiarò che “lo sfratto di una

persona da un marciapiede o da uno slum avrebbe

portato inevitabilmente alla privazione del

diritto alla vita”. Quindi, se le persone potevano

dimostrare di essere arrivate a Mumbai prima

del 1976 lo Stato aveva l’obbligo di garantire, in

caso di demolizione di uno slum, un’adeguata

alternativa per la risistemazione.

Nel 1981, attraverso il quadro legislativo impostato

dagli Slum Improvement Program, compare un

nuovo piano di sviluppo per Dharavi previsto

per una popolazione di 169,333 residenti. Qui

emergono alcuni degli interventi che saranno

parzialmente realizzati negli anni a venire.

I riferimenti sono fatti alla possibilità di costruire

servizi educativi e sanitari soprattutto nella

parte sud di Dharavi. Compaiono all’interno

di questo piano per esempio il progetto per la

scuola all’interno di Social Nagar (che oggi ospita

circa 6,000 bambini) e il progetto per il Dharavi

Hospital, lungo Sulochana Shetty Road. A sud di

questa sono anche individuate la maggior parte

delle aree per gli interventi di Municipal Housing

futuri. Alcune aree sparse in Dharavi sono inoltre

state previste come spazio per il gioco ed il tempo

libero nella parte sud dello slum.

Nel 1985 il Primo Ministro indiano Rajiv Ghandi

decise di stanziare un miliardo di Rupie (venti

milioni di USD) all’interno dei Prime Minister

Grant Project in favore dei piani di sviluppo e

risanamento per la città di Mumbai. Di questi,

quasi nove milioni di USD furono destinati ad

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interventi per il risanamento a Dharavi.

In quel momento i dati statali indicavano che

Dharavi era abitato da 300,000 persone che

avevano accesso a soli 162 rubinetti e 842 bagni.

Ogni anno inoltre Dharavi era allagata durante

il periodo monsonico e le acque meteoriche si

mischiavano con le acque di scarico degli impianti

sanitari.

Le ragioni di questo importante stanziamento

divennero chiare di lì a poco. Sulla sponda

opposta del Mithi River, un’altra area paludosa

era stata richiesta per la costruzione di un nuovo

distretto commerciale: il Bandra Kurla Complex.

Ciò significava che Dharavi, un’area in prossimità

di un nuovo polmone finanziario della città,

doveva essere risanata.

Il Maharashtra State Government creò un comitato,

guidato da Charles Correa, nel 1986 con lo

scopo di creare un nuovo piano di massima per

Dharavi.

Tra i punti fondamentali che questo propose,

vennero segnalate la necessità di un nuovo

censimento e di un approccio politico che

ponesse al centro le comunità.

Vennero inoltre suggeriti il movimento di tutte le

concerie di cuoio a Deonar, a nord, la necessità di

una risistemazione delle altre attività produttive

e commerciali esistenti, l’aumento dei terreni

destinati ad uso pubblico e la revisione dei

percorsi di alcune strade previste dal Dharavi

Development Plan del 1981. Venne proposto anche

il ricollocamento di alcune famiglie nell’area di

Bandra-Kurla.

Basandosi sui suggerimenti del comitato

presieduto da Correa, il Maharashtra State

Government delegò la Maharashtra Housing

and Area Development Autority (MHADA)10

quale Special Planning Autority per lo sviluppo

ed il risanamento di Dharavi. Questa visione

centralizzata venne proposta per eliminare gli

eccessivi problemi burocratici che nel corso degli

anni avevano ritardato l’applicazione dei piani

precedenti.

La proposta di questo piano fu inoltre quella di

proporre uno sviluppo di Dharavi attraverso il

potenziamento di infrastrutture e la costruzione

di edifici a cinque piani fuori terra e con

abitazioni che variassero dai 15 ai 40 metri quadri

(tenendo conto delle dimensioni della proprietà

precedente).

Attraverso un sistema di cooperative formate

dagli abitanti e con l’utilizzo dei fondi del Prime

Minister Grant Project ed alcuni fondi privati dei

residenti si ipotizzava il ricollocamento di 35.000

delle 57.000 famiglie stimante dalla precedente

indagine. Il fatto che 20.000 famiglie dovessero

essere ricollocate altrove e che le prospettive

proposte dall’ambiente politico fossero quelle di

uno sviluppo high-rise creò preoccupazione nella

popolazione.

Il punto di vista di alcuni degli abitanti di Dharavi,

come riporta Rediscovering Dharavi di Kalpana

Sharma, fu la visione che i poveri venissero

26. Edificio costruito attraverso gli SRS in Matunga Labour Camp. Foto: Alberto Bottero

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utilizzati come bulldozer per risanare le parti

paludose e renderle abitabili e che, non appena

questo fosse avvenuto, questi venivano spinti

verso nuove aree della città non abitabili.

Due ONG si unirono per proporre un piano di

sviluppo differente: la SPARC11, Society for the

Promotion of Area Resource Centers e la NSDF 12,

National Slum Dwellers Federation, che avevano

già avviato proposte per il riconoscimento degli

abitanti di strada di Mumbai tra il 1974 ed il 1984,

decisero di avviare un’indagine attraverso cui

stimavano un numero di famiglie residente in

Dharavi pari a 100.000.

La proposta di queste fu un piano di risanamento

low-rise, con edifici di uno o due piani fuori terra

con abitazioni uniformi di 26 metri quadri che

potevano essere auto-costruite dagli abitanti

locali con la produzione dei materiali edilizi in situ.

In una di queste ricerche emerse che solo il 10%

degli abitanti di Dharavi erano senza occupazione

e che i lavori svolti dalla popolazione all’interno di

Dharavi erano ormai divenuti indispensabili per

l’economia dell’intera Mumbai. Questo poneva

agli occhi della municipalità un nuovo punto di

vista: non più lo slum come “città dei poveri”, ma

come grande motore dell’economia di Mumbai.

In realtà, il volto di Dharavi cambiò drasticamente

tra il 1989 ed il 1999 in seguito alla costruzione

dei primi edifici fuori terra ed all’introduzione, nel

1991, del meccanismo degli Slum Redevelopment

Scheme, successivamente sostituiti dagli Slum

Rehabilitation Schemes.

Grazie alla creazione della Slum Rehabilitation

Autority (SRA), che dal 3 gennaio del 1997 diverrà

principale responsabile dei piani di intervento per

tutti gli slums di Mumbai, il piano ha permesso il

ricollocamento di circa 60.000 famiglie e 350.000

abitanti degli slums in tutta Mumbai.

Fu grazie a questi meccanismi di commistione

tra pubblico e privato che vennero realizzati 72

edifici di sette piani all’interno di Dharavi negli

ultimi anni. Questi si svilupparono per la maggior

parte lungo i confini dello slum, penetrando solo

raramente all’interno del tessuto urbano più

consolidato. L’occasione per costruire questi fu

anche l’acquisizione di spazio libero in seguito

allo spostamento di numerose concerie di cuoio a

Deonar, come proposto dal comitato presieduto

da Correa nel 1986..

Il problema principale di questi meccanismi fu che

l’impresa costruttrice divenne responsabile solo

per la costruzione degli edifici e non si dovette

impegnare della costruzione delle infrastrutture

civili quali il drenaggio e la distribuzione

dell’acqua né tantomeno della costruzione dei

servizi igienici pubblici.

A molte persone vennero così assegnati alloggi

in aree dello slum non servite da mezzi pubblici

e in edifici a sette piani fuori terra spesso non

coperti da un adeguato approvvigionamento di

acqua. Molte di queste furono inoltre costrette

a vendere le proprie abitazioni per problemi

economici di mantenimento degli edifici. La

maggior parte degli edifici alti presenti a Dharavi

si trovano già oggi in pessime condizioni a causa

dell’impossibilità economica delle famiglie di

contribuire alle opere per il mantenimento e la

ristrutturazione.

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2.2.3 “The Opportunity of the Millenium”: il Dharavi

Redevelopment Plan

La prima versione del Dharavi Redevelopment Plan

è stata elaborata un decennio fa dall’architetto e

consulente governativo Mukesh Mehta ed è stata

approvata dal Maharashtra State Government nel

2004. Gli sviluppi odierni sono ora sotto il controllo

della Slum Rehabilitation Authority (SRA)13.

Il piano è stato dipinto come una possibilità

di miglioramento grazie a cui gli abitanti delle

baraccopoli potranno finalmente ricevere

abitazioni sicure e servizi, mentre gli abitanti delle

classi medie potranno beneficiare di nuovi spazi

residenziali e commerciali. Inoltre i promotori

immobiliari e il governo potranno realizzare

profitti e rimuovere un’imbarazzante tasca di

povertà dal centro di Mumbai.

È stato il valore del terreno sul quale si trova oggi

Dharavi che ha determinato in realtà la crescente

attenzione di cui questo oggi gode.

La sua collocazione ormai divenuta centrale nello

scacchiere della città di Mumbai, situata a pochi

passi dal futuristico Bandra Kurla Complex, emerso

come il principale fulcro di attività finanziaria

a Mumbai, ha ormai attirato l’attenzione di

molti promotori immobiliari e determinato un

significativo aumento dei valori dei terreni su cui

sorge lo slum. Questo terreno appartiene per il

77% alla Municipal Corporation of Greater Mumbai

che avrebbe in questo modo la possibilità di

guadagnare molto dalla vendita.

27. Dharavi Development Plan, articolo pubblicato nel Times of India, 2007. Fonte: MR ‘07, p. 233-234

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Il 26 luglio del 2005 la mancanza di lungimiranza

nella pianificazione BKC divenne evidente quando

l’intera area finì alluvionata come molte altre parti

della città di Mumbai. Nel corso dello sviluppo

di questo quartiere degli affari, il fiume Mithi è

infatti stato deviato con un impatto fortemente

negativo sulla drenaggio naturale della zona.

D’altra parte Dharavi, che è stato gradualmente

bonificato dei propri abitanti, è uscito indenne

dalle inondazioni.

Questo ha aumentato (se possibile) l’attrattiva

Dharavi e il suo valore immobiliare.

Idealmente alcuni promotori immobiliari

vorrebbero radere al suolo le strutture dello slum

e proporre un piano per residenze di lusso come

avvenuto per l’area dei mills14. Politicamente

questo è impossibile. Quindi il compromesso

sarà quello di trovare un modo per accogliere

coloro che vivono oggi a Dharavi nel corso della

conversione dell’intero quartiere.

Il piano prevede la suddivisione di Dharavi in

cinque settori da 45 ettari ognuno, assegnati

a differenti firme dell’architettura nazionali ed

internazionali in seguito al bando di un concorso

denominato “The opportunity of the Millenium”.

Il Dharavi Redevelopment Project prevede che i

promotori immobiliari possano trarre vantaggio

dall’assegnazione di extra Floor Space Index

(FSI) al fine di costruire torri residenziali e spazi

commerciali in cambio della costruzione di

appartamenti gratuiti e piccoli spazi commerciali

per gli abitanti attuali di Dharavi. Ogni zona

sarebbe costituita da un mix tra case per gli attuali

abitanti dello slum e abitazioni destinate alla

vendita a normali prezzi di mercato. I promotori

immobiliari si impegneranno inoltre a costruire le

necessarie infrastrutture senza costi aggiunti per

il governo centrale.

Il progetto, il cui investimento previsto era di

Rs 6,380 crore (1,3 miliardi di USD) nel 2004,

aumentato fino a Rs 9,250 crore (quasi due miliardi

di USD) nel 2006, è arrivato oggi al preventivo di

Rs 15.000 crore (2,9 miliardi di USD) ed è stato più

volte modificato nel corso degli anni. E’ difficile

indicare i vari passaggi con cui questo si sia

modificato anche se da un punto di vista logistico

la una divisione in 12 settori da cui è partito si è

ridotta fino a prevedere l’identificazione oggi

di cinque settori indipendenti, ognuno con la

propria scuola elementare e scuola secondaria,

aree verdi ed ufficio postale. Sono anche previsti

mercati e istituti di istruzione superiore.

L’ottica in cui è stato disegnato il piano prevede

un massiccio intervento infrastrutturale sull’area

che porti Dharavi in linea con gli standard dei

migliori quartieri della città.

Durante questi anni, Mukesh Mehta, il consulente

incaricato di seguire il progetto dal Maharashtra

State Government, sostiene che la sfida non sia nel

fornire i servizi, ma nell’integrare la popolazione

emarginata dello slum. Questo significherebbe

anche far emergere il loro talento e garantire

ad ognuno pari opportunità. Sempre secondo

il pensiero di Mukesh Mehta, ogni quartiere

dovrebbe idealmente avere un carattere proprio

per evitare la monotonia dei consueti piani di

sviluppo.

Il dialogo con le ONG locali è stato difficile sin

dall’inizio e solo dal 2007 sembra che gli enti

governativi abbiano preso in considerazione

la possibilità di modificare il piano in base alle

richieste della popolazione.

Nell’ottobre 2008 sono infatti state inserite nelle

linee guida per la revisione del piano alcune

proposte fatte dai gruppi consultivi coordinati

dalle ONG e dalle comunità.

Il cambiamento più grande accettato è stato

relativo alle altezze degli edifici: nessuno dovrà

superare gli otto piani fuori terra (dieci in casi

eccezionali in cui l’edificio confini con uno spazio

aperto di almeno 25 m di larghezza) al posto dei

20 e 30 piani ipotizzati in partenza. Le altezze

più basse saranno in grado di consentire una

migliore ventilazione ed ingresso della luce, oltre

che comportare una notevole riduzione dei costi

di costruzione.

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Un’altra importante mediazione raggiunta è

relativa agli usi: l’80% delle strutture che saranno

messe liberamente sul mercato dovranno essere

destinate ad uso commerciale e prevalentemente

allocate sui limiti di Dharavi e vicino ai nodi

di movimento. Questo permetterà un miglior

funzionamento degli esercizi commerciali ed allo

stesso tempo una minor congestione del traffico

nel cuore più residenziale.

Inoltre le comunità locali hanno richiesto

che venga destinato un 6% dell’area totale

costruita a spazi comuni a disposizione di quelle

attività manifatturiere “home-based” che oggi

costituiscono il tessuto produttivo di Dharavi.

Inoltre le strade, inizialmente previste di una

larghezza di sei metri dovranno essere allargate

fino a dodici metri, con marciapiedi di 2,5 m e

uno spazio per le corsie di 7 metri.

E’ anche stata aumentata la dimensione degli

alloggi: dagli iniziali 225 sq feet a 300 sq feet (27,5

mq) prevedendo che gli abitanti che dimostrino di

possedere oggi una metratura superiore possano

acquistare fino a 100 sq feet aggiuntivi al prezzo

di costruzione. Anche coloro che oggi possiedono

almeno 225 sq feet di superficie commerciale

possono beneficiare dei questo vantaggio.

Sempre durante il 2008 il villaggio di Koliwada

ha ottenuto l’assicurazione che questa parte di

slum non verrà coinvolta all’interno del piano di

sviluppo.

Il processo di negoziazione oggi in atto tra le

diverse parti coinvolte sembra condurre ad un’

inevitabile partenza dei lavori nei prossimi anni,

anche se non è veramente stimabile una data di

inizio. Sono ormai comunque irreali le prospettive

ipotizzate prima nel 2005 di una conclusione dei

lavori nel corso del 2010 e quelle fatte nel 2006

per una conclusione dei lavori nel 2013.

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2.2.4 “The Opportunity of the Millenium”?

Molti sono gli interessi e le contraddizioni che il

ancora oggi il piano contiene al proprio interno.

La più grande tra queste sta nei numeri: nessuno

può dire con certezza quante persone vivano

oggi a Dharavi.

Nel 1985, durante i Prime Minister Grant Project,

i censimenti avevano stimato un numero di

350,000 abitanti. Nel 2007 un’attenta indagine

condotta porta a porta dalla NSDF documentò

che il numero dei residenti in Dharavi era

perlomeno doppio. Inspiegabilmente il DRP, dal

2004 e fino ad oggi, ha continuato a lavorare su

dati vicini a quelli del 1985, tenendo conto solo

delle persone residenti ai piani terra (proprietari)

ed escludendo tutti gli abitanti presenti ai piani

superiori (affittuari) arrivati dopo il 1985.

Ad oggi, una nuova indagine è stata commissionata

e questa sarà determinante per comprendere se

la proiezione di 57,000 famiglie che necessitano

una risistemazione sia realistica oppure no. Se

questo numero non dovesse essere rispettato il

piano dovrà essere drasticamente rivisto.

Altre discussioni stanno nascendo oggi a Dharavi

circa l’eleggibilità degli abitanti e l’eventuale

assegnazione dei futuri appartamenti.

Il principio legislativo per cui solo i residenti che

possono dimostrare di risiedere a Dharavi dal 1

gennaio 1995 avranno diritto ad un’abitazione

mette molti degli attuali abitanti di Dharavi in una

condizione complicatissima e nell’impossibilità

di documentare la propria legittimità

all’assegnazione di una residenza.

In ogni caso, se è ormai chiaro che buona parte

della popolazione sarà esclusa dall’assegnazione

di un’abitazione nella nuova Dharavi, non è ancora

stato specificato cosa succederà alle persone che

non saranno ricollocate su quest’area.

Altre critiche al progetto arrivano dal settore

produttivo informale fiorente oggi a Dharavi: i

dubbi legittimi su come la nuova organizzazione

possa accogliere l’attuale economia fatta di

piccole unità manifatturiere “home-based” stanno

di fatto creando una forte opposizione al piano.

In questo senso, il 6% di spazio “comunitario”

destinato a queste attività non sembra soddisfare

le richieste degli “imprenditori informali”, che

sostengono la necessità di spazi eventualmente

più grandi e diversificati per le lavorazioni.

Altri dubbi nascono sul possibile coinvolgimento

delle comunità nei futuri processi inclusivi nelle

politiche decisionali. Ad oggi, infatti, alcune delle

proposte avanzate dagli abitanti di Dharavi sono

state recepite, ma non sono ancora divenute

linee-guida ufficiali all’interno del regolamento

per il DRP.

Molte delle perplessità nascono infine dalle

posizioni differenti delle singole comunità. Se

Koliwada ha in realtà ottenuto l’assicurazione di

essere esclusa dal DRP, in quanto entità estranea

allo slum, lo stesso non è ancora avvenuto per

Kumbharwada che, analogamente, vorrebbe

mantenere il proprio tessuto urbano e con questo

la propria identità e la propria economia.

28. Immagine ironica di protesta verso il Dharavi Redevelopment Plan. Fonte: MR ‘07, p.238

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Note 2. Mumbai e Dharavi: le premesse all’attività progettuale1. Il 4 maggio 1995, il governo del Maharashtra approvò la ridenominazione della città in “Mumbai”, dopo molti anni di pressioni politiche a questo riguardo. Il vecchio nome è talvolta utilizzato in India su base informale e appare ancora nei nomi di alcune istituzioni ufficiali e organismi privati. In questa trattazione la città verrà indicata con il nome di Bombay per il periodo precedente al 1995, Mumbai sarà invece utilizzato per i riferimenti successivi.

2. Il termine indica le popolazioni provenienti dalla regione del Maharashtra

3. Greater Mumbai è una parte di Mumbai, che raggruppa aree quali Bandra, Andheri, Borivalli, Juhu beach, Marve beach, Malad and Ekshr, ed è governata dalla Municipal Corporation of Greater Mumbai che controlla anche il sistema infrastrutturale di tutta Mumbai. Può essere utilizzato per indicare Mumbai e questa

4. “Vision Mumbai. Trasforming Mumbai into a world-class city by 2013” è un report a cura di Bombay First e Mc Kinsey & C. che ha svolto un ruolo importante nell’influenzare le scelte politiche sia a livello cittadino che a livello dello Stato centrale in relazione alle necessità immediate di rinnovamento urbano. Il governo del Maharashtra ha istituito un Empowered Commitee. Le raccomandazioni formulate in Vision Mumbai sono anche servite da una base utile per cercare un finanziamento di oltre 1 miliardo di dollari dal governo indiano per la trasformazione di Mumbai nell’ambito della Jawaharlal Nehru National Urban Renewal Mission.

5. Municipal Corporation of Greater Mumbai or the Brihanmumbai Municipal Corporation (BMC) è l’organismo civico che governa la città di Mumbai. E’ l’organismo comunale più ricco dell’India e il suo bilancio annuale è più alto di alcuni piccoli Stati d’India. Istituito nell’ambito del Bombay Municipal Corporation Act del 1888, è responsabile per le infrastrutture civili e l’amministrazione della città e di alcuni sobborghi di Mumbai.6. La Mumbai Metropolitan Area/Mumbai Metropolitan Region (MMR) è l’area metropolitana che consiste della metropoli di Mumbai e le sue città satellite. In via di sviluppo in un periodo di circa 20 anni, si compone di sette società comunali e quindici piccoli consigli comunali. L’intera zona è controllata dalla Mumbai Metropolitan Region Development Authority (MMRDA), un organismo di governo dello stato del Maharashtra responsabile dell’urbanistica, dello sviluppo, dei trasporti e delle abitazioni nella regione.

7. Il Bombay City Improvement Trust (CIT) venne creato il 9 dicembre 1898, in risposta ad un’epidemia di peste scoppiata nel 1896. La Municipal Corporation, attraverso un atto parlamentare, consegnò a questo ente tutti i terreni vacanti cittadini. Il CIT ha intrapreso una serie di misure sanitarie e per migliorare le condizioni di vita nella città quali l’allargamento di alcune strade nella parte centrale affollata della città. Una nuova strada di attraversamento est-ovest, la Princess Street, venne costruita per incanalare l’aria proveniente dalla costa verso le parti centrali residenziali. L’attraversamento nord-sud di Sydenham Road (oggi Mohammedali Road) venne anche costruito con questa finalità.Questo avviò anche l’ampliamento dell’area suburbana Dadar-Matunga-Wadala-Sion nel 1899 con il preciso proposito di alleggerire il congestionamento della parte meridionale. Completato nel 1900, venne regolato dalla nuova Mohammedali Road.

8. Nel corso degli ultimi decenni, in Asia, le CBO sono emerse in Asia come agenti chiave per lo sviluppo urbano. Famiglie e comunità povere queste per passare da una situazione di isolamento e impotenza ad una forza collettiva ed organizzata. Oltre a fornire un mezzo di scambio di idee e sostegno, le CBO hanno tentato di creare, per i redditi più bassi, canali di comunicazione con gli enti governativi locali e nazionali, impegnandosi in progetti di sviluppo in materia di housing, proprietà dei terreni, infrastrutture e mezzi di sussistenza.

9. Il Bandra-Kurla Complex (BKC) è un complesso commerciale costruito sui terreni circostanti alla Mahim creek, a poche centinaia di metri in linea d’aria da Dharavi. Il complesso è il primo di una serie di “centri di crescita”, creati per arrestare un’ulteriore concentrazione di uffici e attività commerciali nel sud di Mumbai. Attualmente, il BKC ospita una serie di edifici commerciali, compresa la IL & FS, Asian Heart Institute, Dow Chemicals, ICICI Bank, Bharat Diamond Bourse, Dhirubhai Ambani International School, American School of Bombay, Fortune500.

10. Istituito nel 1977, al di sotto del Housing Department Government of Maharashtra, integra le attività e le funzioni svolte da organi convenzionali per costituire un approccio coordinato ed esaustivo ai problemi dell’housing. Attualmente il MHADA coordina e controlla le attività di sette sezioni regionali a Mumbai, Konkan, Pune, Nashik, Nagpur, Amravati, Aurangabad e due sezioni speciali, il Mumbai Building Repairs and Reconstruction Board and Mumbai Slum Improvement Board.

11. E’ una delle principali ONG indiane che lavorano per l’edilizia abitativa e le questioni delle infrastrutture per i poveri urbani. Nel 1984, quando SPARC venne formato, iniziò a lavorare con i più vulnerabili e invisibili poveri di Mumbai, gli abitanti marciapiede. Dal 1986, SPARC ha lavorato in collaborazione con due organizzazioni, Slum Dwellers Federation e Mahila Milan. Insieme, essi sono noti come Alliance. Oggi, Alliance opera in circa 70 città indiane e ha reti in circa 20 paesi a livello internazionale.

12. E’ stata fondata a metà degli anni Settanta ed è un organizzazione nazionale dei gruppi dirigenti e della comunità che vivono negli insediamenti informali in tutta l’India. Il suo obiettivo principale è quello di mobilitare la popolazione urbana a venire insieme articolando le loro preoccupazioni e trovando soluzioni ai problemi che devono affrontare. Oggi NSDF lavora con circa mezzo milione di famiglie del paese.

13. E’ stata istituita il 15 dicembre 1995, per fungere da autorità di riferimento per la pianificazione e la riabilitazione delle aree degradate di Mumbai. Le responsabilità della SRA sono di indagine sulla situazione esistente in materia di aree degradate a Mumbai e la formulazione di programmi per la riabilitazione di aree degradate.

14. L’area dei mills è collocata nella parte centro meridionale di Mumbai, nel quartiere denominato Giranganon o “Village of Mills”. Questa ospitava un tempo le industrie impegnate nel fiorente settore manifatturiero del cotone. Oggi, a causa di una scarsa imposizione del governo centrale l’occasione di ripensare a queste aree come spazi a servizio di tutti i cittadini sembra essere andata perduta in favore di uno sviluppo incontrollato fatto di centri commerciali e settori residenziali e commerciali a portata solo delle classi più ricche della città.

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3. IV International Architecture Biennale_Rotterdam:

Coesistenza come sopravvivenza

IV International Architecture Biennale_Rotterdam

_The open city

_Designing coexistance: Squat

Lo studio di Dharavi attraverso un modello in sezione

_Densità e sviluppo demografico nel corso degli anni

_Il profilo sociale di Dharavi (rivedere capi-comunità)

_Attività economiche, impiego e produzione all’interno di Dharavi

_Utilizzo del suolo e analisi delle tipologie abitative

_Ecologia dello slum”

Considerazioni conclusive

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La partecipazione alla IV International Architecture

Biennale di Rotterdam rientra all’interno della

sezione Parallel Cases, una parte dell’esposizione

riservata alle università internazionali, per la

quale il Politecnico di Torino è stato selezionato

nel maggio del 2009.

La scelta di creare inoltre il gruppo di ricerca

HINDUSTRY, affiancato al Politecnico di Torino,

e costituito da studenti, docenti e ricercatori,

ha permesso di arricchire il lavoro con approcci

differenti e complementari.

Il tema di riflessione affrontato dalla Biennale è

quello dell’Open City, declinato attraverso cinque

differenti categorie: refuge, community, reciprocity,

squat e collective.

L’installazione presentata dal nostro gruppo,

denominata Coexistance as survival. Enhancing

informal synergies in the communities of Dharavi1,ha

tentato di riportare all’interno dell’esposizione

una lettura della realtà degli insediamenti

informali che si sganciasse dalla visione “esoticista”

dello slum letto semplicemente come luogo di

indifferenziata povertà e disperazione.

La categoria all’interno della quale questa si

inserisce è quella dello squat, l’occupazione

illegale dei terreni vacanti pubblici e privati.

3.1 IV International Architecture Biennale_Rotterdam

1. Il padiglione centrale della IV International Architecture Biennale di Rotterdam. Fonte: Francesco Strocchio

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3.1.1 The open city

La “città aperta”, secondo il punto di vista degli

organizzatori, è la transizione spaziale di una

società aperta e multiculturale in cui l’accesso

alle nuove tecnologie ed il mix culturale pone alla

figura dell’architetto nuove domande su quale

possa essere il futuro dello sviluppo urbano nelle

megalopoli internazionali.

La mostra intende riflettere sulle potenzialità di

un vasto spazio in cui la società attuale si può

sviluppare con trasparenza e tolleranza, senza

motivi di separazione fisici e mentali.

La situazione odierna delle megalopoli, non

sembra rispecchiare l’idea di democrazia ed

apertura auspicate nei decenni precedenti e

riscontrate in modelli di studio della città non

sempre sufficientemente approfonditi.

Le diverse identità sociali non convivono oggi in un

“caos multicolore”, ma piuttosto paiono rafforzarsi

modelli di convivenza tra comunità-ghetto che

accendono l’attenzione sulle particolarità e sulle

differenti identità. La città odierna sembra dunque

assumere più le sembianze di un patchwork

di identità, costituito di immagini e comunità

separate. In contrapposizione alla metafora della

“città aperta”, contaminata da culture differenti

mescolate tra loro e messe in relazione con

ogni parte del mondo grazie alle tecnologie,

emerge oggi l’importanza del singolare, della

riconoscibilità di ogni sua parte.

Questa condizione appare allo stesso tempo

come una minaccia ricca di problematiche e come

una possibile fonte di arricchimento culturale.

La minaccia si può leggere nei fenomeni di

segregazione sociale e spaziale che conducono

a comunità chiuse in se stesse, private della

possibilità di scambi culturali e di innovazione.

La ricchezza si rispecchia chiaramente nella

possibilità di interazione tra le differenti comunità,

tra le differenti parti della città aperta.

In megalopoli quali Istanbul, Jakarta, San Paolo e

Mumbai, in cui la pianificazione e l’assetto futuro e

presente della città sembra essere, più che altrove,

2. Locandina della Biennale di Rotterdam. Fonte: www.aibr.nl

3. Locandina della Biennale di Rotterdam, sezione: Parallel cases. Fonte: www.aibr.nl

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determinato strutture politiche complesse e non

trasparenti, le differenze sociali sono chiaramente

riflesse anche nello sviluppo urbano. In assenza

di una pianificazione pubblica forte la città si

sviluppa in modo autonomo e spesso informale.

Ogni parte della città, ogni classe sociale, ogni

comunità sviluppa la propria città: a fianco di

quartieri lussuosi, non necessariamente centrali

nella città, si sviluppano così le baraccopoli, gli

slum e le favelas.

Il suggerimento proposto dunque dai curatori

della mostra è quello che la città aperta non

vada intesa semplicemente come un insieme di

quartieri connessi da una fitta rete di strade in cui

sia possibile muoversi liberamente, un’attenta

distribuzione ed un indispensabile mescolamento

delle funzioni urbane. (Jane Jacobs in The dead

and the life of the Great American cities).

La città aperta può funzionare come un complesso

sistema in cui la vita cittadina può mescolarsi

ed abbracciarsi. Un complesso network di spazi

pubblici, fisici e virtuali, dove lo scambio di idee

e culture tra le persone possa effettivamente

prendere posto.

La città aperta presentata alla IV International

Architecture Biennale di Rotterdam non è dunque

un’utopia né una realtà chiaramente definita,

bensì una riflessione ed un bilancio tra “aperto” e

“chiuso”, tra integrazione e integrazione mancata,

tra controllo e “lasseiz faire” all’interno di alcune

delle megalopoli contemporanee.

4. L’installazione della sezione: Parallel cases. Le alcove delle 44 università internazionali partecipanti. Fonte: Francesco Strocchio

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3.1.2 Designing Coexistance: Squats

La sezione all’interno della quale è stata inserita

la nostra l’installazione è quella denominata

squats. In questa parte della mostra l’attenzione è

concentrata su quegli insediamenti informali che

negli ultimi cinquant’anni sono diventati parte

sempre più consistente di molte megalopoli

odierne creando un fenomeno di interesse a

livello internazionale.

La letteratura ha in realtà iniziato ad interessarsi in

maniera consistente al fenomeno solo negli ultimi

dieci anni producendo un boom esponenziale di

saggi ed analisi.

La realtà di Dharavi, uno dei più grandi slums di

tutta l’Asia, a Mumbai, si inserisce perfettamente

in questo contesto e costituisce un esempio

rilevante di “città informale”.

Dharavi, nata attorno a Koliwada, uno dei

villaggio di pescatori esistenti nell’area in cui si

è sviluppata Mumbai, è una parte di città che è

oggi divenuta centrale nelle dinamiche politiche,

economiche ed urbane della città. Il terreno su cui

sorge lo slum è in realtà un’area rimasta paludosa

per molti anni e bonificata informalmente dagli

abitanti stessi.

I flussi migratori nel corso degli anni hanno portato

ad uno sviluppo demografico impensabile nei

decenni precedenti e lo slum ospita oggi tra

500,000 e un 1,000,000 di abitanti.

Gli spazi abitativi all’interno di Dharavi sono per la

maggior parte auto-costruiti e solo alcuni palazzi

multipiano sono stati realizzati in seguito a

tentativi dell’amministrazione cittadina di avviare

piani di sviluppo e risanamento mai veramente

collegati in un progetto più ampio di città.

Il tema dell’occupazione del suolo libero

all’interno di un’area un tempo periferica e oggi

divenuta di centrale interesse per lo sviluppo

della città, pone oggi interrogativi complessi sulla

proprietà dei terreni su cui oggi sorge lo slum.

5.La hall d’ingresso Biennale di Rotterdam. Fonte: Francesco Strocchio

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L’installazione proposta per l’esibizione

comprende un modello in sezione di Dharavi,

sei differenti layer interpretativi esposti su una

tavola all’interno dello spazio espositivo riservato

al nostro gruppo di ricerca e su una tela, appesa

nello spazio centrale di accoglienza. Un pannello

riporta inoltre un breve testo esplicativo sul

significato della nostra installazione2.

Il modello, che occupa in realtà la maggior parte

dello spazio espositivo, diviene il vero metodo

di apprendimento interattivo. Nasce dalla scelta

di lavorare su una sezione spaziale chiara sin

dall’inizio del lavoro di ricerca. In scala 1:72,

questa ridisegna una superficie reale in pianta di

13 metri in profondità e di 130 metri in lunghezza,

ricreando così una stretta banda di spazio urbano

all’interno di Dharavi.

3.2 Lo studio delle dinamiche urbane di Dharavi attraverso un modello in sezione

Il costruito riportato nel modello non è ritrovabile

effettuando una sezione in una parte precisa

dello slum: è piuttosto un collage di differenti

tipologie abitative, delle diverse funzioni e dei

molteplici usi dello spazio che si riscontrano nel

tessuto abitativo.

La volontà di lavorare su un modello in sezione

così stretto nasce dalla consapevolezza della

ricchezza dell’area studiata. La densità estrema,

la povertà impressionante e il caos apparente

che emergono da una lettura superficiale di

Dharavi, nascondono in realtà la precisione dei

meccanismi che si sono consolidati e sviluppati

nel corso dei decenni. Questi hanno permesso a

Dharavi di continuare la sua esistenza muovendo

sul terreno paludoso della Mahim Bay3 un numero

sempre crescente di abitanti.

6. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”. Fonte: Francesco Strocchio

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Il modello di una sezione “immaginaria” dello

slum è stato utilizzato per mostrare come anche

la più piccola “fetta” del costruito all’interno di

Dharavi ospiti un numero impressionante di

attività e funzioni, inestricabilmente sovrapposti

e fortemente complementari.

La complessità e la ricchezza riscontrabili

all’interno di Dharavi, quella descritta dagli occhi

occidentali come indifferenziata povertà, stupisce

ed offre notevoli spunti di riflessione e permette di

gettare le basi per una comprensione necessaria

ed indispensabile nell’ottica di una qualsiasi

proposta per un intervento progettuale.

Spesso in modo informale, a volte anche

illegalmente, Dharavi è stata in grado di creare la

propria economia efficiente, una propria specifica

“ecologia”, una sorta di turbolenta ma organizzata

società. Il caos apparente è in realtà una complessa

ed efficientissima forma di organizzazione,

migliorata e perfezionata con il passare del

tempo, impossibile da comprendere dagli occhi

esterni. Questo è probabilmente il motivo per cui

ogni piano di sviluppo per quest’area ha sempre

preferito evitare il confronto con questa realtà,

trattando Dharavi come una tabula rasa su cui

la semplice possibilità di sviluppare la densità in

altezza era fornita come unica soluzione.

L’osservazione di questi meccanismi è impossibile

se non si trova un modo di guardare più in

profondità. Per il nostro gruppo di lavoro,

comprendere Dharavi è significato cercare di

acquisire gli occhi neutrali, abbandonando

l’inevitabile aspirazione all’affascinante sguardo

esoticista suscitata dagli incredibili “estremi” del

luogo.

La nostra analisi ha tentato di costruire quegli

occhi neutrali, in grado di indagare e di “svelare”

la logica nascosta dietro all’apparente caos dello

slum.

Una serie di “maschere” tematiche divengono

7-8-9. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: schema di montaggio e funzionamento, prospetto e pianta dell’installazione.

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il mezzo di lettura di una sezione diversamente

“muta”: potendo scorrere queste di fronte al

modello, si oscurano alcune parti di Dharavi

mettendo a fuoco specifiche attività, intersecati

meccanismi e affascinanti storie nascoste

nell’intensità del nucleo urbano.

Improvvisamente isolate, queste storie possono

essere osservate nella loro forza sinergica, se ne

può comprendere il significato e l’importanza

per la sopravvivenza di Dharavi e dei suoi

abitanti. La complessità del tutto emerge così

dalla comprensione delle singole azioni e dei

movimenti puntali, collegati gli uni agli altri come

in un inestricabile “castello di carte” in cui ogni

tassello è indispensabile perché Dharavi continui

a funzionare.

Questi tasselli sono per noi il punto di partenza

per qualsiasi ragionevole piano di sviluppo

urbano o risanamento.

Abbiamo individuato sei differenti chiavi di lettura,

che in realtà non restano mai completamente

separate e che si intrecciano ed integrano. Dalla

densità all’economia, dal profilo sociale all’utilizzo

del suolo, dall’ “ecologia” alla storia questi sei

layer interpretativi divengono un metodo

per riordinare e leggere lo slum volutamente

distaccato e ricercatamente neutro.

Va sottolineato che questo processo è avvenuto

soprattutto grazie all’utilizzo di riferimenti

indiretti: studi passati, libri, saggi ed analisi che nel

corso degli ultimi anni hanno tentato di descrivere

Dharavi sono infatti il punto di partenza di uno

studio “a distanza”.

10. Il modello dell’installazione senza le mascherine di lettura. Fonte: Francesco Strocchio

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3.2.1 Densità e sviluppo demografico negli anni

La densità abitativa, lo sviluppo demografico e la

densità del costruito sono in realtà difficilmente

rilevabili da statistiche e documentazioni

odierne.

La natura informale di Dharavi implica

l’impossibilità di ridurre l’analisi di queste a numeri

certi e verificabili. Le indagini demografiche e le

enumerazioni non possono leggere realmente il

numero di persone che entrano ed escono, vivono,

lavorano, affittano, subaffittano ed occupano lo

spazio costruito dentro Dharavi. E’ così che i dati

che abbiamo consultato ci consegnano numeri

completamente differenti relativamente alla

popolazione attualmente insediata.

Dharavi, che occupa una superficie di circa 223

ettari delimitata dalle stazioni ferroviarie di Sion,

Mahim e Matunga e dalle arterie a scorrimento

veloce Sion e Mahim Link -che collegano la parte

orientale e occidentale della città-, è oggi la casa

di un numero di persone che può variare dal

mezzo milione e al milione di persone.

Un censimento del 1986 della National Slum

Dwellers Federation (NSDF) contava 530.225

persone, di cui 106.045 proprietarie di un totale

di 80.518 strutture abitative. I numeri da allora

sono certamente cresciuti, anche se è difficile

stimarne l’entità.

Come è evidente nelle popolari immagini

aeree dei tetti contigui dello slum, Dharavi è un

ambiente estremamente denso. Il camminare

attraverso i chawl stretti dei differenti nagars,

affollati ad ogni ora del giorno, rende l’idea di

quanto alta sia la densità al suo interno.

Una recente indagine condotta dal Kamla Raheja

Vidyanidhi Institute of Architecture (KRVIA)4

ha stabilito che in un triangolo al centro di

Dharavi (nel nagar di Chamra Bazaar, un’area

che rappresenta circa un decimo della totalità

di Dharavi), la densità si alza sino a 336.643

persone per chilometro quadrato. Assumendo

una popolazione di 700.000 abitanti (un dato

verosimile e non certo azzardato) la densità

all’interno dello slum sarebbe di circa 315.000

abitanti per chilometro quadrato.

Questo significa trovarsi di fronte ad una parte di

città circa undici volte più densa di Mumbai nel

suo complesso, una delle città più densamente

popolate al mondo con 29,500 persone per

11. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura density.

densit y

resident ia l densit y :4 ,5 inhab/m2(18.000 inhab/acre)

average dwel l ing unitsur face: 32 ,18 m2

averange fami ly :4 ,66 persons Dharavi inhabitants

800.000(of f ic ia l ly 376.000)

s lum bui l tdensit y : 2 ,04 m2/m2

Dharavi sur face:216 ha (216.160.000 m2)

Land area ofDharavi i s 4 ,5% oftotal Mumbai area sanitar y fac i l i t ies :

1/6 fami l ies

demografy :1961: 102.8411971: 175.5231981: 169.3331991: 278.6362005: 321.0352007: 376.000tenements : 74 .045

10% out oftotal populat ion ofs lums inGreater Mumbail ives in Dharavi

open publ icground is of tentak en forpr ivate needsand squads

year

inh

ab

ita

nts

Page 60: tesi magistrale in Architettura

coe

xistance

as survival

5 9

densit y

resident ia l densit y :4 ,5 inhab/m2(18.000 inhab/acre)

average dwel l ing unitsur face: 32 ,18 m2

averange fami ly :4 ,66 persons Dharavi inhabitants

800.000(of f ic ia l ly 376.000)

s lum bui l tdensit y : 2 ,04 m2/m2

Dharavi sur face:216 ha (216.160.000 m2)

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1/6 fami l ies

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10% out oftotal populat ion ofs lums inGreater Mumbail ives in Dharavi

open publ icground is of tentak en forpr ivate needsand squads

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chilometro quadrato. Un’idea ancora più lampante

di quanto sia densa Dharavi si ha paragonando la

sua densità con quella giornaliera di Manhattan.

Quest’ultima è stimata in circa 50,000 persone

per chilometro quadrato: Dharavi ha una densità

circa 6 volte maggiore.

Il terreno su cui sorge lo slum costituisce circa

il 4,5% della superficie totale della Greater

Mumbai ed ospita al suo interno circa il 10% della

popolazione che vive in tutti gli slums cittadini

ed il 5,7% della popolazione totale di Mumbai.

Altre statistiche incontrate riportano una densità

all’interno di Dharavi pari a 143.200 persone

per chilometro quadrato (Census del 2001) e

di 279.000 abitanti per chilometro quadrato

(indagine della Society for Promotion of the Area

Resource Centers -SPARC- del 2006).

Facendo riferimento però sempre all’indagine

condotta dal KRIA alcuni dati interessanti

emergono su cosa significhi vivere in una parte

di città così densa: la famiglia media (anche se

la realtà della famiglia coinvolge solo una parte

della popolazione) è costituita da 4-5 persone

che vivono normalmente in una superficie di

appartamento pari a 32 metri quadri. 12. Uno dei vicoli di Dharavi. Fonte: Alberto Bottero

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coe

xist

ance

as

surv

ival

6 0

13. La densità raggiunta all’interno di Dharavi grazie ad abitazioni low-rise e agli edifici alti costruito grazie ai piani di risanamento. Fonte: RUM, p. 99

La densità del costruito, approssimatamente

calcolata attraverso i dati di cui siamo venuti in

possesso durante la nostra ricerca, dovrebbe

aggirarsi intorno ai 2 metri quadri per ogni metro

di superficie.

Se circa 57,000 famiglie vivono all’interno

di Dharavi (dato considerato dal Dharavi

Redevelopment Plan DRP nelle stime preliminari),

molto alto è anche il fenomeno dell’immigrazione

di persone singole dalle zone rurali. Questa forma

di immigrazione ha dato luogo al fenomeno

delle pongal houses che, come racconta Kalpana

Sharma in Rediscovering Dharavi5, sono luoghi

coperti di “rifugio”, in cui tra le trenta e le cento

persone, a seconda della dimensione della

struttura, possono alloggiare.

Un’indagine avviata nel 1986 ha identificato

l’esistenza di almeno 62 pongal houses all’interno

di Dharavi. Per un prezzo contenuto all’interno

di queste strutture le persone dispongono in

genere di un luogo chiuso e protetto in cui

collocare i propri materassi ed usufruire di due

pasti completi al giorno, uno a base di riso e l’altro

accompagnato dai chapati.

Inoltre, molte persone sono allocate in subaffitto

e non risultano residenti in Dharavi. Queste sono

generalmente persone arrivate più tardi nello

slum e che ancora non hanno avuto l’opportunità

di comprare una casa propria.

La possibilità di alloggiare in questi modi è solo

una delle infinite che Dharavi offre agli immigrati

che hanno necessità di risparmiare denaro

da inviare alle famiglie rimaste nelle regioni

d’origine.

Come documentano queste situazioni informali,

condurre una ricerca sui valori di densità esistenti

all’interno di Dharavi è realisticamente molto

difficile. La Slum Redevelopment Autority, che

Page 62: tesi magistrale in Architettura

coe

xistance

as survival

6 1

14. Una delle strade secondarie di Dharavi. Si noti la presenza degli sbalzi di ognuno dei secondi piani degli edifici nell’ottica di una massimizzazione dello spazio. Fonte: Alberto Bottero.

ha condotto le indagini in previsione del piano

di sviluppo di Mukesh Mehta, ha tenuto conto

solo delle persone alloggiate nei piani terra degli

edifici e regolarmente registrate, considerando

la popolazione di Dharavi pari appunto a 57,000

famiglie.

Questo dato, secondi molti esperti del settore

poco credibile, sarà rivisto in seguito a un indagine

commissionata alla fine del 2008 alla SPARC.

Il tema per descrivere al meglio la densità

all’interno di Dharavi resta comunque l’assoluta

assenza di spazio pubblico e di lotti liberi. Ogni

luogo ha in almeno una funzione assegnata ed

ogni pezzo di terra lasciato libero è occupato nel

giro di pochi giorni non sempre dal proprietario.

L’occupazione illegale del terreno vacante, sia

esso di proprietà privata o statale, è stato il motore

attraverso cui Dharavi si è sviluppata negli anni e

questo fattore risulta tuttora determinante nella

sua crescita.

Page 63: tesi magistrale in Architettura

coe

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ival

6 2

3.2.2 Utilizzo del suolo ed analisi delle tipologie

abitative

“Lavoro a domicilio, se si può permetterselo. Se poi

questo non è possibile, vivere sul posto di lavoro.

In entrambi i casi nessuno spazio può avere solo

una funzione, a meno che non sia lo spazio sacro.

Dei e spiriti bisogno di una certa privacy. “ 6

La frase riportata in uno dei post del blog

Airoots7 di Matias Echanove e Rahul Srivastava

è forse il modo più diretto e chiaro di descrivere

il fenomeno dell’utilizzo del suolo all’interno di

Dharavi. Ognuna delle costruzioni ha almeno un

doppio utilizzo. Vita e lavoro sono profondamente

intrecciati e gli spazi residenziali si mescolano

con quelli commerciali, industriali, manifatturieri

ed artigianali.

La tipologia residenziale pura è riscontrabile

quasi solamente all’interno degli edifici alti

costruiti durante gli anni Ottanta e Novanta come

tentativi di risanamento dello slum e che oggi

coprono circa l’8% del tessuto di Dharavi. Questi

sono principalmente disposti lungo il percorso

di 90 feet Road e di 60 feet Road ed emergono

come giganti dal tessuto caratteristico di due o

tre piani fuori terra del resto dello slum.

La tipologia residenziale pura sembra coprire,

facendo ancora riferimento alle statistiche

raccolte dal Kamla Raheja Vidyanidhi Institute of

Architecture, solo il 33% della restante parte: da

queste emerge anche che l’utilizzo puramente

residenziale è principalmente concentrato nei

nagar di New Transit Camp, Mukund Nagar e

Chamra Bazaar.

Gli spazi puramente destinati al commercio

costituiscono in realtà solo il 2.2% del tessuto

di Dharavi, ma questi salgono sino all’8.5% se

si considerano anche gli spazi utilizzati per il

commercio e la residenza allo stesso tempo.

Questi sono distribuiti lungo gli attraversamenti

principali come la Dharavi main road, in Koliwada,

dove l’economia è oggi divenuta principalmente

terziaria.

Un ragionamento analogo può in realtà essere

condotto anche per gli spazi relativi all’industria,

all’artigianato ed alla produzione manifatturiera.

Se i luoghi della produzione formalmente

riconosciuti costituiscono circa l’8.5% del costruito

e sono principalmente disposti all’interno di 13th

15. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura landuse.

commercia l + res identia l

res ident ia l+ manifac ture

res ident ia l+ manifac ture

res ident ia l+ manifac ture

commercia l+ res ident ia l

commercia l+ res ident ia l

manifac ture+ res ident ia l

manifac ture+ res ident ia l

Indu temple Chr ist ian church

organic c lusterKol iwada s lum

cour t yard c lusterKol iwada f ishmark et

l inear c lusterKol iwada main road

open “c luster ”Kol iwada open spacedatas re lat ive to the whole Dharavi

res ident ia l (SRA) : 163.000 m2 (7 ,55%)res ident ia l (SLUMS) : 711.630 m2 (32 ,95%)commercia l : 48 .000 m2 (2 ,22%)res ident ia l+Commercia l : 133.000 m2 (6 ,16%)industr ia l : 185.370 m2 (8 ,58%)res ident ia l+Industr ia l : 321.050 m2 (14 ,86%)commercia l+Industr ia l : 23 .000 m2 (1 ,06%)

roads: 300.000 m2 (13 ,89%) pr ivate Open: 120.086 m2 (5 .56%) cementer y : 33 .045 m2 (1 .53%) re l ig ious : 12 .095 m2 (0 .56%) open Space: 41 .036 m2 (1 .90%) amenit ies : 53 .996 m2 (2 .50%)

landuse

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xistance

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6 3

commercia l + res identia l

res ident ia l+ manifac ture

res ident ia l+ manifac ture

res ident ia l+ manifac ture

commercia l+ res ident ia l

commercia l+ res ident ia l

manifac ture+ res ident ia l

manifac ture+ res ident ia l

Indu temple Chr ist ian church

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res ident ia l (SRA) : 163.000 m2 (7 ,55%)res ident ia l (SLUMS) : 711.630 m2 (32 ,95%)commercia l : 48 .000 m2 (2 ,22%)res ident ia l+Commercia l : 133.000 m2 (6 ,16%)industr ia l : 185.370 m2 (8 ,58%)res ident ia l+Industr ia l : 321.050 m2 (14 ,86%)commercia l+Industr ia l : 23 .000 m2 (1 ,06%)

roads: 300.000 m2 (13 ,89%) pr ivate Open: 120.086 m2 (5 .56%) cementer y : 33 .045 m2 (1 .53%) re l ig ious : 12 .095 m2 (0 .56%) open Space: 41 .036 m2 (1 .90%) amenit ies : 53 .996 m2 (2 .50%)

landuse

Compound (sud-ovest di Dharavi), salgono al

22.5% se si considerano gli spazi misti industriale-

abitativo sviluppatisi soprattutto all’interno di

Social Nagar e di Kumbharwada (lato est di

Dharavi, lungo la linea ferroviaria centrale).

Interessanti sono inoltre i dati relativi agli spazi

urbani aperti, privati e pubblici, e agli spazi

riservati ad edifici istituzionali.

Gli spazi aperti coprono solamente il 7.5% della

superficie di Dharavi ed il dato risulta ancora più

sorprendente se si pensa che solo l’1,90% del

suolo non costruito di Dharavi è pubblico. Buona

parte dello spazio aperto è allocato nel nagar

di Parsi Chawl, a nord di Dharavi, e in Matunga

Labour Camp, nella parte sud ovest.

Il resto del tessuto urbano è in realtà molto denso e

gli spazi aperti sono rari ed emergono in occasione

del cortile di una scuola come all’interno di New

Transit Camp, in uno spazio comune a servizio del

villaggio di Koliwada o ancora in uno spazio per

l’essicamento delle ceramiche a Kumbharwada.

Un caso particolare è inoltre il cimitero, diviso

in una parte Indù ed una Musulmana, situato

tra New Transit Camp e Kumbharwada. Questo

costituisce l’1.5% del suolo di Dharavi e ha

anch’esso un utilizzo duplice. Camminargli a

fianco dà l’impressione di essere al lato di un

“polmone verde” dove i bambini si incontrano

per giocare a cricket.

Lo spazio relativo ai servizi copre appena il 2.5%

dell’area totale dello slum ed è quasi interamente

riservato al deposito degli autobus BEST, a nord

della stazione ferroviaria di Sion. Lo spazio

istituzionale si aggira intorno allo 0.7%, costituito

per la maggior parte dalla già citata scuola di Social

Nagar che ospita oggi più di 6000 studenti.

La dimensione religiosa costituisce all’interno

di Dharavi, come d’altronde nel resto dell’India,

ancora una parte importante della vita quotidiana

e le costruzioni sono uniformemente diffuse in

tutto lo slum. Passeggiando in mezzo a Dharavi

non è in realtà difficile incrociare un tempio

indù, una tettoia adattata a chiesa o una stanza a

piccola moschea.

Un’urbanizzazione “organica”, fitta e densa, è

attraversata da vicoli e stradine la cui ampiezza

arriva generalmente a poco più di un metro e

fiancheggiati da un’infinità di scalette a pioli che

conducono ai piani superiori. I cosiddetti chowk8

costituiscono la maggior parte del tessuto dello

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coe

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ance

as

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ival

6 4

slum e alcune tipologie abitative caratterizzanti

sono emerse occasionalmente in alcuni nagars

in risposta alle necessità poste dai processi

produttivi.

E’ questo è il caso di Kumbharwada in cui una

tipologia, che si può definire “a stecca”, è divenuta

caratterizzante e facilmente riconoscibile

per facilitare tutti i passaggi del processo di

produzione delle ceramiche.

Differente ancora è il caso di New Transit Camp

in cui il ricollocamento temporaneo di numerose

famiglie espropriate della propria casa per la

16. Glia attraversamenti all’interno di Dharavi, gli edifici dei piani di risanamento ed il tessuto denso dello slum. Fonte: RUM, p. 87

costruzione di 90 feet e 60 feet Roads ha portato

alla creazione di un tessuto a maglia ortogonale

fortemente riconoscibile nella mappa di Dharavi.

All’interno del tessuto di Dharavi, infine,

solamente il 13% dell’area è coperta da strade

e collegamenti e va considerato che questa

percentuale è stata raggiunta in seguito

agli interventi dei passati piani di sviluppo,

principalmente grazie alla costruzione di 90 feet

e 60 feet road prima e di Mahatma Ghandi road

successivamente.

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coe

xistance

as survival

6 5

17. Il tessuto dell’economia informale (industriale e commerciale), quello religioso. Fonte: RUM, p. 87

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as

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ival

6 6

2.2.3 Il profilo sociale di Dharavi

La maggior parte di Dharavi comprende luoghi

in cui vi è una miscela di indù, musulmani e altri

gruppi religiosi, e persone provenienti dal nord

o dal sud dell’India, anche se alcuni nagars sono

abitati prevalentemente da persone di origine

comune. Esistono zone franche interamente

Tamil, altre in cui si incontrano solo persone

dall’Uttar Pradesh e altre ancora dove solo i Kolis

vivono.

Come effettivamente riconoscono anche i suoi

abitanti, e come racconta Kalpana Sharma in

Rediscovering Dharavi, Dharavi è comunque uno

slum composto da persone provenienti da più

di cinquanta altri villaggi ed è letteralmente un

mini-India. Il Dharavi-mix, se così si può chiamare,

sottolinea un aspetto centrale del rapporto tra

questa parte di città e Mumbai nel suo complesso,

cioè quello dell’immigrazione.

Sino dall’inizio dell’Ottocento è stata la possibilità di

occupazione ad attirare i migranti dalle zone rurali

verso Bombay: dal Maharashtra, in particolare dal

Konkan, per lavorare nelle fabbriche tessili, si sono

rilevati i primi flussi migratori. Prima della metà

del XIX secolo il fenomeno dell’immigrazione era

già iniziato anche dal nord e dal sud dell’India al

fine di inserirsi nelle attività lavorative di comunità

impegnate in specifici mestieri.

A Dharavi, nonostante l’ambiente insalubre,

le persone sono migrate, nel corso degli anni,

poiché hanno avuto la possibilità di iniziare un

lavoro. Così, i migranti sono arrivati presto dal

Tamil Nadu e dall’Uttar Pradesh, prevalentemente

uomini che cercavano impiego nelle concerie

e i Kumbhars dal Gujarat, venuti ad a unirsi ai

vasai che già erano stati ricollocati in questo

limite nord della città. Le ondate successive

di immigrazione hanno portato persone che

lavoravano nell’industria dei prodotti in pelle e

nella produzione di indumenti.

Un sondaggio su Dharavi condotto nel 1986

(SPARC) ha rivelato che le popolazioni provenienti

dal Tamil Nadu costituivano un terzo della

popolazione, alla pari con persone provenienti

da Maharashtra. Altri stati rappresentati erano

Uttar Pradesh, Karnataka, Andhra Pradesh,

Gujarat, Kerala, Rajasthan e Bihar. Queste cifre

sarebbero modificate solo marginalmente negli

ultimi vent’anni, con un incremento di migranti

provenienti dal nord, specialmente dal Bihar,

ma non vi sono dati più recenti, per stabilire con

18. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura social.

householders tenants householders

fami ly l inks

fami ly l inks

fami ly l inks

family l inks

family l inks

fami ly l inks

tenants tenantshouseholders

datas re lat ive to the whole Dharavi

Dharavi is composed of over 85 Nagars (neighbourhood) , which are fur ther div ided into housing societ ies, chawl societ ies etc.

Households are 1/6 out of the total populat ionRental pr ice : 185 rps/month (4 $/month)

80% People work ing in Dharavi l ives in Dharavi

socia l

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xistance

as survival

6 7

householders tenants householders

fami ly l inks

fami ly l inks

fami ly l inks

family l inks

family l inks

fami ly l inks

tenants tenantshouseholders

datas re lat ive to the whole Dharavi

Dharavi is composed of over 85 Nagars (neighbourhood) , which are fur ther div ided into housing societ ies, chawl societ ies etc.

Households are 1/6 out of the total populat ionRental pr ice : 185 rps/month (4 $/month)

80% People work ing in Dharavi l ives in Dharavi

socia l

precisione quanto il profilo della popolazione sia

cambiato in questi anni.

Il profilo delle caste di Dharavi (nonostante

queste siano state ufficialmente abolite in seguito

all’indipendenza) è legato alla natura dei lavori

che si sono sviluppati all’interno dello slum. Va

sottolineato comunque che molti degli abitanti

di Dharavi appartengono ai dhalit, gli “intoccabili”,

fuggiti dai loro centri rurali per approdare in una

megalopoli in cui il giogo stretto delle caste

appare meno opprimente.

Così Dharavi è oggi costituita da 85 differenti

nagars a loro volta suddivisi in più piccole

comunità, nuclei familiari o produttivi allargati.

Dharavi può essere definita come un collage

di quartieri, ognuno con le proprie specificità,

dialetti, attività, feste e riti, ognuno con le proprie

aspirazioni, ognuno con una propria logica

organizzativa. Parlare dunque di Dharavi come

una realtà unica non è forse il modo più adatto di

leggere la complessità sociale del luogo.

Tra le molte comunità presenti, alcune di queste

meritano di essere citati brevemente in quanto

più storiche o più produttive, o semplicemente

più grandi e riconoscibili di altre. Molte di

queste ritornano anche successivamente nella

trattazione in quando nuclei fortemente identitari

ed utili per raccontare cosa sia Dharavi a chi lo

immagina come una semplice spazializzazione

della povertà.

I due nagars sicuramente più rappresentativi

sono Koliwada e Kumbharwada che insieme al

Matunga Labour Camp costituiscono anche i

primi insediamenti sviluppatisi.

- Koliwada è collocato sul limite nord-ovest, dove

termina la Dharavi main road. E’ in realtà il villaggio

di pescatori già esistente prima del rapido sviluppo

impresso alla città dal dominio inglese.

La sua economia, basata sulla pesca ancora fino

al 1964, è radicalmente cambiata negli ultimi

cinquant’anni, prima in favore della produzione

e del commercio di liquori, per poi stabilizzarsi

principalmente sui guadagni provenienti dagli

affitti e dalle attività commerciali lungo la Dharavi

Main Road.

La forte identità di questo nagar, retto ancora oggi

da un gaonpatil (capo-comunità), lo rende piuttosto

chiuso rispetto alle comunità circostanti.

La natura di piccolo villaggio che di fatto gli

appartiene è ancora leggibile nonostante

l’esplosione urbana di Dharavi.

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6 8

Matunga Labour Camp

13th Compound

Muslim Nagar

Kumbharwada

Koliwada

Social Nagar

New Transit Camp

Chambra Bazaar

- Kumbharwada è il nagar nato in seguito

all’allontanamento dei Kumbhars, una popolazione

proveniente dal Gujarat e dedita alla lavorazione

delle ceramiche, dal sud della città durante gli anni

Venti del Novecento.

Anche questa, come detto, è una tra le prime

comunità installatesi in Dharavi lungo il limite sud-

est, nei pressi della stazione di Matunga.

Il quartiere resta uno dei più affascinanti dell’intero

tessuto urbano di Dharavi: ampi spazi sono

dedicati all’essiccamento delle ceramiche, creando

improvvisi spazi aperti in cui sfociano i gli stretti

vicoli provenienti dal tessuto urbano. Analizzando

le mappe del costruito dall’alto è possibile notare la

caratteristica tipologia a stecca nata per ottimizzare

il processo di lavorazione della ceramica

Altri nagar caratterizzati da una forte identità e

riconoscibilità sono:

- 13th Compound, i cui proventi principali derivano

dal riciclaggio di rifiuti di Dharavi, ma anche di quelli

provenienti dall’intera Mumbai. E’ uno dei nagars

più insalubri a causa dell’attività svolta nella quasi

totalità delle abitazioni e della sua collocazione a

lato dei terreni paludosi del Mithi river;

- Social Nagar, attraversato dall’ampia Mahatma

Ghandi Road, sede della scuola più grande di

Dharavi, è divenuto il quartiere simbolo delle

opportunità e delle difficoltà di integrazione tra

musulmani ed Indù in seguito alle riots del 1992 che

hanno coinvolto l’intera Bombay.

19. Alcuni dei più caratterizzanti nagars di Dharavi citati nel testo. Fonte: www.favelization.com (ridisegnata)

Page 70: tesi magistrale in Architettura

coe

xistance

as survival

6 9

- Chamra Bazar, centrale nella sua collocazione,

è prevalentemente di religione musulmana ed è

la sede di piccoli laboratori per la lavorazione di

pelli e interiora di animali per la produzione di fili

chirurgici connessi a laboratori e centri di ricerca

internazionali, quali quelli della Johnson&Johnson;

20. Uno dei tempi indù costruiti all’interno di Chamra Bazaar. Foto: Francesco Strocchio

- New Transit Camp è uno dei nagar più accessibili

di tutta Dharavi grazie alla maglia ortogonale

di strade su cui è stato costruito. Le costruzioni

presenti al suo interno vennero edificate per

ospitare temporaneamente le persone sfollate per

la costruzione di 90 feet e 60 feet Roads alla fine

degli anni Settanta.

L’integrazione Religiosa

Dharavi resta oggi uno degli esempi di più

grande integrazione religiosa e culturale presenti

in tutta l’India. Attorno ad una popolazione

prevalentemente Indù tutte le confessioni religiose

trovano il loro spazio ed i loro luoghi di culto.

L’integrazione tra religione Indù e musulmana, in

particolare, stupisce per la sua tranquillità.

L’unico fenomeno di rilevante conflitto si è avuto

durante le Bombay Riots9 seguite alla distruzione

della Masjid Babri, tra il dicembre 1992 ed il gennaio

1993, in cui ufficialmente morirono oltre 900

persone in tutta Bombay.

Oggi, dopo un lungo lavoro delle associazioni

governative e non, le culture si sono in parte

ravvicinate e sono tornate a convivere anche se

ancora con maggior diffidenza rispetto al passato.

In eredità da quegli anni restano infatti alcune

barriere, più mentali che fisiche, come all’interno

di Social Nagar, uno dei luoghi dove la lotta è

stata più violenta, in cui oggi le comunità indù e

musulmane vivono ciascuna su un lato differente

della Mahatma Ghandi Road.

Page 71: tesi magistrale in Architettura

coe

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7 0

3.2.4 Attività economiche, impiego e produzione

all’interno di Dharavi

Come già accennato nelle pagine precedenti della

trattazione Dharavi deve il proprio sviluppo e

l’aumento della propria densità, fino alle estreme

condizioni attuali, soprattutto alla possibilità

di trovare lavoro e fonti di sostentamento al

suo interno. Attività commerciali e imprese

manifatturiere danno lavoro a una larga fetta della

popolazione e, secondo le stime più recenti, circa

l’85% della popolazione attiva ha un impiego. Di

questa, la maggior parte svolge le proprie attività

all’interno di Dharavi, mentre alcune persone

residenti nei quartieri circostanti trovano lavoro

proprio nelle attività informali dello slum.

E’ questa in realtà la principale differenza tra

Dharavi e gli altri slums di Mumbai: le persone che

decidono di vivere qui hanno facilità di accesso

nel mondo lavorativo e sono molte le storie di

persone che, dopo aver iniziato come semplici

lavoratori, sono poi divenute proprietarie di una

piccola attività. In questo senso Dharavi garantisce

anche un alto livello di mobilità sociale.

Le attività produttive comprendono le industrie

per il riciclaggio dei rifiuti, le concerie di cuoio,

la lavorazione dei metalli pesanti, la lavorazione

del legno e la finitura di prodotti quali indumenti,

scarpe, valigie e gioielli. Molto sviluppati sono

anche il settore alimentare in generale e quello

della ristorazione.

Le attività manifatturiere servono, in generale,

tutti i settori industriali di Mumbai e molti prodotti

sono distribuiti anche nei mercati internazionali.

La produttività di Dharavi è radicata in un processo

di produzione decentrata che si basa su una vasta

rete di piccole unità di produzione. Facendo

riferimento ad uno studio dell’ Ahmedabad’s

Center for Environmental Planning & Technology

(CEPT)10, si può dichiarare che all’interno di

Dharavi esistono circa 5,000 unità industriali e

manifatturiere che creano un fitto network di

produzione informale.

Questo dato, inoltre, non include i servizi come

la costruzione, l’istruzione e l’assistenza sanitaria,

né comprende il settore molto sviluppato del

commercio al dettaglio e la vasta gamma delle

attività produttive casalinghe minori che possono

essere trovate in Dharavi. Queste sono stimate in

oltre 15,000 unità manifatturiere, sviluppatesi in

ambienti costituiti da un’unica stanza. Ne deriva

che circa il 23% della popolazione impiegata

21. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura economy_activities.

baker y var iet y of

food i tems

plast ic process ing and rec ycl ing

tex t i le units(shoes, c lothings, bags. . . )

leather manufac tur ing

jewelr y manufac tur ing

smal lsca le retai lrestaurant

potter y manufac tur ing

KOLIWADA ONLY OPEN SPACE

MUMBAIMUMBAI(waste)

KOLIWADA MAIN

STREET

KOLIWADA FISHMARKET

economy_ac t iv i t iesdatas re lat ive to the whole Dharavi :

Approx. 15 .000 s ingle room manufactur ing Approx. 4 .902 industr ia l units

Year ly value of produced goods 300-800 mln USD

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xistance

as survival

7 1

baker y var iet y of

food i tems

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KOLIWADA ONLY OPEN SPACE

MUMBAIMUMBAI(waste)

KOLIWADA MAIN

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KOLIWADA FISHMARKET

economy_ac t iv i t iesdatas re lat ive to the whole Dharavi :

Approx. 15 .000 s ingle room manufactur ing Approx. 4 .902 industr ia l units

Year ly value of produced goods 300-800 mln USD

85 % i s employed23 % i s employed in smal l scale industr ies .12,6% i s se l f -employed

svolge le proprie mansioni all’interno dell’industria

manifatturiera “home-based”, mentre il 16% ha

sviluppato un’ attività produttiva in proprio.

Una stima conservativa datata 27/1/2005 e

pubblicata sul The Economist nell’articolo “Inside

Slums” pone il valore annuo delle merci prodotte

in Dharavi attorno ai 500 milioni di USD. Sebbene

vada sottolineato come questo dato non sia

facilmente verificabile attraverso dichiarazioni

contabili, esso è in grado di dare un’idea della

capacità di produrre ricchezza, impiego e beni di

cui l’intera città di Mumbai beneficia.

Sempre seguendo le statistiche fornite dal The

Economist il guadagno giornaliero supera solo

per pochi le 100 e 200 Rupie (2-4 USD). Seppur

questo possa apparire molto basso agli occhi

di chi non ha vissuto all’interno di Dharavi,

ognuno degli abitanti dello slum è orgoglioso

di sostenere che “nessuno qui muore di fame”

(Kalpana Sharma, Rediscovering Dharavi). Si è

sviluppato infatti un complesso sistema di affitti

in grado di provvedere case a prezzi accessibili

come nessun ente governativo e nessuna ONG

sarebbe in grado di fare in qualsiasi altra parte di

Mumbai.

Secondo i dati dello studio del CEPT la famiglia

media di Dharavi ha un introito economico di

circa 9,000 Rs mensili (195 USD) e può permettersi

un affitto di una stanza che varia dai 15 ai 30

metri quadri con circa 3,000 Rs mensili (64 USD).

Ne deriva che circa il 68% della popolazione

di Dharavi è in affitto, mentre il 32% possiede

almeno una proprietà all’interno dello slum.

L’industria tessile

Con oltre 1000 unità manifatturiere l’industria

tessile è probabilmente l’attività più fiorente a

Dharavi. La lavorazione tessile comprende tutti i

livelli di lavorazione ed i prodotti vengono venduti

a Dharavi ma soprattutto su scala internazionale

ed in particolare sul mercato di Dubai. La maggior

parte della lavorazione avviene nelle case private in

cui le donne cuciono indumenti e tessuti.

Molti degli impiegati in questo settore provengono

dall’Uttar Pradesh anche se il realtà l’industria tessile

è diffusa in tutto lo slum di Dharavi.

L’industria delle ceramiche

L’industria delle ceramiche è una delle più antiche

sviluppatesi all’interno dello slum. A differenza

della lavorazione del cuoio, la produzione di

ceramiche è tutt’oggi presente e questa caratterizza

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7 2

uno dei nagar storici di cui abbiamo già parlato.

Kumbharwada, nato in seguito al ricollocamento

di lavoratori del Gujarat dalle area più meridionali

di Mumbai, ha oggi assunto una forte identità,

mantenendo caratteri fortemente distintivi dal

resto del tessuto urbano. La già citata tipologia

“ a stecca” caratterizza il costruito e permette la

successione di ognuna delle fasi di produzione sino

all’essiccamento.

L’industria delle ceramiche non si ritrova

praticamente in nessun altra parte di Dharavi e

solo in Kumbharwada conta quasi mille laboratori

artigianali che danno impiego e sostegno

economico a circa duemila famiglie.

Il grande inquinamento causato dai forni per la

lavorazione dell’argilla resta forse il quesito più

difficile da affrontare per una produzione che,

comunque, è troppo radicata ed importante

per questa comunità per essere semplicemente

bloccata.

La lavorazione del cuoio

La produzione di cuoio è stata una delle prime

industrie ad insediarsi a Dharavi. Tutte le forme di

lavorazione della pelle e il trattamento di questa

sono realizzati dalla casta inferiore o da gruppi non-

indù. I conciatori musulmani di Dharavi migrati

dal Tamil Nadu a Bombay a metà dell’Ottocento

si stabilirono in quella che all’epoca era la periferia

di Bombay. Ben presto la città è cresciuta intorno

a loro e questi sono stati costretti a muoversi a

Dharavi. La prima conceria stabilitasi qui data

1887. Qui il terreno paludoso della baia di Mahim si

è rivelato il più adatto per la possibilità di utilizzare

grandi quantitativi di acqua e per la presenza del

mattatoio a quei tempi allocato in Bandra.

Dal momento che l’industria conciaria non ha

regolato l’emissione di sostanze inquinanti, queste

hanno provocato notevoli problemi alla fauna ittica

del Mithi River diminuendo le possibilità di pesca

della comunità di Koliwada.

22. Gli spazi per l’essicamento delle ceramiche a Kumbharwada. Fonte: Alberto Bottero.

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as survival

7 3

Nel 1980 le autorità hanno vietato ogni tipo

di concia all’interno Dharavi, spostando la

produzione al centro di Deonar, a nord della

regione di Mumbai. Le manifatture di Dharavi,

oggi, comprano pelli conciate e lavorate a

Deonar per produrre merci di tutti i tipi: grazie

a un vasto campionario di merci che va dalle

borse alle cinture, dalle giacche ai sandali ed alle

scarpe, nelle botteghe lungo la Sion Link-Road

si incontrano clienti provenienti da ogni parte

di Mumbai. La maggior parte delle imprese che

lavorano il cuoio a Dharavi sono formalmente

registrate ed alcune hanno anche attività sul

mercato globale. Anche se la società è formale,

la produzione e i meccanismi produttivi spesso

non lo sono. L’industria del cuoio offre comunque

lavoro a circa 20,000 persone.

Il riciclaggio di rifiuti

Come dichiara Naushad Khan, presidente degli

imprenditori Dharavi’s Welfare Association,

in una intervista datata 18/04/2008 alla BBC,

la maggior parte delle attività di riciclaggio

si concentra attorno alle materie plastiche. In

quantità minore, vengono anche riciclati carta e

cartone e pressoché ogni altro tipo di materiale.

Il settore del riciclaggio impegna circa 200,000

persone all’interno di Dharavi. Parte di queste

lavorano nella raccolta di materiale diretta nelle

strade di Mumbai, ma buona parte del materiale

deriva anche dalla raccolta domestica e dai rifiuti

raccolti dalle cameriere durante il loro servizio nei

vari edifici commerciali esterni a Dharavi.

La plastica, che si trova in tutte le sue forme,

comprese bottiglie, scatole e penne, viene

ordinata in base al colore e alla qualità.

Successivamente, viene frantumata e venduta

a un produttore di granuli. In ogni fabbrica i

granuli di plastica verranno poi lavati, asciugati,

fusi, spremuti in fili e poi tagliati in pellet.

Il nagar più coinvolto nel settore del riciclaggio è

quello di 13th Compound situato nella parte sud

dello slum dove molte delle abitazioni ospitano

sul tetto grandi quantità di borse di rifiuti, pronte ad

essere selezionati e riciclati.

Questo tipo di attività è senz’altro, insieme a

quella dei forni di Kumbharwada, una delle più

problematiche a livello ecologico per l’area.

Industrie per la stampa

Il settore della stampa è molto variegato all’interno

di Dharavi. Ogni tipo di stampa può essere effettuata

qui. Graphic designer, art directors, editors e

printers hanno clienti nazionali e internazionali.

Dalle tecniche di stampa storica alla serigrafia fino

alle stampanti digitali di ultima generazione, il

settore della stampa si sviluppa su varie scale: dai

piccoli laboratori attrezzati nelle case fino locali

più ampi. All’interno di Dharavi grandi imprese

commissionano stampe di manifesti di Bollywood e

annunci pubblicitari. Altre imprese associate, come

fornitori di carta e fustellatrici, sono nate in zona e

collaborano con questo settore.

23.Alcuni degli spazi coinvolti nel settore del riciclaggio all’interno di 13th Compound. Fonte: The Royal University College of Fine Arts, Dharavi. Documenting informalities, Falt and Hassler, 2008, Varnamo (Sweden), p.156

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2.2.5 Ecologia dello slum

Mutuando il termine utilizzato da Mike Davis

in Planets of Slums11, il tentativo è stato di

raggruppare in un unico layer, che potesse

essere rappresentato ed esplicitato sul modello

in mostra, ognuna delle tematiche relative all’

“ecologia degli slums”: rientrano all’interno di

questo capitolo le condizioni di vita intese come

rischi naturali ed idrogeologici che gravano sullo

slum, l’accesso ai servizi, alle infrastrutture e ai

trasporti.

I dati seguenti fanno riferimento, se non

diversamente indicato, agli studi, già altre volte

citati durante la trattazione, condotti da due

università indiane:

- Ahmedabad’s Center for Environmental Planning

& Technology (CEPT)

- Kamla Raheja Vidyanidhi Institute of Architecture

di Varanasi (KRIA)

Il riferimento agli standard legislativi è fatto

utilizzando l’Urban Development Plan Formulation

and Implementation (UDPFI) redatto dal Governo

Indiano nel 1996.

I rischi naturali ed idrogeologici

I rischi dovuti a problematiche naturali sono

principalmente connessi alla presenza del Mithi

River e alla palude di mangrovie che si trovano a

nord ovest dello slum.

La zona su cui sorge Dharavi, infatti, è un’area

storicamente paludosa, resa abitabile da una

lunga opera di “bonifica informale” condotta

dagli abitanti stessi di Dharavi.

Facendo riferimento ai dati reperibili attraverso il

sito internet della Municipal Corporation of Greater

Mumbai le zone soggette a maggior rischio di

inondazione sono l’area est, dove sorgono oggi

New Transit Camp e Social Nagar, insieme alle

aree di Matunga Labour Camp e Muslim Nagar.

Aree di drenaggio e decorso dell’acqua si trovano

inoltre nei nagar collocati tra quelli citati, come

Kumbharwada e Subhash nagar, ma anche in

aree più a nord quali il nagar di Parsi Chawl ed a

sud come 13th Compound.

Infrastrutture, accessibilità, trasporti

Dharavi è collocata in un’area che oggi è divenuta

centrale per il futuro di Mumbai. Lo spostamento

del baricentro della città, in seguito all’aumento

demografico, ha portato alla formazione di grandi

24. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura ecology.

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ecology

complessi direzionali di compagnie finanziarie

indiane ed internazionali nei quartieri di Dadar

e Bandra. In particolare il nuovo Bandra-Kurla

Complex, sorto a nord di Dharavi, al di là del Mithi

River, ha alzato notevolmente i valori fondiari dei

terreni sui cui nacque lo slum, producendo una

notevole pressione su di esso.

Il lotto di 223 ettari già ad oggi gode di un’ottima

comunicazione con il resto della città: tre stazioni

ferroviarie, Sion e Matunga sulla linea centrale

e Mahim sulla linea ovest, offrono la possibilità

di muoversi rapidamente verso ogni parte della

Greater Mumbai.

La presenza inoltre della Eastern Express Highway

che fiancheggia Dharavi sul suo lato est, unita

insieme con i raccordi di Mahim-Sion Linkroad

e di Sion-Bandra Linkroad, permette una buona

facilità di movimento anche con un mezzo

privato (compatibilmente con le problematiche

del traffico da cui è afflitta l’intera Mumbai).

Infine la costruzione della Bandra-Worli Linkroad,

il ponte che attraversa la baia di Mahim, ha

permesso di attraversare rapidamente i quartieri

a sud di Dharavi per muoversi verso la parte

storica della città.

I problemi di movimento per Dharavi si verificano

in realtà dal punto di vista dell’accessibilità

dall’esterno, della sua permeabilità e

dell’attraversamento.

Le strade, spesso molto strette, non permettono

l’ingresso dei mezzi pubblici e, dove questo

sarebbe possibile, come su 90 feet Road e sulla

Mahim-Sion Linkroad, la municipalità ha scelto

di non provvedere alcun servizio. Non ci sono

dunque linee di autobus che attraversano

Dharavi.

Ne deriva che oltre i 70% del movimento

all’interno di Dharavi avviene con auto private,

mentre il restante 30% è coperto da altri mezzi

di movimento (taxi e risciò principalmente). Le

parti centrali, che ospitano circa la metà della

popolazione dello slum, si trovano infatti a più

di due chilometri di distanza dalla prima fermata

dell’autobus.

Relativamente all’attraversamento interno, alcuni

problemi sono stati moderatamente risolti grazie

alla costruzione di tre strade più ampie disegnate

durante la fine degli anni Settanta e i primi anni

Ottanta: il tessuto ad estrema densità è oggi

attraversato da nord a sud dalla 90 feet road, dalla

Mahatma Ghandi Road. L’unico attraversamento

importante est-ovest è la Sulochana Shetty Road

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7 6

(60 feet road) collocata nella parte meridionale

dello slum.

La storica Dharavi Main Road, un tempo

attraversamento principale dello slum, è divenuta

oggi più una via principalmente commerciale.

L’accesso all’acqua potabile e all’elettricità

La municipalità fornisce sul territorio di Dharavi

un accesso alla linea elettrica che è di ventiquattro

ore giornaliere, mentre l’accesso all’acqua

potabile varia dalle 2 alle 4 ore giornaliere.

E’ difficile documentare in quante case arrivino

effettivamente acqua ed elettricità. La realtà

dello slum è fatta generalmente di allacciamenti

illegali alle reti di distribuzione pubblica. Così se

la statistiche parlano di un solo accesso all’acqua

(rubinetto) ogni 332 abitanti, dieci volte meno

di quelli previsti dai limiti di legge, è veritiero

credere che questi siano più di quelli dichiarati.

Ogni abitante di Dharavi consuma infatti una

media di 45 litri d’acqua giornalieri.

L’accesso ai servizi igienici è un tema

analogamente complesso: esistono bagni

pubblici, generalmente costruiti durante i piani di

risanamento. Le statistiche parlano solamente di

842 servizi igienici, uno ogni 660 abitanti, tredici

volte meno di quelli previsti per gli standard di

legge minimi. Anche in questo caso è realistico

credere che i bagni esistenti siano un numero

decisamente maggiore di quelli documentati.

L’accesso all’acqua potabile resta comunque

una delle problematiche maggiori all’interno

di Dharavi ed è anche una delle maggiori cause

della diffusione di malattie ed infezioni.

L’accesso alle strutture sanitarie ed agli istituti

educativi

L’unico ospedale di medie dimensioni presente

in Dharavi è il Dharavi Hospital, sulla Sulochana

Shetty Road, a sud. Un numero esiguo di studi

medici ed infermieristici privati è sorto comunque

all’interno di Dharavi.

Sion

Matunga

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25. Mappa schematica di Dharavi in cui vengono riportati gli attraversamenti principali interni ed i collegamenti con i quartieri esterni circostanti di Sion, Bandra e Mahim.Si noti la vicinanza con tre stazioni ferroviaria, lungo la linea centrale e quella ovest e la vicinanza della Eastern Express Highway sulla destra.

attraversamenti interni

collegamenti esterni

autostrada cittadina

linea ferroviaria

stazione ferroviaria

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7 7

26. Servizi igienici costruiti attraverso i piani di risanamento in New Transit Camp. Fonte: Alberto Bottero

Il Sion Hospital, situato lungo il limite est di

Dharavi resta la struttura di riferimento maggiore

per la popolazione. Le strutture sanitarie

occupano solamente 2,07 ettari determinando

gravi mancanze nei servizi sanitari offerti dalla

municipalità.

L’accesso alle strutture educative è anche

insufficiente: circa 6,000 bambini frequentano il

più grande istituto scolastico di Dharavi, allocato

in Social Nagar. Scuole e spazi educativi di ridotte

dimensioni sorgono anche all’interno di Koliwada,

Parsi Chowl e Chamra Bazar.

In totale all’interno di Dharavi esistono cinque

istituti di istruzione primaria, tre di istruzione

secondaria e un college. Anche in questo caso

la superficie coperta dalle strutture educativa

si avvicina solamente ai 2 ettari contro i 31

richiesti dagli standard minimi. Significa che lo

spazio educativo provveduto dalla municipalità

è circa venti volte inferiore agli standard minimi

richiesti.

Problematiche connesse all’inquinamento e

alla raccolta dei rifiuti

Le problematiche connesse al sistema di raccolta

dei rifiuti sono dovute principalmente alla

mancanza di punti di raccolta e alla difficoltà di

accesso dei mezzi pubblici.

La quantità di rifiuti pro-capite prodotta all’interno

di Mumbai e di Dharavi è pressoché uguale: per la

raccolta di questa all’interno dello slum vengono

in realtà utilizzati 42 mezzi pubblici e sono stati

identificati solamente 120 punti di raccolta, circa

4.5 volte meno di quelli previsti dagli standard

minimi.

Altre problematiche relative all’ecologia ed

all’inquinamento sono connesse alle particolari

attività industriali svolte all’interno di Dharavi.

Se sono ormai praticamente state rimosse tutte le

concerie per la lavorazione del cuoio che hanno

influito negativamente sull’ecosistema del Mithi

river, i fumi che fuoriescono ancora dai forni

dei laboratori di ceramiche di Kumbharwada

costituiscono oggi un problema per la salute

degli abitanti circostanti.

Anche la raccolta differenziata per il riciclaggio,

impostata prevalentemente in 13th Compound,

porta con sé problematiche connesse alle

condizioni sanitarie del luogo.

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7 9

Il lavoro presentato alla Biennale di Rotterdam

è stato caratterizzato da un approccio indiretto:

attraverso la lettura di libri, saggi, ricerche ed

articoli di giornale il tentativo è stato quello di

muoversi all’interno di un tema molto complesso

oggetto spesso di un’interpretazione unilaterale.

La parola slum ha descritto, per molti anni, un’area

fatiscente di città, caratterizzata da costruzioni

sotto il livello standard, squallore e mancanza

di infrastrutture e di sicurezza (UN-HABITAT)12,

raccogliendo molte aree urbane completamente

distinte e incomparabili sotto un’unica grande

categoria.

Alla luce di questo lavoro la parola slum sembra

però perdere il suo significato, sembra svuotarsi di

senso per la sua stessa volontà di generalizzazione.

Questa tende ad appiattire realtà completamente

differenti, rendendo impossibile ogni discorso

che tenti di comprendere più a fondo le ragioni

storiche e sociali di ognuno di questi “slums”.

E’ proprio la complessità a bloccare spesso il

lavoro di chi si trova per la prima volta a studiare

Dharavi. E’ più semplice considerarlo uno

“spazio della povertà, della disperazione e della

criminalità”, come farebbe forse Mike Davis, e

dimenticarsi degli aspetti sociali ed economici che

determinano il caos apparente di questa realtà. Il

caos che abbiamo incontrato attraverso la nostra

analisi è in realtà un ordine complesso, differente

da quello classico a cui siamo abituati studiando

le stratificazioni delle città storiche occidentali e

per questo in apparenza non comprensibile.

Questa stessa complessità che abbiamo tentato

di districare, attraverso un metodo di lettura

“volutamente neutro”, consente di guardare

a Dharavi con “occhi nuovi” e liberati dai

preconcetti che caratterizzano molti degli studi

3.3 Considerazioni conclusive

sulle aree urbane iper-degradate dei Paesi in via

di sviluppo.

L’analisi del contesto attraverso differenti layers

che intersecano ogni volta tematiche distinte ha

permesso di offrire una panoramica su quella che

è la condizione reale di Dharavi.

Il fatto che ci trovassimo a studiare un

insediamento informale ha reso difficile il

reperimento di dati e statistiche, di mappe e

di studi relativi al tema. La letteratura ha infatti

scritto molto negli anni in relazione al tema più

ampio della diffusione degli slums, ma sono

poche le ricerche scientifiche sullo slum di Dharavi

e soprattutto non è sempre semplice credere ai

dati cui ci si trova di fronte.

E’ infatti l’informalità stessa dell’insediamento a

determinare la difficoltà di leggerlo attraverso

i numeri delle statistiche. La riflessione, anche

alla luce dei capitoli successivi della trattazione,

è che per comprendere Dharavi sia necessario

attraversarlo e viverlo, anche se, come è successo

a noi, per un breve periodo di tempo. Il report qui

presentato ha comunque la qualità di mettere

in luce molte delle tematiche centrali e di aprire

nuovi orizzonti e prospettive utili per lo studio di

un qualsiasi piano di futuro sviluppo.

La scelta di inserire come ultima mascherina quella

sull’ecologia dello slum non è casuale: molte volte

questo è il primo (ed unico) aspetto attraverso

cui vengono analizzati gli slums, considerando il

numero della statistica (che determina le carenze

rispetto agli standards delle città formali) come

riferimento inattaccabile.

La nostra volontà era quella di porre l’attenzione

prima su altri aspetti ugualmente importanti

(sociali, economici, di integrazione...) che

determinano una nuova lettura di un contesto

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8 0

come Dharavi.

Alla luce di quest’analisi diventa difficile porsi

di fronte a Dharavi come ad una tabula rasa che

non offre occasioni di spunto per un lavoro di

progettazione. La determinazione, come unico

output possibile del lavoro di design, di un

masterplan costituito di edifici alti ed adeguati

a soddisfare determinati standards, non sembra

essere la soluzione migliore per conservare

l’identità di questo luogo e per permettere la

sopravvivenza delle persone che oggi lo abitano.

Dharavi è infatti una città che, con tutti i suoi

limiti e le sue mancanze, sembra poter funzionare

e sopravvivere, nonostante la mancanza di

interventi significativi per la costruzione delle

infrastrutture da parte dello stato.

E’ impossibile infatti negare la ricchezza della

società che si è venuta a creare all’interno del

contesto che abbiamo affrontato. E’ impossibile

pensare che questa possa essere cancellata

con un colpo di spugna in favore di un modello

occidentale di città.

Il ”caos organizzato” di Dharavi deve farci riflettere

su che cosa significhi leggere in profondità un

luogo di progetto, immergersi in una realtà per

comprenderne le istanze e le potenzialità.

Il modello urbano che si è stratificato e nel corso

degli anni in questa parte di Mumbai deve

dunque interrogarci circa la possibilità di pensare

a modelli nuovi, o semplicemente differenti da

quelli occidentali, di costruzione della città.

Note 3. IV International Architecture Biennale_Rotterdam: Coesistenza come sopravvivenza1. I Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino + Hindustry Urban Research Group; tutors: Michele Bonino, Pierre-Alain Croset, Subhash Mukerjee, Tomà Berlanda; studenti: Marco Boella, Alberto Bottero, Manuela Martorelli, Francesco Stassi, Francesco Strocchio.

2. Il materiale esposto all’interno dell’installazione è raccolto in Appendici V. Il materiale esposto alla IV International Rotterdam Biennale

3. Mahim Bay è una parte del Mar Arabico di fronte a Mumbai. All’estremità meridionale si situa il quartiere di Worli, all’estremità settentrionale vi è Bandra. La baia è stata nata dopo l’unione delle isole di Mahim e Salsette all’inizio del XIX secolo. Il fiume Mithi sfocia nella Mahim Creek che conduce alla Mahim Bay.

4. Il Kamla Raheja Vidyanidhi Institute for Architecture and Environmental Studies è stato istituito nel 1992 da Upanagar Mandal Shikshan con una borsa della Kamla Raheja Foundation. Un gruppo di professionisti e artisti furono coinvolti nell’ottica di una revisione delle modalità convenzionali di istruzione, di ricerca e di pratica in ambito architettonico. Il KRVIA è da sempre profondamente coinvolto in questioni urbane, diventando una sorta di laboratorio che coinvolge e interagisce con i cambiamenti della città. Attraverso la sua ricerca e suoi progetti di consulenza, ed entro i corsi di laurea curricolari ed extra-curriculari, il KRVIA ha fornito una piattaforma importante per il dibattito e la discussione. Tra il 2006-2007 ha condotto un design studio all’interno di Dharavi, i cui risultati, anche progettuali, sono raccolti nel documento Creating a New Masterplan for Dharavi.

5. Rediscovering Dharavi di Kalpana Sharma (2000) è divenuto in questi anni una delle fonti principali di informazione su Dharavi. Non tutti le persone che vivono all’interno dello slum vedono di buon occhio e sottoscrivono cosa riportato nella pubblicazione, ma questa resta comunque una base importante per il reperimento di alcuni dati chiave e per un primo approccio alla comprensione della realtà di Dharavi.

6. Il testo integrale da cui è tratto questo incipit è riportato nella sezione Appendici III. Learning from Dharavi ed è divenuto una sorta di manifesto attraverso il quale i membri fondanti di URBZ, Matias Echanove e Rahul Srivastava, propongono una lettura della realtà di Dharavi.

7. www.airoots.org è un blog curato da Matias Echanove e Rahul Srivastava in cui vengono riportate riflessioni su tematiche che vanno dall’ambito urbano a quello pedagogico.

8. Con chowk si intende in hindi “incrocio di strade o vicoli”

9. I disordini iniziarono dopo la demolizione della Babri Masjid nella città di Ayodhya il 6 dicembre 1992. Si crede comunemente che i disordini siano avvenuti in due fasi. La prima è stata principalmente una reazione musulmana in seguito alla demolizione della moschea. La seconda fase è stata una reazione indù a seguito degli omicidi dell’ Hindu Mathadi Kamgar in Dongri (una zona di South Bombay). Questa ha avuto luogo nel mese di gennaio 1993.Si ritiene che circa 650 musulmani e 200 indù siano morti negli scontri. Le aree di Jogeshwari, Pydhonie, Dongri, Agripada, Gamdevi, VP Road, Byculla, Bhoiwada, Nagpada, Kherwadi, Nehru Nagar, Dharavi, Ghatkopar, Kurla, Deonar, Trombay, Bandra e Vakola sono state le più colpite dai disordini.

10. E’ un istituto universitario con sede ad Ahmenabad che offre programmi post-laurea in materia di ambiente naturale e costruito e discipline connesse. Nel 2006 ha presentato uno studio su Dharavi (Strategies for Dharavi Redevelopment) ipotizzando tra l’altro tre possibili scenari futuri per il risanamento dello slum.

11. Planet of slums, di Mike Davis, pubblicato nel 2006, è divenuto immediatamente uno dei libri base di riflessione sulla tematica degli slums, sulle problematiche a queste connessi. Il capitolo a cui si fa riferimento è “Ecology of slums”

12. La definizione riportata compare all’interno del Millenium Development Goals report del 2007 a cura di UN-Habitat: “a slum is a run-down area of a city characterized by sub-standard housing and squalor and lacking in tenure security”

Page 82: tesi magistrale in Architettura

4. New Transit Camp Social Club: Temi e riflessioni di un

progetto informale

La cooperazione con le organizzazioni locali

Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE I

_Committenza e tema progettuale

_New Transit Camp e il lotto di progetto

_Finanziamento e proposta del metodo costruttivo

_Proposta progettuale I

Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE II

_ La complessificazione del programma

_Proposta progettuale II

Sistemi parete

Il sistema di copertura

Il piano terreno

Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE III

_Il coinvolgimento dei residenti: un’esperienza di partecipazione

_Dharavi cresce senza bisogno degli architetti: il cambiamento del programma

_Proposta progettuale III

_Prospettive future

Riflessioni per un progetto a Dharavi

_La tool-house come forma vincente di sviluppo urbano “dal basso”

_Il futuro di Dharavi: Tokyo come riferimento

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8 3

Il lavoro impostato dall’Italia per la partecipazione

alla Biennale di Rotterdam ha avuto il supporto di

due organizzazioni locali: URBZ e PUKAR.

Entrambe le collaborazioni, già avviate prima

del lavoro sull’installazione e riallacciate grazie

a questa occasione, sono state utili per il

reperimento di alcuni materiali per la preparazione

dell’installazione.

Durante il periodo di permanenza in India e nel

corso dello sviluppo del progetto, la collaborazione

con URBZ è divenuta più stretta e molto proficua,

fornendo un supporto continuo per l’integrazione

e la comprensione della realtà locale. A Mumbai

sono anche stati organizzati incontri con L’ Urban

Design Research Institute (UDRI) e con lo stesso

PUKAR. Questi sono divenuti uno strumento utile

per riflettere, anche attraverso una critica esterna

costituita da persone con un’alta conoscenza

della realtà locale, sulle possibilità e sugli sviluppi

futuri del progetto.

URBZ

I contatti iniziati tra il Politecnico di Torino e

l’organizzazione, in seguito alla partecipazione

di alcuni studenti al Urban Typhoon Workshop nel

marzo del 2008 a Koliwada, sono stati riallacciati

in occasione della partecipazione del Politecnico

4.1 La cooperazione con le organizzazioni locali

di Torino alla IV International Architecture Biennale

di Rotterdam.

La collaborazione con questa organizzazione

è stata la più continua ed è proseguita anche

dopo il ritorno in Italia, attraverso lo scambio di

suggerimenti ed idee per il completamento della

proposta progettuale.

URBZ è un’organizzazione attualmente molto

attiva sul territorio di Mumbai, impegnata

principalmente nel coinvolgimento delle

comunità locali nella formulazione di proposte

progettuali per la città, nell’ottica di un approccio

partecipativo. URBZ ritiene che la conoscenza più

profonda sulle città esista tra i suoi abitanti e nelle

sue comunità e che, per le persone che lavorano

nell’ambito della pianificazione urbana, questo

sia il miglior modo per aumentare la qualità e

l’impatto del proprio lavoro.

L’attività di URBZ comprende l’organizzazione

di workshops, progetti di ricerca, esercizi

pedagogici, l’utilizzo del proprio sito web come

strumento di informazione e altre iniziative

condotte con un approccio internazionale in

cooperazione con studenti, università e ricercatori

provenienti da ogni parte del mondo.

Il web-site è lo strumento principe attraverso il

quale l’organizzazione svolge la propria opera di

1. Il logo della home page di URBZ. Fonte: www.urbz.net

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ricerca e diffusione di materiale sulle principali

problematiche della città di Mumbai. Il sito è

una pagina web aperta, in cui ogni persona

interessata può aggiungere i propri materiali e le

proprie riflessioni per arricchire la conoscenza su

tematiche urbane centrali nello sviluppo odierno

della città.

La posizione di URBZ si pone anche come quella

di un piccolo studio di progettazione a servizio

della comunità in un’ottica paritaria, nel rispetto

dei coerenti meccanismi di mercato e non con

un approccio “caritatevole”. Ancora nessuno dei

progetti architettonici avviati da URBZ è stato

costruito. La possibilità in cui siamo stati coinvolti,

quella cioè di lavorare su un tema progettuale

reale, insieme ad una committenza reale ed a un

finanziatore esistente, ha permesso alla proposta

progettuale finale di acquisire spunti di riflessione

inusuali all’interno dell’ambito accademico.

La collaborazione con URBZ ci ha dato la possibilità

di comprendere le istanze locali attraverso un

meccanismo di inclusione nella vita comunitaria.

Inoltre, la possibilità di lavorare all’interno dello

studio di URBZ, costruito pochi mesi fa all’interno

di Dharavi in New Transit Camp, ci ha permesso di

immergerci nella realtà dello slum e di iniziare a

guardarlo con occhi diversi nonostante le poche

settimane a disposizione.

Grazie al confronto con Rahul Srivastava e Matias

Echanove, membri fondanti dell’organizzazione

e compagni di viaggio durante la nostra

permanenza, sono state raccolte nel capitolo

Riflessioni per un progetto a Dharavi alcuni spunti

su Dharavi, sulle sue comunità e sulle opportunità

per il suo futuro.

Anche se non direttamente riscontrabili in ognuna

delle linee tracciate per il progetto, queste sono

state utili chiavi di interpretazione del contesto e

importanti appigli teorici per il riposizionamento

del nostro modo di sviluppare il progetto.

2. Interno dello studio di URBZ a Dharavi. Fonte: Francesco Strocchio

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3. Il logo del PUKAR. Fonte: www.pukar.org

PUKAR

La collaborazione con PUKAR è stata importante

per il reperimento di alcuni dati su Dharavi, per la

consultazione di alcune pubblicazioni specifiche

e per il contributo in termini di alcune critiche

iniziali al progetto1.

PUKAR è un’organizzazione che tenta di arricchire

le riflessioni sui temi dell’urbanizzazione e della

globalizzazione utilizzando la città di Mumbai

come base concettuale per i propri progetti, studi

e ricerche.

Attraverso l’organizzazione di workshops,

incontri e seminari, PUKAR tende a creare uno

spazio di dibattito critico al fine di contribuire alla

creazione di nuove conoscenze in ambito urbano

e incoraggiando la massima partecipazione dei

cittadini di Mumbai in questo processo.

Pukar mira a democraticizzare l’ambito della

ricerca al fine di creare uno spazio dal quale la

conoscenza degli esperti e quella nata da forme

non tradizionali possano contribuire al dibattito

locale e globale, circa il futuro della città.

Urban Design Research Institute (UDRI)

E’ un forum che supporta l’interazione tra gli

architetti, i progettisti urbani e professionisti

provenienti da settori correlati, come l’economia

urbana, la sociologia, la pianificazione, la

conservazione e la storia.

L’associazione dell’UDRI è stata creata nel 1984 a

Mumbai e oggi è impegnata in alcuni progetti di

ricerca, studio e documentazione sulla città.

La collaborazione con l’UDRI è stata impostata in

due fasi.

In un primo incontro abbiamo avuto la possibilità

di accedere alle pubblicazioni dell’associazione ed

in particolare ai Mumbai Reader, testi in cui sono

contenuti articoli raccolti durante un anno solare

dalle pubblicazioni nazionali ed internazionali

che riflettono su alcuni temi centrali per il futuro

di Mumbai.

Nel corso di un secondo incontro è invece stato

possibile scambiare opinioni sull’impostazione

del progetto che avevamo iniziato a sviluppare a

Dharavi2.

4. Il logo dell’UDRI. Fonte: www.udri.org

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8 7

L’idea di poter progettare dentro Dharavi è

forse una delle scommesse più stimolanti ed

interessanti che potessero esserci proposte

dall’organizzazione con cui abbiamo collaborato.

Nel momento in cui siamo partiti dall’Italia

l’idea di dover sviluppare un masterplan che

comprendesse tutta l’area e che provasse a

ridisegnarla in maniera rispettosa e comprensiva

delle istanze locali appariva come una sfida

ardua ed utile, ma allo stesso tempo come una

proposta effimera che sarebbe sfociata in un

progetto accademico che, seppur interessante,

sarebbe comunque rimasto distante dalla realtà

delle dinamiche informali.

La possibilità di “sognare” uno sviluppo dello

slum che prevedesse il mantenimento del tessuto

locale era certamente uno dei principi guida

che ci eravamo posti come chiave di lettura del

contesto in seguito a quanto rilevato grazie al

lavoro di analisi di Rotterdam.

Il rischio era però quello che una nostra proposta,

disegnata da architetti occidentali in viaggio per

un mese in una terra semi-sconosciuta, non

incontrasse realmente le necessità locali e che

comunque fosse praticamente poco percorribile

agli occhi degli enti locali.

La proposta che ci è stata fatta da Matias Echanove

e Rahul Srivastava, i membri fondanti di URBZ, è

stato quindi qualcosa di differente: avremmo

avuto la possibilità di lavorare su un progetto

reale, con un committente ed un budget reali (e

ancora in parte da trovare), su un piccolo lotto

all’interno del nagar di New Transit Camp, lo

stesso nel quale sorgeva lo studio di URBZ ed in

cui, in questi mesi, sta nascendo la Dharavi School

of Urbanology.

Il porsi davanti ad un progetto di piccola scala,

4.2 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi

FASE I

drasticamente costretto e limitato dalle

condizioni esistenti, ci ha catapultati in un ottica

di lavoro completamente differente. Come spesso

accade in molti progetti di architettura, la difficoltà

di essere posti di fronte a problemi concreti, che

necessitano pertanto di output chiari e rapidi,

è divenuto per noi un vantaggio che ci ha tolti

dalla situazione di empasse, e forse non così

voluta, di proporre una nuova forma di sviluppo

per Dharavi (un approccio da pianificatori esterni

che in realtà non condividiamo).

Lo sviluppare idee progettuali semplici e low-

cost, tenendo conto dei ragionamenti che ci

portavamo dietro dal lavoro svolto nei mesi

passati, è divenuto un problema reale al quale era

necessario dare risposte rapidamente..

Progettare dentro Dharavi si è così rivelata

un’esperienza completamente differente rispetto

al trovarsi in una qualsiasi altra parte del mondo

(perlomeno se per mondo si intende quello

costruito formalmente).

L’essere all’interno di una parte di città in cui

praticamente nessuno degli edifici che ti

circondano è stato progettato su carta pone

interrogativi interessanti su quale debba essere il

ruolo dell’architetto all’interno di un processo di

costruzione qui sviluppato.

Fondamentalmente nessuna delle costruzioni

informali dello slum è stata mai progettata

da un architetto e gli abitanti stessi insieme

alle manovalanze locali conoscono meglio di

chiunque altro quali siano i materiali facilmente

reperibili, a basso costo e che possono portare ad

una migliore soluzione qualità-prezzo in tempi

rapidissimi. In pochi giorni vengono edificate e

rese abitabili costruzioni su ogni lotto di terreno

disponibile e tutto senza bisogno dei maledetti

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architetti.

Il nostro apporto, quindi, non poteva ignorare

la ricchezza di approcci nati dalla conoscenza

pratica del luogo e dei materiali, nè le condizioni

politiche ed economiche della realtà in cui ci

inserivamo, ma allo stesso tempo doveva provare

a dare risposta a problemi tuttora esistenti nel

costruito di Dharavi.

Il processo descritto all’interno di questo capitolo

è in realtà la parte ai nostri occhi più interessante,

più interessante anche dell’output progettuale in

sè. A quest’ultimo non verrà perciò dedicato un

capitolo a parte, ma sarà sostanzialmente posto

come conclusione del processo in cui siamo stati

coinvolti.

La difficoltà di muoversi all’interno di una

realtà informale così intricata, complessa ed

allo stesso tempo stimolante e propositiva, è

stato il meccanismo che ci ha portato all’output

progettuale. Questo è probabilmente criticabile a

livello formale e potrebbe forse essere stato risolto

in maniera più brillante nelle scelte costruttive,

ma è in realtà una delle infinite soluzioni che

l’architettura può proporre, non necessariamente

giuste o sbagliate a priori, ma figlie dei processi e

dell’ambiente in cui queste nascono.

Non c’è dubbio dunque sulla ricchezza che un

contesto come quello di Dharavi abbia aggiunto

al progetto in ogni sua fase. E’ stata questa nostra

costrizione, questo obbligo di rispettare la realtà

a produrre un progetto che sarà utile per la

costruzione di un edificio all’interno dello slum.

Restano inoltre almeno due altre eredità

importanti, come risultato di questo lavoro

accademico: da una parte la documentazione

di un processo informale che è diametralmente

opposto a quello per cui siamo stati preparati

in questi anni di studio, che non bada ai

regolamenti edilizi e che è profondamente

radicato nelle necessità della committenza in

senso allargato. Inoltre resta l’idea di un differente

approccio dell’architetto di fronte al tema della

riqualificazione degli slum.

Il nostro progetto è in realtà uno dei tasselli che

contribuiranno alla continuazione di quel Dharavi-

mix di cui parla Kalpana Sharma in Rediscovering

Dharavi. Ci consegna l’idea che anche all’interno

di Dharavi sia possibile fare architettura e che

non necessariamente questa debba rinunciare ai

principi che la muovono nella città formale.

Dharavi non è dunque una tabula rasa, ma

un luogo in cui l’approvvigionamento di

infrastrutture ad un livello comparabile con quello

del resto di Mumbai, potrebbe portare ad una

forma di sviluppo urbano dal basso fortemente

caratterizzante oltre a bloccare il meccanismo

perverso di sradicamento e ricollocamento degli

slums.

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4.2.1 Committenza e tema progettuale

Il lotto assegnatoci all’interno di Dharavi è un

piccolo terreno posto a poco più di 30 metri in

linea d’aria dallo studio di URBZ, nel nagar di New

Transit Camp, consegnato al nostro committente

in seguito ad un’eredità.

Paul Raphael oltre ad essere proprietario del

lotto è anche una persona con un ruolo rilevante

all’interno della comunità in quanto membro

fondante del movimento Communal Harmony

che, dopo le Mumbai riots del 1992-93, ha

cercato di riavvicinare indù e muslim all’interno

di Dharavi. E’ stato lui, inoltre, a conseguire

uno spazio all’interno dello slum per installare

la sede di URBZ. L’assegnazione dell’incarico

all’organizzazione di Matias Echanove e Rahul

Srivastava è avvenuta attraverso un normale

processo di mercato. La richiesta di Paul Raphael

è stata quella di aiutarlo nella progettazione di

uno spazio comune per persone anziane e per

ragazzi di strada. A Dharavi, infatti è consuetudine

destinare agli utilizzi comunitari i terreni ricevuti

in eredità da persone con cui non si abbiano

legami familiari stretti.

La prima richiesta è stata quella di costruire

qualcosa rapidamente per evitare che altri abitanti

dello slum occupassero il lotto per fini privati.

Questo è il primo punto chiave del processo. Nel

momento in cui siamo partiti dall’Italia il lotto

che ci era stato presentato era completamente

libero da costruzioni e solo occupato dalle rovine

delle costruzioni precedenti. Nel corso di una

settimana, mentre cioè abbiamo organizzato gli

ultimi preparativi per il viaggio e siamo arrivati in

India, a Dharavi il lotto era stato già occupato da

una costruzione già curata in molte sue finiture.

Ci siamo così trovati di fronte alla prima

complicazione di un progetto informale. In uno

spazio in cui ogni appezzamento di terreno ha un

valore estremamente elevato a causa dell’altissima

densità del costruito, la prima risposta data dal

nostro committente è stata quella di contattare

alcune maestranze locali per costruire un primo

fabbricato. Questa costruzione avrebbe protetto

il terreno dall’arrivo di altre persone.

La realtà informale non ha gli stessi tempi di

quella formale. Il fenomeno dell’occupazione del

terreno, nostro tema di riflessione all’interno della

IV International Architecture Biennale a Rotterdam,

era stato portato agli estremi proprio sul lotto in

cui noi ci apprestavamo a progettare.

Un’altra caratteristica propria della realtà

informale in cui ha luogo il progetto è stata la

difficoltà di incontrare Paul Raphael. Il suo ruolo

di persona di riferimento all’interno del nagar è

divenuto infatti un impedimento nel momento

delle elezioni3, svoltesi il 13 ottobre, e Paul ha

preferito allontanarsi da Dharavi per evitare il

crescere di tensioni attorno al lotto in un periodo

già caldo per motivi politici. La volontà di Paul di

utilizzare lo spazio per lo svolgimento di attività

comunitarie è stata infatti messa in dubbio da

alcune fazione politiche interne a New Transit

Camp e per noi è stato praticamente impossibile

avviare un processo di progettazione partecipata

nei tempi che avevamo a disposizione. Era infatti

impossibile parlare del nostro progetto alla

comunità locale poiché questo avrebbe creato

tensioni e preoccupazioni maggiori. Solo alcune

persone, quali attivisti sociali impegnati sul

luogo o persone appartenenti ad organizzazioni

quali PUKAR e UDRI, sono stati consultati durante

il periodo di permanenza. La comprensione

delle volontà del committente è avvenuta così

attraverso le discussioni con URBZ, unico ente in

contatto con Paul ed il primo vero committente

con cui ci siamo confrontati è stato in realtà

Freeman Murray, uno dei possibili finanziatori.

Il progetto di uno spazio per anziani e bambini

di strada doveva infatti essere in grado di attirare

investimenti esterni per la costruzione. Il tentativo

iniziale è stato anche quello di ipotizzare un

programma che permettesse il mantenimento

del complesso nel tempo grazie ai ricavi derivati

dagli affitti dei locali.

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9 0

4.2.2 New Transit Camp e Il lotto di progetto

Il sito di progetto è, come accennato, un piccolo

lotto all’interno del nagar di New Transit Camp,

una parte di Dharavi nata negli anni Settanta,

durante i piani di risanamento che prevedevano

la costruzione di 90 feet e 60 feet road. Alcune

persone vennero ricollocate temporaneamente in

questa zona, ma le costruzioni dei nagar divennero

permanenti durante gli anni successivi.

New Transit Camp è oggi una delle parti più

accessibili di Dharavi grazie alla maglia ortogonale

che semplifica le intricate dinamiche dello slum,

alla presenza di strade minori leggermente più

grandi di quelle che si incontrano normalmente

nel tessuto informale e grazie ad un ponte di

accesso che scavalca la linea ferroviaria centrale e

lo mette in diretta comunicazione con Sion.

Il nagar ospita oggi principalmente persone

appartenenti alla religione musulmana e a quella

indù, ma anche confessioni cristiane e buddiste.

La popolazione proveniente per la maggior parte

9. Il lotto all’interno del contesto di New Transit Camp

8. Collocazione di New Transit Camp all’interno di Dharavi. A= sito di progetto B=Mahatma Ghandi Road C=il ponte di acceso a Dharavi dal quartiere di Sion

New Transit Camp

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dal Karnataka, dal Tamil Nadu e dal Maharashtra.

Il lotto si trova su Mahatma Ghandi Road, strada

di attraversamento principale del nagar, anche

se l’affaccio su questa è limitato da una struttura

esistente che non rientra nella proprietà del lotto.

L’accesso dalla via principale è quindi delimitato

da uno spazio largo circa 3,5 metri è profondo 5,5

metri. Questo ambiente costituisce un filtro tra la

strada e il lotto, rendendone difficile l’utilizzo per

fini commerciali lungo la strada principale.

Dietro questo primo spazio il lotto si sviluppa con

forma pressoché rettangolare molto allungata per

una lunghezza di 21 metri, mentre la larghezza

varia tra i 7,5 m e gli 8,0 m. Il lato retrostante ha

un affaccio cieco mentre i lati lunghi si affacciano

su due vicoli che conducono a 90 feet Road.

Le costruzioni che sono nate in questa parte di

Dharavi sono generalmente in laterizio, con solai

misti e caratterizzate da una copertura in eternit

che, oltre alle problematiche relative alla salute,

causa un forte surriscaldamento dell’ultimo

piano degli edifici. Gli edifici costruiti all’interno

di Dharavi, inoltre, non sono quasi mai protetti

da chiusure trasparenti e gli spazi dedicati alle

finestre sono semplicemente chiusi da grate in

ferro per proteggere la proprietà.

Altro elemento caratteristico delle costruzioni di

Dharavi è il tentativo di ottimizzare la superficie

calpestabile interna attraverso alcuni escamotage

quali la sistemazione all’esterno delle scale e

la costruzione di sbalzi al di sopra dei vicoli in

ognuna delle case che li costeggia. Le prime

permettono infatti di non perdere spazio per

inserire un blocco ingombrante come quello

della distribuzione verticale, mentre lo sbalzo

permette di recuperare metri quadrati ai piani

superiori sovrapponendosi ai percorsi cittadini.

E’ così che muoversi all’interno delle vie minori

dei nagar significa trovarsi all’interno di piccoli

tunnel in cui entra a difficoltà la luce, fiancheggiati

da scalette verticali e protetti dall’alto dalle

8.9

m

12.3

m

7.8 m

1.35 m

1.78 m

1.58 m1.86 m

5.43

m

3.45 m

8.9 m

9.1 m

6.4 m

6.2 m

6.4 m9.

1 m e x i s t i n g b u i l d i n g

f r e e p l o t

f r e e p l o texisting building

al

le

y

al

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y

existing building : 59,6 mfree plot : 133,4 m

total area : 193 m10. La pianta del sito di progetto per il New Transit Camp Social Club

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costruzioni adiacenti.

Come accennato in precedenza, la decisione di

costruire uno spazio funzionale alle dinamiche

interne di Dharavi su una parte del lotto è stato

il primo modo per occupare un terreno, per

demarcarne la proprietà ed evitare che questo

venisse occupato per altri fini.

Ciò che appare comunque interessante è la

rapidità e la meccanicità con cui questo processo

è stato avviato. Liberato metà del terreno dalle

macerie della costruzione precedente, è stato

edificato un piccolo spazio nel corso di una

settimana e, durante i nostri primi giorni di

permanenza, sono state completate le finiture

dei pavimenti, delle finestre e la copertura.

Durante i colloqui con Matias e Rahul, ci è

stata proposta più volte la possibilità di non

mantenere il costruito in un’ipotesi progettuale

futura in quanto questo non era stato pensato

come permanente. Anche Paul, durante l’unico

incontro avuto con noi non è sembrato molto

interessato al mantenimento di questa.

12. La parte retrostante del lotto ancora libera da costruzioni. Foto: Alberto Bottero

11. Ingresso dalla piazzetta di fronte al sito di progetto lungo Mahatma Ghandi Road. Foto: Alberto Bottero

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14. L’interno della nuova costruzione sul lotto, durante i lavori di ultimazione delle finiture. Foto: Alberto Bottero

13. L’ingresso al sito di progetto e l’accesso alla nuova costruzione. Si noti il vicolo laterale di attraversamento al di fuori del lotto di progettazione. Foto: Alberto Bottero

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4.2.3 Finanziamento e proposta del metodo

costruttivo

La volontà di Paul Raphael di trovare un

finanziamento esterno ci ha incentivati a ricercare

persone che fossero interessate a sovvenzionare

un progetto all’interno di Dharavi.

L’impresa non si è rivelata così semplice e l’unica

risposta positiva è parsa arrivare da Freeman

Murray4, un ragazzo statunitense oggi residente

a Bangalore e impegnato nella diffusione e nella

pubblicizzazione di imprese sul web.

L’unica condizione posta da questi per finanziare

una parte del progetto è stata quella di dover

ipotizzare una struttura costruita in pallet racks.

Freeman Murray è infatti attratto dalla costruzione

di “spazi abitabili” con questo tipo di materiale,

rapidamente componibile e convenzionalmente

utilizzato per lo stoccaggio di merci.

L’esempio di partenza al quale abbiamo fatto

riferimento è il JAAGA Creative Ground5, costruito

alla fine dell’estate a Bangalore dallo stesso

Freeman Murray e oggetto di una nostra visita

durante il periodo di permanenza in India.

Questa struttura in pallet racks, assemblata in

una settimana, è oggi un piccolo spazio culturale

per la città, occupa un piccolo lotto in un’area

relativamente centrale ed è interamente rivestita

con teli di camion riciclati. Piccoli spazi di lavoro

(3*4m, 4*4m), sono ricavati all’interno di un’unica

grande scatola, alta 7 metri.

Il viaggio a Bangalore per visitare la struttura è

stata un’occasione di riflessione sulle possibilità di

impiego di questo materiale anche per il progetto

del New Transit Camp Social Club.

La prima mossa progettuale è avvenuta dunque

ancora prima che si ipotizzasse un’idea chiara

sulla forma dell’edificio ed è stata relativa al

15. Il Jaaga Creative Common Ground a Bangalore. Foto: Alberto Bottero

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1

2

3

4

5

1_base di sostegno2_spalla3_aggancio trave-spalla4_trave5_travetto

16. Schema di montaggio a secco della struttura prefabbricata in pallet racks.

sistema costruttivo da utilizzare.

Pallet racks

I pallet racks vengono comunemente utilizzati

per la scaffalatura dei bancali all’interno di

magazzini nell’ambito industriale. Esistono

moltissimi tipi di scaffalature normate a livello

internazionale e prodotte attraverso pezzi e

dimensioni standardizzati. Caratteristica comune

ad ognuno dei sistemi di pallet racks è comunque

la loro maggiore efficienza, dal punto di vista

economico e strutturale, con l’aumento della

densità di immagazzinamento.

Esistono due tipologie convenzionali di

scaffalature: i pallet racks ad incastro e quelli

strutturali.

I primi, quelli proposti da noi per la costruzione

del New Transit Camp Social Club, vengono

montati attraverso un sistema di bloccaggio clip-

in (ad aggancio) tra trave e spalla. Gli structural

pallet racks invece utilizzano bulloni per rafforzare

questa connessione. La parte seguente della

trattazione farà sempre riferimento ai pallet racks

dotati del sistema clip in.

Le spalle sono costituite da due montanti a C

laterali connessi da controventi, anche questi a C

orizzontali o inclinati a 45°.

La connessione ad incastro, attraverso

l’inserimento degli uncini delle travi scatolari

nei fori dei montanti a C, permette di costruire

una struttura molto flessibile e rapidamente

montabile/smontabile. Al di sopra delle travi

vengono appoggiati i travetti su cui si dispone la

pavimentazione.

La possibilità di montaggio a secco è una delle

qualità che permetterebbe di costruire a Dharavi

una struttura temporanea. Nel caso infatti venisse

attuato il Dharavi Redevelopment Plan questo

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17. Schema del montaggio manuale a secco della struttura in pallet racks.

sistema costruttivo permetterebbe di smontare

l’edificio e di costruirlo velocemente altrove.

Questo sistema permette inoltre la costruzione

di una struttura certificata e sicura, cosa non

convenzionale all’interno di un universo

informale.

Il trattamento superficiale di ognuno dei pezzi

che compongono i pallet racks è previsto

attraverso una zincatura e una verniciatura che

permettono di proteggere il materiale dall’acqua

e dalla corrosione atmosferica.

I costi di costruzione, previsti in questa fase

per la costruzione di una struttura portante

collaudata in pallet racks, sono molto variabili

in funzione dell’altezza e della compattezza

dell’edificio. Restano comunque in linea con i

costi di costruzione all’interno di Dharavi, se non

addirittura al di sotto di questi.

Le dimensioni standard attraverso le quali

abbiamo progettato, ipotizzando l’utilizzo dei

pezzi presenti sul mercato, sono:

- 7,62 m -300’’ altezza spalle

- 1,02 m - 40’’ distanza tra i due montanti verticali

delle spalle Le spalle possono essere disposte

a una distanza di un metro, lasciando libero il

passaggio tra queste

- 4,01 m - 158’’ lunghezza travi di collegamento.

Al di sopra delle travi i travetti possono essere:

- 1,02 m - 40’’ (nella campata dove viene

posizionata la spalla)

- 1,22 m - 48’’ (nella campata libera).

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18. Schema tridimensionale della struttura preventivata

IPOTESI COSTO STRUTTURA PALLET RACKS:

In generale, il preventivo utilizzato per stimare i

costi di costruzione della struttura in pallet racks

opportunamente trattata (zincata e verniciata) è

stata fatta con i seguenti prezzi reperiti:

- spalle altezza 7,62 m: 200 USD

- travi lunghezza 4,01m: 60 USD

- travetti 1,02 m/1,22 m: 7-10 USD

Nell’ipotesi di costo non vengono inseriti i costi

di montaggio (praticamente trascurabili) e

quelli relativi al trasporto. Il trasporto non viene

considerato poiché si ipotizza gratuito per un

acquisto di materiale superiore ai 5,000 USD.

Freeman Murray ha proposto un finanziamento tra

i 10,000 e i 15,000 USD per l’acquisto del materiale

strutturale. Se questo venisse utilizzato per

l’acquisto del materiale non sarebbe necessario

prevedere spese aggiuntive di trasporto.

Va sottolineato che il costo al metro quadro potrà

essere ulteriormente ridotto con l’aumento della

superficie calpestabile e l’utilizzo ottimizzato

delle spalle (in questo esempio sono ipotizzate le

spalle di bordo, ma ad ognuna si può appoggiare

un numero doppio di travi).

Considerando le finiture, in un mercato formale,

si potrebbe preventivare di raddoppiare i costi.

In realtà all’interno di Dharavi i costi di questa

parte del processo saranno drasticamente ridotti

grazie al coinvolgimento delle industrie informali

e all’utilizzo di materiali di recupero. Il processo di

coinvolgimento delle maestranze locali porterà

inoltre beneficio all’economia locale.

I dati relativi al preventivo sono riferiti ad un’azienda

produttrice di Delhi (ACME engineers)6.

Al fine di ottimizzare il processo, e anche in

un’ottica di una riduzione dei costi ambientali,

sarebbe opportuno acquistare il materiale da

un’azienda di Mumbai.

L’ipotesi di costo verificata insieme

all’organizzazione URBZ è sembrata essere

vantaggiosa rispetto agli standard consueti di

costruzione all’interno di Dharavi7.

totale metri quadri: 60 (+ 20 terrazza)

elementi costruttivi e rispettivi costi:

- 6 spalle 7,60 m: 1,200 USD

- 24 travi 4,00 m: 1,440 USD

- 60 travetti 1,00 m: 420 USD

- 24 travetti 1,20 m: 240 USD

totale: 3,300 USD

totale mq calcolati senza terrazze: 60 mq

costo al mq: 55 USD/mq

totale mq calcolati con terrazze pari alla metà

dell’area: 60 mq

costo al mq: 50 USD/mq

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9 8

4.3.4 Proposta progettuale I

La prima proposta progettuale nasce durante il

periodo di permanenza a Dharavi ed in seguito

ad i primi sopralluoghi sul sito accompagnati dai

collaboratori di URBZ.

E’ necessario sottolineare che durante questo

primo periodo progettuale è stato molto difficile

incontrare Paul Raphael, nostro committente, e

che quindi gli elaborati sono stati prodotti per

favorire il possibile finanziamento di Freeman

Murray. La scelta di utilizzare i pallet racks

coinvolge principalmente la torre, mentre per la

parte in sopraelevazione non è ancora ipotizzato

chiaramente un materiale. Le due possibilità

sarebbero una sopraelevazione in mattoni o una

struttura che appoggi direttamente sul terreno in

pallet racks.

In questa fase è stato previsto un sostanziale

rispetto del programma propostoci nel momento

in cui ancora non eravamo arrivati a Mumbai,

con la difficoltà aggiuntiva di confrontarsi con il

nuovo edificio esistente.

La scelta caratterizzante questa fase è stata

19. Il programma funzionale interno FASE I

quindi la volontà di mantenere la costruzione in

muratura costruita dal nostro committente.

Ipotizzando di valutare in seguito le possibilità

di utilizzo dei pallet racks per questa parte del

progetto, abbiamo previsto la sopraelevazione

dell’edificio esistente, prevedendo l’utilizzo

del piano terra per attività dedicate a persone

anziane e il primo piano per i bambini. Per

quest’ultimo, riprendendo l’inclinazione del tetto

della struttura esistente, si sono ipotizzati spazi di

gioco su differenti livelli.

Il patio ed una scala collocata al suo interno

fungono da zona di collegamento in aggiunta a

quella principale presente nella torre.

Emergono in questo passaggio tre temi importanti

per la definizione finale del progetto che saranno

presenti e riproposti nelle fasi successive come

capisaldi dell’idea progettuale:

- il tentativo di creare un landmark all’interno del

paesaggio di New Transit Camp,

- la volontà di costruire uno spazio aperto

privato,

- il mantenimento dei percorsi laterali adiacenti al

lotto di progetto.

watching terrace

terrace

FASE I

children

elderly people

openair patiofree plot

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20. Gli elementi caratterizzanti la prima fase del progetto

to 90 feet road

to Kumbharwada

Mahatma Ghandi road

landmark

terrace

patio

to 90 feet road

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La torre wireless

La costruzione di una torre, che funge da blocco

per la distribuzione verticale, diviene allo

stesso tempo l’occasione di creare un landmark

riconoscibile all’interno del nagar e offre la

possibilità installare un ripetitore wireless per

diffondere l’accesso a internet da Dharavi.

Nonostante possa sembrare paradossale internet

non è infatti uno strumento così distante dalla

realtà dello slum e viene utilizzato abitualmente

da molti residenti.

L’accesso a internet faciliterebbe allo stesso tempo

la diffusione del sito aperto dharavi.org8, nato nel

2008 in seguito all’Urban Typhoon Workshop, e

“contenitore” di storie, racconti, informazioni e

attività che riguardano la realtà di Dharavi.

L’idea è che la torre possa raggiungere un’altezza

di circa dieci metri, attraverso la sovrapposizione

di due spalle del sistema pallet racks e rivestite

con una griglia metallica.

22. Vista dello spazio terrazza al di sopra del Social Club

21.New Transit Camp Social Club: fronte lungo Mahatma Ghandi Road

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Lo spazio aperto privato

Il secondo tema importante, come detto, è la

costruzione di uno spazio aperto privato. In un

contesto come quello di Dharavi caratterizzato

da una densità del costruito estrema la scelta

di destinare una parte del suolo a spazio aperto

potrebbe in realtà apparire utopica. Questa

è consapevolmente ardua da attuare poiché

significa costruire un numero inferiore di metri

quadrati abitabili, compromesso difficilmente

accettabile a Dharavi.

Tuttavia ci è sembrato possibile insistere nel corso

del progetto sulla necessità di questo spazio che

è successivamente stata accettata dal nostro

committente. Da questo è nata la volontà di

prevedere due spazi aperti differenziati: uno più

piccolo a livello del piano di campagna, diviene

un patio aperto a servizio della struttura, mentre

al di sopra della costruzione è stato pensato uno

spazio terrazza più grande.

23. Vista dall’ufficio di URBZ della nuova torre landmark

Il mantenimento dei percorsi laterali

Un’ultima scelta importante nasce dalla volontà

di mantenere i due percorsi di attraversamento

paralleli al lotto che da Mahatma Ghandi Road

conducono a 90 feet Road, non rinunciando

comunque a parte della cubatura ricavabile su

questo spazio.

E’ questo il motivo per cui, sul lato nord, secondo

una prassi riscontrabile in tutti gli edifici di

Dharavi, è stata inserita una parte a sbalzo (in

pianta 1*9 m) al di sopra del percorso pedonale.

Questa scelta nasce da un’attenta osservazione

delle costruzioni di Dharavi, nell’ottica di

immergersi nelle dinamiche che hanno guidato

lo sviluppo dello slum.

L’idea di utilizzare una parte dell’ edificio a

sbalzo consente così di aumentare la superficie

calpestabile al primo ed al secondo piano della

nuova costruzione, oltre ad ingrandire lo spazio

terrazza previsto sulla copertura.

Page 103: tesi magistrale in Architettura

25. Piante interne della prima idea progettuale:a destra: planimetria con inserimento urbano in alto: pianta del piano terreno: spazio per persone anziane pianta del piano primo: spazio per bambini di strada

24. Sezione AA’: emerge la volontà di mantenere la struttura in muratura esistente e sopraelevarla, creando uno spazio con differenti livelli per i bambini.Si noti il mantenimento dei due vicoli laterali e lo sbalzo ipotizzato a nord al di sopra di questo per guadagnare cubatura, secondo una prassi tipica di Dharavi.

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1 0 3

4.3.1 La complessificazione del programma

La divisione del progetto in fasi coincide con la

presenza di variate condizioni sul sito, all’interno

di un processo di progettazione informale che si

è rilevato molto complesso.

In questo senso la determinazione di una

fase II è coincisa con il nostro ritorno in Italia e

con il ripensamento al programma interno.

La volontà di creare una struttura che potesse

essere organizzata, gestita e manutenuta da un

organizzazione no profit (con la collaborazione

di URBZ anche in una fase successiva alla

costruttiva), ha introdotto all’interno del progetto

ragionamenti di tipo economico.

La presenza di una persona, Freeman Murray,

che si era dimostrata molto interessata al

finanziamento a patto che questo comprendesse

la sperimentazione della tecnologia costruttiva dei

pallet racks ha mosso decisamente il nostro lavoro

e le nostre scelte ancorandole definitivamente a

questo metodo costruttivo. I ragionamenti mossi

in questa fase sono dunque tutti nella direzione

di una fattibilità economica e di una ricerca delle

possibilità tecnologiche di utilizzo dei pallet

racks. In quest’ottica è stato cambiato anche il

programma interno dell’edificio, in accordo con

Paul Raphael.

L’idea è che le funzioni pensate per lo spazio

interno potessero essere in qualche modo

remunerative e portare introiti economici il più

possibile costanti anche negli anni futuri.

Un aumento drastico dei metri quadri progettati

ha portato all’allocazione all’interno del lotto di

spazi commerciali. Seguendo inoltre le analisi e le

riflessioni portate avanti questi anni da URBZ si è

pensato di inserire all’interno del progetto anche

4.3 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi

FASE II

il sistema di una tool-house9. Questa tipologia

costituisce la maggior parte del tessuto edificato

di Dharavi, e sarebbe allo stesso tempo una

buona fonte di guadagno dal punto di vista degli

affitti comprendendo anche una parte destinata

alle abitazioni-laboratorio.

La volontà di costruire una tool-house prevede

inoltre di utilizzare un meccanismo collaudato

all’interno dello slum, ipotizzando spazi con una

destinazione d’uso mista e allo stesso tempo

facilmente negoziabili nel contesto in cui si

sviluppa il progetto. Richiamare la tool-house

all’interno del progetto ha inoltre un valore

concettuale importante: significa ipotizzare una

forma di incremento urbano diametralmente

opposta a quella del Dharavi Redevelopment Plan

e produrre un prototipo di housing che potrebbe

anche diffondersi come tipologia a basso costo in

altre parti dello slum. In questo senso riemerge

anche il valore economico dell’investimento

su questo progetto, aprendo nuove strade

ad un ampio utilizzo di questa metodologia

costruttiva. Infine, un ultimo spazio comune per

la celebrazione delle cerimonie, di incontri e di

momenti di vita comunitari è stato aggiunto a

quelli previsti per le persone anziane e i bambini.

Questo spazio sarebbe inoltre importante per

garantire un’ulteriore possibilità di guadagno

economico attraverso l’affitto.

Rimane la volontà di costruire una torre

landmark, con la possibilità che questa fornisca

la connessione wireless ad un’ampia parte

di Dharavi e dalla cui terrazza panoramica il

crescente numero di turisti accorsi negli ultimi

anni all’interno dello slum possa avere una visione

complessiva del costruito dello slum.

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watching terrace

housing

commercial retail

wedding/meeting hall

children

elderly people

openair patio

inner atrium

ground elevation

FASE II

4.3.2 Proposta progettuale II

I disegni e le tavole relativi alla fase II sono inseriti

in allegato e sono quelli relativi alla fase di progetto

più approfondita che ha determinato la maggior

parte delle scelte tecnologiche sull’edificio. Queste

sono applicabili anche alle fasi future ipotizzate nel

caso di un nuovo cambiamento del programma e

delle condizioni in situ.

Questa seconda fase di progetto è stata

caratterizzata, come descritto, da un ampio

cambio del programma previsto e da un

determinante aumento della cubatura proposta.

La scelta, dettata principalmente dalla volontà

di convincere Freeman Murray a finanziare un

progetto costruito interamente in pallet racks,

è stata quella di muoversi in direzione di una

demolizione della preesistenza costruita poche

settimane prima sul lotto.

Infatti, l’impossibilità costruttiva di intervenire con

una sopraelevazione della struttura esistente con

questo materiale, ha portato il gruppo di progetto

ad ipotizzare un intervento che prevedesse la

26. Il programma funzionale interno FASE II

demolizione del fabbricato inizialmente costruito

per “proteggere” il lotto. Il mantenimento di

questo non sarebbe infatti stato possibile se si

fosse scelto di costruire il resto della struttura

in pallet racks. Le misure standard infatti non si

inserivano all’interno del volume precedente e

sarebbe stato necessario demolire buone parti

della muratura perimetrale.

Il programma implementato ha trovato luogo

in una struttura costituita essenzialmente da tre

parti.

Un primo fabbricato a tre piani fuori terra ospita

al piano terreno uno spazio dedicato alle persone

anziane (72 mq), al primo piano un ambiente per

i bambini (76 mq) ed al secondo piano una stanza

per la celebrazione delle cerimonie (76 mq).

Ognuno di questi spazi è stato pensato come

un open space, caratterizzato da movimenti in

altezza del piano di calpestio grazie alla possibilità

delle travi ad agganciarsi a differenti altezze delle

spalle.

Il secondo volume, distanziato di quattro metri

da quello precedente in direzione perpendicolare

alla Mahatma Ghandi Road permette di utilizzare

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27. Temi progettuali della seconda fase di progetto

to 90 feet road

to Kumbharwada

Mahatma Ghandi road

landmark

terrace

internal patioroof ventilation

tool house

to 90 feet road

patio

pvc sheet

polycarbonate movable panels

metal grid

pvc sheet

ground �oor elevation

pvc movable wall

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28. Schema prospettico del progetto della fase II

il lotto nella sua interezza. Gli ambienti al piano

terra sono stati pensati come possibili spazi

commerciali, mentre quelli presenti ai piani

superiori divengono spazi abitativi affittabili.

Questo volume ha in pianta un’area di 6*4 m,

completamente calpestabile, mentre ai piani

superiori, grazie ad uno sbalzo di un metro a

nord, ha un’area calpestabile di 28 mq. Queste

dimensioni sono comparabili (e leggermente

superiori) alle dimensioni proposte per gli alloggi

forniti attraverso i differenti piani di risanamento.

Lo spazio all’interno degli alloggi è facilmente

divisibile in relazione agli usi e alle necessità della

famiglia. Il sistema di tool-house così costituito

rende il fabbricato decisamente appetibile sul

mercato, poiché simile alle tipologie normalmente

adottate a Dharavi.

Il terzo spazio ricavato tra questi due volumi è il

Mahatma Ghandi Road

wireless tower

Paul’s plot

tool house

open air terracechildren playgroundelderly people open air patio

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Mahatma Ghandi Road

wireless tower

Paul’s plot

tool house

open air terracechildren playgroundelderly people open air patio

patio esterno, leggermente spostato rispetto alla

sua posizione precedente, che ospita all’interno

anche un secondo blocco scale per l’accesso al

Social Club e alla tool-house.

Rimane inoltre all’interno del progetto l’idea della

torre wireless con terrazza panoramica (di 15 m di

altezza) lungo Mahatma Ghandi Road, all’interno

della quale è ospitato il vano scale principale.

Ognuna delle coperture dei differenti blocchi

dell’edificio è prevista come calpestabile e a

riguardo sono state ipotizzate tre soluzioni

differenti e complementari (tetto verde, doppio

tetto con vano per la circolazione dell’aria e

sistema di raccolta delle acque piovane)10.

Come nella fase I è stata preservata l’idea di

mantenere i due vicoli laterali adiacenti al lotto

che consentono un attraversamento verso 90

feet Road. In questa fase non è stata prevista la

disposizione dei sanitari, anche se in realtà è stata

ipotizzata la possibilità di utilizzare bagni chimici.

E’ stato approfondito lo studio dei dettagli

tecnologici relativi alle possibilità di rivestimento

utilizzabili per la struttura in pallet in racks.

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30. Vista aerea del complesso del Social Club. La torre emerge dal resto del costruito di Dharavi e permette una vista generale sull’insediamento informale.

29. La spazialità interna del Social club

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33. Vista complessiva del Social club e della tool-house.

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32. Vista dell’ingresso principale lungo Mahatma Ghandi Road dalla piccola piazzetta di fronte al lotto.

33. La terrazza del Social club con la vista sul nagar di New Transit Camp

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34. Il recupero dei teli in PVC dai cassoni dei camion e dalle insegne stradali.

I sistemi parete

Lo studio dei sistemi di parete ha comportato lo

studio di soluzioni tecnologiche nell’ottica di una

fattibilità economica e costruttiva reale all’interno

del contesto di Dharavi.

I principi che hanno guidato il disegno delle

pareti sono dunque stati:

- semplicità costruttiva

- modularità dei componenti

- smontabilità della struttura

- contenimento dei costi

- possibilità di reperire i materiali in sito

- volontà di utilizzare, almeno in parte, materiali

riciclati

- attinenza alle condizioni climatiche del sito.

Le proposte comprendono al loro interno, quindi,

la scelta di utilizzare il pvc utilizzato per rivestire

i cassoni dei camion e quello per le insegne

stradali11.

Ipotizzando di recuperare la maggior parte

del rivestimento da questo materiale riciclato,

reperibile a bassissimo costo, si preventiva un

notevole abbattimento dei costi per la costruzione

delle pareti.

L’utilizzo di questo materiale, generalmente

abbondantemente disegnato e pubblicizzato

potrebbe eventualmente attrarre alcune industrie

interessate anche al finanziamento di una parte

dell’edificio.

Inoltre il collage creato dalla differenza dei disegni

della tela movimenta la facciata diventando

motivo decorativo interessante e caratterizzante.

Sono così stati proposti differenti sistemi di parete

in riferimento al Social Club, tendenzialmente

tesi a creare uno spazio che potesse essere

sempre aperto, ma chiudibile durante le piogge

nel periodo monsonico, e per la tool-house,

per cui sono stati studiati dei pannelli rigidi e

semitrasparenti, anche questi apribili.

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external pvc sheetpallet racks uprights

wooden panels

railing

double layered roof

35. Pareti laterali del Social Club: “stratigrafia” dei “muri” apribili sulla campata di 4,00 m tra le spalle

La parete apribile del Social Club12

All’interno del Social Club è stata prevista una parete apribile che offre la possibilità di lasciare aperta

la struttura per la maggior parte del tempo, evitando i problemi di surriscaldamento caratteristici della

maggior parte delle abitazioni di Dharavi.

Le pareti laterali rinunciano così alla ricerca della solidità, mantenendo comunque tutte le caratteristiche

necessarie per lo svolgimento delle attività all’interno.

Partendo dall’interno:

- una ringhiera è ancorata alle spalle dei pallet racks, ( due profili a C imbullonati e una trave del sistema

pallet racks utilizzata come corrimano);

- pannelli in legno opportunamente trattati e resi impermeabili (eventualmente rivestiti con la tela in PVC)

sono ancorati alle spalle sovrapponendosi alla ringhiera, impedendo il passaggio dell’acqua nelle fessure

tra i teli;

- un sistema di guide superiori ed inferiori permette l’apertura della tela in PVC ad esse ancorata.

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36. Il montaggio ed il funzionamento del sistema a tenda delle pareti apribili

Il tipo di parete così studiata consente di fornire al Social Club un rivestimento che verrà chiuso durante

le piogge del periodo monsonico ma che permetterà di vedere quello che succede all’interno durante i

periodi non piovosi. Questo garantisce alla struttura la qualità della trasparenza, importante per un luogo

pubblico comune in cui si incontrano soprattutto i bambini.

L’idea è quella di stampare, sulla parte interna della tela in PVC immagini delle persone di Dharavi e del

nagar di New Transit Camp, cioè i fruitori stessi dell’intervento.

L’utilizzo di questo meccanismo low-tech garantisce anche un rapido montaggio ed una facile

smontabilità.

steel hanging bar with rings

steel hanging bar with rings

wooden panel

wooden slabs

pallet rack beam

pallet rack upright

railing

PVC openable sheet

C steel pro�le

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37. Pareti laterali del Social Club e tool-house: “stratigrafia” della parete fissa sul lato delle spalle

La parete fissa del Social Club e della tool-house13

Relativamente al lato chiuso dalle spalle dei pallet racks, sia per il Social Club che per la tool-house, è stato

pensato un sistema di parete fisso composto da diversi strati.

All’esterno una tela PVC il più possibile continua e grazie alle cuciture tra i teli di partenza rende

impermeabile la struttura e “dialoga” con le pareti mobili ipotizzate per il Social Club. All’interno i pannelli in

legno contribuiscono a creare una parete solida utile, soprattutto all’interno della tool house, come punto

di appoggio per l’arredamento e per ricreare le caratteristiche delle pareti convenzionali. L’intercapedine

presente tra telo e pannello potrebbe inoltre essere utilizzata per il passaggio degli eventuali impianti.

Pannelli aggiuntivi con cerniere possono essere facilmente aggiunti in occasione di porte ed ingressi.

Anche questo sistema di parete è modulare e può essere prodotto a bassissimo costo, praticamente

assimilabile a quello di acquisto dei pannelli in legno.

external pvc sheet

pallet racks uprights

internal �oors

wooden panels

double layered roof

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38. Pareti laterali del Social Club e tool-house: schema di montaggio

vista esterna

upper �oor

wooden panel

wooden slabs

pallet rack beam

pallet rack upright

railing

PVC sheet

PVC sheet hanging rope

pierced L steel pro�le

All’esterno delle spalle è applicato un telo in pvc di recupero che viene agganciato alla copertura. Il telo che

scende lungo tutta la parete verticale sarà inoltre fissato ai montanti creando solidarietà nella struttura.

Il meccanismo di montaggio è costituito da una corda che attraversa i fori di un profilo a L collocato sulla

copertura e le asole del telo stesso.

Il lato interno è invece costituito da pannelli maschio-femmina che vengono imbullonati alle spalle dei

pallet racks. Nelle parti laterali i pannelli divengono alternativamente solo maschio o solo femmina o

eventualmente semplici rettangoli (come nel caso dell’ultima campata contigua all’ingresso delle scale).

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39. Pareti laterali della tool-house

La parete apribile della tool-house14

Per la parte di edificio destinata alla tool-house si sono studiati dei pannelli molto semplici che consentono

allo stesso tempo l’ingresso della luce e la creazione di aperture.

I pannelli sono mobili e costituiti da un telaio in acciaio a supporto di due lastre in policarbonato che

creano una sistema simile a un doppio vetro. Questi sono fissati alla struttura ed apribili verso l’esterno

attraverso un sistema a cerniera.

La scelta di utilizzo del policarbonato è stata dettata dalla difficoltà di reperire vetro all’interno di Dharavi

(la maggior parte delle abitazioni ne è infatti sprovvista a causa dell’elevato costo).

L’utilizzo di pannelli per la parete della tool house permette di creare pareti più solide e comparabili a

quelle convenzionali delle case di Dharavi.

external polycarbonate panels with steel frame

pallet racks uprights

steel upright

railing

double layered roof

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steel upright with anchor bolt

wooden slabs

pallet rack beam

pallet rack upright

railing

steel plate for hanging

movable polycarbonate panels with steel frame

40. Il montaggio ed il funzionamento della parete in pannelli di policarbonato

Anche la parete apribile e semitrasparente della tool house è strutturata a strati:

- una ringhiera sorretta da due montanti indipendenti protegge dalla caduta nel momento in cui i pannelli

sono aperti;

- tre montanti in acciaio ancorati alle travi attraverso un sistema di sei piastre e bulloni autoavvitanti;

- i pannelli in policarbonato, costituiti da una doppia lastra e da un telaio in legno sorretti ai montanti in

acciaio. La chiusura è consentita da una maniglia rudimentale costituita da una piastra in acciaio che

ruota attorno ad un bullone agganciato ad ognuno dei pannelli apribili.

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Il sistema di copertura

Lavorando sul sistema di copertura l’idea era

quella di utilizzarla per limitare il surriscaldamento

dell’edificio. Le condizioni climatiche, infatti,

prevedono una temperatura che resta costante

durante tutto il corso dell’anno, attestandosi

intorno ai 30 °C15.

La scelta è stata dunque quella di creare una

copertura dotata di un’intercapedine intermedia.

Questo sistema è facilmente costruibile grazie

alla struttura in pallet racks disponendo le travi

che costituiscono il soffitto dell’ultimo piano e il

piano di calpestio della terrazza ad una distanza

variabile, che nel nostro caso è stata prevista di

30-40 cm.

Il sistema non richiede particolari studi e finiture

ed è molto facilitato dalla presenza dei buchi

sui montanti delle spalle, posti a piccolissime

internal patio ventilation

double roof gap water tanks

distribution system

distribution system

bamboo open structure

soil tanks

curtain walls

curtain walls

curtain walls

double roof compatible options

green roof

vegetable cultivation

rainwater recovery

toilet water

internal patio

vent

ilatio

n

p a t i o

monsoon season

distanze gli uni dagli altri e che consentono

grande flessibilità nella scelta delle dimensioni

dell’intercapedine.

In questo modo le stanze interne all’ultimo piano,

che avevamo notato essere molto calde nella

struttura del JAAGA Creative Common Ground

a Bangalore, non ricevono la luce diretta dei

raggi solari. La presenza di una sovrastruttura

(eventualmente in bamboo) per il piano terrazza

migliorerebbe ulteriormente le condizioni

climatiche interne.

Sono inoltre state previste tre soluzioni differenti

per l’utilizzo della copertura:

- copertura verde, (con la possibilità di coltivare

ortaggi al di sopra della struttura);

- copertura con sistema di recupero delle acque

meteoriche. La collocazione di taniche di acqua

all’interno dell’intercapedine, oltre a mantenere

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internal patio ventilation

double roof gap water tanks

distribution system

distribution system

bamboo open structure

soil tanks

curtain walls

curtain walls

curtain walls

double roof compatible options

green roof

vegetable cultivation

rainwater recovery

toilet water

internal patio

vent

ilatio

n

p a t i o

monsoon season

42. Alcune proposte per la copertura tra loro compatibili e complementari. Lo sviluppo del progetto ha previsto lo studio solo del sistema integrato di patio e ventilazione del tetto.

41. Il dettaglio dell’apertura che permette la ventilazione del tetto

più stabile la struttura grazie al peso proprio,

permetterebbe di risolvere almeno durante

la stagione monsonica il problema relativo

all’accesso all’acqua. Questa potrebbe essere

utilizzata per gli scarichi dei servizi e per il lavaggio

degli indumenti, utilizzando il patio come luogo

pubblico per quest’attività;

- copertura ventilata associata ad un patio a tutta

altezza interno che favorisce la ventilazione dell’

edificio attraverso un effetto camino. L’utilizzo di

pareti che possano essere aperte per la maggior

parte della giornata favorirebbe inoltre una

ventilazione costante che potrebbe innescare un

ricambio d’aria favorevole.

Questa soluzione è stata quella che si è esplorata

anche nella parte progettuale e che si è deciso di

adottare per la proposta della fase II.

Le tre proposte avanzate sono in realtà

utilizzabili in contemporanea e possono essere

complementari tra loro.

Nell’ottica di complementarità, per esempio,

l’acqua meteorica potrebbe essere utilizzata

anche per l’irrigazione di una parte di copertura

verde e le intercapedini tra i depositi d’acqua

favorirebbero la ventilazione..

connection to beams connection to pillar

connection to wooden panel

plastic sheet

steel pro�le

natural air circulation

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Il piano terreno

La presenza di piogge copiose durante il periodo

monsonico ci ha suggerito di studiare un piano

terra che fosse rialzato rispetto al piano di

calpestio.

L’idea di rialzare dunque il livello del piano terreno

del nostro edificio di 20-30 cm dal piano di

campagna permetterebbe un libero scorrimento

delle acque meteoriche e sarebbe realizzata

attraverso pezzi standard, costruendo un solaio

attraverso una metodologia analoga a quella

utilizzata per ognuno degli altri piani.

I costi aggiuntivi preventivati sono dunque

limitati e il tempo di montaggio aggiuntivo è

ridotto. In compenso il vantaggio di avere un

piano terreno che non rischia di essere allagato

durante il periodo monsonico è un’innovazione

interessante ed utile all’interno di Dharavi.

L’altezza rispetto al piano di calpestio può inoltre

essere facilmente modificata in relazione alle

reali necessità attraverso l’incastro della trave ad

un’altezza superiore o eventualmente inferiore.

Il dislivello naturale rispetto al terreno costituisce

inoltre una barriera naturale di sicurezza che

impedisce un semplice accesso dall’esterno.

ground �oor elevation monsoon season

water safety level

43. Ipotesi di elevazione del piano di calpestio interno dell’edificio rispetto al piano di campagna. Permette il naturale deflusso delle acque meteoriche durante il periodo monsonico.

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4.4 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi

FASE III

4.4.1 Il coinvolgimento dei residenti all’interno

delle scelte: un’esperienza di partecipazione

Nell’ottica di un coinvolgimento della popolazione

locale all’interno del progetto è stata contattata

Dipti Hingorani16, un’architetto residente

Mumbai, che ha iniziato a recarsi giornalmente

sul sito di progetto. Il tentativo è stato quello

di recepire dalla popolazione quali fossero le

reali necessità per il luogo e come avrebbero

immaginato i residenti stessi il futuro Social Club.

Quest’attività è in realtà solo all’inizio, mentre il

nostro committente Paul Raphael è interessato

a costruire velocemente sul lotto e forse non

ci sarà tempo a sufficienza per approfondire

i ragionamenti. Il primo risultato di quest’

idea, da noi sollecitata più volte durante la

nostra permanenza e condivisa al momento

dell’attuazione, è stata l’organizzazione di una

sessione di disegno per i bambini del nagar.

Coordinata da Dipti Hingorani, la sessione ha

avuto luogo all’inizio del mese di dicembre ed ha

avuto grande successo grazie al coinvolgimento

di una quarantina di bambini nella prima attività

ufficiale del Social Club.

Ciò che è emerso dai disegni è sicuramente la

volontà di spazi aperti e verdi per il gioco che

hanno rafforzato la nostra idea della necessità di

mantenere libera una parte del lotto per l’utilizzo

comunitario. Questa prima attività all’interno

dell’edificio, secondo quanto riportato dai nostri

colleghi sul luogo, è stata in realtà molto utile

per dichiarare l’utilizzo del lotto e scansare ogni

equivoco emerso durante questi mesi circa

l’utilizzo dello spazio. Ad oggi le sessioni di disegno

si sono ripetute più volte e paiono coinvolgere un

numero sempre crescente di bambini.

44. Le prime due sessioni di disegno all’interno del Social Club hanno riscosso grande successo e attirato un numero crescente di bambini che hanno esposto i loro disegni alla fine delle due giornate Foto: www.flickr.com, utente: URBZOO

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4.4.2 Dharavi cresce senza bisogno degli archi-

tetti: il cambiamento del programma

Nel momento in cui abbiamo iniziato un progetto

all’interno di Dharavi, sapevamo che il contesto e

le condizioni al contorno del progetto avrebbero

fortemente influenzato il design finale e che

l’essere inseriti per la prima volta all’interno di un

processo costruttivo reale avrebbe determinato

in maniera importante il risultato finale.

Il giorno in cui abbiamo ricevuto le foto proposte

qui a fianco ci siamo però resi conto di quanto

difficile fosse muoversi in un contesto informale.

A distanza di poco meno di due mesi dall’inizio

del progetto, infatti, le condizioni del sito erano

nuovamente cambiate.

Il ritorno di Paul Raphael all’interno di Dharavi

aveva infatti determinato un’improvvisa

accelerazione dei lavori in corso: l’edificio

esistente, costruito in maniera illegale prima

del nostro arrivo a Mumbai era ormai stato

regolarizzato, seguendo i processi imposti dalla

polizia locale.

La cosa più sorprendente però è stata vedere come

Dharavi continuasse a crescere senza il bisogno

degli architetti. Buona parte del lotto nella parte

confinante con Mahatma Ghandi Road era infatti

stata pavimentata e un piccolo muro divisorio era

stato costruito per limitare l’accesso al lotto.

Allo stesso tempo, sempre lungo il fronte di

Mahatma Ghandi Road è stata costruita una

piccola struttura commerciale in cui vengono

serviti tè e dolci.

Il significato di queste costruzioni è legato alle

dinamiche che si sono sviluppate attorno al lotto

durante gli ultimi mesi: le pressioni da parte

degli altri abitati e la necessità di utilizzarlo in

qualche modo si erano fatti via via più forti e Paul

non aveva potuto aspettare le nostre proposte.

Nonostante queste gli fossero state presentate

più volte, infatti, la sua scelta è stata quella di

optare per una costruzione più convenzionale.

La nuova proposta del nostro committente è

45. Dall’alto in basso:- il nuovo chiosco già in funzione costruito lungo Mahatma Ghandi Road- il muro a protezione del lotto e la nuova pavimentazione- la parte del sito prevista per la costruzione del progetto in FASE IIIFoto: www.flickr.com, utente: URBZOO

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46. Mappa del sito di progetto: si noti la costruzione

del nuovo tea shop nella parte inferiore e l’area ridotta

destinata alla costruzione del nuovo programma

8.9

m

12.3

m

7.8 m

1.35 m

1.78 m

1.58 m1.86 m

5.43

m

3.45 m

8.9 m

9.1 m

6.4 m

6.2 m

9.1

m e x i s t i n g b u i l d i n g

a v a l a i b l e a r e a

8 m * 5 m

f r e e p l o t

t e a s h o p

existing building

al

le

y

al

le

y

stata quella di provare a pensare ad uno spazio

aggiuntivo, nella parte retrostante dell’edificio

ad oggi costruito ed utilizzato da URBZ e Dipti

Hingorani per le sessioni di disegno con i bambini

di New Transit Camp.

La scelta di Paul ci ha trovati in realtà d’accordo

e ci è sembrato più utile provare a ipotizzare

una forma di incremento del costruito esistente

(che ormai costituiva una parte rilevante del

lotto) piuttosto che continuare a prevedere una

demolizione della costruzione in situ.

Con la scelta di conservare lo spazio già costruito

per ospitare alternativamente persone anziane

e bambini, è cambiato anche il programma

propostoci per la nuova parte costruita.

All’interno di uno spazio in pianta di 5*8

m avremmo ora dovuto pensare a spazi

completamente differenti; le nuove funzioni

previste erano infatti quelle di una piccola sala

letteraria/biblioteca all’interno della quale

potessero essere inseriti volumi riferiti alla storia

di Mumbai e di Dharavi, ma anche più in generale

testi di pedagogia, filosofia e attinenti alle scienze

sociali in genere.

Inoltre avremmo dovuto prevedere una piccola

caffetteria da annettere alla sala lettura. Questo

sarebbe stato un luogo importante di riferimento

per le persone che si recavano a Dharavi per

studiarlo o semplicemente per visitarlo. Sarebbe

stato un ponte tra la città esterna e lo slum.

L’ultima richiesta è stata quella di ipotizzare degli

spazi terrazza privati.

In questo frangente la richiesta è stata anche

quella di ipotizzare una struttura che potesse

essere costruita sia in pallet racks che in mattoni:

la diminuita cubatura del progetto infatti sembra

allontanare le possibilità di finanziamento di

Freeman Murray e della struttura in pallet racks

da lui incentivata.

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4.4.3 Proposta progettuale III

Il cambio di programma descritto e le nuove

attività organizzate nel corso di questo

periodo all’interno del Social Club ci hanno

obbligato a ripensare alla nostra proposta

progettuale, nell’ottica di renderla più adatta allo

stravolgimento del contesto intorno al progetto.

La prima scelta fondamentale in questa fase

è stata, come accennato, quella di tornare a

proporre la possibilità di mantenere lo spazio già

costruito inizialmente da Paul Raphael.

Questo, effettivamente sembra funzionare

all’interno del nagar e molte persone paiono aver

apprezzato gli sforzi del nostro committente.

Ci è parso dunque sbagliato ipotizzare la sua

demolizione, anche nella logica della necessità di

un incremento di Dharavi dal basso.

La scelta della fase II era infatti stata mossa non

senza riserve e principalmente dettata dalle

costrizioni economiche e dalla volontà di URBZ

di trovare un accordo con Freeman Murray. Il

vedere come la struttura stesse divenendo un

luogo di incontro e vita comunitaria non ha fatto

altro che smuovere i dubbi presenti già nella fase

precedente.

La scelta è stata dunque quella di ipotizzare uno

elderly people+ children

library/reading room

open air roof terrace

open air roof terrace

tea shopFASE III

cafè

openair patio

47. Il programma funzionale interno FASE III

spazio che in qualche modo potesse ospitare il

nuovo programma propostoci e che, allo stesso

tempo, creasse un complesso comunitario

facilmente riconoscibile.

E’ stata così pensata una piccola struttura al lato

dell’edificio esistente, di due piani fuori terra,

ipotizzando che potesse essere costruita sia in

pallet racks che in muratura.

Gli spazi per la piccola biblioteca sono così stati

previsti al piano terreno, rialzato rispetto al piano

di campagna secondo quanto studiato nella fase

II, mentre quelli per la piccola caffetteria sono

collocati al piano superiore.

Entrambi questi spazi sono in comunicazione

diretta con la sala dedicata alle attività svolte dalla

comunità. E’ stata inoltre proposta la possibilità di

utilizzare il tetto dell’attuale parte costruita come

terrazza.

Uno spazio con terrazza panoramica è stato

ipotizzato anche al di sopra della nuova parte

costruita. La terrazza si trova dunque ad un livello

decisamente più basso di quella ipotizzata per la

torre nella fase II, ma l’eventuale utilizzo dei pallet

racks garantirebbe la possibilità di sopraelevare

in futuro questa parte dell’edificio.

In questa fase ci è stato proposto di produrre

anche delle immagini dello stesso edificio

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to 90 feet road

to Kumbharwada

Mahatma Ghandi road

terrace

terrace

roof ventilation

to 90 feet road

pvc movable wall

roof access

tea shop + access

social club

patio

pvc panels

ground �oor elevation

48. Temi progettuali della terza fase di progetto

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50. Il bookshop e il cafè progettati nella fase III costruito in pallet racks

costruito in mattoni per tastare le reali intenzioni

di Paul Raphael circa l’investimento..

In effetti, il diminuire della metratura proposta

sembra aver raffreddato gli interessi di Freeman

Murray nel finanziare una struttura così piccola

in pallet racks. La convenienza economica di

questo materiale infatti emerge nel momento in

cui si costruiscono metrature piuttosto grandi e

compatte.

L’occasione non è comunque del tutto persa

ed oggi URBZ si sta impegnando su due fronti,

quello di provare a convincere Freeman Murray

a finanziare la struttura e quello, eventuale, di

trovare nuovi investitori per la costruzione di una

nuova parte edificata in pallet racks17.49.La proposta progettuale della fase III in mattoni. Queste immagini sono state prodotte per verificare la possibilità di costruzione della struttura in pallet racks

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52. Lo spazio cafè al secondo piano nella fase III: interni a confronto

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51. Tabella di confronto discussa con Paul Raphael dei vantaggi e degli svantaggi dell’utilizzo dei pallet racks e del sistema convenzionale di costruzione in mattoni.

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Mahatma Ghandi Road

tea shop

Paul’s plot

open air terracecafèlibrary reading room

open air terracespace for children and elderly people open air patio

4.4.4 Prospettive future

Il lavoro di progettazione ad oggi si è in parte

bloccato, per la necessità di concludere la tesi e

per la contemporanea mancanza di finanziamenti

per il progetto.

Parallelamente però la parte della struttura

per bambini e persone anziane ha già iniziato

a funzionare, ospitando ogni domenica una

sessione di disegno con oltre sessanta ragazzi.

Inoltre il team di URBZ presente sul sito ha iniziato

a strutturare attività anche con le persone più

anziane del nagar, anche se queste per il momento

si limitano a colloqui e raccolta di pareri sulle

possibilità di utilizzo dello spazio comune.

La ricerca del finanziamento sta continuando

via internet attraverso un tentativo di raccolta

di fondi tramite donazioni pubblicata sul sito

ufficiale dell’organizzazione, oltre che ad una

ricerca tra eventuali finanziatori locali.

Le prospettive future che coinvolgono il progetto

sono molteplici ed allo stesso tempo imprevedibili.

Senz’altro la prima parte costruita sembra

rispondere pienamente alle aspettative: oltre ad

aver rapidamente acquisito ogni autorizzazione

legale dalla polizia locale, ha raccolto il consenso

di molte persone all’interno del nagar.

La nuova parte, quella ipotizzata per la caffetteria

e la libreria potrebbe divenire un punto di

riferimento importante per coloro che visiteranno

Mumbai negli anni a venire e decideranno di

entrare anche a Dharavi.

La struttura potrebbe così divenire un ponte tra

gli abitanti di Dharavi e quelli esterni e potrebbe

essere un aggancio con la restante città formale

tendendo ad abbattere quella linea di confine

53. Sezione prospettica del progetto della fase III

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Mahatma Ghandi Road

tea shop

Paul’s plot

open air terracecafèlibrary reading room

open air terracespace for children and elderly people open air patio

54. Il nuovo ingresso del Dharavi Shelter dipinto dai bambini in queste settimane. Foto: www.flickr.com, utente: URBZOO

immateriale che, più dei tracciati ferroviari e

dei limiti costruiti, dividono Dharavi dal resto di

Mumbai.

Il nostro lavoro di design in questa fase si muove

in realtà nella direzione di un approfondimento

delle soluzioni costruttive studiate per la fase II,

ma è in realtà in attesa di nuove linee guida in

relazione alle possibilità di finanziamento locali,

nella speranza di poter ipotizzare liberamente

quale debba essere il metodo costruttivo

utilizzato.

Questa scelta sarà in effetti determinante prima

di ogni mossa futura ed al momento ha bloccato

lo sviluppo del progetto.

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4.5 Riflessioni per un progetto a Dharavi

4.5.1 La tool-house come una forma vincente di

sviluppo urbano “dal basso” 18

Prima della rivoluzione industriale i processi di

produzione hanno avuto luogo principalmente

nell’ambiente rurale, mentre le città svolgevano

il ruolo di grandi centri commerciali.

La città moderna è emersa attraverso una

divisione del vivere nello spazio e nel tempo. Con

la rivoluzione industriale case e spazi di lavoro

sono stati radicalmente separati gli uni dagli altri.

Il tempo del lavoro e della vivere hanno iniziato

ad essere irregimentati lungo linee temporali

precise.

Attraverso il XX secolo, la fantasia modernista

è rimasta saldamente legata a quella di una

società industriale, anche se, nell’esperienza

reale, i processi di vita e di produzione sono

spesso rimasti connessi. Pratiche economiche

formali e informali hanno convissuto in diversi

modi. Eppure, la visione idealizzata di questa

età ha sempre sostenuto che l’interazione tra

produzione economica e ambienti di vita fosse

superflua.

La realtà è assolutamente contraria. Il motivo per

cui i paesaggi urbani informali, che costituiscono

l’habitat del 50% dell’umanità, sono così

problematici per gli urbanisti è che questi rendono

esplicito il rapporto tra produzione e spazi di vita

non riconducendoli ad una frattura netta.

Non essere in grado di vedere questa dimensione

negli slums rivela una terribile mancanza di

immaginazione e interrompe l’evoluzione

complessa ed organica delle forme urbane.

Oggi, in un’era post-industriale ed iper-

urbanizzata la produzione può essere incontrata

anche in ogni parte della città formale: in un loft

di artisti, nella casa di un web-designer, in una

bottega artigianale, in un ristorante nascosto in

un ghetto di immigrazione.

Eppure la struttura che sarebbe l’esempio

classico di tale uso, la tool-house, non ha ottenuto

la legittimità che meriterebbe. E’ considerato

un modello di urbanizzazione obsoleto o una

forma urbana non praticabile a causa dei principi

rigorosi di zonizzazione.

Gli insediamenti informali in tutto il mondo sono

le migliori espressioni della presenza permanente

della tool-house. La ragione della sua resistenza è

la sua forza economica.

In un contesto in cui oltre il 40% delle persone

sono lavoratori autonomi e lo sviluppo urbano ha

fatto lievitare i prezzi delle abitazioni, la casa ha

bisogno di raddoppiarsi come un sito produttivo.

Nei quartieri informali, non è raro trovare una

tool-house parzialmente affittata come negozio

nella parte anteriore e come laboratorio nella

parte posteriore, oltre a servire come rifugio per

una famiglia allargata.

In realtà i tool-house landscape indicano la

necessità di una forte ristrutturazione del

modo in cui lavoro e produzione sono inseriti

nella città post-industriale. Questo ci può

aiutare a visualizzare concretamente un futuro

in cui la dicotomia del formale e informale,

dell’organizzazione della produzione e dei servizi

I due testi inseriti nel seguente capitolo tentano di riassumere l’approccio teorico e la filosofia condivisa

con URBZ a proposito delle possibilità di intervento nel contesto di Dharavi. Il riportare questi concetti, a

cui siamo stati avvicinati dall’organizzazione con cui abbiamo lavorato, ha il significato di porre questo

tipo approccio, da noi condiviso e discusso, come lettura delle scelte progettuali presentate.

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5. Schema esemplificativo del funzionamento di una tool-house. Fonte: www.dharavi.org

è trascesa. In cui il nuovo ordine, sia spaziale

che temporale, e la complessa dialettica tra

l’artigianale e la produzione industriale sono

riconosciuti.

Le città del futuro può essere riorganizzata in

modi meno prevedibili seguendo le aspirazioni

e le esigenze localizzate. Dove lo sviluppo

urbano è lasciato agli attori locali si osserva il

riemergere di spazi di vita-lavoro che sono in

realtà meno disumanizzanti che molti dei blocchi

residenziali e delle torri per uffici che vengono

sistematicamente promossi da coloro che

ragionano sulla città -dagli investitori immobiliari

alle ONG, passando per gli enti governativi- come

l’unico modo accettabile verso la modernità.

Potrebbe essere il momento di riconoscere che,

a causa della mancanza di infrastrutture e delle

problematiche del sovraffollamento, alcuni

insediamenti informali hanno sviluppato una

tendenza che può essere ben integrata in un

paesaggio post-industriale. Questi insediamenti

emergeranno così non più come baraccopoli

con una terribile necessità di riqualificazione, ma

come un modello di sviluppo dal basso, con la

tool-house posta al centro di questo sistema.

L’ultimo disegno del DRP finge di rispettare la

vita e le condizioni di lavoro degli attuali abitanti

di Dharavi, in realtà rafforza la separazione

sovrapponendo funzioni economiche e

residenziali contenute in layer distinti.

La logica della tool-house è intimamente

legata al più ampio contesto economico di

informalità: la produzione decentrata diminuisce

i costi utilizzando lo spazio in modo complesso

e stratificato. Questo strumento vivibile è

organicamente collegato all’unità della famiglia,

della comunità e la persistenza della forma

villaggio nella metropoli moderna. Ignorando

queste complessità, il tentativo di trasformare gli

insediamenti informali di Mumbai semplicemente

non può funzionare.

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4.5.2 Il futuro di Dharavi: Tokyo come riferimento 19

L’analisi del tessuto di Dharavi e delle sue

possibilità di “sviluppo” differente da quello

proposto dal DRP è alla base del percorso di

ricerca condotto da URBZ in questi anni.

Il modello di Dharavi, come possibile forma

urbana alternativa a quella della città europea

ottocentesca, piuttosto che alla Broadacre city

americana di Wright o alle idee di uno sviluppo in

verticale delle grandi megalopoli internazionali,

offre un nuovo possibile output su quella che

possa divenire la città post-industriale.

Partendo dal modello di Tokyo come riferimento,

URBZ ipotizza un intervento della municipalità

che si focalizzi sull’approvvigionamento delle

infrastrutture primarie (soprattutto luce, acqua e

trasporti) lasciando alla popolazione il compito di

dare alla città la forma costruita.

Tokyo viene presa come riferimento in quanto

modello prettamente asiatico di urbanizzazione

che ha dimostrato di poter funzionare. Alla fine

della prima guerra mondiale, buona parte della

città era distrutta: l’impossibilità di pianificare

velocemente ampie parti di questa, unita alla

necessità di una rapida ricostruzione, hanno

determinato una politica nuova da parte

dell’amministrazione. Questa si è concentrata sulla

costruzione delle reti di distribuzione dell’acqua

e dell’elettricità, occupandosi anche del sistema

di mobilità pubblica, mentre lo sviluppo urbano

costruito delle parti periferiche della città è stato

delegato agli attori locali.

E’ stato così che la maggior parte delle periferie

di Tokyo, negli anni Sessanta, hanno acquisito

un’immagine simile a quella dell’odierna Dharavi.

Un pattern costituito da una maggioranza di

strade di difficile accesso per le automobili è

divenuto l’elemento unificante di intere parti di

città, più simili a piccoli villaggi che a quartieri di

una nascente metropoli. Piccole strade, spesso

di uso specifico dei residenti, conducevano a

nuclei residenziali low-rise ad alta densità. Il

tessuto è diventato ad utilizzo misto, con molte

abitazioni destinate a spazio abitativo e a luogo

di produzione. Oggi queste parti periferiche di

Tokyo, come il quartiere di Shimokitazawa, sono

divenute fortemente caratterizzanti della città

che nessuno catalogherebbe come slums.

La presenza di una forma urbana differente,

la difficoltà di descriverla, comprenderla e

catalogarla, oltre che di muoversi e percorrerla,

hanno spesso portato gli urbanisti occidentali a

definire molti quartieri della città asiatica come

caotici e privi di organizzazione.

L’organizzazione che in realtà si nasconde dietro

queste parti città e l’alto grado di efficienza dei

meccanismi che permettono il funzionamento

di aree ad altissima densità sono però fenomeni

che andrebbero letti e compresi. Il trattare questi

quartieri come una tabula rasa in attesa di sviluppo

denota scarsa flessibilità, oltre che una pessima

attenzione alla ricchezza culturale ed economica

6. Sviluppo organico fatto di percorsi principali pubblici che si ramificano via via in vicoli sempre più privati per raggiungere i nuclei abitativi interni. Questo schema urbano viene rilevato da URBZ sia all’interno di Dharavi che nel quartiere di Shimokitazawa. Fonte: www.airoots.net

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che questi meccanismi hanno prodotto.

Se la municipalità focalizzasse il proprio

intervento sull’approvvigionamento delle

infrastrutture primarie, Dharavi potrebbe seguire,

a qualche anno di distanza, quello che è stato il

percorso di molte aree periferiche di Tokyo. Per

molti anni, infatti, il riconoscere Dharavi come

uno slum ha permesso alla municipalità di fornire

una copertura delle infrastrutture decisamente

inferiore ad altre parti di città.

Il proporre un piano infrastrutturale di supporto

alla forma urbana esistente per permetterne lo

sviluppo sarebbe un approccio estremamente

diverso da quello perseguito in questi anni. La

necessità di lasciare alle comunità la possibilità

di autocostruirsi e di migliorare la qualità delle

proprie abitazioni manterrà inalterato il pattern

organico informale e conserverà la capacità

di creare ricchezza, economica e culturale,

permettendo allo slum di trasformarsi in uno dei

quartieri a più forte identità di tutta Mumbai.

Va sottolineato a inoltre che ogni possibile piano

per Dharavi, non sarà mai in grado di raggiungere

il grado di densità oggi presente in questa parte di

città: l’unico risultato di un piano di risanamento

high-rise sarebbe la mobilitazione di grandi

masse di persone verso nuove aree della città, con

l’unica prospettiva della nascita di nuovi slums.

Un piano di sviluppo che non partisse dal pattern

attuale avrebbe dunque come unico output la

creazione di nuovi slums. Nuovamente, come

successo altre volte nel corso della storia, gli slums

verrebbero solamente spostati e non aiutati a

crescere.

Il scegliere lo sviluppo di Tokyo come riferimento

per il futuro di Dharavi significa quindi

sottolineare la necessità di un potenziamento in

situ (già ipotizzata nel corso degli anni Ottanta

dalla municipalità, ma mai veramente percorso)

e vuole affermare il ruolo delle comunità locali

nel miglioramento delle proprie condizioni

abitative.

7. Fotomontaggio urbano, a destra Dharavi, a sinistra Shimokitazawa. Fonte: www.airoots.net

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Note 4.New Transit Camp Social Club: temi e riflessioni di un progetto informale1. Le revisioni sul progetto avvenute con PUKAR hanno avuto come interlocutrice la dott.ssa Anita Patil-Deshmukh, Executive director di Pukar. Laureata in Medicina, Anita Patil-Deshmukh ha concluso un Master in Public Health presso la Harvard University e ha lavorato come un neonatologa in un istituto di insegnamento a Chicago per 20 anni. Nel 2005 è tornata in India per contribuire allo sviluppo del settore ed è anche Senior Adviser per India China Institute (The New School, NY).

2. Le revisioni con il progetto avvenute con l’ UDRI hanno avuto come interlocutore Pankaj Joshi, Executive Director dell’UDRI. E’ architetto che ha fatto parte del Mumbai Heritage Conservation Committee, ed è stato visiting professor presso l’Architecture Academy e il Rizvi College of Architecture a Mumbai . Inoltre è consulente perla Heritage Conservation Society della Mumbai Metropolitan Region Development Authority (MMRDA).

3. Le elezioni per la presidenza dello stato del Maharashtra si sono tenute il13 ottobre 2009. Il momento risulta creare grandi tensioni all’interno di uno slum come Dharavi in cui fazioni politiche contrapposte tentano in ogni modo di acquisire i voti delle frange più povere e più deboli della popolazione votante. Molti degli articoli pubblicati durante questi giorni a sui quotidiani di Mumbai riportavano che i voti raccolti dentro Dharavi sarebbero stati determinanti per il risultato finale.

4. Freeman Murray ha lavorato con la tecnologia start-up in India e negli Stati Uniti negli ultimi 15 anni. Ha studiato informatica alla University of California a Santa Cruz e successivamente si è unito al gruppo Java di Sun Microsystems per il progetto Java Server. Nel 1998 fonda con il collega Pavni Diwanji Kendara, una società di plugin per il browser. Hanno guadagnato 7 milioni di dollari come finanziamento per il rischio da Red Point e MDV e in 2 anni hanno venduto l’azienda al più grande fornitore di Internet a banda larga in quel momento, Excite@Home. Negli ultimi quattro anni ha vissuto a Pune, dove ha gestito il lavoro di outsourcing per la propria società di investimento e ha lavorato con Mixercast.com come Chief Scientist.

5. Jaaga Creative Common Ground è un esperimento a cavallo tra l’arte e l’architettura. E’ uno spazio comunitario creato per servire le arti, la tecnologia e i cambiamenti sociali a Bangalore. Esso comprende spazi di lavoro con accesso a internet, un caffè e una grande spazio pubblico multi piano per proiezioni, workshop, conferenze e spettacoli. La struttura finanziata da Freeman Murray e costruita in una settimana attraverso i pallet racks sembra attrarre moltissimi residenti e ospita settimanalmente eventi e spettacoli.

6. Il marchio di riferimento per i pallet racks è in realtà MINI FABRICATION, di proprietà della ACME ENGINEERS, con sede a Delhi.

7. Il costo standard di Dharavi, in base a quanto riportato da URBZ è stato ipotizzato come variabile tra 80-100 USD al metro quadro.

8. www.dharavi.org è un sito web wiki progettato per raccogliere informazioni, immagini e idee su Dharavi a Mumbai. Dharavi è uno dei più grande insediamento informale nel mondo e dharavi.org offre uno spazio per discutere il Dharavi Redevelopment Project e possibili alternative. Chiunque può accedere e creare le proprie pagine. I contributi possono essere in lingua inglese, hindi e marathi. Il sito è nato in seguito l’esperienza dell’Urban Typhoon Workshop a Koliwada nel 2008.

9. Il concetto di tool-house è approfondito nel capitolo 4.5 Riflessioni per un progetto a Dharavi e nel teso in Appendici I. The tool house.

10. Per un approfondimento vedere il paragrafo I sistemi di copertura.

11. L’idea di utilizzare il pvc è stata ripresa dal JAAGA Creative Common Ground a Bangalore con il tentativo di ottimizzarla e renderla più funzionale alle esigenze di Dharavi.

12. Disegni tecnici tavola 7-7A

13. Disegni tecnici tavola 9-9A

14. Disegni tecnici tavola 8-8A

15. I dati climatici utilizzati fanno riferimento al World Weather Information Service (WMO)

16. Dipti Hingorani è un architetta di Mumbai che collabora con URBZ da alcuni e che ha preso in mano il processo di coinvolgimento delle persone di New Transit Camp all’interno della struttura già costruita da Paul Raphael.

17. E’ stato ad oggi aperto un contocorrente sul quale è possibile versare fondi per la costruzione del New Transit Camp Social Club attraverso una donazione tramite il sito di URBZ.

18.approfondimento in Appendici I. The tool house

19. Approfondimento in Appendici II. The Tokyo Model of Urban Development

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5. Considerazioni sul significato di un’esperienza progettuale

a Dharavi

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Le riflessioni che emergeno alla conclusione

di questo lavoro sono relative al significato di

un’esperienza di un processo di progettazione in

una realtà informale, al ruolo che un architetto

può acquisire quando si trova inserito in questa

realtà e all’ereditità che questa stessa esprienza

lascia per la formazione di un’etica professionale.

L’output progettuale, seppur importante, appare

forse un aspetto secondario, anche discutibile

e contestabile, come per ogni progetto di

architettura, ma resta l’importanza della

documentazione di un processo differente da

quelli a cui siamo stati abituati e per cui siamo

stati preparati in questi anni. Resta inoltre la

consapevolezza acquisita nell’affrontare un

processo così complesso nelle relazioni con la

committenza e con i possibili finanziatori (che

nel nostro caso erano rappresentati da due figure

distinte) e che potrà essere utile in futuro percorso

lavorativo.

Infine resta un’attenzione ai legami tra la

progettazione e i costi ad essa connessi, nell’ottica

di soluzioni a basso costo che presentino le

necessarie qualità architettoniche e che siano

dunque accessibili ad ogni ceto sociale. Questo

è senza dubbio uno stimolo importante che

abbiamo avuto la fortuna di recepire e che ci

ha aiutato a capire in quale direzione si debba

muovere l’etica di una professione come quella

dell’architetto.

Ci è parso utile analizzare in questo capitolo

conclusivo i passaggi in cui il nostro apporto ci è

parso più importante, sulla base dei quali si possa

ripensare al ruolo dell’architetto in un contesto

informale, ma anche in un contesto formale.

Mentre la soluzione conclusiva del progetto

oggi appare ancora distante dalla realizzazione,

abbiamo provato a raggruppare il nostro operato

in quattro ambiti con i quali ci siamo dovuti

confrontare e che sono la principale eredità di

questo lavoro:

- l’attenzione al rapporto con la committenza e

alle dinamiche in situ;

- il lavoro sulle scelte costruttive e la ricerca di

soluzioni a basso costo;

- l’attenzione alla partecipazione dei residenti

nella definizione del progetto;

- la proposta di uno sviluppo incrementale dal

basso all’interno dello slum.

Questi punti appaiono alla conclusione del

nostro percorso come quattro fili conduttori che

ci aiutano a rileggere l’esperienza e che possono

aiutare a definire il ruolo di un architetto a

Dharavi e contribuire alla formazione di un’etica

professionale che acquisisce sostanza anche da

quest’esperienza.

La capacità di ricollocare le proprie scelte e

“l’indipendenza” del committente

Progettare dentro Dharavi ha significato

confrontarsi con una realtà in continuo

cambiamento, in cui gli interessi e le costrizioni

temporali hanno influito sul succedersi delle

scelte progettuali.

La linearità del tempo, che in un normale

processo di progettazione prevede una fase di

programmazione e una progettuale precedenti

a quelle di costruzione e di utilizzo dell’edificio,

non può essere mantenuta all’interno di una

realtà informale.

Ci siamo così trovati di fronte a un processo in cui

queste quattro fasi si sono sovrapposte rendendo

difficoltose le nostre scelte.

Contemporaneamente alla definizione del primo

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programma dell’edificio, è infatti iniziata la

costruzione su una parte del lotto. In seguito,

a distanza di un mese dall’inizio del progetto, il

programma è stato completamente rivisto ed

ampliato. Nel momento in cui abbiamo tentato

di riportare il disegno progettuale in linea con

il nuovo programma, mantenendo gli elementi

caratterizzanti che avevamo ipotizzato nella prima

fase progettuale, una nuova fase di costruzione

è iniziata, portandoci a rivedere alcune scelte,

modificando nuovamente il programma e

portandoci ad ipotizzare una nuova proposta.

La fase di costruzione si è accavallata, nel corso

del processo con quella di progettazione ed la

fruizione della struttura è iniziata addirittura a

progetto non ancora concluso.

Progettare a Dharavi ha quindi significato provare

a migliore la capacità di rivedere le nostre posizioni

e i nostri spunti progettuali in relazione alla realtà

locale, intesa come modifica del costruito sul

lotto e aspettative della committenza.

E’ proprio stato l’aspetto temporale a risultare

completamente modificato rispetto ad un

consueto processo di progettazione. La realtà

dello slum imprime al progetto una necessaria

rapidità di riflessione ed allo stesso tempo stimola

una necessità di riadattarsi continuamente ai

cambiamenti in situ.

Allo stesso tempo il rapporto tra committenza

e progettista è inconsueto: come accennato in

precedenza, in una realtà informale, nessuno

degli edifici è stato progettato da architetti e,

come sottolinea Yehuda Safran, è necessario

anche abituare il committente ad essere cliente.

Il ruolo dell’architetto è comunque quello

di attenersi alle richieste della committenza,

in modo fortemente vincolante rispetto a

quanto questo possa avvenire in un processo

progettuale consueto. La capacità di auto-

organizzarsi dimostrata dal cliente rafforza infatti

la sua “indipendenza dal ruolo dell’architetto”,

obbligando quest’ultimo ad adattarsi alle

lotto di progetto

c_15 dicembre 2009

Mahatma Ghandi Road

90 feetroad

lotto di progetto lotto di progetto

a_1 ottobre 2009

Mahatma Ghandi RoadKumbharwada Kumbharwada Kumbharwada

90 feetroad

90 feetroad

90 feetroad

lotto di progetto

b_10 ottobre 2009

Mahatma Ghandi Road

90 feetroad

90 feetroad

90 feetroad

90 feetroad

90 feetroad

1. Il cambiamento delle condizioni del lotto durante il processo progettuale

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1 4 1

richieste funzionali del proprio committente.

Lo sviluppo del progetto sarà dunque vincolato ai

cambiamenti futuri della volontà di Paul Raphael

ed allo stesso tempo alle possibilità economiche

che si presenteranno nel corso dei prossimi mesi.

Alla luce di queste considerazioni non spaventa

comunque la riduzione della superficie ipotizzata

per il progetto, poichè pare più importante il

mantenimento di una prospettiva realistica

piuttosto che la ricerca di una soluzione formale

ottimale che risulterebbe un risultato puramente

accademico.

La necessità di un’attenzione all’aspetto

economico delle scelte costruttive

L’apporto di conoscenze per lo sviluppo di alcune

soluzioni costruttive, applicate ad una tecnologia

mai utilizzata all’interno dello slum, è senz’altro

quello che emerge più chiaramente dalla

presentazione di questo elaborato.

Il proporre un metodo costruttivo completamente

distinto, ma allo stesso tempo fortemente legato

al contesto (in termini economici e possibilità di

finanziamento), è una delle chiavi di lettura più

significative. La ricerca di soluzioni costruttive

“non banali” (nel nostro caso principalmente per

la copertura e per i sistemi parete) è stato una

parte importante del nostro operato.

In queste dinamiche il ruolo che ci siamo ritagliati è

stato quello di studiare soluzioni tecnologiche che

provassero a dare risposte ad alcuni dei problemi

di comfort interno dell’edificio, immaginando

che queste potessero essere applicate, anche in

modo differente, per gli altri edifici di Dharavi.

La scelta di proporre pareti mobili, un patio

interno ed una copertura ventilata grazie ad

un’intercapedine sono nate proprio in questo

senso. La necessità di proporre soluzioni

realisticamente attuabili con il budget a nostra

disposizione ci ha allontanati dalla ricerca di

soluzioni ad alto contenuto tecnologico e ci

ha suggerito di lavorare sulle scelte costruttive

ottobre novembre dicembre gennaiode�nizione programma

costruzionefasi progettuali

svolgimento attivitàinterventi esterni

Maharastra election day

Freeman Murray

Paul back in Dharavi

police registration

police registration

drawing session

tea shop

fase II+costruzione

fase I

elezioni Maharastra

incontroFreeman

Murray

Paul in Dharavi

permesso di costruzione a posteriori

sessione di disegno

aperturatea shop

costruzione costruzione costruzione

permesso di costruzione a

posteriori

programma programma programma

programma programma programma

fase III

programma programma programma

evol

uzio

ne p

roge

tto

tempo

2. L’evoluzione del processo progettuale

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1 4 2

in modo più “concettuale”, ipotizzando che

queste potessero essere costruite con i mezzi e le

conoscenze reperibili a Dharavi.

La scelta di ipotizzare pareti mobili, che non

impediscono il surriscaldamento interno, è

diametralmente opposta a quello che avremmo

potuto proporre in un contesto più vicino a

quello italiano. Il non lavorare su pareti ad alta

inerzia termica, ma sulla possibilità di avere una

ventilazione costante dell’edificio che portasse

un maggiore comfort interno, è chiaramente una

scelta dettata dalle limitate possibilità economiche

e tecnologiche.

In un contesto come Dharavi era inoltre

improponibile disegnare dettagli di ognuno dei

componenti che avrebbero costituito la struttura

modulare del Social Club.

In questo senso, ci è sembrato molto più utile

proporre soluzioni più concettuali mosse in

direzione di principi generali di progettazione. Le

rudimentali proposte per il tetto, che ipotizzano

una raccolta dell’acqua piovana o la possibilità di

costruire una copertura verde, vanno in questa

direzione.

La scelta di concentrarsi sulle possibili soluzioni

tecnologiche, senza però approfondirle sino al

dettaglio costruttivo è una chiara risposta alle

richieste del contesto.

Non avrebbe probabilmente avuto senso specificare

ognuno dei pezzi che compongono il sistema

parete poiché, in un contesto come Dharavi, non

sarebbe realistico immaginare che queste vengano

costruite nel modo in cui sono state disegnate. La

logica del riciclo, della rapidità e della reperibilità

sarebbero infatti state più forti di qualsiasi nostro

disegno. E’ stato quindi l’input a lavorare su alcune

soluzioni facilmente realizzabili, che ci è sembrato

potesse essere un apporto utile e realistico per lo

sviluppo progettuale.

La necessità della partecipazione all’interno del

processo di progettazione informale

Il terzo aspetto su cui è sembrato possa esprimersi

un architetto a Dharavi è quello del coinvolgimento

della popolazione all’interno di processi

partecipativi.

Molte volte utilizzata come pura retorica, almeno

nel mondo occidentale, la partecipazione diviene

mezzo fondamentale a Dharavi per produrre

progetti realistici e rispettosi delle istanze locali.

Condurre un progetto partecipato è stato forse

l’unico modo per permettere a questo progetto di

fare il suo corso.

L’ “immersione” diviene quindi un’arma importante

ed una risorsa fondamentale per qualsiasi approccio

progettuale. Trovarsi a progettare in un contesto in

cui la maggior parte delle persone ha costruito la

propria casa senza l’aiuto di nessun architetto fa

riflettere su quanto sia possibile imparare per un

architetto dagli abitanti locali.

La partecipazione emerge così nella scelta del

programma dell’edificio, ma anche nella ricerca

delle soluzioni costruttive stesse.

L’attenzione al singolo tassello in risposta ai

masterplan su una tabula rasa

L’ultimo aspetto che è possibile sottilineare

all’interno del nostro lavoro va oltre al processo

progettuale in sè.

Il lavorare su un progetto così piccolo all’interno

di Dharavi significa credere (ed allo stesso tempo

incentivare) in una forma di sviluppo e di incremento

che nasce dalla popolazione. Significa, in un certo

senso, rispettare un meccanismo sviluppatosi

nel corso di molti decenni e che oggi permette di

vivere a milioni di persone a Mumbai ed a miliardi

di persone in molti dei paesi in via di sviluppo.

L’attenzione al singolo tassello sposta

completamente il tema della discussione: non

più la necessità di un masterplan per risanare

un’area fortemente degradata, ma la proposta di

incrementare e migliorare una situazione esistente

che, con tutti i limiti elencati, sembra poter

funzionare.

Con la speranza che il governo centrale del

Maharashtra e la municipalità di Mumbai inizino a

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fornire finalmente le infrastrutture adatte a questa

parte di città, lo sviluppo di Dharavi lungo le linee

tracciate sino ad oggi non appare infatti così

improbabile.

Il tessuto urbano che si è venuto a creare a Dharavi

offre qualità difficilmente riscontrabili all’interno

della città formale: la vicinanza dei legami familiari,

la creazione di nagars con un forte senso di

comunità, la possibilità di trovare lavoro all’interno

dei sistemi di produzioni locali, l’apparente facilità

con cui convivono persone di religioni differenti,

sono tutti aspetti che non vanno dimenticati in

un’analisi attenta della situazione dello slum.

L’approccio a tabula rasa, che forse consegnerebbe

a Mumbai un nuovo quartiere residenziale per la

classe media, cancellerebbe prima di tutto questi

meccanismi oltre che un tessuto storico non così

distante dai centri storici medioevali delle città

europee.

Inoltre non risolverebbe il problema della diffusione

degli slums a Mumbai. Infatti, la percentuale di

persone attualmente residenti a Dharavi che

potrebbero permettersi di vivere in futuro in uno

degli edifici proposti dai piani di risanamento

sarebbe molto bassa. Gli esclusi probabilmente si

muoverebbero in un’altro terreno vacante della

città tornando a creare nuove sacche di povertà e

nuovi slums.

Il fatto che gli architetti provino ad intervenire

dunque sul tessuto esistente anche con piccoli

interventi inseriti nel contesto, e non attraverso

masterplan azzardati, tiene viva l’attenzione sulla

ricerca di una forma urbana differente da quella

delle torri residenziali che hanno invaso Mumbai

negli ultimi anni.

Non si tratta di una contrapposizione tra high-rise e

low-rise, con un rifiuto a priori degli edifici alti, ma

della necessità di ipotizzare un futuro per quest’area

che possa comprendere anche i suoi residenti

attuali, tenendo conto delle loro aspettative e delle

loro possibilità/necessità economiche.

E’ forse questo l’insegnamento più importante che

un architetto possa ricevere lavorando a Dharavi e

allo stesso tempo l’apporto più grande per garantire

la sopravvivenza di questo meccanismo.

Il fatto che ognuna delle linee disegnate coinvolga e

si inserisca in una società già fortemente strutturata

e caratterizzata da un altissimo livello di complessità

non può essere ignorato o, peggio, disconociuto.

Lo sviluppo di un piccolo progetto su un lotto

di poche decine di metri quadrati all’interno di

New Transit Camp serve dunque anche questo: a

promuovere una strada differente rispetto a quella

ad oggi tracciata dal Dharavi Redevelopment Plan.

Page 145: tesi magistrale in Architettura

1 4 4

La suddivisione della bibliografia in macrotemi, riportati nell’ordine in cui compaiono nell’elaborato, è stata pensata per facilitare un’eventuale ricerca successiva su contenuti che risultano essere di base alla trattazione e per facilitare il lettore nell’eventuale approfondimento di alcuni di questi.

Sull’India e Mumbai:*

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_Assadourin, E., State of the world 2006 : rapporto sullo stato del pianeta, focus Cina e India, rapporto

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_Rampini, F., La speranza indiana, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2007.

_London School of Economics (a cura di), Urban India: understanding the maximum city, London,

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_Rampini, F., L’impero di Cindia : Cina, India e dintorni, Milano, Mondadori, 2006

_Mehta,S., Maximum city. Bombay città degli eccessi, Einaudi, Torino, 2006.

_Torri, M., Storia dell’India, Bari, Laterza, 2000

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_Correa ,C., Frampton, K., Charles Corres, London, Thames and Hudson, 1997.

_Correa, C., Housing and Urbanization: Building Solutions for People and Cities, London, Thames &

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_Tindall, G., City of Gold, 1992, New Delhi, Penguin Books, 1992.

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bibliografia

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_Kamla Raheja Vidyanidhi Institute of Architecture di Varanasi (KRIA) (a cura di), Creating a new masterplan

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Page 147: tesi magistrale in Architettura

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www.pukar.org, www.dharavi.org, www.urbantyphoon.com www.urbanology.org,

www.urbz.net, www.airoots.org, http://squattercity.blogspot.com/, http://mumbai-magic.blogspot.com/

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Reader ‘08, Mumbai, UDRI, 2009.

_Patel S., Arputham J., Burra S., Savchuk K., Getting the information base for Dharavi’s redevelopment in

Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘08, Mumbai, UDRI, 2009.

_Phatak V. K., Dharavi redevelopment plan. Abuse of legal provisions in Urban Design Research Institute (a

cura di), Mumbai Reader ‘08, Mumbai, UDRI, 2009.

_Echanove M., Srivastava R., The tool house in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader

‘08, Mumbai, UDRI, 2009.

_Jain U., How big is too big Mumbai in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘07,

Mumbai, UDRI, 2008.

_D’Monte D., The Highrise hang-up in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘07,

Mumbai, UDRI, 2008.

_Phatak V.K., Developing land and real estate market in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai

Reader ‘07, Mumbai, UDRI, 2008.

_Ghandi S., Housing Mumbai’s poor in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘07,

Mumbai, UDRI, 2008.

_Patel S.P., Sheth A., Panchal N., Urban Layouts, densities and the quality of urban life in Urban Design

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_Sharma K., Sealing Dharavi’s fate in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘07,

Mumbai, UDRI, 2008.

_Srivastava R., Echanove M., Dharavi 2025 in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader

‘07, Mumbai, UDRI, 2008.

_Bombay First- McKinsey Report (a cura di), Vision Mumbai: Trasforming Mumbai in a world class city in

Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘06, Mumbai, UDRI, 2007.

_Bharucha N., Who owns Mumbai? in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘06,

Mumbai, UDRI, 2007.

_Hagn A., Situation of informal settlements in Mumbai in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai

Reader ‘06, Mumbai, UDRI, 2007.

_Joshi P., Slums. A solution to the housing problems in Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai

Reader ‘06, Mumbai, UDRI, 2007.

Page 148: tesi magistrale in Architettura

1 4 7

ringraziamenti

Un grazie a Matias e Rahul, collaboratori appassionati che con la qualità del loro approccio mi hanno

aiutato a capire che cosa si nascondesse dietro la parola slum appiccicata a Dharavi.

Grazie a Bhau, per le chiacchierate sul futuro di Dharavi e per le continue critiche al nostro operato.

Grazie ad Alberto, per l’esperienza condivisa ed il lavoro svolto insieme.

Grazie a tutti gli amici e le persone che ho incontrato durante questi anni di università e che, insieme agli

amici “storici”, hanno reso questo periodo davvero indimenticabile.

Un grazie particolare alla mia famiglia, per avermi permesso di concludere gli studi in tranquillità e per

l’incitamento che non mi ha mai fatto mancare durante questi anni.

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Appendici

Testi:

I. The tool houseArticolo pubblicato in MR ‘08 a cura di Matias Echanove e Rahul Srivastava

II. The Tokyo Model of Urban Development. Lettera all’attenzione della SRA di Matias Echanove

III. Learning from DharaviPost pubblicato su airoots.net a cura di URBZ.

Biennale di Rotterdam:

I. Exhibition Design IV International Rotterdam Biennale_sezione Parallel CasesIl layout dell’installazione

II. Il materiale esposto alla IV International Architecture Biennale RotterdamCoexistance as survival. Enhancing informal synergies in the communities of Dharavi, Mumbai

Page 151: tesi magistrale in Architettura
Page 152: tesi magistrale in Architettura

1 5 1

One of the most enduring artifacts of pre-industrial society in contemporary times is the tool-house;

the habitat of the artisan where work and residence co-exist amicably. Conceptually located between

Le Corbusier’s machine for living and Ivan Illich’s convivial tool, the tool-house is an apparatus fulfilling

economic and sheltering purposes.

In the past, production practices took place mostly in the artisanal homes of rural areas, while cities

were political and trading centers. Today, in a post-industrial hyper-urbanized era, versions of the

tool house can be found in an artists loft, a web-designers den, a hidden restaurant in an immigrant

enclave or in an up-market artisanal shopfront behind which an old family continues to perform a

traditional occupation.

Tool-houses can be found across cultures and socio-economic backgrounds. Middle-class homes in

housing colonies often double up as clothes stores over the weekend while their kitchens service

huge clienteles. Parisian hôtels particuliers are conceived to provide a range of professional services

for their owners and guests, acting as semi-private salons and gentleman’s clubs.

Yet, as a structure epitomizing such dual use, the tool-house, does not have the legitimacy it deserves.

In fact in many places it is considered outdated, or worse, an invalid urban form, thanks to strict

zoning laws and rigid conceptions of urban order. With the universalizing principles of the industrial

revolution becoming mainstream, homes and workspaces have been decisively cut off from each

other.

The modern city emerged through an atomic division of functions which had for long cohabitated in

space and time. As working and living became spatially segregated, they also started being regimented

along temporal lines. When the self-employed artisan became a factory worker he splintered his

workshop-home and his days. He would have to commute to a separate place and compartmentalize

his time in strict schedules demarcating work and leisure time. Ever since, the practice of separating

The tool houseArticolo pubblicato in MR ‘08 a cura di Matias Echanove e Rahul Srivastava I.

Page 153: tesi magistrale in Architettura

1 5 2

residences from places of manufacture has shaped much of the way we think of cities, work, and

time. In particular, the organizing of space according to these principles became the main purpose of

urban planning.

In practice however, several parts of the urban world are littered by sprawling collections of built-

forms that do not reflect this neat divide. In fact informal settlements around the world are the

best expressions of the enduring presence of the tool-house. The reason for its resilience is basic

economics. In a context where more than 40% of people are self-employed, and urban development

keeps pushing up the price of space, the home needs to double up as a productive site. In low income

neighbourhoods, it is not uncommon to find a small tool-house partially rented as storage space,

used as a shop in the front and as a workshop space in the back in addition to serving as a shelter

for an extended family. Interestingly, several economic commentaries these days talk of the return

of the home-based workspace (in the US this is supposed to be a good anti-dote to outsourcing)

and the re-emergence of the post-industrial artisan. The contemporary world is proving to be a live

exhibition space for different eras and epochs to be displayed, with regard to the world of industry

and commerce.

With a little bit of imagination, a walk through any Mumbai slum also becomes a trip through a

moment in the dawn of the industrial revolution. When the economic regime had still not drawn the

rules of how we should live, work and sleep. Several of Mumbai’s informal settlements are shaped

by the contours of the tool-house. You can see every wall, nook and corner becoming an extension

of the tools of the trade of its inhabitants, where the furnace and the cooking hearth exchange roles

and sleeping competes with warehouse space, with eventually a cluster of tool-houses making for a

thriving workshop-neighbourhood.

Unfortunately, in spite of the way things actually unfolded, perceptions about industrial society were

often limited. The movement from the home to the factory was mostly described as representing

progress for humanity, and measured in terms of output increase. The discourse looked at the village

as a counterpoint to the city, and as being culturally and economically backward. Not surprisingly,

over the last century, it is agriculture more than any other economic activity that has been scaled up

to fit the requirements of the industrial age.

Voices such as Gandhi’s were a few of the critical ones that questioned such narratives. His vision of

rural India was essentially an artisanal one – with the tool of the charkha becoming a potent symbol,

linked to narratives of economic self-sufficiency in a colonial age dominated by the frenzy of industrial

production. However, rather than isolating the space of the artisan, Gandhi’s vision encapsulated a

totalizing notion of rural self-sufficiency and located the village exclusively within this landscape.

A look at the living conditions of contemporary rural India reveals that Gandhi’s vision is desperately

lost. Yet, if we turn our eye to our much decried dirty and messy cities, we actually see post-industrial

versions of the village form flourishing in all kinds of ways. It would not be too much of a stretch to say

that if the Gandhian village was the soul of his India, the tool-house was actually its heart. If we detach

the village from its exclusive rural setting and accept it as a valid urban form, we soon realize that one

of its most persistence features, the artisanal home, deserves much greater attention.

Through the twentieth century, the modernist urban imagination was firmly tied to the industrial

age, even though in actual experience, processes of living, production of goods and the evolution of

structures were discontinuous and fragmentary. Formal and informal economic practices have co-

existed in several ways. Manual energy has supported mechanical energy and vice versa. Yet, the

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idealized vision of this age was always one that saw human scale economic operations as redundant,

or on the verge of disappearance. The reality is absolutely to the contrary. A lot more production

takes place in informal settlements with a combination of manual and mechanical energy than we

would like to acknowledge. Cheap human labour is what energizes and subsidizes such a gigantic

economy as India. A substantial amount of that energy is located in informal settlements, slums and

urban villages, and a million tool-houses where massive and decentralized production processes take

place.

The reason why urban landscapes formed by tool-houses are so crucial for urbanists is that it makes

explicit the relationship between production, livelihood and spaces that expresses the lives of more

than half of humanity. Not to be able to see this dimension in slums reveals a terrible lack of imagination

and aborts the complex and organic evolution of urban forms.

In reality – tool-house landscapes indicate a need for a sharp restructuring of the way in which labour,

work, and capital are understood in the post-industrial city. They can help us to concretely visualize

a future in which the dated dichotomy of the formal and the informal organization of production

and services is transcended. Where the new spatial-temporal order that internet-based and mobile

communication technologies have introduced in our lives are acknowledged, and the complex

dialectic between the artisanal/organic, decentralized and industrial mass-based product in the

contemporary economy is recognized.

Cities of the future can keep being formed by the empty development and one-dimensional growth

of real-estate development or they can rearrange themselves in less predicable ways following our

aspirations and localized needs. Where urban development is left to local actors we observe the (re)

emergence of live-work spaces that are in fact less dehumanizing than the housing block and its twin

office tower that are being systematically promoted by urban developers all across the ideological

spectrum – from real estate investors to NGOs, passing by the government, as the only acceptable

way towards modernity.

It might be time to acknowledge that for all its lack of infrastructure and overcrowding, several

informal settlements reveal a trend that can be well integrated into a post-industrial landscape. They

will then emerge not as much slums in dire need for redevelopment but as a highly successful model

of bottom-up development, with the tool house being at the core of its system.

The Dharavi Redevelopment Project’s latest design produced by Mukesh Mehta – that accommodates

the recommendations of a panel of experts – pretends to respect the living and working conditions as

epitomized in the tool-house dominated landscape of the neighbourhood. Actually it only reinforces

a segregation by superimposing economic and residential functions onto each other, in distinct

layers.

The fact of the matter is that the logic of the tool-house is intimately linked to the larger economic

context of informality, decentralized production and the subsidizing of costs by using space in

complex and layered ways. It is organically connected to the unit of the family, the community and

the persistence of the village form in the modern metropolis. By ignoring these complexities, the

attempts at making over Mumbai’s informal settlements will simply not hold water.

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The Tokyo model of urban developmentLettera all’attenzione della SRA a cura di Matias Echanove II.

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1. Can’t Picture it: Demographic surveys and enumerations lie. They cannot possibly tell the truth

about the number of people coming, going, living, working, renting, subletting and encroaching.

Dharavi can only be effectively grasped on the ground and in real-time.

2. Many Dharavis: Dharavi is a collection neighbourhoods, each with their own specialities, languag-

es, activities, festivals, rituals and aspirations. Each follow its own organizational logic.

3. Dharavi is not Poor: Dharavi is an Indian success story. It is full of opportunities. It doesn’t matter

how small one starts, as long as one is allowed to fulfill one’s potential. That’s what Dharavi has meant

for hundreds of thousands of people.

4. Artisanal City: Dharavi strives on artisanal energy. A house is an object like any other. To build one

you need knowhow and materials. Dharavi is not an architect’s city by any means and yet architects

are fascinated by it for this very energy it exudes.

5. Do it Yourself or Die: Landing up in Dharavi means having a foot in the door to India’s wealthiest

city. Migrants either exploit it to the maximum (sometimes all the way to the top) or get their foot cut

off.

6. A Cluster of Tool-houses: In Dharavi virtually every home doubles up as a productive space. A

tool-house emerges when every wall, nook and corner becomes an extension of the tools of the trade

of its inhabitant. When the furnace and the cooking hearth exchange roles and when sleeping com-

petes with warehouse space.

III.Learning from DharaviPost pubblicato su airoots.net a cura di URBZ

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7. Reading Dharavi’s Palm: Dharavi’s history can be read through its streets, they are like the lines of

the hand. It reveals a history of incremental development configured through the biography of each

migrant, family, or community that ever moved in.

8. Dharavi is a Mangrove Forest: Architecture, social networks, and economic activity are irremedi-

ably enmeshed, like the roots and branches of a mangrove. Destroy one and you destroy the others.

Let one grow, and you develop everything.

9. Forest Economy: Like all jungles, Dharavi is full of resources for those who know how to hunt and

gather. Dharavi is a knowledge and skill based economy.

10. Density is Wealth: If there are enough people passing by, (and there always are) – you’ll always be able to sell something to someone. Density means opportunities and Dharavi is Super Dense.

11. Space = K: Space is capital, human energy is capital, relatives, neighbors and community mem-bers are capital. Capitalize and maximize whatever you’ve got – that is Dharavi’s byline.

12. Las Dharavegas: Dharavi follows the same

logic of hyper exploitation of space, people and

opportunities as Las Vegas. Aesthetically, how-

ever, it is vastly superior to Las Vegas. Humanly

even more so.

13. My Sweatshop: Dharavi is the libertarian

version of totalitarian Chinese sweatshop, pro-

ducing just as much with a decentralized web of

producers. Just as exploitative but allows more

individual mobility and initiative.

14. Live/Work or Leave Work: Work at home if

you can afford it. If you can’t then live at work. Ei-

ther way no space can have just one function, un-

less it is sacred space. Gods and spirits need some

privacy.

15. Intimate with Neighbours: Intimacy means

everyone knows about everyone’s life. You are in-

timate with your neighbors for better or worse.

16. Hell is the Other People: Hell is other people and Dharavi is loaded with other people from all

over India. The relations are conflictual but without violence (usually). At the end the bazaar keeps

the goodwill flowing.

17. Fractal Social Fractures: In Dharavi you find refuge in your community and family only to find out

that they are a fractal image of whatever lays outside them. Social networks are not smooth. Dealing

with them only means more creative and pragmatic solutions rather than the bourgeois sense of cor-

rected consensus.

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18. Mess is more: Neighbourhoods that looks messy and backward at first sight are often instead

complex, dynamic and resolutely contemporary. The karmic potential of Dharavi is realized in Tokyo’s

periphery. Dharavi shares its history of incremental development, its low-rise high-density typology

and labyrinthine street patterns with many of Tokyo’s neighbourhoods.

19. With Love From Dharavi: Some say it has the charm of European old towns. Yes, the very same

“romantic” old towns that we all love. Did they look as pretty back then when they had open sewage

systems?

20. The Village Inside: Dharavi is made of the same urban fabric that can be found in many artisan

villages and smalls town in India, just much more of it. Scratch the surface and you’ll see the village

emerge, almost intact.

21. Invisible Ties: Dharavi’s biggest strength in tangible terms is community/caste ties. Shrines and

sacred spaces abound in Dharavi indicating this connection. They evoke old cultural trajectories and

support systems.

22. Dharavi Development Project: Dharavi is already developed, it doesn’t need to be redeveloped.

It simply needs the same add-on civic infrastructure that is available in any other part of the city. The

Dharavi “Redevelopment” Project means stopping its on-going development and kicking hundreds

of thousands of people out in the streets of Mumbai and throwing them into a situation of penury.

They will move to another slum or start a fresh one, making Mumbai worse off.

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IV International Rotterdam Biennale_sezione Parallel CasesIl layout dell’installazione IV.

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New Transit Camp Social Club

Po l i te c n i co d i To r i n ote s i d i l a u re a m a gi s t ra l e a rc h i te t t u ra ( co s t r u z i o n e )

s t u d e n te :Fra n ce s co S t ro cc h i o

re l ato re : M i c h e l e B o n i n o

co r re l ato r i :M at i a s E c h a n oveS u b h a s h M u k e r j e eR a h u l S r i va s t ava

Un processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai

Why is it useful that Western architects work on places like Dharavi? Architecture is not unlike the idea of a just world.Just as a just world can be divided but has to be observed universally, so is architecture. If we can not provide for the super poor we will not be able to provide for the less poor.Most people live in the ignorance of the interdependence of one group on another. The relative wealth of Milano and Boston is closely related to the relative poverty in Mumbai and Lagos. If we could help set up a model of conduct in Mumbai, much else every where would effected.There is a world wide reciprocity which if we will ignore, it will be to our peril.

Yehuda Safran

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L’idea di progettare dentro Dharavi è forse una delle scommesse più stimolanti che potessero esserci proposte. Nel momento in cui siamo partiti dall’Italia l’idea di dover sviluppare un masterplan appariva come una sfida ardua, ma allo stesso tempo come il rischio di una proposta effimera che sarebbe sfociata in un progetto accademico distante delle dinamiche informali.La proposta avanzata da Matias Echanove e Rahul Srivastava, membri fondanti di URBZ, è stata invece di lavorare su un progetto reale, con un committente ed un budget reali su un piccolo lotto all’interno di New Transit Camp.Il porsi davanti ad un progetto di piccola scala, drasticamente costretto e limitato dalle condizioni al contorno, ci ha catapultati in un’ ottica di lavoro completamente differente. Come spesso accade per molti progetti di architettura, la difficoltà di essere posti di fronte a problemi che necessitano di output chiari e rapidi è divenuta per noi un vantaggio che ci ha tolti dalla situazione di empasse, non così voluta, di proporre un nuovo sviluppo per Dharavi.Ipotizzare soluzioni semplici e low cost, tenendo conto dei ragionamenti ereditati dall’installazione alla Biennale di Rotterdam, è divenuto un problema reale al quale era necessario dare risposte rapidamente.Progettare dentro Dharavi si è così rivelata un’esperienza completamente differente rispetto al farlo in qualsiasi altra parte del mondo (almeno

se per mondo si intende quello costruito formalmente). L’essere all’interno di una parte di città in cui praticamente nessuno degli edifici che ti circondano è stato progettato su carta pone interrogativi interessanti su quale debba essere il ruolo dell’architetto.La narrazione del processo è in realtà la parte ai nostri occhi più interessante di questo lavoro, più interessante anche dell’output progettuale in sè. Questo è infatti criticabile a livello formale e potrebbe forse essere stato risolto in maniera più brillante in alcune scelte tecnologiche, ma è in realtà solo una delle infinite soluzioni che l’architettura può proporre, non necessariamente giuste o sbagliate a priori, ma figlie dei processi e dell’ambiente in cui queste nascono.Restano quindi almeno due eredità importanti come risultato di questo lavoro accademico: da una parte la documentazione di un processo informale che è diametralmente opposto a quello per cui siamo stati preparati in questi anni di studio, che non bada ai regolamenti edilizi e che è profondamente radicato alle necessità della committenza in senso allargato. Inoltre resta l’idea di un differente approccio dell’architetto di fronte al tema della riqualificazione degli slum.

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