SS57 PASSIONI E MISTERI

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Passioni e misteri Anne Herries

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Anne Herries

Passioni e misteri

Immagine di copertina: Vittorio Reggianini - The Letter

Per gentile concessione di Fine Art Photographic Library

Titoli originali delle edizioni in lingua inglese:

An Improper Companion A Wealthy Widow

A Worthy Gentleman Harlequin Mills & Boon Historical Romance

© 2006 Anne Herries © 2006 Anne Herries © 2007 Anne Herries

Traduzione: Maddalena Milani

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prime edizioni Harmony History settembre 2007 ottobre 2007

novembre 2007 Questa edizione Harmony Special Saga

febbraio 2010

HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248

Periodico bimestrale n. 57 del 6/2/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 2/5/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

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contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

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Segreti nell'ombra

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Prologo

«Charles!» Il Conte di Cavendish fissò, sbigottito, il vecchio amico, stentando a credere a ciò che gli era appena stato det-to. «No! Non potete davvero pensare che Sarah sia stata rapi-ta!» Charles Hunter rivolse a Daniel uno sguardo angosciato. «Abbiamo trovato il suo scialle ai confini del parco e c'erano segni di una colluttazione, oltre a impronte di scarpe e di ruo-te.» «Ma chi... e perché?» Daniel fissò l'amico con aria per-plessa. Si conoscevano da una vita e Sarah Hunter era quasi una sorella, per lui. Le era molto affezionato, appena pochi giorni prima aveva ballato con lei nel salotto di casa Hunter, per aiutarla a prepararsi al debutto in società programmato per quell'estate. «Di certo...» Nello scorgere l'espressione di-sperata di Charles la voce gli morì in gola. «Non lo so, Daniel, non lo so» ribatté Charles, parlando a stento per l'emozione. «Sarah è così giovane. Per quanto ne so non aveva spasimanti. Ma se anche ci fosse stato qualcuno non le avrei mai impedito di frequentarlo, se solo me ne a-vesse parlato apertamente. No, non credo che sia voluta fug-gire dalla sua famiglia. Temo sia stata rapita.» Daniel era talmente allibito da non riuscire quasi a replica-re. Essendo un uomo di mondo, sapeva che esistevano indi-vidui capaci di rapire fanciulle giovani e graziose di cui ser-virsi per scopi perversi. Pensare a Sarah, ai suoi occhi poco più di una bambina, nelle mani di siffatti criminali era intol-

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lerabile. Non c'era da stupirsi che Charles fosse fuori di sé per l'angoscia, per non parlare dello strazio che di certo stava provando la loro povera madre. «Non dovete abbandonare le speranze» lo esortò, posan-dogli una mano sulla spalla e stringendogliela forte, come per controllare l'emozione. «Troveremo Sarah. Ve lo giuro, Char-les. Non ci fermeremo finché non l'avremo trovata.» «E quando l'avremo trovata?» gli chiese Charles. «E se...?» Scosse il capo, incapace di proseguire. «Lo affronteremo quando ci arriveremo» dichiarò Daniel. «Abbiate fiducia, Charles. Forse la ritroveremo sana e salva.» Era un incubo! Di certo stava facendo un brutto sogno! Ciò che le stava accadendo non poteva essere vero. Nel guar-dare le creature che si contorcevano attorno a lei si accorse di avere la vista sfuocata. Era sdraiata a terra, su un drappo di seta, ma dove si trovava, esattamente? Le sembrava di essere in un bosco e, con l'eccezione della luna piena, era tutto buio. Una figura si stava avvicinando a lei, sovrastandola. Le droghe che dovevano averle somministrato facevano sembra-re lo sconosciuto ancora più grande e... possibile che fosse nudo? Che cosa stava succedendo? Stava sognando, si ripeté. Sì, sì, era solo un brutto sogno. Era nel suo letto, al sicuro. Eppure, attraverso la nebbia che le oscurava i sensi, ricordava vagamente di essere stata aggredita. Sapeva di essere stata rapita, il che significava che quello non era soltanto un sogno e che, pertanto, doveva uscire dallo stato di torpore che la pa-ralizzava. Lanciando un grido terrorizzato si impose di alzarsi, con gambe tremanti per lo sforzo. Doveva fuggire o per lei sareb-be stata la fine: per quanto la sua mente stentasse a funziona-re, era l'istinto a suggerirglielo. Non sapeva come fosse arri-vata lì né chi fossero quegli individui. Sapeva soltanto di do-ver correre più veloce che poteva, se voleva salvarsi. Se l'avessero presa, sarebbe morta.

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Daniel Cavendish fece vagare lo guardo per la sala, osser-vando i ballerini volteggiare e divertirsi. Aveva la netta im-pressione che la sua vita fosse incompleta. Anche se non sa-peva per certo che cosa fosse a mancargli tanto, aveva il so-spetto che potesse trattarsi dell'avventura, del brivido del pe-ricolo che aveva contraddistinto i tempi in cui era stato nell'e-sercito. Alla morte di suo padre, infatti, era stato costretto a congedarsi per potersi occupare della tenuta di famiglia, an-data in declino negli ultimi anni di vita del vecchio conte. Il suo impegno aveva dato i risultati sperati, tanto che ora il pa-trimonio dei Cavendish era più florido che mai. Ciononostante si sentiva inquieto e inappagato. Il pensiero di Sarah Hunter, poi, non gli dava tregua, acuendo quel senso di frustrazione. Non essere riuscito a trovarla nel corso di tut-ti quei mesi gli rodeva la mente come un malefico tarlo. An-che se, per la verità, in quegli ultimi giorni avevano ottenuto delle informazioni che avevano riacceso in lui un barlume di speranza. «Credo che dovremmo trasferirci in campagna» disse al gentiluomo in piedi accanto a lui. Mentre il conte era alto, largo di spalle e scuro di capelli, il suo amico era di corpora-tura più minuta, con capelli più chiari, che tendeva a scostare di continuo dalla fronte. «Londra ha ormai perso ogni attrat-tiva, per me, e voglio vedere di scoprire qualcosa riguardo a quella faccenda.» «Credete che sia una mossa saggia?» gli domandò John

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Elworthy. «Anche se i nostri sospetti fossero fondati, non credo che potremmo fare molto a riguardo. Maria è fuggita e ora è sana e salva, mentre Miss Hunter...» Scosse tristemente il capo, e proprio in quel mentre un altro amico li raggiunse. «Buonasera, Robert. Non credevo che ci sareste stato anche voi.» «Non avevo niente di meglio da fare» gli rispose Lord Young, coprendo uno sbadiglio con la mano. Fra i tre era senza dubbio il più dandy della compagnia, dati i suoi abiti raffinati e il vistoso nodo della cravatta, talmente complicato da impedirgli quasi di piegare la testa. «È tutto così tedioso, non trovate?» «Cavendish mi stava appunto dicendo la stessa cosa» lo informò John. «Ha intenzione di svolgere delle indagini ri-guardo alla disavventura di Maria, anche se, per parte mia, ritengo che sarebbe pericoloso invischiarsi negli affari di quel Forsythe.» Maria era la sorella della cognata di John, una fanciulla giovane e graziosa, dotata anche di una gran dose di coraggio, che le aveva permesso di sfuggire a un recente ten-tativo di rapimento. «Non c'è nulla come un pizzico di pericolo per ravvivare la vita» commentò Lord Young con uno scintillio animato nello sguardo. «Se avete bisogno d'aiuto, Cavendish, sono l'uomo che fa al caso vostro. Immagino che anche Hilary direbbe lo stesso, se fosse qui. Che cosa avete in mente di preciso?» «Camminate con me fino a casa, tutti e due» li invitò il conte. «Non vorrei che qualcuno ci sentisse parlare, qui den-tro. Concordo sul fatto che questa impresa potrebbe compor-tare dei pericoli, ma ritengo comunque che si debba perlome-no compiere un tentativo. Maria è una fanciulla coraggiosa e le informazioni che ci ha dato mi sono state molto utili. Ho iniziato a svolgere delle nuove indagini e desidero mostrarvi i resoconti dei miei informatori...» «Per me va bene» acconsentì subito Lord Young. «Siete dei nostri, Elworthy? Tanto vale che veniate. Qui non c'è nul-la che meriti la vostra attenzione.»

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«Avete ragione» convenne John. «Andiamo, allora. Con-cordo con voi, Cavendish. Se non ci diamo da fare, Forsythe resterà libero di agire a suo piacimento. Non oso nemmeno immaginare che cosa sarebbe successo se quei malintenzio-nati fossero riusciti nel loro vile intento.» Gli altri due gentiluomini annuirono a conferma di quelle parole, perché davvero si trattava di una prospettiva troppo orribile da contemplare. Dunque lasciarono Almack's insieme, decidendo di tornare a Cavendish Place a piedi, vista la notte tiepida e serena. E così si avviarono, del tutto ignari di essere discretamente se-guiti a distanza. «Ma mia cara bambina» disse Lady Wentworth, guardan-do con apprensione il viso orgoglioso della bella giovane che si trovava davanti a lei. «Come potete anche soltanto pensare di accettare un impiego come dama di compagnia quando io vi ho proposto di accompagnarmi a Bath, in autunno? Sapete che vi amo come una figlia. Perché non accettate la mia of-ferta di vivere con noi a Worth Towers?» «Non posso, milady» rispose Elizabeth Travers, addolcen-do quel rifiuto con un sorriso. «Sono molto affezionata a voi e vi sono grata per la gentilezza dimostrata a me, mia madre e a Simon dalla morte di mio padre. Ma dal momento che an-che mama è...» Le lacrime che si era sempre rifiutata di ver-sare le spezzarono la voce. La perdita della madre era ancora troppo recente perché riuscisse a parlarne. «Sapere di avere in voi una cara amica sarà sempre un gran conforto, ma non voglio diventare un fardello. Lord Wentworth è già stato fin troppo generoso a pagare la retta di Simon, permettendogli così di completare gli studi a Oxford. Inoltre Lady Isadora ha bisogno di compagnia, e io sono molto felice che abbia scelto me.» «Ma non la conoscete nemmeno!» protestò Lady Went-worth. Era una donna piccola e paffuta, con un cuore d'oro, ed era profondamente affezionata alla figlia della sua defunta

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amica. «Non sarete mai un fardello per me, mia cara Eliza-beth.» «Siete troppo buona, milady» si schermì Elizabeth. «Ma ho già dato la mia parola e non intendo ritirarla.» «Immagino non sia possibile, dal momento che vi siete im-pegnata» sospirò Lady Wentworth. «Ma mi promettete di to-nare da me, se doveste trovarvi male o in difficoltà?» «Sì, certo» le assicurò Elizabeth. Sorrise alla gentildonna che era stata la migliore amica di sua madre per gli ultimi vent'anni. «Non so proprio che cosa avrebbe fatto mia madre senza il vostro aiuto, alla morte di mio padre, soprattutto quando abbiamo scoperto che lui aveva perso gran parte delle sue proprietà in quella sciagurata scommessa con Sir Monta-gue Forsythe. Se non ci aveste sostenute e ospitate non so nemmeno che cosa ne sarebbe stato di noi.» Al pensiero dei terribili mesi seguiti alla morte del padre, culminati nella ma-lattia e nell'improvvisa morte di Lady Travers, le lacrime le fecero di nuovo capolino negli occhi. «Non potrò mai ripa-garvi appieno...» «Oh, che leggerezza imperdonabile!» La buona Lady Wentworth scosse il capo al pensiero delle circostanze che avevano spinto il defunto Sir Edwin Travers a puntare tutto il proprio patrimonio su una corsa di cavalli. La perdita di quel-la scommessa aveva avuto conseguenze atroci. «Mio marito non riusciva nemmeno a credere che vostro padre, il suo caro amico, potesse aver rischiato tanto. Ma svolse delle indagini accurate e pare che ci fossero dei testimoni, secondo i quali vostro padre agì sotto l'effetto dell'ebbrezza...» «Sì, e anche questo fatto è strano» commentò Elizabeth. «Perché papa beveva di rado e mai in eccesso. Finanche sul letto di morte mia madre continuò a ripetere che era stato raggirato, rifiutandosi di credere che lui avrebbe potuto met-tere a repentaglio il futuro della propria famiglia con tanta avventatezza. E, sapete, io sono d'accordo con lei. Non so come sia potuto accadere, ma mio padre non era tipo da agire in modo irresponsabile.»

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«È quello che dice anche Lord Wentworth» ammise la dama. «Ma non ha mai potuto confutare le dichiarazioni di tutti quei testimoni anche se, a dire il vero, erano quasi tutti amici di Sir Montague, con l'eccezione di quel Mr. Elworthy, che pare un uomo perbene. Anzi, se non fosse stato per la sua testimonianza, mio marito avrebbe contestato la validità di quella scommessa. Ma nutre un gran rispetto per Mr. El-worthy e sa che non avrebbe mai mentito.» «Sì, lo so.» Elizabeth assunse un'espressione accigliata. Era stata appunto la testimonianza di Mr. John Elworthy a impedirle d'incaricare l'avvocato di famiglia di portare Sir Forsythe in tribunale, poiché Lord Wentworth le aveva la-sciato intendere che, così facendo, avrebbe rischiato di dila-pidare i pochi soldi che le erano rimasti. Eppure, non si era mai perdonata di non aver agito e restava convinta che suo padre non avrebbe mai rischiato tutto per una sciocca corsa di cavalli. «Per il momento immagino di dover accettare questa versione dei fatti» concluse mesta. «Temo di sì, cara.» Lady Wentworth le rivolse uno sguar-do preoccupato. «Ebbene, se proprio insistete ad accettare quell'impiego, permettetemi perlomeno di farvi accompagna-re in carrozza. Questo dimostrerà a Lady Isadora che avete degli amici che si preoccupano per voi.» «Siete molto gentile e non intendo rifiutare» replicò Eliza-beth. Era ben lieta di quell'offerta: aveva ancora un po' di de-naro da parte, ma preferiva tenerlo per sé. Aveva ceduto gran parte dei propri risparmi al fratello, poiché si preoccupava del suo futuro molto più che del proprio. Per tutta la vita Simon aveva dato per scontato di ereditare la tenuta di famiglia, mentre ora si trovava privo di mezzi, costretto a farsi largo nel mondo solo ed esclusivamente con le proprie forze. Lei, perlomeno, aveva avuto la fortuna di ricevere quell'offerta d'impiego nello Yorkshire, al fianco di una dama di cui sua madre aveva sempre parlato con affetto e rispetto. «Questa Lady Isadora» riprese Lady Wentworth con e-spressione corrucciata. «Era una vecchia amica di vostra ma-

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dre, mi avete detto? Che cosa sapete della sua famiglia, Eli-zabeth?» «È la vedova del Conte di Cavendish e figlia di un mar-chese» le spiegò Elizabeth. «L'ho incontrata una sola volta, un giorno in cui venne a trovare mia madre. La rammento come una persona cortese, dal viso dolce. Ricordo che mi re-galò una bambola e diede cinque ghinee a Simon.» «Una signora generosa, bene.» Lady Wentworth annuì con evidente approvazione. «E quali condizioni d'impiego vi ha proposto, se posso chiedervelo, mia cara? Perdonate la mia schiettezza, ma non vorrei che qualcuno approfittasse della vostra buona fede.» «Lady Isadora mi ha chiesto se preferisco un'indennità per il vestiario o un vero e proprio salario. Ho scelto l'indennità.» Elizabeth arrossì. «Mama sarebbe già sufficientemente scon-volta nel sapere che ho accettato un impiego. Penso che a-vrebbe ritenuto l'indennità preferibile al salario.» «Se soltanto mi permetteste di...» insistette Lady Went-worth con aria afflitta, ma si interruppe nello scorgere l'e-spressione determinata della giovane. «No, non aggiungo al-tro, mia cara, ma ricordatevi che qui avrete sempre una casa.» «Certo. Siete molto gentile.» Elizabeth la baciò sulla guan-cia e si alzò. Doveva ancora finire di preparare i bagagli e c'erano varie persone che desiderava salutare, quel pomerig-gio. «Vi scriverò spesso e vi terrò informata.» Elizabeth tornò nella sua stanza con la mente persa in mil-le pensieri. La lettera di Lady Isadora era giunta in un mo-mento particolarmente opportuno, proprio quando lei era sta-ta sul punto di rivolgersi a un'agenzia che l'aiutasse a trovare un impiego. Aveva anche iniziato a leggere le riviste per si-gnore che Lady Wentworth le prestava, nella speranza di scorgervi un annuncio che potesse fare al caso suo. Dalla morte di sua madre, infatti, la sua situazione era divenuta più precaria. Lady Travers aveva goduto di un piccolo appannag-gio, che era rimasto valido nonostante la perdita della tenuta di famiglia. Questo era tuttavia cessato alla sua morte, non

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lasciando ai suoi figli altri mezzi se non gli esigui risparmi che la dama era riuscita a mettere da parte nel corso degli an-ni. Se già quando sua madre era stata in vita Elizabeth aveva considerato la possibilità di trovare un impiego, alla sua mor-te quel progetto era diventato una priorità. Lady Travers aveva sempre disapprovato quell'idea, tutta-via doveva averla menzionata all'amica Lady Isadora in una delle sue lettere. Infatti, quando Elizabeth le aveva scritto per annunciarle la morte improvvisa della madre, la nobildonna le aveva risposto poche settimane dopo, offrendole il posto di dama di compagnia. Temendo che quella proposta fosse scaturita da un atto di carità, piuttosto che da un genuino bisogno, Elizabeth aveva evitato di prendere una decisione per quasi un mese, ma una seconda lettera di Lady Isadora aveva reso ben chiaro che l'anziana dama aveva davvero bisogno di una presenza ami-ca. Durante l'inverno appena trascorso, infatti, era stata spes-so malata e anche ora era incapace di camminare per lunghi tratti senza sorreggersi al braccio di qualcuno. Alcuni giorni era addirittura costretta a letto, perciò aveva bisogno di qual-cuno che la assistesse. La sua lettera aveva commosso Eliza-beth, spingendola a prendere la fatidica decisione. In fondo quella era proprio la sistemazione che faceva al caso suo. Avendo subito un lutto recente, non provava alcun desiderio di prendere servizio in una dimora costantemente affollata di ospiti. Lady Isadora, invece, viveva da sola, ricevendo visite assai saltuarie. Lady Wentworth era stata più che gentile, ma a tratti Eli-zabeth si sentiva addirittura soffocata da tanta sollecitudine. Inoltre, restare così vicina alla tenuta da cui la sua famiglia era stata crudelmente cacciata era per lei una fonte di dolore inestinguibile. Se non fosse stato per quella maledetta scom-messa che, Elizabeth ne restava convinta, era stata in qualche modo imposta al suo povero padre, forse sia lui sia Lady Travers sarebbero stati ancora vivi. Come poteva suo padre aver commesso un atto tanto in-

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consulto? Elizabeth si era posta quella domanda infinite vol-te, ma non aveva mai saputo trovare una risposta soddisfa-cente. Simon aveva giurato di arrivare alla verità, tuttavia lei lo aveva supplicato di stare attento. Aveva solo diciannove anni, quattro meno di lei, ed era naturalmente incline all'ir-ruenza. «Nostro padre è stato raggirato» le aveva detto Simon con rabbia prima di tornare a Oxford dopo aver presenziato al fu-nerale della madre. «Lo so per certo, Bethy. Un giorno lo di-mostrerò e reclamerò l'eredità che mi spetta!» «Non nego che le circostanze siano piuttosto sospette» a-veva concordato Elizabeth. «Tuttavia c'erano dei testimoni e...» «Dei quali solo uno non era un accolito di quel furfante!» aveva tuonato Simon. «Ho scritto due volte a Mr. Elworthy, chiedendo d'incontrarlo, ma si è sempre rifiutato. Se non ci fosse qualcosa di losco, non ne avrebbe avuto motivo, non trovi?» Elizabeth non era in grado di spiegare il comportamento di Mr. Elworthy, che, in effetti, era alquanto bizzarro, così come bizzarre erano le intere circostanze di quell'ingarbugliata vi-cenda. Non poteva biasimare Simon per voler indagare a fon-do, cosa che lei stessa desiderava fare, ma d'altro canto teme-va di vederlo finire nei guai. Non poteva tollerare l'idea che un giorno anche suo fratello potesse arrivare a puntarsi una pistola alla tempia come aveva fatto il loro povero padre do-po aver perduto la disastrosa scommessa. Ci era voluta la solenne parola dell'anziano Lord Went-worth a convincere Elizabeth che suo padre in verità non fos-se stato assassinato. Perfino ora continuava ad avere degli in-cubi, in cui il fantasma del defunto reclamava giustizia per quanto gli era stato fatto. Con un sospiro Elizabeth si sforzò di scacciare quei maca-bri pensieri. Non serviva a nulla continuare a rimuginare sul passato, non certo a riportare in vita i suoi cari genitori. Deci-se perciò di concentrarsi solo sul futuro, senza però smettere

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di pregare affinché Simon restasse fuori dai guai. «È davvero riprovevole da parte vostra, madre» commentò il Conte di Cavendish con un luccichio divertito negli occhi. Era ben lieto di essere venuto a trovarla, poiché quella visita era il rimedio ideale contro l'inquietudine che lo tormentava di recente. Lasciarsi coinvolgere nei benevoli complotti di sua madre era riuscito a distrarlo temporaneamente dalle in-concludenti ricerche di Sarah Hunter. «Attirare qui quella povera giovane con l'inganno...» continuò, ostentando una disapprovazione che non provava affatto. Il suo sguardo si soffermò, ammirato, sull'eleganza dell'abito in cui Lady Isa-dora l'aveva accolto, fissandosi poi in quegli occhi così simili ai suoi. «So che non vi faccio visita da quasi due mesi, eppu-re...» Lei emise un piccolo colpo di tosse, quindi si abbandonò contro i cuscini di seta della graziosa dormeuse su cui era a-dagiata. «Non hai alcuna pietà per la tua povera madre, Da-niel? Ho avuto un terribile raffreddore e il medico mi ha proibito di lasciare la stanza per almeno dieci giorni. Non puoi neppure immaginare quanto mi senta sola, mio caro, so-prattutto ora che tua sorella non può venire a trovarmi, date le sue condizioni. Mi annoio. Inoltre...» I suoi occhi assunsero un'espressione birichina, «... nella sua ultima lettera la cara Serena mi scrisse che Elizabeth è molto orgogliosa, una gio-vane di gran carattere. Temeva che avesse deciso di trovare un impiego e ovviamente l'idea la faceva inorridire... Povera Serena! È tutta colpa di quello sciagurato Sir Montague. Ha ingannato Sir Edwin con l'unico scopo di strappargli la tenuta e per la disperazione quel poveretto si è puntato la pistola alla testa.» «Già...» Il conte socchiuse gli occhi con aria assorta. «Se Elworthy non fosse stato testimone della scena avrei dubitato che la scommessa fosse mai esistita. Ma lui giura che For-sythe dice la verità e John non ha mai mentito in vita sua.» «So che non mentirebbe mai, soprattutto non per protegge-

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re un uomo che fondamentalmente disprezza.» «È tuttavia vero che John non era parte del gruppo, quella sera, bensì un semplice osservatore.» L'espressione del conte era assorta. «È stato un tragico evento» sospirò Lady Isadora. «Ma ho sempre desiderato soccorrere quella sfortunata famiglia. Se i Wentworth non mi avessero prevenuto, avrei subito proposto a Serena di trasferirsi qui da noi. Ora che non posso più aiu-tare lei sono decisa a fare qualcosa per i suoi figli... e soprat-tutto a trovare un marito a Elizabeth.» «Mi pare di aver sentito dire che è di aspetto piuttosto in-significante» commentò il conte, inarcando le sopracciglia con evidente scetticismo. «So anche che non ha trovato mari-to durante la sua prima stagione in società. Non credo di a-verla mai incontrata di persona, poiché a quei tempi ero nel-l'esercito, ma qualcuno me l'ha raccontato... forse proprio voi, mama.» «No, io non l'ho incontrata durante quella stagione monda-na» replicò Lady Isadora, aggrottando la fronte. «Me la ri-cordo come una bimba magra, alta per la sua età, con la car-nagione pallida e le trecce. Ma ovviamente sarà molto cam-biata, da allora. Mi sento in colpa per non aver fatto visita al-la famiglia più spesso, ma c'era sempre questa o quell'altra circostanza a impedirlo. Come sai, al tuo povero padre non piacevano molto le visite di cortesia e poi si è ammalato...» Sospirò. Sebbene il loro non fosse stato un matrimonio d'a-more, era stata molto affezionata al defunto Lord Cavendish. «Sarei dovuta andare da loro alla morte di Sir Edwin, ma proprio allora Melanie aspettava il primo figlio...» «E ora aspetta già il secondo» commentò il conte. «Imma-gino che Rossleigh ne sia deliziato, anche se non capisco co-me faccia a sopportare il carattere di Melanie.» Lady Isadora rise. «Sì, ebbene... ammetto che tua sorella tende a diventare alquanto irritabile in gravidanza, ma devi anche capire che è un momento assai delicato, per noi don-ne.»

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«Immagino di sì» assentì il figlio, sorridendole. «Ma ora non tentate di cambiare argomento, mama. Avete attirato qui Miss Travers con l'inganno. Come potete sapere che, una vol-ta scoperto che non siete affatto l'invalida che le avete de-scritto, la signorina non girerà sui tacchi e se andrà?» «Sono certa che, quando capirà che ho comunque bisogno di lei, non mi abbandonerà.» Lady Isadora raccolse la sfida implicitamente rivoltale dal figlio. «Ho davvero bisogno di compagnia da quando Miss Ridley ci ha lasciati.» «Sapete bene che lo ha fatto con gran riluttanza e solo per occuparsi della madre malata. Potrebbe decidere di ritornare, qualora dovesse succedere qualcosa, da quelle parti. Dopotut-to Mrs. Ridley ha quasi settant'anni.» «Sì, e ovviamente la riprenderei subito» gli assicurò Lady Isadora. «Ma a volte sento la mancanza di compagnia più giovane, Daniel. Se la mia dolce Jane non fosse morta quan-d'era ancora una bambina, a quest'ora starei organizzando il suo debutto, lo sai.» Il conte annuì, comprensivo. Sapeva bene che sua madre non aveva mai del tutto superato la perdita dell'adorata figlia minore e per quel motivo era particolarmente incline a giusti-ficare le sue piccole stravaganze. «E se a Miss Travers non interessasse frequentare la buona società?» la provocò. «In fondo è ancora in lutto per la morte dei suoi genitori.» «Non intendo portarla in città. Non sarei mai così insensi-bile. Tuttavia, una volta che avrà imparato a conoscermi e a fidarsi di me, suggerirò una visita a Brighton, adducendo mo-tivi di salute. L'aria di mare mi giova parecchio, lo sai. Per Elizabeth non aspiro a un marito titolato, mio caro. Mi accon-tenterei di un gentiluomo rispettabile, dotato di un discreto patrimonio. So che Serena non avrebbe mai voluto vedere la figlia costretta a lavorare per mantenersi, e io intendo impedi-re che accada.» «Be', dovete fare come più vi aggrada» si arrese Daniel, rivolgendole un sorriso indulgente. Sebbene vivessero sepa-rati per gran parte dell'anno, madre e figlio erano legati da un

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affetto profondo. «Ma cosa vi aspettate da me, di preciso?» «Nelle settimane a venire inviterò solo qualche vicino» gli spiegò Lady Isadora. «Finché Elizabeth non si sarà rasserena-ta dovrà essere tutto molto pacato e discreto. Tuttavia mi chiedevo se non potresti portare qui qualche tuo amico...» «E chi avevate in mente?» le domandò il figlio, sempre più divertito dagli stratagemmi della madre. «Dubito che ai miei amici possa interessare una scialba zitella ben oltre l'età da marito, soprattutto dal momento che non dispone nemmeno di una dote che possa renderla un po' più attraente.» «A questo intendo porre rimedio. Tuo padre è stato molto generoso con me, Daniel, e finora non ho messo mano alle migliaia di sterline che mi ha lasciato. Pensavo di assegnarne diecimila a Elizabeth.» «Davvero?» Il figlio era chiaramente sorpreso. «È molto generoso da parte vostra, mama. Per una tale somma potreste ben trovare qualcuno disposto ad accontentarsi di una moglie insignificante, anche se dubito che tipi come Winchester o Ravenshead possano sembrarvi dei candidati ideali.» «Quei cacciatori di dote?» Lady Isadora scosse il capo con fare deciso. «No, no, non per Elizabeth. Mi affido a te, dun-que, per procurarci qualche giovanotto adatto.» «Mama...» iniziò a protestare Daniel. «E se Miss Travers non volesse sposare uno dei miei amici?» «Non intendo certo costringerla, mio caro. Suvvia, non es-sere così pessimista! Voglio soltanto incoraggiarla a stringere nuove amicizie.» «Siete un'astuta cospiratrice» la canzonò il conte, ridendo di gusto. Come sempre, sua madre era riuscita a fargli ritro-vare il buonumore. «Quando arriverà Miss Travers?» «Dovrebbe essere qui entro la fine della settimana. Per-ché?» «Credo che resterò per conoscerla» decretò lui. «Se pro-prio devo perorare la sua causa presso i miei amici, dovrò pur sapere che aspetto ha.» Lady Isadora fece del suo meglio per non dare a vedere

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quanto fosse compiaciuta. La permanenza di suo figlio a Ca-vendish Hall nei prossimi giorni si adattava perfettamente ai suoi piani. Non che avesse intenzione di forzargli la mano, per carità, ma a trentacinque anni doveva pur trovar moglie... Perché dunque non indirizzarlo verso una giovane di buona famiglia e di gran carattere, anche se non particolarmente at-traente? Da quanto le aveva raccontato Serena, era sicura che Elizabeth sarebbe stata un'ottima moglie per qualsivoglia gentiluomo. Se proprio avesse voluto, Cavendish avrebbe sempre potuto tenersi un'amante e, una volta avuti dei figli, una donna come Elizabeth si sarebbe probabilmente ritirata in campagna. «Avete avuto ampio preavviso del fatto che avrei necessi-tato di due stanze separate.» Elizabeth rivolse all'oste uno sguardo risentito. Per quanto alto e corpulento fosse l'uomo in confronto a quella giovane snella e delicata, era lui a risul-tare intimidito da tali accese rimostranze. «Mi dispiace, signorina, non capisco come sia avvenuto un simile errore. Purtroppo ora posso fare ben poco per rimedia-re, poiché la stanza è già stata assegnata a quel gentiluomo.» «Già, immagino non ci sia più molto da fare. Avete una branda su cui possa dormire la mia cameriera?» Nel leggergli in volto una risposta negativa, Elizabeth si stizzì ancor di più. «Non vi aspetterete di farci dormire nello stesso letto?» Chiaramente era proprio così, dovette ammettere tra sé con un sospiro. Mary era piuttosto grassa e russava. Elizabeth lo sapeva per certo, poiché la cameriera si era addormentata in carrozza, durante il tragitto, e aveva russato con tale violenza che dopo mezz'ora era stata costretta a svegliarla. Si volse verso Mary, che si era tenuta dietro di lei per poter fare gli occhi dolci al garzone della locanda. «Vieni, Mary» le ordinò, mentre la porta alle spalle dell'oste si apriva per farne uscire due gentiluomini. «Pare che una delle nostre stanze sia stata già data a qualcun altro, il che significa che dovremo condividere il letto.»

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«Ma io russo!» ammise Mary con grande imbarazzo. «Di-tegli che avete bisogno di due stanze.» «L'ho già fatto» borbottò Elizabeth. «Per nostra sfortuna non c'è rimedio.» «Ma scalcio anche, signorina» tornò a protestare Mary. «Almeno così mi diceva mia sorella quando, da piccole, dor-mivamo assieme.» «Suvvia, Mary. Ti ho detto che la stanza è già stata asse-gnata e quindi dovremo accontentarci.» «Scusate, signorina.» Uno dei due gentiluomini appena u-sciti dalla saletta privata si era avvicinato. «Non ho potuto evitare di udire la vostra conversazione. Penso di essere stato io a prendere la vostra stanza. Vi prego di perdonarmi per l'incomodo arrecatovi. Chiederò all'oste di far spostare le mie cose immediatamente.» «Non ci sono altre stanze, Mr. Elworthy» intervenne l'oste. «Dovrete dormire con l'altro gentiluomo oppure sopra le scu-derie.» «Le scuderie mi andranno benone» rispose John Elworthy, sorridendo a Elizabeth. «Penso che la mia stanza sia la mi-gliore delle due. Se volete aspettare nel salottino mentre la libero per il vostro uso... Forse nel frattempo potreste cena-re.» «Credevo che il salotto fosse già riservato a noi» rispose Elizabeth in tono secco. Nel sentirlo chiamare per nome si era irrigidita. Possibile che fosse lo stesso Mr. Elworthy te-stimone della rovina di suo padre? «Aspetteremo nella stanza che ci è già stata assegnata e ci faremo servire lì la cena.» «Sì, certo, come desiderate, signorina» le assicurò Mr. El-worthy, rivolgendo uno sguardo imbarazzato verso le scale su per le quali era sparito l'altro gentiluomo. «Vi lascerei an-che il salottino, se non fosse che Sir Montague ha già ordina-to lì la cena e temo che non accetterebbe di spostarsi.» «Siete qui con quell'uomo?» Elizabeth lo fissò, inorridita. «Se sta usando il salottino non intendo metterci piede. Anzi, penso di non voler nemmeno pernottare qui, stanotte...»

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Si voltò per andarsene, ma Mr. Elworthy la trattenne per il braccio. «Sapete qualcosa di Sir Montague Forsythe?» Elizabeth lo guardò, di colpo bianca come un cencio. «Pur-troppo sì, signore, poiché quell'uomo è responsabile della vergogna e della morte di mio padre.» Ora fu Mr. Elworthy a impallidire. «Ma allora voi dovete essere...» «Sì, signore. Sono Elizabeth Travers.» I suoi occhi scintil-lavano di una luce al contempo furiosa e accusatoria. «Non vi immaginavo un così caro amico di Sir Montague, ma dal mo-mento che viaggiate insieme...» «Vi assicuro, Miss Travers, che mi fate un grave torto!» Elworthy esitò, poi aggiunse: «Mi concedereste una parola in privato?». Dapprima Elizabeth fu tentata di rifiutare, tuttavia lui pa-reva un giovanotto ammodo e di aspetto gradevole, pur non essendo attraente nel senso classico della parola. Inoltre, le si era appena presentata l'occasione che fino a quel momento era sempre sfuggita a suo fratello, ossia parlare con l'unico testimone della scommessa che si potesse ritenere affidabile. Dunque inclinò il capo in segno di assenso e seguì John nella saletta adiacente, lasciando Mary ad aspettarla in corridoio. «Ebbene, signore, che cosa volete da me?» «Innanzitutto desidero dirvi che non sono mai stato più sconvolto in vita mia di quanto lo fui nell'apprendere della triste fine di vostro padre, Miss Travers. Lo conoscevo appe-na, ma non lo ritenevo certo un giocatore d'azzardo così in-callito. Né mi sarei mai immaginato che potesse...» Scosse il capo con aria seria. «Eppure lo vidi in compagnia di Sir Montague, così come lo udii accettare la scommessa su quel-la corsa di cavalli, dato che mi trovavo vicino al loro gruppo. Ebbi l'impressione che Sir Edwin avesse bevuto eccessiva-mente e ritengo che, proprio per quel motivo, abbia agito in modo tanto avventato.» «Eravate vicino a mio padre quando fece quella scommes-sa?»

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«Sì. Lo giudicai un gesto folle, ma non erano affari miei. Ora invece vorrei tanto essermi intromesso, per tentare di dissuaderlo... Ma, dopotutto, una scommessa è una questione d'onore, e come tale è impossibile da revocare.» «Ma se mio padre era ubriaco...» «Concordo con voi nel ritenere che un vero gentiluomo non avrebbe dovuto considerare valida una scommessa stretta in tali circostanze, ma temo che Sir Montague sia incapace di simili scrupoli.» «No davvero, visto che ci concesse solo due settimane per lasciare la casa in cui eravamo sempre vissuti, senza darci nemmeno il tempo di piangere nostro padre.» «È stato spietato.» Mr. Elworthy pareva sinceramente inor-ridito da un simile trattamento. «Dovrebbe vergognarsene!» «Non pensavo che foste un suo amico, signore» commentò Elizabeth. «Lord Wentworth mi aveva assicurato che eravate un testimone imparziale.» John Elworthy resse senza timore il suo sguardo furioso. Miss Travers era una giovane alta, dalla figura armoniosa, af-fascinante piuttosto che graziosa. Da sotto il cappellino le sbucavano lucenti ciocche brune e i suoi occhi luminosi ave-vano assunto un'espressione di sfida a cui John non poté non rispondere. Ovviamente non poteva rivelarle la verità, ossia che aveva seguito Sir Montague e poi simulato un incontro casuale con l'espressa intenzione di carpirgli delle informa-zioni. «Siamo giunti qui in modo del tutto indipendente» le assi-curò. «Tra di noi vige una normale cortesia, come d'uso tra vicini, dal momento che le nostre tenute distano meno di ven-ti miglia l'una dall'altra. A parte ciò, siamo semplici cono-scenti. Spero che vogliate credermi.» «Sì. Devo accettare la vostra parola di gentiluomo» ribatté Elizabeth. «Io ho sempre ritenuto che la storia della scom-messa celasse qualche mistero, ma...» Si interruppe quando la porta si aprì e un altro uomo entrò nella stanza. Era di mez-z'età, alto e massiccio, dotato di una carnagione malsana e un

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lungo naso adunco. Intuendo che si trattasse proprio di colui che aveva rovinato suo padre, Elizabeth si limitò a rivolgere a John un'occhiata eloquente e a lasciare la sala seduta stante. Era appena tornata nell'atrio quando la raggiunse l'oste, an-nunciandole che la sua stanza era pronta. Mary l'attendeva già in cima alle scale. Elizabeth salì i gradini a testa alta, lot-tando per contenere l'impeto di collera furibonda che l'aveva travolta nel ritrovarsi a faccia a faccia con il responsabile del-la morte di suo padre. «Le nostre stanze sono adiacenti, Miss Travers» le comu-nicò Mary, soddisfatta. «Così potrò sentirvi, se doveste chia-marmi nel corso della nottata.» Elizabeth ne dubitava, poiché la ragazza dormiva come un sasso, tuttavia le sorrise e annuì. A dire il vero non avrebbe nemmeno voluto portare con sé Mary, ma Lady Wentworth aveva insistito a non lasciarla viaggiare da sola, soprattutto dal momento che il viaggio prevedeva il pernottamento in una locanda. «Non credo che avrò bisogno di te, Mary» le disse. «Sta-notte intendo chiudermi dentro a chiave e ti consiglio di fare altrettanto.» Mary l'aiutò a disfare i bagagli, quindi la lasciò da sola. E-lizabeth si tolse il cappellino e il mantello, posandoli sullo sgabello ai piedi del letto. Poco dopo bussarono alla porta e la moglie dell'oste entrò con un vassoio. «Avete detto di volere una cena leggera, signorina?» «Sì, grazie. Questo andrà benissimo» le rispose Elizabeth guardando il piatto di carni fredde, il pane e burro, il boccale di birra e la brocca d'acqua che la donna le aveva portato. Quando fu nuovamente da sola mangiò un poco di pane e burro. Era cibo semplice, ma gustoso. D'altronde, Elizabeth non aveva alcun appetito, così si limitò a bere un paio di sorsi di quella birra troppo forte. Dalla finestra entrava ancora la luce del giorno, il che ren-deva assai difficile coricarsi così presto. Si sentiva inquieta, per nulla assonnata. Eppure non le sembrava prudente tornare

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al piano inferiore, soprattutto dal momento che avrebbe corso il rischio d'imbattersi in Sir Montague. L'uomo, probabilmen-te, non sapeva neppure chi lei fosse, a meno che Mr. El-worthy non gliel'avesse detto; tuttavia non voleva nemmeno incrociarlo. Perlomeno nella stanza c'era una bella scorta di candele, il che le avrebbe permesso di leggere prima di andare a dormi-re. Non vedeva l'ora di arrivare alla fine del viaggio, poiché aver sempre e soltanto Mary come compagnia era piuttosto noioso. Come sarebbe stato tutto diverso se la sua cara madre fosse stata lì con lei! Quel pensiero fu accompagnato da una smorfia di rimpro-vero verso se stessa. Si era riproposta di guardare al futuro, sebbene nemmeno quella prospettiva, al momento, presentas-se molto di cui rallegrarsi. Sarebbe presto stata agli ordini di una datrice di lavoro e, per quanto fosse certa che assistere Lady Isadora non sarebbe stato difficile, in futuro avrebbe potuto passare a servizio di dame ben più sgradevoli ed esi-genti. A volte Elizabeth si chiedeva come sarebbe stata la sua vi-ta se avesse accettato una delle tre proposte di matrimonio ricevute all'età di diciannove anni. Non poteva certo dire di aver fatto strage di cuori, durante la sua prima e unica stagio-ne mondana, tuttavia aveva attratto l'interesse di alcuni am-miratori. Nonostante ciò, non si era sentita di sposare nessu-no di loro e sua madre le aveva consigliato di aspettare, assi-curandole che l'uomo giusto sarebbe prima o poi arrivato. Aveva deciso di farla partecipare alla stagione seguente ma, per vari motivi, quell'intento non si era mai realizzato. Prima vi era stata la malattia di suo padre, poi le preoccupazioni per l'andamento della tenuta, non esattamente incoraggiante. Da lì in poi la situazione si era deteriorata sempre di più, fino ad arrivare alla morte di Sir Edwin e alla cacciata della famiglia Travers dalla proprietà. No, si ripeté iniziando a spazzolarsi i capelli, non avrebbe mai voluto sposare uno dei gentiluomini che l'avevano chie-

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sta in moglie. Alla luce delle candele la sua pelle appariva ancora più candida e le sue chiome assumevano riflessi ros-sicci. I suoi lineamenti erano forse troppo ordinari per risulta-re belli, ma i suoi occhi erano davvero notevoli. Tuttavia in quel momento Elizabeth non vide nulla di tutto ciò, riflesso nello specchio. Era abituata a non far caso al proprio aspetto fisico, ma soltanto ad assicurarsi di essere sempre ben petti-nata e vestita con abiti puliti e presentabili. Nel corso degli ultimi due anni aveva frequentato poche persone e aveva da tempo abbandonato ogni speranza di spo-sarsi. Il meglio che poteva aspettarsi, nelle attuali circostanze, era di diventare zia dei figli di suo fratello, sempre se Simon fosse riuscito a trovare moglie. Ma ancora prima di fare ciò, avrebbe dovuto terminare gli studi e trovare un impiego. De-cise di parlargli alla prima occasione, per scoprire quali fos-sero i suoi progetti per il futuro. «Oh, papa» mormorò infilandosi a letto, «vorrei tanto che non aveste fatto quella scommessa...» Il mattino successivo Elizabeth consumò in stanza una par-ca colazione a base di pane e miele. Scesa al pianterreno, cer-cò Mr. Elworthy ma non lo trovò. Quando si informò, le ven-ne detto che entrambi i gentiluomini erano partiti pochi mi-nuti prima. Per un attimo le rincrebbe di non aver approfittato di quell'incontro per interrogare meglio Mr. Elworthy, ma forse lui le aveva già detto tutto quello che sapeva. Doveva accettare il fatto che gran parte della vicenda sarebbe per sempre rimasta avvolta nel mistero, si disse, ricordandosi del proposito di lasciarsi alle spalle il passato. Lei e Mary partirono dalla locanda di buon'ora. La moglie dell'oste aveva preparato un paniere di vivande, il che permi-se loro di pranzare in carrozza, senza doversi fermare se non per cambiare i cavalli. Così facendo, arrivarono a Cavendish Hall prima delle tre di quello stesso pomeriggio. Mentre la carrozza percorreva il viale d'accesso, Elizabeth allungò il collo fuori dal finestrino per dare un'occhiata alla

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casa e fu subito piacevolmente sorpresa da ciò che vide. Non si trattava dell'imponente, vetusto edificio che si era aspetta-ta, bensì di una graziosa dimora di campagna. Si immaginò che non dovessero esserci più di dieci o dodici stanze e, dallo stile architettonico, caratterizzato da alte finestre e da un so-lido tetto in pietra, calcolò che dovesse essere stata costruita nel corso dell'ultimo secolo. A dire il vero, assomigliava mol-to alla casa in cui era nata e cresciuta, e quella somiglianza contribuì a metterla a proprio agio. «Starete bene, qui, signorina.» Anche Mary volle dare la propria opinione, mentre lo sportello della carrozza si apriva e un valletto accorreva ad aiutarle a scendere. «Non è molto più grande di Worth Towers.» «È vero» convenne Elizabeth. «Ed è molto bella. Guarda quelle rose rampicanti.» «Vuol dire che quel muro è rivolto a sud» le fece notare Mary. «Se anche la vostra stanza si affaccia da questo lato, allora starete al caldo perfino in inverno, signorina.» «Immagino che i membri della famiglia abbiano stanze prospicienti la facciata principale» osservò Elizabeth. Levò lo sguardo verso le finestre e scorse una figura femminile assi-stere al loro arrivo. Poco dopo un'altra donna, vestita di gri-gio, uscì dal portone principale per accoglierla e si avvicinò sorridendo. «Miss Travers?» le chiese. «Sono Mrs. Bates, la governan-te di Lady Isadora. Siete in anticipo, signorina. Temevamo che arrivaste in ritardo, a causa delle condizioni delle strade.» «No, per fortuna abbiamo viaggiato con rapidità» le rispo-se Elizabeth. «Alcune stradine di campagna erano un po' im-pervie, ma quelle principali erano in buono stato.» La governante annuì e le condusse all'interno. Nell'atrio le attendeva una cameriera, che portò Mary via con sé. Elizabeth si domandò se le sarebbe stato concesso un attimo per rassettarsi prima d'incontrare la sua nuova datrice di lavoro, ma non fu così, perché Mrs. Bates l'accompagnò subito in un salottino situato al primo piano.

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«Milady vi aspetta, Miss Travers. Se volete venire a salu-tarla, nel frattempo la vostra cameriera potrà disfarvi i baga-gli.» «Sì, certo» rispose Elizabeth, reprimendo a stento un so-spiro deluso. Doveva accettare l'idea di essere una dipenden-te, ora, e che pertanto non le era più consentito di fare come più le aggradava. «Grazie, Mrs. Bates.» La governante aprì la porta del salotto e l'annunciò, quindi si ritrasse per permetterle di entrare. Elizabeth varcò la soglia provando una certa trepidazione. Mentre avanzava nella stan-za e guardava la dama languidamente adagiata su un divanet-to accanto al camino, si accorse che il cuore le batteva più forte. Vestita di un elegante abito di seta color pesca, la gentil-donna era molto più giovane e sofisticata di come se l'era immaginata Elizabeth. Fu quindi ben lieta di aver indossato uno dei suoi abiti migliori, per quell'incontro. Certo, era pur sempre grigio, dato il lutto, ma la stoffa era di ottima qualità e il taglio si addiceva particolarmente alla sua figura. «Milady» esordì in tono esitante. «Lady Isadora...» «Elizabeth, mia cara» la interruppe la dama, mettendosi a sedere. «Che gentile da parte vostra venire da me così pron-tamente!» Emise un piccolo colpo di tosse. «Sono stata male, ma ammetto di sentirmi un po' meglio, oggi. Forse è la pro-spettiva della vostra compagnia a rallegrarmi.» «È un piacere per me essere qui» replicò Elizabeth avan-zando. Si inchinò leggermente, poi sorrise. «Siete stata molto generosa a offrirmi la posizione di dama di compagnia.» «Oh, no, sono io fortunata a poter godere della vostra pre-senza!» protestò Lady Isadora, tendendole entrambe le mani. «La mia precedente dama di compagnia è stata costretta, suo malgrado, a lasciarmi per occuparsi dell'anziana madre e mia figlia è in dolce attesa, il che le impedisce di viaggiare fino a qui. Per fortuna mio figlio si è finalmente deciso a venire a farmi visita.» Il suo tono lamentevole lasciò intendere che si trattasse di una rara occorrenza. «Al momento è in giro per la

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tenuta, ma ci raggiungerà per cena, immagino.» Elizabeth prese quelle mani tese e si chinò a baciarla sulla guancia. In cambio ricevette un bacio ancora più caloroso, dopodiché venne invitata a sedersi sulla poltroncina di fronte al sofà di Lady Isadora. «Sarete contenta di averlo qui con voi, milady» commentò Elizabeth. «Sì, certo» rispose Lady Isadora con un sospiro. «Caven-dish è un bravo figlio, ma non è certo come avere una com-pagnia femminile. Mia figlia minore avrebbe quasi diciotto anni, se fosse ancora in vita. Di recente ci penso spesso. A questo punto sarei stata indaffarata a preparare il suo debut-to.» «Oh, non sapevo della vostra perdita» si affrettò a dire Eli-zabeth con sincero rammarico. «Mi dispiace tanto. Dovete sentirne molto la mancanza.» «Sì, ovviamente. Mia figlia maggiore è sposata e la vedo di rado...» Non era proprio la verità, dato che Melanie aveva trascorso un intero mese con lei, all'inizio dell'anno. «Non avete delle amiche, signora?» «Sì.» Lady Isadora accompagnò la risposta con un debole cenno della mano. «Ma di recente ho potuto ricevere ben po-co, a causa della mia malattia...» Tossì lievemente. «Tuttavia, non appena mi sentirò più in forze...» Si interruppe, aggrot-tando la fronte nell'udire dei passi risuonare in corridoio. A-veva detto a Daniel di restare lontano dal salottino fino a se-ra, ma lui doveva aver dimenticato o ignorato la sua richiesta. «Mama...» Il conte entrò nella stanza e soffermò il proprio sguardo sulla madre prima di posarlo su Elizabeth. Nel ve-derla, le sopracciglia gli si inarcarono per la sorpresa: lei non era affatto come se l'era immaginata. Non era esattamente graziosa, ma di certo non era nemmeno la zitella insignifican-te che si era aspettato. Dunque non aveva avuto tutti i torti nel sospettare che sua madre stesse complottando qualcosa! «Vi chiedo perdono, Miss Travers. Non vi aspettavamo così presto.»

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«Se sono d'impiccio...» D'istinto, Elizabeth percepì il ri-serbo del gentiluomo e s'irrigidì. Ebbe l'impressione che il conte non approvasse pienamente la sua presenza in quella casa. Si alzò, accingendosi a lasciarli. «Oh, non badate a Daniel» la esortò Lady Isadora. «Suona per far portare il tè, tesoro mio... quel campanello sul tavolo, lì, vicino a te» lo sollecitò. «A meno che prima non desi-deriate salire a rinfrescarvi?» aggiunse, rivolta a Elizabeth. «In effetti vorrei lavarmi le mani prima del tè» ammise E-lizabeth. «Sarò di ritorno fra quindici minuti.» Sollevò i suoi begli occhi in modo da incontrare quelli del conte. «Vi pare un periodo di tempo sufficiente a parlare in privato con Lady Isadora, signore?» «Più che adeguato» replicò questi, inclinando leggermente il capo in un gesto cortese, sebbene il suo sguardo restasse del tutto impenetrabile. «So che mia madre aspetterà con an-sia il vostro ritorno. Di certo vorrà parlarvi di parecchie co-se.» Nel dire ciò, un'espressione strana gli attraversò rapida-mente il viso, un'espressione in cui a Elizabeth parve di leg-gere un certo sospetto nei suoi confronti. Dopo aver rivolto un sorriso alla padrona di casa, uscì dalla stanza camminando a testa alta, con la schiena ben dritta. Incerta se doversi chiu-dere alle spalle la porta, indugiò quel tanto necessario a deci-dere, il che le permise di udire la bassa risata del conte. «Ebbene, mama, che cosa avete in mente?» domandò alla madre in tono scherzoso. «Non è certo il topolino di campa-gna che mi avevate descritto. Non è bellissima, ma non è nemmeno senza speranza. Direi anzi che non avrete nemme-no bisogno del mio aiuto per...» «Daniel, non essere impertinente!» lo interruppe la madre. «Piuttosto, dimmi, non la trovi affascinante?» Nel sentirsi oggetto di una discussione tanto spassionata, Elizabeth arrossì. Non desiderando udire una parola di più, percorse il corridoio quasi di corsa e si precipitò al piano su-periore.

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