Stefano Guerrini - Fashion Report 02

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FR Made with style Fashion Report Men fashion according to: Bally, Bray Steve Alan, Dondup, Maria Luisa Frisa, Giuliano Fujiwara, Leitmotiv, Gaetano Navarra #2

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Fashion Report

Men fashion according to: Bally, Bray Steve Alan, Dondup, Maria Luisa Frisa, Giuliano Fujiwara, Leitmotiv, Gaetano Navarra

#2

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Qui in alto ritratto dello stilista Gaetano Navarra; a sinistra bozzetto della collezione p/e 2010; in basso e nella pagina a fianco immagini della collezione maschile a/i ’09-’10

12DR Gaetano Navarra: da Bologna alla

conquista del mondo

Stefano Guerrini

A guardare il curriculum vitae di Gaetano Navarra si rimane colpiti dai molti nomi importanti che appaiono, dalle tante esperienze in cui lo stilista si è cimentato in un percorso di crescita che lo ha portato oggi ad essere uno dei nomi più interessanti che sfilano a Milano. Eppure la sua storia non inizia af-fatto nel capoluogo lombardo, ma nella natia Bologna, dove tuttora Navarra risiede. Della sua città d’origine lo stilista ha fatto propri i fermenti culturali più d’avanguardia, la propensione per la sperimentazione, che si sommano ad una istintiva passione per l’eleganza, maturata nell’azienda di famiglia in cui entra giovanissimo. Una sua prima linea di prêt-à-porter in maglia, presentata dal 1986 al 1991 nell’ambito di Milano Collezioni, lo fa subito notare, a indos-sare sulla passerella le sue creazioni sono le top dell’epoca, da Linda a Naomi, poi per otto anni è nel team stilistico del Gruppo Genny e gli viene affidata la responsabilità della linea omonima, per due anni la Direzione Artistica dello spazio Tendenze di Pitti Filati, la consulenza per la linea di Calzature Donna di Sandro Magli e nel 2001 l’intesa con il Gruppo Les Copains, per il quale inizialmente disegna le collezioni Les Copains Blu e Les Copains Jeans, che diventa poi una vera joint venture, a fronte della necessità di assicurare strut-ture e risorse adeguate alla crescita del suo marchio. Con la stessa finalità di espansione l’importante accordo di partnership tra Gaetano Navarra e Billy Ngok, Presidente di Hembly International Holdings, del 2008.Accanto alla linea donna che porta il suo nome, è nata nel 2004 anche quella maschile, che subito si caratterizza per creatività, voglia di giocare con uno stile innovativo, che renda più estroverso e vario il guardaroba dell’uomo contem-poraneo. Se nelle ultime collezioni femminili lo stilista si è dedicato ad uno studio dei volumi, con abiti, dalla costruzione spesso enfatizzata e sostenuta, che citavano gli anni ottanta o le atmosfere futuribili di un film come ‘Blade Runner’, per la linea maschile troviamo suggestioni artistiche, nell’ispirazione a Basquiat o al senso del colore di Schnabel, riferimenti all’universo giovanile raccontato fotograficamente da Bruce Weber nel suo ‘Branded youth’ e alla way of life della West Coast americana. Sulla passerella per l’autunno/inverno 2009-2010 sembrano invece essersi mescolati i cromosomi di Heinrich Harrier, lo scalatore di ‘7 anni in Tibet’, e quelli di David Sylvian, leader dei Japan, di androgina bellezza, il tutto tradotto in una collezione dove a farla da padrone è il total look knitwear, accanto ad accenti più marcati sulla sartorialità, con capospalla corti e ravvicinati al corpo, pantaloni ampi sino al ginocchio, con pinces in quantità, poi stretti sino alla caviglia.Incontriamo Gaetano Navarra per scoprire qualcosa in più del suo mondo.

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Innanzitutto partiamo dalla figura maschile di Navarra. Alcuni suoi colleghi hanno spesso sostenuto che la moda maschile è poco creativa. Lei invece sembra apprezzarla, le sue collezioni sono sempre interessanti, di ricerca, c’è la voglia di vedere l’uomo in

maniera meno banale. Sbaglio? Sicuramente chi sostiene che la moda maschile sia più statica rispetto a quella femminile è chi pensa ad un uomo molto classico. Se invece ci si rivolge ad una figura che per scelta decide di non essere formale, succede l’esatto contrario: le strade da percorrere si moltiplicano, sono più ampie e meno “battute”. Nell’abbigliamento maschile c’è ancora tanto da fare e da scoprire e sono altrettanto certo che basti molto poco per non essere banali.

Si immagina il compratore di questa linea? Che uomo è?

Come si può essere innovativi in questi anni? Dove va la ricerca in ambito moda, secondo lei?

Oggi l’unico modo per essere innovativi è avere il coraggio, stagione dopo stagione, di cambiare totalmente i codici del vestire, facendosi onere di ciò che queste scelte comportano. La ricerca della moda si fa sempre più estrema, nel senso che il consumatore sa bene ciò che vuole. Ad esempio: si cercano tessuti che corrispondono a particolari esigenze climatiche o a necessità di manutenzione dei capi. Con un occhio sempre attento ai prezzi.

L’uomo che indossa Gaetano Navarra è una figura molto “libera”, che non teme di apparire, né intende scivolare in uno stile teatrale o molto costruito, pensato. Propende piuttosto per qualcosa di casuale, personale e in armonia con il proprio corpo e il proprio umore. L’ uomo Gaetano Navarra è un personaggio “volubile”, che ama presentarsi ogni giorno in maniera diversa: magari non sa bene come vuole apparire, ma sa bene chi e cosa non vuole essere.

Mi racconta l’autunno/inverno al maschile di Navarra?Rispetto alle stagioni precedenti, quello per l’autunno/inverno prossimi sarà un uomo un po’ più formale, anche se nel DNA della collezione rimangono molto forti le contaminazioni street-wear. Abbinate a qualcosa di classico creano un mix che rivela “un nuovo stato di apparente casualità”.

Può darmi qualche anticipazione invece della collezione per la p/e 2010? Per la primavera/estate posso anticipare che sarà un uomo in bianco e nero, molto anni ’80, decisamente diverso da quello della precedente stagione.

Come deve essere un uomo per essere elegante oggi? Mi da la sua personale interpretazione del concetto di eleganza?

Un uomo non deve assolutamente fare nulla per essere elegante, in quanto

Lei disegna una collezione uomo e una donna. Nascono insieme? Come dialogano fra di loro?Le due collezioni nascono in tempi diversi unicamente per motivi industriali. A volte si incontrano e altre volte viaggiano su binari paralleli, ma la cosa fondamentale è che raggiungano la stessa meta.

Lei ha sempre preferito la passerella. Ha ancora senso questo modo di presentare le collezioni, in un momento di crisi come questo?

Credo fortemente che la passerella sia sempre il modo per presentare al meglio le proprie collezioni, perché oltre all’oggettivo fatto di mostrare i capi indossati, si possono fare percepire sensazioni grazie al sound, alle modelle, alle acconciature, agli accessori. La sfilata è il messaggio preciso che si vuole comunicare. Facendo riferimento alla crisi in corso, trovo a dir poco inelegante avere tra il pubblico decine di calciatori e veline e altri personaggi più o meno famosi, che garantiscono la loro presenza, unicamente dietro cospicue somme di danaro.

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Parlando di questo momento difficile che stiamo attraversando, quali scenari futuri si prospettano secondo lei per la moda? E, legandomi a questo, la gente è ancora interessata

alla moda?Io credo che la gente sia ancora sensibile alla moda, anche se in un modo molto diverso dal passato. Oggi il consumatore acquista oltre a ciò che gli piace, ciò che si può permettere. E oggi anche questo è moda, cioè un aspetto importante che dobbiamo considerare.

Ha ancora senso il concetto di lusso in questo momento secondo lei?Oggi lusso è una parola che si può legare a molte cose. C’è chi ritiene che oggi il vero lusso sia la bellezza, chi ritiene che siano sempre i gioielli, chi le mete esotiche in resort a 5 stelle. Personalmente ritengo che il vero lusso sia l’autista!

Viene da una città lontano dal circuito classico di moda. Quanto le sue origini emiliane l’hanno influenzata? Bologna è ancora capace di stimoli per il suo lavoro?

Sono molto orgoglioso, dopo tanti anni, di essere riuscito a non lasciare Bologna, alla quale sono molto legato. E’ una città meravigliosa, ha l’università più antica del mondo ed è piena di giovani. Si respira un’aria “leggera”, sia di giorno sia di notte, e avere la possibilità di essere circondati da gente di così diverse provenienze è sicuramente un grande stimolo per il mio lavoro. Non ultimo, è sufficientemente lontana dalla capitale della moda e quindi spesso posso essere esonerato dal partecipare a feste ed eventi di cui faccio volentieri a meno.

l’eleganza è un attributo che si ha, è inutile cercarlo in un abito. Il mio personale concetto di eleganza è quello di trovare assoluta armonia, tra ciò che si è, ciò che si indossa e come si decide di apparire.

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20DR Una chiacchierata di stile con Maria

Luisa Frisa

Stefano Guerrini

Molti sostengono che la moda maschile sia difficile, per i canoni restrittivi a cui è sottoposta, altri invece proprio

per le barriere si sentono stimolati. Secondo lei perché la figura maschile quando si parla di stile sembra così ‘statica’? Corretto pensare, rispetto ad altri momenti storici, che l’uomo non abbia il coraggio di essere più

creativo nel vestire?Io direi che la moda maschile non è difficile, è diversa. L’uomo solo apparentemente si veste sempre allo stesso modo. Si dice che è statico solo per abitudine. I canoni restrittivi a cui è sottoposto gli permettono di fare suoi degli elementi personalissimi di puntualizzazione che diventano stile. Pensiamo alla figura del dandy che usa una divisa molto precisa, su cui agisce con delle trasgressioni, degli sbagli che diventano immediatamente dei particolari di stile. Ricordiamo Jean Cocteau con i polsini della camicia piegati sulle maniche della giacca, oppure Gianni Agnelli con la cravatta sul pullover. Icone alla cui incisiva eleganza è difficile affiancare una figura femminile altrettanto forte. Ma se parliamo del nostro oggi, mi sento di affermare che l’uomo è molto più creativo della donna. È nella moda maschile che sono avvenuti i veri cambiamenti ed è l’uomo che ha coraggiosamente cambiato la sua immagine. Pensiamo ai capelli: i tagli, le pettinature più interessanti e di ricerca sono tutte maschili. Le donne oggi sono solo preoccupate di avere i capelli lunghi e lisci. E ancora sono le riviste di moda maschile quelle che molto spesso hanno i servizi più interessanti e ricchi di suggestioni.

Maria Luisa Frisa è direttore del Corso di Laurea in Design della Moda presso la Facoltà di Design e Arti di Venezia (IUAV), incarico prestigioso che appare come giusto proseguimento di un percorso poliedrico, che dagli anni ottanta ad oggi l’ha messa in evidenza come una delle figure più interessanti che lavorano in Italia, a livello internazionale, con la moda e con quelle discipline che trasversalmente si relazionano ad essa. Una laurea in Storia dell’Arte presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze, nel 1984 Maria Luisa Frisa fonda con Stefano Tonchi la rivista ‘Westuff’, che poi diventa ‘Emporio Armani Magazine’, segnando profondamente lo stile di quegli anni e influenzando fino ai giorni nostri il lavoro di stilisti e fotografi di moda. Particolarmente interessata ai continui sconfinamenti tra le arti, il design, la comunicazione, cerca di restituire in progetti interdisciplinari la complessità dell’immaginario contemporaneo. È curatore di mostre di moda, ad esempio ha ideato nel 2004 con Stefano Tonchi il libro e la mostra alla Stazione Leopolda di Firenze “Excess. Moda e underground negli anni Ottanta” e con Raf Simons e Francesco Bonami la pubblicazione “Il Quarto Sesso. Il territorio estremo dell’adolescenza”. Come giornalista col-labora con ‘L’Espresso’ e ‘Domus’. Incontriamo Maria Luisa Frisa e subito siamo colpiti dal suo modo di abbigliarsi: la pettinatura quasi punk, a testimonianza di una personalità dalle molte sfaccettature, l’outfit nero, un Comme des Garcons d’epoca, così di moda, ma così lontano dalle mode, e i tanti bracciali, forse ricordi di viaggi e di momenti intensi, una sorta di armatura, di cocooning personale, o almeno così sospet-tiamo. Poi a entusiasmarci è il suo sguardo preciso e acuto sullo stile, come dimostra in questa intervista.

È possibile sostenere che il costume al maschile sia stato influenzato in qualche modo dai grandi cambiamenti e successi che la donna ha ottenuto nel Novecento? Ha

ancora senso il concetto di ‘Grande Rinuncia’?Se per grandi successi che la donna ha ottenuto nel Novecento pensiamo a quelli che l’hanno emancipata e l’anno resa più libera rispetto al sesso, alla carriera e alla sua vita privata, dobbiamo registrare che ha dovuto assumere comportamenti e atteggiamenti maschili. Dal liberarsi da corsetti e altre forme di costrizione come ha indicato l’indipendente Coco Chanel all’inizio del secolo scorso, fino ad arrivare in pieno femminismo a bruciare i reggiseni. Per poi trovare nell’abito mas-chile, e in questo dobbiamo ricordare la rivoluzione di Giorgio Armani, l’abito/divisa che le permetterà di sedersi ai Consigli di Amministrazione con la stessa grinta maschile che le regalano le spalle

Quali ritiene siano le grandi icone al maschile dei nostri anni?

Sono infastidita da quelli che decidono di essere icone di stile e coltivano vezzi e tic in un vestire affettato al limite del ridicolo. Mi piacciono coloro che hanno uno stile naturale, che nasce da una disciplina al confine con la rinuncia. Da un progetto complesso. Oggi la situazione è fram-mentata, polverizzata. Non ci sono grandi icone di eleganza. Ci sono molti individui che vestono in modo personale e interessante, tra questi metto due amici: Stefano Tonchi e Angelo Flaccavento. Ma metto anche Obama, un dressing-down informal, autorevole per il modo in cui è inestricabilmente legato a una maniera di indossare e performare la propria identità. Per anni si è citata la ‘strada’ come fonte di ispirazione.

Secondo lei i movimenti giovanili e la street culture influenzano le passerelle o è vero il contrario?

Direi che ancora oggi la strada, ma come viene schedata dai blog, è uno straordinario luogo di ispirazione. Le passerelle sono omologate da un concetto devastante di marketing. Non parliamo poi dei red carpet, dove il potere della moda ha ucciso l’eleganza come ricerca e unicità.

Quali sono secondo lei i designer più innovativi per il menswear al momento? Chi sta dicendo qualcosa di

nuovo?A me interessa chi riesce a innovare la silhouette, a dare nuove proporzioni a corpi sempre in trasformazione. Grandi apripista che hanno cambiato radicalmente l’immagine maschile sono stati Raf Simons e Hedi Slimane. Niente è più stato come prima dopo di loro. Thom Browne adesso, per esempio, è riuscito ad agire nel territorio accidentato costruito dagli stereotipi dell’abito virile. Ha ridefinito la silhouette maschile, l’ha ridisegnata nelle proporzioni e l’ha compressa. Il pantalone che lascia scoperta la caviglia a mostrare la scarpa allacciata è diventato una cifra, talmente forte nella sua semplicità, da condizionare

Che cosa pensa del Made in Italy? É un’etichetta che ha ancora valore in questo momento di crisi?

Penso che dovremmo definitivamente archiviare l’etichetta ‘Made in Italy’. Ha avuto un reale valore negli anni Ottanta, quando identificava un prodotto italiano di qualità e ricerca. Ora che tutto è cambiato e che l’Italia deve assolutamente uscire da una situazione di stallo, ci si aggrappa a questa definizione come i nobili decaduti che si aggrappavano alla poca argenteria rimasta.

Quanto è ancora importante la passerella per la moda attuale, secondo lei? E quanto sono state e sono

interessanti manifestazioni come Pitti?Personalmente ogni volta penso che ormai la passerella è desueta e bisognerebbe trovare forme alternative. In questa direzione si sono mossi designer di ricerca che hanno guardato l’arte contemporanea per quanto riguarda l’aspetto performativo e hanno cercato di trovare strategie nuove. Comunque rimane che l’abito deve essere indossato per apprezzarne al meglio i caratteri. E la passerella offre il giusto risalto alla parata di corpi che indossano la collezione del momento. Direi che Pitti Uomo è molto importante perché rimane unica nel suo genere. Riesce a tenere insieme nella qualità la moda tradizionale con quella di ricerca, con lo sport e lo street. La Fiera offre sempre nuove interpretazioni e letture di quello che sta succedendo. Mentre le passerelle di Pitti presentano sempre fashion designer particolarmente interessanti, che spesso non hanno mai sfilato in Italia. Le mostre poi sono una riflessione critica sulla moda come disciplina imprescindibile della contemporaneità.

Difficile poterlo dire ora, ma in che direzione si sta muovendo la moda uomo, secondo lei?

La moda uomo può mettersi in gioco molto di più di quella femminile, è più giovane nella sua declinazione fashion. L’uomo rispetto alla donna mette oggi molto più in discussione la sua identità di genere. E si diverte a osare. Mentre la donna si plasma secondo uno stereotipo femminile imposto dai media, l’uomo si lancia in territori spericolati, quelli dove i generi si assomiglieranno sempre di più nella figura e nella sensibilità. Dove gli indumenti in comune saranno la maggioranza.

Ritratto di Maria Luisa Frisa scattato da: Timothy Greenfield-Sanders

larghe. Così anche la pillola e l’atteggiamento maschile che finalmente la lasciano libera anche per la famosa ‘scopata senza cerniera’ teorizzata da Erica Jong. La ‘grande rinuncia’ è stata superata negli anni Ottanta, quando gli uomini hanno potuto esprimersi a tutto tondo anche nella loro fragilità e sessualità e la moda in questo è stata una grande alleata.

oggi molta di quella moda che diventa, sulla strada e nell’immaginario fashion, stile condiviso.

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Stefano Guerrini

In alto: Immagine dello stilista americano Brian Atwood, dal 2007 Direttore Creativo di Bally;in questa pagina: accessori della collezione uomo Bally a/i ’09-’10;nella pagina accanto: outfit della collezione uomo Bally a/i ’09-’10.

Bally: quando l’artigianalità

incontra l’esperienza del lusso

Talento e fascino sono un binomio che in molti settori ha creato fenomeni vincenti. Questo è accaduto anche, e soprattutto, nella moda. Brian Atwood li possiede entrambi. A guardarlo sembra un divo di una Hollywood di altri tempi, non a caso è stato anche modello, ma quello che colpisce è forse un aspetto meno fenotipico e più profondo. Lo stilista, originario di Chicago, ha studiato Arte e Architettura alla Southern Illinois University e fashion design al FIT di New York. Nel 1996 è diventato il primo designer americano assunto da Gianni Versace a Milano. Nel 2001 Atwood ha creato la propria linea di scarpe da donna, che nel 2003 gli ha fatto riconoscere dal CFDA il premio Swarovski – Perry Ellis per “l’accessory design”. Un talento così spiccato non poteva non portare ad un incontro importante, quello con Bally, di cui è diventato Direttore Creativo nel 2007. Sin dagli esordi, è stato fondato nel 1851 nel piccolo villaggio svizzero di Schönenwerd, Bally si è distinto come uno dei marchi di maggior prestigio nel panorama internazionale dei beni di lusso, riconosciuto per i suoi prodotti unici, simbolo di valore e qualità. La maison possiede più di 750 punti vendita nel mondo e boutique da New York a Tokyo, passando per Madrid e Zurigo, senza dimenticare il suo primo store online lanciato lo scorso febbraio. Un brand, legato non solo al mondo degli accessori ma anche a quello del pret-a-porter, grazie ad una linea uomo e donna, la cui forte ascesa è stata amplificata da uno stile lineare e sofisticato di cui Atwood è artefice. Nella collezione femminile l’autunno/inverno 2009-2010 vede in primo piano una ricca tavolozza di colori e materiali, dissolti in un fluire sensuale di morbidezze e inframmezzati da accenti metallici, memorie dell’influsso arabeggiante degli anni ’30 o del rigore sartoriale degli anni ’80 incontrano nuovi materiali per capi naturalmente moderni. E l’uomo secondo Bally? Incontriamo Atwood per farci raccontare il guardaroba maschile declinato nello stile del marchio svizzero.

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Innanzitutto quali sono le sfide e le difficoltà di affrontare l’impegno con un brand storico, con un passato così rilevante alle spalle? In tal senso, sono stati di aiuto gli

archivi del marchio?Non considero l’impegno con un brand con un passato così importante come una sfida difficile, ma anzi è eccitante e incredibilmente pieno di soddisfazioni. Lavorare per Bally mi fa sentire come un bambino in un negozio di dolciumi e caramelle, il marchio possiede alcuni fra i più accurati e squisiti esempi di artigianato al mondo. Sono proprio tutti i dettagli, le rifiniture, le tecniche innovative di costruzione degli accessori ad ispirarmi costantemente.Che cosa l’ha attratta all’inizio in Bally, che cosa sentiva affine al suo spirito e alla sua

visione di stile?

Che cosa pensa invece di aver portato di nuovo al marchio? Più che introdurre qualcosa di nuovo, direi che ho aumentato l’enfasi sull’altissima qualità artigianale del prodotto, ad esempio reintroducendo per l’a/i 2009 la collezione di abiti sartoriali maschili e aggiornando la Scribe Collection. Adoro ad esempio il mio paio di scarpe Richard’s, sono in un colore che noi chiamiamo Cuba, perché ricorda la sfumatura cromatica ricca e profonda di un sigaro cubano, una pianta più allungata le ha rese dei perfetti esempi di uno stile classico contemporaneo.

Come Bally credo nelle linee pure ed essenziali, capaci di evidenziare la costruzione di un capo o di un accessorio, così come la qualità dei pellami. Per questo motivo sapevo dall’inizio che il nostro sarebbe stato un ottimo incontro.

Se dovesse descrivere l’attuale ‘Bally style’, quali aggettivi e parole userebbe? C’è un capo rappresentativo di questo nuovo percorso?

Uno stile puro, confortevole e sofisticato, per me questo riassume l’intera col-lezione, ma se dovessi scegliere un capo in particolare direi gli stivali Bloner Chelsea. I classici colori autunnali del loro pellame trasudano ricchezza, mentre le parti elasticizzate ricoperte in pelle cucita a mano sono un perfetto esempio di superba manualità. Altri pezzi che amo della collezione sono la borsa ventiquat-trore in pitone, quella in lana per il weekend, il trench in cashmere lavorato a maglia e sicuramente anche i caschi da motocicletta.

Ci parla delle proposte Bally per l’a/i 2009-2010?

Volevo che la collezione catturasse l’energia tangibile e la creatività di una vita cittadina. Originariamente mi sono concentrato sull’interpretare un classico look sartoriale, quando poi mi è capitato di vedere un’immagine fantastica dell’attore Steve McQueen al lavoro sulla sua motocicletta, tutta la collezione istantaneamente ha preso forma. Pulita, contemporanea e semplicemente urbana. La palette di colori, che comprende il verde, il grigio e il nero, è applicata a una texture e a sovrapposizioni che si uniscono per creare una collezione d’avanguardia.

Invece per la p/e 2010 come è cambiato lo stile del marchio? Ci può dare una preview della collezione?

scarpe da uomo. Per questa stagione ho voluto davvero sperimentare con nuovi materiali e rifiniture. Applicandoli a molti stili diversi, dal casual al formale, con un tocco finale dato dalla brunatura a mano a creare una texture ricca, il modo migliore per fornire ad un uomo più opzioni di stile diverse.

Secondo lei, quali sono i mercati più interessanti per il marchio? E com’è l’Europa, e l’Italia in particolare, come mercato?

Il rinnovamento del network retail nei mercati statunitensi ed europei è quasi completo e il nostro posizionamento in questi territori è molto solido.Lavorando però continuamente in Occidente, mi elettrizza e incuriosisce molto interagire con quelle regioni meno conosciute e più lontane. Bally è presente al momento in 66 nazioni al mondo, che includono anche il Kazakistan e l’Egitto, abbiamo 43 negozi in Cina e 7 ad Hong Kong. Quest’anno apriremo la nostra terza boutique a Singapore, presso l’ION Orchard, sarà un negozio fantastico e l’inaugurazione corrisponderà al mio primo viaggio in quella nazione e avrò l’occasione di conoscere Fann Wong e Christopher Lee, due attori fantastici, quindi non vedo l’ora che sia ottobre.

Come affronta un marchio sinonimo di qualità e buon gusto il momento attuale di crisi?

Qualsiasi momento si stia attraversando è importante per un brand rimanere fedele alla propria identità, non scendere a compromessi che possano danneg-giare i valori che lo hanno reso quello che è. Bally è rinomato per la sua qualità e per l’alto valore artigianale dei prodotti, questi sono gli elementi distintivi che diventano ancora più importanti in tempi di insicurezza economica e che hanno permesso si formasse un nutrito gruppo di affezionati consumatori che il marchio è contento di avere oggi. È essenziale mantenere agli occhi della clientela fedeltà nei confronti di queste caratteristiche.

In generale dove trova ispirazione per il suo lavoro con Bally?

Per la collezione maschile traggo di solito ispirazione dai miei stessi spostamenti. Ho necessità per lavoro di muovermi molto e questo mi fa capire appieno le necessità di un uomo contemporaneo. Ai giorni nostri un viaggio può comprendere degli aspetti più legati al lavoro e altri di piacere e divertimento, per tali motivazioni sono costantemente attento alle possibili soluzioni legate ad un viaggiare leggero, ma senza compromettere il proprio stile.

Sembra che ci sia un forte legame fra il marchio e la nuova giovane Hollywood, che apprezza molto il suo lavoro? Personaggi come Ashton Kutcher o Blake Lively, sono

possibili icone di riferimento per l’ideazione della linea? Ci sono molti bravi attori al momento, tutti fantastici da vestire, ma quando progetto una collezione tendo sempre a pensare alle icone del passato, come Steve McQueen o John John Kennedy. Faccio riferimento a figure maschili molto sicure di sé e del proprio stile, professionisti con una certa attitudine all’avventura, che hanno la stessa passione per il lavoro e per la vita in generale.

C’è qualcosa che non ha ancora fatto con Bally e che vorrebbe portare avanti?

Ci sono così tante cose che si possono realizzare, sono entusiasta della possibilità di lavorare a lungo insieme a questo brand!Uno dei grandi piaceri che ho nel lavorare per Bally è la possibilità di progettare

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Mi parla della collezione che ha mandato in passerella a gennaio?

Prima di tutto si basava sul concetto dell’astrazione e trovava ispirazione nei graffiti metropolitani, negli effetti spray che l’arte urbana utilizza, ma anche nelle immagini confuse che provengono dai teleschermi. Ho cercato di tradurre questi input con una figura maschile che fosse al contempo sofisticata e pura.

In quale direzione invece sta andando ora il marchio Giuliano Fujiwara, cosa ci dobbiamo aspettare da questa nuova sfilata?

A chi pensa quando disegna la linea? È riuscito in questi anni ad individuare una tipologia di cliente?

Giuliano Fujiwara è un brand concettuale. Questo significa che l’uomo che ho in mente quando creo potrebbe essere un artista, un designer, una persona che vuole essere riconosciuta per il suo stile personale e unico, dove acquistano molta importanza i dettagli e anche le apparenti contraddizioni. Il mio cliente ideale è una figura che ama indossare sportswear, ma anche abiti più d’avanguardia, pur non essendo un teenager, vuole sentirsi bene nei suoi vestiti, comodo, ma essere sempre capace di esprimere la propria personalità e il suo modo di essere.

La collezione per la primavera/estate 2010, che presento ora a Milano, trae ispirazione dai tempi che stiamo vivendo. In reazione ad un periodo di recessione e crisi, la parola chiave che i nuovi abiti sembrano incorporare ed esprimere è ‘concretezza’. La collezione ha un mood forte, mascolino, molto sicuro, con una sorta di tocco militare.

Avete aperto pochi mesi fa un negozio a Milano e sfilate nel capoluogo Lombardo. Che cosa la lega al nostro paese?Innanzitutto abbiamo deciso di avere un nostro spazio a Milano perché è una delle capitali dello stile al mondo. Dell’Italia trovo interessante lo splendido ambiente, che stimola la creatività. Milano è ad esempio una grande città, ma il tempo sembra scorrere lentamente, così posso pensare di più, concentrarmi meglio sulla mia visione e sul mio lavoro di designer.

Da giapponese che cosa le piace dell’Italia e che cosa invece non riesce ad apprezzare?

Mi piace il fatto che voi amiate molto la vostra cultura. Ma qualche volta mi viene da pensare che siate un po’ troppo conservatori e questo non è un aspetto che stimo.

Cosa c’è di giapponese nella linea Giuliano Fujiwara e cosa di più europeo?

La filosofia e l’identità del brand sono fortemente giapponesi. Ammiro molto l’estetica Wabi-Sabi, che fa parte della nostra cultura e tradizione, e la filosofia su cui si basa è sempre parte del lavoro creativo che sto compiendo con la linea. Ma i processi manifatturieri degli abiti Fujiwara sono europei e ho un profondo rispetto per l’artigianalità italiana, le conoscenze e le capacità che avete in questo settore.

Lei è sicuramente parte della seconda o forse terza generazione di designer nipponici alla conquista del mondo dello stile internazionale. Sente il peso della responsabilità di rappresentare un paese che ha regalato talenti come Rei Kawakubo

o Issey Myake?

Sicuramente sento la responsabilità di far parte di questo nuovo gruppo di designer giapponesi, ma a dire il vero cerco di non paragonarmi mai alle generazioni che ci hanno preceduto.

Apprezza qualcuno di questi grandi nomi della moda? Più in generale come considera la nuova scena creativa giapponese?

Rispetto molto Rei Kawakubo, è stata ed è ancora uno dei designer internazionali più influenti. Ha una visione stilistica forte e originale, ed è riuscita a rimanere sempre coerente negli anni. Riguardo ai creativi giapponesi miei coetanei trovo che molti si soffermino troppo su certi dettagli del design, sottostimando

26DR Giuliano Fujiwara: a matter

of factness

Stefano Guerrini

Masataka Matsumura è il giovane designer che progetta la linea Giuliano Fujiwara dalla collezione per l’autunno/inverno 2006-07. Una formazione internazionale, con studi in Svizzera e a Londra, non hanno fatto dimenticare allo stilista le sue radici nipponiche, ma neanche il forte legame che il brand ha sempre avuto con l’Europa e in particolare l’Italia, non a caso il Design Studio del marchio mantiene la sua sede nel nostro paese, a Milano per la precisione, dove avviene gran parte della produzione, mentre alcuni pezzi specifici, come quelli in denim, sono prodotti in Giappone. La linea Giuliano Fujiwara si muove nel territorio dello stile maschile, proponendosi come l’incontro ideale fra la tradizione sartoriale italiana, le radicate conoscenze artigianali che il Bel Paese possiede, e l’innovazione del design giapponese. Nel lavoro di Matsumura l’attenzione al dettaglio, la forte propensione alla qualità dei materiali, la voglia di sperimentare con i tessuti, ma anche con silhouette all’avanguardia, dove elementi legati allo sportswear possono convivere con altri più formali, sono fondamenta su cui costruire una figura maschile al passo coi tempi, una moda concettuale e sofisticata, lontano dagli eccessi da fashion victim. Dopo la recente apertura di un negozio monomarca a Milano, Masataka Matsumura è in procinto di presentare la collezione per la primavera/estate 2010 sulle passerelle milanesi, noi lo incontriamo proprio alla vigilia delle giornate della moda maschile.

Ritratto dello stilista Masataka Matsumura; in basso angolo del negozio milanese di Giuliano Fujiwara

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Tornando al suo impegno con la linea Giuliano Fujiwara, riuscirebbe in poche parole a riassumere il suo stile, la sua

visione estetica?Sicuramente userei il concetto di ‘espressione indiretta’. Non voglio mai essere troppo diretto, didascalico. Nel mio approccio al design preferisco sempre utilizzare particolari inconsueti, finiture speciali oppure sviluppare nuovi materiali. È ‘astratto’ mi sembra l’aggettivo più consono per spiegare il mio lavoro.

Come si può essere innovativi oggi nella moda, in particolare nel fashion design che progetta il guardaroba

maschile?Il tempo passa e le mode cambiano. La figura maschile di oggi non è certo la stessa di venti o trenta anni fa. Nella nostra epoca l’uomo ha più tempo per se stesso, per esprimere la propria personalità e mostrarla attraverso i capi che sceglie di indossare. In tal senso il processo innovativo è continuo e non si ferma, anche nel guardaroba maschile, e può portare all’ideazione di collezioni veramente all’avanguardia.

Può la moda dialogare con altri ambiti del design? In che modo? Ad esempio ci sono capi della sua collezione che

prendono spunto da altri mondi creativi?

Personalmente ritengo che moda e arte non siano assolutamente separate. Ogni brand possiede una propria filosofia e ogni pezzo che disegno – che si tratti di abbigliamento, di accessori o di mobili - ne è espressione. Il designer deve essere in grado di tradurre la propria idea di moda, e darle corpo attraverso le sue collezioni. Nel mio caso la filosofia estetica giapponese Wabi-Sabi, cui ho accennato prima, esprime appieno il mio pensiero, volto alla ricerca della semplicità e dell’imperfezione nascosta nella simmetria, che cerco di applicare a ogni mia creazione. Se devo poi fare esempi precisi di un’interazione fra la mia moda e altri ambiti della creatività, potrei ricordare come nella collezione presentata a Milano in gennaio ci siano una serie di capi in denim per la quale ho tratto ispirazione dai graffiti delle aree metropolitane contemporanee. I tre pezzi che ne fanno parte (pantaloni, camiciae giacca) sono l’esatta riproduzione di altri capi realizzati in tessuti classici, ma possiedono una sorta di diversa energia e sono di più forte impatto dato che il denim, di produzione giapponese, è spruzzato a mano di diversi colori.

Non parlando di moda, ma rimanendo nell’ambito del design, qual è il suo oggetto di culto?

Sono profondamente giapponese, anche se cresciuto all’estero, quindi la mia idea di design è radicata nell’infanzia che ho trascorso nel mio paese d’origine. Per me l’oggetto di culto nel design è la tazza da tè di Sen-no-Rikyu, il teorico della cerimonia del tè nel XVI secolo. Egli fu il primo a usare stanze minuscole e rustiche, come la stanza di due tatami chiamata Taian, che si può vedere ancora oggi all’interno del tempio Myokian a Yamazaki, un sobborgo di Kyoto, considerata e dichiarata tesoro nazionale. La tazza da tè di Sen-no-Rikyu era molto strana per l’epoca in cui fu ideata, e assolutamente innovativa. Rikyu prediligeva oggetti semplici, di fabbricazione giapponese, piuttosto che la costosa porcellana di produzione cinese molto di moda a quel tempo. La filosofia Wabi-Sabi, capace di tro-vare la bellezza nascosta nella semplicità estrema, fu resa 5 secoli fa ancora più popolare da questo personaggio che fu in grado di svilupparla e incorporarla nella cerimonia del tè e in tutti gli accessori ad essa collegati. In questo modo egli creò una nuova cerimonia basata sulla assoluta semplicità.

il potere e l’importanza di una chiara e globale visione di questo lavoro. Se devo citare qualcuno fra i nomi emergenti, anche se mi rendo conto che forse non è poi così nuovo, mi piace ricordare Nigo, di A Bathing Ape. Quello che fa con questo brand è completamente diverso da me in termini di stile, ma credo che le sue creazioni abbiano influenzato molto il mondo dello streetwear e lo abbiano reso più sofisticato.

In questa pagina immagini della collezione Giuliano Fujiwara per l’autunno/inverno 2009-2010.

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Fra arte e poesia

Stefano Guerrini

Li abbiamo incontrati nella loro sede bolognese, in una di quelle vie lontane dai ritmi cittadini, dove il tempo sembra un po’ sospeso, e ci ha subito colpito l’atmosfera accogliente e creativa. Le pareti stipate di esperimenti artistici, gli schizzi e i libri a ricoprire le scrivanie, le sedute che straripano di abiti, parlano di un amore per la ricerca che è parte fondamentale del loro lavoro, soprattutto quando si associa alle stampe, una delle caratteristiche più importanti degli abiti che realizzano. Juan Caro, colombiano di Bogotà trasferitosi in Europa per studiare arte prima a Parigi e poi nel capoluogo emiliano, e Fabio Sasso, milanese, con studi d’arte al Dams di Bologna e con una passione per la moda coltivata fin dall’infanzia nei laboratori sartoriali di famiglia, hanno creato da pochissime stagioni la linea Leitmotiv, che li ha già messi in evidenza fra le nuove realtà del Made in Italy. Dopo il successo ottenuto con il Fashion Incubator della Camera Nazionale della Moda, che li ha portati a sfilare a Milano e Tokyo, dopo la proficua partecipazione alla scorsa edizione di Pitti W_Woman Precollection, dedicato alle collezioni donna in contemporanea con Pitti Uomo, sono ora in procinto di partecipare alla 76a edizione dell’importante manifestazione fiorentina.Quelli di Juan e Fabio sono abiti che coniugano moda e arte, abilità sartoriale e citazioni couture. La loro progettualità è capace di rielaborare molti input, ripescando elementi da epoche passate o anche da ambiti apparentemente lontani dal fashion system, per uno stile sempre raffinato che, quando si parla della collezione maschile, rimanda alla figura di un dandy, elegante, ironico e dai piccoli dettagli eccentrici.

In alto ritratto di Juan Caro e Fabio Sasso, stilisti della linea LeitmotivSotto e nella pagina a fianco: immagini della collezione maschile a/i 2009-2010

Lavorano in coppia, sono emersi dal Fashion Incubator della Camera Nazionale della Moda e sono fra i nomi più interessanti della nuova creatività italiana.

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Innanzitutto quale percorso vi ha condotto a Leitmotiv? Perché avete deciso di creare una vostra linea di moda?

Juan Caro: Stavo frequentando l’università in Colombia e decisi di venire in Europa per studiare arte, il mio primo anno è stato ad Urbino, da lì mi sono spostato verso una meta vicina che mi sembrasse un po’ più viva, cioè Bologna, dove ho studiato prima all’Accademia, poi mi sono iscritto all’indirizzo cinema del Dams, ma per un anno ho studiato anche arte contemporanea a Parigi.Fabio Sasso: Da Milano mi sono spostato a Bologna per studiare al Dams, ma arrivato qui ho anche subito frequentato dei corsi privati legati alla sartoria, seguendo un imprinting familiare. Per la tesi, fra l’altro, ho portato avanti una ricerca sul costume settecentesco. Ci siamo conosciuti per caso in biblioteca e abbiamo capito che condividevamo molti rimandi estetici e la voglia di fare qualcosa in questo settore. Juan già dipingeva opere su tela, abbiamo pensato di trasferire alcune sue stampe su abiti che poi cucivo io. Juan: All’inizio vendevamo agli amici, poi sono arrivati i primi negozi bolognesi. Abbiamo anche fatto una sfilata nel nostro cortile, ispirata a “Il giardino delle delizie” di Hieronymus Bosch, da lì sono iniziate le prime piccole distribuzioni, comprendendo certi ingranaggi di questo sistema, come i meccanismi della stagionalità in cui si propongono le collezioni. Fabio: Tutto è stato poi molto veloce, perché sono trascorsi appena due anni. Abbiamo presentato il nostro progetto a Fashion Incubator, che abbiamo vinto per la categoria accessori, creando poi una collezione che ha sfilato a Milano, Tokyo e, più recentemente, anche durante la Fashion Week di Mosca. Da lì è iniziato tutto. È arrivato l’invito prima a Pitti Rooms e poi a Pitti W dello scorso gennaio.

Fino a questo periodo in cui, oltre alla vostra collezione, avete molte altre novità in serbo. Ce ne parlate?

Considerando tutto questo lavoro, come vi dividete ora i compiti?Fabio: Io seguo quello che ora riguarda la comunicazione e il progetto. Quindi dal parlare con le aziende, con l’ufficio stampa, a tutto ciò che concerne la produzione della linea. Poi mi occupo delle idee legate alle forme, alle geometrie degli abiti, quindi c’è anche una parte più creativa, oltre a quella gestionale.Juan: In realtà il lavoro legato all’ideazione della collezione e dei capi sta diventando più trasversale, è difficile stabilire delle divisioni di compiti così nette. Di solito io mi occupo totalmente delle stampe.

Fabio: Abbiamo iniziato a collaborare con Furla, per il progetto Talent Hub, creando foulard, pochette, borse, orologi e anche le stampe per un ombrello. È una collaborazione che ci sta entusiasmando. La Sig.ra Furlanetto aveva visto in giro alcuni nostri accessori che le piacevano, ha visitato il nostro stand a Pitti W, poi ci ha contattato. Sicuramente ci lega l’amore per l’arte, che è nel nostro dna, ma è anche connesso a Furla, con l’importante premio ‘Furla per l’arte’ ad esempio. C’è anche un progetto con Borsalino, per il quale abbiamo creato delle stampe per cappelli e alcuni accessori. Infine collaboriamo, facendo consulenze, anche con le due aziende di tessuti di Bologna, Argomenti Tessili e New Age, che ci stanno supportando con la nostra linea.

Lo abbiamo già accennato, ma vi ispirate moltissimo al mondo dell’arte.Fabio: In fondo è la formazione che abbiamo, non possiamo rinnegare una parte così importante del nostro percorso, capace poi di fornire degli input ispirativi costanti. Ci permette, tramite una personale rilettura, di dare dei contenuti agli abiti che presentiamo. Ad esempio nelle stampe ritorna spesso il mio amore per il decorativismo settecentesco e quello di Juan per il barocco, la passata collezione era ispirata ad ‘Alice nel paese delle meraviglie’, ma in versione Dada.Juan: La collezione che stiamo per presentare a Pitti è proprio ispirata al New Dada, in particolare al pittore americano Joseph Cornell, che ovviamente si porta dietro tutto un gioco di rimandi, legati anche all’epoca, gli anni quaranta e cinquanta. Personalmente ritengo che siano validi tutti i tipi di ricerca, ma penso che sia interessante muoversi in modo più contaminato, che accolga anche altri mezzi e mondi creativi, che non sia un circolo vizioso limitato solo alla realtà di moda. Trovo molto interessante il lavoro di quegli stilisti che si avvicinano al design ad esempio, come in certe costruzioni di Gareth Pugh. L’arte contemporanea ha il pre-gio di non avere mai un messaggio unico, ma spesso è leggibile a più livelli, lo stesso si può dire anche delle cose più rilevanti che stanno accadendo adesso nella moda, dove l’abito come oggetto creativo può stimolare e affascinare da vari punti di vista.

Parliamo della figura maschile che disegnate.Fabio: Il nostro uomo è sicuramente ironico, vuoi per le stampe particolari dei nostri abiti, per le forme delle camicie che ricordano un po’ quelle ottocentesche, con lo stile sportivo che incontra elementi formali. Una figura che riesce a scherzare con se stessa.Juan: È un uomo anticonformista, con una certa dose di coraggio, anche perché con le nostre proposte, rispetto ad un guardaroba tradizionale, bisogna avere voglia di giocare. Amiamo le contraddizioni che vengono fuori non solo nelle stampe, ma anche nella costruzione dei capi. La prossima collezione parte da una ricerca di tutto ciò che è militare, ma al tempo stesso c’è un rimando ad un’ideale dandy dell’ottocento, ne risulta un cortocircuito creativo per noi interessante. Mi piace l’idea che la collezione sia scomponibile, per cui fruibile da una clientela diversificata.

Possiamo definire questo uomo un romantico? Fabio: Assolutamente sì, ma potremmo dire che ha anche dei lati più oscuri. La collezione nasce dal dibat-tito, dialettico e creativo, costante fra me e Juan, per cui aspetti contraddittori possono benissimo coesistere ed è anche questo che forse ci caratterizza. Juan: Se pensiamo a delle icone di riferimento potremmo citare Johnny Depp, che è un eroe romantico, ma anche un po’ maledetto.

Perché continuate a lavorare a Bologna e non vi siete spostati a Milano?Fabio: Perché a Milano forse ci perderemmo, potremmo essere un nome fra i tanti, la realtà bolognese è sicuramente meno concorrenziale, ci sono creatività interessanti, ma molto diverse da noi, che spesso scelgono di non interagire con quella che è la macchina promozionale del Sistema Moda. Poi amiamo la casa in cui ci siamo stabiliti, riteniamo inoltre che Bologna abbia una posizione ottima, strategica perché vicinissima al mare, a Milano. Infine ha una realtà produttiva molto forte, aspetto sicuramente importante.

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