Sird12 2014

204

description

Giornale Italiano della Ricerca Educativa, num. 12/2014

Transcript of Sird12 2014

Page 1: Sird12 2014
Page 2: Sird12 2014
Page 3: Sird12 2014
Page 4: Sird12 2014
Page 5: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Italian Journal of Educational Research

RIVISTA SEMESTRALEanno VII – numero 12 – Giugno 2014

Page 6: Sird12 2014

Direttore | Editor in chiefLUCIANO GALLIANI | Università degli Studi di Padova

Condirettore | Co-editor PIETRO LUCISANO | Sapienza Università di Roma

Comitato Scientifico | Editorial Board ROBERTA CARDARELLO | Università degli Studi di Modena e Reggio EmiliaARMANDO CURATOLA | Università degli Studi di MessinaJEAN-MARIE DE KETELE | Université Catholique de LeuvainMARIA LUCIA GIOVANNINI | Alma Mater Studiorum – Università di BolognaALESSANDRA LA MARCA | Università degli Studi di PalermoGIOVANNI MORETTI | Università degli Studi di Roma TreELISABETTA NIGRIS | Università degli Studi di Milano BicoccaACHILLE M. NOTTI | Università degli Studi di SalernoVITALY VALDIMIROVIC RUBTZOV | City University of MoscowRENATA VIGANÒ | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Comitato editoriale | Editorial management ANNA SERBATI | Università degli Studi di PadovaMARIA CINQUE | Università degli Studi di PalermoROSA VEGLIANTE | Università degli Studi di Salerno

Note per gli Autori | Notes to the AuthorsI contributi, in format MS Word, devono essere inviati all’indirizzo email del Co-mitato Editoriale: [email protected] informazioni per l’invio dei contributi sono reperibili nel sito www.sird.it __________________Submissions have to be sent, as Ms Word files, to the email address of the EditorialManagement: [email protected] information about submission can be found at www.sird.it

Codice ISSN 2038-9736 (testo stampato)Codice ISSN 2038-9744 (testo on line)Registrazione Tribunale di Bologna n. 8088 del 22 giugno 2010

Finito di stampare: Giugno 2014

Abbonamenti • SubscriptionItalia euro 25,00 • Estero euro 50,00Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vannoindirizzate a: Licosa S.p.A. – Signora Laura MoriVia Duca di Calabria, 1/1 – 50125 Firenze • Tel. +055 6483201 • Fax +055 641257 • mail: [email protected]

Editing e stampaPensa MultiMedia Editore s.r.l. - Via A. Maria Caprioli, 8 - 73100 Lecce - tel. 0832.230435www.pensamultimedia.it - [email protected]

Progetto grafico copertinaValentina Sansò

Page 7: Sird12 2014

Obiettivi e finalità | Aims and scopesIl Giornale Italiano della Ricerca Educativa, organo ufficiale della Società Italianadi Ricerca Didattica (SIRD), è dedicato alle metodologie della ricerca educativae alla ricerca valutativa in educazione.Le aree di ricerca riguardano: lo sviluppo dei curricoli, la formazione degli inse-gnanti, l’istruzione scolastica, universitaria e professionale, l’organizzazione eprogettazione didattica, le tecnologie educative e l’e-learning, le didattiche disci-plinari, la didattica per l’educazione inclusiva, le metodologie per la formazionecontinua, la docimologia, la valutazione e la certificazione delle competenze, lavalutazione dei processi formativi, la valutazione e qualità dei sistemi formativi.La rivista è rivolta a ricercatori, educatori, formatori e insegnanti; pubblica lavoridi ricerca empirica originali, casi studio ed esperienze, studi critici e sistematici,insieme ad editoriali e brevi report relativi ai recenti sviluppi nei settori. L’obiettivoè diffondere la cultura scientifica e metodologica, incoraggiare il dibattito e sti-molare nuova ricerca. ___________________________________The Italian Journal of Educational Research, promoted by the Italian Society ofEducational Research, is devoted to Methodologies of Educational Research andEvaluation Research in Education.Research fields refer to: curriculum development, teacher training, school edu-cation, higher education and vocational education and training, instructionalmanagement and design, educational technology and e-learning, subject teach-ing, inclusive education, lifelong learning methodologies, competences evalua-tion and certification, docimology, students assessment, school evaluation,teacher appraisal, system evaluation and quality.The journal serves the interest of researchers, educators, trainers and teachers,and publishes original empirical research works, case studies, systematic and crit-ical reviews, along with editorials and brief reports, covering recent developmentsin the field. The journal aims are to share the scientific and methodological cul-ture, to encourage debate and to stimulate new research.

Comitato di referaggio | Referees CommitteeIl Comitato di Revisori include studiosi di riconosciuta competenza italiani e stra-nieri. Responsabili della procedura di referaggio sono il direttore e il condirettoredella rivista.___________________________________The referees committee includes well-respected Italian and foreign researchers.The referral process is under the responsability of the Journal’s Editor in Chiefand Co-Editor.

Procedura di referaggio | Referral processIl Direttore e Condirettore ricevono gli articoli e li forniscono in forma anonimaa due revisori anonimi, tramite l’uso di un’area riservata nel sito della SIRD(www.sird.it), i quali compilano la scheda di valutazione direttamente via web en-tro i termini stabiliti. Sono accettati solo gli articoli per i quali entrambi i revisoriesprimono un parere positivo. I giudizi dei revisori sono comunicati agli Autori,assieme a indicazioni per l’eventuale revisione, con richiesta di apportare i cam-biamenti indicati. Gli articoli non modificati secondo le indicazioni dei revisorinon sono pubblicati. ___________________________________Editor in chief and co-editor collect the papers and make them available anonymouslyto two anonymous referees, using a reserved area on the SIRD website(www.sird.it), who are able to fulfill the evaluation grid on the web before thedeadline. Only articles for which both referees express a positive judgment areaccepted. The referees evaluations are communicated to the authors, includingguidelines for eventual changes with request to adjust their submissions accord-ing to the referees suggestions. Articles not modified in accordance with the ref-erees guidelines are not accepted.

Page 8: Sird12 2014

Editoriale di LUCIANO GALLIANI9 Apprendere per insegnare

13 MARINA CHIARO

Le tecnologie nella progettazione didattica nella prospettiva ICF-CYThe technologies for educational design in ICF-CY perspective

31 DANIELA FRISON

Formarsi alle Educational Sciences: cosa ne pensano le organizzazioniStudies on Educational Sciences: what is the position of the businessworld about it

41 FILIPPO GOMEZ PALOMA, LAURA RIO, DOMENICO TAFURI TGM e Scuola Primaria. Possibili correlazioni tra abilità grosso-motoriee profitti disciplinariTGM and Primary School. Possible correlations between gross-motorskills and school marks

63 ANTONIO MARZANO, MARTA DE ANGELISMusica e transfer degli apprendimenti: apprendimenti musicali, abilitàfonologiche e linguistiche nella scuola dell’infanziaMusic and transfer of learning: learning music, phonological and lan-guage skills in kindergarten

85 MASCIA MIGLIORATI, RAFAEL RAMOS ECHAZARRETA, EMANUELE ISIDORI,CLAUDIA MAULINIGli stereotipi etnico-sportivi negli studenti italiani: un’indagine nellescuole secondarie della Provincia di RomaItalian students’ ethnic stereotypes in sports: a survey in secondaryschools of the Province of Rome

99 ANNA MARIA MURDACA, PATRIZIA OLIVA, ANTONELLA NUZZACIFattori individuali e contestuali del burnout: una ricerca descrittiva sugli insegnanti curricolari e di sostegnoIndividual and contextual factors of burnout: a descriptive research onteachers and teacher assistants

INDICE

ricerche

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Page 9: Sird12 2014

121 MARINELLA MUSCARÀ, ROBERTA MESSINAGlobalizzazione e nuovi profili identitari tra i giovani. Alcune riflessionisull’educazione nella società globaleGlobalization and new Identity Profiles among young people. Somereflections on Education in a globalized society

137 DAVIDE PARMIGIANI, ANDREA TRAVERSO, ANTONELLA LOTTI, VALENTINA PEN-NAZIOLe strategie didattiche e valutative per lo sviluppo delle competenze.Una ricerca nella scuola secondaria di secondo gradoInstructional and assessment strategies for competence development.A survey in the upper secondary school

155 DANIELA ROBASTOMigliorare le strategie di studio dei ragazzi con il Questioning. Una ri-cerca empiricaImprove study strategies of teenagers with Questioning. An empiricalresearch

169 ALESSANDRA ROSA, LILIANA SILVAUno studio longitudinale sul valore aggiunto come misura di efficaciascolastica: risultati ed elementi di problematicitàA longitudinal study on value-added indicators for measuring schooleffectiveness: results and critical aspects

185 PAOLA VERSINOSeparate special classes in order to teach the Italian language tonewly-arrived migrant students? The issues at stake and the proposalof a Randomized Controlled Test DesignClassi speciali separate per insegnare l’Italiano agli alunni stranieri neo-arrivati? Le questioni sul tappeto e la proposta di un disegno di valuta-zione randomizzato

anno VII | numero 12 | Giugno 2014indice

Page 10: Sird12 2014
Page 11: Sird12 2014

APPRENDERE PER INSEGNARE

Il Direttivo della SIRD ha scelto come titolo del prossimo VIII Congresso Scien-tifico Nazionale – che si terrà a Salerno nei giorni 11, 12 e 13 del prossimo dicem-bre – APPRENDERE PER INSEGNARE.

Nel 2011 a Padova nel precedente Congresso avevamo posto al centro della ri-flessione e della ricerca il tema: “Università e Scuola: Valutare per quale società?”, per-ché eravamo preoccupati per l’imporsi nel sistema scolastico di una apparenteinnovazione finalistica, tradotta nell’accattivante slogan della “formazione del capitaleumano” e non più dell’“educazione di ciascuna persona”, il “cui maturarsi e valorizzarsiè impegno primario a cui sono subordinati quelli economico e politico” (Flores d’Ar-cais). Una pericolosa cornice culturale, dunque, guidata dal “paradigma meritocraticodei produttori e non da quello democratico dei cittadini” (Baldacci), a cui asservireanche la valutazione in modo specifico di prodotto e di sistema, che invece va fondatasui valori di un processo educativo, dialogico e partecipativo di tutti gli attori, coinvoltinella ricerca di un fine sociale “buono, bello, vero” (Gardner), attraverso la coltiva-zione dell’intelligenza secondo il “canone” della tradizione culturale europea (Ver-tecchi).

Serve dunque un “cambio di verso”, e non solo “di passo” sull’INVALSI, sull’AN-VUR e sull’ISFOL, che coinvolga la scuola, l’università e la formazione permanentenel loro insieme. Occorre partire da una riflessione generale sulle modalità siste-miche dell’istruzione, dell’educazione e della formazione, che integri i contesti for-mali, non formali e informali dell’apprendimento. Una parte consistente della crisio delle difficoltà dei nostri tre sottosistemi formativi a rispondere ai bisogni edu-cativi dei bambini, dei giovani e degli adulti – modificati profondamente dall’evo-luzione economica e tecnologica della società con particolare riferimento al ruolodelle ICT – sta nella inadeguatezza della formazione iniziale e in servizio di inse-gnanti, docenti universitari, formatori, educatori. Se siamo ai primi posti in Europaper dispersione scolastica e agli ultimi per numero di diplomati, di laureati e diadulti nei percorsi formativi, vi sono sicuramente delle responsabilità politiche,ma le cause interne al sistema derivano principalmente da chi educa i “nativi digi-tali” senza saper usare criticamente le tecnologie, trasmette conoscenze dichiara-tive e non si preoccupa di costruisce negli allievi abilità e competenze collegate alnostro patrimonio immateriale, insegna in aula e non conosce metodi/tecnichedi lavoro cooperativo, forma adulti – compresi i laureati triennali – senza ricono-scere e valorizzare le esperienze-competenze pregresse.

APPRENDERE PER INSEGNARE ci sembra quindi un tema da affrontare nonsolo con la discussione, ma anche con la convocazione prioritaria delle esperienzeinnovative e delle ricerche empiriche in grado di aiutarci a mettere in campo i ne-

9

EditorialeLUCIANO GALLIANI

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

Page 12: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

cessari interventi, innanzitutto di miglioramento della formazione iniziale chemanca, al di fuori della scuola dell’infanzia e primaria, di una qualunque sceltaorientativa di percorsi curricolari opzionali di natura psico-socio-pedagogica o di-sciplinari durante le lauree triennali e magistrali, in modo da rendere più efficaceil TFA abilitante, a numero programmato in funzione dei posti a concorso annuale.Intervenendo in secondo luogo con un piano di formazione in servizio degli inse-gnanti della scuola di ogni ordine e grado, centrato su quattro carenze professionali(educazione interculturale e diritti di cittadinanza, metodologia e didattica, tecno-logie della comunicazione educativa, metodi e tecniche di valutazione educativa) econcertato con i Dipartimenti universitari che conducono ricerca scientifica neisettori sopraindicati. Avviando, in terzo luogo, nel deserto della ricerca e delleesperienze italiane, interventi di sostegno e di riqualificazione della docenza uni-versitaria, per un innalzamento progressivo della capacità professionale oltre i mo-delli trasmissivi acquisiti, prevedendo anche specifici percorsi per i docentineo-assunti e per migliorare la qualità dell’offerta formativa degli Atenei.

Abbiamo previsto come Direttivo della SIRD sette sezioni tematiche in cui rag-gruppare i contributi di ricerca che perverranno sia in forma di full paper che dishort paper, destinati poi alla pubblicazione nella Rivista o negli Atti del Congresso.

1. Nella prima sezione i contributi di ricerca riguarderanno questioni teoriche,progettuali, organizzative, metodologiche, didattiche e valutative, relative allaformazione iniziale, in servizio e permanente dei docenti della scuola di ogni or-dine e grado e dell’università con riferimento: ai processi di professionalizza-zione dei docenti e di universitarizzazione della formazione; alla costruzionedi rapporti di partnership tra istituzioni scolastiche e università; all’attivazionedi dispositivi didattico-organizzativi e all’utilizzo di specifiche metodologie estrategie nelle differenti tipologie di formazione; alla integrazione di attivitàdi formazione in presenza con attività di blended e-learning; all’impatto dellaformazione sulla professione e sulla qualità della didattica scolastica e della di-dattica universitaria.

2. I contributi della seconda sezione riguarderanno i progetti o i risultati di ri-cerche empiriche e di studi innovativi che hanno come oggetto specifico di in-dagine:

– gli aspetti della ricerca didattica di tipo empirico relativi alla formazione e allosviluppo della professionalità docente nelle diverse fasi (progetto, realizzazione,valutazione, diffusione e uso dei risultati) e/o ai fattori che rendono possibiletale apporto;

– la crescita e qualificazione della professionalità docente, nei diversi ambiti delsistema educativo e formativo, in relazione allo sviluppo di nuove forme, modellie pratiche, anche in collaborazione con la ricerca didattica universitaria di tipoempirico e con particolare riferimento all’esercizio della pratica riflessiva deidocenti e alla valutazione longitudinale di programmi integrati.

3. Nella terza sezione i contributi affronteranno la ricerca relativa alla progetta-zione curriculare, che chiede sempre con più urgenza una riflessione attentasulla trasposizione didattica dei contenuti disciplinari, che riduca, da un lato, ladistanza fra il sapere accademico degli esperti (sapere sapiente) e il sapere pro-posto nelle scuole e nelle aule universitarie (sapere insegnato), con le sue pra-tiche sociali di riferimento e, dall’altro, il distacco fra il sapere insegnato e leenciclopedie dei ragazzi e dei giovani con i loro percorsi di senso. La trasposi-zione didattica poi deve includere la ricerca sulle forme di mediazione comu-nicativa e didattica, sulle situazioni di insegnamento che possono rendere

10

Page 13: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

accessibili, chiari e comprensibili questi saperi ai diversi livelli di formulazione,alle diverse età degli allievi e ai diversi ordini e gradi di scuola e per l’universitàal rapporto con le applicazioni nelle professioni superiori.

4. La quarta sezione conterrà contributi che pongono al centro il ruolo della di-dattica come scienza empirica e normativa, che ha per oggetto la progettazione,l’organizzazione, la gestione e l’ottimizzazione delle azioni formative, con unamolteplicità di ambienti di apprendimento, di risorse e attività didattiche e conil rispettivo aumento dei modelli di complessità dei processi di insegnamento.II contributi si riferiscono a questioni teoriche, progettuali e metodologicheche riguardano il miglioramento di prodotti, processi e sistemi e le ricadute alivello formativo delle innovazioni didattiche e tecnologiche. Oggetti di ricercapossono essere nello specifico l’utilizzo delle TIC nei differenti contesti di ap-prendimento; le problematiche legate alle metodologie di comunicazione neidiversi ambiti disciplinari; lo studio e gli usi delle risorse aperte on line del-l’apprendimento; i metodi collaborativi e cooperativi delle comunità di praticaper la costruzione delle conoscenze e lo sviluppo delle competenze.

5. Le proposte per la quinta sezione tematica avranno ad oggetto studi e ricercherelativi alla valutazione formativa e all’assessment dei risultati degli apprendi-menti che, secondo una logica proattiva, devono permettere l’acquisizione diconoscenze, abilità e competenze significative, da rilevare durante la fase diattuazione di un percorso didattico. La verifica, la misurazione e la valutazionedei risultati di apprendimento conseguiti sono poi finalizzate ad individuare,in un’ottica di miglioramento, parziali adattamenti, necessari correttivi o il raf-forzamento delle scelte adottate. La responsabilità sociale della valutazione,che implica certificazione e qualificazioni correlate a specifiche professioni, vacondivisa tra tutti gli attori diretti e indiretti (stakeholder) che intervengononei contesti formali, non formali e informali.

6. L’enfasi sull’importanza di attivare procedure per stimare gli effetti degli inter-venti educativi delle scuole, delle università e di altre agenzie formative e lo sfor-zo per raggiungere in tempi brevi risultati generalizzabili hanno spesso portatoad attenuare il rigore necessario per giungere ad asserzioni metodologicamentecorrette. In questa prospettiva la sesta sezione accoglierà contributi in cui con-frontarsi su modelli valutativi che definiscano con rigore le caratteristiche degliorganismi di istruzione e del sistema che si intende valutare, i suoi obiettivi for-mativi e le variabili da osservare e misurare. In particolare è necessaria una at-tenta definizione degli attori che giocano nel sistema ruoli determinanti perevitare che il risultato delle azioni educative sia stimato in assenza di una ade-guata disamina dei fattori di contesto, soprattutto quando si vuol calcolare il va-lore aggiunto di un intervento educativo.

7. Con la legge 92/2012 il d.lgs 13/2013 l’Apprendimento Permanente diventa an-che in Italia “diritto” di ogni persona, in ogni fase della vita e nell’ambito di unSistema condiviso e territorialmente integrato di servizi di istruzione, forma-zione e lavoro. Ciò permetterà l’individuazione e il riconoscimento delle com-petenze acquisite nella propria storia personale, formativa, professionale neicontesti non formali e informali. Per orientare e accompagnare, soprattutto gliadulti, alla validazione degli apprendimenti pregressi e alla loro certificazioneservono esperti formati, come avviene in ambito europeo. I contributi di questasettima sezione riguarderanno esperienze e ricerche avviate per condurre pro-cessi di ricostruzione autobiografica e di identificazione e formalizzazione deisaperi esperienziali, progettando e applicando strumenti come il bilancio di com-petenze, il portofolio e/o dossier degli apprendimenti. In alcuni Atenei si è dato

editoriale

11

Page 14: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

vita a servizi di supporto allo sviluppo del Lifelong Learning, terza missioneuniversitaria, che vanno presentati e diffusi a livello nazionale.

Nel novembre del 2012 abbia lanciato un MANIFESTO PER LA RICERCA EDU-CATIVA E L’INNOVAZIONE DIDATTICA, sottoscritto da tutte le nostre Societàscientifiche pedagogiche, nel quale individuavamo otto emergenze educative, chevogliamo brevemente richiamare e che riproporremo al terzo ministro e al terzoPresidente del Consiglio succedutisi ad oggi. A dire il vero Renzi ha cominciato aporre prioritariamente all’attenzione del Paese proprio le prime due emergenze(la fiducia nell’educazione e la centralità dei luoghi formativi) visitando le scuo-le e finanziando le ristrutturazioni edilizie degli Istituti, con la speranza che ven-gano riservati spazi per i laboratori e le attività di recupero e di animazione sociale,in modo da tenere aperte tutte le scuole al pomeriggio.

Sulla terza emergenza che riguarda il perseguimento coerente di una strategiaper la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti della scuola, abbiamoprecedentemente richiamato la scelta strategica che dovrebbe assumere il MIUR,essendoci già i finanziamenti, e le Università, che possono ricevere premialità pro-prio per la qualificazione della didattica.

La quarta emergenza, riguardante l’innovazione dei mediatori culturali e di-dattici, nonostante il gran parlare di “Scuola digitale”, ci vede ancora arrancarenelle retrovie europee per quanto riguarda i collegamenti di rete e le attrezzatured’aula e mobile, a meno di agganciare i finanziamenti all’Agenda Digitale. Destapreoccupazione la mancanza di competenze digitali per la didattica da parte degliinsegnanti, soprattutto con l’arrivo degli “e-book di testo”, una contraddizione intermini, confermata da una iniziativa nazionale intelligente di insegnanti e di isti-tuti in rete che stanno producendo in autonomia i materiali didattici multimedialiper tutte le discipline, gestendone la distribuzione gratuita nelle scuole.

La quinta emergenza, riguardante l’apprendimento permanente e la forma-zione degli adulti, sembra essere stata affrontata con sollecitudine avviando i ta-voli interistituzionali fra Stato-Regioni-Forze sociali per l’attivazione entro il 2014del Sistema nazionale di certificazione delle competenze. Tutti gli attori formativi esociali, in particolare la scuola attraverso i CPIA e le università attraversocentri/servizi per l’apprendimento degli adulti, sono chiamati a procedere final-mente a validazione, riconoscimento e certificazione delle competenze acquisitein contesti non formali e informali. La RUIAP – Rete Universitaria Italiana perl’Apprendimento Permanente sta avviando un progetto di MOOCs e di Master perla formazione di operatori esperti nei processi di accompagnamento degli adultialla identificazione e certificazione degli apprendimenti pregressi.

Sulla settima emergenza riguardante la valutazione nella scuola e nell’universitàabbiamo detto all’inizio e ci pare che qualche segnale di cambiamento sia avvenutocon la scelta del nuovo Presidente dell’INVALSI di area psicopedagogica e con le ri-chieste di revisione delle procedure dell’ANVUR da parte del CUN e della CRUI.

La sesta e l’ottava emergenza (numero adeguato di ricercatori e precarietàdelle professioni educative) rappresentano situazioni di grande complessità, fi-nora soltanto annunciate dalla politica con tentativi legislativi e amministrativiassolutamente inadeguati. Vogliamo sperare che nell’agenda delle riforme per iprossimi “mille giorni” si affrontino seriamente queste questioni.

Il Congresso di dicembre della SIRD sarà una occasione importante per dimo-strare quanto sia determinante la ricerca educativa per identificare i problemi darisolvere e per individuare le azioni per il miglioramento del nostro sistema for-mativo.

12

Page 15: Sird12 2014

13

Le tecnologie nella progettazione didattica nella prospettiva ICF-CY

The technologies for educational design in ICF-CY perspective

Questo lavoro presenta i presupposti teorici,la metodologia e le prime evidenze emersedal progetto di ricerca relativo alla ScuolaDottorale in Pedagogia e Servizio Socialedell’Università di Roma Tre. La ricerca hal’obiettivo di valutare quanto la formazionein servizio di insegnanti curricolari dell’in-fanzia, primaria, secondaria di primo e se-condo grado, erogata con modalità blended,su tematiche relative ai Disturbi Specifici diApprendimento (DSA), possa facilitare laprogettazione di strategie didattiche inclusi-ve. L’aspetto della formazione è stato riferitoin particolare alla possibilità per gli insegnan-ti di costituire delle Comunità di Pratica talida continuare le loro interazioni anche nel-l’ottica del longlife learning. Il tema di ricercaha come riferimento la prospettiva culturaledell’International Clas sification of Functio-ning, Disability and Health for Children andYouth (ICF-CY) ed in particolare il ruolo dei“Fattori Ambientali”, inseriti nel capitolo“Prodotti e Tecnologie”, come facilitatori delfunzionamento degli allievi.

Parole chiave: inclusione scolastica, tecno-logie della comunicazione ed informazione(TIC), ICF-CY, progettazione didattica inclu-siva, formazione degli insegnanti, comunitàdi pratica.

This paper explains the theoretical assum-ptions, the methodology and the first evi-dences emerged from the research projectof the PhD School in Education and SocialService at the University of Roma Tre. Theresearch deals with the opportunity to eva-luate how the training of teachers in servicedelivered through a blended modality, onthemes relating to Learning Disability (LD)may facilitate the design of inclusive tea-ching strategies. The aspect of the trainingwas related in particular to the possibility forteachers to build up Communities of Practi-ce such as to continue their interactions aswell from the perspective of longlife lear-ning. The conceptual framework of the re-search is the International Classification ofFunctioning, Disability and Health for Chil-dren and Youth (ICF-CY) with the chapter“Products and Technology” component in-cluded in “Environmental Factors” of theclassification.

Keywords: inclusion, information and com-munication technology (ICT), ICF-CY, inclu-sive educational design, teachers’ training,community of practice (CoP).

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Marina Chiaro – Università Roma Tre – [email protected]

Page 16: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

14

Introduzione

In questo lavoro vengono illustrati i presupposti teorici e la metodologia progettataper l’attività di ricerca, i cui risultati sono attualmente in fase di approfondimento,svolta presso la Scuola Dottorale in Pedagogia e Servizio Sociale dell’Universitàdi Roma Tre, riguardo la possibilità di esplorare quanto la formazione permanentee continua di insegnanti curricolari in servizio, dell’infanzia, primaria, secondariadi primo e secondo grado, erogata con modalità blended, ovvero utilizzando siagli incontri in presenza sia le tecnologie per l’informazione e la comunicazione,su tematiche relative ai Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), possa facilitarela progettazione di strategie didattiche inclusive nella prospettiva dell’ICF-CY.

A tal fine, gli obiettivi della ricerca, dettagliati nel prosieguo del lavoro insiemeal piano di indagine, sono stati esplorati presso un gruppo di docenti, durante laloro frequenza al Master in “Didattica e Psicopedagogia per gli alunni con DisturbiSpecifici di Apprendimento” presso l’Università degli Studi di Roma Tre del Di-partimento di Scienze della Formazione1.

Le prime evidenze relative alla fase descrittiva del fenomeno oggetto di studiosono descritte di seguito in questo lavoro, mentre l’analisi e le conclusioni finalidella ricerca, che sono attualmente in corso di elaborazione ed approfondimento,saranno oggetto di una successiva fase di presentazione2.

Il tema di ricerca ha come riferimento il quadro concettuale dell’InternationalClassification of Functioning, Disability and Health for Children and Youth (ICF-CY) (OMS, 2002, 2007) ed in particolare il ruolo dei fattori ambientali, inseritinel capitolo “Prodotti e Tecnologie”, come facilitatori del funzionamento degli al-lievi. Come noto, infatti l’ICF-CY definisce le componenti della salute ed alcunecomponenti del benessere correlate alla salute che, nel caso dei bambini e degliadolescenti, comprendono le funzioni mentali dell’attenzione, della memoria edella percezione, nonché attività come il gioco, l’apprendimento, la vita familiaree l’istruzione in diversi domini. Questi sono definiti mediante due “termini om-

1 Si tratta di insegnanti in servizio iscritti al Master in “Didattica e Psicopedagogia pergli alunni Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA)” nel corso dell’A.A. 2011/2012presso l’Università degli Studi di Roma Tre del Dipartimento di Scienze della Forma-zione in convenzione con il MIUR.

2 Il lavoro conclusivo sarà realizzato integrando opportunamente tutte le informazionidisponibili di seguito elencate: i risultati delle distribuzioni semplici di frequenze delledue fasi con i relativi test di significatività; l’analisi fattoriale dei risultati dell’applicazionedella scala Likert; gli aspetti qualitativi emersi dalla selezione delle tesi redatte dai cor-sisti al termine della frequenza al Master ritenute di particolare interesse ai fini dellaricerca in quanto relative a casi di progettazioni didattiche inclusive che abbiano tenutoconto delle nuove tecnologie secondo la classificazione ICF-CY.

Le tecnologie nella progettazione didattica nella prospettiva ICF-CY

Page 17: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

brello” (OMS, ICF-CY, 2007 p. 22): il funzionamento, che cattura e comprendetutte le funzioni corporee, le attività e la partecipazione, e la disabilità, che rac-chiude le menomazioni, le limitazioni dell’attività e le restrizioni della partecipa-zione. I fattori ambientali3 nell’interazione con la persona in un determinatocontesto, possono incidere positivamente o negativamente sui livelli di attività edi partecipazione. L’incidenza positiva li rende “facilitatori”, mentre l’incidenzanegativa li rende “barriere”. La presenza di ausili o tecnologie assistive costituisceuna forma di modificazione ambientale che può incidere fortemente nella qualitàdel funzionamento e del benessere psico-fisico della persona.

Partendo dal presupposto che la scuola viene considerata, in modo maggior-mente puntuale nell’ICF-CY, quale area fondamentale di vita e di esperienza dellapersona, la prospettiva di utilizzo di tale classificazione specificamente nei contestieducativi e scolastici ne evidenzia le peculiarità di strumento adeguato ad attivareprocedure di osservazione sistematica sia delle caratteristiche individuali e dei fat-tori personali, sia dei fattori ambientali di vita della persona, cogliendone le inte-razioni, nell’ambito di una concezione culturale del funzionamento umano, dellasalute e della disabilità ispirata dai principi dell’inclusione. Infatti, l’obiettivo di co-struire una società inclusiva non può non partire dalla costruzione di una scuolainclusiva i cui principi ispiratori “radicati nella lotta alla discriminazione, alla di-seguaglianza e all’esclusione dall’istruzione in particolare delle fasce più deboli,sono tesi alla rimozione delle barriere che ostacolano l’apprendimento e la parte-cipazione di tutti gli allievi alla vita scolastica” (Chiappetta Cajola, 2013b, p. 9).

1. Ipotesi di ricerca

In considerazione di quanto esposto la ricerca è stata finalizzata a valutare se equanto, per insegnanti in servizio, la possibilità di partecipare ad un progetto for-mativo erogato con modalità blended su tematiche relative ai Disturbi Specifici diApprendimento faciliti la realizzazione di una progettazione didattica inclusiva.È stato approfondito, inoltre, il ruolo attribuito dagli insegnanti alle nuove tecno-logie nella progettazione didattica inclusiva così come declinate nella classifica-zione ICF-CY.

Le ipotesi della ricerca sono state indotte da alcune riflessioni. La prima ri-guarda la percezione di una situazione di perdurante difficoltà nella realizzazione

3 I fattori ambientali vengono definiti, nell’ICF-CY come “gli atteggiamenti, l’ambientefisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza” (OMS, ICF-CY,2007, p. 20). L’interazione persona-ambiente richiede di prestare una particolare atten-zione ai fattori ambientali nel caso dei bambini e degli adolescenti. Infatti gli ambientidei bambini e degli adolescenti possono essere considerati come una serie di sistemisuccessivi che li circondano, dal più immediato al più distante, aventi ognuno un’in-fluenza diversa, che varia in funzione dell’età o dello stadio evolutivo raggiunto. In con-siderazione della posizione di dipendenza in cui si trovano i bambini durante losviluppo, gli elementi fisici e sociali dell’ambiente hanno un impatto significativo sulloro funzionamento pertanto i fattori ambientali negativi hanno spesso un impatto piùforte sui bambini che sugli adulti; per gli adolescenti, si diversificano gradualmente nelcontesto più ampio della comunità e della società. La presenza di ausili o tecnologie as-sistive costituisce una forma di modificazione ambientale che può facilitare il funzio-namento in un bambino con menomazioni fisiche significative.

ricerche

15

Page 18: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

di un reale processo inclusivo scolastico e sociale nella scuola primaria e nellascuola secondaria di I e II grado. Questa situazione dipende da molteplici fattori,quali la carenza di formazione degli insegnanti, l’impegno collettivo nella costru-zione di risposte condivise ed adeguate alle esigenze individuali degli allievi, laqualità dei programmi, la rigidità del curriculum e delle procedure valutative, lapredominanza del modello medico alla disabilità, l’esclusione fisica dalle classi re-golari, nonché la perdurante carenza di collaborazione tra l’insegnante di sostegnoe gli insegnanti curricolari che, impedendo di fatto il necessario coinvolgimentodi tutti i docenti nei processi inclusivi, istituzionalizza sul campo il binomio do-cente di sostegno-allievo disabile (Canevaro, Mandato, 2004, pp. 59-60). Pertantonella definizione del tema di ricerca sono stati effettuati approfondimenti specifici,come descritto nel paragrafo successivo (cfr. par. 1.1), sul rapporto tra nuove tec-nologie e formazione degli insegnanti con particolare riferimento alla possibilitàdi costituire delle Comunità di Pratica che, a seguito della partecipazione al Master,possano facilitare successive interazioni anche nell’ottica del longlife learning. Tuttociò nella prospettiva di promuovere, mediante la conoscenza e nel riguardo dellerispettive professioni, modalità collaborative sia a livello progettuale che operati-vo-procedurale, in grado di supportare l’individuazione di strategie educative con-sone alle caratteristiche degli allievi, tali da favorire sia lo sviluppo degliapprendimenti sia il processo di integrazione.Una seconda riflessione si riferisce alla presenza nelle scuole di un numero

crescente di alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA)4 e di allievicon Bisogni Educativi Speciali (BES)5 (Associazione Treellle, Caritas italiana &Fondazione Agnelli, 2011; MIUR, 2013), che ricomprendono anche gli allievi conDSA (Ianes, 2013, p. 21). Per tali studenti un passo positivo verso una scuola in-clusiva è stato fatto con la Legge n.170 del 2010 e con le successive Linee guida peril diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA (D.M. n. 5.669 del 2011),

4 In Italia l’art. 1 della Legge 170 8-10-2010 riconosce la dislessia, la disgrafia, la disorto-grafia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento (DSA) che “si manife-stano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologichee di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune at-tività della vita quotidiana” (art. 1, p. 1). Conseguentemente all’approvazione di taleLegge, il MIUR pubblica periodicamente importanti statistiche su gli alunni con Di-sturbi Specifici di Apprendimento iscritti a scuola. Questi nell’anno scolastico2010/2011 sono stati 65.219 e per l’anno scolastico 2011/2012 sono stati pari a 90.030(Fonte: MIUR (2013)- Direzione Generale per gli Studi, la Statistica e per i Sistemi In-formativi – Servizio Statistico. “Alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento AA.SS.2010/2011 e 2011/12”).

5 Gli studenti con BES , introdotti nel 1978 con il Rapporto Warnock, “…riguardano al-lievi con qualsiasi difficoltà di tipo evolutivo nel funzionamento del soggetto dal puntodi vista educativo e dell’apprendimento e che presentano uno stato di difficoltà in cuipuò venirsi a trovare un bambino, un preadolescente o un adolescente a causa di diffe-renti problematiche personali e sociali, che non sono causate esclusivamente da unadisabilità…” (Warnock, 1978; UNESCO, 1997). In Italia con il D.M. del 27/12/2012,nel par. 1, p. 2, viene indicata come area dei Bisogni Educativi Speciali (in altri paesieuropei: Special Educational Needs), l’area dove sono comprese tre grandi sotto-cate-gorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svan-taggio socioeconomico, linguistico, culturale. In particolare nel D.M. citato vieneesplicitato che nei disturbi evolutivi specifici vengono ricompresi i DSA.

16

Page 19: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

ma in particolare, per gli allievi con DSA, come per tutti i BES, è stata indicataesplicitamente dal MIUR nel 2012 (D.M. 27.12.2012) la possibilità di utilizzare laclassificazione ICF-CY come strumento di intervento per una progettazione di-dattica in ottica inclusiva con particolare attenzione all’uso delle nuove tecnologie,così come descritto di seguito nel paragrafo 1.2.

1.1 Le nuove tecnologie per la formazione degli insegnanti

Nel contesto attuale la formazione degli insegnanti è considerato uno dei fattorichiave per garantire la qualità dell’istruzione e migliorare il livello di istruzione(Commissione delle Comunità Europee, 2007) ed è rilevante l’esigenza di un’offertaformativa strutturata come un apprendimento permanente in ottica lifelong lear-ning che sia, tra l’altro, in grado di rispondere alle carenze di condivisione e colla-borazione che sono oggi riscontrate nelle diverse realtà scolastiche. Infatti aidocenti si chiede di adottare impostazioni dell’apprendimento più collaborative ecostruttive in modo da svolgere un ruolo di coadiutori e di responsabili della ge-stione della classe, piuttosto che di formatori ex-catedra (Commissione delle Co-munità Europee, 2007, p. 5). Questi ormai irrinunciabili ruoli richiedono unaformazione specifica su tutta una serie di competenze tecnologiche, informatichee modalità didattiche per realizzare un improcrastinabile “passaggio al futuro”(Galliani, 2009, p. 101), in considerazione anche delle eterogenee composizionidelle classi, con presenza di alunni provenienti da contesti diversi, culture diverse,con Bisogni Educativi Speciali e quindi anche per gli allievi con DSA. Pertanto gliinsegnanti sono tenuti a sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie eda rispondere alle richieste di apprendimento dei singoli. In tal senso il Ministerodell’Istruzione, Università e Ricerca, al fine di eliminare la carenza di abilità nelleTecnologie dell’Informazione e la Comunicazione (TIC) ed il digital divide6 giànel 2002 aveva predisposto un piano di formazione tecnologica per tutto il perso-nale delle scuole, docenti curricolari e di sostegno inclusi, la cui importanza è stataribadita anche nel Decreto Direttoriale del 2012 con esplicito riferimento alla ne-cessità per gli insegnanti di sostegno di acquisire competenze con le TIC (D.D. n.7, 16/04/2012); mentre nel 2013 è stato approvato dal Parlamento il pacchetto perIstruzione, Università e Ricerca, che contiene, tra le altre, la norma che nel capitoloformazione punta ad un rafforzamento delle “competenze relativamente ai pro-cessi di digitalizzazione e di innovazione tecnologica” (Legge n. 128, 2013, art.16).L’aspetto problematico della formazione degli insegnanti, considerato nel tema

della ricerca, è stato affrontato riflettendo anche sulla possibilità di costituire e fa-vorire la costituzione delle Comunità di Pratica (CdP), introdotte da Wenger(1998). Queste sembrano rappresentare un utile modello per affrontare il proble-ma della gestione della conoscenza, in quanto si basano su una nuova teoria del-

6 Nel piano sull’Innovazione nella Scuola e nell’Università (2002), sono state individuatein particolare le seguenti quattro aree prioritarie di intervento: l’innovazione del sistemascolastico, con l’apertura a nuove metodologie e nuovi contenuti didattici; il cablaggiodegli istituti e la loro messa in rete; la creazione di comunità virtuali all’interno del si-stema Scuola-Università; l’utilizzo dell’e-learning per l’erogazione di corsi per studenti,insegnanti e personale non docente.

ricerche

17

Page 20: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

l’apprendimento definita come il risultato di una partecipazione attiva alle pratichedi una o più comunità sociali cui l’individuo appartiene (più o meno consapevol-mente e a diversi livelli di coinvolgimento) e del processo di identificazione/ade-sione alle stesse comunità (Wenger, 1998, p. 6). Le CdP risultano idonee asupportare l’attività quotidiana dei docenti per facilitare l’inclusione scolastica ditutte le diversità, come dimostrato anche da alcune ricerche di settore, dalle qualiemerge l’esigenza sia da parte degli inseganti di sostegno che di quelli curricolari,di sviluppare adeguate competenze comunicative-relazionali per migliorare l’in-tegrazione degli allievi disabili attraverso la messa in comune di conoscenze e diesperienze, il dialogo ed il confronto, oltre che la riflessione critica sulle proprieazioni (Chiappetta Cajola, 2009 p. 53).

Poiché nella realtà le CdP possono assumere molte forme, in quanto possonorappresentare comunità che svolgono la loro attività in presenza, on-line oppurein modalità blended, ovvero utilizzando sia gli incontri in presenza sia il Web, ilprogetto di ricerca, come descritto in maggior dettaglio in seguito, ha consideratocome unità di analisi insegnanti in servizio che per il loro aggiornamento profes-sionale hanno usufruito di una modalità formativa erogata in modalità blended.

Tale scelta risulta coerente con quanto descritto nell’ipotesi della ricerca se-condo la quale provare ad utilizzare le tecnologie a disposizione per rendere la di-dattica più diversificata, più multidimensionale, più inclusiva può rappresentareuna sfida al cambiamento (Zambotti, 2013, p. 290). Ciò è in linea peraltro con gliimpegni stabiliti dalla cooperazione italiana che, nel G87, si è impegnata ad esten-dere l’utilizzo delle TIC per la formazione degli insegnanti e per rafforzare le stra-tegie educative ad alto valore inclusivo.

1.2 Le tecnologie nella classificazione dell’ICF-CY

Nella fase di definizione del problema di ricerca si è tenuto conto anche delle TIC,classificate peraltro nell’ICF-CY, come risorsa per una efficace progettazione in-clusiva che non può non tener conto della capillarità della loro diffusione e dellafacilitazione che possano avere nelle diverse attività che ciascuno di noi è chiamatoad assolvere nei diversi contesti della vita quotidiana, nella scuola, nel tempo li-bero, nell’uso domestico, nella formazione extrascolastica e nell’università. Infatti,il loro impiego anche nelle scuole, rappresenta un vantaggio per tutti al fine dipromuovere un’integrazione scolastica realmente inclusiva e che non si esauriscain “fare le cose come gli altri, ma piuttosto in quella di offrire la possibilità di farele cose con gli altri” (Fogarolo, 2012 p. 46).

Un aspetto non trascurabile, che crea difficoltà ad una maggiore diffusionedelle TIC, riguarda le modalità di progettazione dei prodotti tecnologici che usual-mente tengono conto degli utenti “normodotati” costringendo coloro che hannodei bisogni speciali ad adattarsi a quanto già realizzato. La tematica è stata affron-tata specificatamente nel 2003 nel “Libro Bianco Tecnologie per la Disabilità. Unasocietà senza esclusi”, dove è stato ribadito e confermato l’impegno ineludibile direndere accessibili a tutti le tecnologie dell’informazione e della comunicazione,

7 Digital Opportunities for All: Meeting the Challenge. Final Report of the Digital Op-portunity Task Force (DOT Force). Maggio 2001. In http://www. g8i talia.it/_ en/ docs -/STUWX141.htm

18

Page 21: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

promuovendone l’uso e la diffusione mediante modalità di semplificazione e difacilitazione. Nello stesso documento si opera la distinzione, in funzione del loroimpiego, tra le tecnologie informatiche individuali, che costituiscono il settorevero e proprio degli ausilii o delle tecnologie assistive e le tecnologie informaticheper la comunicazione, quale può essere internet. In questo quadro il concetto diausilio è stato coniugato contestualmente a quello di accessibilità, in quanto il pri-mo sta ad indicare l’adattamento della persona all’ambiente, ed è complementareal secondo che rappresenta invece l’adattamento dell’ambiente alla persona8. En-trambe le questioni sono state considerate estremamente rilevanti e, nell’otticadell’approccio proprio della cosiddetta “progettazione universale”9, la Legge Stancan. 4 del 2004 è stata dedicata all’accessibilità dei siti web ed alla progettazione deisoftware didattici; mentre nel 2009 la Legge n. 18 ha indicato specificatamente chequesti debbano essere pensati accessibili già in fase di progettazione.

Inoltre, come noto le TIC a scuola possono assolvere diverse funzioni: da quelleabilitanti a svolgere attività di base per l’esperienza scolastica che altrimenti nonpotrebbero essere eseguite, definite Tecnologie Assistive (TA) a quelle di supportoad una progettazione didattica avanzata per l’intera classe (supporto di softwaredidattici, internet, e-learning, etc.), ovvero uso di “software didattici ed uso didat-tico del software” (Guerreschi, 2009 p. 77), che riguardano tutti gli studenti, nonsoltanto gli allievi disabili, con il rischio, però, di inserire ulteriori elementi diesclusione per questi ultimi, nel caso in cui non venissero rispettate le opportunenorme di accessibilità ed usabilità10 dei software, definite peraltro a livello inter-nazionale.

La rilevanza delle nuove tecnologie in fase di progettazione didattica è stataapprofondita in relazione al quadro concettuale della classificazione ICF-CY cheapplicata nei diversi contesti educativi per l’osservazione degli allievi e del loro“funzionamento” in senso dinamico-evolutivo, in interazione con i fattori ambien-tali, è finalizzata ad una progettazione educativo-didattica significativamenteorientata alla prospettiva inclusiva (Ianes, 2013, p. 23; Chiappetta Cajola, 2013ap. 54).

Il concetto di inclusione fa riferimento a principi di non discriminazione, di

8 L’Unione Europea ha definito con l’e-Accessibility for people with disabilities (2002) l’ac-cesso ai servizi da parte di cittadini disabili per mezzo delle tecnologie dell’informazionee della comunicazione, tenuto conto dei loro specifici bisogni. Per approfondimenti sirimanda al Consiglio di Lussemburgo dell’8 ottobre 2001, ed al “Piano d’Azione e-Eu-rope 2002”.

9 Principio della “Progettazione Universale” o Universal Design o Progettazione per tuttio Design for All: Principi di progettazione secondo i quali si deve sempre tener contodella varietà di esigenze di tutti gli utenti. Nel campo informatico questa è strettamenteconnessa al problema dell’accessibilità ed ha come punti di riferimento principali l’equi-tà e la flessibilità, l’uso semplice ed intuitivo, l’informazione accessibile, la tolleranzaagli errori, lo sforzo fisico minimo, lo studio di dimensioni e spazi adatti a qualsiasiutente, senza limiti per la capacità di movimento, la postura e la dimensione del corpo.(Definizione tratta dal Glossario curato da Fogarolo, sul Portale Handitecno inhttp://handitecno.indire.it/). L’ETSI (EuropeanTelecommunicationsStandardsInstitute)definisce i parametri tecnici di accessibilità per le TIC in conformità con i principi delDesign for All, considerando le capacità e condizioni fisiche dei potenziali utenti.

10 Lo standard ISO 9241 definisce l’usabilità come “la misura in cui un prodotto può essereusato da determinati utenti per raggiungere determinati obiettivi con efficacia, effi-cienza, e soddisfazione, in un determinato contesto d’uso”.

ricerche

19

Page 22: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

pari dignità ed equità sociale, con profili ideali di vita e di società: in tale contestorisulta rilevante il ruolo e l’impiego delle tecnologie a supporto della partecipa-zione e dell’acquisizione di conoscenze e competenze da parte degli studenti disa-bili. Tale aspetto è stato dettagliato nella componente “Fattori Ambientali”dell’ICF-CY con il capitolo “Prodotti e Tecnologie” dove sono stati declinati spe-cificatamente una serie di codici per i giochi (Chiappetta Cajola, 2012, p. 155) perl’istruzione, la ricreazione e lo sport.

La classificazione ICF-CY prevede tutti gli aspetti delle TIC finora descritti edin particolare evidenzia gli impatti positivi nelle usuali attività quotidiane: l’ado-zione e l’uso delle tecnologie idonee ed efficaci rappresentano un sostegno all’au-tonomia ed all’apprendimento dell’individuo; costituiscono un utile e concretoponte fra progetto di vita e la sua realizzazione; gettano le basi per un lavoro con-diviso e sinergico tra professioni; accentuano il ruolo di protagonista dello studentedisabile e forniscono energia e vitalità al processo inclusivo globale. Azioni chesono tutte in linea con l’idea di persona e di collettività che anche l’ICF-CY proponee sostiene, così come sottolineato anche nelle Linee Guida del MIUR del 2009 re-lative al processo di integrazione scolastica degli alunni con disabilità che “non puòadagiarsi su pratiche disimpegnate che svuotano il senso pedagogico culturale esociale dell’integrazione trasformandola da un processo di crescita per gli alunnicon disabilità e per i loro compagni a una procedura solamente attenta alla corret-tezza formale degli adempimenti burocratici” (Linee Guida MIUR, 2009, p.3).

Infine, la rilevanza dell’impiego delle tecnologie come risorsa inclusiva è stataanalizzata anche alla luce del recente orientamento di ricerca Evidence Based Edu-cation (EBE), nell’ambito del quale studi più volte ripetuti nel tempo con metodiquantitativi di largo spettro hanno mostrato che l’uso delle tecnologie per appren-dere non comporta alcuna differenza statisticamente significativa per l’apprendi-mento stesso, in quanto l’effect size (ES)11 rimane al di sotto di una sogliasignificativa in tutte le tipologie di impiego tecnologico, ad esclusione dei videointerattivi. Questo dato è presente nel lavoro di Hattie (2009)12 un autore che hasintetizzato ben 800 meta-analisi relative ai risultati degli apprendimenti di soggettiin età scolare.

Però, i dati di Hattie evidenziano anche che risultati migliori sono indivi-duabili nei confronti di strategie didattiche in contesti molto interattivi, in cuisi dà risalto al feed-back, all’apprendimento tra pari, al controllo dell’apprendi-mento da parte dello studente, in cui comunque gli insegnanti abbiano preven-tivamente ricevuto adeguata formazione. Vi sono, comunque, poi delle situazioniper le quali la logica della comparazione sperimentale, metodologia su cui sibasa l’EBE, presenta alcune problematiche, come il caso dell’educazione speciale,in quanto si rendono più difficili indagini sperimentali con gruppi di controllodata l’ampia variabilità dei problemi che i soggetti presentano che rende com-plicata se non impossibile la definizione di gruppi omogenei, rendendo neces-

11 L’Effect Size (ES), usato per valutare l’efficacia della variabile sperimentale, è un indiceche misura quanto è grande una differenza tra i risultati del gruppo sperimentale e delgruppo di controllo. Tale differenza si calcola in rapporto alla Deviazione Standard osigma (la deviazione standard è una misura della dispersione della media che indicaquanto i dati di una distribuzione di raccolgono o si allontanano dal valor medio). L’ESdiventa rilevante se è superiore a 0,4.

12 Computer Assited Instruction ES=0,37; Web Based Learning ES=0,18; Video interat-tivo ES=0,52; Simulazione ES=0,33; Educazione a distanza ES=0,09.

20

Page 23: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

sario ricorrere ad altre metodologie, come disegni centrati su singoli soggetti ometodi misti (Calvani, 2012, p. 24).

Al di là delle criticità specifiche del settore, secondo Calvani “…se possiamodunque dimostrare che le tecnologie contribuiscono a migliorare qualche aspettodel contesto e della vita scolastica, senza effetti controproducenti sugli apprendi-menti, sarebbe poco sensato contrastarne l’impiego..” (Calvani, 2013, p. 55), so-prattutto in un’ottica di politica inclusiva. Infatti, l’utilizzo delle tecnologie puòportare numerosi vantaggi sul piano della comunicazione, condivisione, conser-vazione e gestione di risorse didattiche interne alla scuola. Il fatto poi che i conte-nuti diventino manipolabili, editabili, individualizzabili in rapporto ai diversi livellidi difficoltà di apprendimento, appare oggi una delle opportunità maggiori che letecnologie offrono alla scuola. A ciò si aggiunge l’ampliamento delle opportunitàrelazionali ed informative per mezzo della rete, un insegnante, infatti, può dialo-gare in modo personalizzato con i propri allievi tramite strumenti del web 2.0(blog, mobile…) e più in generale strategie didattiche basate sull’e-learning 2.0possano conseguire qualche risultato nel senso di favorire e-inclusion, e-parteci-pation, anche se al momento le evidenze non sono decisive.

2. Metodo di ricerca

Nel quadro concettuale fin qui delineato, il piano complessivo della ricerca è statoprogettato sulla base dell’approccio dei metodi misti che comporta l’uso dei metodiquantitativo e qualitativo in un singolo studio mediante la pianificazione di un di-segno integrato13 (Creswell, Plano Clark, 2011) che combina insieme la raccolta el’analisi di un set di dati (quantitativi o qualitativi) all’interno di un tradizionaledisegno di ricerca di tipo o quantitativo o qualitativo. Il secondo set di dati è soli-tamente di supporto allo studio più ampio che fa da cornice.

Nel caso del piano della ricerca oggetto di presentazione, come studio di cor-nice è stata prescelta la realizzazione di una indagine quantitativa di tipo longitu-dinale o diacronico che, per le sue caratteristiche, consente di misurare eventualivariazioni nel tempo dei medesimi indicatori misurati sugli stessi casi oggetto distudio (Corbetta, 2003, vol. 2, p. 194). La scelta del metodo risulta coerente con lafinalità principale dello studio relativa alla possibilità di valutare, presso il cam-pione coinvolto, l’eventuale presenza della relazione/impatto tra la partecipazionead un corso di formazione con parziale utilizzo delle nuove tecnologie (blended)e ricadute su modalità progettuali inclusive. Tale approccio metodologico, in con-siderazione degli orientamenti della metodologia della ricerca Evidence BasedEducation, che ritiene accettabili solo indagini di tipo Randomized ControlledTrial (RCT)14, riguarda un’applicazione meno “rigida” delle procedure EBE, inquanto può “...accogliere anche indagini quasi sperimentali o raccolte empirichesistematiche oppure osservazioni ripetute in condizioni controllate...” (Calvani,2012, p. 26).

13 Creswell e Plano Clark hanno individuato quattro disegni misti di base: convergenteparallelo, sequenziale esplicativo, sequenziale esplorativo e integrato.

14 Il metodo RCT impiega un gruppo sperimentale ed un gruppo di controllo casuale. Larandomizzazione riguarda la scelta casuale degli elementi che vanno a costituire il cam-pione.

ricerche

21

Page 24: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Il secondo set di dati ha riguardato, invece, un approfondimento qualitativocondotto mediante il vaglio, la selezione e la successiva analisi delle tesi finali, re-datte dagli insegnanti al termine del periodo di formazione, ritenute più signifi-cative per l’argomento oggetto di studio, con la finalità di integrare i risultatiottenuti dalla fase quantitativa.

I risultati finali della ricerca, pertanto, saranno elaborati considerando una op-portuna lettura integrata di tutte le informazioni rilevate dalle due fasi che com-pongono il piano globale della ricerca. Dall’indagine quantitativa, in particolare,saranno elaborati e rappresentati i valori delle distribuzioni di frequenze, finalizzatia valutare eventuali variazioni significative emerse tra la prima e la seconda rile-vazione, con specifici approfondimenti realizzati mediante l’analisi fattoriale15;mentre gli aspetti qualitativi riguarderanno la selezione di alcune tesi redatte daicorsisti al termine della frequenza al Master, ritenute di particolare interesse ai finidella ricerca, in quanto relative a casi di progettazioni didattiche inclusive che ab-biano tenuto conto delle nuove tecnologie secondo la classificazione ICF-CY.

Prima di rappresentare alcune delle evidenze emerse dall’indagine quantitativa,obiettivo di tale lavoro, vengono descritte alcune delle fasi che caratterizzano il di-segno dell’indagine e che nello specifico riguardano: l’individuazione del campionedei soggetti da studiare; la definizione dello strumento di rilevazione; la modalitàdi rilevazione dei dati; l’analisi e l’interpretazione finale dei risultati (Lucisano, Sa-lerni, 2012, p. 47).

3. Indagine quantitativa: Campione, strumento di rilevazione ed analisi deirisultati

Definizione del CampioneIn coerenza con gli obiettivi della ricerca, dove era centrale valutare l’aspetto dellaformazione dei docenti organizzata in modalità blended sulle tematiche dei DSA,il campione è stato costituito da 105 insegnanti in servizio iscritti al Master in “Di-dattica e Psicopedagogia per gli alunni Disturbi Specifici di Apprendimento(DSA)” nel corso dell’A.A. 2011/2012 presso l’Università degli Studi di Roma Tredel Dipartimento di Scienze della Formazione, realizzato in modalità blended inconvenzione con il MIUR.

Il campione prescelto rientra nell’ambito del gruppo dei campioni non proba-bilistici ed in particolare in quelli a scelta ragionata, in quanto le unità non sonoselezionate casualmente ma sono individuate tra quelle che si ritengono maggior-mente connesse al fenomeno oggetto di studio. In altri termini per tale tipologiacampionaria si individuano aree di analisi dove si suppone che il fenomeno sot-toposto a rilevazione si manifesti in maggiore misura e si esegue una rilevazionedelle unità che sono concentrate in queste aree (Cicchitelli, Herzel, Montanari,1992, p. 66).

Inoltre, come precedentemente anticipato, poiché la metodologia prescelta èdi tipo longitudinale/diacronica, presso il campione sopra individuato sono state

15 L’analisi fattoriale è una tecnica statistica che permette di ottenere una riduzione dellacomplessità del numero di fattori che spiegano un fenomeno. Si propone di determinareun numero di variabili “latenti” più ristretto e riassuntivo rispetto al numero di variabilidi partenza. Per approfondimenti cfr: Barbaranelli, 2003; Soliani, 2008.

22

Page 25: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

effettuate due rilevazioni, in due precisi periodi temporali, all’inizio del percorsoformativo (giugno 2012) ed al termine della stessa attività formativa (dicembre2012), in modo da apprezzare eventuali differenze riscontrate tra le due fasi e dimisurarne anche la relativa significatività mediante opportuni test statistici16.

Strumento di rilevazione dei datiAl campione così definito sono state effettuate interviste “personali” o “face toface” mediante la somministrazione di un questionario semi-strutturato17, che hacostituito lo strumento di rilevazione (Zammuner, 2000) e dove sono stati declinatiopportunamente gli obiettivi di ricerca che hanno riguardato prevalentemente duemacro aree tematiche: la prima riferita ad indagare gli aspetti specifici delle mo-tivazioni degli insegnanti nei confronti della partecipazione al corso di formazione,con particolare riferimento al ruolo da loro attribuito alle nuove tecnologie nellaprogettazione didattica; la seconda finalizzata ad analizzare il comportamento pro-fessionale degli stessi docenti durante l’attività quotidiana in relazione alla realiz-zazione del processo di inclusione degli allievi con DSA ed all’utilizzo dellaclassificazione ICF-CY nelle fasi di progettazione didattica.

Sulla base di tali aree tematiche sono state definite le domande del questionariofinalizzate alla conoscenza dei seguenti aspetti: le diversità presenti in classe, qualialunni con BES, DSA o con disabilità18; le dotazioni tecnologiche disponibili ascuola e la loro possibilità di impiego nella attività didattica; la conoscenza da partedegli insegnanti della classificazione ICF-CY come strumento di progettazione edil suo eventuale utilizzo nell’attività didattica; il grado di formazione degli inse-gnanti sulle tecnologie e le loro aspettative a seguito della frequenza del Master; ilpunto di vista degli insegnanti sul ruolo e sull’importanza attribuita alle tecnologienella progettazione didattica. In particolare quest’ultimo aspetto è stato rilevatomediante l’impiego della scala Likert costituita, come noto, da una serie di affer-mazioni o item sui quali l’intervistato è stato chiamato ad esprimere il suo gradodi accordo/disaccordo scegliendo tra cinque modalità di risposta (del tutto d’ac-cordo, abbastanza d’accordo, né d’accordo né in disaccordo, abbastanza in disac-cordo, del tutto in disaccordo).

Analisi dei risultatiCome precedentemente descritto, la prima parte del progetto di ricerca ha previstola realizzazione di due rilevazioni quantitative in tempi successivi: all’inizio dellapartecipazione degli insegnanti al corso di formazione (giugno 2012) ed al terminedello stesso (dicembre 2102). Al fine di ottenere una prima descrizione dell’argo-mento studiato, è stata effettuata l’elaborazione statistica di tutte le risposte regi-strate nei due periodi considerati, rappresentata mediante distribuzioni difrequenze, assolute e relative, alle quali, in seguito, è stato applicato il test t di Le-vene19 per misurare la significatività delle eventuali differenze riscontrate.

16 Per approfondimenti sui test statistici e la loro applicabilità cfr: Barbaranelli, 2003; So-liani, 2008.

17 Il questionario è stato somministrato nel corso dell’attività formativa “La Valutazioneper gli alunni con DSA – Corso Base”.

18 La domanda del questionario prevede la rilevazione della presenza di allievi con BES,DSA e Disabilità: i dati di analisi e di approfondimento sono riferiti alle situazioni incui è presente almeno un allievo con DSA.

19 Le assunzioni di validità di un test parametrico sul confronto tra due o più medie sono:

ricerche

23

Page 26: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Poiché nel questionario era presente anche la possibilità di esprimere il gradodi accordo su particolari item, ritenuti rilevanti per valutare il punto di vista degliintervistati sul ruolo e sull’importanza attribuita alle tecnologie nella progettazionedidattica, l’analisi dei dati ha previsto, oltre le suddette variazioni percentuali, an-che uno specifico approfondimento mediante l’utilizzo dell’analisi fattoriale20 che,come noto, è finalizzata ad individuare quei fattori che possano meglio rappre-sentare le componenti sottese ai valori di accordo/disaccordo espresse dagli inter-vistati e che permettono di individuare e definire i presunti “pilastri dell’accordo”(Corbetta, 2003, vol. 2, p. 230).

4. Prime evidenze della indagine quantitativa

Dall’analisi dei risultati della indagine quantitativa, l’aspetto problematico dellaformazione in servizio degli insegnanti, che rappresenta una delle aree di studiodella ricerca, emerge anche dalle motivazioni dichiarate dai docenti relative allaloro necessità di partecipare al Master. Questo, infatti, essendo organizzato in mo-dalità blended, ha contribuito in parte a limitare quegli aspetti che risultano tutt’oraessere carenti, quali la possibilità di colmare il digital divide e migliorare lo scambioe la condivisione delle informazioni ed esperienze didattiche fra gli insegnantistessi. In particolare le risposte ottenute a tali tipologie di motivazioni, riportatenel Graf. 1, pur non risultando rilevanti all’inizio del percorso formativo, risultanodecisamente più elevate al termine della frequenza al Master: segno evidente chei docenti hanno acquisito durante la loro attività formativa una maggiore consa-pevolezza della necessità di intervento sugli aspetti considerati. Quanto affermatorisulta dalla variazione statisticamente significativa delle seguenti risposte relativealle motivazioni indicate per la scelta di frequentare il Master: la flessibilità dellaproposta didattica, che dal 6,7% di valori registrati nella prima raggiunge il 26,9%nella seconda fase (+20,2 p.p.) e l’opportunità offerta dalla possibile condivisionedi materiale didattico e dal confronto con altre esperienze, che varia dal 6,7%, adinizio rilevazione, al 19,2%al termine del percorso formativo (+12,5 p.p.). Rile-vante, anche se non statisticamente significativo, il fattore legato alla necessità, di-chiarata da parte dei docenti, di acquisire una maggiore competenza tecnologica:

l’indipendenza dei dati entro e tra campioni; l’omogeneità della varianza: il confrontotra due o più medie è valido se e solo se le popolazioni dalle quali i campioni sonoestratti hanno varianze uguali; i dati degli scarti rispetto alla media sono distribuitinormalmente. In particolare il test t di Student prevede che le varianze delle due sotto-popolazioni siano uguali tra loro. È quindi necessario verificare l’ipotesi nulla di omo-geneità delle varianze: se tale ipotesi viene rifiutata, la procedura standard è inadeguata.Per ovviare a tale problema si preferisce quindi di solito ricorrere a test che siano affi-dabili anche nel caso della non normalità della distribuzione come ad esempio il testdi Levene, utilizzato in SPSS, che consiste nell’applicare alla due serie di scarti (in valoreassoluto) il test t di Student, nell’assunzione che, se i loro valori medi risultano signi-ficativamente diversi, le due varianze dei dati originali sono diverse. Inoltre il test t diStudent, che usa Levene, per campioni appaiati o dipendenti (prima e dopo il tratta-mento) confronta le medie di delle due osservazioni appaiate come segue: l’analisi è ap-plicata ad una nuova serie di dati risultante dalle differenze tra gli elementi di ciascunacoppia.

20 Cfr. nota 15.

24

Page 27: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

dal 13,5% al 24,4% (+10,9 p.p.). Infine è da segnalare, per entrambe le fasi, la per-centuale del 74% degli insegnanti che ha partecipato al corso per “accrescere laqualità professionale, attraverso il confronto con esperti esterni e colleghi”.

Graf. 1: Motivazioni di iscrizione al Master

Ad integrazione dell’analisi dei motivi manifestati dagli insegnanti, è impor-tante osservare quanto da loro espresso in termini di accordo/disaccordo sulle af-fermazioni o item riportate nella Tab. 121. In particolare l’analisi delle preferenzeespresse per l’item 8 “gli insegnanti hanno bisogno di essere formati all’uso delletecnologie” assume variazioni statisticamente significative per il “completo accor-do”: dal 58,8% della prima rilevazione raggiunge l’82,7% della seconda.

Per quanto concerne l’altro tema rilevante del progetto di ricerca, ovvero lapossibilità di utilizzare la Classificazione ICF-CY nella progettazione didattica,dalle risposte ricevute emerge che la partecipazione al Master ha consentito agliinsegnanti di acquisire una maggiore conoscenza dell’ICF-CY. Infatti, come è pos-sibile osservare nel Graf. 2, sono state registrate variazioni statisticamente signifi-

21 Nella Tabella 1 sono riportate le 14 affermazioni rispetto alle quali gli insegnanti hannoespresso il loro grado di accordo nelle due fasi di rilevazione (Pre e Post). Gli item, peralcune affermazioni, sono stati rappresentati considerando insieme gli alunni con Di-sabilità, con BES e con DSA. Poiché tutti gli intervistati hanno dichiarato di avere inclasse almeno un DSA, le risposte riportate rappresentano il valore corretto da attribuiretale tipologia di allievi. I dettagli delle risposte per allievi disabili sono disponibili peruna eventuale successiva analisi. Per gli allievi con BES tali risultati sono identici a quellicon DSA.

ricerche

25

!

!!

che la partecipazione al

M

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!$ !

tale tipologia di allievi. I dettagli delle risposte per allievi disabili sono disponibili per u

!"#

$"$

!%"#

!&"'

!("&

!$"(

!)"!

&*"(

&)")

&*"(

!("&

+%"%

$#"!

$("+

!"(

&"(

+"'

("*

*"$

'"$

!&"+

*"$

!#"+

!+")

&!"&

$!"&

$)"%

(&"#

!"! #!"! $!"! %!"! &!"! '!!"!

()*+,

-./,001/2341,.56.5167,.2+,.*160163)*+16/1/*58160162,+8341,.5

9:;5+385.*,605))5601/*3.456<5,<+3217=5

>)5//1?1)1*@6016,+3+1,

(A5+56)B,;;,+*:.1*@6016/738?13+5683*5+13)165065/;5+15.4567,.6;5+/,.56),.*3.5

C,*5+6050173+563)),6/*:01,61)6*58;,6.,.6,77:;3*,6;5+61)6)3A,+,656)362381<)13

D,1.A,)<185.*,6036;3+*560163)*+167,))5<=1

E3<<1,+562)5//1?1)1*@605))36;+,;,/*360103**173

(7F:1/1+56:.3683<<1,+567,8;5*5.436*57.,),<173

D,./5<:1+561)6*1*,),621.3)5

C1G623A,+5A,)56+3;;,+*,67,/*1H?5.52171

C,//1?1)1*@6016/A1):;;3+567,.,/75.456567,8;5*5.456.575//3+156;5+6)B1./5<.385.*,

(77+5/75+56)36F:3)1*@6;+,25//1,.3)563**+3A5+/,61)67,.2+,.*,67,.65/;5+*165/*5+.1657,))5<=1

E1<)1,+3+56)36;+,;+136;+,25//1,.3)1*@6;5+65/5+71*3+567,.683<<1,+567,8;5*5.43657,./3;5A,)544361)6+:,),65H,6)362:.41,.56/A,)*1

,-./0123.141506-072418.22934"1:.7791;.66493;0720147<459170//.1=-.1>0<4549701>4145<[email protected]>41.664937.;07291471;9>./42D1E/07>0>F

C+1836>3/5 957,.036>3/5

Page 28: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

cative per tutte le tipologie delle risposte previste: quelle positive aumentano dal20% della prima fase al 69,6% della seconda fase (+49,6 p.p.); contestualmentequelle negative diminuiscono dal 41,9% all’8,9% (-33,0 p.p.).

Graf. 2: Conoscenza dell’ICF-CY

A fronte di tale incremento, però, l’utilizzo dell’ICF-CY in ambito didattico ri-sulta comunque ancora limitato, in quanto, solo il 31,8% dei docenti che, nella pri-ma fase, hanno affermato di conoscere la Classificazione hanno avuto anche lapossibilità di poterla utilizzare nella pratica didattica; mentre per la seconda fasetale valore è del 26,4% (cfr. Graf. 3).

Dal Graf. 4, che si riferisce alle sole risposte di quegli insegnanti che nella do-manda precedente avevano affermato di aver avuto modo di utilizzare l’ICF-CYnell’insegnamento degli alunni con disabilità (cfr. Graf. 3), si evidenzia che nellaprima fase nessun insegnante ha dichiarato di aver utilizzato il capitolo dei prodottie tecnologie, mentre nella seconda rilevazione il 15,4% dei docenti ha successiva-mente avuto modo di impiegarlo nella attività didattica ai fini progettuali.

Graf. 3: Utilizzo dell’ICF-CY

26

!

!!

G Graf. 4: Capitoli dell’ICF-CY utilizzati

(

I

!"#"

$%#&'(#%

)&#)

(#&

!%#*

!"!

#!"!

$!"!

%!"!

&!"!

'!"!

(!"!

)!"!

*!"!

+!"!

#!!"!

,- ./ .012/13045-5/16789780

+,-,./01234+56+78

:8-;71<730 ,0=/4>71<730

!

!!

G Graf. 4: Capitoli dell’ICF-CY utilizzati

(

I

!"#$

%$#&

&%#'

(!#%

! "! #! $! %! &! '! (! )! *! "!!

+,

-.

)*+*,-./+0/1/+12+-.23244*56+3789:;9<+=633>2=?6@=*06=./+*1+*3-==2+A/=+BCDE

+/0.1234536/ 78,934536/

Page 29: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Graf. 4: Capitoli dell’ICF-CY utilizzati(Il grafico 4 riporta le percentuali riferite agli insegnanti

che hanno risposto “si” alla domanda riportata nel grafico 3)

Importante anche il grado di accordo rilevato in merito alla necessità di co-noscere le tecnologie per gli allievi con DSA: infatti aumenta significativamentedal 46,2% al 64%, il totale disaccordo per l’affermazione “non è necessario che tuttigli insegnanti conoscano le tecnologie per allievi con DSA” come si evince dall’item5 della Tab. 1 (vedi pagina seguente).

5. Conclusioni

In conclusione, anche se per gli insegnanti intervistati è nota l’importanza delletecnologie nella progettazione didattica finalizzata ad una migliore integrazioneper allievi con DSA, così come risulta dal loro grado di accordo dichiarato su taliaspetti (item 4 e 5 della Tab.1), le prime evidenze finora rappresentate sembranoconfermare le ipotesi poste alla base della ricerca. Infatti, dai risultati precedente-mente commentati, emerge che la partecipazione degli insegnanti all’attività diformazione, organizzata in modalità blended, può contribuire a costituire delleComunità di Pratica, in quanto, le motivazioni sottese alla decisione di frequentaretale corso hanno riguardato prevalentemente la possibilità di effettuare confronticon esperti esterni e colleghi e quella di poter scambiare materiali ed esperienzedi pratiche didattiche. Pertanto l’opportunità di costituire delle comunità profes-sionali, in ottica di lifelong learning, che possano dar luogo a strategie collaborativee di condivisione delle conoscenze, all’aggiornamento, allo sviluppo ed alla inte-grazione dei loro reportori professionali (Wenger, McDermott & Snyder, 2002) ri-sulta ancora più cruciale per rispondere alle esigenze di una formazione continuae permanente sull’evoluzione delle molteplici tematiche ed esigenze attuali qualil’approfondimento e l’applicazione di strategie didattiche innovative per gli allievicon DSA.

Infine, la necessità di acquisire una maggiore competenza tecnologica è unaesigenza che si palesa con maggior convinzione dagli insegnanti al termine delcorso di formazione, in linea peraltro con i valori incrementali registrati nelle duefasi per la conoscenza della Classificazione ICF-CY e dell’aumento significativo

ricerche

27

!

!!

G Graf. 4: Capitoli dell’ICF-CY utilizzati

(

I

"F#'

(#(

F!#$

%"#F

G#G

'&#H

&$#%

("#'

!:! "!:! #!:! $!:! %!:! &!:! '!:! (!:! )!:! *!:! "!!:!

78.2.;;,4/4;/01.<.=,3

+/8>,?,:46,6;/9,4/4@.<,;,0A/

B;;/==,39/1;,

C/<3?,.1,4/46.6;/=1.46.0,3</

I6337*0J2./+1633*+9/0K/=6=.6+L:*../52+D0J26=.*32M+N89:;9<O#+P-*32+A*K2./32+Q*+0*@@2/506=.6+-.23244*./E+

78,934536/ +/0.1234536/

Page 30: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

dell’utilizzo del capitolo dei prodotti e tecnologie nella progettazione didattica perallievi con DSA rilevato nella fase finale della frequenza al Master.

Come descritto precedentemente tali conclusioni saranno integrate con gli ul-teriori approfondimenti previsti dalle elaborazioni derivanti dalle singole fasi checompongono il disegno integrato del piano di ricera.

22 Per la lettura della tabella cfr. nota 21.

28

!

!!

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!# !

Item Periodo Affermazione Del tutto d’accordo

Abbastanza d’accordo

Né d’accordo né in

disaccordo

Abbastanza in disaccordo

Del tutto in disaccordo Non so Totale

Pre 3,9 30,4 18,6 29,4 15,7 2,0 100,0

Post 2,6 28,9 21,1 31,6 14,5 1,3 100,0

Pre 68,6 29,4 1,0 1,0 100,0

Post 64,5 28,9 5,3 1,3 100,0

Pre 39,2 49,0 7,8 2,0 1,0 1,0 100,0

Post 34,2 52,6 10,5 1,3 1,3 100,0

Pre 50,0 42,2 5,8 0,0 2,0 100,0

Post 50,7 45,3 1,3 1,3 1,3 100,0

Pre 2,9 5,9 3,9 38,2 46,2 2,9 100,0

Post 2,7 6,7 2,7 22,7 64,0 1,3 100,0

Pre 76,5 20,5 1,0 0,0 1,0 1,0 100,0

Post 78,7 17,3 1,3 1,3 1,3 100,0

Pre 41,2 41,2 13,7 2,9 1,0 100,0

Post 50,7 38,7 9,3 1,3 100,0

Pre 58,8 35,3 2,9 2,0 1,0 100,0

Post 82,7 16,0 1,3 100,0

Pre 6,9 29,4 15,7 23,5 24,5 100,0

Post 5,4 10,8 14,9 31,1 37,8 100,0

Pre 63,7 26,5 5,9 0,0 2,9 1,0 100,0

Post 74,7 18,7 1,3 1,3 2,7 1,3 100,0

Pre 52,0 36,3 8,7 1,0 1,0 1,0 100,0

Post 70,7 28,0 1,3 100,0

Pre 57,8 31,4 5,9 2,9 1,0 1,0 100,0

Post 70,7 25,3 4,0 100,0

Pre 21,6 51,0 18,6 3,9 2,0 2,9 100,0

Post 32,0 45,3 17,3 5,3 100,0

Pre 49,0 38,3 4,9 2,9 1,0 3,9 100,0

Post 50,7 41,3 5,3 2,7 100,0

1

3

2

La scuola attuale insegna a usare il computer e Internet in modo efficace

Le competenze digitali sono indispensabili nella società attuale

L’uso delle tecnologie da parte degli allievi Disabili/DSA/BES contribuisce

in modo decisivo alla loro integrazione

4Il ruolo delle tecnologie in fase di

progettazione didattica per gli alunni Disabili/DSA/BES è importante

5Non è necessario che tutti gli

insegnanti conoscano le tecnologie per allievi Disabili/DSA/BES

6Le scuole dovrebbero dotarsi di ausili

e tecnologie assistive per Disabili/DSA/BES

7Tutti gli insegnanti dovrebbero

utilizzare le tecnologie didattiche nel loro lavoro quotidiano

8 Gli insegnanti hanno bisogno di essere formati all’uso delle tecnologie

9

L’uso di software didattici dovrebbe essere limitato a particolari occasioni, sia con gli allievi Disabili/DSA/BES

sia con gli altri allievi

13

L’acquisizione di competenze digitali deve costituire una priorità nella

progettazione di percorsi formativi per Disabili/DSA/BES

L’e-learning è una risorsa strategica fondamentale per la formazione degli

insegnanti14

10

Le scuole dovrebbero organizzare periodicamente corsi di

formazione/aggiornamento sulle tecnologie per Disabili/DSA/BES

11

L’acquisizione di competenze tecnologiche da parte degli allievi può avere un forte impatto sulle loro future

possibilità di impiego

12

La progettazione di piattaforme e-learning secondo criteri di inclusione costituisce un vantaggio per tutti gli utenti, a prescindere dalla presenza o

meno di alievi Disabili/DSA/BES

Tab. 1: Grado di accordo espresso dagli insegnanti nelle due fasi22

Page 31: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Riferimenti bibliografici

Associazione Treellle, Caritas italiana, Fondazione Agnelli (2011). Gli alunni condisabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte. Trento: Erickson.

Barbaranelli C. (2003). Analisi dei dati- Tecniche multivariate per la ricerca psico-logica e sociale. Milano: LED.

Calvani A. (2012). Per un’istruzione evidence based. Analisi teorico-metodologicainternazionale sulle didattiche efficaci e inclusive. Trento: Erickson.

Calvani A. (2013). Qual è il senso delle tecnologie nella scuola? Una “road map”per decisori ed educatori. TD Tecnologie didattiche, 21 (1), pp. 52-57.

Canevaro A., & Mandato M. (2004). L’integrazione e la prospettiva inclusiva. Roma:Monolite.

Chiappetta Cajola L. (2009). Lo sviluppo di comunità professionali on line: formedi partecipazione e interazione per la qualificazione dell’e-learning. In G. Do-menici (Ed.), Valutazione e autovalutazione per la qualificazione dei processiformativi e-learning (pp. 37-66). Lecce: Pensa MultiMedia.

Chiappetta Cajola L. (2012). Didattica del gioco e integrazione. Progettare con l’ICF.Roma: Carocci.

Chiappetta Cajola L. (2013a). L’applicabilità dell’ICF-CY nel nido e nella scuoladell’infanzia: uno studio teorico-esplorativo. Journal of Educational, Culturaland Psychological Studies, 8, pp. 53-85.

Chiappetta Cajola L. (2013b). Per una cultura didattica dell’inclusione. In L. Chia-petta Cajola, A.M. Ciraci, Didattica inclusiva. Quali competenze per gli inse-gnanti? Roma: Armando.

Cicchitelli G., Herzel A., Montanari G. E. (1992). Il campionamento statistico. Bo-logna: Il Mulino.

Commissione Delle Comunità Europee (2007). Comunicazione della Commis-sione al Parlamento Europeo e al Consiglio. Bruxelles, 3.8.2007 COM (2007)392.

Commissione Interministeriale sullo Sviluppo e l’Impiego delle Tecnologie del-l’Informazione per le Categorie Deboli composta dal Ministero del Lavoro edelle Politiche Sociali, Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie, Ministerodella Salute (2003). Libro Bianco, Tecnologie per la Disabilità: una società senzaesclusi.

Corbetta P. (2003). La ricerca sociale: metodologia e tecniche. (Voll. 1-4). Bologna:Il Mulino.

Creswell J. W., Plano Clark V. L. (2011). Designing and Conducting Mixed MethodsResearch. Thousand Oaks, CA: Sage.

Fogarolo E. (2012). Compensare la dislessia. Le competenze necessarie per un usoefficace di computer e sintesi vocale. Psicologia e Scuola (pp. 40-47). Firenze:Giunti.

G8 (2001). Digital Opportunities for All: Meeting the Challenge. Final Report ofthe Digital Opportunity Task Force (DOT Force). Maggio 2001. Estratto dahttp://www.g8italia.it/_en/docs/STUWX141.htm

Galliani L. (2009). Formazione degli insegnanti e competenze nelle tecnologie del-la comunicazione educativa. Giornale Italiano della Ricerca Educativa, SIRD,2 (3), pp. 93-104.

Guerreschi M. (2009). Autonomia, partecipazione, integrazione: il ruolo delle tec-nologie. In P. Pardi, G. Simoneschi (Eds.), Studi e documenti degli annali dellaPubblica Istruzione (Vol. 127, pp. 65-82). Firenze: Le Monnier.

Hattie J. (2009). Visible learning: A synthesis of over 800 meta-analyses relating toachievement. London-New York: Routledge.

ricerche

29

Page 32: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Ianes D. (2013). Didattica inclusiva e Bisogni Educativi Speciali. In D. Ianes, S.Cramerotti (Eds.), Alunni con BES. Bisogni Educativi Speciali (pp. 14-27). Tren-to: Erickson.

Legge 9 gennaio 2004, n. 4 (Legge Stanca). Disposizioni per favorire l’accesso deisoggetti disabili agli strumenti informatici.

Legge 3 marzo 2009, n. 18. Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle NazioniUnite sui diritti delle persone con disabilità’ ed istituzione dell’Osservatorionazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

Legge 8 ottobre 2010, n. 170. Nuove norme in materia di Disturbi Specifici del-l’Apprendimento.

Legge 8 novembre 2013, n. 128. Conversione in legge, con modificazioni, del de-creto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante misure urgenti in materia diistruzione, università e ricerca.

Lucisano P., Salerni A. (2012). Metodologia della ricerca in educazione e formazione.Roma: Carocci.

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (2002). Piano Nazionaledi Formazione degli Insegnanti sulle Tecnologie dell’Informazione e della Comu-nicazione. Linee guida per l’attuazione del piano e presentazione dei percorsi for-mativi.

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (2009). Linee Guida perl’Integrazione Scolastica degli Alunni con Disabilità.

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (2011). D.M. del 12-7-2011 n. 5.669. Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenticon DSA.

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (2012). Decreto Diretto-riale n. 7 del 16/04/2012. Corsi di specializzazione degli insegnanti per le attivitàdi sostegno.

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (2012). D.M. del27.12.2012. Strumenti intervento per alunni con bisogni educativi speciali e or-ganizzazione territoriale per l’inclusione scolastica.

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (2013) – Direzione Ge-nerale per gli Studi, la Statistica e per i Sistemi Informativi – Servizio Statistico.Alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento AA.SS. 2010/2011 e 2011/1.

Organizzazione Mondiale della Sanità (2002). ICF, Classificazione Internazionaledel Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Trento: Erickson.

Organizzazione Mondiale della Sanità (2007). ICF-CY, Classificazione Internazio-nale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Versione per bambini eadolescenti. Trento: Erickson

Soliani L. (2008). Statistica Applicata. Uni.Nova.UNESCO (1997). ISCED. International Standard Classification of Education. In

www.uis.unesco.org.Warnock M. (1978). Report of the Committee of Enquiry into the Education of

Handicapped Children and Young People. London: Her Majesty’s Stationery Of-fice.

Wenger E. (2006). Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità (E.Wenger, Trans.). Milano: Raffaello Cortina (Ed. orig. 1998).

Wenger E, McDermott R., Snyder W. M. (2002). Cultivating Communities of Prac-tice. HBS Press.

Zambotti F. (2013). Tecnologie come risorsa inclusiva. In D. Ianes, S. Cramerotti(Eds), Alunni con BES. Bisogni Educativi Speciali (pp. 289-300). Trento: Erick-son

Zammuner V.L. (2000). Tecniche dell’intervista e del questionario. Bologna: Il Mu-lino.

30

Page 33: Sird12 2014

31

Formarsi alle Educational Sciences: cosa ne pensano le organizzazioni

Studies on Educational Sciences: what is the position of the business world about it

Qual è il valore aggiunto di una cultura uma-nistica? E, in particolare, di una formazioneuniversitaria nel campo delle educationalsciences? L’articolo presenta i risultati emersidalle interviste a 15 tutor aziendali coinvoltinella realizzazione di ricer che-interventorealizzate a partire da fabbisogni ed interessiaziendali e condotte da laureandi dei corsi dilaurea in Scienze della Formazione Continuae Programmazione e Gestione dei ServiziEducativi, Scolastici e Formativi dell’Univer-sità di Padova. Precisamente, le intervistehanno indagato la postura epistemologico-istituzionale dell’organizzazione nei con-fronti della ricerca accademica in ambito“formativo” e della figura di studente-ricer-catore accolta.

Parole chiave: University-Business Dialo-gue, Knowledge Triangle, Higher Education,Educational Sciences, Ricerca Collaborativa,Apprendimento

What is the added value of humanities?What about the importance of universitystudies on Educational Sciences?The article explains the results of the inter-views which have been made to 15 tutorsworking for companies involved in a projectof intervention research. The realization ofthese researches have been based on thecompanies’ needs and on their business in-terests, and they have been managed by fi-nal-year students, attending Courses ofDegree in Lifelong Education Sciences andManagement of Educational Services of Pa-dua University. In detail, the interviews have studied theepistemological and institutional set of theorganizations regarding the academic rese-arch, its educational areas, and the role ofthe student-researcher involved in it.

Keywords: University-Business Dialogue,Knowledge Triangle, Higher Education, Edu-cational Sciences, Collaborative Research,Learning

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Daniela Frison – Università di degli Studi di Padova – [email protected]

Page 34: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

32

“I cittadini non possono relazionarsi bene alla complessità del mondo che li cir-conda soltanto grazie alla logica e al sapere fattuale. La terza competenza del cit-tadino, strettamente correlata alle prime due, è ciò che io chiamo immaginazionenarrativa. Vale a dire la capacità di pensarsi nei panni di un’altra persona, di essereun lettore intelligente della sua storia, di comprenderne le emozioni, le aspettativee i desideri”. Con queste parole Martha Nussbaum apre uno dei capitoli del suoNon per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica(2011, p. 111), volendoci richiamare alla centralità che la formazione ad un pen-siero critico interdisciplinare, alle arti, alla letteratura, all’immaginazione rivesteaccanto ad una formazione più direttamente orientata al profitto inteso come cre-scita del prodotto interno lordo. L’autrice riporta l’attenzione verso un orienta-mento formativo che ponga l’accento sulla partecipazione attiva del bambino allaricerca e alla problematizzazione citando le teorie pedagogiche che hanno guidatoFroebel, Pestalozzi, Montessori, Dewey nei loro interventi educativi volti a solle-citare “la mente a diventare attiva, competente e responsabilmente critica verso lecomplessità del mondo” (ibidem, p. 35). Si tratta di un approccio, sottolinea la Nus-sbaum, che dovrebbe proseguire dall’infanzia fino agli studi universitari al fine difornire alle organizzazioni e alle democrazie intelligenze flessibili e creative chesappiano promuovere innovazione e sviluppo.

E dunque, quale può essere il contributo che i giovani formatisi ad una culturaumanistica possono portare nelle organizzazioni? E, in particolare, i giovani for-matisi alle Educational Sciences?

L’articolo si focalizzerà sui risultati emersi dalle interviste semi-strutturate a15 tutor aziendali, coinvolti nello sviluppo di ricerche-intervento realizzate in par-tnership con l’Università di Padova, sui temi della formazione e dell’apprendimen-to nelle organizzazioni.

Dal 2008 è attivo presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia ePsicologia Applicata dell’Università di Padova, il Progetto PARIMUN, acronimodi Partenariato Attivo di Ricerca Imprese-Università: esperienza di University-Bu-siness Dialogue in ambito umanistico (CEC, 2009). Il progetto, all’avvio della suasesta edizione, favorisce infatti l’incontro tra humanities e business promuovendola realizzazione di ricerche intervento sollecitate da questioni e bisogni propostidalle organizzazioni coinvolte sui temi del HR management, della formazione degliadulti e della formazione professionale, della valutazione della qualità e della for-mazione e, più in generale, dell’apprendimento delle persone che lavorano nelleorganizzazioni e delle strategie per favorirlo e accompagnarlo (Munari, 2011). PA-RIMUN favorisce così l’inserimento nel tessuto organizzativo nazionale, e soprat-tutto veneto, di laureandi di livello magistrale in Scienze della FormazioneContinua e in Gestione e Programmazione dei Servizi Educativi, Scolastici e For-mativi affidando loro il ruolo di “ricercatori junior”; un ruolo che si esplicita nellaconduzione di tesi di laurea svolte in stretta collaborazione con le imprese coin-volte e sotto la supervisione e l’accompagnamento accademico. Studenti ed im-

Formarsi alle Educational Sciences: cosa ne pensano le organizzazioni

Page 35: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

prese possono aderire volontariamente al progetto e sono chiamati ad impegnarsi,fin dal suo avvio, nel condividere e negoziare domande di indagine e disegni diricerca che siano di primario interesse per l’organizzazione, si tratti di un’impresaprivata, di una pubblica amministrazione, di un ente di formazione, di una coo-perativa di servizi alla persona, ecc.

Nell’ambito di un’indagine più ampia (Frison, 2011) realizzata al fine di rilevarele ricadute formative dell’esperienza di ricerca collaborativa sui tre attori coinvolti- laureando, docente universitario, referente dell’organizzazione - sono stati in-tervistati 15 referenti aziendali appartenenti ad organizzazioni di servizi alla per-sona o alle imprese (9), pubbliche amministrazioni (5) e aziende private (1). Leinterviste semi-strutturate sono state condotte al termine del percorso di ricercarealizzato da 18 “ricercatori junior” (d’ora in avanti RJ) e sono state analizzate me-diante analisi di contenuto qualitativa (Cicognani, 2002), carta e matita, e restitu-zione delle categorie emerse mediante il software Free Mind Map.

L’intervista ha inteso indagare la postura epistemologico-istituzionale dell’or-ganizzazione nei confronti della ricerca accademica in ambito “formativo” e dellafigura di studente-ricercatore accolta. La dinamica tra organizzazione e studenteha infatti promosso nelle imprese coinvolte l’esplorazione di una nuova modalitàdi relazione con l’università e con gli studenti, non propriamente assimilabile alleconsuete pratiche di stage o tirocinio curriculare né alle altrettanto conosciute for-me di apprendistato (Nyerere, Friso, 2012), poiché basata sulla collaborazione in-torno allo sviluppo di una ricerca sul campo.

L’intervista ha portato l’attenzione su numerosi elementi di peculiarità propridella ricerca partenariale.

Innanzitutto, i referenti aziendali hanno evidenziato gli eventi significativi che,al loro sguardo, avrebbero contrassegnato il percorso dei laureandi. Emerge, a taleproposito, una convergenza di attenzione sulla fase definita di “trattamento delladomanda” e di “costruzione degli strumenti di indagine” (fig. 1). Si tratta eviden-temente delle fasi di avvio della ricerca che maggiormente richiedono il confrontocontinuo tra università e organizzazioni e che vedono lo studente destreggiarsi inun ruolo di trait d’union tra quelli che potremmo definire i suoi due committenti:l’università alla quale dovrà restituire una tesi di laurea e l’impresa per la quale do-vrà produrre un rapporto di ricerca sul tema condiviso e concordato.

Fig. 1: Riflessioni sugli eventi significativi per il RJ

ricerche

33

Page 36: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

La scelta e la costruzione degli strumenti di indagine viene così a costituireuna fase cruciale di incontro e confronto con l’organizzazione, trattandosi di unadecisione negoziata che definirà il vero e proprio lavoro sul campo del ricercatore.Sono fasi strettamente connesse agli “oneri” che i rappresentanti delle organizza-zioni intervistati hanno evidenziato tracciando le caratteristiche che contraddi-stinguono il ruolo di un’organizzazione implicata in una ricerca partenariale (fig.2): primo fra tutto l’investimento di tempo. Il referente aziendale si trova infattiad “accompagnare”, “affiancare”, soprattutto nelle sopra citate fasi di avvio del la-voro, il giovane ricercatore. D’altro canto, le organizzazioni dichiarano di trarreun importante “valore aggiunto” dalle occasioni di incontro con le altre organiz-zazioni aderenti al progetto e con l’università.

Fig. 2: Riflessioni sulle peculiarità del ruolo dell’organizzazione

Le organizzazioni colgono inoltre nella ricerca partenariale promossa dal pro-getto PARIMUN un’“opportunità di riflessione”. I referenti aziendali citano, infatti,tra i guadagni della propria partecipazione al progetto: l’opportunità di “prendersidel tempo per ragionare”, di “avere delle riflessioni teoriche sul proprio lavoro” edi porsi domande. E al contempo sottolineano che lo “sguardo terzo”, portato dalricercatore junior, è quello di “una persona terza che ti guarda dentro”, con “sguar-do esterno, lucido” che diventa “supporto per riflettere” (fig. 3).

I rappresentanti aziendali sembrano domandare e ricercare una postura rifles-siva che porti nuove suggestioni all’organizzazione. E se, da una parte, sottolineanola dimensione formativa che l’esperienza della ricerca partenariale costituisce perlo studente in Scienze della Formazione (come “esercizio di autonomia” ed “op-portunità formativa”), dall’altro ne evidenziano le ricadute formative per l’orga-nizzazione stessa. Il confronto con l’altro più che opportunità di scoperta dell’altro,in questo caso l’università, sembra delinearsi come opportunità di osservazionedi sé e delle proprie dinamiche organizzative. È da sottolineare che nel ProgettoPARIMUN il rapporto con l’università è indiretto e mediato dal ricercatore. È in-fatti il laureando a gestire la relazione con l’organizzazione e a mediare quella trauniversità e impresa. Il rapporto tra i due committenti risulta invece occasionalee discontinuo e può concretizzarsi in momenti di incontro esclusivamente nellefasi cruciali della ricerca: al suo avvio, ad esempio, per formulare le domande di

34

Page 37: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

indagine e chiarire pienamente il fabbisogno dell’organizzazione, o in chiusura, insede di restituzione dei risultati.

In effetti, tra le criticità evidenziate, le organizzazioni segnalano che il rapportodell’organizzazione è con il ricercatore in senso stretto più che con l’università,esplicitando una richiesta di maggior prossimità con i docenti supervisori. Le or-ganizzazioni vedono proprio in un accorciamento della distanza università-im-prese e in un rapporto più diretto tra le due (e meno mediato dal ricercatoredunque) uno dei possibili sviluppi della ricerca partenariale e di PARIMUN con-fidando, peraltro, in un maggiore coinvolgimento della direzione aziendale negliaspetti metodologici oltre che un maggiore coinvolgimento di tutto il personaleaziendale nella condivisione degli stati di avanzamento della ricerca.

Si tratta di azioni di miglioramento che, secondo le organizzazioni, potenzie-rebbero la già rilevante “sensibilizzazione alla concretezza” promossa dalla ricerca.Tra gli elementi di innovatività del progetto (fig. 4), l’organizzazione, infatti, rilevala centralità di un primo avvicinamento tra università e territorio oltre al fatto chel’università promuova ricerche che partono da un “bisogno aziendale” evidenzian-do come questo incrocio di interessi e bisogni sia consolidato nell’ambito della ri-cerca industriale e applicata ma ancora poco diffuso in ambito umanistico.

ricerche

35

Fig. 3: Riflessioni sulle peculiarità del ruolo di studente-ricercatore

Page 38: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Fig. 4: Riflessioni sugli elementi di innovatività della ricerca partenariale

Grazie all’opportunità della ricerca condivisa “l’università va verso il mondoreale”, sostengono i referenti aziendali; si avvicina al mondo del lavoro e può “met-tere in pratica” la sua teoria poiché, come diceva Lewin, “research that producesnothing but books will not suffice”, certo che al momento teorico dovesse intrec-ciarsi il momento dell’agire (1948, p. 203). La ricerca partenariale così promossaha “valore per il Paese” oltre che “valore etico” e riconosce un nuovo ruolo allostudente, un “ruolo innovativo” (fig. 4) che, come già anticipato, non è incasellabilenelle comuni e ormai consolidate esperienze di stage e tirocinio, né di apprendi-stato in azienda, entrambe miranti ad una dimensione professionalizzante e diorientamento al lavoro (Neyrere, Friso, op. cit.) che nell’esercizio della ricerca em-pirica nelle organizzazioni viene ampliato dallo sviluppo di un’attitudine, respon-sabile, alla ricerca autonoma, come la definisce Nussbaum (op. cit.).

Il fabbisogno che emerge dalla parte delle organizzazioni implicate in PARI-MUN sollecita una riflessione sulle pratiche e richiama quel ruolo di professioni-sta-ricercatore tanto caro a Schön e al suo interesse verso un superamento del“solco tra università e professioni, tra ricerca e pratica, tra pensiero e azione”(1993, p. 25).

“Nel momento in cui tanto la prassi organizzativa quanto la ricerca accademicasono concepite come forme di indagine, è possibile riarticolare la visione tradi-zionale del loro rapporto in modo tale da promuovere sia conoscenze utilizzabilisia ricerche “robuste”. Non si penserà più a questo rapporto nei termini di un’ap-plicazione da parte dei professionisti delle conoscenze prodotte dai ricercatori,bensì in quelli di una collaborazione tra indagatori che svolgono ruoli differenti e

36

Page 39: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

si basano su competenze e metodi differenti ma complementari”. Le parole di Ar-gyris e Schön (1998, p. 47) riassumono efficacemente le finalità della ricerca par-tenariale promossa da PARIMUN e le richieste mosse dai referenti aziendali di unavvicinamento tra università e imprese.

In questa direzione l’indagine consente di tracciare alcune linee di riflessionerispetto al ruolo rivestito dalle organizzazioni nella ricerca accademica e dal con-tributo che la ricerca, condotta da laureandi nell’ambito delle Scienze dell’Educa-zione e della Formazione, può ad esse apportare.

Innanzitutto si delinea un possibile ruolo “formativo” dell’organizzazione. Laricerca partenariale, come anticipato, coinvolge l’organizzazione implicandola inun rapporto nuovo con l’università rispetto al consolidato ruolo di supervisioneaziendale rivestito nelle tradizionali convenzioni di stage. Non a caso i referentiintervistati evidenziano l’onere costituito dall’accompagnamento del ricercatore edall’investimento di tempo che questo comporta, ma sottolineano al contempo il“ruolo innovativo dello studente” e il “taglio di ricerca-consulenza” proprio dellapresenza dello studente PARIMUN in azienda (fig. 4). Il ruolo formativo dell’or-ganizzazione è rilevante nella realizzazione di una ricerca quanto quello dell’uni-versità. La scarsa implicazione dell’uno o dell’altro committente è parimentisfavorevole per la buona riuscita di un progetto di ricerca.

Emerge inoltre la centralità rivestita dalla ricerca come opportunità di rifles-sione e di analisi delle pratiche. I referenti aziendali riportano chiaramente comePARIMUN divenga opportunità per l’organizzazione di “fermarsi a riflettere sucome lavora”, “di approfondire temi strategici” mediante un’esperienza progettualeche vede l’università e l’impresa equamente coinvolte in un processo a “doppia va-lenza”, “costruttivo”, “strategico”, in cui è centrale la “negoziazione” (fig. 4). Uni-versità e azienda sono chiamate dunque ad operare in regime di complementarietà.

Come ribadiscono ancora una volta Argyris e Schön il ricercatore “si unirà aiprofessionisti nelle loro organizzazioni e collaborerà con loro nella conduzionedell’indagine progettuale” e nello stesso tempo cercherà di acquisire consapevo-lezza e di aiutare i professionisti a divenire consapevoli a loro volta (op. cit., p. 64).Gli autori sottolineano, infatti, la centralità dell’acquisire consapevolezza per i pro-fessionisti e per gli stessi ricercatori. I professionisti, in particolare, immersi nel-l’azione e nella quotidianità aziendale possono trovarsi incapaci di esplicitare laconoscenza relativa all’azione; possono non scorgere dati che risulterebbero visibiliad uno sguardo esterno ma che risultano a loro opacizzati dalla quotidianità e dalfocus sul business e sull’operatività; inoltre, evidenziano gli autori, queste stesse“dinamiche quotidiane” possono impedire loro di assumere una visione di più am-pio respiro, che l’operatività costringe invece al breve termine del risultato imme-diato dell’azione. È qui che portano il loro contributo i ricercatori junior, favorendo“l’esplicitazione sistematica di tutto ciò che normalmente rimane implicito” (Mu-nari, 2010, p. 54) e fornendo al personale dell’impresa l’opportunità di una figuraesterna che porti nuove suggestioni e costringa all’interrogazione e alle conversa-zione grazie agli strumenti propri della ricerca in educazione e formazione cheinvitano alla riflessione e alla presa di consapevolezza. Si pensi, ad esempio, a stru-menti quali l’intervista di esplicitazione (Vermersch, 2005) e l’intervista narrativa(Atkinson, 2002) e alle occasioni di riflessione promosse dalla restituzione di os-servazioni e analisi dei dati su esperienze relative ai processi di change manana-ment, alla formazione esperienziale in impresa, al ruolo della formazione nel familybusiness e nel passaggio generazionale, alla conciliazione dei tempi di vita e di la-voro, per attingere solo ad alcuni degli ambiti di studio e di ricerca presi in consi-derazione dalla ricerche elaborate nell’ambito del progetto PARIMUN. Sono

ricerche

37

Page 40: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

proprio le dimensioni psicologiche, antropologiche, culturali e formative a cui lericerche PARIMUN sono interessate, a costituirne un elemento di peculiarità euna leva sulla quale agire affinché le organizzazioni possano trarre dai lavori rea-lizzati spunti e opportunità di auto-osservazione e riflessione.

Un ulteriore elemento emergente dall’indagine ha a che vedere con quella chepotremmo definire “curiosità metodologica”, intesa etimologicamente come curadei criteri metodologici che nella ricerca partenariale vengono a sommarsi a quelliorganizzativi. Dalle interviste ai referenti aziendali emerge la richiesta di un mag-gior coinvolgimento negli aspetti metodologici e nelle fasi di raccolta ed analisidei dati oltre ad un maggiore coinvolgimento del personale di tutta l’impresa. Ilricercatore junior è invitato a muoversi in un regime di trasparenza, prendendoaccordi con la direzione dell’impresa e annunciando il suo lavoro e la sua presenzanel contesto organizzativo, ma ciò pare non soddisfare pienamente tale richiestadi partecipazione che invita dunque ad elaborare una nuova unità di misura dellavicinanza e dello scambio dei due committenti. Come già anticipato, non va di-menticato che la ricerca nell’ambito delle Educational Sciences tocca la risorsa-per-sona e ogni strumento di indagine elaborato deve con attenzione e delicatezzainserirsi negli equilibri aziendali. È dunque fondamentale promuovere la condi-visione degli strumenti e delle loro finalità e accordare tempi e modalità di som-ministrazione per assecondare una legittima richiesta di trasparenza econ divisione. Un ulteriore avvicinamento tra università e impresa intorno a sceltee criteri metodologici può infatti fornire alle organizzazioni l’occasione per com-prendere meglio come agisca l’università nella ricerca accademica e da quali fina-lità vengano guidate le sue proposte metodologiche.

Infine, un ultimo aspetto emergente riguarda le priorità reciproche di impresae università. Ciascuno dei due interlocutori coinvolti nella ricerca partenariale,infatti, ha modo di cogliere le priorità dell’altro soggetto coinvolto e di confrontarsicon esse. Che cosa l’università osserva e coglie primariamente nell’agire aziendale?E che cosa l’impresa osserva e coglie nell’agire accademico? Questo scambio disguardi risponde alla richiesta dei referenti aziendali di avere a propria disposi-zione uno “sguardo esterno, lucido”, “una persona terza che ti guarda dentro” eche smuove inevitabilmente l’ordine consolidato delle priorità costringendo ad un“rapporto di scambio” e ad un “impegno biunivoco” (fig. 4).

Riprendendo Nussbaum, la ricerca partenariale pare rappresentare per l’uni-versità e per le Educational Sciences in particolare, una strategie innovativa per of-frire agli studenti l’opportunità di “interrogarsi sui problemi del mondo reale” (op.cit., p. 82), quegli stessi problemi che saranno chiamati ad affrontare quando en-treranno a pieno titolo nel mercato del lavoro. Al contempo, la testimonianza deitutor aziendali, evidenzia come essa possa costituire per le imprese un’opportunitàdi presa di “consapevolezza della realtà nella quale si trovano ad operare” (Munari,2011, p. 20). La ricerca partenariale pare offrire così a tutti gli interlocutori coin-volti un’occasione di interrogazione, di conversazione e di esplicitazione, in unaparola, di dialogo tra università e business.

Riferimenti bibliografici

Argyris C., Schön D.A. (1998). Apprendimento organizzativo. Teorie, metodo e pra-tiche. Milano: Guerini e Associati.

Atkinson R. (2002). L’intervista narrativa. Raccontare la storia di sè nella ricercaformativa, organizzativa e sociale. Milano: Raffaello Cortina.

38

Page 41: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Cicognani E. (2002). Psicologia sociale e ricerca qualitativa. Roma: Carocci.Commission of the European Communities (2009). A new partnership for the mod-

ernisation of universities: the EU Forum for University Business Dialogue. Brussels,COM 158 def. Disponibile su http:// ec. eu ropa. eu/ transparency/ reg doc /re -cherche.cfm?C=it [Data di accesso: agosto 2013].

Frison D. (2011) (Ed.). Dialogo università-imprese: quale contributo dalle scienzeumane?. Napoli: ESI.

Lewin K. (1948). Resolving social conflicts; selected paper on group dynamics. NewYork: Harper & Row.

Munari A. (2010). Promuovere consapevolezza epistemica. In C. Xodo, M. Benet-ton (Eds.), Che cos’è la competenza? Costrutti epistemologici, pedagogici e de-ontologici. Atti della VII Biennale Internazionale sulla Didattica Universitaria(pp. 45-54). Lecce: Pensa MultiMedia.

Munari A. (2011). Scienze umane e saperi d’impresa. In D. Frison (Ed.), Dialogouniversità-imprese: quale contributo dalle scienze umane? (pp. 13-22). Napoli:ESI.

Nussbaum M.C. (2011). Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno dellacultura umanistica. Bologna: Il Mulino.

Nyerere J., Friso V. (2012), Collaborazioni fra imprese e università: strumenti diorientamento in Kenya e in Italia. Metis, II, 2. Disponibile su http:// metis. -progedit.com/anno-ii-numero-2-dicembre-2012/87-buone-prassi/265-collab-orazioni-fra-imprese-e-universita-strumenti-di-orientamento-in-kenya-e-italia.html [Data di accesso: agosto 2013].

Schön D.A. (1993). Il professionista riflessivo. Bari: Dedalo.Vermersch P. (2005). Descrivere il lavoro. Nuovi strumenti per la formazione e la

ricerca: l’intervista di esplicitazione. Roma: Carocci Faber.

ricerche

39

Page 42: Sird12 2014
Page 43: Sird12 2014

41

TGM e Scuola Primaria.Possibili correlazioni tra abilità grosso-motorie e profitti disciplinari

TGM and Primary School.Possible correlations between gross-motor skills and school marks

Oggi, pian piano, si è giunti alla convinzionedi non poter studiare la mente senza tenerconto del fatto che essa è fortemente influen-zata dal cervello e soprattutto dal corpo. Negliultimi quindici anni, in diversi campi di ricercasi è avuto il proliferare di studi sulla cognizio-ne “embodied”, ossia la visione emergenteche considera i processi cognitivi profonda-mente radicati nell’interazione del corpo conil mondo. Partendo da questo quadro teoricointroduttivo, l’obiettivo del lavoro è statoquello di calarsi nel contesto educativo e ve-rificare la presenza di possibili correlazioni trale abilità motorie e i voti di profitto disciplinaridel I quadrimestre di alunni appartenenti acinque fasce d’età differenti. Ad un campionedi circa 200 alunni è stato somministrato ilTGM (Test di Valutazione delle abilità grosso-motorie, Dale Ulrich, 1992) al termine delle at-tività svolte durante il I Quadrimestre e irisultati sono stati analizzati statisticamentesecondo gli indici di Pearson e Spearman. I ri-sultati hanno dimostrato, seppur non semprecon indici particolarmente significativi, trat-tandosi di un campione relativamente basso,alcune interessanti positività di correlazionetra queste due macrovariabili, aprendo delleinteressanti riflessioni sulle teorie introduttivedi base.

Parole chiave: Embodied Cognition, abilitàgrosso-motorie, TGM, voti profitto, ScuolaPrimaria

Today, gradually, it has come to the convic-tion that it could not study the mind withouttaking into consideration the fact that it isstrongly influenced by the brain, and espe-cially from the body. Over the last fifteen ye-ars, in various research fields there was aproliferation of studies about “embodied”cognition, ie the emerging view that consi-ders cognitive processes deeply rooted inthe interaction of the body with the world.Starting from this theoretical framework, theaim of this work was to descend in the edu-cational context and check for possible cor-relations between motor skills and schoolmarks of the first quarter of disciplinary pu-pils belonging to five different age groups.For a sample of 200 students were administe-red the TGM (Test of Evaluation of gross mo-tor skills, Dale Ulrich, 1992) and the resultswere statistically analyzed according to Pear-son and Spearman’s coefficient. The resultsshowed, although not always with particular-ly significant indices, since the sample rela-tively low, some interesting positivecorrelations between these two macro-varia-bles, opening up some interesting reflec-tions on the introductory basis theories.

Keywords: Embodied Cognition, gross-motor skills, TGM, school marks, PrimarySchool

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Filippo Gomez Paloma - Università degli Studi di Salerno - [email protected] Laura Rio - Università degli Studi di Salerno

Domenico Tafuri - Università degli Studi di Napoli “Parthenope” - [email protected]

Page 44: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

42

Introduzione

Fino al ventennio scorso, l’approccio più significativo nell’ambito della scienza co-gnitiva intendeva la mente come il software di un computer, nel senso che si rite-neva importante analizzarne solo il funzionamento, senza indagare le relazioniche potevano esserci con l’hardware, il cervello e il corpo (Borghi, Iachini, 2002).Oggi, pian piano, si è giunti alla convinzione di non poter studiare la mente senzatener conto del fatto che essa è influenzata dal cervello e soprattutto dal corpo.Allo stesso tempo, si è andata creando una forte relazione tra tre processi fonda-mentali che precedentemente sono stati costantemente scissi l’uno dall’altro, ossiala percezione, l’azione e la cognizione: Susan Hurley nel 1998 considerava la mentecome un “sandwich mentale”, in cui la percezione e l’azione sono considerate mar-ginali rispetto alla cognizione, intesa come la polpa. Secondo questa teoria la men-te è, appunto, considerata come un sandwich con due estremità poco proteiche, ilsensoriale ed il motorio, e con al centro la carne, ovvero i processi cognitivi.

Negli ultimi quindici anni si è avuto il proliferare di studi e ricerche sulla co-gnizione “embodied” e “grounded”, senza tralasciare l’impostazione della tradi-zionale scienza cognitiva che risulta di difficile scomparsa. Difatti non esiste unasola teoria “embodied”, ma ne esistono diverse: alcune evidenziano l’importanzaradicale dell’esperienza e della percezione, altre quella del corpo e dell’azione. Aseconda della preminenza dell’una o dell’altra, ci troviamo di fronte a due modelliprincipali di Embodied Cognition (anche se esistono delle forme miste). Nelcaso prevalga la valorizzazione della percezione, parliamo di modello “fenome-nologico”, nel caso in cui prevalga l’azione motoria parliamo, invece, di modello“pragmatico”. Diversi studiosi, anche contemporanei, hanno dato maggiore aditoalla logica della percezione: si pensi alla “Fenomenologia della Percezione” diMerleau-Ponty nel 1945, l’analisi del tatto di Husserl nel 1952, fino ad arrivareal recente primato riscontrato nelle citazioni di Gallagher e Zahavi (2009). Di-versa è, invece, la logica adottata dal modello pragmatico, dove la supremaziadell’azione può essere rivista secondo differenti chiavi di approccio: parliamo,ad esempio, del pragmatismo americano (Dewey, 1949) che intende i concettinon come semplici rappresentazioni di oggetti, ma come l’insieme delle istru-zioni utili all’interazione con gli oggetti finalizzati all’azione (Caruana, Borghi,2013); parliamo, ancora, dell’approccio ecologico di Gibson, basato principal-mente sul concetto di “affordance”, ossia l’insieme delle qualità fisiche di un og-getto che suggeriscono a un essere umano le azioni appropriate per manipolarlo.Ogni oggetto possiede le sue affordance, così come le superfici, gli eventi e i luo-ghi. L’individuo non percepisce solo una copia di ciò che il mondo esterno glirimanda, ma capta una serie di informazioni di alto ordine utili alla sua azione(Gomez Paloma, 2013). L’ultimo filone teorico, recentemente riscoperto, è quellodel comportamentismo logico di Gilbert Ryle, secondo cui la mente non è un’are-na interiore, un teatro in cui vengono proiettati tutti gli input sensoriali e per-

TGM e Scuola Primaria.Possibili correlazioni tra abilità grosso-motorie e profitti disciplinari

Page 45: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

cettivi, così come voleva Descartes, piuttosto la mente è ciò che il corpo fa, l’attoesterno come risposta o disposizione a rispondere ad uno stimolo specifico (Ry-le, 1976).

Ritornando al significato specifico dell’etichetta “Embodied Cognition”, nelcorso degli ultimi anni sono state suggerite delle precisazioni terminologiche, chehanno dato una maggiore chiarezza al significato principale: Fischer nel 2012 or-ganizza in modo gerarchico le nozioni di cognizione “grounded”, “embodied”, “si-tuated” ed “enacted”. Nonostante vengano utilizzate in modo commutabile, questeetichette celano al loro interno delle posizioni teoriche differenti. Il termine“grounded” ha al suo interno il richiamo al vocabolo “ground”, suolo, precisandoche i processi cognitivi non si esauriscono solo nell’importanza degli stati corporei(embodied) necessari alla cognizione, ma anche ai vincoli del mondo fisico cheincludono “anche” il sistema sensorimotorio. Barsalou (2010) non a caso affermache i processi cognitivi sono molteplici e includono non solo simulazioni, ma azio-ni situate (situated) ed anche stati corporei. L’enattivismo, infine, pone al centrodella sua riflessione la percezione, intesa come un particolare tipo di attività esplo-rativa, basata su solidi rapporti causali tra i diversi domini di esplorazione. Con-cludendo, al di là delle diverse distinzioni terminologiche, è possibile associare ilconcetto di “grounded” all’idea di fondare i processi cognitivi su elementi senso-riali, quello di “embodied” e “situated” al recupero di elementi corporei e quellodi “enacted” al dominio motorio (Caruana, Borghi, 2013).

Diversi modelli sperimentati nel mondo hanno utilizzato la scuola di pensierodell’Embodied Cognition come approccio scientifico alla didattica (in letteratura,musica, arte, tecnologia…). Ellen Esrock (2012), ad esempio, parla di “incarna-zione nella letteratura e arte visiva” raccontando la particolare storia della letturadi un romanzo: l’autore si focalizza prima sulla descrizione della mano di una sartache si muove seguendo le onde di un morbido tessuto, poi dell’osservazione deldipinto di una donna che ricama il suo fazzoletto. In entrambi i casi, dice Esrock,è come se fosse possibile percepire la tensione fisica delle dita o della proprietàtattile della stoffa, sentendosi in un qualche modo tuffato corporeamente in quelladescrizione e osservazione. È come se stesse avvenendo una simulazione di ciòche è rappresentato con immagini o raccontato con parole.

Leon van Noorden e Marc Leman (2012) parlano, invece, di cognizione mu-sicale incarnata, vedendo la musica come esperienza basata sull’azione e sulla per-cezione. Non a caso, dicono gli autori, molte persone quando ascoltano la musicacominciano a far muovere il proprio corpo o parte di esso; questo per far presu-mere che è proprio attraverso il movimento che viene dato un senso alla musica.Inoltre, il tradizionale approccio alla cognizione musicale centrato solo sulla co-noscenza e sull’analisi della struttura delle note (senza alcun riferimento al corpo)sta pian piano dissolvendosi, lasciando spazio ad un presente che costruisce la co-noscenza proprio attraverso la fisiologia umana e il movimento in funzione diuna virtù cognitivamente incarnata.

Parallelamente alle recenti scoperte neuro scientifiche e psicobiologiche, sonostate attuate una serie di modifiche legislative in campo educativo mostrando unforte interesse nell’importanza formativa del corpo e del movimento: basti pensarealle attuali Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’Infanzia e delPrimo Ciclo d’Istruzione (2012). Già la Scuola dell’Infanzia mira a sviluppare gra-dualmente nel bambino la capacità di leggere e interpretare i messaggi provenientidal corpo proprio e altrui, rispettandolo e avendone cura. Mira, altresì, a svilupparela capacità di esprimersi e di comunicare attraverso il corpo per giungere ad affi-narne le capacità percettive e di conoscenza degli oggetti, la capacità di orientarsi

ricerche

43

Page 46: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

nello spazio, di muoversi e di comunicare secondo immaginazione e creatività.Nella Scuola Primaria, invece, l’alunno è condotto all’acquisizione di diversi sche-mi motori, al riconoscimento e valutazione di traiettorie e distanze, all’elaborazioneed esecuzione di semplici sequenze di movimento, alla partecipazione attiva allevarie forme di attività sportiva rispettando le regole di gioco e di comportamento.

Nell’ottica di adottare il filone “Embodied Cognition” come paradigma psico-pedagogico con il quale operare didatticamente, è necessario, inoltre, l’utilizzo distrumenti ben costruiti e standardizzati che includano abilità motorie di base. Inambito educativo l’attenzione non è tanto rivolta al raggiungimento di risultati diprestazioni motorie, bensì alla valutazione qualitativa della sequenza armonicadello sviluppo delle abilità grosso-motorie. La padronanza delle principali abilitàgrosso-motorie richiede infatti che il bambino sviluppi uno schema maturo di mo-vimento e ciò è più importante rispetto ai risultati quantitativi espressi in terminidi tempo, distanza e accuratezza della prestazione.

Williams (1983) definisce lo sviluppo grosso-motorio come l’uso progressi-vamente sempre più abile della totalità del corpo in un’attività che coinvolge ampigruppi muscolari e che richiede la coordinazione spaziale e temporale del mo-vimento simultaneo di vari segmenti corporei. Lo sviluppo grosso-motorio ri-guarda prevalentemente abilità che sono usate per spostare il corpo da un postoall’altro (locomozione) e per muovere e prendere oggetti. Molti autorevoli stu-diosi concordano sul fatto che le abilità grosso-motorie si sviluppano in modosequenziale (Gallahue, 1982; Robertson, 1984; Williams, 1983; Zaichkowsky,Martinek, 1980). È generalmente accettato che le persone progrediscano attra-verso i vari stadi motori con un ritmo diverso, che dipende da fattori sia biologiciche ambientali (Seefeldt, Haubenstricker, 1982). Seefeldt e Haubenstricker(1982) notano infatti che quando non sono ancora padroneggiati dei livelli ade-guati di performance relativamente ad abilità e schemi grosso-motori fonda-mentali, le persone incontrano degli ostacoli che possono ridurre il loropotenziale di apprendimento in molte altre abilità più avanzate anche in ambitidiversi da quello motorio o sportivo.

1. Obiettivo

Partendo da questo quadro teorico introduttivo, l’obiettivo del lavoro è stato quellodi calarsi nel contesto educativo e verificare la presenza di possibili correlazionitra le abilità grosso motorie e i voti di profitto disciplinari del I quadrimestre dialunni appartenenti a cinque fasce d’età differenti.

2. Metodo

Il contesto in cui si è svolta questa ricerca (di tipo empirico) è quello scolastico diNola (NA), selezionato in seguito ad un positivo feedback ricevuto da un prece-dente percorso di formazione con il dirigente e il personale docente del I CircoloDidattico. La scelta del campione è ricaduta su circa 200 alunni frequentanti l’isti-tuto, appartenenti a cinque fasce d’età differenti (10 classi dalla 1° alla 5° Primariaaderenti al Progetto di Alfabetizzazione Motoria 2010/2013) e regolarmente au-torizzati alla somministrazione dei test e all’accesso dei voti di profitto scolasticidel I quadrimestre dai genitori di ciascuno.

44

Page 47: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Con l’aiuto del docente esperto di Educazione Fisica, operante nel suddetto Pro-getto, è stato somministrato il TGM (Test di Valutazione delle abilità grosso-motorie,Dale Ulrich, 1992) al termine delle attività svolte durante il I Quadrimestre.

Il test sullo sviluppo grosso-motorio è un test a somministrazione individuale,che valuta la funzionalità grosso-motoria di bambini di età compresa tra i 3 e i 10anni. Il test misura 12 abilità grosso-motorie che sono frequentemente oggetto diinsegnamento con bambini in età prescolare, nelle prime classi di scuola primaria.Le abilità sono raggruppate in due subtest, ognuno dei quali, attraverso degli items,valuta un diverso aspetto dello sviluppo grosso-motorio: la locomozione e il con-trollo dell’oggetto.

Principi standard di somministrazione degli items

– Compilare in modo appropriato l’apposita scheda di registrazione dell’alunno. – Far precedere la prova di valutazione da una accurata dimostrazione dell’item

da parte di una persona abile e da una chiara richiesta verbale. – Far provare l’item così da accertarsi che l’alunno abbia capito bene cosa deve

fare in quell’item. – Fornire delle dimostrazioni ulteriori quando l’alunno sembra non aver capito

il compito. – Somministrare l’item che sarà valutato per l’attribuzione del punteggio.

Criteri standard di attribuzione dei punteggi

Ogni abilità grosso-motoria include tre o quattro componenti di esecuzione. Ingenere, questi criteri rappresentano uno schema maturo di esecuzione di quellaabilità. Qui di seguito sono elencate le operazioni specifiche nell’attribuzione deipunteggi per ogni item. 1. Richiedere all’alunno di compiere tre prove di ogni item. 2. Osservare bene l’alunno mentre esegue la prova concentrandosi sulle modalità

di esecuzione. 3. Nei casi in cui l’alunno esegue la prova in modo corretto due volte su tre, si se-

gna «1» nella casella corrispondente, nella apposita colonna della scheda di re-gistrazione. Nei casi in cui l’alunno non esegue quella prova o la esegua inmodo corretto una sola volta, si segna «0».

Elenco dei test TGM

Dati Antropometrici (utili per riflettere su eventuali aspetti prestazionali che inquesto caso non sono stati presi in considerazione)– Peso– Altezza

Subtest 1: Locomozione Questo subtest misura le seguenti sette abilità: 1. corsa2. galoppo3. saltelli in avanti su un piede4. balzi in avanti5. salto in lungo da fermo6. saltelli in avanti alternati su un piede 7. galoppo laterale

ricerche

45

Page 48: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Subtest 2: Controllo di oggetti Questo subtest misura altre cinque abilità: 8. colpire una pallina con una racchetta da tennis9. far rimbalzare una palla da fermo10. ricevere con le mani una palla lanciata11. calciare una palla correndo 12. lanciare una pallina con una mano

Schede rilevazione dati

!

46

Page 49: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Fig. 1: Schede rilevazione dati (Ulrich, 1992)!

!

ricerche

47

Page 50: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Schede di conversione dei punteggi

!

48

Page 51: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Fig. 2: Schede di conversione dei punteggi (Ulrich, 1992)!

!

ricerche

49

Page 52: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

50

Con l’aiuto di un docente referente è stato possibile accedere a tutti i voti di pro-fitto degli alunni nelle diverse discipline (nel rispetto delle norme vigenti sulla pri-vacy) per poter successivamente operare le possibili correlazioni in merito.Trattandosi di docenti diversi che potrebbero adottare criteri e parametrazioni dif-ferenti di votazione, per le correlazioni è stata effettuata una standardizzazione se-condo cui: “voto standardizzato=(X-media)/DS”, dove X è il voto singolo dellostudente per una materia, media è la media per classe di quella materia e DS è ladeviazione standard. L’analisi statistica è avvenuta, invece, mediante due diversi tipidi indice di correlazione: il coefficiente di correlazione di Pearson, che esprime l’in-dice di una eventuale relazione di linearità tra due variabili statistiche, e l’indice dicorrelazione R per ranghi di Spearman, ossia la misura statistica non parametricadella correlazione che esprime un’eventuale relazione monotona delle variabili.

Page 53: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

51

3. Risultati

Tab.

1: A

nalis

i des

critt

iva.

Med

ia d

ei v

oti d

egli

alun

ni in

tutte

le d

isci

plin

e e

nei d

ue su

btes

t.

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!!

! ! ! ! !!

!! ! ! ! !

!

Page 54: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

52

Tab.2: Correlazione tra le discipline e i subtest secondo l’indice di Pearson.

!!!!!!!!!!!!!!!!

Tab.3: Correlazione tra le discipline e i subtest secondo l’indice di Spearman.

!!!!!!!!!!!!!!!!

Page 55: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

53Ta

b.4:

Cor

rela

zion

e di

Pea

rson

tra

le d

isci

plin

e e

il su

btes

t 1 p

er cl

asse

.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Page 56: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

54

Tab.

5: C

orre

lazi

one

di P

ears

on tr

a le

dis

cipl

ine

e il

subt

est 2

per

clas

se.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Page 57: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

55

Tab.

6: C

orre

lazi

one

di P

ears

on tr

a le

dis

cipl

ine

e la

med

ia d

ei su

btes

t per

clas

se.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Page 58: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

56

Tab.

7: C

orre

lazi

one

di S

pear

man

tra

le d

isci

plin

e e

il su

btes

t 1 p

er cl

asse

.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Page 59: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

57

Tab.

8: C

orre

lazi

one

di S

pear

man

tra

le d

isci

plin

e e

il su

btes

t 2 p

er cl

asse

.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Page 60: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

58

Tab.

9: C

orre

lazi

oni d

i Spe

arm

an tr

a le

dis

cipl

ine

e m

edia

dei

test

con

sudd

ivis

one

delle

clas

si

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Page 61: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

4. Analisi e conclusioni

Partendo dall’analisi della Tab.1, trattandosi di un’analisi statistica descrittiva, èstato possibile rilevare qualche indicazione sulla media generale del profitto deglialunni: essa oscilla tra il 7.739 della classe 4b (italiano) e il 8.805 della classe 2a(musica). Questo ha dimostrato che si tratta in primis di un range molto piccoloe che in genere i voti sono abbastanza alti per tutti gli studenti e tutte le classi.Inoltre riguardo i due subtest è stato possibile stabilire il valore medio più alto, os-sia 19.247 per la classe 3a nel subtest 1 e 15.083 per la classe 1a per il subtest 2.

La Tab.2 riporta i risultati dell’analisi statistica mediante il coefficiente di cor-relazione di Pearson tra i due subtest e le diverse discipline. Da questa analisi èstata rilevata una significativa correlazione tra le discipline di matematica, musicae scienze motorie con il subtest 1 (in realtà le discipline lo sono anche con il subtest2 solo che i coefficienti di correlazione sono più piccoli e non statisticamente si-gnificativi); questo potrebbe essere giustificato dalla teoria del Decision Making(Iannello et al. 2007) che implica la necessità di un’analisi iniziale e una presa didecisione dell’eseguire una o più abilità grosso-motorie (appartenenti al subtest1), analogamente a quanto avviene per le discipline di matematica (es. risoluzionedi problemi) o musica (es. approccio ad uno strumento musicale o ad un nuovospartito). Di matrice negativa è stata rilevata, invece, la correlazione con i voti re-lativi al comportamento: a voti più alti nel comportamento sono associati voti piùbassi nei test di verifica. Una possibile spiegazione è che avere voti del comporta-mento alti è legato soprattutto all’avere un atteggiamento tranquillo (anche fisica-mente). Se questo è vero, allora si potrebbe giustificare la correlazione negativacon i due subtest, i quali richiedono, invece, l’acquisizione di alcune abilità motorieche necessitano di esperienze attive e creative. Su questo punto potrebbe essereinteressante riflettere su come nella scuola italiana il contraddittorio degli obiettivie traguardi dell’educazione fisica delle Indicazioni Nazionali 2012 e il voto di con-dotta, inteso come tranquillità fisica e assenza di disturbo legato al movimento,ancora prevalgono nella cultura professionale del docente e dell’istituzione scola-stica tutta (Siegel, 2001; Rosati, 2005; Gamelli, 2006). A conferma di ciò, anchel’analisi statistica secondo l’indice di correlazione per ranghi di Spearman (Tab. 3)ha riportato risultati analoghi alla Tab. 2.

Le Tab. 4 e 5 mostrano un quadro differente dalle precedenti tabelle: mentre ini-zialmente l’analisi degli alunni era unica (come se si trattasse di una sola classe), quile classi sono state analizzate separatamente: nello specifico, la classe 3a è significa-tivamente e positivamente correlata con il subtest 1 in quasi tutte le discipline (trale varie classi sono i coefficienti di correlazione più alti). Osservando la Tab. 5, unparticolare spunto di riflessione è possibile per l’analisi avvenuta sulle classi prime(a e b): esse mostrano per il subtest 1 una correlazione positiva su tutte le discipline(anche se non significativa), mentre per il subtest 2 una correlazione negativa (sem-pre non significativa). Come citato precedentemente, i due subtest valutano abilitàdifferenti ed essendosi rilevata una particolare correlazione con il subtest 1, che va-luta le abilità di locomozione, è possibile ricollegarsi al fatto che gli alunni di fasciad’età minore siano pronti alle attività di movimento libero del corpo, ma non a quelledi interazione specifica con un oggetto. Fra i 3 e i 6 anni il bambino ha raggiunto lecompetenze di base motoria, ma è con il proseguire degli anni che evolve quantoad equilibrio e coordinazione globale e fine (Le Boulch, 1999).

Le Tab. 7 e 8 ripetono quanto già fatto nella Tab. 2, ma, come per le precedentitabelle (5 e 6) l’analisi è avvenuta per classi separate e con un indice di correlazionediverso: Spearman. I risultati in generale hanno confermato le correlazioni dellaTab. 2.

ricerche

59

Page 62: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Infine la Tab. 6 e 9 mostrano la stessa analisi delle Tab. 4 e 5 e Tab. 7 e 8, solocon riferimento alla correlazione tra le varie discipline e la media dei due subtest.Quest’ultima corrrelazione è risultata solo aggiuntiva dato che i valori hanno nuo-vamente confermato le precedenti riflessioni.

A fronte di un quadro teorico introduttivo all’interno del quale in diverse for-me è stata differenti volte ribadita l’importanza di una cognizione incarnata, ossiala visione emergente che considera i processi cognitivi profondamente radicatinell’interazione del corpo con il mondo, e di una analisi statistica correlativa det-tagliata di quelli che sono i voti di profitto disciplinari del I quadrimestre di alunniappartenenti a cinque fasce d’età differenti e le abilità grosso motorie, considerateil primo gruppo di abilità acquisite dai soggetti nell’età evolutiva, le conclusionisono alquanto positive e, quindi, promettenti. I risultati hanno dimostrato, seppurnon sempre con indici particolarmente significativi, trattandosi di un campionerelativamente basso, la positività delle correlazioni tra queste due macrovariabili.Per quanto riguarda le possibili prospettive future, esse ricadono proprio sullascelta di un campione più alto per poter ulteriormente confermare i dati statisticiqui ottenuti, e di fondamentale importanza sarebbero gli spunti di riflessione sulruolo attivo del docente in questa “embodied mission”. Nell’azione didattico-co-municativa anche il ruolo del corpo del docente è fondamentale (Cozzolino, 2003):se la funzione cognitiva viene compiuta attraverso il sistema verbale, quella affet-tiva e dei rinforzi positivi è quasi del tutto svolta dal linguaggio corporeo mediantela postura, i gesti, lo sguardo, la distanza interpersonale e i segnali non verbali delparlato.

Riferimenti bibliografici

Barsalou L.W. (2010). Grounded cognition: Past, present, and future. Topics in Co-gnitive Science, 2, pp. 716-724.

Borghi A.M., Iachini T. (2002)(Eds.). Scienze della mente. Bologna: Il Mulino.Caruana F., Borghi A.M. (2013). Embodied Cognition, una nuova psicologia, Gior-

nale Italiano di Psicologia.Cozzolino M. (2003). La comunicazione invisibile. Gli aspetti non verbali della co-

municazione. Modica: Amore.Dewey J. (1949). Esperienza e natura. Torino: Paravia.Esrock E., Turner A., Dalton R.C., van Noorden L., Leman M. (2012). Four Appli-

cations of Embodied Cognition. Topics in Cognitive Science.Fischer H. M. (2012). A hierarchical view of Embodied Cognition. Psychonomic

Bulletin & Review, 9 (4).Gallagher S., Zahavi D. (2009). La mente fenomenologica. Filosofia della mente e

scienze cognitive. Milano: Cortina Raffaello.Gallahue D.L. (1982). Understanding motor development in children. New York:

Wiley and Sons.Gamelli I. (2006). Pedagogia del corpo. Roma: Meltemi.Gomez Paloma F. (2013). Embodied cognitive Science. Atti incarnati della didattica.

Roma: Nuova Cultura.Gomez Paloma F. (2009). Corporeità, didattica e apprendimento. Le nuove neuro-

scienze dell’educazione. Salerno: Edisud.Hurley S. (1998). Consciousness in actions. Cambridge: Harvard University Press.Husserl E. (1952). Ideen zu einer reinen Phanomenologie und phanomenologi-

schen Philosophie. Zweites Buch. Phanomeno-logische Untersuchungen zur

60

Page 63: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Konstitution, a cura di M. Biemel, Den Haag, Martinus Nijhoff (trad. it. E. Fi-lippini, a cura di V. Costa, Einaudi, Torino, 2002).

Iannello P., Antonietti A. (2007). Relationship between decision styles and thin-king styles. Abstract of the Workshop on Cognition and Emotion in EconomicDecision Making, Università di Trento, 49, 50, gennaio 2007.

Indicazioni Nazionali per il Curricolo della Scuola dell’Infanzia e del Primo ciclod’Istruzione (2012), Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Le Boulch J. (1999). Lo sviluppo psicomotorio dalla nascita a sei anni. Conseguenzeeducative della psicocinetica nell’età prescolare. Roma. Armando.

Merleau-Ponty M. (1945). Phénoménologie de la perception. Paris: Librarie Galli-mard (trad. it., Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2003).

Robertson M.A., Halverson L.E. (1984). Developing children. Their changing mo-vement. Philadelphia: Lea and Feiber.

Rosati L. (2005). Il metodo della didattica. Brescia: La Scuola.Ryle G., (1976). The concept of mind. Chicago: The University of Chicago Press(trad. it., Il concetto di mente, Laterza, Bari, 2007).

Seefeldt V., Haubenstricker J. (1982). Patterns, phases, or stages: an analytical mo-del for the study of developmental movement. In J.A.S. Kelso, J. E. Clark. Thedevelopment of movement control and coordination. New York: John Wiley &Sons.

Siegel D.J. (2001). La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interperso-nale. Milano: Raffaello Cortina.

Ulrich D.A. (2002). TGM. Valutazione delle abilità grosso-motorie. Trento: Erick-son.

Williams H.G. (1983). Perceptual and motor development. New York: EnglewoodCliffs.

Zaichkowsky L., Martinek T. (1980). Growth and development: The child and phy-sical activity. St. Louis, MO: The C.V. Mosby Company.

ricerche

61

Page 64: Sird12 2014
Page 65: Sird12 2014

63

Musica e transfer degli apprendimenti: apprendimenti musicali, abilità fonologiche e linguistiche nella scuola dell’infanzia

Music and transfer of learning: learning music, phonological and language skills in kindergarten

Musica e linguaggio sono stati oggetto dinumerosi studi che hanno mostrato signifi-cative analogie durante la loro acquisizioneda parte dei bambini (percezione precocedel suono, ritmo, vocalizzi pre-musicali epre-linguistici, l’emergere di canto e parola).Il presente articolo nasce dall’esigenza didescrivere un transfer degli apprendimentitra musica e linguaggio nella prima infanziaaffinché venga data ai bambini la possibilitàdi sviluppare appieno il loro potenziale neisettori della musica e dell’alfabetizzazioneemergente.Il risultato principale dell’analisi effettuatacon bambini frequentanti una scuola dell’in-fanzia nella provincia di Salerno mostra ri-sultati promettenti per quanto riguarda ilmiglioramento delle suddette competenze.L’articolo, infine, propone l’attivazione diprogetti interdisciplinari per consentire aibambini di sviluppare le competenze incampi d’esperienza/discipline diversi daquelli sperimentati, utilizzando il transferdegli apprendimenti anche per prevenireeventuali difficoltà di apprendimento.

Parole chiave: didattica, transfer degli ap-prendimenti, educazione musicale, scuoladell’infanzia, consapevolezza fonologica.

Studies on Music and Language have shownseveral relevant analogies (like, for instance,early sound perception, rhythm, pre-musi-cal and pre-linguistic vocalization and theemergence of singing and speech) with re-spect to children’s learning process. This pa-per aims at describing the Transfer ofLearning across Music and Language do-mains in early childhood in order to givechildren the opportunity to develop theirpotential (intended as latent qualities, abili-ties or attitudes) in Emergent Literacy. Thedefined approach has been to adopt MusicTraining as a tool to encourage children’sphonological skills. The main result of the in-depth analysis car-ried out with pre-school children showspromising results with respect to the impro-vement of the aforementioned skills. Lastly,this paper proposes the activation of inter-disciplinary projects to enable children todevelop skills in new fields (different fromthe experimented ones) by using Transfer ofLearning also to prevent possible learningdifficulties.

Keywords: didactics, transfer of learning,music education, kindergarten, phonologi-cal awareness skills.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Antonio Marzano - Università degli Studi di Salerno - [email protected] De Angelis - MIUR

L’articolo nasce dall’ideazione comune dei due autori che, quindi, ne condividono l’impianto e i conte-nuti. Nello specifico, Antonio Marzano ha redatto il paragrafo 1, Marta De Angelis i paragrafi 2, 3. En-trambi gli autori il paragrafo 4.

Page 66: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

1. Presentazione, ipotesi ed obiettivi

Il transfer degli apprendimenti è una delle principali finalità educative che il si-stema scolastico mira a raggiungere per migliorare in modo significativo la qualitàdel servizio erogato. I riferimenti sempre maggiori all’acquisizione di competenzespendibili nella vita reale (life skills) presuppongono infatti una rinnovata prassimetodologico-didattica che investe tutti gli ordini di scuola e i sistemi di vita delsoggetto (formali, informali e non formali)1. Ciò premesso, una domanda da porsiè la seguente: quali sono le strategie che un insegnante può mettere in atto per fa-vorire lo sviluppo di tali competenze?Da qui il rinnovato interesse per un concetto che deriva prettamente dalla psi-

cologia ma che può essere di valido aiuto nel processo di insegnamento/apprendi-mento, ovvero il transfer. Tralasciando l’utilizzo che viene fatto del medesimotermine in ambito psicoterapeutico2, ci concentreremo sul transfer of learning, intesocome la “capacità del soggetto di applicare gli apprendimenti realizzati in una situa-zione ad altre situazioni simili o differenti” (Bosco, 2003, p. 130). Una delle principalicaratteristiche del transfer è quella di realizzarsi grazie alla mobilitazione degli ap-prendimenti, riservando un ruolo determinante sia al soggetto che apprende (attivoorganizzatore delle proprie conoscenze) sia ai processi metacognitivi messi in attonel controllo e nella rielaborazione dei propri saperi (Cornoldi, 1995).Il termine è stato introdotto introdotto inizialmente nell’ambito della psicologia

comportamentista afferente gli studi di Thorndike e Woodworth (1901). Secondol’ottica behaviouristica, infatti, se l’apprendimento è considerato come un processodi modifica dei comportamenti per lo stabilizzarsi e il rinforzo di nuove associa-zioni tra stimoli e risposte, il transfer non è che lo spostamento di queste associa-zioni in situazioni nuove che condividono degli elementi in comune con leesperienze di apprendimento passate. L’elemento considerato per far sì che un ap-prendimento potesse essere generalizzato era infatti unicamente il numero di ele-menti comuni presente nei due compiti.

1 A tal proposito ci si riferisce sia al documento OMS del 1993 Life skills education inschools (che illustra le competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamentoper rendere l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide dellavita di tutti i giorni), sia al quadro delineato dal Parlamento e dal Consiglio d’Europadel 18 dicembre 2006 (le competenze chiave per l’apprendimento permanente). Di ri-levante importanza è inoltre la Proposta di Raccomandazione del Consiglio d’Europadel settembre 2012 sul riconoscimento dell’apprendimento non formale e informale,alla luce della strategia Europa 2020.

2 In questo caso il termine si riferisce ad un processo psicodinamico per cui un soggettotrasferisce determinati sentimenti e modalità di relazione su una persona diversa daquella originaria rispetto alla quale erano sorti.

64

Musica e transfer degli apprendimenti: apprendimenti musicali, abilità fonologiche e linguistiche nella scuola dell’infanzia

Page 67: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Oggi sappiamo che questo dato da solo non basta per far sì che ci sia un tran-sfer in tal senso. Se con il cognitivismo emerge necessità di considerare il processodi transfer come la capacità di ritrovare ed utilizzare in maniera funzionale le abi-lità necessarie per far fronte ad una nuova situazione (Ausubel, 1968), nella con-cezione costruttivista il ruolo del soggetto che apprende si apre ad orizzontiancora più vasti, dando maggior rilievo anche a quelli che sono i contesti culturalie sociali in cui le informazioni vengono recepite (Jonassen, 1999). Anche se laconoscenza rimane intimamente legata all’azione e all’esperienza del soggetto suglioggetti della realtà che lo circonda, il transfer non si esaurisce nell’assimilazionee nella rielaborazione di tali informazioni ma ne diventa soltanto il punto di par-tenza. La cognizione diviene situata (Resnick, 1996): non solo in un individuoma anche in un contesto, in una cultura, in un gruppo di appartenenza, in unapratica sociale. Ci si interessa dunque al modo in cui l’individuo partecipa e con-tribuisce alla costruzione delle conoscenze collettive (Bereiter, Scardamalia, 2003)che fanno parte del proprio contesto di appartenenza, ma anche al modo con cuiil contesto e le interazioni sociali nelle quali il soggetto è inserito condizionano isuoi processi cognitivi individuali. In questa prospettiva apprendere è parteciparead un processo di co-costruzione del sapere, un processo circolare in cui le co-noscenze vengono continuamente rivisitate, riorganizzate e reinterpretate in baseai nuovi input ricevuti (Frenay, 2004). Questo implica, in campo formativo, nonsoltanto che lo studente possiede un ventaglio di conoscenze e competenze or-ganizzate e rievocate secondo personali associazioni, ma che questa organizza-zione è condizionata dalle sue esperienze, dai suoi interessi, dai suoi stati emotivi,dalla sua motivazione, dal contesto socio-culturale di appartenenza e dalle solle-citazioni provenienti dal setting formativo. L’apprendimento acquista allora unsenso nel momento in cui si creano realmente dei collegamenti tra esperienzapassata ed esperienza presente, facendo dell’alunno un active learner. Si tratta diun meccanismo abbastanza complesso, sul quale influiscono molteplici variabilima sulle quali l’insegnante può intervenire operando attraverso un’azione didat-tica di teaching for transfer.

Perkins e Salomon (1992) indicano alcune importanti condizioni che devonoessere presenti per realizzare un transfer degli apprendimenti:

– pratica approfondita e diversificata: il transfer può dipendere da una praticaestesa della prestazione in relazione alle varietà contestuali in cui questa vienemessa in atto. Più si è capaci di mettere in atto determinate conoscenze ed abi-lità in contesti diversi, più si sarà in grado di trasformarle in competenze evo-cabili in situazioni nuove;

– astrazione esplicita: il transfer dipende anche dal grado di astrazione che glistudenti riescono a mettere in atto nella risoluzione di un compito. In questocaso la capacità di astrazione deriva dal trasferire analoghi principi di risolu-zione da una situazione all’altra;

– attivo auto-monitoraggio: la riflessione metacognitiva sembra promuovere iltransfer di competenze. Mentre il processo di astrazione si concentra sullastruttura del compito di apprendimento, l’auto-monitoraggio si concentrasui propri processi di pensiero. L’azione metacognitiva porterebbe più facil-mente i bambini a riconoscere quando utilizzare una strategia appresa in pre-cedenza;

– suscitare la mindfullness: il termine si riferisce ad uno stato generalizzato di vi-gilanza sulle attività che si è impegnati a svolgere, in contrasto con una moda-lità reattiva e passiva in cui cognizioni, comportamenti ed altre risposte

ricerche

65

Page 68: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

vengono provocate automaticamente senza attivare una riflessione critica. Lamindfullness sarebbe quindi omnicomprensiva e più generale rispetto ai pro-cessi metacognitivi, favorendone dunque la loro azione. Per fare ciò sarebbepreferibile stimolare la motivazione ed il coinvolgimento degli studenti, evi-tando che siano costretti a subire l’azione dell’insegnante;

– utilizzo di metafore ed analogie: il transfer è facilitato quando il nuovo materialeè studiato alla luce di quello precedente che funziona da analogia o metafora.Conoscenze note su un vecchio dominio possono essere trasferite ad un do-minio nuovo così da comprendere meglio ciò che si è appreso. Così, ad esem-pio, gli studenti potranno inizialmente capire meglio com’è fatto un atomo selo si paragona ad un piccolo sistema solare, o potranno comprendere come la-vora il cuore se lo si paragona ad una piccola pompa. Naturalmente bisognaverificare in anticipo la funzionalità e l’efficacia delle analogie che verrannoproposte agli allievi.

Un’altra strategia molto efficace è quella della decontestualizzazione e la suc-cessiva ricontestualizzazione di quanto viene appreso (Tardif, Meirieu, 1999). Que-sto processo avviene secondo tre fasi: la contestualizzazione dell’apprendimento,la sua decontestualizzazione, la successiva ricontestualizzazione. Naturalmente ènecessario che questi interventi vengano inseriti in una specifica progettazionedidattica che miri allo sviluppo di competenze da parte dell’allievo. Tessaro (2002)colloca il transfer degli apprendimenti in una più ampia “progettazione per pa-dronanze”, la quale avrebbe proprio la funzione di proporre un approccio meta-cognitivo allo studio attraverso sette fasi didattiche: condivisione dei saperi naturalidegli allievi, mapping, applicazione (learning by doing), transfer, ricostruzione, giu-stificazione, generalizzazione. In tal senso, Margiotta (1997) sostiene che “l’insiemedelle competenze di ogni compito esperto può dare origine, durante il processodi insegnamento, a generalizzazioni progredienti delle conoscenze solo se si inse-gnano all’allievo anche le regole per allargare la conoscenza e per ripercorrere iprocessi che l’hanno determinata. La competenza allora raggiunge un suo livellodi eccellenza, cioè una esperienza esperta che può definirsi padronanza” (p. 144).Come sottolinea Le Boterf (2000), dunque, “trasferire non significa trasportareun saper fare o una competenza come se si trattasse di trasportare un oggetto [...].La trasferibilità non è da ricercare fra le competenze, i saper fare o le conoscenzedel professionista, ma nella sua capacità di stabilire dei legami, di tessere dei fili,di strutturare delle connessioni fra due situazioni. […] La trasferibilità è una ri-sultante piuttosto che una caratteristica primaria” (pp. 137-138).

Con il meccanismo del transfer si sottolinea l’importanza di “poter/saper mo-bilitare” le conoscenze e le abilità acquisite da un dominio cognitivo all’altro qua-lora la situazione lo richieda. Emerge un’altra importante peculiarità: il transfer ècaratterizzato da un forte grado di interdisciplinarità. In questa sede ci si intendesoffermare sullo specifico contributo che l’apprendimento musicale può apportarenon solo alla facilitazione degli apprendimenti in generale ma anche all’incrementodi specifiche abilità. Infatti “il moltiplicarsi delle ricerche sul transfer dell’appren-dimento musicale lascia intravedere il linguaggio musicale non soltanto comeesperienza valida in se stessa, ma anche come strumento veicolare di atteggiamenticognitivi altrimenti faticosi da assumere e da far accettare, in soggetti con stili co-gnitivi lontani dalle logiche tradizionali dei nostri apprendimenti scolastici” (Sca-glioso, 2008, p. 210). L’educazione musicale, infatti, ben si presta all’incontro conle altre discipline: numerosi studi hanno evidenziato l’influenza che training miratidi educazione musicale possono avere sulle abilità di lettura, sul ragionamento lo-

66

Page 69: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

gico-matematico e quello spazio-temporale3.Una relazione che sembra essere, sulpiano dell’efficacia didattica, molto promettente è quella tra linguaggio musicalee linguaggio verbale. Moreno (2011) ha dimostrato, attraverso uno studio speri-mentale, che un training musicale di soli 20 giorni condotto su bambini in età pre-scolare riesce ad incrementare, nel 90% dei casi, le loro prestazioni su una misuradi intelligenza verbale. Anche Bolduc (2008; 2009) ha verificato una correlazionesignificativa tra trattamento di informazioni musicali e linguistiche nella primainfanzia, mettendo in luce, attraverso ricerche sperimentali e quasi-sperimentali,gli effetti positivi e di facilitazione che training musicali apportano allo sviluppodelle abilità linguistiche, in particolar modo di quelle fonologiche. Miglioramentisignificativi si riscontrerebbero anche nel lessico in bambini che partecipano a le-zioni di musica, sia a scuola che nel privato (Piro, Ortiz, 2009).

Cosa accomunerebbe allora musica e linguaggio? Innanzitutto trattasi di lin-guaggi, ovvero espressione della facoltà di esprimersi e di comunicare utilizzandocodici autonomi per elaborare e trasmettere informazioni, e in quanto tali dotatidi un proprio senso e di un proprio sistema di regole. Entrambi utilizzano dei sim-boli per significare una realtà altra, comunicandola al fruitore in maniera linearee sequenziale (anche se la musica è lineare sia sul piano verticale che su quelloorizzontale). Analogamente alla musica, poi, l’eloquio consiste di suoni: le unitàlinguistiche di base sono i fonemi mentre il corrispettivo musicale è dato dalle sin-gole note o dai singoli accordi. Ulteriori parallelismi possono essere fatti per quan-to riguarda la struttura della frase: come quella verbale può essere composta dadue o da molte parole, allo stesso modo il discorso musicale è costituito da incisi,frasi, periodi. Parole e musica si combinano poi nel canto: d’altra parte anche illinguaggio ha una propria melodia intrinseca che può essere persa in caso di le-sioni cerebrali focali, come nel caso della disprosodia (Henson, 1977).

Brown (2000) parla di una vera e propria musilingua per evidenziare la corre-lazione filogenetica tra musica e linguaggio. Molte somiglianze sintattico-struttu-rali erano state notate già da Jackendoff e Lerdahl (1982), che ne hanno comparatogli elementi sintattici e prosodici. Patel e Daniel (2003) hanno evidenziato comequeste siano rilevabili e connotate da cultura in cultura: la musica di una certacultura rifletterebbe dunque il ritmo, il tempo e la fluidità del linguaggio di ap-partenenza. Per quanto riguarda il versante percettivo-fonetico, poi, musica e lin-guaggio condividerebbero due fenomeni quali la percezione categorica e larestaurazione fonemica (Aiello, 1994). Attraverso la restaurazione fonemica leaspettative semantico-lessicali o musicali prendono il sopravvento sull’analisi acu-stica di una sequenza riempiendo l’informazione mancante qualora uno stimolosonoro o verbale venga interrotto e segmentato, facendolo avvertire come un con-tinuum (ciò sembra suggerire anche che in realtà essi sono soggetti a molte delleregole percettive descritte dalla Gestalt). La percezione categorica, invece, fa sì cheun continuo sonoro linguistico o musicale venga percepito in unità discrete (note,parole o fonemi). Sloboda (1995), rifacendosi agli studi di Chomsky e Schenkersulla struttura del linguaggio e della musica, sostiene inoltre che “i bambini sem-brano avere una capacità naturale di apprendere le regole del linguaggio e dellamusica attraverso l’esposizione a degli esempi” e che “per la musica, come per illinguaggio, il mezzo naturale è uditivo-vocale” (pp. 51).

Un intervento volto a sollecitare l’acquisizione del linguaggio nel bambino at-

3 Per una rassegna completa, cfr. Biasutti, Marzano (2008).

ricerche

67

Page 70: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

traverso apprendimenti di tipo musicale è auspicabile allora soprattutto nella scuo-la dell’infanzia, periodo in cui queste acquisizioni sono entrambe affidate ad uncanale prevalentemente percettivo-uditivo. L’acquisizione delle regole grammati-cali e dei sistemi di scrittura convenzionali avverrà infatti in seguito, a partire dallascuola primaria. Si può dunque ipotizzare che “se i bambini iniziano a impararela musica molto presto, prima di iniziare a leggere – elemento positivo per la pla-sticità cerebrale – essi potrebbero seguire la stessa sequenze di quando imparanoa parlare. […] Una volta che il bambino prende possesso della musica che sta cre-ando, è pronto per imparare a creare la notazione. Questo avviene spontaneamentequando il bambino inventa dei segni per aiutarsi a ricordare la musica che ha rea-lizzato” (Parncutt, 2006, pp. 90-91).

La contiguità, durante lo sviluppo ontogenico del bambino, tra a acquisizionedel linguaggio verbale e acquisizione del linguaggio musicale, sembra attestarsidunque ai seguenti livelli: percezione uditiva ed ascolto, produzione vocale, scrit-tura non convenzionale, ritmo, memoria uditiva e consapevolezza fonologica. Pro-cediamo, seppur brevemente, ad una loro sintetica analisi.

L’ascolto riveste un’importanza fondamentale nell’acquisizione del linguaggio(sia verbale che musicale) da parte del bambino. È il suono percepito il precursoredi tutte quelle che saranno le manifestazioni riguardanti le espressioni vocali e laloro successiva traduzione in segno, nonché una delle prime esperienze percettivecon le quali il feto si trova ad avere contatto già durante la gravidanza. È allora im-portante stimolare inizialmente il bambino nella discriminazione di suoni fami-liari, che fanno parte dei suoi contesti di vita quotidiana: questo per provocare inlui una motivazione all’ascolto che gli permetterà di focalizzare maggiore attenzioneagli stimoli presentati. Sarebbe poi vantaggioso presentare fenomeni acustici chelo aiutino gradualmente nel riconoscimento di altezza, durata, intensità e timbrodei suoni, da svolgere sempre in situazioni pratiche e ludiche. Rientrano, quindi,in questa categoria giochi finalizzati alla discriminazione di suoni e rumori (moscacieca sonora, diari, mappe sonore, ecc.), al riconoscimento dei vari timbri (di og-getti, di animali, di strumenti musicali, ecc.), alla lunghezza dei suoni e delle parole(corti/lunghi), alla loro altezza (alti/bassi) ed intensità (forti/deboli).

La capacità di produrre ed emettere suoni, tipica sia del linguaggio verbale chedel canto, è disponibile al bambino già dalla nascita. Le prime manifestazioni edinterazioni verbali sono in effetti contraddistinte da un ritmo ed una musicalitàmolto forte (Gordon, 1997). È allora importante prevedere specifici percorsi fina-lizzati ad enfatizzare anche le capacità vocali del bambino, senza però sottoporloa sforzi inadeguati. Nella scuola dell’infanzia andrebbero, ad esempio, propostisemplici esercizi di preparazione respiratoria, gare di soffio attraverso cui i bambinipossono cercare di far rotolare il più velocemente una pallina, esperienze corporeeattraverso cui il bambino sperimenta la respirazione diaframmatica. Possiamomettere poi in atto dei veri e propri esercizi vocali che serviranno anche per l’ar-ticolazione e la produzione linguistica. Per quanto riguarda l’esecuzione di canti,invece, sarà bene partire da quelli spontanei del bambino, da quelli vicini al con-testo e al patrimonio culturale di riferimento, tenendo conto della naturale esten-sione vocale e perseguendo uno stretto rapporto tra lingua parlata e cantata.

Le affinità tra ritmo verbale e ritmo musicale sono molte: nel primo ad ogniparola corrisponde una struttura temporale e di accento che influenza la parolastessa, il sintagma e la proposizione, ma anche nel ritmo musicale il periodo è unsusseguirsi di accenti e di pause che vanno a formare delle sequenze di caratteretemporale strettamente collegate alla melodia di un brano (Fraisse, 1957). È, d’al-tronde, proprio il ritmo (insieme alla discriminazione dei suoni) uno dei parametri

68

Page 71: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

attraverso cui il bambino riesce a distinguere la propria lingua dalle altre. Que-st’ipotesi attribuisce un ruolo centrale alla sillaba: “infatti, il ritmo di una linguadipende dall’organizzazione temporale delle sillabe” (Guasti, 2007, p. 75). Relati-vamente alla scuola dell’infanzia e al primo anno di scuola primaria andrebberoproposti giochi tesi a rafforzare un pensiero musicale pre-alfabetico per il qualel’impulso ritmico, tradotto soprattutto in gestualità e in reazione corporea, diventiil principale veicolo partecipativo e interpretativo dell’esperienza e dell’espressivitàmusicale, attuando un transfer riguardante inizialmente la correlazione suono-ge-sto (Rosati, 2009)4. Per Dalcroze (1907), “è attraverso i movimenti del corpo interoche siamo in grado di realizzare e percepire i ritmi” (p. 30). Le pulsazioni e le pausedi un ritmo musicale dovranno allora essere accompagnate da esperienze di ca-rattere pratico e motorio che il bambino può compiere in associazione come, adesempio, la presentazione di stimoli ritmico-verbali associati a sincronizzazionidi carattere ritmico-motorio su di un brano ascoltato o la suddivisione di parolein sillabe associata a gesti corporei (come un semplice battito di mani o con l’uti-lizzo di strumenti a percussione non intonata).

La notazione utilizzata per rappresentare il linguaggio musicale è, nella scuoladell’infanzia, di tipo non convenzionale. Un percorso possibile per sviluppare lascrittura spontanea anche nel linguaggio musicale potrebbe partire dall’utilizzo distrumentini ritmici o altri materiali presenti in sezione per produrre effetti sonoridi diversa durata (lungo/corto), intensità (piano/forte), altezza (acuto/grave), echiedendo poi di tradurre graficamente su dei fogli ciò che ascoltano/eseguono.L’utilizzo delle immagini è fondamentale nella creazione delle prime partiture mu-sicali da parte del bambino laddove, ad esempio, la maggiore o minore grandezzao lunghezza di un elemento rappresentato (un animale, un oggetto, ecc.) può cor-rispondere ad una diversa intensità o durata dei suoni. Il metodo della ritmica in-tegrale di Laura Bassi (1940), facendo proprio leva sul bisogno di concretezza delbambino e sul suo bisogno di ancorarsi a situazioni reali, cerca di creare un metodoche associ la durata delle figure musicali (semibreve, minima, semiminima, cromae semicroma) a delle figure sagomate che abbiano significatività nella vita del bam-bino (come il papà, il cagnolino, il nonno, la bambina e la gru). La corrispondenzaè data, in questo caso, dal numero dei passi che ognuno di questi soggetti rappre-sentati riesce a compiere in un determinato intervallo di tempo. I metodi di rap-presentazione possono essere vari e disparati; l’importante è lasciare spazio allacreatività del bambino nell’atto di simbolizzazione e, al contempo, non cadere nelrischio di un’eccessiva semplificazione che impoverisca la complessità del discorsomusicale (Delalande, 1984).

Uno degli aspetti riguardanti il rapporto tra linguaggio parlato e linguaggiomusicale interessa la capacità di discriminare, ritenere e classificare i suoni perce-piti in memoria. Il primo canale di accesso dei fenomeni acustici nella nostra me-moria è rappresentato dalla memoria ecoica (Huron, Parncutt, 1993). Per far sì chei dati vengano immagazzinati nelle memoria a lungo termine c’è bisogno di reite-

4 Rosati definisce questa come fase di ispirazione dalcroziana. Seguirebbero una fase diispirazione kodalyana (da affidare soprattutto al successivo biennio della scuola prima-ria), una fase di ispirazione orffiana (per l’ultimo biennio della scuola primaria) ed unafase dell’analisi musicale e dell’apprendimento strumentistico (per gli alunni della scuolasecondaria inferiore e superiore). Queste fasi, naturalmente, non vanno considerate co-me chiuse e un sistema rigido, ma come un orientamento per la costruzione di un cur-ricolo musicale verticale.

ricerche

69

Page 72: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

rarli e manipolarli attraverso la memoria di lavoro. Uno dei sottosistemi della me-moria di lavoro è il magazzino (o loop) fonologico che è in grado di conservare perqualche secondo le tracce acustiche consentendoci poi di classificare gli stimolipercepiti grazie ad un meccanismo dedicato alla ripetizione sub-vocalica (Baddley,Eysenk, Anderson, 2011). In ambito musicale la capacità di richiamare e riascoltarementalmente suoni che non sono più presenti fisicamente richiama invece il con-cetto di audiation (Gordon, 1997), processo che sarebbe alla base dell’attitudinemusicale. Secondo Indefrey e Levelt (2000), gli esseri umani sarebbero poi in gradodi mettere in atto una vera e propria partitura fonologica (phonological score) at-traverso la quale effettuare un attivo monitoraggio del proprio linguaggio interno,operando aggiustamenti prima che la parola sia interamente pronunciata (laddovevenga percepita come errata). Questi meccanismi implicano, però e soprattuttonel linguaggio verbale, la presenza di una consapevolezza fonologica5, ovvero della“capacità di identificare le componenti fonologiche di una lingua e di saperle in-tenzionalmente manipolare” (Pinto, 1993, pp. 69). La natura dei primi apprendi-menti del bambino è di tipo implicito, procedurale, così come i primiapprendimenti linguistici (Taylor, 2005). Allo stesso modo la precoce discrimina-zione di suoni che fanno parte della lingua di appartenenza non indica la presenzadi una consapevolezza fonologica. Questa capacità di discriminare i suoni delle pa-role e di riuscire a manipolarli in contesti lessicali diversi comincia ad emergereintorno ai due anni (Pinto, Bigozzi, 2002). Naturalmente si tratta di una sensibilitàancora immatura (rudimentary awareness6), a carattere spontaneo che, tuttavia,rappresenta l’inizio di una riflessione metalinguistica che sarà più attiva a partiredai 5 anni. Vi è in effetti un’evoluzione gerarchica nell’acquisizione della consape-volezza fonologica. Morais (1989) opera una distinzione tra consapevolezza fono-logica globale e analitica: la prima riguarderebbe operazioni di riflessionefonologica sulla lingua da effettuare soprattutto sulla struttura sillabica delle parole(e sarebbe tipica dell’età prescolare), mentre la seconda sarebbe relativa alla strut-tura segmentale profonda del linguaggio, i fonemi, operando su di essi manipola-zioni e classificazioni (in età scolare). Anche se le abilità richieste per una correttaalfabetizzazione sembrano essere molteplici (lessicali, semantiche, pragmatiche,ecc.), queste sono considerate come un prerequisito importante per l’acquisizionee la produzione del linguaggio scritto in quanto consentirebbero al bambino diinstaurare uno stabile rapporto tra suono e segno, avviandolo ad uno stadio pret-tamente alfabetico, predicendo possibili futuri disturbi nell’ambito della letto-scrit-tura (Bradeley, Bryant, 1983; 1985; 1996; Frith, 1985; Orsolini et al., 2003; Boewy,2005). La consapevolezza fonologica, in ambito educativo, va favorita attraversospecifiche attività quali, ad esempio, giochi di discriminazione uditiva e giochicon la veste sonora delle parole (differenziare le parole lunghe da quelle corte, seg-mentare le parole in sillabe, riconoscere le rime, ecc.).

5 Dobbiamo operare una prima distinzione tra fonetica e fonologia: “in generale, mentrela fonetica indaga il livello articolatorio e le caratteristiche acustico – percettive deisuoni emessi da un parlante, la fonologia studia la conoscenza dei suoni di una lingua,le regole di combinazione e le caratteristiche dei fonemi all’interno delle parole” (Cac-ciari, 2006, p. 65).

6 Il termine è stato coniato da Chaney (1992) per indicare la presenza di un discreto li-vello di consapevolezza fonologica in bambini di 3 anni, rilevabile attraverso giochi diparole, di rima e di allitterazioni.

70

Page 73: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

2. La descrizione della ricerca

L’indagine esplorativa, tenendo conto delle premesse fin qui presentate, ha avutocome principale obiettivo quello di verificare se le abilità fonologiche dimostraterilevanti ai fini dell’apprendimento della letto-scrittura possano migliorare per ef-fetto di uno specifico training a carattere ludico-musicale. A tal fine si è utilizzatoun disegno pre-sperimentale a gruppo unico con pre-test che, pur non assicurandoun sufficiente livello di validità interna, può tuttavia fornire informazioni signifi-cative per la verifica di “alcune ipotesi di azioni formative, per validare delle provedi verifica, per una scelta preliminare dei test statistici da utilizzare per l’analisidei dati” (Notti, 2012, pp. 30-31).

La ricerca si è articolata in quattro fasi ed ha avuto una durata complessiva dicirca quattro mesi (febbraio-maggio 2013). Si è preliminarmente proceduto allascelta di una scuola dell’infanzia della provincia salernitana e di una sezione dellascuola mediante un campionamento a grappoli. La sezione risultava costituita da22 bambini (11 femmine e 11 maschi) frequentanti l’ultimo anno di scuola del-l’Infanzia (a.s. 2012-13) dell’Istituto Comprensivo “R. Nicodemi” di Fisciano (SA);all’inizio dell’indagine, l’età media era di cinque anni e mezzo.

Individuata la scuola e la sezione, si è proceduto all’analisi del POF e della pro-grammazione didattica della sezione per verificare quali attività venissero svolte,con particolare attenzione ai campi di esperienza I discorsi e le parole e Immagini,suoni, colori. Per quanto riguarda il primo campo di esperienza, non sono stati ri-levati specifici percorsi volti allo sviluppo delle abilità fonologiche, tranne che perl’apprendimento di poesie e filastrocche in rima. I bambini hanno poi partecipato,durante l’intero l’anno scolastico, ad un percorso di prescrittura e prelettura perprepararsi al successivo ingresso nella scuola primaria. Le attività hanno riguardatoquasi esclusivamente l’acquisizione di capacità visuo-percettive e grafo-motorie,privilegiando dunque il carattere esecutivo dei processi di letto-scrittura, e perse-guendo obiettivi quali ricalcare i contorni delle immagini e delle lettere, scrivereil proprio nome, scrivere le lettere dell’alfabeto, decodificare semplici parole; iltutto attraverso l’utilizzo di schede operative e di un libro personale. Riguardo ilcampo d’esperienza dedicato alle immagini, ai suoni ed ai colori, non sono stati ri-levati specifici percorsi riguardanti l’incremento delle attività percettivo-uditivené di produzione di semplici sequenze musicali attraverso strumentini o notazioniinformali. La produzione esecutiva che è stata però contemplata è stata relativaall’espressione canora, realizzata attraverso un laboratorio di canto in orario ex-tracurricolare che ha coinvolto tutte le sezioni della scuola.

Per verificare il livello iniziale di alfabetizzazione emergente7 raggiunto daibambini (secondo gli stadi di Ferreiro e Teberosky, 1979), si è proceduto prelimi-

7 “Con il termine di alfabetizzazione emergente si intende designare un processo cui con-corrono varie modalità, tra loro distinte anche se interdipendenti: da un lato infatti ilbambino, immerso in un universo pervaso dal codice scritto, nel quale vede personeper lui significative impegnate in comportamenti alfabetizzati, procede spontaneamentealla riflessione e alla formulazione di ipotesi sulle convenzioni del linguaggio scritto esulle regole per decodificare segni scritti in rappresentazioni significative; dall’altro,dall’esterno, gli giungono sollecitazioni ad avviare alcune attività che, come il disegnoo il far finta di leggere o scrivere, si fondano sul principio della simbolizzazione per cuiqualcosa sta al posto di qualcos’altro ed è in grado di evocarlo” (Pinto, 2003, pp. 33-34).

ricerche

71

Page 74: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

narmente a somministrare individualmente, nell’arco di quattro giornate, alcuneprove estratte da Il Portfolio per la prima alfabetizzazione (Cisotto, 2011b). Attra-verso queste prove, infatti, è possibile stabilire l’emergere del rapporto suono-segnoinsito nel processo di fonetizzazione della parola scritta (Cisotto, 2011a). Le proveconsistevano in: scrittura spontanea di parole bisillabe (a struttura sillabica rego-lare); scrittura spontanea di parole trisillabe (a struttura sillabica regolare); scrit-tura spontanea di non parole sotto dettatura; scrittura facilitata di parole congruppo fonologico iniziale. Sembra esserci un profondo divario tra i bambini dellasezione: poco più della metà (13 allievi) sembra aver già raggiunto un livello alfa-betico con una corretta padronanza della trasformazione grafema- fonema, mentre9 di essi (42%) è ancora ad un livello presillabico e non in grado, quindi, di intuirele corrispondenze tra suono e segno scritto.

Si è proceduto, nei giorni successivi, a somministrare, sempre individualmente,il CMF (Test di Valutazione delle Competenze Metafonologiche8), relativo al gradodi consapevolezza fonologica globale posseduto dai bambini a livello prescolare. Labatteria è composta da sei prove:

1. sintesi sillabica;2. discriminazione tra coppie minime di parole (uguali o diverse);3. ricognizione di rime;4. discriminazione tra coppie minime di non parole (uguali o diverse);5. riconoscimento della sillaba iniziale di parola;6. segmentazione sillabica.

Prima di procedere alla descrizione delle prove e all’analisi dei risultati, nellaprossima tabella (Tab. 1) si riportano, in sintesi, i dati emersi dalla prima sommi-nistrazione del CMF.

Tab. 1: I risultati della batteria di prove CMF (pre-test)

La prova di sintesi sillabica consiste nel riferire al bambino alcune parole sud-divise in sillabe con un intervallo tra una sillaba e l’altra di circa 1 secondo. Questoha richiesto dunque un lavoro della memoria di lavoro e, in particolare, del ma-gazzino fonologico, dato che il bambino deve essere in grado di reiterare a livello

Prova Percentile1 1 2 3 4 5 6 < 5° - - 27% 18% 27% 9% 5° - 10° 25% 17% 37% 9% 18% 9% 11° - 25° 17% 33% 9% 37% 18% 64% 26° - 50° 58% 50% 27% 36% 37% 18%

Tot. 100% 100% 100% 100% 100% 100%

8 Marotta, Ronchetti, Trasciani, Vicari, 2008.9 Nella validazione psicometrica del test gli autori, dall’analisi dei risultati ottenuti nel

campione nelle diverse prove che compongono il test, hanno ritenuto opportuno uti-lizzare i valori percentili invece delle medie e delle deviazioni standard, assumendo co-me fattore di “rischio” le prestazioni inferiori al 5° percentile e considerando, inoltre,come prestazioni che richiedono una particolare attenzione quelle comprese tra il 6° eil 10° percentile.

72

Page 75: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

subvocale lo stimolo presentato per poi sintetizzarlo in un’unica parola. Dai datiemerge che poco più della metà dei bambini presi in esame si attesta intorno al50° percentile, mentre gli altri sono tutti ad un livello inferiore. Non vi sono peròcasi di risultati inferiori al 5° percentile.

La prova di discriminazione tra coppie minime di parole è strettamente inerentealle capacità di discriminazione uditiva del bambino: vengono infatti presentate(sempre in forma orale) delle coppie di parole che possono essere uguali (es. POL-LO/POLLO) oppure contenere una piccolissima variazione fonemica iniziale (es.LANA/RANA). Il compito dell’allievo è di riferire se queste ultime sono uguali odiverse. Anche in questo caso soltanto una metà dei bambini riesce a raggiungererisultati tra il 26° e 50° percentile; non sono presenti risultati inferiori al 5° per-centile.

Nel prova di riconoscimento di rime, data una parola-stimolo, il bambino deveessere in grado di evidenziare, tra quattro opzioni target, la parola che fa rima conla precedente senza farsi confondere dai distruttori semantici o fonologici presenti.Durante questa prova viene fornito alle parole presentate anche un supporto visivo,così da non dover sforzare troppo il bambino nella rievocazione del materiale. L’an-damento di questa prova ha evidenziato risultati poco soddisfacenti: il 27% presentarisultati addirittura inferiori al 5° percentile, prestazione considerata “a rischio”.

La prova di discriminazione tra coppie minime di non parole presenta le medesi-me caratteristiche di quella inerente alla discriminazione della coppia di parole:l’unica variazione risiede nel fatto che questa volta la distinzione avviene tra coppiedi non parole (ad esempio, PACA/BACA; PASE/PASE). Il bambino non può quindioperare sul materiale a livello semantico ma deve effettuare la sua scelta soltantooperando una discriminazione uditiva tra le due parole. Si sono evidenziati, in que-sto caso, risultati meno soddisfacenti di quelli relativi alla presentazione di coppiedi parole: vengono riconosciute in modo corretto, infatti, soltanto nel 36% dei casi.

Nella prova di riconoscimento della sillaba iniziale di parola, come per il rico-noscimento di rime, vengono presentate al bambino una parola stimolo e tre pa-role target tra cui scegliere, di cui solo una di esse ha la medesima sillaba iniziale.Anche se il 37% di essi ha una prestazione buona la situazione rimane ancora mol-to disomogenea: si è rilevata, infatti, una percentuale pari al 27% di bambini cheha scarsi risultati nel riconoscimento sonoro delle sillabe.

Nell’ultima prova, quella di segmentazione sillabica, la situazione rilevata sem-bra essere più omogenea. Essa può essere considerata inversa a quella di sintesi;in questo caso, infatti, è il bambino ad effettuare la suddivisione in sillabe di parolepresentate “intere” dall’esaminatore. Ciò si può spiegare, almeno in parte, consi-derando che la scansione in sillabe è naturalmente più ritmica e quindi più agevoleda compiere rispetto alle altre prove somministrate, seppur con qualche marginedi errore.

Nella prossima tabella (Tab. 2), si riportano i risultati dell’analisi descrittiva.L’elaborazione dei dati è stata effettuata considerando i punteggi conseguiti nellesei aree della prova.

Tab. 2: Statistiche descrittive (pre-test)

(n = 22) Min. Mass. Media Dev. Std. CV

CMF (punt. max. 90) 49 84 64.59 12.77 0.20

ricerche

73

Page 76: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Nella fase successiva gli alunni sono stati impegnati in attività di training ludi-co-musicale. Il programma ha avuto la durata di 2 mesi (da inizio aprile 2013 afine maggio 2013) con una cadenza bisettimanale ed una durata di 45 minuti circaper ogni incontro. Le attività del training, svolte tenendo conto dei suggerimentiproposti da Perkins e Salomon (1992) precedentemente presentati, hanno riguar-dato le seguenti aree di interesse:

– giochi di discriminazione uditiva e ascolto;– giochi ritmici;– produzione ed esecuzione di semplici partiture a carattere non convenzionale;– giochi con la veste sonora delle parole.

Non sono state inserite nel training attività di carattere canoro, considerata lafrequenza dei bambini a un Laboratorio di canto (giochi di riproduzione di suoni,esercizi di respirazione, canti per imitazione). Ogni attività è stata infine precedutadalla recitazione di alcuni brevi frammenti melodici che servivano da preparazioneed invito alla concentrazione rispetto ai giochi da fare in seguito. Di seguito ven-gono brevemente descritte alcune delle attività relative alle dimensioni consideratein relazione agli obiettivi della ricerca.

Attività 1Iniziamo con la produzione di due suoni, uno piano e uno forte (con un tambu-rello e con la voce), facendo notare ai bambini la differenza. Quindi chiediamo aciascun bambino, a turno, di produrre un suono forte e uno debole con uno stru-mento, o battendo semplicemente le mani fra loro o sul banco, oppure con la voce.Passiamo in seguito a delle esperienze di gioco collettive per l’acquisizione del con-cetto di intensità e la capacità di discriminare i suoni.

Piano - forte: disponiamoci in cerchio, quindi diamo inizio al gioco chiamandoun bambino per nome, forte o piano. Questo deve chiamare un compagno usandola voce in modo contrario a quanto abbiamo fatto noi (piano se è stato chiamatoforte e viceversa). Il gioco continua secondo il principio del contrasto: chi è statochiamato piano deve chiamare un compagno forte e viceversa, fino a quando nonsi conclude il cerchio.

Attività 2 Testa, pancia e piedi10. Fra le diverse componenti del suono, l’altezza è forse quellache, almeno come termine, è meno facilmente acquisita da parte dei bambini. In-fatti con tale termine traduciamo in termini spaziali ciò che in realtà è esclusiva-mente il risultato di una percezione sonora che, come tale, non ha un effettivosviluppo nello spazio. Pertanto è particolarmente utile legare quest’attività di di-scriminazione delle altezze al nostro corpo. Cominciamo facendo ascoltare aibambini due suoni di altezza molto diversa tra loro, utilizzando uno strumento ola voce. Chiediamo poi loro di toccarsi i piedi quando sentono il suono più basso,e di toccarsi la testa quando invece sentono il suono più alto. Quando ci rendiamoconto che i bambini hanno imparato ad eseguire correttamente questo gioco in-troduciamo un terzo suono, di altezza intermedia: quando i bambini lo sentonodevono invece toccarsi la pancia. Riprendiamo poi il gioco a vari livelli di difficoltà

10 Tratta da Disoteo (1992).

74

Page 77: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

crescente, diminuendo la differenza in altezza dei suoni proposti e proponendolisecondo un moto ascendente e discendente (Fig. 1).

Fig. 1: Altezze sonore

Attività 3 Le andature degli animali11. Per organizzare dei giochi aventi come finalità l’acqui-sizione e la discriminazione di ritmi diversi, utilizzeremo le sillabe ritmiche asso-ciate ai passi degli animali. Queste sono infatti molto facili da memorizzare epossono essere pronunciate con la bocca, battute con le mani, sonorizzate con ipiedi o con gesti-suono. Attraverso le sillabe ritmiche è possibile sonorizzare leandature come nella figura che segue (Fig. 2):

Fig. 2: Le sillabe ritmiche (da Silano, 2012)

Attività 4I salti della rana12.Ogni bambino, a turno, si fingerà una rana e dovrà compiere tantisalti quante sono le sillabe ritmiche di cui è composto il nome che gli verrà indicato.Successivamente i bambini dovranno formare, attraverso l’utilizzo di letterine mobili,la parola che è stata scandita precedentemente, così da riconoscere le unità che co-stituiscono ogni sillaba ritmica (questo anche per favorire il passaggio dalla fase sil-

11 Tratta da Silano (2012).12 Attività adattata da Centra (2012).

ricerche

75

Page 78: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

labica a quella alfabetica). Dopo aver formato la parolina ogni bambino la trascriveràsul proprio foglio stando attento anche ad indicare, attraverso dei simboli (in questocaso dei cerchietti), il numero di salti di cui è composta ogni parola (Fig. 3).

Fig. 3: Produzione dei bambini su parole e sillabe ritmche

Infine la parola formata viene riposta nello stagno a 2 o a 3 foglie, a secondadei salti effettuati e quindi della maggiore o minore lunghezza che la contraddi-stingue (Fig. 4).

Fig. 4: lo stagno delle parole dei bambini

Attività 5Prova di scrittura di altezze. Forniamo ai bambini dei fogli contenenti 8 lineetteorizzontali. Dopodiché ascolteranno 8 item comprendenti due suoni di diversaaltezza e dovranno collocarli correttamente al di sopra o al di sotto della linea trac-ciata (il suono più alto sarà segnato sopra la riga, quello più basso sotto) (Fig. 5).

76

Page 79: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Fig. 5: una “partitura di altezze” prodotta dai bambini

Attività 6Attenti al suono! Proponiamo dapprima degli item composti da due coppie di me-lodie, a volte uguali, a volte diverse. I bambini devono battere le mani quando sen-tono melodie uguali, non batterle quando sentono melodie diverse.Successivamente proponiamo lo stesso gioco concentrandoci però sui suoni pro-dotti dalle parole. Leggiamo lentamente una coppia di parole alla volta:

ricerche

77

LANA/LANAMELA/VELA

DENTE/DENTEPALLA/PALLASALE/SOLE

LIMONE/LIMONECARTA/MARTA

MONTE/PONTEFATA/FATACANE/CANEVINO/VINOCASA/COSARIGA/DIGA

MATITA/MATITA

Quando ascoltano parole diverse chiediamo loro se riescono a riconoscere lalettera che ha prodotto la variazione riportando il cambiamento sulla lavagna ma-gnetica (Fig. 6).

Fig. 6: produzione dei bambini sulla lavagna magnetica

Page 80: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

3. Analisi dei risultati

Nel mese di giugno, al termine del training a carattere ludico-musicale, si è proce-duto alla ri-somministrazione del CMF13. Si presentano di seguito le risultanzeemerse (Tab. 3). Nel post-test di sintesi sillabica si nota un sostanziale migliora-mento delle prestazioni: scompaiono quelle inferiori al 10° percentile, mentre quel-le tra l’11° ed il 25° passano dal 17% al 42%. Rimane invariato il range riguardantele prestazioni migliori che vengono raggiunte, anche in questo caso, dal 58% deisoggetti.

Tab. 3: i risultati della batteria di prove CMF (post-test)

Per quanto riguarda il riconoscimento di coppie minime di parole non si è inveceriscontrato un sostanziale miglioramento. Rimane una percentuale pari al 9% diprove ancora al di sotto della media anche se c’è un aumento di prestazioni che sicollocano tra il 25° ed il 50° percentile.

Anche se i bambini erano spesso impegnati, durante la normale attività scola-stica, nella ripetizione di poesie e filastrocche rimate, i risultati del pre-test, nellaprova di ricognizione di rime, si sono rivelati poco soddisfacenti perché l’attivitàdi ripetizione di rime era prodotta probabilmente in modo abbastanza inconsa-pevole. Dopo il training questa abilità di riconoscimento sembra essere migliorata,dato che i bambini hanno potuto soffermare maggiormente la loro attenzione su“come suonano le parole”. Mentre la maggioranza si attestava prima su livelli in-feriori al 10° percentile, i risultati del post-test evidenziano una percentuale supe-riore al 50% dei bambini ha avuto dei risultati medio/buoni. Permane ancora, però,una piccola percentuale di prestazioni non soddisfacenti.

Circa il riconoscimento minimo di non parole si evidenziano differenze signi-ficative soprattutto rilevabili negli allievi che sono passati da da livelli bassi a livellimedio-alti di prestazione (il 67%). Permangono ancora talune difficoltà da partedi qualche bambino. Anche se si sono riscontrati dei miglioramenti (le prestazionitra il 25° ed il 50° percentile sono passate dal 37% al 59%), durante la prova di ri-conoscimento della sillaba iniziale i bambini continuano a compiere un certo nu-mero di errori. A nostro parere, molto spesso gli allievi sono rimasti legati al datopercettivo rappresentato dalle immagini piuttosto che da quello prettamente so-

Prova Percentile 1 2 3 4 5 6 < 5° - - 7% 8% 25% - 5° - 10° - 17% 9% 17% 8% - 11° - 25° 42% 25% 34% 8% 8% 49% 26° - 50° 58% 58% 50% 67% 59% 51%

Tot. 100% 100% 100% 100% 100% 100%

13 In sede di validazione psicometrica del test l’attendibilità test-retest è stata controllatasu di un gruppo di bambini, scelti in maniera casuale, proponendo nuovamente l’interabatteria di prove prevista a distanza di circa un mese. Il valore del coefficiente di cor-relazione di Spearman è risultato molto elevato per tutte le prove (Marotta, Ronchetti,Trasciani, Vicari, 2008).

78

Page 81: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

noro. Migliori risultati sono stati rilevati in riferimento alla prova di segmentazionesillabica. Non sono stati rilevate prestazioni su livelli inferiori al 10° percentile edil range di quelle migliori è passato dal 18% (pre-test) al 51% (post-test).

I risultati del post-test fin qui analizzati sono in linea con quanto emerso dal-l’analisi descrittiva (Tab. 4). Il valore della media (pari a 74,95) sembra confermareun evidente miglioramento nelle prestazioni degli alunni mostrando, se confron-tato con quanto emerso nel pre-test (cfr. Tab. 2), un significativo incremento delsuo valore (oltre il 15%). Anche lo scarto quadratico medio fornisce interessantispunti di riflessione. La dispersione dei dati è diminuita confermando una ridu-zione della loro variabilità; queste considerazioni sono rafforzate anche dalla di-minuzione del valore del coefficiente di variazione (CV).

Tab. 4: statistiche descrittive (post-test)

Al fine di verificare la significatività dei risultati ottenuti, considerate le pro-cedure di campionamento dei soggetti coinvolti e l’indipendenza delle due rileva-zioni svolte (effettuate con somministrazione individuale del CMF), è statoutilizzato il test parametrico della t di Student (t-test) per due campioni dipendenti(dati appaiati).

I dati, elaborati con il software di analisi statistica SPSS 19.0 (con α = 0.05),sono riportati nella prossima tabella (Tab. 5).

Tab. 5: t-test per campioni appaiati

Il risultato del t-test (t = 7.522; p < 0.001), unitamente a quanto emerso dall’ela-borazione statistica dei dati, sembra sostenere le nostre ipotesi iniziali: le abilità fo-nologiche dimostrate rilevanti ai fini dell’apprendimento della letto-scritturapossono migliorare per effetto di uno specifico training a carattere ludico-musicale.

Conclusioni

L’indagine esplorativa oggetto del presente contributo ha evidenziato risultanzedegne di interesse in relazione alle domande di ricerca. Va, innanzitutto, rilevatocome il confronto dei dati del pre-test e del post-test mostra, in generale, un si-gnificativo e complessivo miglioramento per quanto riguarda le abilità fonologichepossedute/sviluppate dai bambini. I valori relativi alla riduzione della dispersionee della variabilità dei dati, poi, è incoraggiante. L’efficacia del training appare par-ticolarmente elevata per le abilità di sintesi e di segmentazione sillabica, utili so-

(n = 22) Min. Mass. Media Dev. Std. CV

CMF (punt. max. 90) 58 88 74.95 9.41 0.13

Differenze a coppie Intervallo di confidenza

per la differenza al 95%

Inferiore Superiore t df p-value (2-code)

Coppia 1 Post-test – Pre-test 7.498 13.229 7.522 21 0.000

ricerche

79

Page 82: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

prattutto per quei bambini che si trovavano ad uno stadio pre-sillabico di alfabe-tizzazione. Gli alunni che avevano invece conseguito nel pretest prestazioni mi-gliori hanno significativamente consolidato e sviluppato le loro abilità diconsapevolezza fonologica generale, acquisendo maggiore sicurezza nel ricono-scimento di rime e sillabe che prima utilizzavano a livello implicito. Se, come so-stiene anche Pinto (2003, p. 199), la possibilità di accedere alla dimensionefonologica della lingua e di prestare attenzione alle proprietà sonore del linguaggiofavorisce una efficace acquisizione delle regole formali di corrispondenza suono-segno, è fondamentale incoraggiare l’uso di metodologie mirate a favorire tale con-sapevolezza fonologica nei bambini in età prescolare. In tal senso, le differenzeinterindividuali riscontrate nei bambini di scuola dell’infanzia, soprattutto perquanto riguarda le abilità linguistiche, potrebbero essere colmate. Che ruolo ha lamusica in questo processo?

Nel caso specifico dell’indagine esplorativa da noi proposta, l’aver realizzatoattività di carattere ludico-musicale ha comportato un triplice vantaggio. Innan-zitutto quello di rendere piacevole ed accattivante l’acquisizione di abilità fonolo-giche attraverso una forma ludica e vicina al modo di vivere/agire del bambino. Ilgioco, come il movimento e la comunicazione, deve assumere, quindi, forme na-turali e culturali ricche di risvolti in campo didattico. Deve essere teso, da un lato,al potenziamento delle abilità mentali, reattive e psicomotorie degli alunni e, dal-l’altro, essere caratterizzato da specifici elementi di attivazione delle facoltà imma-ginative e mentali (legato cioè alle percezioni psicosensoriali ed allapsi comotricità). Gli aspetti musicali del linguaggio (ad esempio il ritmo, la proso-dia e le caratteristiche acustiche), infatti, ci hanno fatto comprendere come questadisciplina può essere il mezzo più idoneo per favorire un transfer in tal senso; untransfer che inizialmente, come in questo caso, è stato caratterizzato da un minorgrado di astrazione e da una azione facilitatrice dell’insegnante che suggerisce agliallievi le possibili analogie tra i linguaggi per sostenere apprendimenti significativi.In secondo luogo, l’analisi dei dati ha evidenziato un incoraggiante miglioramentodei livelli medi di prestazione degli alunni diminuendo, parallelamente, le diffe-renze interindividuali. Il terzo vantaggio è stato quello di aver proceduto ad unarivalutazione e riconsiderazione in chiave formativa della disciplina.

Attraverso questa indagine è emerso innanzitutto il suo valore interdisciplinaree formativo. Concordiamo, in tal senso, con Arcomanno (1998) quando affermache “tutte le forme di comunicazione umana, l’espressione visuale, mimica, cine-stetica, musicale […] hanno un ruolo importante nei processi di sviluppo dellapercezione, della socializzazione e per l’assimilazione delle esperienze, tanto quan-to la lingua” (p. 185). In quest’ottica ci siamo orientati per attuare il percorso disperimentazione che è stato fin qui descritto.

Le evidenze sperimentali, inoltre, suggeriscono ulteriori prospettive di ricercaper/con gli insegnanti. Pensiamo, ad esempio, all’attivazione di progetti interdi-sciplinari, per favorire lo sviluppo delle abilità logiche dei bambini o, ancora, ilpotenziamento dei meccanismi di feedback uditivo (educazione dell’orecchio mu-sicale e discriminazione/produzione fonemica).

Pur nei limiti oggettivi legati al numero di allievi coinvolti e al disegno speri-mentale utilizzato, ci sembra comunque di poter concludere affermando che i ri-sultati a cui siamo pervenuti possono fornire utili elementi di riflessione: per aprirela strada ad un ventaglio di prospettive operative innovative, per migliorare l’azio-ne didattica e la qualità degli apprendimenti. Una prospettiva, questa, che è (e do-vrebbe essere) il fine ultimo di ogni (futuro) insegnante.

80

Page 83: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Riferimenti bibliografici

Aiello R. (1994). Music and language: Parallels and contrasts. In R. Aiello, J. Slo-boda (Eds.), Musical perceptions. Oxford: Oxford University Press.

Arcomanno A.M. (1998). Educazione musicale di base. Storia, problemi, didattica.Firenze: La Nuova Italia.

Ausubel D. P. (1968). Educational Psychology: A cognitive view. New York: Holt,Rinehart & Winston (trad. it., Educazione e processi cognitivi: Guida psicologicaper gli insegnanti, FrancoAngeli, Milano, 1978).

Antonietti A., Cantoia M. (2000). La mente che impara: Percorsi metacognitivi diapprendimento.Milano: La Nuova Italia.

Baddley A., Eysenk M.W., Anderson M. (2009). Memory. Hove (NY): PsychologyPress (trad. it., La memoria, Il Mulino, Bologna, 2011).

Bassi L. (1940). Gioco e movimento nella prima educazione musicale. Milano: Ricor-di.

Bereiter C., Scardamalia M. (2003). Learning to work creatively with knowledge.In E. De Corte, L. Verscheffel, N. Entwistle, J.V. Merrienboer (Eds.), Powerfullearning environements: Unravelling basic components and dimension. Oxford:Elsevier Science.

Biasutti M., Marzano, A. (2008). Insegnare musica nella scuola primaria. San Ce-sario di Lecce: Pensa.

Boewy J.A. (2005). Predicting individual differences in learning to read. In M.J.Snowling, C. Hulme (Eds.), The science of reading: A handbook. Oxford: Black-well Publishing.

Bolduc J. (2008). The Effects of Music Instruction on Emergent Literacy Capacitiesamong Preschool Children: A Literature Review. Early Childhood Research &Practice, 10 (1).

Bolduc J. (2009). Effects of a music programme on kindergartners’ phonologicalawareness skills. International Journal of Music Education, 27 (1), pp. 37-47.

Bosco D. (2003). Dall’ intelligenza al potenziale di apprendimento. In O. Albanese,P. Doudine, D. Martin (Eds.), Metacognizione ed educazione: Processi, appren-dimenti, strumenti. Milano: FrancoAngeli.

Bradeley L., Bryant P.E. (1983). Categorising sounds and learning to read: A causalconnection. Nature, 301, pp. 419-521.

Bradeley L., Bryant P.E. (1985). Rhyme and reason in reading and spelling. AnnArbor (MI): University of Michigan Press.

Bradeley L., Bryant P.E. (1996). Children’s Reading Problems: Psychology and Edu-cation. Oxford Basil Blackwell Ltd (trad. it., Problemi di lettura nei bambini:Psicologia e educazione, Anicia, Roma, 1996).

Brown S. (2000). The “musilanguage” model of music evolution. In N. Wallin, B.Merker, S. Brown (Eds.), The origins of music (pp. 271-300). Cambridge: TheMIT Press.

Cacciari C. (2006). Psicologia del linguaggio. Bologna: il Mulino.Centra R. (2011). Come leggere DSA e Scuola dell’ infanzia. Quaderno operativo.

Cosa fare nella pratica didattica attraverso l’osservazione e i giochi di rafforza-mento. Firenze: Giunti.

Chaney C. (1992). Language development, metalinguistic skills, and print aware-ness in 3-year-old children. Applied Psycholinguistics,13, pp. 485-514.

Cisotto L. (2011a). Esploratori precoci : Ipotesi e costruzioni concettuali nei primimomenti di confronto con il segno grafico. L’école valdotene, 89, pp. 4-5.

ricerche

81

Page 84: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Cisotto L. (2011b). Il portfolio per la prima alfabetizzazione: valutare le competenzeemergenti nel passaggio tra scuola dell’infanzia e primaria. Trento: Erickson.

Cornoldi C. (1995). Metacognizione e apprendimento. Bologna: il Mulino. Dalcroze E.J. (1907) . Le rythme, la musique et l’education. Zurich: Foetish, Hug &Co. Musikverlage (trad. it., Il ritmo, la musica, l’educazione, EDT, Torino, 2008).

Delalande F. (1984). La musique est un jeu d’enfant. Paris: Institut National de l’Au-diovisuel & Buchet/Chastel (trad. it., La musica é un gioco da bambini, FrancoAngeli, Milano, 2001).

Disoteo M. (1992). Educazione al suono e alla musica. Milano: Theorema.Fraisse P. (1957). Psychologie du temps. Paris: Presses Universitaires de France.(trad. it., Psicologia del ritmo, Armando, Roma, 1979).

Ferreiro E., Teberosky A. (1979). Los sistemas de escritura en el desarrollo del niño.Argentina: Siglo Ventiuno. (trad. it., La costruzione della lingua scritta nel bam-bino, Giunti, Firenze, 1985).

Frenay M. (2004). Du transfert des apprentissages au transfert des connaissances.In A. Pressau, M. Frenay (Eds.), Le transfert des apprentissages: comprendrepour mieux intervenir, (pp. 42-44). Canada: Les Presses de l’Université Laval.

Frith U. (1985). Beneath the surface of developmental dyslexia. In K. Patterson, J.Marshall, M. Coltheart (Eds.), Surface Dyslexia, Neuropsychological and Cog-nitive Studies of Phonological Reading (pp. 301-330). London: Erlbaum.

Gardner H. (1983). Frames of mind: The theory of multiple intelligence. New York:Basic Books (trad. it., Formae mentis: saggio sulla pluralità delle intelligenze,Feltrinelli, Milano, 1991).

Gordon E. E. (1997). A music learning theory for Newborn and Young Children.Chicago: GIA (trad. it., L’apprendimento musicale del bambino: Dalla nascitaall’età prescolare, Milano, Curci).

Guasti L. (1996). Valutazione e innovazione. Novara: De Agostini.Guilford J. P. (1967). The nature of Human intelligence. New York: McGraw-Hill.Henson R. A. (1977). The language of music. In M. Critchley, R.A. Henson (Eds.),

Music and brain: studies in neurology of music. London: William HeinemannMedical Books Limited (trad. it., La musica e il cervello: Studi sulla neurologiadella musica, Piccin, Padova, 1987).

Huron D., Parncutt R. (1993). An improved model of tonality perception incorpo-rating pitch salience and echo memory. Psychomusicology, 12 (2), pp. 154-171.

Indefrey P., Levelt W.J.M. (2000). The neural correlates of language production.In M. Gazzinga (Ed.), The new cognitive neurosciences, (pp. 854-865). Cam-bridge, Mass: MIT Press.

Jackendoff R., Lerdahl F. (1982). A grammatical parallel between music and lan-guage. In M. Clynes (Ed.), Music, mind and brain: The neuropsychology of mu-sic, (pp. 83-117). New York: Plenum Press.

Jonassen D. H. (1999). Designing constructivist learning environments. In C. M.Reigeluth (Ed.), Instructional-design theories and models: A new paradigm ofinstructional theory (Vol. II, pp. 215-239). Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum As-sociates.

Le Boterf G. (2000). Construire les competénces individuelles et collectives. Agir etréussir avec competence. Les réponses à 100 questions. Paris: Groupe Eyrolles.(trad. it., Costruire le competenze individuali e collettive. Agire e riuscire con com-petenza. Le risposte a 100 domande, Guida, Napoli, 2008).

Margiotta U. (1997) (Ed). Riforma del curricolo e formazione dei talenti: Linee me-todologiche ed operative (pp.144-145). Roma: Armando.

Marotta L., Ronchetti L., Trasciani M., Vicari S. (2008). CMF: Valutazione dellecompetenze metafonologiche. Trento: Erickson.

82

Page 85: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Morais J. (1989). Phonological awareness: a bridge between language and literacy.In D.J. Sawyere, B.J. Fox (Eds.), Phonological awareness in reading: the evolutionof current perspective. New York: Springer.

Moreno S., Bialystok E., Barac R., Schellenberg E. G., Cepeda N. J., Chau T. (2011).Short-Term Music Training Enhances Verbal Intelligence and Executive Func-tion. Psychological Science, 22 (11), pp. 1425-1433.

Notti A. M. (2012). La ricerca empirica in educazione. San Cesario di Lecce: Pensa.Orsolini M., Fanari R., Serra G., Cioce R., Rotondi A., Dassisti A. et alii (2003).Primi progressi nell’ apprendimento della lettura: una riconsiderazione delruolo della consapevolezza fonologica. Psicologia clinica dello sviluppo, 7 (3),pp. 403-436.

Parncutt R. (2006). Applicazioni educative della ricerca sull’esecuzione musicale.In M. Biasutti (Ed.), Psicologia ed educazione musicale (pp. 90-91). Lecce: PensaMultiMedia.

Patel A. D., Daniel J. R. (2003). An empirical comparison of rhythmin languageand music. Cognition, 87 (1), pp. 35-45.

Perkins D.N., Salomon G. (1992). Transfer of learning. International Encyclopediaof Education, (2nd ed.). Oxford: Pergamon.

Piaget J. (1945). Play, dreams and imitation in childhood. New York: Norton.Pinto G., Bonardi B.(1991). La rappresentazione grafica di identità fonologiche insoggetti prescolari. Età Evolutiva, 39, pp. 54-65.

Pinto G. (1993). Dal linguaggio orale alla lingua scritta (pp. 69-70). Firenze: LaNuova Italia.

Pinto G., Bigozzi L. (Eds), (2002). Laboratorio di lettura e scrittura. Percorsi precociper la consapevolezza fonologica, testuale e pragmatica. Trento: Erickson.

Pinto G. (2003). Il suono, il segno, il significato (pp. 33-34). Roma: Carocci.Piro J. M., Ortiz C. (2009). The effect of piano lessons on the vocabulary and verbalsequencing skills of primary grade students. Psychology of Music, 37 (3), pp.325-347.

Resnick L. B. (1996). Situated learning. In E. De Corte, F. E. Weinert (Ed.), Inter-national encyclopedia of developmental and instructional psychology (pp. 341-347). Oxford, UK: Pergamon.

Riccardi Ripamonti I. (2009). Le difficoltà di letto-scrittura. Vol. 1: Un percorso fo-nologico e metafonologico. Trento: Erickson.

Rosati P. ( 2009). L’intelligenza musicale: Pagine di pedagogia, didattica e storia dellamusica, (pp. 59-64).Venosa (PZ): Osanna.

Scaglioso C. M. (2008). Suonare come parlare: Linguaggi e neuroscienze. Implica-zioni pedagogiche. Roma: Armando.

Silano G. (2012). Suoni e musica in gioco: voce, ritmo, movimento. Firenze: Giunti.Sloboda J.A. (1985). The musical mind: The Cognitive Psychology of Music. Oxford:Oxford University Press (trad. it., La mente musicale, il Mulino, Bologna, 1988).

Sternberg R. J. (1985). Beyond IQ: a triarchic theory of human intelligence. NewYork: Cambridge University Press (trad. it., Teorie dell’intelligenza: una teoriatripolare dell’intelligenza umana. Bompiani, Milano, 1987).

Tardif J., Meirieu P. (1999). Stratégie pour favoriser le transfert des connaissances.In L. Brossard (Ed), Pour des pratiques pédagogiques revitalisées (pp. 19-24).Canada: MultiMondes.

Taylor L. (2005). Introducing Cognitive Development. Hove (NY): Psychology Press.(trad. it., Lo sviluppo cognitivo, il Mulino, Bologna, 2007).

Tessaro F. (2002). Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario (pp. 113-120). Roma: Armando.

ricerche

83

Page 86: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Thorndike E.L., Woodworth R.S. (1901). The influence of improvement in onemental function upon the efficiency of other functions. Psychological Review,8 (4), pp. 247-261.

84

Page 87: Sird12 2014

85

Gli stereotipi etnico-sportivi negli studenti italiani:un’indagine nelle scuole secondarie della Provincia di Roma

Italian students’ ethnic stereotypes in sports: a survey in secondary schools of the Province of Rome

Questa ricerca ha come obiettivo quello discoprire se gli adolescenti che frequentanola scuola secondaria di primo grado italianapresentano stereotipi etnici legati all’ambitodelle attività motorie e sportive. Lo studio èstato realizzato con una metodologia di tipoquantitativo basata sull’uso di un questiona-rio somministrato ad un campione compo-sto da 2401 studenti delle scuole dellaProvincia di Roma. I risultati dello studiohanno evidenziato la presenza negli studen-ti di idee stereotipate legate all’appartenen-za etnica e alla performance sportiva,rilevando la necessità di una analisi pedago-gica delle implicazioni educative di tali ste-reotipi.

Parole chiave: stereotipo, sport, razza, edu-cazione, adolescenti, scuola.

This research aims to find out whether ado-lescents attending Italian secondary schoolhave ethnic stereotypes regarding physicalactivities and sport. The study was made byusing a quantitative methodology based onthe use of a questionnaire administered toa sample of 2401 students from schools ofthe Province of Rome, Italy. The results ofthis study have shown the presence ofstereotypical ideas tied to ethnicity, andsports performance in these students,which highlights the need for a pedagogicalanalysis of the educational implications ofthese stereotypes.

Keywords: stereotypes, sports, race, educa-tion, adolescents, school.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Mascia Migliorati – Università degli Studi di Roma “Foro Italico” – [email protected] Ramos Echazarreta – Comunità Autonoma de La Rioja (Spagna) – [email protected]

Emanuele Isidori – Università degli Studi di Roma “Foro Italico” – [email protected] Maulini – Università degli Studi di Roma “Foro Italico” – [email protected]

RingraziamentiSi ringrazia il Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e del Turismo del Governo de La Rioja(Spagna) per il sostegno alla ricerca post-dottorale nelle istituzioni straniere (Risoluzione n° 365del 24/02/2012) che ha permesso lo svolgimento di questa ricerca.

Page 88: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

86

Introduzione

Nonostante oggi il concetto di razza si consideri superato e non venga di fatto ac-cettato dalla pedagogia interculturale, il dibattito su etnicità e sport appare ancorafortemente condizionato da riferimenti “razziali”. Numerose ricerche dimostranoche le opinioni, i sentimenti e le convinzioni legate alla “razza” operano sempre inmodo impercettibile e forte e alimentano miti erronei come, per esempio, la cre-denza della superiorità nello sport di un gruppo etnico rispetto ad un altro, la pre-disposizione naturale in determinate discipline o l’incapacità di ottenere buonirisultati da parte di persone appartenenti a determinate etnie (Harrison L., 2001).

Queste idee rappresentano degli “stereotipi”, ossia un insieme di credenze in-complete e generalizzate che una persona possiede verso un gruppo sociale de-terminato (Allport, 1954). Gli stereotipi non hanno un fondamento scientificoprovato, ma si basano su costruzioni sociali. Questi giudizi, che sono interiorizzatidalla persona, sono estremamente rigidi e difficilmente modificabili per la capacitàche hanno di autoriprodursi attraverso diversi meccanismi come quello della ten-denza alla conferma delle ipotesi e la profezia che si autoavvera (Mazzara, 1997).Gli stereotipi possono indurre distorsioni sistematiche nel processo di elaborazio-ne delle informazioni (Devine, 1989) e influiscono nella costruzione dei dati am-bientali, delle interpretazioni e dei ricordi. In tal senso, essi costituiscono leaspettative che guidano la valutazione di ogni persona nei confronti degli altri einfluenzano il comportamento verso di essi (Hamilton, Trolier, 1986).

Le ricerche internazionali (Sailes, 1993; Hayes, Sudgen, 1999; Johnson, Halli-nan, Westerfield, 1999; Burden, Hodge, L. Harrison, 2004; L. Harrison, Azzarito,Burden, 2004; C. K. Harrison, Lawrence, 2004; Sheldon, Jayaratne, Petty, 2007;Azzarito, L. Harrison, 2008; Hodge, Kozub, Dixson, Moore III, Kambon, 2008; C.K. Harrison, Lawrence, Bukstein, 2011) hanno evidenziato l’esistenza di stereotipietnici presenti in ambito sportivo e legati al determinismo biologico. Uno di questipregiudizi maggiormente diffusi è la credenza secondo la quale le persone neresono “naturalmente” dotate per lo sport.

Questi stereotipi sono stati alimentati nel corso del tempo dalle teorie nate perspiegare le differenti prestazioni sportive tra neri e bianchi (Wiggins, 1989; Miller,1998). Decenni di speculazioni scientifiche sulle presunte migliori qualità degliatleti neri hanno forgiato il pensiero dell’intera popolazione e, nonostante non esi-stano prove certe sulla loro veridicità, la società americana, ad esempio, sembraaverle fatte proprie (Hoberman, 1997).

Le prime ricerche che hanno indagato la presenza di stereotipi in ambito spor-tivo risalgono alla seconda metà del secolo scorso, quando i successi degli atletineri, soprattutto in alcune discipline, si stavano gradualmente affermando.

Uno studio condotto da Harris e Ramsey (1974) non rivelava, negli studentianalizzati della scuola secondaria di primo grado, sostanziali differenze di perce-zione tra atleti di differenti gruppi etnici.

Gli stereotipi etnico-sportivi negli studenti italiani:un’indagine nelle scuole secondarie della Provincia di Roma

Page 89: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

87

I risultati dello studio di Biernat e Manis (1994) dei primi anni novanta, rife-rivano che gli uomini neri venivano percepiti più atletici rispetto ai bianchi. Devineed Elliot (1995) mostravano che l’aggettivo “atletico” era il tratto più frequente-mente attribuito agli afroamericani, con un consenso pari al 74%, fra 147 studentibianchi dell’Università Wisconsin-Madison.

Numerose sono le ricerche che hanno cercato di analizzare la presenza di cre-denze stereotipate legate al tema dell’appartenenza etnica in ambito sportivo neglistudenti universitari e delle scuole secondarie di secondo grado, soprattutto sta-tunitensi.

Lo studio di Sailes (1993), condotto con l’obiettivo di analizzare le idee di 869studenti universitari dell’Indiana University rivelava la presenza di credenze ste-reotipate riguardo il tema dell’etnia e dello sport.

Credenze confermate dal successivo studio qualitativo di L. Harrison, Azzaritoe Burden (2004), condotto su 25 studenti iscritti ad una università del sud-est degliStati Uniti. Emerge dalla ricerca l’opinione del campione, secondo la quale gli atletineri sono atleti migliori dei bianchi e l’idea che le differenze etniche nello sportsiano soprattutto biologiche e naturali.

Percezione confermata dallo studio condotto da Azzarito e L. Harrison (2008)con 28 studenti della scuola secondaria di secondo grado (13-14 anni) e un inse-gnante/allenatore sportivo del sud est degli Stati Uniti, che ha rivelato l’accordodegli studenti (soprattutto bianchi e maschi) con l’idea che i neri siano fisicamentesuperiori.

Un’altra ricerca condotta da Hodge, Kozub, Dixson, Moore e Kambon (2008)ha evidenziato la tendenza del campione, costituito da 819 studenti di differentigruppi etnici di sei scuole secondarie di secondo grado (età compresa tra i 12 e i 18anni) negli stati del Midwestern degli Stati Uniti, ad essere tendenzialmente in ac-cordo con le affermazione secondo le quali, in primo luogo, i gruppi etnici mino-ritari (tra i quali gli afroamericani) genererebbero atleti naturalmente miglioririspetto ai bianchi e, in secondo luogo, dominerebbero la maggior parte degli sport.

Con il fine di approfondire la credenza riguardo la superiorità atletica dei nerie, nello specifico, le opinioni degli studenti universitari riguardo i motivi di suc-cesso degli atleti neri in alcune particolari discipline, C. K. Harrison e Lawrence(2004) hanno condotto uno studio qualitativo con un campione di 301 studentiuniversitari del Midwestern (Stati Uniti). È importante sottolineare come il 25%dei partecipanti alla ricerca si è mostrato in accordo con l’affermazione secondola quale gli atleti neri sarebbero atleti “naturali” e ha motivato il loro particolaresuccesso in discipline (quali ad esempio il football, il basket e l’atletica) con moti-vazioni biologico/genetiche, storico evolutive o con riferimenti alla struttura cor-porea e muscolare.

L’idea che i neri siano atleticamente migliori, pervade il pensiero di molti stu-denti. I risultati di una ricerca (C.K. Harrison, Lawrence, Bukstein, 2011) condottacon 231 studenti universitari bianchi, hanno indicato che il 17% dei partecipantiha fatto riferimento alla superiorità atletica dei neri dovuta a presunte differenzein alcuni componenti fisiche e fisiologiche quali i tendini, la massa muscolare, lapercentuale di fibre muscolari e i livelli ormonali.

I dati dello studio condotto da Sheldon, Jayaratne e Petty (2007), con un cam-pione di 600 persone bianche, americane, di età compresa tra i 18 e i 90 anni, han-no indicato che il 74% degli uomini e il 65% delle donne crede che il contributogenetico possa spiegare la differenza percepita nelle prestazioni sportive. Il 33%per cento degli uomini e il 26% delle donne ha dichiarato che i geni spiegano moltoo quasi tutto della differenza tra bianchi e neri nello sport.

Page 90: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

88

I risultati delle ricerche con gli studenti americani sono in sintonia con alcunistudi condotti anche in ambito europeo e, in particolare, inglese. In questo contestorisultano essere molto significative le ricerche che hanno analizzato la presenzadegli stereotipi etnici sportivi nei professionisti dello sport. A tal riguardo, la ri-cerca, realizzata da Rasmussen, Turner ed Esgate (2005) risulta essere particolar-mente importante perché ha evidenziato l’esistenza di credenze stereotipate nelcontesto specifico della corsa. Lo studio, condotto con un gruppo di 36 studentilaureandi presso l’Università di Luton ha evidenziato la credenza della innata abi-lità atletica dei neri nella corsa veloce, anche nei futuri allenatori.

Una ricerca più recente (Turner, Jones, 2007), svolta con allenatori di buonaesperienza in ambito sportivo, ha condotto a risultati, nella fase qualitativa, inte-ressanti. Dai commenti dei partecipanti sono emerse evidenti credenze stereotipatequali la maggiore predisposizione fisiologica dei neri per la corsa, la maggiore per-centuale di fibre veloci, il legame forte tra gli afro-caraibici e la corsa in velocità.

Dall’analisi delle ricerche internazionali, emerge come gli studi sulla relazionetra etnia e sport siano presenti soprattutto nel contesto anglosassone e come sianoquasi completamente assenti nei Paesi dell’area mediterranea.

Nel caso specifico dell’Italia, risultano insufficienti le ricerche che hanno ana-lizzato la tematica degli stereotipi etnici nel contesto delle attività motorie e spor-tive e le sue implicazioni pedagogiche. I risultati di un recente studio (Migliorati,2013) hanno mostrato la presenza, negli allenatori e negli studenti di Scienze Mo-torie della regione Lazio, di stereotipi etnici quali la credenza della superiorità epredisposizione biologico-genetica degli atleti neri in discipline come il basket ela corsa in velocità e la minor predisposizione naturale degli stessi per il nuoto.

La società italiana si presenta ormai come una società multietnica; si avverte,quindi, la necessità di sviluppare tali ricerche, anche per evidenziare la responsa-bilità dei principali agenti educativi (famiglia, scuola, mass media) nella costru-zione e nel consolidamento di eventuali stereotipi etnici legati alla pratica motoriae sportiva nei giovani.

Il rischio è che lo sport, che dovrebbe essere luogo di incontro, di dialogo, diinclusione e sviluppo di competenze interculturali (Lleixá, 2004) possa divenireterreno fertile per il consolidamento e la diffusione di forme di discriminazione edi razzismo (Refrigeri, 2011; Migliorati, 2012).

Per tale motivo, il principale obiettivo di questa ricerca, che si presenta nellaforma di una indagine, è quello di identificare la possibile presenza di stereotipietnico-sportivi negli adolescenti della Provincia di Roma e, nel caso in cui esistano,analizzarne le caratteristiche.

Metodologia

In questo studio è stata utilizzata una metodologia quantitativa effettuando un’ana-lisi descrittiva e inferenziale delle variabili oggetto di ricerca e utilizzando, comestrumento di raccolta dati, un questionario. La popolazione oggetto di studio ècostituita dagli studenti della scuola secondaria di primo grado della Provincia diRoma, la cui estensione raggiunge un totale di 120.744 persone; questo dato, for-nito dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca attraverso l’UfficioScolastico Regionale per il Lazio, è riferito all’anno scolastico 2012-2013. Dato chela nostra popolazione è considerata statisticamente infinita essendo costituita dapiù di 100.000 unità, è stata utilizzata la seguente formula:

Page 91: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

89

Pertanto, stimando un livello di confidenza del 95%, equivalente a una devia-zione standard rispetto alla media di 2 unità Z, un margine di errore del 2% e unaproporzione della popolazione del 50%, il campione si compone di un totale di2401 adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 15 anni (età media pari a 12,5).

È stata eseguita, in una prima fase, una procedura di campionamento stratifi-cato proporzionale in relazione al tipo di scuola frequentata dagli studenti (stataleo paritaria) e, in secondo luogo, in relazione all’ubicazione geografica degli istitutifrequentati (della Capitale o di altre località della Provincia).

La tabella seguente mostra come le proporzioni di ciascuno strato del campio-ne siano state adattate alla percentuale effettiva di ciascun gruppo all’interno dellapopolazione generale degli studenti di scuola secondaria di primo grado della pro-vincia di Roma.

Tab. 1: Popolazione e campione di studio

In una seconda fase, per ogni strato definito nel passaggio precedente, sonostate scelte le singole scuole seguendo una procedura di campionamento casualesemplice. Da queste scuole sono state poi ricavate le classi e le ultime unità di cam-pionamento; vale a dire i soggetti da sottoporre ad indagine.

Se ci atteniamo alle caratteristiche personali che presenta il campione, si evi-denzia un’equità tra i soggetti adolescenti analizzati rispetto al genere, dato chedei 2401 soggetti che costituiscono il campione il 50,3% sono femmine e il 49,69%sono maschi.

Graf. 1: La distribuzione del campione rispetto al genere

""

È stata eseguita, in una prima fase, una procedura di campionamento stratificato

p

N = #$"%"&""

"""""""""""""""'$"

N = Campione

Z = Livello di confidenza

pq = Varianza della popolazione

E = Margine di errore

""

POPOLAZIONE % CAMPIONE

Roma Provincia Totale Roma Provincia Totale Roma Provincia Totale

Statale 70772 41108 111880 58,6% 34,1% 93% 1407 819 2226

Paritario 7646 1218 8864 6,3% 1% 7% 151 24 175

Totale 78418 42326 120744 64,6% 35,4% 100% 1558 843 2401

""

""

t

""

i

""

o

""

b

""

)

PO ENOIZALPO

""

e

%

""

o

NEOIPCAM

""

NE

""

elataSt

oiratirPa

latTo e

""

PO ENOIZALPO

amRo aicnivoPr tTo

70772 41108 111880

o 7646 1218 8864

78418 42326 120744

""

%

lat e amRo aicnivoPr To

111880 6%58, 1%34,

8864 3%6, 1%

120744 6%64, 4%35, 100%

""

NEOIPCAM

latTo e amRo aicnivoPr

93% 1407 819

7% 151 24

100% 1558 843

""

NE

latTo e

2226

175

2401

""

u

""

,

""

g

""

e

""

e

""

i

""

""

""

""

l

""

""

""

""

""

a

""

a

""

F

""

!

"

"

""

""

t

""

i

""

o

""

b

""

)

""

e

""

o

""

""

e

""

P

""

%

""

N

""

N

""

u

""

,

""

g

""

e

""

e

""

i

""

""

""

""

l

""

""

""

""

""

a

""

a

""

F

""

!

Page 92: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

90

Riguardo allo strumento, è stato utilizzato il questionario MACOFYD (Poncede León, Sanz, Ramos & Valdemoros, 2010). Tale questionario che è stato elaboratoper conoscere i comportamenti, le attitudini e le motivazioni rispetto alla praticasportiva degli adolescenti e dei giovani in Spagna, è stato utilizzato in Italia in for-ma adattata. Nello specifico è stata modificata la domande relativa all’anno sco-lastico degli studenti adattandola al sistema educativo italiano ed è stata, altresì,effettuata l’integrazione di domande con la finalità di rilevare l’eventuale presenzadi stereotipi etnico-sportivi. Si chiedeva agli studenti di esprimere la propria opi-nione rispetto alla possibile esistenza di persone atleticamente migliori o più fortifisicamente nella pratica sportiva e di indicarne, in caso affermativo, le ragioni.La forma adattata e integrata del MACOFYD è stata tradotta e validata attraversoil giudizio critico di tre esperti e un test-preliminare con un gruppo pilota, com-posto da 20 adolescenti.

L’affidabilità delle domande proposte è stata verificata attraverso il coefficienteAlfa di Cronbach, il cui risultato ha mostrato che gli items del questionario pre-sentavano un elevato grado affidabilità (α = 0,754).

Nel presente studio si utilizzano unicamente quelle variabili che permettono diraggiungere l’obiettivo preposto: le variabili identificative del genere, dell’anno sco-lastico frequentato, del tipo di scuola frequentata (statale e paritaria) e della ubica-zione sul territorio; le variabili che fanno riferimento alla pratica fisico-sportivadegli studenti e alla percezione di una maggiore predisposizione fisico-sportiva inrelazione all’etnia, ossia la possibile credenza di una maggiore pre disposizione alleattività motorie e sportive di una particolare etnia rispetto alle altre; in ultimo, levariabili che si riferiscono ai motivi espressi per argomentare l’idea di questa mag-gior predisposizione.

L’analisi statistica effettuata sui dati raccolti di tipo descrittivo e inferenziale èstata realizzata mediante il programma di analisi statistica SPSS 21.0. L’analisi dellevariabili è stata eseguita in due fasi distinte: inizialmente è stata realizzata l’analisidescrittiva con le frequenze e le percentuali delle variabili; posteriormente è stataeseguita un’analisi inferenziale utilizzando il coefficiente V di Cramer e il coeffi-ciente di contingenza.

Risultati

I risultati del nostro studio mostrano che, nonostante un 70,4% degli studenti af-fermi che non esistono differenze etniche che influenzano la performance sportiva,uno su quattro degli adolescenti romani è convinto che esistano persone più adatteallo sport per ragioni di tipo etnico, così come si evidenzia nel seguente grafico:

Graf. 2: Percezione degli studenti di una differente predisposizione etnica allo sport

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

Page 93: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

91

Approfondendo questo risultato, si evidenzia una relazione significativa (ta-bella 2), anche se di bassa intensità (0,092), con la variabile genere, scoprendo cheè significativamente superiore la percentuale dei maschi, rispetto a quella dellefemmine, che ritiene che esistano persone appartenenti a determinate etnie piùportate per lo sport come mostrato nel grafico 3.

Tab. 2: Analisi relazionale tra genere e stereotipo

Graf. 3: Stereotipi etnico-sportivi in relazione al genere

Si scopre, inoltre, una relazione significativa, anche se di bassa intensità (0,088)con la variabile anno scolastico (tabella 3), evidenziando come sia maggiore, nel-l’ultimo anno rispetto al primo, la percentuale di adolescenti che crede esista unamigliore predisposizione fisico-sportiva delle persone in relazione al gruppo etnico(grafico 4).

Tab. 3: Analisi relazionale tra anno scolastico e stereotipo

""

"

Valore

Sig.

approssimata

Nominale per

nominale

Phi ,092 ,000

V di Cramer ,092 ,000

Coefficiente di

contingenza ,092 ,000

N di casi validi 2401

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

""

"

.gSi

""

"

""

"

""

"

""

"

repelanimNo

enalinom

Ph

V

Co

co

idilavisacidN

""

"

""

"

erolVa

iPh 29,0

remarCidV 29,0

idetneiciffffeCo

zanegnitnco9,0 2

2401

""

"

""

"

aatmisosappr

00,0

00,0

00,0

""

"

""

"

""

S

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

S

p

Valore

Sig.

approssimata

Nominale per

nominale

Phi ,124 ,000

V di Cramer ,088 ,000

Coefficiente di

contingenza ,123 ,000

N di casi validi 2401

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

repelanimNo

nali

Ph

V

""

erolVa

iPh 42,1

CidV 88,0

""

p

.gSi

aatmisosappr

00,0

00,0

""

""

enalinom V

Co

co

idilavisacidN

""

remarCidV 88,0

idetneiciffffeCo

zanegnitnco32,1

2401

""

00,0

00,0

""

""

""

""

""

""

""

Page 94: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

92

Graf. 4: Stereotipi etnico-sportivi in relazione all’anno scolastico

Analizzando la variabile relativa alla tipologia dell’istituto frequentato, stataleo paritario, i risultati ottenuti rivelano, come mostra il grafico 5, delle differenzeminime tra gli studenti della scuole statali e quelle paritarie nella percezione diuna maggiore predisposizione allo sport per ragioni etniche. Tali differenze nonpossono essere considerate statisticamente significative come evidenziato nella ta-bella 4.

Graf. 5: Stereotipi etnico-sportivi in relazione a scuole statali e paritarie

Tab. 4: Analisi relazionale tra tipo di scuola e stereotipo

Allo stesso modo, come emerge dal grafico 6 e dalla tabella 5, non si sono re-gistrate differenze statisticamente significative tra la presenza dello stereotipo et-nico-sportivo e la variabile relativa all’ubicazione della scuola ossia tra gli studentiche frequentano le scuole di Roma e quelle della Provincia di Roma.

""

S

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

##

#

#

#

#

#

#

##

##

##

##

##

#

#

#

#

#

#

#

#

##

#

#

#

#

#

#

##

##

##

##

##

##

##

#

#

#

#

##

#

#

##

##

Valore

Sig.

approssimata

Nominale per

nominale

Phi ,052 ,041

V de Cramer ,052 ,041

Coefficiente di

contingenza ,052 ,041

N di casi validi 2401

#

#

#

#

#

#

##

##

##

##

##

#

#

#

#

#

#

#

#

##

#

#

#

#

#

#

repelanimNo

enalinom

Ph

V

##

rolVa e

iPh 25,0

remarCedV 25,0

##

.gSi

ap opr atamssi

14,0

14,0

##

##

Co

co

N diivaliascdi

##

,0

idetneiciffffeCo

zanegnitnco25,0

2401

r

##

,0

14,0

##

#

#

#

#

##

#

#

##

Page 95: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

93

Graf. 6: Stereotipi etnico-sportivi in relazione all’ubicazione delle scuole

Tab. 5: Analisi relazionale tra ubicazione della scuola e stereotipo

Dall’analisi di una possibile relazione tra la presenza dello stereotipo e la praticasportiva degli adolescenti (grafico 7) non compaiono relazioni significative (tabella6) tra gli studenti che praticano e coloro che non praticano attività fisico-sportivae la percezione di una superiorità nello sport di una determinata etnia.

Graf. 7: Stereotipi etnico-sportivi in relazione alla pratica sportiva degli adolescenti"

"

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

Valore

Sig.

approssimata

Nominale per

nominale

Phi ,038 ,183

V de Cramer ,038 ,183

Coefficiente di

contigenza ,038 ,183

N di casi validi 2401

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

""

repelanimNo

enalinom

Ph

V

Co

co

idilavisacidN

""

rolVa e

iPh 83,0

remarCedV 83,0

iciffffeCo die ent

zanegitnco83,0

2401

""

.gSi

aatmisosappr

38,1

38,1

38,1

""

""

""

""

""

""

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

Page 96: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

94

Tab. 6: Analisi relazionale tra la pratica fisico-sportiva degli adolescenti e stereotipo

Un dato molto interessante mostra che, tra gli adolescenti che percepisconodifferenze in relazione all’etnia in ambito sportivo, la quasi totalità degli stessi(89,7%) suggerisce che le persone nere hanno una migliore predisposizione fisi-co-sportiva, così come si può osservare nel grafico 8:

Graf. 8: Percezione della predisposizione sportiva in relazione all’etnia

In questo contesto non emergono relazioni significative né con il genere nécon l’anno scolastico frequentato dagli studenti.

Per concludere, focalizzando la nostra attenzione sugli studenti adolescentiche hanno espresso l’idea dell’esistenza di differenze tra le diverse etnie nella pre-disposizione allo sport, e analizzando le ragioni che sono state espresse per moti-vare la migliore “atleticità” dei neri, si scopre che il 64% degli studenti ha fattoriferimento a fattori di tipo biologico: quindi relazionati con fattori genetici, strut-turali, muscolari ecc. Il 21% del campione ha menzionato fattori culturali (comeper esempio il maggior impegno nella pratica, il più forte desiderio di successo,lo stato socio-economico). Infine risulta interessante constatare che il 15% delcampione, nonostante abbia affermato la predisposizione delle persone nere, so-stiene di non conoscerne le ragioni. Si tratta di dati che confermano il forte poteredello stereotipo negli studenti adolescenti italiani nel momento in cui essi guar-dano alla pratica sportiva in generale.

Discussioni e conclusioni

A partire dai risultati del nostro studio possiamo affermare che esiste una presenzadi stereotipi etnico-sportivi negli studenti della scuola secondaria di primo gradodella provincia di Roma. Questa affermazione emerge dal fatto che uno su quattrodegli adolescenti partecipanti alla ricerca ha espresso l’opinione che la performancesportiva è influenzata dall’appartenenza etnica. È emersa infatti la credenza di una

##

Valore Sig.

approssimata Nominale per nominale

Phi ,011 ,586 V de Cramer ,011 ,586 Coefficiente di contingenza ,011 ,586

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

lanimNo pere nalinom e

PhV Coco

##

#

rolVa eiPh ,0

remarCedV ,0idetneiciffffeCo

zanegnitnco ,0

##

#

.gSiap aatmisospr

11 68,511 68,5

11 68,5

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

##

#

Page 97: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

95

maggior predisposizione delle persone nere nei confronti delle attività motorie esportive. Inoltre, tra gli studenti che hanno affermato l’esistenza di differenze nellapredisposizione sportiva in relazione all’appartenenza etnica, una percentuale con-siderevole non è in grado di spiegarne le motivazioni.

La credenza della superiorità atletica dei neri, riscontrata e verificata in unaparte degli studenti analizzati, risulta in sintonia con numerose ricerche svolte inambito internazionale negli ultimi anni quali Sailes, 1993; Biernat, Manis, 1994;Devine, Elliot, 1995; Hayes, Sudgen, 1999; Burden et al., 2004; Lawrence, 2004;Azzarito, L. Harrison, 2008; Hodge et al., 2008.

I nostri risultati, invece, non sono in coerenza con i risultati di Harris e Ramsey(1974), il cui studio non rivelava la presenza di stereotipi etnici sportivi nelle stu-dentesse analizzate. Sarebbe comunque opportuno considerare in relazione allostudio sopra menzionato il fatto che, negli anni settanta, la presenza degli atletineri nel contesto delle attività motorie e sportive, non era così predominante comenella società attuale.

La nostra ricerca ha rivelato la maggior presenza di stereotipi etnico-sportivinegli studenti maschi piuttosto che nelle studentesse. Considerazione che si mostracoerente con alcuni studi condotti nel contesto anglosassone con adolescenti comequello di Hodge, Kozub, Dixson, Moore e Kambon (2008) e anche con alcune ri-cerche realizzate con adulti come quella di Sheldon, Jayaratne e Petty (2007).

Si è evidenziata, altresì, una relazione significativa tra la presenza dello stereo-tipo e l’anno scolastico frequentato. Lo stereotipo risulta essere maggiore negli stu-denti che frequentano l’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado chein quelli del primo.

La nostra analisi non ha invece riscontrato relazioni significative tra la presenzadello stereotipo e l’ubicazione della scuola frequentata (Roma e Provincia di Ro-ma), né con la variabile relativa al tipo di scuola (statale e paritaria), né con la si-tuazione di pratica fisico-sportiva degli adolescenti.

Inoltre, i risultati ricavati dall’analisi dei dati mostrano che tra coloro che hannoconsiderato la maggior predisposizione allo sport delle persone nere, più di seistudenti su dieci hanno motivato la propria opinione attraverso spiegazioni di tipobio-fisiologico in accordo con quanto affermato da Sheldon et al., (2007), Turnere Jones (2007), Azzarito e L. Harrison, (2008), Hodge et al., (2008), C. K. Harrison,Lawrence e Bukstein (2011).

Nonostante la presenza dello stereotipo di carattere biologico risulti essere pre-dominante, si scopre anche la presenza di motivazioni di carattere culturale espres-se dai partecipanti per giustificare la maggior predisposizione atletica delle personenere, così come emergono anche da alcune ricerche internazionali (Hayes, Sudgen,1999; Burden et al., 2004; Lawrence, 2004; L. Harrison et al., 2004; C. K. Harrison,Lawrence, 2004; Turner, Jones, 2007; C. K. Harrison et al., 2011).

Considerazioni finali

Siamo consapevoli dei limiti della nostra ricerca e della necessità di approfondirei risultati ottenuti con l’analisi di altre variabili che potrebbero determinare la pre-senza degli stereotipi (quali, ad esempio, gruppo etnico di appartenenza, livellosocio-culturale, campioni di diversa età).

Riteniamo tuttavia che sia importante sottolineare come il nostro studio abbiamesso in luce la presenza di stereotipi etnici in relazione alle attività motorie esportive negli adolescenti che frequentano la scuola italiana.

Page 98: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

96

Gli stereotipi, essendo generalizzazioni superficiali, nascondono il rischio disottovalutare le differenze individuali e di enfatizzare, invece, le differenze tra i di-versi gruppi etnici. Inoltre, esiste la possibilità che lo stereotipo sportivo possacondizionare fortemente non solo il percorso del giovane come atleta, ma il suosviluppo come persona che vive nella società. Gli stereotipi influiscono sul pro-cesso di crescita, di maturazione e di identificazione degli adolescenti giocandoun ruolo fondamentale nella costruzione della identità. L’idea consolidata dell’atle-ta nero come atleta eccellente è così forte e predominante da influenzare forte-mente anche la stessa percezione del sé nei giovani adolescenti neri. Si tratta di una realtà complessa che questo studio non può certo esaurire e

che sarà necessario analizzare attraverso ulteriori ricerche finalizzate a verificarein maniera approfondita le implicazioni pedagogiche (Migliorati, 2011) di talepresenza per farne prendere coscienza sia agli studenti ma anche agli allenatori,agli insegnanti di tutte le discipline (non solo di educazione fisica) ed agli educatorisportivi attraverso specifici programmi di formazione e di sensibilizzazione. Questiprogrammi dovranno essere finalizzati, in primo luogo, a rendere consapevoli gliagenti educativi dei rischi e delle influenze negative di tali condizionamenti perpoi tentare di minimizzare o ridurre l’impatto negativo di tali stereotipi, che difatto agiscono in opposizione al concetto di sport educativo e di sport per tutti(CIO, 2007) quale diritto umano e sociale sancito dalla società (Commissione delleComunità Europee, 2007).

Riferimenti bibliografici

Allport G. W. (1954). The Nature of Prejudice. Cambridge, MA: Addison-WesleyPublishing.

Azzarito L., Harrison, L. (2008). “White men can’t jump”. Race, gender, and naturalathleticism. International Review for the Sociology of Sport, 43, (4), pp. 347-364.

Biernat M., Manis M. (1994). Shifting standards and stereotype-based judgments.Journal of Personality and Social Psychology, 66, (1), pp. 5-20.

Burden J.W., Hodge S.R., Harrison L. (2004). African American and White Amer-ican students’ beliefs about ethnic groups’ aspirations: A paradoxical dilemmaof academic versus athletic pursuits. E-Journal of Teaching and Learning in Di-verse Settings, 2, (1), pp. 54-77.

Commissione delle Comunità Europee (2007). Libro bianco sullo sport. COM, 391def.

Comitato Internazionale Olimpico (2007). Olympic Charter. Switzerland,www.olympic.org.

Devine P., Elliot A. J. (1995). Are Racial Stereotypes Really Fading? The PrincetonTrilogy Revisited. Personality and Social Psychology Bulletin, 21, (11), pp. 1139-1150.

Devine P. (1989). Stereotypes and Prejudice: Their Automatic and ControlledComponents. Journal of personality and social psychology, 56, (1), pp. 5-18.

Hamilton D.L., Trolier T.K. (1986). Stereotypes and stereotyping: An overview ofthe cognitive approach. In J. Dovidio, S. Gaertner (Eds.), Prejudice, discrimi-nation, and racism (pp. 127-163). New York, NY: Academic Press.

Harris M.B., Ramsey S. (1974). Stereotypes of athletes. Perceptual and Motor Skills39, pp. 705-706.

Page 99: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014ricerche

97

Harrison C. K., Lawrence S.M. (2004). College students’ perceptions, myths, andstereotypes about African American athleticism: a qualitative investigation.Sport, Education and Society, 9, (1), pp. 33-52.

Harrison C.K., Lawrence S.M., Bukstein S.J. (2011). White College Students’ Ex-planations of White (and Black) Athletic Performance: A Qualitative Investi-gation of White College Students. Sociology of Sport Journal, 28, pp. 347-361.

Harrison L. (2001). Understanding the influence of stereotypes: Implications forthe African American in sport and physical activity. Quest, 53, (1), pp. 97-114.

Harrison L., Azzarito L., Burden J. (2004). Perceptions of athletic superiority: Aview from the other side. Race, Ethnicity and Education, 7, (2), pp. 149-166.

Hayes S., Sudgen J. (1999). Winning through “naturally” still? An analysis of theperceptions held by physical education teachers toward the performance ofblack pupils in school sport and in the classroom. Race, Ethnicity and Educa-tion, 2, (1), pp. 93-108.

Hoberman J. (1997). Darwin’s Athletes. How sport has damaged black America andpreserved the myth of race. New York, NY: Houghton Mifflin Company.

Hodge S. R., Kozub F. M., Dixon A. D., Moore III J. L., Kambon K. (2008). A com-parison of high school students’ stereotypic beliefs about intelligence and ath-leticism. Educational foundations, 22, (1-2), pp. 99-119.

Johnson D. L., Hallinan C. J., Westerfield R. C. (1999). Picturing Success: Photo-graphs and Stereotyping in Men’s Collegiate Basketball. Journal of Sport Beha-vior, 22, (1), pp. 45-53.

Lleixá T. (2004). Actividad física, deporte y ciudadania intercultural. In T. Lleixae S. Soler (Eds.), Actividad física y deporte en sociedades multiculturales. ¿In-tegración o segregación? (pp. 13-26). Barcellona: Editorial Horsori.

Mazzara B. M. (1997). Stereotipi e pregiudizi. Bologna: Il Mulino. Migliorati M. (2013). Análisis y estudio pedagógico de los estereotipos étnicos en

los deportistas negros. (Tesi dottorale, Universidad de Valladolid, 2013). Estrat-ta da http://uvadec.uva.es/handle/10324/4075.

Migliorati M. (2012). Allenamento e interculturalità. Prospettive pedagogiche perla formazione degli educatori sportivi. In E. Isidori, A. Fraile Aranda (Eds.).Pedagogia dell’allenamento. Prospettive metodologiche (pp. 207-226). Roma:Nuova Cultura.

Migliorati M. (2011). Los estereotipos en el deporte y sus implicaciones pedagó-gica. In E. Isidori, A. Fraile Aranda (Eds.) La pedagogía del deporte hoy: esce-narios y desafíos (pp. 135-170). Roma: Nuova Cultura.

Miller P. B. (1998). The anatomy of scientific racism: Racialist responses to Blackathletic achievement. Journal of Sport History, 15, pp. 119-151.

Ponce de León A., Sanz E., Ramos R., Valdemoros M.A. (2010). MACOFYD: Cue-stionario de motivaciones, actitudes y comportamientos en el ocio físico-deportivojuvenil. Logroño: Servicio de publicaciones de la Universidad de La Rioja.

Rasmussen R., Turner D., Esgate A. (2005). On your marks, get stereotyped, go!Novice coaches and black stereotypes in sprinting. Journal of Sport and SocialIssues, 29, (4), pp. 426-436.

Refrigeri L. (2011). Lo sport agenzia non formale per l’educazione antirazzista.In L. Refrigeri (Ed.), Sport e razzismo: il ruolo dell’educazione (pp. 103-128).Lecce: Pensa MultiMedia.

Sailes G.A. (1993). An investigation of campus stereotypes: the myth of black ath-letic superiority and the dumb jock stereotype. Sociology of Sport Journal, 10,(1), pp. 88-97.

Sheldon J., Jayaratne T., Petty E. (2007). White Americans’ genetic explanations

Page 100: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

98

for a perceived race difference in athleticism: The relation to prejudice towardand stereotyping of Blacks. Athletic Insight, 9, (3), pp. 31-56.

Turner D., Jones I. (2007). False start? U.K. Sprint coaches and black/white stereo-types. Journal of Black Studies, 38, (2), pp. 155-176.

Wiggins K. D. (1989). Great speed but little stamina: The historical debate. Journalof sports history, 16, (2), pp. 158-185.

Page 101: Sird12 2014

99

Fattori individuali e contestuali del burnout: una ricerca descrittiva sugli insegnanti curricolari e di sostegno

Individual and contextual factors of burnout: a descriptive research on teachers and teacher assistants

In recent years, numerous studies have paidparticular attention to the conditions of well-being in workplace, analyzing the influencethat this dimension has on psychological fun-ctioning and positive self-perception. Amongthe various contexts of inquiry, research hasdeepened the study of school context, and inparticular the professional group of teachershas become progressively more and moretargeted under investigation, in order toidentify risk and protective factors related tothe burnout syndrome maintenance.There-fore, the main objective of this study was toevaluate the relationship between individualfactors such as "assertiveness" and "copingstrategies" and contextual as "the perceptionof the work environment", "attachment towork", "organizational commitment", "invol-vement and work satisfaction" related to theonset of teachers burnout. Specifically, it isintended, first, to verify the existence of si-gnificant differences between teachers andteacher assistants in examined variables. Se-cond, within each group, we intend to eva-luate the differences among the differentaspects of investigated factors and the rela-tionship that each of them has with the va-rious dimensions of burnout.

Keywords: teaching, professional well-being, burnout, coping strategy.

L’obiettivo principale di questo studio è va-lutare la relazione tra alcuni dei fattori indi-viduali (assertività e strategie di coping) econtestuali (percezione del contesto lavora-tivo, attaccamento al lavoro, impegno orga-nizzativo, coinvolgimento e soddisfazionelavorativa) che si legano alla comparsa dellasindrome del burnout nell’insegnante. Lostudio ha coinvolto un gruppo di insegnanticurriculari (N=35) e un gruppo di insegnantidi sostegno (N=38), a cui sono stati sommi-nistrati dei questionari. I risultati conferma-no quanto emerge in letteratura nazionalee internazionale circa la presenza di evidentielementi di complessità intrinseca legati allacategoria degli insegnanti di sostegno, piùesposti degli altri a pratiche educative impe-gnative e a un maggior addensamento diemergenze educative, che sembrano predi-sporli a situazioni di maggiore rischio diesaurimento psico-fisico-sociale.

Parole chiave: teaching, professional well-being, burnout, coping strategy.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Anna Maria Murdaca - Università di degli Studi di Messina - [email protected] Patrizia Oliva - Università degli Studi di Messina - [email protected]

Antonella Nuzzaci - Università degli Studi dell’Aquila - [email protected]

Anna Maria Murdaca ha contribuito a strutturare l’impianto teorico, analizzare criticamente i paradigmiteorici, a progettare la ricerca e a preparare il manoscritto e a supervisionare il lavoro. Oliva Patriziaha contribuito a strutturare il disegno progettuale, ad analizzare e interpretare i dati. Antonella Nuzzaciha contribuito ad interpretare i dati, a preparare il manoscritto e a supervisionare il lavoro.

Page 102: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

1. Introduzione

Negli ultimi anni un’attenzione sempre maggiore è stata rivolta allo studio degliaspetti connessi allo stress lavoro-correlato e alla sindrome del burnout che colpi-sce molte categorie professionali. Numerose sono le ricerche che dimostrano quan-to gli adulti lavoratori siano a rischio di manifestare elevati livelli di stress conevidenti conseguenze negative sul piano del benessere fisico e psicologico, oltreche della produttività. Freudenberg (1974) e Maslach (1976) utilizzano per la pri-ma volta in psicologia il termine “burnout” per indicare una malattia professionaleche colpisce prevalentemente le professioni d’aiuto (psicologi, psichiatri, medici,infermieri, assistenti sociali, insegnanti, volontari, ecc.) e che connota un lento egraduale processo di “logoramento” o “decadenza” delle risorse psicofisiche dovutoalla mancanza di energie e di capacità per sostenere una situazione lavorativa stres-sante, con conseguente calo nelle prestazioni professionali. Il burnout è consideratauna sindrome multifattoriale connotata da un insieme di sintomi (fisici, psichici,comportamentali) che testimoniano il manifestarsi di un vero e proprio disagio.Esso si sviluppa progressivamente attraverso tre fasi: esaurimento emotivo, deper-sonalizzazione e fallimento professionale (Maslach, 1976). L’esaurimento emotivosi caratterizza per la mancanza di energia necessaria ad affrontare la realtà quoti-diana e per la prevalenza di sentimenti di apatia e distacco emotivo nei confrontidel proprio lavoro; la depersonalizzazione denota l’insorgere di un atteggiamentodi distacco ed ostilità che contraddistingue la relazione con l’altro; infine, la con-sapevolezza del disinteresse e dell’intolleranza verso gli altri che suscita un sensodi fallimento professionale e di inadeguatezza per il lavoro svolto, accompagnatida gravanti sensi di colpa per le improprie modalità relazionali impersonali e di-sumanizzate utilizzate. Il burnout può essere pertanto definito come un fenomenopsicosociale ed educativo, più complesso dello stress, all’interno del quale intera-giscono fattori socio-ambientali e lavorativi e caratteristiche individuali e perso-nologiche. Recentemente notevole interesse ha suscitato tra gli esperti lo studiodei fattori individuali e contestuali che si legano alla comparsa di tale sindromenegli insegnanti, allo scopo di comprendere e prevenire situazioni di rischio alburnout in questa categoria di professionisti che quotidianamente si trova a doverfronteggiare richieste ed aspettative ogni giorno sempre più pressanti (Jennett,Harris, Mesibov, 2003). Sebbene le ragioni possano essere di ordine diverso, è notocome gli insegnanti sperimentino situazioni stressanti nel proprio lavoro (Jennettetet al., 2003) a causa della gestione di situazioni educative sempre più complesse,difficili e contraddittorie, dettate soprattutto dalla relazione educativa che spessocomporta un elevato carico emotivo che si traduce come “fatica di insegnare” (Ped-ditzi, 2005), insofferenza nei confronti degli allievi accompagnata da atteggiamentidi allontanamento e di chiusura (Rossati, Magro, 1999). Tuttavia benché la mag-gior parte riesca a far fronte con successo a tali difficoltà o evenienze, la restanteparte purtroppo non è in grado, in ragione della mancanza di risorse personali e

100

Fattori individuali e contestuali del burnout: una ricerca descrittiva sugli insegnanti curricolari e di sostegno

Page 103: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

di un adeguato supporto sociale e contestuale, di rispondere in maniera funzionaleagli eventi stressanti, con evidenti ricadute negative sul proprio benessere indivi-duale e sociale (Jennett et al., 2003). Studi condotti su gruppi di diversa prove-nienza etnico-culturale mostrano come il burnout degli insegnanti predica la lorosalute psicofisica, condizionando la motivazione e la soddisfazione lavorativa diquesta categoria professionale. A tale proposito, recenti indagini hanno dimostratocome un maggior grado di esaurimento emotivo e di depersonalizzazione nel do-cente si associ generalmente ad una scarsa percezione del proprio stato di salute(Hakanen, Bakker, Schaufeli, 2006), ad una insufficiente motivazione al lavoro(Hakanen et al., 2006; Schaufeli, Salanova, 2007) e a un maggiore rischio di auto-licenziamento (Leung, Lee, 2006). Inoltre, tale stato di esaurimento psicofisicosembra essere fortemente connesso alle convinzioni di efficacia dell’insegnante(Chwalisz, Altmaier, Russell, 1992; Evers, Brouwers, Tomic, 2002; Friedman, Far-ber, 1992) e alla sua capacità di percepirsi adeguatamente competente rispetto alruolo professionale che ricopre (Skaalvik, Skaalvik, 2007). Tuttavia non sono an-cora del tutto chiari i meccanismi che soggiacciono alla relazione tra senso di au-toefficacia e predisposizione del corpo docente al burnout (Brouwers, Tomic, 2000;Skaalvik, Skaalvik, 2007), pertanto approfondimenti e indagini più specifiche sirendono necessari al fine di individuare fattori predittivi che consentano l’elabo-razione e l’implementazione di interventi psicoeducativi maggiormente efficaci.La sindrome del burnout può essere considerata un meccanismo di difesa adottatodagli insegnanti, e dagli educatori in generale, per contrastare situazioni di stresslavorativo determinato da un elevato squilibrio determinatosi tra richieste/esigen-ze lavorative e risorse personali e contestuali disponibili, le cui possono essere nu-merose e riconducibili sia a caratteristiche individuali del soggetto sia a fattorilegati al contesto lavorativo. La letteratura a tal proposito ha individuato fattori erelazioni tra componenti inestricabilmente intrecciate, ma intrise di significatività,tra le quali agisce quale elemento il fattore motivazionale e l’energia spesa da unindividuo che dipendono dal genere di esperienze da lui vissute (comprensibili,facili da gestire e significative) e dalle risorse disponibili (Antonovsky, 1979); que-ste ultime sono considerate come forma generalizzata di resistenza che, come qual-siasi altra caratteristica di questo tipo, facilita nell’individuo la gestione di unatensione efficace. In questo senso il rapporto tra risorse e orientamento al copingpuò essere descritto come processo dinamico e reciproco. La percezione di un in-dividuo circa le risorse disponibili rafforza l’orientamento al coping (Wolff, Rattner,1999) e il deficit di risorse determina esperienze che incidono negativamente sullapersona, come risultato di coping inefficace permettendo il verificarsi dello stress.Antonovsky (1979) sostiene che un individuo con un forte “senso di coerenza”sarà più efficace nella scelta di strategie di coping adeguate e nella capacità di mo-bilitare e utilizzare, combinandole, un insieme di risorse per affrontare lo stress(Antonovsky, 1987), mentre un individuo con un debole “senso di coerenza” saràsopraffatto confrontandosi con fattori di stress della vita scegliendo strategie dicoping meno opportune. Questo aspetto diviene estremamente importante per lagestione dello stress in contesto scolastico, che condiziona e limita una serie dieventi didattici. Nello specifico, le aspettative di carriera, la qualità delle relazioniinterpersonali con i colleghi e i superiori, la struttura e il clima lavorativo (Cooper,1988, Murdaca 2008) vengono individuati quali fattori principali dell’organizza-zione aziendale maggiormente predisponenti al burnout. Il rischio viene ulterior-mente aggravato se a queste caratteristiche ambientali si associano aspettipersonologici e stati emotivo-motivazionali disfunzionali nell’insegnante, qualiad esempio la percezione di inefficacia personale e professionale, la bassa autosti-

ricerche

101

Page 104: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

ma, la rabbia, l’introversione, la scarsa motivazione al lavoro, l’eccessivo bisognodi approvazione, l’insoddisfazione lavorativa, nonché l’uso di meccanismi difensiviinadeguati (Cherniss, 1983). I numerosi tentativi intrapresi dagli studiosi per in-dividuare caratteristiche soggettive e contestuali che possano fungere da mediatoririspetto alle conseguenze negative e devastanti del burnout hanno rivelato che lapercezione di un contesto lavorativo supportante, l’attaccamento e l’impegno or-ganizzativo, il coinvolgimento nel lavoro, la soddisfazione lavorativa, legati ad unatteggiamento relazionale di tipo assertivo e ad adeguate capacità di coping, sem-brano ridurre il rischio di burnout in ambito scolastico. In effetti, la capacità diassumere un comportamento assertivo, definendo cioè con chiarezza i propriobiettivi e progetti e realizzarli interpretando in chiave positiva le relazioni e le ri-sorse offerte dal contesto lavorativo, è certamente una capacità relazionale indi-spensabile dell’insegnante per acquisire una maggiore efficacia personale ecollettiva nell’insegnamento. Trovare, infatti, il giusto compromesso tra un atteg-giamento aggressivo e uno eccessivamente remissivo, per esempio, aiuta a con-trollare livelli di rabbia disfunzionali, a gestire efficacemente lo stress lavorativo ea potenziare le proprie abilità di coping. In realtà, la letteratura mostra come moltesiano le strategie che l’insegnante può utilizzare per fronteggiare in maniera ade-guata lo stress lavorativo. Sorenson (1999), per esempio, suggerisce semplici tec-niche che possono aiutare l’insegnante a tenere sotto controllo lo stress, come adesempio adottare uno stile di vita equilibrato, essere in grado di riconoscere il so-vraccarico lavorativo e identificare la presenza di condizioni lavorative poco gra-tificanti da un punto di vista organizzativo. È pur vero, però, che alcunimeccanismi estremi di coping possano essere talmente radicati e rigidi da avereun effetto negativo sulla salute mentale di colui che li mette in atto. Infatti, tentaredi alleviare lo stress attaccando l’altro in maniera aggressiva, urlandogli contro ecolpevolizzandolo, può far aumentare il rischio di insonnia, ansia e depressione,danneggiando ulteriormente lo stato di salute precario di colui che è in preda allostress (Suldo, Shaunessy, Hardesty, 2008). Generalmente, in presenza di uno sti-molo negativo, percepito come minaccioso, si attiva, più o meno inconsapevol-mente, una risposta allo stress (Hobfoll, 1988). A tal proposito, è stato dimostratoche adeguate risorse di coping preventivo possono ridurre il numero di eventi cheun insegnante interpreta come minacce di stress (McCarthy, Lambert, Brack,1997). Secondo il modello proposto da McCarthy (2002) e i suoi colleghi, l’indi-viduo è in grado di percepire il grado di richieste che ogni evento prevede e le ri-sorse individuali di cui egli dispone per farvi fronte. Risultati ottimali si potrebberoavere nel caso in cui il soggetto percepisse che le risorse di cui dispone siano su-periori alle richieste; in caso contrario, ovvero nel caso in cui le risorse risultasseroinadeguate rispetto all’evento imprevisto, si potrebbe innescare una risposta distress, con tutte le conseguenze negative ad essa connesse. In questo caso, dovreb-bero essere rafforzati per esempio i meccanismi di coping “combattivo” al fine diridurre l’intensità dello stress. In uno studio recentemente condotto da Betoret(2006) è stata valutata la relazione tra il senso di auto-efficacia, le risorse di coping,gli indici di stress e il burnout in un gruppo di insegnanti spagnoli. I risultati hannomesso in evidenza che gli insegnanti con maggiori capacità di fronteggiamentodello stress e un elevato senso di auto-efficacia appaiono meno stressati, più mo-tivati e soddisfatti della loro professione e dunque a minor rischio di burnout; altrericerche hanno poi messo in evidenza che una condizione di intenso stress puòcondizionare la riuscita professionale dei docenti, aumentando il rischio di ab-bandono entro i primi cinque anni di insegnamento (Ingersoll, Smith, 2004). L’in-capacità, da parte degli organi competenti, di sostenere gli insegnanti nella loro

102

Page 105: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

attività professionale sta diventando un serio problema sia a livello nazionale cheinternazionale e le strategie invocate da più parti non sembrano abbastanza efficaciper ridurre lo stress degli insegnanti, soprattutto dei “principianti” o di quelli alleprime armi, con conseguente rischio di abbandono della professione. Gli interventicome il tutoraggio, la formazione per un maggior sviluppo professionale e una piùelevata collaborazione tra gli insegnanti, richiamati da più parti come indispen-sabili, sembrerebbero avere effetti positivi sulla riduzione del rischio a stress e bur-nout, anche se richiedono sistematiche azioni condotte su scala nazionale. Se sivuole arrivare a mettere in atto azioni incisive dirette a ridurre i livelli di stress eil rischio di abbandono nei docenti è però necessario approfondire lo studio dellemodalità con cui gli insegnanti fronteggiano lo stress e gestiscono i fattori che pos-sono ridurre il rischio di burnout, per meglio comprendere meccanismi e strategiedi coping di maggior successo. Inoltre, non bisogna dimenticare che livelli di stresselevati nell’insegnante tendono a condizionare negativamente il benessere psico-logico di tutti gli attori del sistema scuola ed in particolare gli esiti degli allievi.Pertanto, comprendere i fattori causali e di mediazione responsabili della comparsae del mantenimento del burnout dell’insegnante diventa una necessità non piùprorogabile al fine di identificare strategie di fronteggiamento ed interventi piùefficaci e garantire il “benessere in aula”.

2. Insegnanti di sostegno, stress e ricerca educativa

Lo stress nella professione insegnante è, come abbiamo avuto modo di osservare,un fenomeno ben noto in letteratura e la ricerca educativa ha messo in evidenzacome negli insegnanti di sostegno rispetto a quelli curricolari esso sia connotatoda condizioni e difficoltà specifiche. Una rassegna della letteratura nazionale e in-ternazionale sugli insegnanti di sostegno e sulla loro capacità di far fronte allostress è ancora assai scarsa. In questo senso, esplorare e descrivere l’orientamentoal coping e la disponibilità di risorse degli insegnanti nell’occuparsi di allievi conbisogni educativi speciali diviene estremamente importante in un momento in cuil’educazione attraversa un periodo di crescenti difficoltà per la estrema diversifi-cazione delle caratteristiche della popolazione scolastica. Studi descrittivi hannorivelato evidenti elementi di complessità intrinseca legati a questa categoria di in-segnanti, più esposti degli altri a pratiche educative impegnative (Snowman & Bie-hler, 2000), confermando quanto evidenziato da quella ricerca che ha registrato,negli ultimi anni rsipetto al passato, un maggiore addensamento di emergenzeeducative e di fonti stressanti in campo scolastico (Beck, Garguilo, 2001; Billin-gsley, 2004; Eloff, Engelbrecht, Oswald, Swart, 2003). Più specificamente, alcuniricercatori hanno mostrato come gli insegnanti di sostegno manifestino esigenzediverse rispetto a qualche anno fa (Bester, Swanepoel, 2000; Gersten, Keating, Yo-vanoff, Harniss, 2001; Canevaro, 2013) e presentino tassi di abbandono più elevatinella professione rispetto a quelli curricolari. Alla luce di tali risultati, le difficoltàincontrate dagli insegnanti di sostegno sembrano ormai diventate a livello inter-nazionale vere e proprie urgenze educative destando non poca preoccupazioneanche nei responsabili politici e negli amministratori (Payne, 2005) che hanno ri-volto sempre più attenzione al problema dei processi di professionalizzazione pro-prio per impedire che si verifichino problemi di fronteggiamento delle difficoltàlavorative in questi soggetti. D’altra parte, nell’ultimo decennio, in particolare, siè assistito in Italia ad una profonda trasformazione in questo senso, basti pensare

ricerche

103

Page 106: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

ad esempio al proliferare di iniziative dirette a qualificare la formazione degli in-segnanti di sostegno ed a sostenerla sia in fase iniziale che continua attraverso larigenerazione (o modernizzazione) delle loro competenze in direzione di un “mo-dus operandi” all’insegna della riflessività (DSA: Legge 170/2010, Corso di spe-cializzazione per il sostegno: DM: 249/2010). Questo anche perché la domandadi istruzione di studenti con bisogni speciali ha continuato a crescere a livello na-zionale: il Miur in data 12.11.2013 ha reso disponibile i dati statistici relativi agliallievi frequentanti evidenziando come dal 2001 ad oggi essi siano complessiva-mente aumentati del 60% e nell’anno 2013/14 risultino in numero di 209.814 afronte dei 202.314 dell’anno precedente) ed internazionale (Eloff, Engelbrecht,Oswald, Swart, 2003). L’educazione inclusiva sembra dunque oggi in una fase dipiena attuazione divenendo speculare all’integrazione scolastica progressivamenteintesa come uno strumento di trasformazione sociale diretta a disegnare una so-cietà democratica (prevalentemente dal 1977 ad oggi). Tanto è vero che la filosofiadi fondo che sorregge l’educazione inclusiva comprende sia i valori democraticidi uguaglianza sia quelli relativi ai diritti umani fino al riconoscimento della di-versità o meglio del valore plurale di essa (Engelbrecht, 2006; Cottini, 2011). Oc-corre tuttavia ricordare che se la letteratura abbonda di definizioni di stress emolteplici sono le sue diverse concettualizzazioni, quando ci si riferisce agli inse-gnanti curricolari generalmente si fa riferimento ad un modello transazionale (Og-den, 2004; Sarafino, 2008) che concerne soprattutto la conservazione delle risorse(Hobfall, 1989). All’interno di tale modello, alcuni autori (Sarafino, 2008; Lazarus,Folkman, 1984) definiscono lo stress come la circostanza in cui le transazioni por-tano un individuo a percepire una discrepanza tra le esigenze fisiche o psicologichedi una situazione e le risorse biologiche, psicologiche e sociali (p. 63) di cui dispo-ne. In questa accezione le risorse svolgono un ruolo importante nella capacità del-l’individuo di fare fronte allo stress (Forshaw, 2003). Gli studi evidenziano propriocome gli insegnanti di sostegno si trovino a vivere esperienze di stress (Billingsley,2004; Beck, Garguilo, 2001; Wisniewski, Garguilo, 1997) determinate da una seriedi fattori, la cui sollecitazione è stata descritta come un processo complesso checoinvolge una interazione tra l’insegnante e l’ambiente che include precise com-ponenti di stress e le relative risposte (Eloff, Engelbrecht, Oswald, Swart, 2003). Sipossono in questa direzione rintracciare una serie di fattori di stress comunementevissuti dagli insegnanti di sostegno, i quali avvertono, più frequentemente di quellicurricolari, un sovraccarico lavorativo causato dalla richiesta di elevati livelli diperformance in diverse aree quali lo sviluppo dei programmi di studio, il controllodi condotte e comportamenti, la gestione didattica, la pianificazione delle lezioni,la collaborazione e l’amministrazione (Beck, Gargiulo, 2001; Billingsley, 2004). Gliinsegnanti di sostegno sembrano sperimentare anche tassi significativamente piùelevati di conflitto e ambiguità di ruolo in rapporto agli insegnanti curricolari(Gersten, Keating, Yovanoff, Harniss, 2001). Altri fattori di stress sono rintraccia-bili in esperienze che includono una scarsa presenza di supporti didattici, materialie risorse (Croll, Mosè, 2000; Wisniewski, Gargiulo, 1997), di rapporti limitati e/ostressanti con i colleghi, gli amministratori e/o genitori (Otto, Arnold, 2005; Stem-pien, Loeb, 2002), ed una limitata formazione e scarso sviluppo professionale (An-derson, Pellicer, 2001; Croll, Moses, 2000). Le crescenti evidenze che testimonianouno stretto legame tra stress e malattia (Ogden, 2004; Sanderson, 2004; Sarafino,2008) indicano poi che lo stress a lungo termine mette a repentaglio la salute men-tale dell’insegnante e lo colpisce anche fisicamente inducendo risposte: fisiologi-che, che includono l’innalzamento della pressione sanguigna, frequenti mal di testaecc.; psicologiche, che includono depressione e ansia; di attribuzione, che eviden-

104

Page 107: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

ziano sentimenti di inferiorità e sentimenti di rassegnazione e di impotenza (Wi-sniewski , Garguilo, 1997). Se allora lo stato di stress, concepito come dimensionecomplessa, può riguardare la professione docente in generale, in riferimento agliinsegnanti di sostegno, più esposti degli altri a tale stato, presuppone l’adozionedi diverse strategie di coping per affrontare il vissuto stress occupazionale. È chiaroperò che diviene importante evitare che si impieghino quelle disadattive, comel’uso dei giorni di congedo per malattia, che possono inavvertitamente creare unsempre maggiore ciclo di stress culminante nel burnout e nell’eventuale decisionedi lasciare la professione (Beck, Garguilo, 2001) a favore di quelle più efficaci. Imodelli attuali tendono quindi a concentrarsi su un paradigma “salutogeno”, checontrasta con il modello “patogeno”, ovvero un modello concentrato sulla salute esul benessere piuttosto che sulla malattia, che non intende lo stress come eventoisolato e negativo ma come condizione “onnipresente nella esistenza umana” (An-tonovsky, 1979, p. 10; 1987), che fa emergere la necessità di sviluppare quel “sensodi coerenza” che consenta di spiegare come un individuo di successo o meno facciafronte nella vita ai differenti fattori di stress. A questo proposito la ricerca mostracome per un insegnante di sostegno lavorare con studenti con bisogni specialiproduca significativamente maggiore stress soprattutto proprio in riferimento atale “senso di coerenza”. Tuttavia, considerata l’intensità e il genere di fattori distress vissuti da questi insegnanti diviene importante ottenere una più esaurientecomprensione del modo in cui essi fanno fronte a tali fattori. È per tale ragioneche Lazarus e Folkman (1984) definiscono lo stress come concetto in continuaevoluzione che implica sforzi cognitivi e comportamentali per gestire richiesteesterne e/o interne specifiche che sono valutate come inferiori o superiori alle ri-sorse di una persona (p. 141). Tali sforzi sono diretti a padroneggiare, a tollerarela riduzione e/o minimizzazione ambientale e le richieste interne e conflitti chegravano sulle risorse di un individuo (Schafer, 2000). Va osservato che, anche sequesti sforzi sono generalmente volti a correggere o padroneggiare il problema,possono indurre l’individuo ad alterare le percezioni, tollerare o accettare il dannoo la minaccia e sfuggire o evitare la situazione (Lazarus, Folkman, 1984). Sforzi dicoping infatti sono ulteriormente classificati come adattivi (ad esempio, emozioneconcentrata, coronamento di un problema mirato e valutazione focalizzata) o di-sadattivi (ad esempio, rinuncia ad incolpare se stessi) (Weiten, Lloyd, 2003); difatto però quelli specifici impiegati dagli insegnanti di sostegno non sono stati am-piamente studiati. I limitati risultati della ricerca in questo senso indicano che unafrequente strategia richiamata è quella di un sistema di supporto tra pari, che pre-vede interazioni personali e professionali con i colleghi (Yee, 1990), oltre che ade-guati supporti amministrativi (Cross, Billingsley, 1994; Wisniewski, Gargiulo,1997), una efficace formazione inziale e continua e programmi di formazione spe-ciali (Wisniewski, Garguilo, 1997), un’attività di supervisione e di tutorato dovegli insegnanti alle prime armi possano essere affiancati da colleghi veterani (Ber-nard, 1990) e accompagnati nel loro “ingresso professionale”. In particolare, Dun-ham (1992), per esempio, ha suggerito l’uso di self-talk positivi attingendo daisuccessi precedenti, mentre Bandura (1993) ha individuato che un senso di effi-cacia comporti una diminuzione della vulnerabilità allo stress. È vero però che setali meccanismi sono molto conosciuti e vengono facilmente ricondotti alle diversefonti di stress e al burnout che si verifica in particolari condizioni lavorative degliinsegnanti curricolari, è altrettanto vero che il problema risiede nel fatto che lestrategie di coping che impiegano gli insegnanti di sostegno per far fronte ai dif-ferenti fattori di stress rimangano ancora poco studiate.

Alla luce della rassegna della letteratura e delle considerazioni sopra esposte,

ricerche

105

Page 108: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

il contributo di ricerca, al fine di accrescere il dibattito in questa direzione, si ponel’obiettivo di esplorare e descrivere il ruolo dei fattori individuali e contestuali nelburnout di un campione di insegnanti curricolari e di sostegno, in riferimento al-l’assertività, all’orientamento e alle strategie di coping impiegate.

3. La ricerca e le ipotesi

L’obiettivo principale di questo studio è quello di valutare la relazione tra fattoriquali “assertività” e “strategie di coping” e contestuali come “percezione del con-testo lavorativo”, “attaccamento al lavoro”, “impegno organizzativo”, “coinvolgi-mento e soddisfazione lavorativa” legati alla comparsa della sindrome del burnoutnegli insegnanti. Nello specifico, si intende, in primo luogo, verificare l’esistenzadi differenze significative tra insegnanti di sostegno e insegnanti curriculari nellevariabili sopra considerate. In secondo luogo, all’interno di ogni gruppo, si intendevalutare la differenza tra i diversi aspetti delle variabili indagate e la relazione cheognuno di queste assume in riferimento alle diverse manifestazioni assunte dalburnout.

3.1 Soggetti e procedura di campionamento

È stato utilizzato un campionamento non probabilistico per convenienza, ovveroi partecipanti sono stati inclusi nello studio in funzione della disponibilità che idirigenti scolastici di alcune scuole della Sicilia e Calabria mostravano nei con-fronti del progetto di ricerca. La partecipazione alla ricerca era gratuita e volontariae avveniva esclusivamente previa sottoscrizione di un consenso informato, che ga-rantiva il trattamento dei dati personali nel rispetto della normativa italiana(D.lgs.196/2003). Il campione risulta quindi composto da 73 insegnanti (13 Maschie 60 Femmine) di cui 35 insegnanti curricolari (47,9%) e 38 di sostegno (52,1%).La tabella 1 mostra le caratteristiche dei partecipanti.

Tab. 1: Caratteristiche del campione

3.2 Metodologia

Strumenti e procedura

Per non distogliere gli insegnanti dalla loro attività didattica, la somministrazionedei questionari è avvenuta sulla base della disponibilità di ognuno, utilizzando ilocali messi a disposizione dalla scuola. Il tempo impiegato per la compilazioneera di circa un’ora. L’ordine e la sequenza dei questionari erano regolati secondouna procedura a quadrato latino. Tutti i partecipanti hanno compilato:

N Età Genere Scuola Anzianità di servizio

Maschi Femmine Scuola primaria Scuola secondaria

Curricolari 35 51.6 (6.185) 6 29 13 (37.1%) 22 (62.9%) 23 (8.813)

Sostegno 38 47.37 (7.695) 7 31 7 (18.4%) 31 (81.6%) 16.24 (6.792)

106

Page 109: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Scheda socio-anagrafica: appositamente predisposta per la rilevazione delleprincipali informazioni socio-anagrafiche: età, genere, titolo di studio, anzianitàlavorativa, tipologia di incarico, ecc.

Questionario sull’assertività (Alberti, Emmons, 1986). È un questionario chevaluta il grado di assertività, cioè lo stile di comportamento attraverso cui l’indi-viduo riesce ad affermare se stesso. È composto da 35 item disposti su scala Likerta 5 punti. Il questionario prevede due subscale: Stile assertivo Passivo indica la ten-denza a non esprimere i propri sentimenti e desideri, a subire tacitamente preva-ricazioni e richieste irragionevoli; Stile Assertivo Aggressivo tipico di chi impone ipropri diritti, violando quelli degli altri e suscitando sentimenti di offesa, umilia-zione e imbarazzo.

LBQ – Link Burnout Questionnaire (Santinello, 2007). Il Link Burnout Que-stionnaire è un questionario self-report che propone dei nuovi indicatori di bur-nout per chi lavora nelle professioni di aiuto. L’LBQ è composto da 24 item,suddivisi in quattro subscale, ognuna con tre item con polarità positiva e tre conpolarità negativa: Esaurimento psicofisico(la sensazione di sentirsi stanchi e sottopressione, l’esaurimento delle risorse fisiche e psichiche), Deterioramento della re-lazione (quando la relazione di aiuto con l’utente diviene alienata fino al cinismo),Inefficacia professionale (quando i problemi professionali diventano situazioni in-comprensibili) e Disillusione (quello che sembrava una passione è diventato unaroutine priva di significato).

CISS – Coping Inventory for Stressful Situations (Endler, Parker, 2009). Il CopingInventory for Stressful Situations (CISS) è una scala di facile somministrazioneper misurare aspetti multidimensionali del coping. Si articola in tre scale, ciascunacomposta da 16 item: Manovra (descrive sforzi volti a risolvere il problema ristrut-turandolo cognitivamente o tentando di alterare la situazione. L’accento è fonda-mentalmente sul compito o sulla programmazione e sui tentativi di soluzione delproblema), Emozione (descrive le reazioni emotive che sono orientate verso il Sé,con lo scopo di ridurre lo stress), Evitamento (descrive attività e cambiamenti co-gnitivi volti a evitare la situazione stressante. Quest’ultima comprende due sotto-scale: Distrazione (evitare la situazione stressante distraendosi con altre situazionio compiti) e Diversivo sociale (evitare la situazione stressante tramite il diversivosociale).

Questionario per la valutazione delle convinzioni di efficacia, delle percezioni dicontesto, degli atteggiamenti verso il lavoro e della soddisfazione nei contesti scolastici(Steca, Picconi , Gerbino, 2002). Tutte le scale prevedono, per ciascuno degli item,un formato di risposta costituito da una scala Likert a 7 punti. Il questionario ècomposto da diverse scale che definiscono le Convinzioni di efficacia: Scala del-l’efficacia personale percepita (12 item che valutano la convinzione dei docenti diessere all’altezza di quanto richiesto dal proprio ruolo e di far fronte ad ogni emer-genza o eventualità, ad esempio nel rapporto con le famiglie o con i propri colleghi,nella gestione della classe o degli alunni difficili) e Scala dell’efficacia collettiva per-cepita (9 item che misurano le convinzioni di ciascun docente rispetto alla capacitàdella propria scuola di padroneggiare compiti complessi e di far fronte alle innu-merevoli situazioni critiche, di affrontare le problematiche connesse all’abbandonoscolastico, di gestire le relazioni con gli enti locali e fronteggiare le richieste del-l’autonomia scolastica). Soddisfazione lavorativa (4 item che misurano il grado disoddisfazione per il proprio ruolo, le possibilità di crescita personale, l’ambientedi lavoro e il grado di appagamento di bisogni personali attraverso il lavoro). Im-pegno lavorativo (6 item che valutano il legame che la persona stabilisce con l’or-ganizzazione e l’impegno per il raggiungimento degli obiettivi). Percezione del

ricerche

107

Page 110: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

contesto scolastico: Scala della percezione del dirigente scolastico (7 item che misu-rano il grado in cui gli insegnanti valutano la capacità del proprio dirigente sco-lastico di individuare le risorse interne alla scuola, di promuovere la collaborazionee di stabilire chiari obiettivi), Scala della percezione dei colleghi (6 item che valutanola percezione dei rapporti di lavoro, dell’operato dei colleghi e dell’efficacia dellacomunicazione sia tra colleghi che tra questi ultimi gli alunni e le famiglie), Scaladella percezione degli alunni (4 item che valutano la percezione delle relazioni tradocenti e alunni, dell’interesse di questi ultimi verso le materie insegnate e del ri-spetto mostrato verso gli ambienti e le persone), Scala della percezione delle famiglie(4 item che misurano la percezione della relazione tra docenti e genitori, del gradoi cui questi ultimi partecipano e si interessano alla vita scolastica dei figli), Scaladella percezione del personale tecnico-ausiliario (4 item che misurano la percezionedi come il personale tecnico-ausiliario svolge il proprio lavoro in termini di com-petenza e flessibilità), Scala della percezione dell’ambiente fisico (4 item che misu-rano la valutazione delle strutture scolastiche, della loro adeguatezza alle esigenzedidattiche e della sicurezza in generale).

4. Risultati

È stata effettuata un’analisi comparativa tra il gruppo di insegnanti curricolari e ilgruppo di insegnanti di sostegno per verificare eventuali differenze nello stile as-sertivo, nei livelli di burnout, nell’utilizzo delle strategie di coping e nelle convin-zioni di efficacia, percezioni di contesto e atteggiamenti verso il lavoro. Inoltre,sono stati effettuati confronti entro i gruppi tra le diverse componenti dei fattoripresi in esame. Considerata la natura dei dati, si è preferito procedere con un’analisistatistica dei dati non parametrica.

AssertivitàLa tabella 2 mostra Medie e Deviazioni standard dei punteggi ottenuti al Questio-nario sull’assertività.

Tab. 2: Medie e deviazioni standard Questionario assertività

Dal confronto tra i gruppi, utilizzando il test non parametrico di Mann-Whit-ney, non sono emerse differenze significative tra insegnanti curricolari e di soste-gno né nello stile assertivo passivo [U=559,500; p=ns] né nello stile assertivoaggressivo [U=601,500; p=ns].

L’analisi entro i gruppi (test di Wilcoxon) ha, invece, messo in evidenza risultatisignificativi. In particolare, i dati mostrano che sia il gruppo degli insegnanti cur-ricolari [Z=-5.161; p<.001] che quello di sostegno [Z=-5.376; p<.001] sembranopreferire uno stile di comportamento assertivo maggiormente rivolto alla passività,con la tendenza, cioè, a non esprimere i propri sentimenti e desideri e a subire ta-citamente le prevaricazioni.

Stile assertivo passivo Stile assertivo aggressivo

M SD M SD

Curricolari 65.66 10.04 23.46 5.15

Sostegno 62.89 9.35 22.50 4.60

108

Page 111: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Il grafico 1 mostra i punteggi medi ottenuti al Questionario sull’assertività daentrambi i gruppi di insegnanti.

Graf. 1: Assertività

BurnoutLa tabella 3 mostra Medie e Deviazioni standard dei punteggi ottenuti al LBQ –Link Burnout Questionnaire.

Tab. 3: Medie e deviazioni standard - LBQ – Link Burnout Questionnaire

L’analisi dei dati non rileva alcuna differenza significativa tra i due gruppi diinsegnanti nelle diverse manifestazioni del burnout: esaurimento psicofisico[U=543,000; p=ns], deterioramento relazionale [U=516,500; p=ns], inefficaciapersonale [U=626,000; p=ns] e disillusione [U=555,000; p=ns]. Diversamente,l’analisi condotta entro i gruppi (test di Friedman) mostra differenze altissima-mente significative tra le diverse sintomatologie del burnout sia per quanto ri-guarda gli insegnanti curricolari [X2(3)=62.143; p<.001] sia per quanto riguarda idocenti di sostegno [X2(3)=43.782; p<.001]. Nello specifico, sembra che gli inse-gnanti, a prescindere dal loro incarico, mostrino profonda disillusione per il pro-prio lavoro, considerato routinario e privo di interesse, e percepiscano un fortesenso di inefficacia professionale e esaurimento psicofisico, soprattutto in coloroche si occupano di alunni con bisogni educativi speciali.

Il grafico 2 mostra i punteggi medi ottenuti al LBQ – Link Burnout Question-naire da entrambi i gruppi di insegnanti.

!"

#!"

$!"

%!"

&!"

'!"

(!"

)!"

*+,-.+/+0"12334156/34" *+,-.+/+0"74",5,8-.+5"

!""#$%&'()*

906-"/,,-30:5";/,,4:5"

906-"/,,-30:5"/..3-,,4:5"

&!"

'!"

(!"

)!"

" " " " "

*

" " "

" " "

)('&%$#"!"

" " " " "

*

" " "

" " "

" " " " "

*

" " "

" " "

" " " " "

*

" " "

" " "

!"

#!"

$!"

%!"

&!"

/3651433210/++.-,*+ " " " " "

*

" " "

" " "

4/3 5+.-8,5,470/++.-,*+" " " " "

*

" " "

" " "

5:4,/,;5:03-,/,-609

5:4,,-3./.5:03-,/,-609

" " " " "

*

" " "

" " "5

Esaurimento psicofisico Deterioramento relazionale Inefficacia personale Disillusione

M SD M SD M SD M SD

Curricolari 11.80 5.604 10.57 3.837 13.74 3.633 20.77 2.860

Sostegno 13.47 6.387 11.89 3.896 13.71 3.683 20 2.671

ricerche

109

Page 112: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Graf. 2: Bournout

Strategie di copingLa tabella 4 mostra Medie e Deviazioni standard dei punteggi ottenuti al CISS –Coping Inventory for Stressful Situations.

Tab. 4: Medie e deviazioni standard - CISS – Coping Inventory for Stressful Situations

I risultati non mostrano differenze significative tra gli insegnanti curricolari edi sostegno in nessuna delle strategie di coping indagate dallo strumento: manovra[U=571,500; p=ns], emozione [U=626,500; p=ns], evitamento [U=585,000; p=ns],distrazione [U=531,500; p=ns] e diversivo sociale [U=614,500; p=ns]. Tuttaviadati interessanti emergono dal confronto tra le diverse sottoscale del questionario,effettuato entro il gruppo degli insegnanti curricolari [X2(4)=125.381; p<.001] eentro quello di sostegno [X2(4)=130.794; p<.001]. In particolare, sembra che, nelfronteggiare eventi stressanti, tra tutte le alternative, entrambi i gruppi preferisconoutilizzare strategie di coping orientate al compito, che tentano di risolvere il pro-blema ristrutturandolo cognitivamente e programmando tentativi di soluzione.Anche se in molti casi, l’evitamento della situazione stressante, sebbene sia unafunzionalità maladattiva del coping, viene anch’essa utilizzata con più alta frequen-za rispetto ad altre opzioni più funzionali.

Il grafico 3 mostra i punteggi medi ottenuti al CISS – Coping Inventory forStressful Situations.

!"

#"

$!"

$#"

%!"

%#"

&'()*'+',"-.//0-12+/0" &'()*'+',"30"(1(4)*'1"

!"#$%"&'

5(+./06)'41"7(0-18(0-1"

9)4)/01/+6)'41"/)2+:01'+2)"

&');-+-0+"7/1<)((01'+2)"

90(022.(01')"

$#"

%!"

%#"

" " " " "

" "

" "

"

"

$%"&'!"#

" " " " "

" "

" "

"

"

1-0(81-0(714')60/+.(5

" " " " "

" "

" "

"

"

" " " " "

" "

" "

"

"

!"

#"

$!"

+/21-0//.-,+''*)(&' " " " " "

" "

" "

"

"

0 1'*)4(1(03,+''*)(&'" " " " "

" "

" "

"

"

)+2'1+:02)/14')+6/10/)4)9

)+2'10(()<1/7+"0+--;)&'

90(022.(01')

" " " " "

" "

" "

"

"

)

Manovra Emozione Evitamento Distrazione Diversivo sociale

M SD M SD M SD M SD M SD

Curricolari 59.83 7.270 38.74 11.270 43.80 10.740 20.06 6.485 16.17 3.792

Sostegno 62 8.334 37.74 10.904 42.79 11.378 18.26 6.395 16.74 4.366

110

Page 113: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Graf. 3: Strategie di coping

Convinzioni di efficacia, percezioni di contesto e atteggiamenti verso il lavoro La tabella 5 mostra Medie e Deviazioni standard dei punteggi ottenuti al Questio-nario per la valutazione delle convinzioni di efficacia, delle percezioni di contesto,degli atteggiamenti verso il lavoro e della soddisfazione nei contesti scolastici.

Tab. 5: Medie e deviazioni standard Questionario per la valutazione delle convinzioni di efficacia, delle percezioni di contesto,

degli atteggiamenti verso il lavoro e della soddisfazione nei contesti scolastici.

Dal confronto tra i due gruppi, emergono differenze significative nella perce-zione delle istituzioni [U=300,000; p<.001], nella percezione dell’ambiente fisico[U=425,000; p<.01] e nel coinvolgimento lavorativo [U=476,500; p<.05]. Nellospecifico, gli insegnanti curricolari, rispetto ai colleghi di sostegno, percepisconoun maggior sostegno da parte delle istituzioni, valutano le strutture scolasticheche li ospitano sufficientemente sicure ed adeguate alle esigenze didattiche e ancheil loro coinvolgimento nelle attività lavorative appare più funzionale e maggior-mente adattivo rispetto a quello mostrato dal gruppo di sostegno. Inoltre, con-frontando le scale del questionario, si evince che la percezione dei numerosi fattoridifferisce in maniera significativa sia nel gruppo degli insegnanti curricolari[X2(14)=352.576; p<.001] sia in quello dei docenti di sostegno [X2(14)=419.032;p<.001]. Nello specifico, entrambi i gruppi sembrano attribuire un peso rilevantealle convinzioni di efficacia personale e collettiva, alla competenza del proprio di-rigente scolastico e all’impegno investito per il raggiungimento degli obiettivi dellascuola.

!"

#!"

$!"

%!"

&!"

'!"

(!"

)!"

*+,-.+/+0"12334156/34" *+,-.+/+0"74",5,8-.+5"

!"#$"%&'%()'(*+,'-&(

9/+5:3/""

;<5=45+-"

;:48/<-+85"

>4,83/=45+-"

>4:-3,4:5",514/6-"

'!"

(!"

)!"

!"#

" " " " "

"

"

"

"

" "

+,'-&(()'(*&'%%"$!"#

" " " " "

"

"

"

"

" "

+,'-&(

/"3:59/+

" " " " "

"

"

"

"

" "

!"

#!"

$!"

%!"

&!"

/3651433210/++.-,*+ " " " " "

"

"

"

"

" "

4/3 5+.-8,5,470/++.-,*+" " " " "

"

"

"

"

" "

-+5=45<;

58+-/<84:;

-+5/=483,4>

-/6415,5:4,3-:4>

Effic

acia

per

sona

le

Effic

acia

col

letti

va

Diri

gent

e sc

olas

tico

Col

legh

i

Pers

onal

e au

silia

rio

Pers

onal

e se

gret

eria

Fam

iglie

Alu

nni

Istit

uzio

ni

Am

bien

te fi

sico

Aut

onom

ia

Inno

vazi

one

Impe

gno

orga

nizz

ativ

o

Coi

nvol

gim

ento

la

vora

tivo

Sodd

isfa

zion

e la

vora

tiva

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

Curricolari 72.09 (4.73)

50.4 (9.48)

39.09 (9.93)

31.54 (6.66)

22.31 (3.24)

10.91 (2.57)

21.8 (4.25)

22.69 (3.89)

22.17 (4.47)

22.6 (4.29)

21.11 (5.02)

22.14 (4.57)

34.06 (5.71)

22.29 (4.5)

22.97 (3.59)

Sostegno 70 (9.76)

50.74 (8.04)

40.68 (7.74)

31.87 (6.61)

22 (4.53)

11.92 (1.84)

20.89 (4.6)

21.37 (3.9)

17.76 (4.61)

19.26 (5.74)

21.89 (4.15)

21.68 (4.71)

34.34 (5.28)

20.71 (4.8)

22.87 (4.28)

ricerche

111

Page 114: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Il grafico 4 mostra i punteggi medi ottenuti al Questionario per la valutazionedelle convinzioni di efficacia, delle percezioni di contesto, degli atteggiamenti versoil lavoro e della soddisfazione nei contesti scolastici.

Graf. 4: Convinzioni di efficacia, percezioni di contesto e atteggiamento verso il lavoro

4.1 Correlazioni

Sono state effettuate, all’interno di ogni gruppo, analisi correlazionali (rho di Spe-arman) tra i livelli di burnout e le altre variabili indagate, al fine di verificare seesiste una relazione tra i diversi aspetti e come tale relazione varia in funzione delruolo assunto dall’insegnante (curricolare vs sostegno).

Burnout e stile assertivoPer quanto riguarda il gruppo degli insegnanti curricolari, i risultati indicano chepiù elevato è il livello di esaurimento psicofisico del docente maggiore sarà il sensodi inadeguatezza professionale percepito (r=.623; p=<.001), a discapito di un piùmarcato deterioramento delle relazioni interpersonali (r=.615; p=<.001). Nonsembra, invece, avere un peso rilevante, nella manifestazione del burnout, lo stileassertivo adottato dall’insegnante.

Nel caso degli insegnanti di sostegno, i risultati mettono in evidenza correla-zioni più complesse tra i diversi sintomi del burnout e lo stile assertivo utilizzato.In particolare, a maggiore livello di esaurimento psicofisico corrisponde una scarsaqualità nei rapporti sociali (r=.666; p=<.001), scarsa autoefficacia professionale(r=.535; p=<.01) e una maggiore predisposizione ad utilizzare uno stile assertivoaggressivo (r=.376; p=<.05). Tale predisposizione all’aggressività sembra esserepresente anche in quegli insegnanti che hanno perso ogni interesse e motivazioneper il proprio lavoro (r=.493; p=<.01) e che non riescono più a mantenere adeguaterelazioni sociali (r=.493; p=<.01).

Burnout e strategie di copingNel gruppo degli insegnanti curricolari, i dati mettono in evidenza che più le rela-zioni interpersonali tendono a diventare alienate e ciniche minore sarà la probabilità

!"

#!"

$!"

%!"

&!"

'!"

(!"

)!"

*!"

+,-./,0,1"23445267045" +,-./,0,1"85"-6-9./,6"

!"#$%#&%"#%'(%')*+,+%,-'.)/+)&%"#%'(%'+"#0)10"')',2)33%,4)#0"'$)/1"'%5'5,$"/"''

:;20250"<.4-6,07."

:;20250"2677.=>0"

?545/.,9."-2670-126"

@677./A5"

B.4-6,07."03-5750456"

B.4-6,07."-./4.9.450"

C0D5/75.""

E73,,5"

+-193F56,5"

EDG5.,9."H-526"

E396,6D50"

+,,6>0F56,."

+D<./,6"64/0,5FF01>6"

@65,>67/5D.,96"70>6401>6"

I6885-J0F56,."70>6401>0"

&%#$%#!"

" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

)/'.-,+%,*+')%'(%#"&%/)$"#0)4,%33),2

" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

"0)10#"'+%'(%#"&%+))/"/"$,55%"1/

" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

')'

" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

&!"

'!"

(!"

)!"

*!"

" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

.07,6-4.<0"5022;:

0"=>.77620"5022;:

6210-762-.9,./545?

A5"/@677.

6504575-03.07,6-4.B

0"54.9.4/.-.07,6-4.B

.57/50DC

5,,3E7

" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"!"

#!"

$!"

%!"

210,,/.-+, " " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

50476254432" " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

6,/.9-6-5810,,/.-+," " " " "

' ' ' ''

"

" "

" "

"

""

"

"

"

"

" "

"

5,,3E7

5,6F5931+-

625-H."9.,5EDG

0"5D6,693E

.,60F5>6,+,

6>10FF50,/466,/.<+D

6"1>064>6"709,5D.67/>@65,

0">1046>07.,60F5J-5886I

112

Page 115: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

di utilizzare strategie di coping altamente funzionali quali la manovra (r=.-362;p=<.05). Non risultano significative le correlazioni tra le altre variabili.

Per gli insegnanti di sostegno, invece, forse a causa del maggiore rischio distress a cui vanno incontro nello svolgimento della loro attività didattica, le diversemanifestazioni del burnout sembrano avere un ruolo maggiormente rilevante nelladefinizione delle modalità di fronteggiamento dello stress. Nello specifico, l’esau-rimento delle risorse fisiche e psichiche (r=.-478; p=<.01) unito alla percezione diimpotenza e inefficacia professionale (r=.-365; p=<.05) sembrano impedire al do-cente di risolvere il problema in maniera funzionale, cioè ristrutturando cogniti-vamente la situazione e trovando soluzioni alternative. È pur vero, però chepotrebbe anche essere che l’incapacità, da parte del docente, di utilizzare un copingcentrato sul compito, modalità altamente funzionale, lo predisponga maggior-mente al rischio di subire eccessivamente lo stress, con conseguente esaurimentodelle risorse psicofisiche e senso di inadeguatezza professionale.

Burnout e convinzioni di efficacia, percezioni di contesto e atteggiamento verso il lavoroGli insegnanti curricolari che mostrano minore senso di efficacia personale (r=.-423; p=<.05) e collettiva (r=.-415; p=<.05), che valutano meno competente il pro-prio dirigente scolastico (r=.-481; p=<.01) e hanno una scarsa considerazionedell’operato dei propri colleghi (r=.-598; p=<.001) e del personale ausiliario (r=.-386; p=<.05) sembrano manifestare più alti livelli di esaurimento psicofisico. Unatale carenza di risorse psicofisiche si lega a minore impegno organizzativo da partedel docente (r=.-533; p=<.051), scarso coinvolgimento lavorativo (r=.-335; p=<.05)e insoddisfazione per il proprio lavoro (r=.-447; p=<.01). Inoltre, convinzioni diinefficacia personale (r=.-534; p=<.01) e collettiva (r=.-630; p=<.001), una scarsapercezione circa il lavoro del proprio dirigente scolastico (r=.-581; p=<.001), deipropri colleghi (r=.-534; p=<.001) e del personale ausiliario (r=.-607; p=<.001) sicorrelano a un deterioramento delle relazioni sociali, molto frequente in condi-zioni di burnout. La convinzione negativa di ciascun docente rispetto alla capacitàdella propria scuola di padroneggiare compiti complessi e di far fronte alle innu-merevoli situazioni critiche (efficacia collettiva) (r=.-437; p=<.01) e la percezionedel contesto scolastico, in termini di inefficienza nei rapporti con il dirigente sco-lastico (r=.-545; p=<.01), con i colleghi (r=.-513; p=<.01) e con il personale ausi-liario (r=.-379; p=<.05) sembrano legarsi, inoltre, a una maggiore sensazione diinadeguatezza professionale e rischio burnout. Mentre una riduzione del legameche la persona stabilisce con l’organizzazione scolastica (r=.-576; p=<.001) e anchedel grado di appagamento dei bisogni personali attraverso il lavoro (r=.-405;p=<.05) sembrano favorire un alto grado di disillusione per il proprio lavoro.

Per quanto riguarda gli insegnanti di sostegno, un livello di esaurimento psi-cofisico disadattivo sembra legarsi a una scarsa fiducia nell’operato delle istituzioni(r=.-344; p=<.05) e alla percezione di non riuscire ad agire in piena autonomia(r=.-339; p=<.05). Inoltre, il senso di spossatezza sembra condizionare anche l’im-pegno che il docente investe nell’organizzazione (r=.-428; p=<.01) e la soddisfa-zione per il suo lavoro (r=.-526; p=<.01). Il deterioramento dei rapportiinterpersonali sembra, invece, correlato soprattutto con i rapporti con il personaleausiliario (r=.-336; p=<.05), con le famiglie (r=.-327; p=<.05) e con gli alunni (r=.-430; p=<.01), condizionando conseguentemente il più generale grado di soddi-sfazione e benessere legato alla propria attività lavorativa (r=.-383; p=<.05). Inoltre,a una scarsa autostima personale (r=.-437; p=<.01), a rapporti inadeguati con lefamiglie (r=.-322; p=<.05), a una scarsa fiducia nell’operato delle istituzioni (r=.-323; p=<.05) e a un mancato senso di autonomia sembra corrispondere un elevato

ricerche

113

Page 116: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

senso di incompetenza professionale. Un tale stato di inadeguatezza, in ambitoprofessionale, si lega a elevati livelli di insoddisfazione lavorativa (r=.-458; p=<.01)significativamente connessi al rischio burnout.

Discussione L’obiettivo principale di questo studio era approfondire la relazione tra fattori in-dividuali, quali lo stile assertivo e le strategie di coping, e contestuali, quali le con-vinzioni di efficacia, la percezione del contesto scolastico e l’atteggiamento versoil lavoro, e la comparsa della sindrome del burnout negli insegnanti. Nello speci-fico, la letteratura nazionale e internazionale ha, da tempo, rivelato evidenti ele-menti di complessità intrinseca legati alla categoria degli insegnanti di sostegno,più esposti degli altri a pratiche educative impegnative (Snowman & Biehler, 2000)e a un maggior addensamento di emergenze educative e di fonti stressanti in cam-po scolastico (Beck & Garguilo, 2001; Billingsley, 2004; Eloff, Engelbrecht, Oswald,& Swart, 2003). Più specificamente, alcuni ricercatori hanno mostrato come gliinsegnanti di sostegno manifestino esigenze diverse rispetto a qualche anno fa(Bester & Swanepoel, 2000; Gersten, Keating, Yovanoff, & Harniss, 2001; Cane-varo, 2013) e presentino tassi di abbandono più elevati nella professione rispettoa quelli curricolari.

Pertanto, in questo studio, si è voluta verificare l’esistenza di differenze signi-ficative tra insegnanti di sostegno e insegnanti curriculari nelle variabili sopraconsiderate e valutare, all’interno di ogni gruppo di docenti, la relazione che ognu-na di queste assume in riferimento alle diverse manifestazioni del burnout.

L’analisi comparativa, sebbene non evidenzi differenze significative tra i duegruppi di docenti nelle variabili individuali indagate (stile assertivo, modalità dicoping e manifestazioni del burnout), indica, tuttavia, che gli insegnanti curricolarisembrano attribuire maggiore peso, rispetto ai colleghi di sostegno, ai fattori con-testuali, quali soprattutto il ruolo delle istituzioni, l’ambiente fisico e il grado dicoinvolgimento lavorativo. Una tale differenza nella percezione del contesto e nel-l’atteggiamento verso il proprio lavoro potrebbe essere in parte dovuto al diversogrado di partecipazione e coinvolgimento alle attività organizzative e scolasticheche caratterizza questi gruppi di insegnanti. Ciononostante, tutti i docenti parte-cipanti concordano nel ritenere il senso di autoefficacia personale e collettiva, lapercezione del dirigente e l’impegno organizzativo quali fattori maggiormente ri-levanti nella percezione globale del contesto scolastico. Inoltre, i risultati mostranoche entrambi i gruppi di insegnanti sembrano adottare tendenzialmente uno stileassertivo passivo e una modalità di coping orientato al compito, come la manovra;anche se, pur se non in maniera significativa, evitare la situazione stressante sem-bra comunque una strategia di fronteggiamento adottata da molti di loro. Perquanto riguarda, infine, il burnout, gli insegnanti, a prescindere dal loro ruolo,mostrano una grave sofferenza psicologica per l’eccessivo carico di lavoro a cuisono quotidianamente sottoposti che, unita alla carenza di risorse individuali econtestuali, contribuisce alla demotivazione e disillusione nei confronti del propriolavoro e a un profondo senso di inefficacia professionale, con importanti ricadutesul loro più generale benessere psicofisico. Sebbene non significativo, è bene sot-tolineare che negli insegnanti di sostegno, molto probabilmente connesso al gradodi stress a cui sono maggiormente sottoposti, è evidente anche il rischio di esau-rimento psicofisico che va ad aggravare un quadro psicologico già fortementecompromesso.

Inoltre, dall’analisi correlazionale condotta all’interno di ogni gruppo di do-centi, si evincono correlazioni significative tra le manifestazioni del burnout e gli

114

Page 117: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

altri fattori presi in esame. Nello specifico, rispetto allo stile assertivo, sembra che,soprattutto per gli insegnanti di sostegno, alti livelli di esaurimento, inefficacia edisillusione rappresentano un fattore di rischio nell’utilizzo di modalità interattivetendenti all’aggressività. Ciò potrebbe compromettere seriamente i rapporti inter-personali dell’insegnante con i colleghi, alunni e genitori, con conseguenze ancorpiù negative sul proprio benessere psicologico ed emotivo.

È noto che di fronte ad un evento stressante le modalità di reazione allo stresssono influenzate da notevoli fattori interni ed esterni all’individuo e l’adeguatezzadelle strategie adottate può rappresentare un fattore di protezione nella comparsadel burnout. In effetti, i risultati del nostro studio indicano che, utilizzare modalitàdi fronteggiamento altamente funzionali, quali la manovra, aiuta a contenere glieffetti negativi del burnout, contribuendo negli insegnanti curricolari ad arginareil deterioramento delle relazioni interpersonali, mentre negli insegnanti di soste-gno a ridurre l’esaurimento psicofisico e il senso di inefficienza professionale.Quindi, promuovere nel docente, anche attraverso specifici training di potenzia-mento, l’uso di tecniche di coping più efficaci favorirebbe lo sviluppo di stati emo-tivo-motivazionali più funzionali, aumentando la soddisfazione e ilcoin volgimento lavorativo.

Rispetto al contesto, c’è da dire, infine, che la comparsa del burnout negli in-segnanti curricolari sembra essere fortemente influenzata da convinzioni di effi-cacia personale e collettiva inadeguate e da rapporti con i colleghi, con il dirigentescolastico e con il personale di supporto fortemente insoddisfacenti, che contri-buiscono non soltanto a deteriorare la qualità delle relazioni sociali ma intaccanosoprattutto le risorse psicofisiche dell’insegnante e la sua percezione di competenzaprofessionale. Diversamente, per i colleghi di sostegno, l’esaurimento psicofisicosembra essere maggiormente influenzato dalla mancanza di autonomia e dallainadeguatezza dei rapporti con gli alunni e con le loro famiglie. Infatti, la perce-zione di una certa limitatezza nelle loro attività didattiche e il non riuscire, forsea causa di questa stessa restrizione, a instaurare e mantenere relazioni soddisfacenticon gli alunni che seguono e con i loro genitori provocano, in questi insegnanti,un forte senso di inefficacia e disimpegno professionale, che a lungo termine po-trebbero portare a demotivazione e abbandono del proprio lavoro.

In conclusione, si può affermare che, così come dimostrato in letteratura, laconvinzione di efficacia personale e professionale, la percezione del contesto e l’at-teggiamento verso il lavoro possono rappresentare dei potenziali fattori di rischionei casi in cui questi risultano inadeguati e si legano a condizioni psicofisiche giàfortemente compromesse o allorquando le risorse dell’insegnante sono insuffi-cienti a fronteggiare elevati livelli di stress. Mentre questi stessi fattori possono ri-sultare altamente protettivi se contribuiscono a mantenere l’equilibrio psicofisicodel soggetto e a favorire una maggiore soddisfazione in ambito lavorativo. Ciono-nostante è bene sottolineare che l’efficacia professionale e la qualità dei rapporti“macro” (dirigente, colleghi, istituzioni, personale ausiliario) sembrano maggior-mente influire sulla comparsa del burnout negli insegnanti curricolari, mentre lapercezione di autonomia e i contatti “micro” (alunni, famiglie) sembrano regolarenegli insegnanti di sostegno lo stato emotivo-motivazionale. A questo proposito,indicative rimangono quelle ricerche condotte in ambito italiano (Meazzini, 2000;Pedditzi, Nonnis, 2009) incentrate sulla soddisfazione professionale che eviden-ziano come gli stili comunicativi caratterizzati da passività, aggressività e man-canza di assertività siano predittori dell’esaurimento emotivo e delladepersonalizzazione e quelli di assertività e a ridotta passività e aggressività sianopredittori della realizzazione personale degli insegnanti (Pedditzi, 2005), richie-

ricerche

115

Page 118: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

dendo in tal senso una formazione iniziale e continua adeguata orientata versouno sviluppo appropriato delle capacità relazionali e diretta a contrastare l’uso distili comunicativi incentrati sull’aggressività, sulla passività e sull’anassertività,oltre che volta a potenziare una comunicazione efficace (Pedditzi, Nonnis, 2009).Ciò diviene estremamente importante se si riconduce tale formazione ai profilimotivazionali degli insegnanti, i quali variano durante l’arco della carriera così co-me la volontà di impegnarsi in nuove pratiche educative che varia a seconda delledifferenti fasi professionali: pertanto sostenere e promuovere nuove competenzee conoscenze negli insegnanti, come anche la loro efficacia, diviene dunque il mo-tore centrale per un cambiamento della professionalità nel tempo che tenda a raf-forzare la capacità degli insegnanti di riuscire a comprendere ciò di cui hannopersonalmente e professionalmente bisogno.

5. Limiti dello studio e conclusioni

Lo studio presenta alcuni limiti individuabili nella esiguità del campione e nel me-todo di campionamento impiegato. Si tratta di un campionamento non probabi-listico per convenienza. Le ridotte dimensioni del campione e i raggruppamentidello studio potrebbero non renderlo completamente rappresentativo della popo-lazione di riferimento. Tuttavia, nonostante le piccole dimensioni del campione,significativi appaiono i risultati che forniscono informazioni dettagliate sul ruolodelle convinzioni di efficacia personale, della percezione del contesto e dell’atteg-giamento degli insegnanti nei confronti del lavoro nelle situazioni in cui compa-iono manifestazioni di burnout. Se dunque i limiti strutturali dello studioimpediscono di descrivere i meccanismi sottostanti da cui tale interazione dipendee di fornire il peso assunto dalle singole variabili, aspetti che sarebbe opportunoesplorare con un ulteriori e più approfondite indagini, interessante sembrano es-sere i risultati a cui giunge l’indagine come punto di partenza per future esplora-zioni dirette a cercare di comprendere meglio il rapporto e il significato assuntodalle variabili socio-culturali in relazione alle misure studiate. Una delle stradepotrebbe essere quelle di orientare gli studi verso la ricostruzione dei profili mo-tivazionali degli insegnanti in formazione iniziale e continua, prestando particolareattenzione ai tre domini di autoefficacia (coinvolgimento degli studenti, strategiedidattiche e gestione dell’aula), fattori principali connessi allo stress lavorativo, intermini di carico di lavoro e attività di classe, e alla soddisfazione sul lavoro (Klas-sen, Chiu, 2010). È noto infatti come ricerche precedenti si siano occupate di di-mostrare che l’auto-efficacia negli insegnanti aumenti nelle prime fasi della lorocarriera e diminuisca a fine carriera. Pertanto, risulterebbe utile, soprattutto infase in formazione iniziale, mettere in condizione gli insegnanti di prendere co-scienza delle proprie risorse personali che li aiutino ad imparare a gestire i processidi insegnamento-apprendimento, ad acquisire sistemi di contenimento dellostress, ad attivare strategie comunicative (verbali e non) in grado di cogliere e com-prendere i conflitti nei processi di interazione che si svolgono nei percorsi di in-segnamento-apprendimento, oltre che ad accrescere le abilità che concorrono adeterminare l’autocontrollo dei propri obiettivi nel rapporto tra aspettative correttee capacità possedute (Pedditzi, Nonnis, 2009). Tutto questo appare legato al biso-gno di incrementare l’autonomia emotiva e il rafforzamento della conoscenza deipropri vissuti allo sviluppo professionale e ai programmi di formazione che, se in-centrati prevalentemente nelle fasi iniziali della carriera degli insegnanti, possono

116

Page 119: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

contribuire meglio a sostenere il corredo di competenze e conoscenze che con-corrono ad accrescere la loro fiducia sia nelle proprie possibilità sia nelle capacitàdi insegnare. Recenti studi sulla Self Determination Theory (Deci & Ryan, 1985),condotti in ambiti diversi, mostrano il ruolo cruciale dei bisogni di base nello svi-luppo di motivazioni maggiormente autonome e nella promozione del benesserepsicofisico dell’insegnante per lo svolgimento del proprio lavoro e per la qualitàdell’insegnamento. Ciò fornisce nuove e interessanti prospettive di ricerca volte adefinire e comprendere meglio il ruolo della motivazione e della soddisfazione/frustrazione dei bisogni di base (autonomia, relazione, competenza) nello sviluppoe nel mantenimento di stati di benessere emotivo maggiormente funzionali ad unaazione didattica soddisfacente e ad una complessiva efficacia professionale.

Riferimenti bibliografici

Albanese O., Doudin P.A., Farina E., Fiorilli C., Strepparava M.G. (2007). Rischie risorse nella professione insegnante. In A. Delle Fave (Ed.), La condivisionedel benessere. Il contributo della psicologia positiva (pp. 231-247). Milano: Fran-coAngeli.

Alberti R., Emmons M. (1986). Your perfect right: a guide to assertive living. SanLuis Obispo: Impact Publishers.

Anderson L.W., Pellicer L.O. (2001). Teacher peer assistance and review. ThousandOaks: Corwin.

Antonovsky A. (1979). Health, stress and coping. San Francisco: Jossey-Bass.Antonovsky A. (1987). Unraveling the mystery of health. How people manage stress

and stay well. San Francisco: Jossey-Bass.Bandura A. (1993). Perceived self-efficacy in cognitive development and func-tioning. Educational Psychology, 28(2), pp. 117-148.

Beck C.L., Gargiulo R.M. (1983). Burnout in teachers of retarded and non retardedchildren. Journal of Educational Research, 76(3), pp. 169-173.

Bernard M.E. (1990). Rational-emotive therapy with children and adolescents:treatment strategies. School Psychology Review, 19(3), pp. 294-304.

Bester G., Swanepoel L. (2000). Stress in the learning situation: a multivariableand developmental approach. South African Journal of Education, 20(4), pp.255-259.

Betoret F. D. (2006). Stressors, self-efficacy, coping resources, and burnout amongsecondary school teachers in Spain. Educational Psychology, 26(4), pp. 519-539.

Billingsley B.S. (2004). Special education teacher retention and attrition: a criticalanalysis of the research literature. The Journal of Special Education, 20(1), pp.39-55.

Brouwers A., Tomic W. (1998, July). Student disruptive behaviour, perceived self-efficacy in classroom management and teacher burnout. Paper presented at theninth European Conference on Personality, University of Surrey.

Canevaro A. (2013). Scuola inclusive e mondo più giusto. Trento: Erickson.Chwalisz K., Altmaier E., Russell D. (1992). Causal attributions, self-efficacy cog-nitions, and coping with stress. Journal of Social and Clinical Psychology, 11(4),pp. 377-400.

Cottini L. (2011). L’autismo a scuola. Quattro parole chiave per l’integrazione. Roma:Carocci.

ricerche

117

Page 120: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Croll P., Moses, D. (2000). Special needs in the primary school. London: Cassell.Cross L.H., Billingsley B. (1994). Testing a model of special educators’ intent tostay in teaching. Exceptional Children, 60(5), pp. 411-421.

Deci E.L., Ryan R.M. (1985). Intrinsic motivation and self-determination in humanbehavior. New York: Plenum.

Drago R. (2006). Presente e futuro degli insegnanti: rassegna della ricerca inter-nazionale. Psicologia dell’Educazione e della formazione, 8, pp. 199-224.

Dunham J. (1992). Stress in teaching. London: Routledge.Engelbrecht P., Oswald M., Swart E., Eloff I. (2003). Including learners with intel-lectual disabilities: stressful for teachers? International Journal of Disability,Development, & Education, 50(3), pp. 293-308.

Endler N.S., Parker J.D.A (2009). Coping Inventory for stress full situations. Padova:Giunti OS.

Jennett H.K., Harris S.L., Mesibov G.B. (2003). Commitment to philosophy,teacher efficacy, and burnout among teachers of children with autism. Journalof Autism and Developmental Disorders, 33(6), pp. 583-593.

Engelbrecht P. (2006a). Creating collaborative partnerships in inclusive schools.In P. Engelbrecht & L. Green (Eds.). Responding to the challenges of inclusiveeducation in Southern Africa (pp. 175-185). Pretoria: Van Schaik.

Engelbrecht P. (2006b). The implementation of inclusive education in South Africaafter ten years of democracy. European Journal of Psychology of Education,21(3), pp. 253-264.

Evers W.J.G., Brouwers A., Tomic W. (2002). Burnout and self-efficacy: a study onteachers’ beliefs when implementing an innovative educational system in theNetherlands. British Journal of Educational Psychology, 72(2), pp. 227-243.

Friedman I.A., Farber B.A. (1992). Professional self-concept as a predictor ofteacher burnout. Journal of Educational Research, 86(1), pp. 28-35.

Forshaw M. (2003), Advanced Psychology: Health Psychology. London: Hodder& Stoughton.

Freudenberg H.J. (1974). Staff burn-out. Journal of Social Issues, 30(1), pp. 159-165.

Friedman I. A., Farber B. A. (1992). Professional self-concept as a predictor ofteacher burnout. Journal of Educational Research, 86(1), pp. 28-35.

Gersten R., Keating T., Yovanoff P., Harniss M. K. (2001). Working in special ed-ucation: factors that enhance special educators’ intent to stay. Exceptional Chil-dren, 67(4), pp. 549-567.

Hakanen J.J., Bakker A.B., Schaufeli W.B. (2006). Burnout and work engagementamong teachers. Journal of School Psychology, 43(6), pp. 495-513.

Hobfall S.E., Freedy J. (1993). A general stress theory applied to burnout. In W.B.Schaufeli, C. Maslach, T. Marek (Eds.), Professional burnout: recent develop-ment in theory and research (pp. 115-129). Washington, Taylor & Francis.

Jennett H.K., Harris S.L., Mesibov G.B. (2003). Commitment to philosophy,teacher efficacy, and burnout among teachers of children with autism. Journalof Autism and Developmental Disorders, 33(6), pp. 583-593.

Klassen R.M., Chiu M.M. (2010, August). Effects on teachers’ self-efficacy and jobsatisfaction: Teacher gender, years of experience, and job stress. Journal of Ed-ucational Psychology, 102(3), pp. 741-56.

Kyriacou C. (2001). Teacher stress: Directions for future research. Educational Re-view 53(1), pp. 27-35.

Lazarus R.S., Folkman S. (1984). Stress, appraisal and coping. New York: Springer.Leung D.Y.P., Lee W.W.S. (2006). Predicting intention to quit among Chinese

118

Page 121: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

teachers: differential predictability of the components of burnout. Anxiety,Stress & Coping. An International Journal, 19(2), pp. 129-141.

Maslach C. (1976). Burned-out. Human Behavior, 5(9), pp. 16-22.Maslach C. (1978). Job burn-out: how people cope, Public Welfare, 36(2), pp. 56-58.

Mousavi E.S. (2007). Exploring teacher stress in non-native and native teachersof EFL. ELTED, 10, pp. 33-41.

Ogden J. (2004). Health psychology. A textbook. Maidenhead: OUP.Otto S.J., Arnold M. (2005). A study of experienced special education teachers’perceptions of administrative support. College Student Journal, 39(2), pp. 253-260.

Payne R. (2005). Special education teacher shortages: barriers or lack of prepara-tion? The International Journal of Special Education, 20(1), pp. 88-91.

Pedditzi M. L. (2005).La fatica di insegnare: stress e burnout nel mondo della scuola,Cagliari: CUEC.

Pedditzi M. L., Nonnis M. (2009). Competenze relazionali e burnout dei docenti:alcuni risultati di ricerca. International Journal of Developmental and Educa-tional Psychology, 1(2), 2009, pp. 81-88.

Pellicer L.O., Anderson L. W. (2001). Teacher leadership: a promising paradigmfor improving instruction in science and mathematics. In C.R. Nesbit, J.D. Wal-lace, D.K. Pugalee, A.C. Miller, W.J. DiBiase (Eds.), Developing teacher leaders:professional development in science and mathematics. Columbus: Clearinghousefor Science, Mathematics, and Environmental Education.

Rossati A., Magro G. (1999). Stress e burnout. Roma: Carocci.Sanderson C.A. (2004). Health psychology. Hoboken: John Wiley.Sarafino E.P. (20086). Health psychology: Biopsychosocial interactions. New York:Wiley.

Sartori R., Rappagliosi C. M. (2011). Stress e insegnamento: contributo all’indaginesulle strategie di coping degli insegnanti in Italia.Journal of Educational, Cul-tural and Psychological Studies (ECPS), 2 (4), pp. 147-165.

Santinello M. (2007). Link Burnout Questionnaire. Padova: Giunti OS.Schafer W. (2000). Stress management for wellness (4th ed.). Belmont, California:Thomson Learning.

Schuttenberg E.M., O’Dell F., Kaczala C.M. (1990). Vocational personality typesand sex role perceptions of teachers, counsellors, and educational administra-tors. The Career Development Quarterly, 39, pp. 60-71.

Schaufeli W.B., Salanova M. (2007). Work engagement: an emerging psychologicalconcept and its implications for organizations. In S.W. Gilliland, D.D. Steiner& D.P. Skarlicki (Eds.), Research in social issues in management: Vol. 5. Man-aging social and ethical issues in organizations. Greenwich: Information AgePublishers.

Skaalvik E.M., Skaalvik S. (2007). Dimensions of teacher self-efficacy and relationswith strain factors, perceived collective teacher efficacy, and teacher burnout.Journal of Educational Psychology, 99 (3), pp. 611-625.

Skaalvik E.M., Skaalvik S. (2010). Teacher self-efficacy and teacher burnout: astudy of relations. Teaching and Teacher Education, 26 (4), pp. 1059-1069.

Snowman J., Biehler R. (2000). Psychology applied to teaching. New York:Houghton Mifflin.

Steca P., Picconi L., Gerbino M. (2002). Convinzioni di efficacia, percezioni dicontesto, atteggiamenti verso il lavoro e soddisfazione. Psicologia dell’Educa-zione e della Formazione, 4 (1), pp. 73-92.

Stein M.K., Wang M.C. (1988). Teacher development and school improvement:

ricerche

119

Page 122: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

the process of teacher change. Teaching and Teacher Education, 4(2), pp. 171-187.

Stempien L.R., Loeb R.C. (2002). Differences in job satisfaction between generaleducation and special education teachers. Remedial and Special Education,23(5), pp. 258-267.

van Dyck R., Wagner U. (2001). Stress and strain in teaching: a structural equationapproach. British Journal of Educational Psychology, 71(2), pp. 243-259.

Weiten W., Lloyd M.A. (20037). Psychology applied to modern life: Adjustment inthe 21st century. Australia: Wadsworth/Thomson Learning.

Wisniewski L.A., Gargiulo R.M. (1997). Occupational stress and burnout amongspecial educators: a review of the literature. Journal of Special Education, 31(3),pp. 325-347.

Yee S. (1990). Career in the classroom: when teaching is more than a job. New York:Teachers College Press.

120

Page 123: Sird12 2014

121

Globalizzazione e nuovi profili identitari tra i giovani. Alcune riflessioni sull’educazione nella società globale

Globalization and new Identity Profiles among young people. Some reflections on Education in a globalized society

Muovendo dalla rassegna delle teorie piùrecenti sugli effetti della globalizzazione neiprocessi di formazione dell’identità cultura-le dei giovani, e da una sintetica ricognizio-ne delle principali proposte teoriche epratiche relative alla Identity Education e allaGlobal Education, vengono illustrati i risul-tati dello studio di validazione di un apposi-to strumento, il questionario SAC-GL (Scaladi misurazione dell’Appartenenza alla Co-munità Globale e Locale) elaborato dagli au-tori ai fini della verificabilità dei tre profiliidentitari (Biculturali, Monoculturali e Con-fusi) teorizzati da Jeffrey Jensen Arnett(2002). Alla luce dei risultati ottenuti, gli au-tori propongono alcuni spunti di riflessionesulle possibili implicazioni in campo educa-tivo, in relazione alla progettazione di prati-che orientate alla formazione di identitàbiculturali in cui i valori, le tradizioni, le pra-tiche e gli stili di vita si fondono, in un rap-porto di mutua reciprocità, con le nuove ecomplesse forme della società globalizzata.

Parole chiave: Globalizzazione, Identità, Ap-partenenza, Villaggio Globale, Identity Edu-cation, Global Education.

Starting from a review of the most recenttheories on the effects of Globalization onYouth Identity formation and the main pro-posals on Identity Education and GlobalEducation, this paper presents the results ofa validation of the SAC-GL Questionnaire(Scale of measurement of the sense of be-longing of global and local community),created by Muscarà and Messina, in order toverify three Identity Profiles (Bicultural- Mo-nocultural and Confused) shaped by Arnett(2002). Based on the results achieved, theauthors propose some food for thought forthe possible implications in education re-garding the planning of practices aimed atBicultural Identity profile formation inwhich values, traditions, practices and styleof life merge, in mutual relationship, with anew and complex form of a globalized so-ciety.

Keywords: Globalization, Identity, Sense ofBelonging, Global Village, Identity Educa-tion, Global Education.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Marinella Muscarà - Università degli Studi di Enna Kore – [email protected] Messina - Università degli Studi di Enna Kore – [email protected]

Page 124: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Introduzione

Sebbene il termine “globalizzazione” sia entrato nel linguaggio comune della so-cietà contemporanea, la sua definizione è però ampia e varia. Giddens definiscela globalizzazione come “l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che colle-gano tra loro località distanti facendo sì che gli eventi locali vengano modellatidagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa” (Gid-dens, 1994, p. 71), riconoscendo nella scomposizione delle categorie di spazio etempo il nucleo centrale dei moderni processi di globalizzazione. Tali mutamentihanno determinato nuovi modi di approcciare, conoscere e gestire i processi difunzionamento e i cambiamenti interni della società. Se un tempo le azioni umaneerano contestualizzate all’interno di riferimenti spazio-temporali ben determinatie le conoscenze sulle azioni passate potevano essere utilizzate come strumento percontrollare le azioni future, con l’avvento della modernità i riferimenti spazio-tem-porali delle azioni umane si sono dilatati e sono diventati, pertanto, in larga misuraimprevedibili. Uno dei più potenti effetti della globalizzazione in epoca tardo-mo-derna consiste, dunque, nello sgretolamento dei tradizionali supporti della coe-sione sociale, che si traduce inevitabilmente nel dissolvimento delle vecchie formeidentitarie costruite su basi relazionali salde e sicure (Bauman, 2003). Nella visionedi Bauman della modernità si ritrova la preoccupazione per la definizione di uncorso preciso degli eventi futuri, per il controllo di una realtà inafferrabile e inde-finibile, pregna di un’ambivalenza che complica l’interpretazione della realtà, esfocia in una dissonanza cognitiva “degradante, invalidante e difficile da soppor-tare” (Bauman, 2003, p. 90). In questo quadro, il progetto della “autoidentificazio-ne” sembra essere l’unico strumento per la costituzione di una società in grado digestirsi da sé, in maniera autonoma. Il progetto dell’auto-costituzione sociale e in-dividuale è strettamente connesso ai processi di formazione dell’identità indivi-duale, che, secondo Napolitani (1987), può essere ricondotta alle due dimensionidell’idem (essere uguale a) e dell’autòs (autenticità e individualità soggettiva). Se-condo Napolitani, l’idem interiorizza un intero modo di essere ereditato dal pas-sato, dalla propria matrice di provenienza mentre l’autòs permette di riorganizzaree reinterpretare, differenziandosene, ciò che è conosciuto in qualcosa di diversoed unico. La duplice composizione dell’identità individuale ricalca la dialettica in-terna alla società moderna. In altre parole, se il rispetto delle pratiche e dei costumilocali richiama l’idea dell’idem, l’onda globalizzante che spinge ad oltrepassare iconfini nazionali e a creare nuove soluzioni e forme culturali può essere accostataalla dimensione dell’autòs. Questa dinamica di reciprocità crea i presupposti per-ché l’imperialismo culturale si trovi costretto a negoziare con tradizioni, valori,costumi e pratiche locali, impedendo in tal modo qualunque forma di omogeneiz-zazione e omologazione (Schachter, Rich, 2001).

122

Globalizzazione e nuovi profili identitari tra i giovani. Alcune riflessioni sull’educazione nella società globale

Page 125: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

1. Gli effetti della globalizzazione sullo sviluppo dell’identità

In accordo con Erikson, l’adolescenza, in quanto rappresenta l’ultima tappa dell’etàinfantile e il primo passo verso l’età adulta, è la fase decisiva per lo sviluppo del-l’identità (Erikson, 2008). In questo passaggio, l’adolescente si confronta, da unaprospettiva diversa, con una nuova immagine di sé che lo introdurrà al mondodegli adulti. Il processo di esplorazione, da cui deriva una confusione identitariache Erikson definisce moratoria psico-sociale, rappresenta una fase di transizionefinalizzata all’investigazione di “possibili sé” nell’ambito della vita relazionale, cul-turale e lavorativa per giungere successivamente all’assunzione di responsabilitànell’effettuare delle scelte in età adulta. In questa fase di esplorazione, la società (ein essa la scuola) risulta determinante per la proposta di quadri esperienziali neiquali incontrare e sperimentare i valori tipici ed eventualmente scegliere se rico-noscersi in essi. Considerando gli studi di Erikson, Arnett (2002) fornisce nume-rosi spunti di riflessione a proposito degli effetti della globalizzazione sullo sviluppodell’identità individuale. Egli sostiene che gli adolescenti dimostrano una forte pre-disposizione e sensibilità nell’assorbimento di stili di vita, di pratiche e di valori ti-pici della società globale. Secondo l’autore (Arnett, 2002; Jensen et al., 2011), gliadolescenti e i giovani adulti tendono, infatti, ad utilizzare i global media (Internet,tv satellitare ecc.) e a preferire i global brands (stili musicali, video, film, abbiglia-mento, ecc.) in misura più significativa rispetto ai bambini e agli adulti, oltre che asviluppare una coscienza o consapevolezza globale. Al senso di appartenenza allacomunità nazionale o locale si è dunque progressivamente accostata una percezionedel mondo come interezza (Giddens, 1991; Robertson, 1992; Tomlinson, 1999),che implica in definitiva il riconoscimento della propria appartenenza ad una co-munità di individui di nazionalità e culture diverse che aderiscono a pratiche e stilidi vita diffusi in tutto il mondo, come ad esempio stili musicali, film, marchi di ve-stiario, catene alimentari, tecnologia e strumenti di comunicazione di massa. Talitrasformazioni, hanno dunque portato, secondo Arnett, alla nascita di nuove formedi appartenenza e di identità, categorizzate in Identità Biculturali, Identità Mono-culturali e Identità Confuse. Il concetto di identità biculturale, originariamente uti-lizzato da vari autori (Berry, 1993, 1997; Phinney, 1990; Phinney, Devich-Navarro,1997) con riferimento ai sentimenti di appartenenza degli immigrati e dei membridelle minoranze etniche, è stato adattato da Arnett al più ampio contesto globale.L’autore riconduce, infatti, l’identità biculturale al sentimento di appartenenza ri-volto contestualmente sia alla società globale sia alla comunità locale. Grazie alleinnumerevoli opportunità di comunicazione virtuale (e-mail, chat rooms, interac-tive computer games) e alla facilità di spostamento da un luogo ad un altro del pia-neta, l’individuo ha la possibilità di sviluppare sentimenti di appartenenza allacomunità mondiale e, al contempo, di utilizzare i riferimenti legati alle tradizioni,ai valori e ai costumi locali per orientare il proprio comportamento specialmentenelle interazioni quotidiane con la famiglia, con gli amici e con i membri della pro-pria comunità (Arnett, 2002). Tuttavia, gli effetti della globalizzazione possono an-che favorire la formazione di identità monoculturali sbilanciate, che sviluppanocioè un alto senso di appartenenza verso la comunità globale ovvero verso la co-munità locale. La cultura globale, nonostante possa essere considerata veicolo divalori (democrazia, libertà di scelta, tolleranza, apertura al cambiamento, rispettodelle differenze), porta insito in sé il rischio di creare una cultura omogenea, nellaquale tradizioni e valori locali vengono mortificati per aderire a standard condivisima anche omologanti. In risposta al rischio di appiattimento dei valori della culturalocale, Arnett (1996, 2001, 2002) evidenzia come specularmente si possano formare

ricerche

123

Page 126: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

identità monoculturali impermeabili con un alto senso di appartenenza verso lacomunità locale. Se la globalizzazione può condurre, dunque, allo sviluppo di iden-tità biculturali o monoculturali, Arnett ammette anche la possibilità che la globa-lizzazione aumenti il rischio di generare uno stato di confusione identitaria: èpossibile, infatti, che le persone finiscano per sentirsi escluse sia dalla comunitàglobale sia da quella locale. In altre parole, i valori, le pratiche e gli stili di vita e leopportunità veicolati dalla cultura globale, sebbene mettano in crisi il sentimentodi appartenenza alla cultura locale, vengono contestualmente percepiti come troppodistanti dall’esperienza immediata da realizzare nel contesto più prossimo. SecondoArnett, le cause che generano confusione identitaria vanno ricondotte per l’appuntoa ciò che Giddens (1994) definisce “processo di delocalizzazione”, inteso come laperdita dei punti di riferimento e dei legami con il contesto di provenienza che, incasi estremi, può causare un forte senso di alienazione e precarietà, fino a privarel’individuo delle linee guida e degli strumenti che ha a disposizione per interpretaree dare senso alla realtà. Arnett ricorre agli studi e alle ricerche di Berry (1993, 1997,1998) sui processi di acculturazione degli immigrati per spiegare gli effetti dellaglobalizzazione sulla formazione dell’identità. In analogia alla condizione di mar-ginalizzazione vissuta dall’immigrato, che perde interesse verso la cultura originariae al contempo rifiuta o si sente rifiutato dalla cultura del paese ospitante, Arnettafferma che la condizione di confusione identitaria dell’individuo deriva tanto dallaperdita di fiducia nella cultura locale – causata dell’esposizione alla cultura globale –quanto dalla percezione di esclusione dalla stessa. Se, classicamente, l’antropologiae le scienze sociali hanno condotto i propri studi seguendo specifiche distinzioniterritoriali e culturali, in un mondo caratterizzato dalla delocalizzazione culturalegli scenari oggetto di studio mutano profondamente (Fabietti, 2012). Lo sposta-mento e la dispersione, fisica e virtuale, di enormi masse di individui portano adelaborare nuove concezioni della loro esistenza e nuove forme di appartenenza,con profonde ripercussioni sul piano identitario. In altre parole, non sembra piùsufficiente limitarsi all’analisi delle pratiche sociali, delle rappresentazioni culturalie delle istituzioni di cui è costituita la cultura di un gruppo umano localizzato. Ap-pare invece necessario concentrarsi sulle caratteristiche di quelle comunità imma-ginate che, a seguito della deterritorializzazione, gli individui producono semprepiù frequentemente (Fabietti, 2012).

2. Identity Education e pedagogia della globalizzazione

Sapersi adattare in maniera dinamica e flessibile ai rapidi cambiamenti è una dellecompetenze chiave per vivere nella società del futuro sempre più multiculturale eglobalizzata. Le agenzie educative come la scuola e l’università sono dunque chiamatein causa, a vari livelli, nella progettazione di percorsi educativi mirati alla formazionedi persone e cittadini in grado di agire in un contesto locale e globale. La teoria del-l’Identity Education (IdEd), sviluppata recentemente da Schachter and Rich (2011),fornisce un quadro teorico e concettuale utile a promuovere l’insieme di competenzesopra richiamate. L’IdEd viene definita come l’impegno significativo degli educatorinei processi e nelle aree relative allo sviluppo dell’identità degli studenti1. Gli autori ri-

1 “[…] the purposeful involvement of educators with students’ identity-related processesor contents”.

124

Page 127: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

tengono che l’educatore eserciti un ruolo fondamentale di mediazione fra gli stu-denti e il contesto sociale. Esso viene declinato in tre livelli: micro, intermedio emacro (Schachter, Rich, 2011). L’educatore che si muove su un livello micro dovràconcentrarsi sulle caratteristiche del contesto scolastico, come ad esempio l’am-piezza e la disposizione della classe, l’omogeneità vs l’eterogeneità del livello so-cio-economico e culturale degli alunni ed i loro bisogni educativi. A livellointermedio, l’analisi contestuale si focalizza invece sulle caratteristiche della co-munità, della famiglia e dell’istituzione scolastica in cui l’alunno è inserito. In ri-ferimento a questo livello, gli autori individuano alcuni aspetti determinantiriguardanti la costruzione dell’identità individuale, come ad esempio le condizionieconomiche, il credo religioso, i codici culturali e le logiche adottate nell’educa-zione dei figli. Sul piano del macro-contesto sociale, infine, l’analisi degli autori siconcentra sulle forze economiche, culturali e religiose in grado di influenzare losviluppo dell’identità. Poiché contesti culturali individualisti o collettivisti, indi-rizzati ai valori democratici o autoritari, orientati verso l’adesione alla cultura glo-bale o locale, influenzeranno in maniera differente la costruzione dell’identità deigiovani adolescenti, l’analisi del contesto macrosociale consentirà in definitiva al-l’educatore di indirizzare l’IdEd in maniera diversificata e specifica a seconda dellosfondo socio-culturale in cui l’adolescente è inserito ed agisce. La riflessione diSchachter and Rich (2011), mentre enfatizza l’importanza di una pratica pedago-gica orientata all’educazione e alla formazione dell’identità, riconosce, al contempo,la necessità di declinare la pratica dell’IdEd all’interno del contesto storico, socialee culturale in cui i giovani di oggi costruiscono il proprio ruolo di cittadini delmondo. Negli ultimi decenni, le acquisizioni sugli effetti psico-sociali della glo-balizzazione hanno indotto diverse istituzioni e organizzazioni non governative ariconoscere l’importanza di una prospettiva globale in educazione. Nel 1997, adesempio, la confederazione internazionale OXFAM (1997) ha sottolineato la ne-cessità di introdurre l’educazione alla cittadinanza globale nelle scuole primarie esecondarie. Dall’analisi delle politiche educative delle nazioni europee fornita nelrapporto INDIRE del 2012, si rileva che l’educazione alla cittadinanza è inclusa intutti i curriculi nazionali dei paesi europei secondo tre approcci fondamentali: co-me insegnamento a sé stante, come parte di un altro insegnamento o, infine, comesottoforma di tematica trasversale. Gli obiettivi degli insegnamenti, inoltre, nonriguardano la mera trasmissione di conoscenze, ma prevedono altresì lo sviluppodi competenze, atteggiamenti e valori legati ai principi fondamentali della societàdemocratica, come l’eterogeneità culturale, lo sviluppo sostenibile e la dimensioneeuropea e internazionale. I contenuti della normativa europea in tema di educa-zione alla cittadinanza richiamano le principali tematiche della Global Education,la cui definizione originaria è stata proposta in ambito accademico da Hanvey(1976). L’autore distingue cinque dimensioni legate alla consapevolezza globaleche gli studenti dovrebbero essere aiutati a sviluppare: consapevolezza prospettica,consapevolezza delle condizioni planetarie, consapevolezza trasversale delle cul-ture, conoscenza delle dinamiche globali e consapevolezza delle scelte umane. Laconsapevolezza prospettica implica la capacità di cogliere la pluralità di visioni delmondo riconducibili a popoli e nazioni diverse. La capacità di assumere punti divista e prospettive diverse è utile a comprendere l’influenza che tali interpretazionidella realtà esercitano sul comportamento umano, senza mortificare le differenzeed evitando il rischio dell’omologazione. La consapevolezza delle condizioni delpianeta implica invece la conoscenza di tematiche ed eventi globali, come ad esem-pio la crescita della popolazione, i fenomeni migratori, le disparità economiche,l’esaurimento delle risorse naturali, i conflitti inter e intra-nazionali. Comprendere

ricerche

125

Page 128: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

le cause e gli effetti degli eventi globali significa, secondo Hanvey, acquisire unavisione complessiva del mondo. La terza dimensione, la consapevolezza trasversaledelle culture, è legata alla capacità di riconoscere e sviluppare un atteggiamentoempatico verso pratiche, valori e stili di vita differenti da cultura a cultura. L’ac-quisizione della conoscenza delle dinamiche globali implica invece la necessità diconcepire il mondo come sistema interconnesso, in cui i processi di crescita e ledinamiche di cambiamento a livello locale si ripercuotono a livello nazionale e in-ternazionale e viceversa. Con l’espressione “consapevolezza delle scelte globali”,infine, Hanvey intende la capacità degli studenti di modulare le proprie scelte in-dividuali in base alla consapevolezza delle molteplici prospettive e dinamiche dicrescita e di cambiamento che riguardano il sistema globale. Recentemente, Kir-kwood (2001) ha comparato le definizioni di Global Education presenti in lettera-tura (Alger, Harf, 1986; Anderson et al., 1994; Becker, 1979; Merryfield, 1997; Tye,1999; Tye, Tye, 1992) e ha individuato quattro temi ricorrenti e riconducibili allecinque dimensioni della consapevolezza globale definite da Hanvey: acquisizionedi prospettive multiple, comprensione e apprezzamento delle culture, conoscenzadi eventi e questioni globali e concezione del mondo come sistema interconnesso.Hicks (2003), partendo da una revisione dei trentennali lavori sulla Global Edu-cation, identifica gli elementi chiave e fornisce alcune precisazioni terminologicheutili ad un uso appropriato delle espressioni Global Perspective e Global Education.L’autore ritiene infatti che, malgrado entrambe le locuzioni facciano riferimentoalla dimensione educativa legata a tematiche globali, esse vadano adeguatamentedistinte. Se l’espressione Global Education fa riferimento all’area accademica cheriguarda l’insegnamento e l’apprendimento di eventi e pratiche globali, la GlobalPerspective rappresenta l’obiettivo educativo della Global Education, cui gli studentidevono mirare e che va adeguatamente declinato nei curriculi scolastici.

3. Ipotesi e obiettivi della ricerca

Richiamando gli studi di Berry (1997) sui processi di integrazione culturale, Arnett(2002) ritiene che le identità biculturali rappresentino la condizione più adattivanel mondo globalizzato. Seguendo questa linea teorica, la nostra ipotesi di partenzaassume che la globalizzazione condiziona la formazione dell’identità dei giovaniadulti (emerging adulthood) generando quattro diversi profili identitari, che ab-biamo così definito: – G-local Identity (Global + local) – identità biculturale in cui coesistono identità

biculturale in cui coesistono senza conflitto tratti della cultura globale e trattidella cultura locale;

– Global Identity – identità monoculturale sbilanciata verso la cultura globaleomologante a discapito della cultura locale del territorio dove si è cresciuti e sivive stabilmente;

– Local Identity – identità monoculturale sbilanciata verso la cultura locale delterritorio dove si è cresciuti e si vive stabilmente ed impermeabile rispetto allacultura globale;

– Confused Identity – identità che vivono ai margini sia della cultura locale chedella cultura globale e che mostrano difficoltà nel riconoscersi in entrambeper vivere in equilibrio (latenza verso l’alienazione, l’auto-dissoluzione, l’usodi droghe e alcool, il cinismo o il nichilismo circa il ruolo nel mondo).

126

Page 129: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

4. Strumenti e Metodi

Alla ricerca hanno partecipato volontariamente 858 studenti dell’Università di En-na Kore. Nella prima fase, finalizzata alla prima validazione dello strumento, sonostati coinvolti 409 studenti (Maschi: N=135, Metà=23,38, DSetà=4,94; Femmine:N=274, Metà=22,43, DSetà=4,01) a cui è stato somministrato il SAC-GL (Scala dimisurazione dell’Appartenenza alla Comunità Globale e Locale), un questionarioche abbiamo appositamente costruito composto da due scale realizzate per misu-rare il senso di appartenenza rispettivamente alla comunità globale e alla comunitàlocale. Nella seconda fase di validazione sono stati coinvolti i restanti 449 studenti(Maschi: N=162, Metà=23,11, DSetà=5,02; Femmine: N=287, Metà=22,56, DSetà=3,44),cui è stata somministrata la seconda versione del questionario SAC-GL, accom-pagnata da altre misure funzionali alla definizione dei profili ipotizzati. Le duesomministrazioni sono state effettuate presso le aule informatiche del Centro lin-guistico di ateneo. Entrambe le versioni dei questionari, precedute da una breveintroduzione sugli obiettivi della ricerca e dalla definizione dei concetti di comu-nità globale e locale, erano accompagnate da una breve scheda anagrafica utile araccogliere informazioni sulle caratteristiche del campione (genere, età, prove-nienza e corso di studi). Sono stati somministrati i seguenti strumenti:– il questionario SAC-GL2, costituito in totale da 29 item con risposta su scalaLikert a 4 punti (1-Assolutamente falso per me, 4-Assolutamente vero per me).Esso è inoltre suddiviso in due sottoscale: la scala SAC-G, composta da 15 itemcostruiti per misurare il grado di Appartenenza alla Comunità Globale; la scalaSAC-L, composta da 14 item costruiti per misurare il grado di Appartenenzaalla Comunità Locale;

– l’Identity Style Inventory (ISI-3) di Berzonsky (1992)3, scala Likert a 5 punti(1-Non mi rispecchia per niente; 5-Mi rispecchia totalmente), costituito da 40item finalizzati alla misurazione di quattro stili identitari: informativo, nor-mativo, diffuso e impegno identitario;

– il Big Five Questionnaire (Caprara et al., 2000, seconda edizione), compostoda 5 scale Likert a 5 punti (1-Assolutamente falso per me, 5-Assolutamentevero per me) che misurano cinque fattori di personalità. Per gli obiettivi dellanostra ricerca, sono state utilizzate le sottoscale di Dinamismo, Cooperatività,Cordialità, Scrupolosità, Controllo delle Emozioni, Apertura all’esperienza eApertura alla cultura.

5. Validazione del Questionario SAC-GL: analisi fattoriale esplorativa e con-fermativa

Per rilevare i profili identitari ipotizzati, le due sottoscale del questionario SAC-GL sono state sottoposte a procedura di validazione (Churchill, 1979). Facendoriferimento agli studi recenti sui processi di funzionamento dell’identità nell’ado-lescenza e tardo-adolescenza (Crocetti et al., 2008a; Crocetti et al., 2008b; Berzon-sky, 1989, 1990; Berzonsky, Kuk, 2000; Berzonsky, Adams, 1999) e negli immigrati

2 Per richiedere una copia del questionario contattare gli autori.3 Validazione italiana a cura di Crocetti et al. (2009)

ricerche

127

Page 130: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

(Phinney, 1990), sono stati generati 23 item per ciascuna scala (SAC-G e SAC-L).I dati ottenuti dalla prima somministrazione del questionario SAC-GL sono statisottoposti ad una prima fase di validazione mediante l’analisi fattoriale esplorativa(EFA)4, che ha indirizzato verso una soluzione a 4 fattori5 sia nella scala SAC-Gsia nella scala SAC-L. Nella seconda fase di validazione, per ogni fattore emersonella fase esplorativa sono stati mantenuti gli item con i valori di saturazione piùalti e sono state ottenute due scale composte ciascuna da 16 item. Ai dati ricavatidalla seconda somministrazione delle due scale SAC-G e SAC-L è stata applicataun’analisi fattoriale confermativa (CFA) con l’obiettivo di verificare l’adeguatezzadella struttura fattoriale già emersa in sede esplorativa. Per quanto riguarda laSAC-G, la CFA ha restituito indici di fit accettabili (Tab.1) con una soluzione fat-toriale a 15 item6, che ha mostrato soddisfacenti indici di affidabilità per ciascunfattore7. È emerso, inoltre, che i Fattori SAG, APG ed EAG sono positivamentecorrelati fra loro. Il fattore ANG, invece, ha mostrato una correlazione positivacon il Fattore EAG (Fig. 1).

Tab. 1: Indici di fit dei modelli a 4 fattori di SAC-G e SAC-L

Per quanto riguarda la scala SAC-L a 16 item, la CFA ha inizialmente rivelatoindici di fit insoddisfacenti8, pertanto è stata accettata la soluzione fattoriale a 14

4 Per esigenza di sinteticità sono stati omessi i risultati dell’EFA. Contattare gli autoriper maggiori dettagli.

5 Fattore 1-SAG, Senso di Appartenenza alla Comunità Globale; Fattore 2-APG, Appar-tenenza Positiva alla Comunità Globale; Fattore 3-EAG, Esplorazione dell’Appartenenzaalla Comunità Globale; Fattore 4-ANG, Appartenenza Negativa alla Comunità Globa-le.

6 Dall’analisi post-hoc (Byrne, 2009) è emerso che il valore R2 dell’item 16 si è rivelatoinferiore a 0,50, evidenziando in tal modo che l’item non contribuisce a spiegare il Fat-tore 4 (ANG) in maniera pienamente soddisfacente e quindi è stato eliminato.

7 Fattore 1-SAG, 4 item (α=0,91); Fattore 2-APG, 3 item (α=0,91); Fattore 3-EAG, 4 item(α=0,85); Fattore 4-ANG, 3 item (α=0,87).

8 Il valore di χ2/df è risultato leggermente superiore al cut-off di 3 e gli altri indici si sonoattestati appena nella norma (cfr. Byrne, 2009). Dall’analisi post-hoc emerge che, anchein questo caso, il valore R2 dell’item 16 si è rivelato inferiore a 0,50 e l’item 5 ha registratoindici di modifica elevati, rivelando un cross-loading (Byrne, 2009) con il Fattore SAL.Per questi motivi, sono stati eliminati gli item 16 e 5.

128

Indici di fit SAC-G e SAC-L N !2 df !2/ df GFI CFI RMSEA NNFI

SAC-G Modello ad 1 Fattore 449 1.864,44 90 20,72 0,58 0,80 0,24 0,77 Modello a 2 Fattori 449 1.190,20 89 13,37 0,67 0,88 0,20 0,85 Modello a 3 Fattori 449 778,80 87 8,95 0,75 0,92 0,16 0,91 Modello a 4 Fattori 449 220,09 86 2,55 0,94 0,99 0,06 0,98

SAC-L Modello ad 1 Fattore 449 1.735,66 77 22,54 0,59 0,76 0,25 0,72 Modello a 2 Fattori 449 1.183,16 76 15,57 0,67 0,84 0,21 0,81 Modello a 3 Fattori 449 668,77 75 8,92 0,80 0,92 0,15 0,90 Modello a 4 Fattori 449 205,69 72 2,85 0,94 0,98 0,07 0,98

Nota: !2/ df : Chi-square/degrees of freedom; GFI: Goodness of Fit Index; CFI: Comparative Fit Index; RMSEA: Root of Mean Square Error of Approximation; NNFI: Non-Normed Fit Index.

6

Page 131: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

item che ha mostrato soddisfacenti indici di fit (Tab.1) e valori di affidabilità perciascun fattore9. È emerso, inoltre, che i Fattori SAL, APL ed EAL sono positiva-mente correlati fra loro mentre il Fattore ANL correla negativamente con i FattoriSAL e APL (Fig. 1).

Inoltre, in entrambe le scale SAC-G e SAC-L, è stato confrontato il modello aquattro fattori con i modelli ad 1 fattore (una sola dimensione di appartenenza)10,a 2 fattori (due dimensioni di appartenenza: positiva e negativa)11 ed a 3 fattori(tre dimensioni di appartenenza: positiva, negativa ed esplorazione)12. Poiché ilvalore del test Δχ2 è risultato in tutti i casi significativo, è possibile affermare chela multidimensionalità della scala è confermata. La Fig. 1 di seguito illustra i dia-grammi delle due soluzioni fattoriali individuate.

Fig. 1: Grafici delle soluzioni standardizzate dei modelli a 4 fattori di SAC-G e SAC-LNota: tutti i fattori saturano con un livello di significatività p< 0,001

6. Definizione dei profili di identità

Prima di ottenere i profili identitari ipotizzati, i 449 soggetti che hanno compilatola versione definitiva del questionario SAC-GL sono stati suddivisi in quattrogruppi: due gruppi “ad alto senso di appartenenza alla comunità globale/locale”(composto da soggetti con valore SAG e SAL sopra la media) e due gruppi “a bassosenso di appartenenza alla comunità globale /locale” (composto da soggetti convalore SAG e SAL sotto la media). Successivamente, è stato applicato un test t diStudent per campioni indipendenti (Tab. 2) per verificare se e come cambiano ipunteggi relativi al senso di appartenenza positiva, all’esplorazione e all’apparte-nenza negativa nei gruppi ad alto e a basso senso di appartenenza alla comunitàglobale e locale.

9 Fattore 1-SAL, 4 item (α=0,90); Fattore 2-APL, 3 item (α=0,89); Fattore 3-EAL, 4 item(α=0,87); Fattore 4-ANL, 3 item (α=0,85).

10 SAC-G: Δχ2=1.644,35, Δdf=4, p<0,001; SAC-L: Δχ2=1.529,97, Δdf=5, p<0,00111 SAC-G: Δχ2=970,11, Δdf=3, p<0,001; SAC-L: Δχ2=977,47, Δdf=2, p<0,00112 SAC-G: Δχ2=558,71, Δdf=1, p<0,001; SAC-L: Δχ2=463,08, Δdf=5, p<0,001

ricerche

129

Page 132: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Tab. 2: Punteggi Z, medie, deviazione standard e valori di significatività dei Fattori 2, 3 e 4 dellescale SAC-G e SAC-L differenziati per livello di appartenenza alla comunità globale e locale

La statistica t ha rivelato differenze significative rispetto a tutti i fattori consi-derati (Tab.2). Nello specifico, relativamente alla scala SAC-G, i fattori APG edEAG sono significativamente inferiori nel gruppo a basso senso di appartenenzaalla comunità globale. Diversamente, i soggetti ad alto livello di appartenenza allacomunità globale mostrano punteggi significativamente più bassi nel fattore ANG.Lo stesso comportamento si evince nei due gruppi rispetto ai fattori della scalaSAC-L. Allo stesso modo, i fattori APL ed EAL risultano significativamente infe-riori nel gruppo a basso senso di appartenenza alla comunità locale. Diversamente,i soggetti ad alto livello di appartenenza alla comunità locale mostrano punteggisignificativamente più bassi nel fattore ANL. Lo stesso comportamento emergenei due gruppi rispetto ai fattori della scala SAC-L. Questi risultati permettonodi affermare che l’appartenenza alla comunità globale non esclude la possibilità disviluppare un’appartenenza positiva alla comunità locale e viceversa. Sulla base diqueste affermazioni e mediante l’applicazione della cluster analysis ai punteggi zdei fattori SAG e SAL con il metodo a due step di Gore (2000), sono emersi solotre profili identitari su quattro ipotizzati (Fig. 2)13: G-local Identity (N=116;26,54%), Global Identity (N=226; 51,72%) e Confused Identity (N=95; 21,74%).

Fig. 2: Profili dei soggetti differenziati in base al livello di SAG e SAL14

13 Poiché la cluster analysis è sensibile agli outliers, è stato eliminato il 2,7% del campionetotale. È stata inoltre controllata la plausibilità di diverse soluzioni (a due, tre e quattrocluster) ed è stata infine accettata la soluzione a tre cluster in base ai criteri di parsimo-nia, interpretabilità e livello di varianza spiegata dal modello (almeno il 50%).

14 Nota: R2 punteggio SAG=57%; R2 punteggio SAL=70%.

130

Gruppi per Appartenenza Globale (SAC-G) Gruppi per Appartenenza Locale (SAC-L) Fattori Livelli N M DS t p Fattori Livelli N M DS t p

APG Basso 289 -0,37 0,84 -12,43 0,00 APL Basso 286 -0,20 0,90 -6,10 0,00 Alto 147 0,72 0,90 Alto 150 0,39 1,07

EAG Basso 289 -0,28 0,93 -8,87 0,01 EAL Basso 286 -0,12 0,89 -3,42 0,00 Alto 147 0,55 0,93 Alto 150 0,22 1,15

ANG Basso 289 0,10 0,87

2,86 0,00 ANL Basso 286 0,14 0,87

3,99 0,00 Alto 147 -0,19 1,20 Alto 150 -0,26 1,16

APL Basso 289 -0,22 0,86 -6,77 0,00 APG Basso 286 -0,32 0,81 -10,14 0,00 Alto 147 0,43 1,12 Alto 150 0,60 1,06

EAL Basso 289 -0,17 0,92 -5,06 0,00 EAG Basso 286 -0,24 0,87 -7,43 0,00 Alto 147 0,33 1,10 Alto 150 0,46 1,06

ANL Basso 289 0,10 0,90

2,82 0,00 ANG Basso 286 0,18 0,86

5,46 0,00 Alto 147 -0,19 1,16 Alto 150 -0,35 1,15

Fig. 2: Profili dei soggetti differenziati in base al livello di SAG e SAL1

p

1

Page 133: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Per verificare se e come cambiano i punteggi della scala ISI-3 e delle scale delBig Five-2 nei tre profili è stata applicata una One-way ANOVA in cui la variabileindipendente è costituita dagli stessi tre profili (G-local Identity, Global Identiy eConfused Identity) e le variabili dipendenti dai punteggi ottenuti nelle scale ISI-3e Big Five-2.

Tab. 3: Punteggi Z, medie, deviazione standard e valori di significatività dei fattori della ISI-3per gruppi differenziati in base ai profili identitari

Dall’output dell’analisi della varianza si evince che i punteggi dei fattori dellaISI-3 differiscono tutti significativamente (Tab. 3) nei tre profili. Il risultato piùevidente consiste nel fatto che gli stili identitario, informativo, normativo e l’im-pegno identitario presentano i punteggi più alti nel profilo G-local Identity. Di-versamente, lo stile identitario diffuso presenta il punteggio più alto nel profiloGlobal Identity, a cui segue quello dei Confused Identity. Il punteggio più bassoin assoluto, invece, è stato ottenuto dal profilo G-local Identity.

Tab. 4: Punteggi Z, medie, deviazione standard e valori di significatività delle scale del Big Five-2 per gruppi differenziati in base ai profili identitari

Dall’analisi della varianza si evince inoltre che nei tre profili i punteggi dellescale del Big Five differiscono tutti significativamente (Tab. 4), eccetto che per lascala del controllo emotivo che non ha rivelato differenze degne di nota. Il profilo

ricerche

131

Fig. 2: Profili dei soggetti differenziati in base al livello di SAG e SAL1

p

Punti Z Profili identitari N M DS F p

Stile informativo G-local Identity 116 0,43 0,99

21,45 0,00 Global Identity 226 -0,04 0,96 Confused Identity 95 -0,30 0,89

Stile normativo G-local Identity 116 0,32 1,01

10,54 0,00 Global Identity 226 -0,04 0,99 Confused Identity 95 -0,29 0,90

Stile diffuso G-local Identity 116 -0,21 1,14

3,85 0,02 Global Identity 226 0,11 0,99 Confused Identity 95 -0,01 0,76

Impegno G-local Identity 116 0,41 1,06

15,83 0,00 Global Identity 226 -0,08 0,92 Confused Identity 95 -0,30 0,97

1

itnPu Z iliffioofPr

eliSt otivamrfoinnfoG- aclo

laboGlsuffunCo

irtitaneid N M DSla ytitneId 116 430, 990,

l ytitneId 226 - 040, 960,des ytitneId 95 - 300, 890,

DS F p99

4521, 000,9689

suffunCo

eliSt mnor oviatG- aclo

laboGlsuffunCo

eliSt ousffusfffdiifG- aclo

laboGlsuffunCo

ongepImmpG- aclo

laboGlsuffunCo

des ytitneId 95 - 300, 890,la ytitneId 116 320, 011,

l ytitneId 226 - 040, 990,des ytitneId 95 - 290, 900,

la ytitneId 116 - 210, 141,l ytitneId 226 110, 990,

des ytitneId 95 - 010, 760,la ytitneId 116 410, 061,

l ytitneId 226 - 080, 920,des ytitneId 95 - 300, 970,

8901

5410, 000,999014

853, 020,997606

8315, 000,9297

p

Punti Z Profili identitari N M DS F p

Dinamismo G-local Identity 116 0,35 0,98

10,61 0,00 Global Identity 226 -0,09 0,98 Confused Identity 95 -0,21 0,97

Cooperatività G-local Identity 116 0,47 1,06

20,12 0,00 Global Identity 226 -0,12 0,91 Confused Identity 95 -0,28 0,95

Cordialità G-local Identity 116 0,33 1,11

9,80 0,00 Global Identity 226 -0,06 0,92 Confused Identity 95 -0,24 0,95

Scrupolosità G-local Identity 116 0,24 1,03

5,91 0,00 Global Identity 226 -0,03 ,94 Confused Identity 95 -0,23 1,04

Apertura all’esperienza G-local Identity 116 0,23 0,91

4,39 0,01 Global Identity 226 -0,06 1,02 Confused Identity 95 -0,14 1,03

Apertura alla cultura G-local Identity 116 0,32 1,11

9,59 0,00 Global Identity 226 -0,07 0,95 Confused Identity 95 -0,23 0,88

Page 134: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

G-local Identity presenta i punteggi più alti mentre il profilo Global Identity si col-loca ad un livello intermedio, ed il Confused Identity mostra i punteggi più bassiin assoluto in tutte le scale

Considerazioni conclusive

Rispetto ai quattro profili identitari ipotizzati inizialmente, i risultati ne confer-mano solo tre: G-local Identity, Global Identity e Confused Identity. Non è stataconfermata l’ipotesi di partenza relativa alla rintracciabilità del profilo Local Iden-tity (identità monoculturale sbilanciata verso la cultura locale del territorio dovesi è cresciuti e si vive stabilmente ed impermeabile rispetto alla cultura globale).Ciò può essere interpretato positivamente in quanto i risultati ottenuti sembranosmentire l’idea stereotipizzata e pregiudiziale nei confronti, in questo caso, dei gio-vani meridionali, i quali nell’immaginario collettivo nazionale ed internazionalesono ancora oggi prevalentemente idealizzati come identità chiuse e non inclinial cambiamento, ancorate rigidamente ai costumi, alle pratiche e agli stili di vitadella cultura locale. D’altra parte, sarebbe stato allarmante il risultato opposto, datoche il questionario SAC-GL è stato somministrato in ambito universitario dove sipresuppone che l’azione della formazione superiore contribuisca, dopo la scuola,a potenziare il pensiero critico degli studenti. Solo il 26,54% del campione si col-loca nel profilo G-local Identity, mentre il 73,46% si distribuisce tra un profiloidentitario monoculturale sbilanciato verso la cultura globale e un profilo identi-tario confuso dai tratti patologici. In questo quadro, si può ipotizzare che i seg-menti scolastici precedenti non siano riusciti a fornire risposte sufficientementeadeguate ai bisogni degli studenti e alla sfida ineluttabile posta dai processi di glo-balizzazione. Occorrerebbe, dunque, interrogarsi ed effettuare una prima rifles-sione su quali obiettivi e quali pratiche educative la scuola dovrebbe adottare perstimolare e indirizzare la formazione di identità declinabili, nell’era della globa-lizzazione, all’interno di contesti sia globali che locali. La possibilità offerta dainuovi mezzi di comunicazione di massa di sincronizzarsi, a livello planetario, conla realtà policulturale globale può rappresentare uno strumento utile per gestirel’ambivalenza e l’incertezza dell’attuale condizione sociale. Sentire di appartenerealla comunità globale, infatti, potrebbe facilitare l’apertura alla diversità e il rico-noscimento della propria appartenenza ad un mondo complesso e diversificato.Tuttavia, in un contesto in cui l’avvicinamento di codici culturali diversi implicanon di rado conflitti e profonde contraddizioni, i rischi per la costruzione del-l’identità sono molteplici. Da un lato, la tendenza a barricarsi dietro chiusure cul-turali o comunitarie rinnega una realtà, quella della “unificazione del pianeta”(Bauman, 2003, p. 100) e dell’accettazione della diversità, oramai parte integrantedel funzionamento sociale. Dall’altro, l’aderenza a standard e codici globali, purriuscendo ad alleviare temporaneamente la sensazione di esclusione da questanuova categoria di appartenenza collettiva, comporta il rischio del dissolvimentoidentitario (Bauman, 2003). La questione della costruzione dell’identità nell’eradella globalizzazione, inoltre, porta con sé una serie di criticità, che, secondo Re-motti (2010), sono riconducibili alla definizione stessa del concetto di identità.L’autore sostiene che l’identità è una costruzione mentale, il prodotto di una im-maginazione funzionale a stabilire confini e definire punti fermi e stabili che con-sentono di orientare la vita individuale e sociale. Nell’attuale contesto globalizzato,la costruzione del mito dell’identità o ossessione identitaria rappresenterebbe unadifesa contro la paura del diverso. È per queste ragioni che Remotti scinde il con-

132

Page 135: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

cetto di identità da quello di riconoscimento. Se l’identità implica l’affermazionedella nostra stessa essenza (escludendo ciò che è diverso), il riconoscimento con-duce invece verso la rivendicazione delle caratteristiche proprie (come ad esempiobisogni e diritti) di una data collettività partendo dalla differenziazione dalle altrecollettività. In questa visione, riconoscere la diversità non implica l’esclusione, ben-sì la coesistenza di diverse prospettive identitarie e culturali. A tal proposito, AminMaalouf restituisce una lucida rappresentazione dell’appartenenza cosmopolitanell’era della globalizzazione: egli si riconosce infatti in un profilo identitario unico,frutto della convivenza armonica di una pluralità di appartenenze (riconducibili,ad esempio, al gruppo religioso, etnico, linguistico e culturale) che esitano in “un‘dosaggio’ particolare che non è mai lo stesso da una persona all’altra” (Maalouf,1999, p. 7). In altre parole, gli individui hanno la possibilità di coltivare le profondeconnessioni con gruppi e tradizioni che incontrano nel corso dell’esperienza divita pur mantenendo la propria unicità. In tal senso, concepire la propria identitàcome la somma di appartenenze multiple riduce il rischio di assumere prospettiverigide, escludenti e discriminanti. Partendo da questi presupposti, risulta ancorapiù evidente che progettare pratiche di educazione globale significa non solo sti-molare negli studenti la conoscenza, la comprensione e dunque la necessità di ri-conoscere l’esistenza di culture diverse, ma anche fornire loro gli strumenticognitivi utili per esprimere criticamente e autonomamente la propria apparte-nenza al villaggio globale, senza dover necessariamente rinunciare alle proprie ra-dici. In questo senso, la prevalenza di modelli nei quali vision e mission sianofunzionali alle mere logiche del mercato del lavoro può ridurre le capacità dellascuola di formare cittadini per una società globale. Portatore di rapide e profondetrasformazioni, il terzo millennio ha messo in discussione valori, ideali, pratichee stili di vita ritenuti per molto tempo saldi punti di riferimento per la società. Inparticolare, il processo multidimensionale della globalizzazione e la sua intrinsecacomplessità hanno investito i giovani ed ha generato in loro un significativo sensodi incertezza e di confusione, soprattutto durante la fase di definizione dell’identitàculturale. Inoltre, le innumerevoli opportunità d’interazione reale e virtuale frapersone provenienti da differenti aree geografiche e culturali hanno stimolato lacomparsa di nuove forme di appartenenza e di identità che valicano barriere econfini territoriali considerati a torto ben definiti. La capacità di adattamento asocietà multiculturali e globali si presenta, oggi, in una duplice veste: come unadelle più grandi sfide per la gioventù e come emergenza educativa per le agenziedeputate all’educazione e alla formazione dei cittadini. La scuola e l’università, inparticolare, hanno il delicatissimo compito e la responsabilità etica di formare icittadini e i professionisti del futuro, avendo cura di contribuire a metterli nellecondizioni di agire autonomamente e criticamente e di identificarsi con la più am-pia comunità globale, senza che ciò li spinga a sacrificare, cancellare, mortificareo disconoscere le proprie radici identitarie culturali. Insomma, “bisogna appren-dere a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza” (Mo-rin, 2001).

ricerche

133

Page 136: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Riferimenti bibliografici

Alger C.F., Harf J.E. (1986). Global Education. Why? For whom? About what? InR. Freeman (Ed.), Promising practices in global education. A handbook withcase study (pp. 1-13). New York: The National Council of Foreign Languageand International Studies.

Anderson C.C., Nicklas S.K., Crawford A.R. (1994). Global understandings. Aframework for teaching and learning. Alexandria, VA: Association for Super-vision and Curriculum Development.

Arnett J.J. (1996). Metalheads: Heavy metal music and adolescent alienation. Boul-der, CO: Westview Press.

Arnett J.J. (2001). Adolescence and emerging adulthood: A cultural approach. UpperSaddle River, NJ: Prentice Hall.

Arnett J.J. (2002). The psychology of globalization. American Psychologist, 57 (10),pp. 774-783.

Bauman Z. (2003). Intervista sull’identità (B. Vecchi, Ed.). Roma-Bari: Laterza.Becker J.M. (1979). The world and the School: A case for world-centered educa-

tion. In J.M. Becker (Ed.), Schooling for a Global Age (pp. 35-56). New York:McGraw-Hill.

Berry J.W. (1993). Ethnic identity in plural societies. In M.E. Bernal, G.P. Knight(Eds.), Ethnic identity: Formation and transmission among Hispanics and otherminorities (pp. 271-296). Albany: State University of New York Press.

Berry J.W. (1997). Immigration, acculturation, and adaptation. Applied Psychology,46(1), pp. 5-34.

Berry J.W. (1998). Acculturation stress. In P.B. Organista, K.M. Chun, & G. Marin(Eds.), Readings in ethnic psychology (pp. 117-122). New York: Routledge.

Berzonsky, M.D. (1989). Identity style: Conceptualization and measurement. Jour-nal of Adolescent Research, 4, pp. 267-281.

Berzonsky M.D. (1990). Self-construction over the life-span: A process perspectiveon identity formation. In G.J. Neimeyer & R.A. Neimeyer (Eds.), Advances inpersonal construct construct psychology (pp. 155-186). Greenwich, CT: JAIPress.

Berzonsky M.D. (1992). Identity Style Inventory (ISI3) revised version. Unpub-lished manuscript.

Berzonsky M., Adams G. (1999). Reevaluating the identity status paradigm: Stilluseful after 35 years. Developmental Review, 19, pp. 557–590.

Berzonsky M.D., Kuk L.S. (2000). Identity status, identity processing style, and thetransition to university. Journal of Adolescent Research, 15(1), pp. 81-98.

Byrne B.M. (2009). Structural equation model with AMOS: basic concepts, appli-cations and programming (2nd ed.). New York: Taylor & Francis/Routledge.

Caprara G.V., Barbaranelli C., Borgogni L. (2000). BFQ. Big Five Questionnaire.Firenze: Giunti-OS.

Churchill G.A. Jr (1979). A Paradigm for Developing Better Measures of Market-ing Constructs. Journal of Marketing Research, 16(1), pp. 64-73.

Crocetti E., Rubini M., Meeus W.H.J. (2008a). Capturing the dynamics of identityformation in various ethnic groups: Development and validation of a three-dimensional model. Journal of Adolescence, 31(2), pp. 207-222.

Crocetti E., Rubini M., Luyckx K., Meeus W. (2008b). Identity formation in earlyand middle adolescents from various ethnic groups: From three dimensionsto five statuses. Journal of Youth and Adolescence, 37, pp. 983-996.

Crocetti E., Rubini M., Berzonsky M.D., Meeus W. (2009). Brief report: The Iden-

134

Page 137: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

tity Style Inventory e Validation in Italian adolescents and college students.Journal of Adolescence, 32, pp. 425-433.

Erikson E.H. (2008), Gioventù e crisi di identità. Roma: Armando.Fabietti U., Malighetti R., Matera V. (2012). Dal tribale al globale. Introduzione al-

l’antropologia (R. Malighetti, Ed.). Milano: Mondadori. Giddens A. (1991). Modernity and self-identity: Self and society in the late modern

age. Cambridge, England: Polity Press.Giddens A. (1994). Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e

pericolo. Bologna: Il Mulino.Gore J.P.A. (2000). Cluster analysis. In H.E.A. Tinsley, S.D. Brown (Eds.), Hand-

book of applied multivariate statistics and mathematical modeling (pp. 297–321). San Diego, CA: Academic Press.

Hanvey R.G. (1976). An attainable global perspective. Ney York: Center for GlobalPerspective in Education.

Hicks D. (2003). Thirty Years of Global Education: a remainder of key principlesand precedents. Educational review, 55(3), pp. 265-275.

Jensen L.A., Arnett J.J., McKenzie J. (2011). Globalization and cultural identity de-velopments in adolescence and emerging adulthood. In S.J. Schwartz, K. Luy-ckx, V.L. Vignoles, (Eds.), Handbook of Identity Theory and Research (pp.285-301). New York: Springer Publishing Company.

Kirkwood T.F. (2001). Our global age requires global education: clarifying defini-tional ambiguities. The social studies, 92(1), pp. 10-15.

Lamm Z. (1976). Conflicting theories of instruction: conceptual dimensions. NeyYork: McCutchan Publishing Corporation.

Maalouf A. (1999). L’identità. Milano: Bompiani.Merryfield M.M. (1997). A framework for teacher education in global perspec-

tives. In M.M. Merryfield, E. Jarchow, S. Picket (Eds.), Preparing teachers toteach global perspectives: A handbook for teacher educators (pp. 1-24). ThousandOacks, CA: Corwin Press.

Morin E. (2001). I sette saperi necessari all’educazione del futuro. Milano: RaffaeleCortina.

Napolitani D. (1987). Individualità e gruppalità. Torino: Boringhieri.OXFAM, (1997). A curriculum for Global Citizenship. Oxford: Oxfam’s Develop-

ment Education Programme. Phinney J.S. (1990). Ethnic identity in adolescents and adults: A review of research.

Psychological Bulletin, 108(3), pp. 499-514.Phinney J.S., & Devich-Navarro, M. (1997). Variations in bicultural identification

among African American and Mexican American adolescents. Journal of Re-search on Adolescence, 7(1), pp. 3-32.

Remotti F. (2010). L’ossessione identitaria, Roma-Bari: Laterza.Robertson R. (1992). Globalization: Social theory and global culture. London: Sage.Schachter E.P., Rich Y. (2011). Identity Education: A Conceptual Framework for

Educational Researchers and Practitioners, Educational Psychologist, 46(4), pp.222-238.

Tomlinson J.B. (1999). Globalization and culture. Chicago: University of ChicagoPress.

Tye K.A., (1999). Global education, A world-wide movement. Orange, CA: Cali-fornia Independence Press.

Tye B.B., Tye K.A. (1992). Global education. A study of school change. Albany: StateUniversity of New York Press.

ricerche

135

Page 138: Sird12 2014
Page 139: Sird12 2014

137

Le strategie didattiche e valutative per lo sviluppo delle competenze. Una ricerca nella scuola secondaria di secondo grado

Instructional and assessment strategies for competence development. A survey in the upper secondary school

La nozione di competenza è stata studiatanegli ultimi decenni e, parallelamente, leuniversità e le scuole hanno implementatomodalità di progettazioni per competenze.Questa ricerca ha evidenziato se le strategiedidattiche e valutative, indicate come quellepiù funzionali per lo sviluppo delle compe-tenze, vengono utilizzate nella scuola se-condaria di secondo grado della Liguria. Èstato sottoposto un questionario a un cam-pione rappresentativo dei docenti e deglistudenti liguri, per evidenziare l’accordo el’uso effettivo in classe delle strategie indi-cate. I risultati indicano che gli insegnantiapprezzano tali strategie, ma incontrano dif-ficoltà nella loro attuazione. Gli alunni, in al-cuni casi, confermano i dati dei docenti, inaltri, percepiscono le azioni dei loro inse-gnanti differentemente. Questa ricerca puòorientare la formazione degli insegnanti, inquanto permette di focalizzare le difficoltàspecifiche nell’attuazione delle strategie di-dattiche e valutative specifiche per lo svilup-po delle competenze.

Parole chiave: Competenze, secondaria disecondo grado, strategie didattiche, valuta-zione formativa, formazione insegnanti

The idea of competence has been studiedthroughout last years and schools and uni-versities have developed strategies for theinstructional design oriented towards thecompetence. This research has tried to hi-ghlight whether the instructional and asses-sment strategies, indicated as more usefulfor the competence development in the in-ternational literature, are used in the Ligu-rian upper secondary schools. Weadmi nistered a questionnaire to a represen-tative sample of teachers and students,about the usefulness and the use of such in-structional strategies. The results indicatethat teachers appreciate such strategies butthey have difficulty in applying them in theclassroom. The pupils, sometimes, confirmthe teachers’ data, sometimes, they perceivethe teachers’ actions differently. This rese-arch can support the pre- and in-service tea-cher education, because allows us to focusthe actual difficulties in carrying out the in-structional and assessment strategies for thecompetence development.

Keywords: Competence, upper secondaryschool, instructional strategies, formative as-sessment, teacher education

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Davide Parmigiani – Università degli Studi di Genova – [email protected]

Andrea Traverso – Università degli Studi di Genova - [email protected]

Antonella Lotti – Università degli Studi di Genova - [email protected]

Valentina Pennazio – Università degli Studi di Genova - [email protected]

Davide Parmigiani ha redatto i §§ 3, 4 e 5; Andrea Traverso ha redatto il §§ 1 e 6; Antonella Lotti haredatto il § 2.1; Valentina Pennazio ha redatto il § 2.2.

Page 140: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

138

1. Introduzione

La sfida delle competenze ha investito la scuola italiana, in particolare, nell’ultimodecennio. Sulla base di ricerche, documenti ed esperienze nazionali ed interna-zionali (OECD, 1995; Le Boterf, 2000), si sono sviluppate esperienze e modalitàprogettuali per costruire ambienti di apprendimento orientati alle competenze(Maccario, 2012; Castoldi, 2013). A che punto è tale sviluppo? Le scuole italianeriescono a trasformare pratiche ed ambienti educativi consolidati, in spazi apertialle competenze?

Questa ricerca ha cercato di fare il punto della situazione nelle scuole secon-darie di secondo grado in Liguria, evidenziando le strategie didattiche e valutativeche possono caratterizzare gli ambienti di apprendimento orientati allo sviluppodelle competenze. Dopo averle delineate, abbiamo chiesto agli insegnanti e aglialunni di esprimere il proprio livello di accordo rispetto all’utilità di tali strategieall’interno di un approccio orientato alle competenze e, in merito alle pratichequotidiane, l’effettiva applicazione di tali strategie in classe.

Abbiamo ritenuto importante indagare sia la percezione di funzionalità chel’applicazione effettiva, per verificare l’esistenza di un possibile gap fra le attivitàin classe che gli insegnanti vorrebbero organizzare e le attività che, invece, riesconoad avviare realmente. In questo modo, saremo in grado di proporre alle scuole eagli insegnanti iniziative di formazione mirate, che puntino alle strategie ritenutemaggiormente utili/funzionali allo sviluppo delle competenze, a quelle che nonvengono attuate in classe e, infine, a quelle che gli insegnanti attuano ma non ven-gono percepite dagli alunni. Lo scopo generale della ricerca è supportare la scuolasecondaria nello sviluppo di modelli progettuali e di azione didattica, che sianoorientati verso la costruzione di ambienti in cui gli alunni possano sperimentaree mettere alla prova i propri saperi.

Tale cambiamento rischia di essere lacerante e particolarmente faticoso per gliistituti secondari, in quanto, nonostante le prerogative fornite dall’autonomia, lastruttura organizzativa della scuola non facilita la formazione di gruppi di lavoro,la flessibilità, l’autonomia di studio, la possibilità di costruire curricula fondati suesperienze di apprendimento diversificate. Per evitare che la progettazione percompetenze risulti ostica o venga percepita irrealizzabile dagli insegnanti, abbiamoritenuto fondamentale far emergere e valorizzare le strategie didattiche e valutativerealmente applicate nella scuola. In questo modo, pensiamo che sia possibile av-viare processi di innovazione condivisa dagli attori che gravitano nella scuola, inparticolare, insegnanti, alunni, famiglie.

Le strategie didattiche e valutative per lo sviluppo delle competenze. Una ricerca nella scuola secondaria di secondo grado

Page 141: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

2. I fondamenti teorici

2.1 Le competenze: una sfida per gli insegnanti?

Lo sviluppo della competenza (Castoldi, 2011; Pellerey, 2001) è diventato nell’ul-timo decennio, uno degli obiettivi che la scuola si prefigge di raggiungere attra-verso la propria azione educativa. Le modalità di azione effettivamente finalizzatealla costruzione di ambienti di apprendimento per lo sviluppo di competenze(Maccario, 2012; Castoldi, 2013) ha visto l’elaborazione di differenti documenti ela realizzazione di esperienze e ricerche nazionali ed internazionali (OECD, 1995;Le Boterf, 2000). Le difficoltà maggiormente incontrate dai docenti nel progettareambienti orientati allo sviluppo delle competenze può essere ricondotta, a nostroavviso, a due fattori: da un lato, al personale modo di concettualizzare e di inten-dere la competenza, dall’altro alla necessità di riflettere e modificare il proprio mo-do di insegnare, sulla base di strategie ritenute maggiormente idonee allo sviluppodella competenza.

Il paradigma delle competenze, infatti, (Castoldi, 2011) va a modificare alleradici l’idea stessa di sapere e conoscenza, traghettandolo verso una forma didat-tica dinamica e determinando la necessità di ripensare nel complesso, i modi delfare scuola. Pellerey (2001) pone in evidenza il fatto che la competenza debba es-sere intesa come «la capacità di mobilizzare e orchestrare le risorse interne posse-dute per far fronte a una classe o tipologia di situazioni in maniera valida eproduttiva» (pp. 235-236). La mobilizzazione delle risorse è una caratteristica pre-cipua delle competenze, da cui deriva la loro dinamicità. Il possesso di conoscenzee abilità infatti, anche se necessario, non è sufficiente per agire con competenza.Un’azione competente si realizza quando una persona è in grado di mettere insie-me le risorse personali (cognitive ed emotive) e le risorse acquisite dall’ambiente,per gestire in maniera adeguata un insieme di situazioni complesse (Sinini, 2013).Quindi, l’agire competente è rilevabile solo durante l’azione e nel contesto. Dalpunto di vista metodologico e organizzativo, l’accento è conseguentemente postosugli approcci di tipo situato (Rivoltella, 2013), problematico, dialogico; sulla va-lorizzazione del lavoro cooperativo e su tutte quelle forme di intervento che de-terminano riflessione critica e condivisa a partire da un agire concreto. Forte è ilrichiamo anche alle pratiche riflessive (Fabbri, 2007) che aiutano ad armonizzareil legame tra strategie didattiche e il processo cognitivo del singolo alunno, nel suoprogressivo strutturarsi e svolgersi.

2.2 Le strategie didattiche e valutative orientate allo sviluppo delle competenze

Per organizzare un ambiente di apprendimento orientato allo sviluppo delle com-petenze, è necessario attivare strategie didattiche e valutative che connotino e sot-tolineino l’aspetto di dinamicità del sapere evidenziato nel paragrafo precedente.La scelta delle competenze non è neutrale; essa implica una trasformazione nellestrategie didattiche. Baldacci (2010) sottolinea questo passaggio, indicando quattroprincipali cambiamenti: dal verbalismo all’apprendimento attivo; dall’apprendi-mento meccanico alla comprensione; dalla riproduzione culturale alla risoluzionedi problemi; dall’apprendimento incapsulato al transfer. Anche Perrenoud (1997),commentato da Castoldi (2013, pp. 52-53), indica alcuni cambiamenti strategico-didattici che le competenze sollecitano: considerare i saperi come risorse da mo-bilitare; lavorare per situazioni-problema; condividere i progetti formativi con gli

ricerche

139

Page 142: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

allievi; adottare una pianificazione flessibile; praticare una valutazione per l’ap-prendimento; andare verso una minore chiusura disciplinare.

Sulla base di tali sollecitazioni, abbiamo individuato alcune strategie didattichee valutative che, a nostro parere, sembrano rispondere maggiormente alle sfideeducative generate dalle competenze. Per quanto riguarda le strategie didatticheabbiamo posto l’attenzione su: la discussione guidata, il lavoro di gruppo, il giocodei ruoli, la simulazione, l’apprendimento per problemi/progetti e il contratto for-mativo. Fra le strategie valutative abbiamo selezionato invece: la valutazione for-mativa informale, la valutazione formativa orientata alla riflessione metacognitiva,la valutazione formativa per gestire l’approccio alla lezione, la valutazione forma-tiva in rapporto alla gestione dei voti.

La scelta delle suddette metodologie è stata guidata da tre concetti-chiave cheriteniamo strettamente connessi ad una concettualizzazione della competenza co-me vincolata alla maturazione di un apprendimento di alto livello, critico e rifles-sivo: dinamicità come trasformazione; azione come risoluzione ragionata;metariflessione come progressione critica dell’azione (Alberici, 2002, 2005). Il con-cetto di riflessione (che accompagna, influenza e sostanzia quello di competenza)viene inteso come meccanismo dinamico riconducibile sia all’azione di insegna-mento (scelte progettuali, metodologiche e valutative attuate dal docente), sia aquella di apprendimento (processi cognitivi/strategici ed emotivi messi in atto dal-lo studente). Tale meccanismo è ciò che permette di valutare criticamente un con-tenuto o un processo in un’ottica trasformativa, consentendo di interpretareun’esperienza in tutti i suoi aspetti, attribuirle un significato (Mezirow, 2003) e agi-re in modo appropriato apportando gli opportuni cambiamenti. Per l’insegnante,questi aspetti rimandano all’influenza reciproca tra il momento di progettazione-azione-valutazione; per lo studente, rimandano alla necessità di imparare facendo,quindi di agire per ipotesi, elaborazioni successive dove gli eventuali errori diven-tano feedback che stimolano la cognizione.

Dalle osservazioni sopra esposte emerge come gli approcci maggiormente utiliin vista dello sviluppo di competenza, sono quelli che presuppongono riflessioneattiva, quindi, il coinvolgimento personale in situazione e l’attribuzione di sensoall’azione da intraprendere, tenendo conto che, la competenza reale, critica e ri-flessiva, emerge quando il processo cognitivo, nella sua congiunzione con quelloemotivo, ha la possibilità di strutturarsi e prendere forma in un contesto che portaad apprendere attraverso la pratica e la riflessione critica sulla pratica stessa.

La letteratura nazionale ed internazionale, a fondamento delle metodologieda noi prescelte, è particolarmente ampia. La discussione guidata viene ad esem-pio, concepita come orientata allo sviluppo del pensiero argomentativo e favoriscela dialettica, agevola la formulazione di problemi e i tentativi di rielaborazionedelle ipotesi (Cacciamani, 2008). Il lavoro di gruppo consente, attraverso lo scam-bio e la messa in discussione delle ipotesi, l’evoluzione delle abilità sociali corre-late allo sviluppo del pensiero critico (Comoglio, Cardoso, 1996; Speltini,Palmonari, 1998; Martinelli, 2004; Marttunen et al. 2005; Di Nubila, 2008; Clarket al., 2010; Marttunen, Laurinen, 2012). Il gioco dei ruoli e la simulazione con-sentono di assumere posizioni e quindi interpretare criticamente una situazioneper sostenere posizioni argomentando e mobilizzando le conoscenze (Yardley-Matwiejczuk, 1997; Holsbrink-Engels, 2001; Marttunen, Laurinen, 2001, 2002;Barkley et al., 2005). La strategia legata all’apprendimento per problemi/progettipropone situazioni problematiche abituando a muoversi per ipotesi progressivematurando la predisposizione e la disponibilità ad affrontare problemi nuovi emaggiormente complessi (Delisle, 1997; Barrows, Tamblyn, 1980; Torp, Sage,

140

Page 143: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

2002; Lambros, 2002, 2004). Il contratto formativo, strategia formativa finalizzataalla progettazione dei propri piani di apprendimento, rende consapevole l’alunnodei saperi che deve sviluppare nel corso di più azioni didattiche (Knowles et al.,2013; Casula, 2013). La valutazione formativa è indirizzata allo sviluppo di pro-cessi autoriflessivi e metacognitivi, in modo che gli studenti possano riflettere edessere consapevoli dei propri processi apprendimento, in funzione di una loromodifica o integrazione (Scriven, 1991; Wiliam, Black, 1996; Torrance, Pryor,1998; Bell, Cowie, 2001; McMillan, 2007; Shute, 2008; Giannandrea, 2009; Ruiz-Primo, 2011; Weurlander et al., 2012).

3. Il disegno della ricerca

3.1 L’obiettivo e le domande della ricerca

L’obiettivo della ricerca è stato duplice: da un lato, abbiamo voluto verificare se lestrategie didattiche e valutative indicate come funzionali allo sviluppo delle com-petenze, vengono percepite utili da insegnanti e studenti; dall’altro, se tali strategiesono effettivamente utilizzate in classe. Le domande di ricerca, quindi, sono le se-guenti: (1a) quali strategie didattiche e valutative sono ritenute importanti dagli inse-

gnanti per sviluppare le competenze?(1b) quali strategie didattiche e valutative sono ritenute importanti dagli stu-

denti per sviluppare le competenze?(2) quali strategie didattiche e valutative sono utilizzate dagli insegnanti per

sviluppare le competenze?

3.2 Il contesto, la procedura e gli strumenti

3.2.1 Il contesto

Abbiamo deciso di concentrarci sulla scuola secondaria di secondo grado per duemotivi. Da un lato, avevamo intenzione di analizzare le strategie didattiche e divalutazione nell’ordine di scuola maggiormente vicino al mondo del lavoro, dal-l’altro, volevamo rilevare le percezioni degli studenti della seconda classe, per iquali c’è già l’obbligo a lavorare per competenze e sono previste le prove INVALSI,ma sono ancora relativamente distanti dal lavoro e, desideravamo prestare atten-zione agli studenti della quarta classe, per i quali non c’è ancora l’obbligo a lavorareper competenze, non sono previste le prove INVALSI, ma sono molto vicini almondo del lavoro attraverso gli stage o le esperienze personali.

3.2.2 I questionari

Per rispondere alle domande di ricerca, abbiamo costruito in parallelo due que-stionari. Il parallelismo indica che le diverse aree, in cui erano composti i due que-stionari, coincidevano. Ci interessava, infatti, che gli insegnanti esprimessero illoro parere sulle strategie didattiche e sulla valutazione orientate alle competenzee, contemporaneamente, che gli studenti confermassero o meno le posizioniespresse dagli insegnanti.

ricerche

141

Page 144: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

La scelta delle aree e dei settori si è basata sulle riflessioni indicate in prece-denza. In particolare, abbiamo individuato quelle strategie che meglio contribui-scono a facilitare l’organizzazione di un ambiente di apprendimento partecipato,innovativo e, in questo senso, orientato alle competenze.

Tab. 1: Le aree e i settori del questionario

Nella costruzione degli item, non abbiamo usato terminologia specialistica, ma-nualistica o derivante da documenti ministeriali, ma esemplificazioni di attivitàdi classe, come mostrato negli esempi contenuti nella tabella 2. Ciò per evitareche, soprattutto gli insegnanti, rispondessero sulla base di rappresentazioni indottee mediate daa letteratura istituzionale, come le indicazioni Pecup o le circolari mi-nisteriali.

La scelta di non effettuare un test pilota potrebbe indebolire l’impianto meto-dologico. Tuttavia, la nostra intenzione era prioritariamente finalizzata all’esplici-tazione di problemi e piste di sviluppo che caratterizzano le diverse “posizioni”all’interno delle scelte didattiche. Dalle risposte che abbiamo ottenuto non inten-diamo affermare, ad esempio, che un insegnante che non usa la discussione gui-data non lavora “per competenze” ma che, rispetto alla progettazione e valutazionedelle competenze, non la ritiene una metodologia efficace (magari anche utiliz-zandola forzatamente).

Tab. 2: Alcuni esempi di item

142

Area Settore Item

docenti Item studenti

Strategie didattiche

la discussione guidata 2 2 il lavoro di gruppo 2 2 il gioco dei ruoli e la simulazione 2 2 l’apprendimento per problemi/progetti 3 3 Il contratto formativo 2 1

Strategie di valutazione

la valutazione formativa informale 2 2 la valutazione formativa orientata alla riflessione metacognitiva 3 3 la valutazione formativa per gestire l’approccio alla lezione 2 2 la valutazione formativa in rapporto alla gestione dei voti 2 2

Area Settore Item docenti Item studenti Strategie didattiche

il lavoro di gruppo Nel corso di un anno scolastico, io suddivido la classe in piccoli gruppi di 4-5 studenti a cui assegno compiti da risolvere in aula o in laboratorio

I nostri insegnanti dividono la classe in piccoli gruppi di 4-5 studenti e assegnano loro compiti da risolvere in aula o in laboratorio

l’apprendimento per problemi/progetti

Nel corso di un anno scolastico,io chiedo agli studenti di realizzare un prodotto o un progetto come dimostrazione dell’acquisizione delle loro competenze

I nostri insegnanti ci chiedono di realizzare un prodotto o un progetto, come dimostrazione dell’acquisizione delle nostre competenze

Strategie di valutazione

la valutazione formativa orientata alla riflessione metacognitiva

Nel corso di un anno scolastico, dopo una verifica scritta o orale, io discuto con gli studenti su com’è andata, per capire se il loro stile di studio è stato adatto

Dopo una verifica scritta o orale, i nostri insegnanti discutono con noi su com’è andata, per capire se il nostro modo di studiare è stato adatto

la valutazione formativa in rapporto alla gestione dei voti

Nel corso di un anno scolastico, quando preparo una verifica, io decido quali sono gli aspetti più importanti da valutare e li faccio pesare di più nel voto finale

I nostri insegnanti ci dicono quali sono gli aspetti più importanti di un compito in classe e li fanno pesare di più nel voto finale

Page 145: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Il questionario è stato costruito dal gruppo di ricerca, però la struttura degliitem era basata sul questionario Perpe (Perceptions par les Etudiants de la RelationProfesseur/Etudiants) di Gagnè (1976) in quanto la sua struttura è finalizzata a sot-tolineare il possibile gap tra accordo/disaccordo rispetto ad una strategia e il suoeffettivo utilizzo in classe (Titone et al., 1990).Ogni item era, quindi, suddiviso in due parti. La parte superiore chiedeva agli

insegnanti o agli studenti di esprimere il livello del proprio accordo/disaccordonei confronti di una determinata strategia didattica o di valutazione, mentre laparte inferiore chiedeva la frequenza di utilizzo di quella strategia. In questo modo,abbiamo potuto analizzare il rapporto fra l’accordo (ciò che sarebbe interessantefare) e l’utilizzo (ciò che posso realmente mettere in atto). Questo è un punto par-ticolarmente importante della ricerca sul versante docente, poiché è necessarioanalizzare le strategie che l’insegnante ritiene importanti e significative e la loropossibilità concreta di utilizzo. Analogamente, sarà possibile analizzare le diffe-renze di percezione fra insegnanti e studenti. In molti casi, è emersa una dicotomiafra studenti e insegnanti sull’accordo rispetto ad una strategia o sul suo utilizzo inclasse.

Fig. 1 – La struttura degli item del questionario per gli insegnanti

Fig. 2: La struttura degli item del questionario per gli studenti

Il questionario per i docenti era composto da 20 item a risposta chiusa; mentreil questionario per gli studenti era composto da 19 item a risposta chiusa. I que-stionari sono stati approntati online e sono stati somministrati separatamente agliinsegnanti e agli studenti. La natura del questionario e l’immediata trasparenzarispetto ai concetti indagati e agli assunti di partenza ci ha consentito di lasciareliberi gli insegnanti di compilare autonomamente il questionario in tempi e spazipersonali. Invece, gli alunni lo hanno compilato sotto la guida di un membro delgruppo di ricerca che si è recato a scuola e, in accordo con i dirigenti, ha riunito agruppi gli studenti coinvolti nel laboratorio di informatica e li ha seguiti nella com-

ricerche

143

L’insegnante dovrebbe far discutere gli alunni in piccoli gruppi o sono completamente d’accordo o sono parzialmente d’accordo o non sono né d’accordo né in disaccordo o sono parzialmente in disaccordo o sono completamente in disaccordo Nel corso di un anno scolastico, io organizzo discussioni con gli alunni suddivisi in piccoli gruppi o sempre o spesso o qualche volta o mai

L’insegnante dovrebbe far discutere gli alunni in piccoli gruppi o sono completamente d’accordo o sono parzialmente d’accordo o non sono né d’accordo né in disaccordo o sono parzialmente in disaccordo o sono completamente in disaccordo I nostri insegnanti ci fanno discutere in piccoli gruppi o tutti i miei insegnanti o molti dei miei insegnanti o pochi fra i miei insegnanti o nessuno fra i miei insegnanti

� �

Page 146: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

pilazione online, intervenendo solamente laddove ci fossero evidenti incompren-sioni terminologiche. La scelta di una terminologia non specialistica ha ridottonotevolmente questo tipo di interventi e, al contempo, ha garantito quella esigenzadi trasparenza ed alleanza a cui auspicavamo.

È necessario precisare che la differenza di metrica fra le scale Likert all’internodegli item (5 livelli per la scala di accordo e 4 livelli per la scala di frequenza) èstata appositamente creata per consentire ai partecipanti, da un lato, di non espri-mere accordo o disaccordo rispetto ad una determinata strategia e, dall’altro, dispingere i partecipanti ad esprimere chiaramente una frequenza di utilizzo, evi-tando una scelta intermedia che fosse scarsamente significativa. Inoltre, era ne-cessario rendere omologa la scala a 4 livelli, contenuta nel questionario rivolto aglistudenti, incentrata sul numero di insegnanti che applica la strategia indicata, conla scala contenuta nel questionario rivolto agli insegnanti, focalizzata sulla fre-quenza. Ovviamente, l’analisi dei dati non consentirà nessun confronto fra le me-die.

3.3 Il campione

3.3.1 Gli insegnanti

La ricerca ha coinvolto 23 istituti di scuola secondaria di secondo grado, in parti-colare 7 licei, 8 istituti tecnici e 8 istituti professionali.Per creare un campione stra-tificato proporzionale che rappresentasse in maniera significativa la popolazionedi insegnanti di scuola superiore, abbiamo seguito i seguenti passi (Chiorri, 2010;Viganò, 1996):– abbiamo inizialmente creato una lista di tutte le scuole superiori della Liguria

suddivise in tre categorie: licei, istituti tecnici e istituti professionali;– abbiamo sorteggiato 2 licei, 2 istituti tecnici e 2 istituti professionali da ciascuna

provincia della Liguria (Imperia, Savona, Genova, La Spezia);– tutti gli insegnanti di tutte le scuole coinvolte hanno compilato il questiona-

rio;– abbiamo sorteggiato, da ogni scuola, un numero di questionari in accordo con

le percentuali di ciascun strato considerato: tipo di scuola e area di insegna-mento.La tabella 3 riporta nel dettaglio il campione degli insegnanti. È necessario se-

gnalare l’aderenza fra le percentuali attese e quelle osservate.

Tab. 3: Il campione degli insegnanti

Il campione degli insegnanti era formato dal 71,8% di donne e dal 22,2% di uo-mini. Inoltre gli insegnanti si sono ripartiti in differenti categorie di età e anzianitàdi servizio. Il 63,5% degli insegnanti ha un’età superiore ai 50 anni con il picco in-

144

Area di insegnamento Tipo di scuola linguistica scientifica tecnica totale % osservata % attesa Licei 109 42 17 168 40,94 40,94 Istituti tecnici 45 63 36 144 34,86 34,86 Istituti professionali 33 36 30 99 24,20 24,20 totale 187 141 83 411 100,00 100,00 % osservata 45,46 34,31 20,23 100,00 % attesa 41,79 34,49 23,72 100,00

� � �

Page 147: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

torno ai 55, mentre l’anzianità di servizio vede la moda attestarsi dai 25 ai 29 annicon il 24%, con un totale del 48,2% di insegnanti che lavora da più di 25 anni.

3.3.2 Gli studenti

In analogia con gli insegnanti, abbiamo costruito il campione stratificato propor-zionale degli studenti in modo che rappresentasse in maniera significativa la po-polazione degli studenti di scuola superiore, abbiamo seguito i primi due passiindicati per gli insegnanti e, dopo aver sorteggiato la scuola:– abbiamo sorteggiato 4 classi seconde e 4 classi quarte, fra quelle presenti nel-

l’istituto;– tutti gli studenti delle classi sorteggiate hanno compilato il questionario;– infine, abbiamo sorteggiato un numero di questionari in accordo con le per-

centuali di ciascun strato considerato: tipo di scuola e classe.

Tab. 4: Il campione degli studenti

4. I risultati e l’analisi dei dati

4.1 Le frequenze relative agli insegnanti e agli studenti

4.1.1 Le strategie didattiche

Nelle tabelle 5 e 6 vengono presentate i dati relativi alle frequenze di ciascun item,rispettivamente per quanto riguarda gli insegnanti e gli studenti. Il 64,5% dei do-centi, circa i due terzi, vorrebbe organizzare discussioni guidate con gli studentima riesce a metterlo in pratica costantemente il 36,8%. Solo il 12,2% organizzatali discussioni a piccoli gruppi. In questo caso, il livello di accordo diminuisce al50,6%, con il 17,8% (quasi un insegnante su 5) che è contrario a tale modalità didiscussione. Gli studenti, da un lato, percepiscono diversamente la situazione, inquanto solo il 14,6% di loro dice che tutti o molti insegnanti organizzano discus-sioni, dall’altro, concordano con i docenti per le discussioni in gruppo: il 97,2% diloro dichiara che non accade in classe e, curiosamente, solo il 39,1% di loro le vor-rebbe in gruppo, mentre il 36% è contrario.

I dati sul lavoro di gruppo indicano che circa un insegnante su cinque dichiaradi organizzare lavori di gruppo, anche se due insegnanti su tre lo riterrebbero im-portante (l’11,8% è contrario). La percentuale si abbassa leggermente nel secondoitem, relativo all’organizzazione tecnica del lavoro di gruppo per facilitare il suobuon funzionamento, tramite l’assegnazione di ruoli specifici. Gli studenti affer-mano che solo il 7,8% di insegnanti organizza lavori di gruppo, anche se il 61,4%lo riterrebbe importante. Però il 18,7%, una percentuale più elevata degli inse-gnanti, è contrario. Tale percentuale sale al 24,2% nel secondo item.

ricerche

145

� � �

classi Tipo di scuola II IV totale % osservata % attesa Licei 658 588 1246 43,07 43,02 Istituti tecnici 495 450 945 32,66 32,84 Istituti professionali 424 278 702 24,27 24,14 totale 1577 1316 2893 100,00 100,00 % osservata 54,51 45,49 100,00 % attesa 54,51 45,49 100,00

Page 148: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Tab. 5: I dati degli insegnanti

Il gioco dei ruoli (item 1) è praticato da un insegnante su dieci (9,6%). Il 37,1%lo ritiene una strategia utile ma il 24,9% è contrario. La simulazione, invece, (item2) è attuata da un insegnante su cinque (21%) e tre insegnanti su quattro la perce-piscono molto utile. Per gli studenti, solo il 2,2% dichiara di vivere esperienze con-tinuative di gioco dei ruoli in classe, d’altronde, il 44,2% di loro è contrarioall’utilizzo di questa strategia didattica. Gli studenti percepiscono favorevolmentel’uso della simulazione (55,7%) e il 9,2% dichiara che tutti o molti insegnanti laattuano in classe.

La strategie dell’apprendimento per problemi/progetti nella sua completezzaè praticata dal 16,5% degli insegnanti, anche se due terzi di loro la ritiene impor-tante. Però, più di un insegnante su quattro (29,6% e 26,5%) propone situazioniproblematiche all’inizio delle lezioni e richiede l’elaborazione di un prodotto/pro-getto come dimostrazione dell’acquisizione delle loro competenze. Anche gli stu-denti affermano che tale strategia è poco attuata in classe (7,4%), sebbene siaimportante per il 60%. Essi, però, non vogliono che la lezione parta da situazionidifficili (46,3%).

Il contratto formativo e la condivisione con gli studenti degli obiettivi educativi,i metodi di insegnamento e gli strumenti di valutazione, viene attuata da due in-segnanti su tre, anche se, nel secondo item, il 20,6% degli insegnanti è contrario.Gli studenti confermano parzialmente i dati degli insegnanti. Infatti, uno studentesu tre (32,6%) dichiara che molti o tutti i suoi insegnanti concordano con loro gliobiettivi, i metodi e le modalità valutative.

146

Area Settore Frequenze item docenti Item 1 Item 2 Item 3

% accordo utilizzo accordo utilizzo accordo utilizzo Strategie didattiche

la discussione guidata %1 64,5 36,8 50,6 12,2 - - %2 9,1 63,2 17,8 87,8 - -

il lavoro di gruppo %1 67,6 24,0 65,5 23,2 - - %2 11,8 76,0 12,8 76,8 - -

il gioco dei ruoli e la simulazione %1 37,1 9,6 74,1 21,0 - - %2 24,9 90,4 6,5 79,0 - -

l’apprendimento per problemi/progetti %1 66,3 16,5 73,1 29,6 78,5 26,5 %2 6,8 83,5 6,5 70,4 3,7 73,5

Il contratto formativo %1 77,5 66,2 67,7 63,6 - - %2 7,8 33,8 20,6 36,4 - -

Strategie di valutazione

valutazione formativa informale %1 96,7 90,0 83,1 77,6 - - %2 0,3 10,0 5,8 22,4 - -

valutazione formativa e riflessione metacognitiva

%1 97,0 91,0 90,2 66,4 91,2 71,1 %2 1,0 9,0 1,0 33,6 1,5 28,9

valutazione formativa e approccio alla lezione

%1 74,0 45,5 57,1 34,3 - - %2 9,3 54,5 11,3 65,7 - -

la valutazione formativa in rapporto alla gestione dei voti

%1 61,1 35,8 92,7 87,1 - - %2 15,9 64,2 1,8 12,9 - -

Legenda: %1 Per la colonna relativa all’accordo: Somma di “sono parzialmente d’accordo” e “sono completamente d’accordo”; per la colonna relativa all’utilizzo: somma di “sempre” e “spesso” %2 Per la colonna relativa all’utilizzo: Somma di “sono parzialmente in disaccordo” e “sono completamente in disaccordo”; per la colonna relativa all’utilizzo: somma di “qualche volta” e “mai”

Page 149: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Tab. 6: I dati degli studenti

4.1.2 Le strategie valutative

Il 96,7% degli insegnanti, praticamente la totalità, ritiene importante la valutazioneformativa informale, in particolare percepisce necessario porre pone piccole do-mande informali agli studenti per verificare come sta andando la comprensionedell’argomento e il 90% dichiara di farlo spesso o sempre. Per l’83,1% è importante(e il 77,6% lo mette in pratica) girare fra i banchi e, mentre gli studenti fannoun’esercitazione, chiedere agli studenti come la stanno affrontando, quali sono lecose che ricordano, che non capiscono, ecc.

Analogamente, per il 97% (e il 91% lo mette in pratica) sono importanti gliaspetti metacognitivi legati alla valutazione formativa. Quindi, dopo una verificascritta o orale, è rilevante discutere con gli studenti su com’è andata, per capire seil loro stile di studio è stato adatto. Però, mentre il 90,2% ritiene importante chiedereagli alunni come studiano a casa e quali tecniche usano per ricordare/memorizzare,solo 2 insegnanti su 3 lo mettono in pratica (66,4%). Infine, il 91,2% dei docenti ri-tiene fondamentale consigliare modalità su come studiare a casa l’argomento che èstato affrontato in classe e il 71,1% lo mette in pratica regolarmente.

La valutazione formativa in rapporto alla gestione della lezione e dei voti è per-cepita meno importante da parte degli insegnanti. Tre insegnanti su quattro (il74% e il 45,5% lo mette in pratica) ritengono importante confrontarsi con gli stu-denti su come sarebbe opportuno affrontare la lezione e il 57,1% (e solo un inse-gnante su 3 lo mette in pratica) ritiene importante chiedere agli studenti il loroparere su come è stato affrontato l’argomento.

La valutazione formativa in rapporto alla gestione voti, è ritenuta importantedal 61,1% degli insegnanti che assegna più voti alla stessa verifica in modo che lostudente capisca quali sono le parti realmente positive e quali no, però lo mette inpratica solo un insegnante su tre (35,8%). Invece, il 92,7% degli insegnanti (e

ricerche

147

Area Settore Frequenze item studenti Item 1 Item 2 Item 3

% accordo utilizzo accordo utilizzo accordo utilizzo Strategie didattiche

la discussione guidata %1 65,5 14,6 39,1 2,8 - - %2 12,3 85,4 36,1 97,2 - -

il lavoro di gruppo %1 61,4 7,8 54,8 4,3 - - %2 18,7 92,2 24,2 95,7 - -

il gioco dei ruoli e la simulazione %1 33,2 2,2 55,7 9,2 - - %2 42,4 97,8 18,7 90,8 - -

l’apprendimento per problemi/progetti %1 60,0 7,4 26,4 13,1 58,9 10,6 %2 14,3 92,6 46,3 86,9 17,3 89,4

Il contratto formativo %1 80,8 32,6 - - - - %2 8,0 67,4 - - - -

Strategie di valutazione

valutazione formativa informale %1 81,9 24,2 66,5 19,2 - - %2 7,3 67,5 17,9 65,0 - -

valutazione formativa e riflessione metacognitiva

%1 83,8 23,5 54,6 9,2 78,6 14,4 %2 6,2 65,4 16,6 46,0 8,4 63,8

valutazione formativa e approccio alla lezione

%1 63,8 8,7 75,5 10,7 - - %2 11,9 49,0 6,6 55,9 - -

la valutazione formativa in rapporto alla gestione dei voti

%1 60,0 16,6 70,8 46,0 - - %2 18,9 63,9 10,6 76,5 - -

Legenda: %1 Per la colonna relativa all’accordo: Somma di “sono parzialmente d’accordo” e “sono completamente d’accordo”; per la colonna relativa all’utilizzo: somma di “tutti i miei insegnanti” e “molti dei miei insegnanti” %2 Per la colonna relativa all’utilizzo: Somma di “sono parzialmente in disaccordo” e “sono completamente in disaccordo”; per la colonna relativa all’utilizzo: somma di “pochi fra i miei insegnanti” e “nessuno fra i miei insegnanti”

A

L

Page 150: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

l’87,1% lo mette in pratica) decide quali sono gli aspetti più importanti da valutaree li fa pesare di più nel voto finale.

Per gli studenti, la percezione dell’utilizzo delle tecniche di valutazione forma-tiva è differente rispetto agli insegnanti. A fronte di un generale accordo, i dati cheindicano che tutti o molti insegnanti la utilizzano sono più bassi rispetto a quantodichiarato dai docenti: 24,2; 19,2 (per la valutazione formativa informale), 23,5;9,2; 14,4 (per la valutazione in funzione della metacognizione), 8,7; 10,7 (in rap-porto all’approccio alla lezione). Infine, rispettivamente per il 16% e il 46% deglistudenti, tutti o molti dei loro insegnanti assegnano più voti alla stessa verifica eindicano gli aspetti importanti e li fanno pesare diversamente nel voto finale.

4.2 Le differenze fra le variabili

4.2.1 Fra gli insegnanti

L’analisi della varianza ha evidenziato alcune differenze significative nell’utilizzodelle strategie didattiche e di valutazione utilizzate dagli insegnanti, in rapportoad alcune variabili. Nella tabella 7, tali differenze vengono sintetizzate.

Tab. 7: Le differenze fra gli insegnanti

I test post hoc evidenziano le differenze fra i gruppi compresi nelle variabiliprese in esame. Gli insegnanti degli istituti professionali e tecnici utilizzano mag-giormente, rispetto ai colleghi dei licei, la discussione guidata, il lavoro di gruppoe l’apprendimento per problemi/progetti; mentre il gioco dei ruoli è applicato mag-giormente negli istituti professionali. Gli insegnanti dei licei, invece, applicanomaggiormente la valutazione formativa orientata alla riflessione metacognitiva,in particolare, consigliando modalità su come studiare a casa l’argomento che èstato affrontato in classe. Dal punto di vista del genere, le professoresse utilizzanomaggiormente il contratto formativo, concordando con gli studenti gli obiettivieducativi, i metodi di insegnamento e gli strumenti di valutazione formativa in-formale e metacognitiva. Analizzando le differenze fra le età degli insegnanti,emerge che il gioco dei ruoli è maggiormente utilizzato dai docenti fra 40 e 49 e

148

Area Settore Item Tipologie di scuola

Genere Età Anzianità di servizio

Classe di concorso

F(2,*) Sig. F(1,*) Sig. F(6,*) Sig. F(7,*) Sig. F(2,*) Sig. Strategie didattiche

La discussione guidata

Item 1 - - - - - - 2,363 ,023 - - Item 2 9,234 ,000 - - - - 2,238 ,031 8,451 ,000

Il lavoro di gruppo Item 1 12,676 ,000 - - - - - - 10,212 ,000 Item 2 5,136 ,006 - - - - - - - -

il gioco dei ruoli e la simulazione

Item 1 9,284 ,000 - - 2,564 ,019 - - 7,427 ,001 Item 2 - - - - - - - - - -

l’apprendimento per problemi/progetti

Item 1 7,373 ,001 - - - - - - - - Item 2 - - - - - - - - 3,293 ,038 Item 3 9,299 ,000 - - - - - - 13,553 ,000

contratto formativo Item 2 - - 4,172 ,042 - - 2,690 ,010 - - Strategie valutative

formativa informale Item 1 - - 10,739 ,001 - - - - 10,356 ,000 riflessione metacognitiva

Item 1 - - 7,822 ,005 - - - - 3,858 ,022 Item 2 - - 12,647 ,000 - - - - 8,085 ,000 Item 3 2,518 ,082 6,646 ,010 - - 2,948 ,005 9,998 ,000

gestione dei voti Item 1 - - - - - - - - 6,496 ,002 Item 2 - - - - 2,368 ,029 - - 3,059 ,048

* Nota: i gradi di libertà variano fra 381 e 401

Page 151: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

fra 60 e 64 anni. Analogamente, gli insegnanti con 15-19 e più di 35 anni di ser-vizio utilizzano maggiormente il lavoro di gruppo; mentre il contratto formativoè applicato in maggior misura dai docenti con 10-14 e più di 35 anni di servizio.Gli insegnanti dell’area tecnica utilizzano maggiormente la discussione in gruppoe, insieme ai colleghi dell’area scientifica, il lavoro di gruppo. Gli insegnanti dellearee linguistica e tecnica utilizzano maggiormente il gioco dei ruoli. Gli insegnantiscientifici propongono maggiormente situazioni-problema, mentre quelli tecnicirichiedono di realizzare un prodotto o un progetto come dimostrazione dell’ac-quisizione delle loro competenze. I linguistici e gli scientifici utilizzano maggior-mente la valutazione formativa, i linguistici anche in rapporto ai voti.

Infine, l’analisi fattoriale dei dati relativi agli insegnanti (condotta sugli itemche presentano una correlazione >.40) indica l’emersione di tre fattori latenti: – la gruppalità: gli item sulla discussione in gruppo, il lavoro di gruppo e quelli

relativi all’apprendimento per problemi/progetti, evidenziano un’attenzionedegli insegnanti agli aspetti collaborativi e, in particolare, ai saperi che si svi-luppano in situazioni condivise;

– la progettazione condivisa: gli item sul contratto formativo indicano che, invista di attività orientate alle competenze, gli insegnanti ritengono rilevantecondividere obiettivi e modalità di lavoro con gli alunni, probabilmente, perincentivare forme di autonomia nel perseguire gli obiettivi di apprendimento;

– il metodo di studio: gli item sulla valutazione formativa in funzione della ri-flessione metacognitiva, sottolineano la rilevanza che gli insegnanti attribui-scono all’approfondimento delle strategie di studio.

4.2.2 Fra gli studenti

L’analisi della varianza ha evidenziato anche alcune differenze significative fra glistudenti, in rapporto ad alcune variabili. Nella tabella 8, tali differenze vengonosintetizzate.

Tab. 8: Le differenze fra gli studenti

ricerche

149

Area Settore Item Tipologie di

scuola Genere Classe

F(2,*) Sig. F(1,*) Sig. F(1,*) Sig. Strategie didattiche

La discussione guidata Item 1 29,622 ,000 - - 5,308 ,021 Item 2 18,088 ,000 6,183 ,013 6,998 ,008

Il lavoro di gruppo Item 1 4,174 ,015 6,722 ,010 8,429 ,004 Item 2 60,027 ,000 4,875 ,027 45,369 ,000

il gioco dei ruoli e la simulazione

Item 1 3,489 ,031 3,946 ,047 16,557 ,000 Item 2 14,297 ,000 - - - -

l’apprendimento per problemi/progetti

Item 1 12,664 ,000 14,212 ,000 - - Item 2 - - 21,642 ,000 - - Item 3 4,563 ,011 5,202 ,023 - -

Il contratto formativo Item 1 32,214 ,000 6,164 ,013 - - Strategie valutative

formativa informale Item 1 25,924 ,000 - - - - Item 2 23,730 ,000 10,551 ,001 5,617 ,018

riflessione metacognitiva Item 1 12,781 ,000 - - - - Item 2 8,527 ,000 47,383 ,000 - - Item 3 - - 35,369 ,000 - -

approccio alla lezione Item 1 3,979 ,019 52,396 ,000 6,992 ,008 Item 2 3,178 ,042 20,483 ,000 20,234 ,000

gestione dei voti Item 1 4,154 ,016 9,531 ,002 11,321 ,001 Item 2 27,320 ,000 3,921 ,048 - -

* Nota: i gradi di libertà variano fra 2698 e 2824

Page 152: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

I test post hoc evidenziano le differenze fra le tipologie di scuola. Gli studentidegli istituti professionali indicano che i loro insegnanti organizzano un maggiornumero di discussioni sia guidate che in gruppo. Negli istituti tecnici e professio-nali vengono organizzati più lavori di gruppo, in particolare, nei professionali, taliattività sono strutturate con ruoli e compiti precisi. Inoltre, dal punto di vista deglistudenti, negli istituti professionali si svolgono attività legate al gioco dei ruoli,mentre nei licei si effettuano più simulazioni. I professionali e i tecnici avviano at-tività legate all’apprendimento per problemi/progetti in misura leggermente su-periore, mentre gli studenti dei licei dichiarano di svolgere attività legate alcontratto formativo. Gli studenti dei licei affermano che i loro insegnanti utilizzanomaggiormente la valutazione formativa, in particolare attraverso domande infor-mali per verificare come sta andando la comprensione dell’argomento, la discus-sione dopo una verifica e in rapporto alla gestione dei voti. Gli studenti deiprofessionali e dei tecnici percepiscono maggiormente la valutazione formativaquando gli insegnanti girano fra i banchi e chiedono come stanno affrontandoun’esercitazione, quali sono le cose che ricordano, quali tecniche hanno usato perstudiare a casa. Gli studenti maschi dichiarano che si svolgono maggiori discus-sioni e lavori in gruppo, gioco dei ruoli, apprendimento per problemi/progetti evalutazione formativa. Le studentesse dichiarano di svolgere più attività legate alcontratto formativo. Gli studenti della seconda classe indicano più attività legatealle discussioni guidate, al lavoro di gruppo, al gioco di ruoli e alla valutazioneformativa informale e come approccio alla lezione. Gli studenti della quarta classedichiarano che i loro insegnanti attuano più iniziative relative alla gestione voti.

5. Discussione

In generale, i dati indicano che le strategie didattiche legate allo sviluppo dellecompetenze non sono utilizzate in maniera consistente e continuativa nella scuolasecondaria di secondo grado. Ciò emerge sia dai dati relativi agli insegnanti, cheda quelli relativi agli studenti. D’altra parte, però, assistiamo ad un ampio e gene-rale accordo sull’importanza e la rilevanza di tali strategie. In pratica, gli insegnantivorrebbero utilizzarle ma non riescono a metterle in pratica in classe quotidiana-mente. È opportuno, quindi, approfondire tale questione. Probabilmente, la di-scrasia fra accordo ed utilizzo è dovuta ad una serie di fattori come: la strutturadell’ambiente di apprendimento, la disponibilità ad apprendere da parte degli stu-denti, gli spazi e i tempi a disposizione, la possibilità di utilizzare strumentazionitecnologiche, la mancanza di formazione. Inoltre, possono esserci problemi e/odifficoltà legate al contesto: classi numerose o particolarmente agitate, fraziona-mento delle ore, difficoltà nel costruire l’orario.

Se focalizziamo alcuni aspetti specifici, la discussione guidata risulta general-mente apprezzata ma non organizzata in gruppo. Probabilmente, essa tende ad es-sere gestita ed interpretata in modo direttivo, vale a dire, l’insegnante si rapportacon la classe nel suo complesso e guida la discussione dando la parola a turno aglistudenti. La discussione, in questo modo, tende ad essere verticale e, quindi, si strut-turano poche interazioni orizzontali. Ciò indica una distanza fra l’intenzione disviluppare la discussione fra gli studenti e la pratica della discussione fra pari che,probabilmente, viene ritenuta difficilmente attuabile. Anche gli studenti, pur ap-prezzando le discussioni, non intendono svolgerle in gruppo. Il lavoro di gruppoappare come la questione centrale, in quanto il suo apprezzamento è ambivalente:da un lato, viene ritenuto importante ma, dall’altro, i dati indicano una certa ritrosia

150

Page 153: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

nell’organizzarlo e nel ritenerlo effettivamente funzionale alle competenze, sia dalpunto di vista degli insegnanti che degli studenti. Analogamente, tali osservazionipossono essere sottolineate per il gioco dei ruoli, le simulazioni, l’apprendimentoper problemi/progetti e il contratto formativo. Sembra che la conoscenza tecnicadi tali strategie sia tendenzialmente limitata per cui, quando esse vengono applicate,gli insegnanti percepiscono la loro difficoltà nel realizzarle.

Analizzando le differenze fra le età degli insegnanti, emerge un elemento ina-spettato. Il gioco dei ruoli, il lavoro di gruppo e il contratto formativo è utilizzatoanche dai docenti con età elevata e molti anni di servizio. Questi dati sfatano, al-meno in parte, la credenza per la quale solo gli insegnanti giovani sono in gradodi attivare strategie didattiche innovative. Probabilmente l’esperienza nella gestionedella classe assume un ruolo importante.

A differenza delle strategie didattiche, i dati indicano che la valutazione for-mativa, oltre ad essere considerata rilevante, è anche utilizzata massicciamente da-gli insegnanti. Il problema, in questo caso, è la discrasia con le percezioni deglistudenti che, invece, ne sottolineano uno scarso utilizzo. Probabilmente, gli inse-gnanti sono sensibili alle questioni relative alla valutazione formativa e ne mettonoin pratica alcune tecniche iniziali che, probabilmente, derivano dalla propria espe-rienza. Non conoscendole, però, in maniera approfondita, non riescono a proget-tarle in maniera continuativa ed evidente. Di conseguenza, gli studenti non lepercepiscono. È opportuno sottolineare che, dall’altra parte, gli studenti possonoessere concentrati esclusivamente sul risultato e sulla gestione dei voti, che risultal’aspetto percepito in modo comune da insegnanti e studenti.

6. Conclusioni

Al termine di questo percorso, possiamo affermare che gli insegnanti sono inte-ressati alle strategie didattiche e valutative legate alle competenze, provano a met-terle in pratica, ma si scontrano con variabili contestuali e personali. La culturadidattica all’interno dell’aula scolastica è orientata alla costruzione di un ambientedi apprendimento funzionale allo sviluppo delle competenze, ma gli insegnantifaticano a realizzarlo concretamente nel corso della quotidianità. Da un lato, gliattori che gravitano attorno alla scuola – in primis, insegnanti e studenti – perce-piscono l’importanza dell’applicabilità delle competenze in classe ma, dall’altro, siintuiscono le difficoltà nell’organizzare un ambiente didattico dinamico, in cui glialunni possano esplicitare ed estrinsecare la mobilizzazione degli apprendimenti.

I risultati della ricerca, però, ci permettono di orientare e indirizzare al megliole prospettive di formazione nelle scuole, partendo dalle difficoltà e dai limitiespressi. In tal modo, la formazione può legarsi più facilmente al contesto, pun-tando su strategie didattiche e valutative apprezzate dagli insegnanti, ma poco uti-lizzate. In questo modo, riteniamo possibile evitare idee di competenza distantidalla realtà scolastica e prospettare modalità progettuali realizzabili nella didatticaquotidiana.

Infine, la ricerca suggerisce di affrontare alcuni aspetti organizzativi che pos-sono andare incontro alle difficoltà degli insegnanti nell’applicare le strategie di-dattiche per le competenze: modificare gli spazi e i tempi della scuola; incentivarele attività collaborative; promuovere strategie fondate sulle situazioni problema.Tali aspetti traducono la sfida didattica che le scuole devono affrontare per acco-gliere le sollecitazioni imposte dalle competenze. La questione centrale per la scuo-la secondaria è riuscire ad evolversi progressivamente, per indirizzarsi verso

ricerche

151

Page 154: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

modalità organizzative che facilitino la flessibilità, la variabilità e la trasferibilitàdell’apprendimento, intese come sintesi di esperienze educative strettamente legatealle competenze.

Riferimenti bibliografici

Alberici A. (2002). Per una pratica riflessiva integrata. La progettazione curricolareorientata alle competenze nella dimensione del lifelong learning. In C. Mon-tedoro (Ed.), Le dimensioni metacurricolari dell’agire formativo. Milano: Fran-coAngeli.

Alberici A. (2005). Prefazione. In S. Cerrai, S. Beccastrini (Eds.), Continuando acambiare. Pratiche riflessive per generare e valorizzare le competenze nelle or-ganizzazioni. Firenze: Arpat.

Baldacci M. (2010). Curricolo e competenze. Milano: Mondadori.Barkley E.F., Cros K.P., Major H.C. (2005). Collaborative learning techniques: a

handbook for college faculty. San Francisco, CA: Jossey-Bass.Barrows H.S., Tamblyn R.M. (1980). Problem-Based Learning. An Approach to

Medical Education. New York, NY: Springer Publishing Company.Bell B., Cowie B. (2001). Formative assessment and science education. Dordrecht,The Netherlands: Kluwer.

Cacciamani S. (2008). Imparare cooperando. Dal cooperative learning alle comunitàdi ricerca. Roma: Carocci.

Castoldi M. (2011). Progettare per competenze. Roma: Carocci.Castoldi M. (2013). Curricolo per competenze: percorsi e strumenti. Roma: Caroc-ci.

Casula C. (2013). I porcospini di Schopenhauer. Milano: FrancoAngeli.Chiorri C. (2010). Fondamenti di psicometria. Milano: McGraw-Hill.Clark D.B., Sampson V.D., Stegmann K., Marttunen M., Kollar I., Janssen J., Wein-berger A., Menekse M., Erkens G., Laurinen L. (2010). Online learning envi-ronments, scientific argumentation, and 21st century skills. In B. Ertl (Ed.),E-Collaborative Knowledge Construction: Learning from Computer-Supportedand Virtual Environments (pp. 1-40). Hershey, PA: Information Science Ref-erence.

Comoglio M., Cardoso M.A. (1996). Insegnare e apprendere in gruppo. Il coopera-tive learning. Roma: LAS.

Delisle R. (1997). How to use problem-based learning in the classroom. Alexandria,VA: ASCD Association for supervision and curriculum development.

Di Nubila R. (2008). Dal gruppo al gruppo. La formazione in team: la conduzione,l’animazione, l’efficacia. Lecce: Pensa MultiMedia.

Fabbri L. (2007). Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo. Roma: Carocci.Gagné F. (1976). Questionnaire PERPE supérieur, manuel de l’utilisateur. Montréal:Les Presses de l’Université du Québec.

Giannandrea L. (2009). Valutazione come formazione. Percorsi e riflessioni sullavalutazione scolastica. Macerata: EUM.

Holsbrink-Engels G. (2001). Using a computer learning environment for initialtraining in dealing with social-communicative problems. British Journal of Ed-ucational Technology, 32(1), pp. 53-67.

Knowles M., Holton E.F. III, Swanson R.A. (2013). Quando l’adulto impara. An-dragogia e sviluppo della persona. Milano: FrancoAngeli.

152

Page 155: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Lambros A. (2002). Problem-Based Learning in K-8 classrooms. A teacher’s Guideto Implementation. Thousand Oaks, CA: Sage.

Lambros A. (2004). Problem-Based Learning in Middle and High School classrooms.A teacher’s Guide to Implementation. Thousand Oaks, CA: Sage.

Le Boterf G. (2000). Construire les compétences individuelles et collectives. Paris :Les Editions d’Organisation.

Maccario D. (2012). A scuola di competenze. Verso un nuovo modello didattico. To-rino: SEI.

Martinelli M. (2004). In gruppo si impara. Torino: SEI.Marttunen M., Laurinen L. (2012), Participant profiles during collaborative writ-

ing. Journal of writing research, 4(1), pp. 53-79.Marttunen M., Laurinen L., Litosseliti L., Lund K. (2005). Argumentation Skills

as Prerequisites for Collaborative Learning among Finnish, French, and Eng-lish Secondary School Students. Educational Research and Evaluation, 11(4),pp. 365-384.

Marttunen M., Laurinen L. (2001). Learning of argumentation skills in networkedand face-to-face environments. Instructional Science, 29(2), pp. 127-153.

Marttunen M., Laurinen L. (2002). Quality of students’ argumentation by e-mail,Learning Environments Research, 5(1), pp. 99-123.

McMillan J.H. (Ed.). (2007). Formative classroom assessment: Theory into practice.New York, NY: Teachers College Press.

Mezirow J. (2003). Apprendimento e trasformazione. Milano: Raffaello Cortina.OECD (1995). The definition and selection of key competencies. Executive summary.

http://www.oecd.org/pisa/35070367.pdf (verificato il 24 marzo 2014).Pellerey M. (2001). Sul concetto di competenza e in particolare di competenza

nel lavoro. In Isfol, C. Montedoro, Dalla pratica alla teoria per la formazio-ne: un percorso di ricerca epistemologica (pp. 231-276). Milano: FrancoAn-geli.

Perrenoud P. (1997). Construire des compétences dès l’école. Paris: ESF.Rivoltella P.C. (2013). Fare didattica con gli EAS. Brescia: La Scuola.Ruiz-Primo M.A. (2011). Informal formative assessment: The role of instructional

dialogues in assessing students’ learning. Studies in Educational Evaluation,37(1), pp. 15-24.

Scriven M. (1991). Evaluation thesaurus. Thousand Oaks, CA: Sage.Shute V.J. (2008). Focus on Formative Feedback. Review of Educational Research,

78(1), pp. 153-189.Sinini G. (2013). La competenza circolare. Media digitali, didattica, formazione

degli insegnanti. San Cesario di Lecce: Pensa.Speltini G., Palmonari A. (1998). I gruppi sociali. Bologna: Il Mulino.Titone R., Gandini Gamaleri E. (1990), Guida alla formazione didattica degli inse-

gnanti. Roma: Armando.Torp L., Sage S. (2002). Problems as possibilities. Problem Based Learning for K-16

Education. Alexandria, VA: Association for Supervision and Curriculum De-velopment.

Torrance H., Pryor J. (1998), Investigating formative assessment. Teaching, learningand assessment in the classroom. Maidenhead, Philadelphia: Open UniversityPress.

Viganò R. (1996). Pedagogia e sperimentazione. Metodi e strumenti per la ricercaeducativa. Milano: Vita e Pensiero.

Weurlander M., Söderberg M., Scheja M., Hult H., Wernerson A. (2012). Explor-ing formative assessment as a tool for learning: students’ experiences of dif-

ricerche

153

Page 156: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

ferent methods of formative assessment. Assessment & Evaluation in HigherEducation, 37(6), pp. 747-760.

Wiliam D., Black P. (1996). Meaning and consequences: A basis for distinguishingformative and summative functions of assessment? British Educational Re-search Journal, 22(5), pp. 537-548.

Yardley-Matwiejczuk K.M. (1997). Role play: theory and practice. London: Sage.

154

Page 157: Sird12 2014

155

Migliorare le strategie di studio dei ragazzi con il Questioning.Una ricerca empirica

Improve study strategies of teenagers with Questioning. An empirical research

Le indagini nazionali e internazionali sui li-velli di competenza degli italiani (adulti oquindicenni scolarizzati) mettono in risaltoalcune competenze critiche, sia di naturatrasversale sia legate a contenuti disciplinari.Contemporaneamente, dal versante impre-sa, emergono richieste specifiche di un la-voratore flessibile, in grado di lavorare insquadra e capace di mettere in campo ilpensiero metacognitivo. L’articolo presentai risultati di una ricerca empirica, svolta sulterritorio piemontese su un campione diadolescenti liceali, tesa a controllare se latecnica del Questioning, possa rivelarsi effi-cace per rispondere, almeno in parte, ad al-cune delle criticità emerse dalle indaginicitate. I risultati delineano alcuni punti diforza della tecnica tra cui la possibilità dispostare il profilo di studio degli studenti datendenzialmente superficiale a riflessivo emetacognitivo.

Parole chiave: competenze critiche, pro-blem solving, approcci d’insegnamento,Questioning, profilo di studio, strutture dipensiero.

The national and international surveys onthe level of competence of the Italian(adults or fifteen schooled) highlight somecritical skills, both cross-cutting nature orrelated to the subject content. At the sametime, the business side, emerge the specificrequirements of a flexible worker, able towork in a team and able to field the metaco-gnitive thinking. The article presents the re-sults of an empirical study, conducted in thePiedmont area of a sample of high schooladolescents, aimed to check whether the te-chnique of Questioning, can be efficientlydealt with, at least in part, to some of theproblems that emerged from the investiga-tions mentioned. The results outline someof the strengths of the technique includethe ability to move the profile of study of thestudents, changing from superficial profilein reflective and metacognitive profile.

Keywords: Critical skills, Problem solving,approaches to teaching, Questioning, Profi-le Study, structures of thought.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Daniela Robasto - Università degli Studi di Torino – [email protected]

Page 158: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

1. Competenze critiche e competenze emergenti nelle indagini internazionalie nazionali

Sono stati recentemente resi pubblici i risultati OCSE PIAAC1 (Programme for theInternational Assessment of Adult Competencies), indagine ideata dall’OCSE a cuihanno partecipato, nella sua prima edizione 24 paesi nel mondo (Europa, Asia,America), tra cui l’Italia.

Al campione italiano2, composto da 12.000 soggetti con un età compresa tra i16 ed i 65 anni, è stato sottoposto un questionario (Background Questionnaire) edalcuni test cognitivi per rilevare le competenze essenziali per poter esercitare unruolo attivo nella propria vita adulta3. Tali competenze, definite dall’OCSE foun-dations skills, riguardano la lettura (Literacy), le abilità logico-matematiche (Nu-meracy) e le competenze collegate alle tecnologie dell’informazione e dellacomunicazione (ICT). Nella somministrazione del 2012 l’Italia ha scelto di nonsomministrare i test riguardanti il Problem solving, optando, invece, per quelli re-lativi ai Reading Components, le prove che rilevano le abilità di lettura di base.

Sono stati definiti sei livelli di proficiency, basati su intervalli di punteggi chevariano su una scala da 0 a 500 punti. L’intervallo di punteggi è stato suddivisonel modo seguente: below level 1 (0-175); livello 1 (176-225); livello 2 (226-275);livello 3 (276-325); livello 4 (326-375); livello 5 (376-500).

I dati4 del campione italiano non sono incoraggianti: gli italiani adulti si col-locano all’ultimo posto della graduatoria nelle competenze alfabetiche (area lite-racy5) ed in penultima posizione nelle competenze matematiche (area numeracy),

1 PIAAC 2012 rappresenta l’evoluzione delle indagini IALS (International Adult LiteracySurvey) e ALL (Adult Literacy and Lifeskills Survey) sugli adulti ed è complementare al-l’indagine PISA, dedicata all’analisi dei livelli di competenza degli studenti quindicenni.I risultati dell’indagine PIAAC sono stati pubblicati l’8 ottobre 2013.

2 Il campione italiano è stato estratto con un sistema di campionamento probabilistico,stratificato e a due stadi (1°stadio: estrazione delle famiglie dalle liste anagrafiche dicomuni italiani; 2°stadio: estrazione casuale dei membri delle famiglie). Il response ratenel nostro paese è stato pari al 56%, percentuale simile a quello di altri paesi comparabiliin termini di dimensioni e livello di sviluppo socio-economico (Germania, 55%; Spa-gna, 48%; Gran Bretagna, 59%).

3 L’obiettivo dichiarato di PIAAC è di esaminare due insiemi di competenze di caratteregenerale (information processing skills e generic skills) utilizzate nei luoghi di lavoro, chedovrebbero costituire un bagaglio di base indispensabile per affrontare con successonumerose attività dell’agire sociale.

4 Si veda G. Di Francesco, Le competenze per vivere e lavorare oggi: principali evidenzedall’indagine PIAAC / ISFOL. ISFOL, Roma 2013, Isfol Research Paper 9.

5 In G. Di Francesco (ibidem) si leggono a p. 13 le seguenti definizioni “Literacy è l’inte-

156

Migliorare le strategie di studio dei ragazzi con il Questioning.Una ricerca empirica

Page 159: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

competenze basilari per affrontare adeguatamente i problemi che possono emer-gere nelle diverse situazioni della vita adulta.

PIAAC ha inoltre rilevato ulteriori dati su quanto le persone “credano” di met-tere in atto alcune competenze, sia nella vita personale sia durante l’attività lavo-rativa. PIAAC ha, infatti, raccolto dati su altre competenze “percepite” comeimportanti nelle attività lavorative del campione. La strategia di self report utilizzataè quella del Job requirement approach6 (JRA).

Nella parte “JRA” dei risultati di PIAAC, è emerso che ai lavoratori italiani parevengano maggiormente richieste capacità di problem solving, rispetto ad altri tipidi competenze quali quelle attinenti alle aree literacy, numeracy, o ICT. Va ribadito,che secondo il metodo utilizzato in questa indagine, tale dato è stato raccolto tra-mite le auto-dichiarazioni dei rispondenti e pertanto non è possibile avere un con-fronto con l’effettiva richiesta di competenze “sul campo”. Purtroppo, come si èprecedente dichiarato, l’Italia ha scelto di non somministrare i test cognitivi pro-prio sull’area problem solving e quindi, non è possibile procedere con un confrontotra le competenze maggiormente richieste dal mercato del lavoro (secondo i ri-spondenti) e quelle effettivamente possedute dai rispondenti stessi.

Altre indagini internazionali sul campione italiano, possono tuttavia offrirealcuni spunti per ipotizzare il livello di competenza degli italiani sull’area problemsolving.

Ad esempio, entrando nel dettaglio delle valutazioni OCSE PISA, potrebbe es-sere utile soffermarsi sulle percentuali di studenti italiani classificati a livello 67 (ilpiù alto in OCSE PISA) i quali sono coloro che dimostrano di essere in grado diconcettualizzare, generalizzare e utilizzare informazioni basate sulla propria analisie modellizzazione di situazioni problematiche e complesse. A questo livello, gli stu-denti sono capaci di pensare e ragionare in modo avanzato e di sviluppare nuoviapprocci e nuove strategie nell’affrontare situazioni problematiche inedite.

Proprio per il costante riferimento a situazione problematiche (complesse e/oinedite), i risultati delle prove OCSE PISA8, potrebbero essere utili anche per sti-

resse, l’attitudine e l’abilità degli individui ad utilizzare in modo appropriato gli strumentisocio-culturali, tra cui la tecnologia digitale e gli strumenti di comunicazione per accederea, gestire, integrare e valutare informazioni, costruire nuove conoscenze e comunicare congli altri, al fine di partecipare più efficacemente alla vita sociale”. La Numeracy è definitacome “l’abilità di accedere a, utilizzare, interpretare e comunicare informazioni e ideematematiche, per affrontare e gestire problemi di natura matematica nelle diverse situa-zioni della vita adulta”.

6 Il fine di tale operazione è rendere possibile stimare il mismatch tra competenze pos-sedute e competenze richieste dal lavoro. Tramite tali dati, è possibile inoltre compren-dere come le competenze siano mantenute attive durante i compiti lavorativi oeventualmente vadano “perse” a causa del non utilizzo. Il metodo, già applicato in di-verse survey nazionali quali la British Skills Survey16 (regno Unito), OAC17 (Italia),O*NET (USA). Con tale metodo si chiede ai soggetti di valutare il livello di competenzenecessarie e richieste “sul campo” per svolgere uno specifico lavoro. Nonostante il me-todo JRA sia stato utilizzato in molte indagini nazionali, in PIAAC, per la prima voltaè stato utilizzato per un confronto internazionale. Il JRA valuta quattro categorie skilldomains: “competenze cognitive” (cognitive skills); competenze sociali e di relazione”(interaction and social skills); competenze fisiche o manuali” (physical or manual skills);“competenze di apprendimento” (learning skills).

7 Fonte OCSE PISA 2012.8 Va precisato che PISA 2012 ha indagato anche l’area Problem Solving. I risultati di tale

ricerche

157

Page 160: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

mare, trasversalmente, le più alte competenze di problem solving del campione. InItalia circa il 2% degli studenti raggiunge il livello 6 (2,2% per le competenze scien-tifiche; 0,4% per le competenze in lettura).

Come si evince dalla Fig.1, in PISA 2012 (ma così era anche in PISA 2009),quasi la metà degli studenti italiani si è collocata, invece, sui più bassi livelli dellascala: la percentuale cumulata da “sotto il livello 1” al livello 2, raggiunge, infatti,circa il 45% dei casi.

Fig. 1: Distribuzione percentuale dei livelli9 di competenza sull’area Matematica, in Italia (Elaborazioni proprie, su date base OCSE PISA 2012)

Viene quindi da chiedersi cosa significhi, nei termini di competenza raggiunta,essere tra il livello 1 e 2 e se su tali livelli sia possibile intravedere una qualche abi-lità nell’affrontare situazioni problematiche complesse. Secondo quanto esplicitatodal team di ricerca PISA, gli studenti che raggiungono i livelli più bassi della scalasono in grado di rispondere a domande che riguardino contesti loro familiari,nelle quali siano fornite tutte le informazioni pertinenti e sia chiaramente definitoil quesito. Essi sono in grado, inoltre, di individuare informazioni e di mettere inatto solo procedimenti di routine all’interno di situazioni esplicitamente definite eseguendo precise indicazioni. Tali studenti sono anche capaci di compiere azioniovvie che procedano direttamente dallo stimolo fornito. In estrema sintesi: gli stu-denti che si collocano intorno al livello 1 non hanno gli strumenti per muoversiall’interno di un mondo complesso e affrontare un compito che richieda flessibi-

area, come si legge nel Rapporto Nazionale OCSE PISA 2012 a cura di INVALSI, “sa-ranno oggetto di approfondimenti e uscite futuri, a livello tanto nazionale che interna-zionale” (Rapporto INVALSI 2012, p. 12). Solo recentemente, con il V Rapporto PISA2012 dal titolo “Creative Problem Solving Students’ skills in tackling real-life problemsVolume V”, l’OCSE ha pubblicato i primi dati di PISA 2012 relativi al Problem Solving.Dalle prime analisi di delinea un campione italiano al quindicesimo posto sull’area Pro-blem Solving (510 punti su una media OCSE di 500 punti). Per maggiori approfondi-menti si veda http://www.oecd.org/pisa/keyfindings/PISA-2012-results-volume-V.pdf.I dati analitici sui risultati nazionali non sono ancora disponibili nel momento in cui ilpresente paper viene redatto.

9 Il livelli presentati nel grafico in Fig. 1 sono 6 e non 6+1 come nelle rilevazioni OCSEin quanto il sottolivello 1 ed il livello 1 sono stati fatti qui confluire in un’unica catego-ria.

158

""

"""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""9 e non 6+1 come nelle rilevazioni OCSE in quanto il sottolivello 1 ed il l

Il report dell’indagine è consultabile su h

#!$%&'" #!$(&'" #!$%&'"

(%$)&'"

)$*&'"

#$#&'"

&$&&'"

+$&&'"

(&$&&'"

(+$&&'"

#&$&&'"

#+$&&'"

,&$&&'"

-./."012300."("."(" 412300."#" 412300."," 412300."!" 412300."+" 412300."%"

4123001"51"6.78393:;<"53=01">9?53:@"19<01<:1A"BC3<"D<937<@6<A"EF-B"#&(#A""""""""""""""""""""""""""""""""""""""GC3H?3:;3"83C63:9?<01A"

Page 161: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

lità, anche di grado minimo. Le difficoltà riscontrate negli studenti italiani, quindi,non evidenziano tanto (o solo) una carenza di competenze tecnico-specifiche odisciplinari quanto piuttosto una carenza di un pensiero flessibile e metacognitivo,in grado cioè di pensare sul pensare, per mettere in campo idonee strutture di au-toregolazione10 dei propri comportamenti. Tali dati riguardanti il sapere squisita-mente procedurale (o il “non sapere” in situazioni problematiche complesse) nonci fa ben supporre relativamente alle capacità di problem solving di questi stessi stu-denti, qualche anno più tardi, quando si accingeranno ad entrare nel mondo dellavoro. Ciò sembra stridere con la richiesta di competenze del mondo impresa.

A tal proposito, l’indagine Excelsior11, che delinea un confronto tra domandae offerta di lavoro, attraverso l’analisi delle competenze richieste, può essere utileper controllare quali siano, attualmente, i profili di competenza richiesti.

Nel Rapporto Excelsior 2013, nella sezione La domanda di professioni e di for-mazione delle imprese italiane, emerge un disallineamento tra domanda e offertadi lavoro. Le imprese chiedono sempre più al lavoratore competenze “trasversali”(soft skill) non direttamente legate ad una mansione specifica. Il dato era già, al-meno in parte, emerso nei rapporti Excelsior dei due anni precedenti (2011, 2012),con riferimento alle assunzioni non stagionali; nell’ultimo triennio emerge comecompetenza trasversale maggiormente richiesta, la capacità di lavorare in gruppo,ritenuta di grande importanza per stabilire le assunzioni non stagionali program-mate. Al secondo posto tra le competenze più richieste vi è la flessibilità e la capa-cità di adattamento. Anche in questo caso si tratta di una tendenza trasversale, checoinvolge tutti i settori e tutte le aree territoriali, sempre con una prevalenza percoloro con più elevati livelli d’istruzione12.

Sempre nell’indagine Excelsior 2013, si traccia, inoltre, il profilo contrattualeche le imprese possono offrire nel caso di nuove assunzioni. A seconda del settoredi riferimento, le assunzioni non dirette, ossia tramite contratti atipici, variano daun minimo del 7% circa (settore turistico, dove invece sono fortemente presentile assunzioni a termine o stagionali) fino ad un massimo del 50% circa (settorechimico), con una media di circa il 30% delle “assunzioni” atipiche totali italiane.Il dato Excelsior è in linea anche con le rilevazioni ISTAT circa le tipologie con-trattuali somministrate nel corso del 2012 (circa il 30% di contratti atipici, conpercentuali più alte nel Nord Ovest d’Italia).

Parrebbe, dunque, che, anche contrattualmente, si chieda al lavoratore di esseretendenzialmente autonomo, flessibile e in grado di portare avanti un progetto conun buon grado di indipendenza ma anche di interdipendenza, per potersi inter-facciare con il team aziendale con cui collabora.

10 Si veda a tal proposito il modello RIZA descritto da R. Trinchero, 2006 e 2012.11 Indagine sul Monitoraggio dei fabbisogni professionali dell’industria e dei servizi per

favorire l’occupabilità, di Union Camere, Fondo Sociale Europeo e Ministero del Lavoroe delle Politiche Sociali. Il report dell’indagine è consultabile su http://excelsior.union-camere.net/xt/flash.geoChooser/scegli-archivio.php.

12 http://excelsior.unioncamere.net/images/pubblicazioni/excelsior_2012_il_lavoro_do-po_gli_studi.pdf, p. 15.

ricerche

159

Page 162: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

2. Sviluppare strutture di pensiero e strategie per apprendere più proficua-mente. Una richiesta a più voci

La scuola è pronta a formare le capacità metacognitive dei ragazzi? Se si cerca ri-sposta al quesito nei livelli di competenza emersi nelle indagini precedentementeillustrate, la risposta parrebbe negativa; i ragazzi italiani sembrano, infatti, nonadeguatamente preparati a rispondere, non solo ai quesiti OCSE PISA, non soloalle richieste delle imprese, ma anche alle richieste del Ministero della PubblicaIstruzione. Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e delprimo ciclo d’istruzione13 parlano chiaro: “anche le relazioni fra il sistema formativoe il mondo del lavoro stanno rapidamente cambiando […]. Per questo l’obiettivodella scuola non può essere soprattutto quello di inseguire lo sviluppo di singole tec-niche e competenze; piuttosto, è quello di formare saldamente ogni persona sul pianocognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mute-volezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri. Le trasmissioni stan-dardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invariantipensati per individui medi, non sono più adeguate” (Indicazioni, 2012, p.5). Semprele Indicazioni Nazionali, nella versione del 2007 e nella revisione del 2012, espli-citano inoltre i Traguardi per lo Sviluppo delle Competenze, definendoli in più puntidel documento, come prescrittivi14 e tali traguardi non possono essere raggiunticon una didattica basata prevalentemente su contenuti, ma vanno sviluppate op-portune strategie cognitive negli alunni coinvolti. Da anni sappiamo che l’intelli-genza è dinamica, che si può educare15 e, grazie alla ricerca empirica, sappiamoanche quali sono i modi più efficaci per promuovere apprendimento e migliora-mento delle capacità personali16. Creare le condizioni della crescita e del successodovrebbe essere quindi l’obiettivo primario di una buona formazione scolastica.Un buon numero di docenti privilegia invece un approccio prevalentemente tra-smissivo, non utilizza appieno le potenzialità dei media per la formazione (Galliani2003 e 2006; Santonicito, 2006), lavora su contenuti e non su strategie. (Lumbelli,2003). Il Rapporto TALIS17, ha fornito uno spaccato interessante sulle modalitàcon cui i docenti del ciclo di scuola secondaria di primo grado fanno lezione, siaggiornano e si autovalutano anche rispetto alla predisposizione di ambienti effi-caci di insegnamento e apprendimento (Ischinger, 2009).

Sui 23 paesi esaminati, l’Italia si colloca all’ultimo posto per l’utilizzo di metodi

13 D.M. 254 del 16 novembre 2012 in G.U. n. 30 del 5 febbraio 201314 Si leggano ad esempio, gli asserti estratto dal testo delle Indicazioni del 2012, p. 13 “…

vengono fissati i traguardi per lo sviluppo delle competenze relativi ai campi di espe-rienza ed alle discipline. Essi rappresentano dei riferimenti ineludibili per gli insegnanti,indicano piste culturali e didattiche da percorrere e aiutano a finalizzare l’azione edu-cativa allo sviluppo integrale dell’allievo. Nella scuola del primo ciclo i traguardi costi-tuiscono criteri per la valutazione delle competenze attese e, nella loro scansionetemporale, sono prescrittivi, impegnando così le istituzione scolastiche affinché ognialunno possa conseguirli, a garanzia dell’unità del sistema nazionale e della qualità delservizio”. Affermazioni simili sono inoltre presenti nel testo delle Misure di Accompa-gnamento alle Indicazioni, pubblicato con Nota n. 2163 del 26 marzo 2014.

15 Si vedano a tal proposito gli studi di Feuerstein (1995);, Buchel (1990), Paour (2003),Martinez Beltran (2007).

16 Si vedano, tra gli altri, gli studi di Marzano et al (2001), Hattie (2009).17 Indagine OCSE TALIS 2009, Teaching and Learning International Survey.

160

Page 163: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

didattici basati su approcci d’insegnamento costruttivisti (per la definizione si vedaPeterson, 1989) importanti per poter costruire strutture di pensiero efficaci perinterpretare i problemi, affrontarli, riflettere sulla propria azione. Gli approcci co-struttivisti, infatti, in TALIS, sono definiti operativamente dai seguenti indicatori:un insegnante che crede che il suo ruolo sia di supportare gli studenti nella propriapersonale ricerca [di buone risposte]; un insegnante che crede che gli studentidebbano trovare soluzioni in primis da soli; un insegnante che crede che sia im-portante che gli studenti si sentano autorizzati a trovare soluzioni in autonomiaanche di fronte a problemi di ordine pratico, prima che l’insegnante fornisca lorosoluzioni “preconfezionate”; un insegnante che crede che sia più importante co-struire strutture di pensiero, piuttosto che fornire contenuti specifici. A quest’ap-proccio, in TALIS (Fig.2), si contrappone quello dell’insegnante trasmissivo cheinvece reputa importante fornire buone soluzioni ai problemi, fornire rispostechiare, corrette e rapidamente comprensibili dalla maggioranza degli studenti, for-nire un solido background di conoscenze da cui dipenderà, quanto apprenderannogli studenti in futuro; tenere il clima di classe “tranquillo” (quiet), in modo tale dafavorire l’apprendimento dei discenti.

Fig. 2: Grafico estratto da OECD TALIS Report, raffigurante il profilo dei paesi partecipantiall’indagine TALIS circa l’utilizzo di approcci d’insegnamento costruttivisti

vs trasmissivi-tradizionali

Relativamente a tale indicatore, secondo il quale un certo clima disciplinare(quiet) è considerato fondamentale per creare un ambiente di apprendimento ef-ficace, l’Italia, dimostra di essere il paese in cui gli insegnanti perdono più tempoper cercare di ripristinare l’ordine in classe.

Una buona parte di questi (e altri18) risultati di TALIS aiutano a focalizzare al-

18 Un ulteriore dato che emerge in TALIS è che sempre l’Italia, è il paese in cui è più alta

ricerche

161

Page 164: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

cuni bisogni che la scuola italiana denuncia in diverse fonti. Tralasciando qui ele-menti più di natura sistemica, quali i bisogni di valutazione e autovalutazione dellescuole e il necessario miglioramento dei metodi di formazione e aggiornamentodelle figure docenti, si presenta di seguito una ricerca empirica volta a controllarese l’utilizzo di una tecnica di matrice costruttivista (Questioning) possa migliorarele strategie di studio dei discenti e quindi favorire il miglioramento delle abilità diproblem solving.

3. Il Questioning per sviluppare strutture di pensiero

La tecnica del Questioning, così come di seguito presentata, è stata ideata da R.Trinchero (Trinchero, 2012) all’interno di un più ampio percorso dal titolo “Im-pariamo a studiare!” (2010), progettato al fine di migliorare le strategie di appren-dimento di bambini e adolescenti. Obiettivo dell’intervento specifico diQuestioning non è tanto presentare contenuti di apprendimento quanto piuttostofar vivere ai ragazzi delle esperienze di apprendimento e guidarli a riflettere19 su diesse utilizzando il gruppo e il formatore come risorse per migliorare sia esperienzasia la qualità della riflessione su di essa (Trinchero, 2010). In tal modo si cerca difar sviluppare ai ragazzi un “habitus” per affrontare le situazioni problematiche,non solo legate allo studio ma anche agli altri ambiti della vita. Il primo traguardoper affrontare efficacemente situazioni problematiche è imparare a porsi buonedomande (Gall, 1971 e 1978). Le attività proposte nell’intervento di Questioningpuntano a lavorare sulla capacità (e sulla volontà20) dei ragazzi di porsi delle buonedomande e di costruire delle buone risposte insieme al gruppo dei pari, anche gra-zie alla guida moderatrice (e non dispensatrice di risposte) del formatore. Le atti-vità di volta in volta proposte in aula mirano ad insegnare ai ragazzi uno schemaesplicito per porsi delle buone domande sulla realtà ed in particolare sui testi-sti-molo che stanno studiando. Gli stimoli possono essere scritti, orali o mediali. Delloschema-guida per la formulazione dei quesiti (illustrato in fig. 3) ne è poi stata re-datta una revisione maggiormente accattivante per la fruizione libera dei ragazzi.

La tecnica del Questioning si basa su un format prestabilito secondo il quale,durante il primo incontro i ragazzi lavorano su un testo fornito loro dal formatore;è un testo “sul primo giorno di scuola” che di primo acchito potrebbe sembrarebanale (troppo semplice per degli adolescenti che si sentono “più avanti”), in realtàall’interno del testo sono presenti numerosi impliciti, che richiedono ai ragazzi didare diverse interpretazioni personali, indispensabili per assegnare significato allediverse parti del testo. Tutta la classe viene chiamata poi a rispondere ad alcunedomande, già fornite su un modulo prestampato; l’esercizio che ne segue è la di-

la percentuale (circa 55%) degli inseganti che dichiarano di non aver mai ricevuto va-lutazione e feedback nei confronti del loro operato.

19 In riferimento alla capacità di riflettere ed autoregolare il proprio apprendimento divedano gli studi di Schunk (1998); Pellerey (2006); Zimmerman (2001).

20 Il Questioning può in tal senso essere letto come strategia per migliorare i processi diautoregolazione dell’apprendimento. Zimmermann (2001) sottolinea, infatti, come lapersona in grado di autoregolare il proprio apprendimento sia: motivata alla riuscitadi un compito ed in grado di utilizzare diverse strategie per lo svolgimento di questo,mettendo a controllo costantemente la propria attività per misurare l’efficacia delle stra-tegie adottate.

162

Page 165: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

scussione in gruppo sul confronto tra le diverse risposte fornite. Durante tale faseemergono, grazie al dibattito, diversi stili di risposta, es: risposta concisa e completa,concisa e incompleta, incompleta, analitica e completa, analitica e incompleta, etc.Solitamente i ragazzi si stupiscono come su un testo così banale (e quindi secondoloro da leggere superficialmente) si possano ricavare domande e risposte così dif-ferenziate, sia nella forma che nel contenuto.

Fig. 3: Schema di sintesi dei “quesiti tipo” che possono essere formulati sulla base di un testo fornito21

Dal secondo incontro, il format prevede che i testi-stimolo vengano segnalatial formatore dagli insegnanti di classe; viene richiesto che siano testi legati a con-tenuti disciplinari, su argomenti non ancora affrontati a lezione e possibilmentenon tratti dai libri adottati, in modo tale che i ragazzi non siano facilitati dal fattodi affrontare una lettura già nota. I ragazzi vengono invitati a formulare tutte ledomande possibili (proprio come se fossero loro gli insegnanti) in seguito a rispon-dere, sia alle loro domande, sia a quelle formulate dai compagni. Anche in questiprodotti si individuano diversi stili, sia di domanda sia di risposta, in quanto gliallievi acquisiscono la consapevolezza che anche la domanda (e non solo la rispo-sta) può essere, concisa, analitica, completa, incompleta, imprecisa, non compren-sibile etc. Gli incontri proseguono su testi disciplinari differenti ed il confrontocon il gruppo dei pari (e sempre meno con il formatore) diventa più stimolante; iragazzi si abituano a valutare più velocemente buone domande e buone risposte siaaltrui che proprie, mettendo in campo processi ripetuti di autovalutazione (Walsh,2003). Un punto miliare di tale processo di autovalutazione consiste nel frangentein cui i ragazzi si rendono conto che quando comprendono in maniera superficialeil significato di uno o più termini nel testo non riusciranno a “tirar fuori” né buonedomande, né tantomeno buone risposte sul testo stesso. Non è, infatti, un caso chedal secondo incontro, il formatore faccia trovare in aula un dizionario, spesso con-sultato dal gruppo senza che sia il formatore a richiederne l’uso. Quando il lavorosui testi disciplinari volge al termine, se le ore rimanenti lo rendono possibile, l’in-tervento di Questioning si conclude con la “gara delle domande e delle risposte” incui la classe, divisa in due squadre, si sfida nella formulazione delle migliori do-mande e delle migliori risposte.

21 Lo schema è tratto da R. Trinchero 2010 (protocollo di sperimentazione “Portfolio-Im-pariamo a Studiare!” consultabile su www.edurete.org).

ricerche

163

""

comprendono i superficiale

"""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""2 2010 (protocollo di sperimentazione “Portfolio-Impariamo a Studiare!” c

Page 166: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

4. La strategia di ricerca per controllare l’efficacia del Questioning

Le best practices didattiche, nella scuola italiana esistono. Ciò che manca è spessola sistematizzazione e capitalizzazione delle buone prassi che possono migliorarele strategie di apprendimento dei ragazzi e delle ragazze. Se non documentata eresa “trasferibile”, una buona pratica nasce e muore nel contesto d’origine. L’accu-rata descrizione d’interventi e contesti di sperimentazione aumenta, invece, la pos-sibilità di poter trasferire con successo a nuovi contesti l’innovazione sperimentata(Giovannini, Marcuccio, 2012). La ricerca per esperimento qui descritta si ponecome obiettivo quello di verificare come l’introduzione controllata di un fattoresperimentale (l’utilizzo della tecnica del Questioning) possa avere ricadute su diun fattore dipendente (qui le strategie di studio). La ricerca è stata condotta sulterritorio piemontese, adottando, in questo studio, il piano sperimentale a gruppounico, con un campione di ricerca di 59 adolescenti (di cui il 70% di genere fem-minile), tra i 14 ed i 15 anni, frequentanti due quarte ginnasio di un liceo dellaprovincia di Torino. Le due classi sono state in primis sottoposte ad un test pre-intervento, somministrato durante la prima settimana di ottobre e volto a rilevarele strategie di studio dei ragazzi; in seconda istanza hanno partecipato ad una fasesperimentale, della durata di 16 ore, condotta con la tecnica del Questioning inclasse, infine sono state sottoposte ad un test post-intervento, somministrato nellaprima settimana di dicembre e volto a rilevare un eventuale cambiamento rispettoalle strategie di studio ed apprendimento adottate. Sia la somministrazione deglistrumenti di rilevazione dati sia la fase sperimentale è stata condotta dal team diricerca, con la collaborazione e la presenza degli insegnanti di classe. I testi-stimoloutilizzati nella seconda fase della sperimentazione e scelti dagli insegnanti eranoafferenti a diversi ambiti disciplinari, in particolare: italiano, lingua inglese e storia,motivo per cui durante la sperimentazione in classe sono stati coinvolti i tre inse-gnanti delle sopracitate discipline.

5. Strumenti di rilevazione dati e primi risultati

I test Pre e test Post somministrati al campione sono strumenti ad alta struttura-zione22, autocompilati, costruiti su una definizione operativa che intende rilevareil profilo di studio dei ragazzi, al fine di controllarne il cambiamento a seguito del-l’intervento di Questioning. Sono stati individuati 9 profili di studio (sintetizzatiin Tab.1): Evasivo; Forzato; Indifferenziato; Superficiale; Di Gruppo; Mnemonico,Organizzato; Pratico; Riflessivo.

22 Più precisamente lo strumento di rilevazione dati presenta domande ad alta struttura-zione (per la rilevazione delle strategie di studio) e domande semistrutturate (per la ri-levazione delle discipline in cui il ragazzo si sente maggiormente debole/forte). Unestratto dello strumento di rilevazione è presente nella Fig. 4 del presente paper. Lostrumento integrale è consultabile su www.edurete .org (pulsanti: Impariamo a studia-re- Test capacità di studio-sperimentazione).

164

Page 167: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Tab. 1: Sintesi dei profili di studio individuati nella definizione operativa e caratteristiche principali di tali profili

Fig. 4: In figura è possibile vedere alcuni item ad alta strutturazione elaborati per rilevare il profilo “E” (Evasivo). Il questionario completo è consultabile sul sito

www.edurete.org ( Sezione Materiali, Progetto “Impariamo a studiare!”)

ricerche

165

PROFILO

Evasivo

Forzato

Indifferenziato

Superficiale

Di Gruppo

Mnemonico

Organizzato

Pratico

Riflessivo

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Non pianifica lo studio; non individua i concetti principali di un testo; non sin-tetizza le informazioni; non rilegge il testo più di una volta.

Non pianifica lo studio; non individua i concetti principali di un testo; non siconcede pause quando sente scemare l’attenzione; non è costante nello studio.

Non differenzia i concetti principali da quelli secondari; non fa delle simulazionidel discorso, non usa schemi, diagrammi e mappe di rappresentazione della co-noscenza.

Non differenzia i concetti principali da quelli secondari; non usa schemi, dia-grammi e mappe di rappresentazione della conoscenza; non tende a rielaborarele informazioni con parole proprie, non fa un elenco scritto degli argomenti chesente di non aver compreso pienamente, non approfondisce termini di cui noncoglie “al volo” il significato.

Scrive su un foglio quali sono le possibili domande/esercizi che il docente po-trebbe porre; si confronta con i compagni per individuare buone risposte; ritornacon i compagni sui materiali di studio per controllare eventuali differenze nellerisposte fornite agli esercizi.

Non tende a sintetizzare le informazioni; non differenzia i concetti principali daquelli secondari; non utilizza organizzatori della conoscenza; nel ripasso tendea rileggere tutto il testo, senza tralasciare nulla; ripete più volte, ad alta voce, ladefinizione dei termini, fino a quando non sente di “saperla ripetere”.

Usa schemi, diagrammi e mappe di rappresentazione della conoscenza; tende arielaborare le informazioni con parole proprie; controlla periodicamente la pro-pria “tabella di marcia” per autovalutare come procede lo studio.

Per studiare un concetto cerca di trovare degli esempi tratti dal mondo reale acui il concetto si possa applicare; se trova termini non noti, li cerca su glossari,dizionari o Internet, prima di procedere nello studio; per studiare un concettotenta di rielaborarlo con parole proprie.

Distingue i concetti principali da quelli secondari; chiede informazioni al do-cente o ai compagni per risolvere i dubbi che non è riuscito a chiarire consul-tando fonti esterne; fa un elenco scritto degli argomenti che sente di non avercompreso pienamente; si annota a lato del testo asserti o concetti importanti perla comprensione; formula autonomamente domande che potrebbe ricevere daldocente e tenta di fornire risposte utilizzando parole proprie.

##

( Sezione Materiali, Progetto

Page 168: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

La situazione iniziale ha rilevato la presenza di 6 profili di studio (sui 9 profiliprevisti dalla definizione operativa e sintetizzati in Tab.1), diversamente distribuitinel campione composto da 59 casi. In particolare nel test Pre: 3 casi rientrano nelprofilo Forzato (5%); 5 casi nel profilo Mnemonico (8%); 2 casi nel profilo Orga-nizzato (3%); 13 casi nel profilo Pratico (22%); 13 casi dal profilo Riflessivo (22%)e 23 casi dal profilo Superficiale (39%). Sono invece risultati assenti, nella rileva-zione iniziale in entrambe le classi23 i profili Evasivo, Indifferenziato e Di Gruppo.

Nella rilevazione finale, le distribuzioni di frequenza sui profili si sono, invece,così distribuite24: 1 caso sul profilo Forzato (2%); 4 casi sul profilo di Gruppo (7%);3 casi sul profilo Mnemonico (5%); 1 caso sul profilo Organizzato (2%); 19 casisul profilo Pratico (32%); 24 casi sul profilo Riflessivo (41%) e 7 casi sul profiloSuperficiale (12%).

Come si evince dalla Fig. 5, vi è stato un leggero decremento dei profili Forzato,Mnemonico e Organizzato ed un leggero incremento del profilo Pratico. Il datocertamente più interessante è il notevole cambiamento sui profili Superficiale eRiflessivo. Mentre nella rilevazione iniziale il profilo Riflessivo era costituito da13 casi su 59 (22%), a seguito dell’intervento di Questioning 24 casi su 59 (41%)dimostrano di rientrare in questo profilo. Di contro, mentre erano classificati nelprofilo Superficiale 23 casi (39%) nelle rilevazione iniziale, a seguito dell’introdu-zione del fattore sperimentale risultano di profilo superficiale 7 casi su 59 (12%).

Fig. 5: Nel grafico è riportato un estratto dell’analisi delle differenze prima-dopo. Per ogni profilo, qui sintetizzato con la lettera maiuscola25 sono presentate le frequenze osservate e le frequenze percentuali, così come si sono distribuite nelle rilevazioni pre

(grigio chiaro) e post (grigio scuro)

23 In particolare, nella rilevazione iniziale, nella classe A sono emersi i seguenti profili (traparentesi le frequenze osservate): Forzato (2 casi); Mnemonico (1 caso); Pratico (6 casi);Riflessivo (5 casi); Superficiale (16 casi); nella classe B invece: Forzato (1 caso); Mnemonico(4 casi); Organizzato (2 casi); Pratico (7 casi); Riflessivo (8 casi); Superficiale (7 casi).

24 Volendo precisare anche per la rilevazione finale la distribuzione dei profili distintisulle due classi, è emerso quanto segue: nella classe A, profilo Di Gruppo (2 casi); Pra-tico (13 casi); Riflessivo (12 casi); Superficiale (3 casi); nella classe B: Forzato (1 caso);Di Gruppo (2 casi); Mnemonico (3 casi); Organizzato (1 caso); Pratico (6 casi); Rifles-sivo (12 casi); Superficiale (4 casi).

25 Si riporta la legenda per la lettura dei profili: F= Forzato; G= Di Gruppo; M= Mnemo-nico; O= Organizzato; P= Pratico; R= Riflessivo; S= Superficiale). Nel grafico in Fig.5sono riportate le frequenze osservate e le frequenze percentuali, così come si sono di-stribuite nelle rilevazioni pre (grigio chiaro) e post (grigio scuro). Per un dettaglio sulledifferenze delle frequenze osservate nelle due classi si vedano le note 22 e 23 del presentelavoro.

166

##

c

per mettere meglio a fuoco il problema, sa consultare fonti esterne; è in grado

d

(il modulo sul

Q

#############################################################2

##

#############################################################

##

#############################################################

##

#############################################################

##

#############################################################

##

#############################################################

##

#############################################################

##

#############################################################

##

#############################################################

g

##

#############################################################

I

##

#############################################################

r

##

#############################################################

o

##

#############################################################

##

#############################################################

g

##

#############################################################

b

##

#############################################################

##

#############################################################

p

##

#############################################################

e

##

#############################################################

q

##

#############################################################

o

##

#############################################################

o

##

#############################################################

##

#############################################################

##

#############################################################

d

##

#############################################################

o

##

#############################################################

e

##

#############################################################

e

##

#############################################################

##

#############################################################

e

##

#############################################################

2

##

#############################################################

s

##

#############################################################

##

#############################################################

##

#############################################################

!

Page 169: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

In ultimo, proprio per lo spazio dedicato, durante la sperimentazione, al con-fronto con il gruppo, alla comunicazione tra compagni, alla messa in atto di pro-cessi di etero valutazione tra pari, pare significativo anche lo spostamento26 dialcuni allievi (4) sul profilo Di Gruppo, su cui invece non erano stati individuaticasi durante la rilevazione ad inizio percorso. Il dato assume una rilevanza ancorpiù particolare se si pensa alle indagini Excelsior e all’importanza del saper lavorarein gruppo e saper fare squadra considerate dai datori di lavoro tra le soft skillmag-giormente appetibili.In tali risultati, nonostante la relazione non possa dirsi statisticamente signi-

ficativa a causa di un campione ridotto, è possibile evidenziare delle tendenze in-teressanti che certamente dovrebbero essere messe a controllo con un campionedi più ampie dimensioni. Sulla base delle evidenze qui riportate, sembra, infatti,che meno di una ventina di ore dedicate a un approccio didattico volto a migliorarele strategie di studio negli studenti possano effettivamente spostare l’ago della bi-lancia da classi con un profilo di studio tendenzialmente superficiale (quasi il 40%nella rilevazione pre) a classi dal profilo prevalentemente riflessivo (41% nella ri-levazione post). Se il risultato venisse confermato in ulteriori ricerche con nume-rosità campionaria maggiore, la tecnica del Questioning potrebbe rispondere adalcune delle criticità evidenziate nelle indagini citate. Il profilo Riflessivo (Tab.1),infatti, è tendenzialmente il profilo di chi sa approcciarsi correttamente a una si-tuazione problematica (PIACC), sa distinguere le informazioni utili da quelle inu-tili (PISA); sa chiedere ulteriori delucidazioni per mettere meglio a fuoco ilproblema, sa consultare fonti esterne; è in grado di porsi quesiti significativi primaancora che questi gli vengano posti da altri, è in grado di mettere in atto processirisolutivi non necessariamente di routine (PIAAC; PISA; Excelsior). Dalle eviden-ze raccolte, per raggiungere tali risultati, non sembra necessario un clima quiet,caro ai docenti italiani; neppure sembra auspicabile rivedere interamente un monteore disciplinare (il modulo sul Questioning è stato svolto in 16 ore di incontri fron-tali). Ciò che invece emerge dalla ricerca è che per abbassare il livello di superfi-cialità dei profili di studio dei propri studenti, è necessario investire tempo-scuolanell’insegnamento e nella pratica di opportune strategie elaborative e metacogni-tive e il Questioning può essere una di queste.

Riferimenti bibliografici

Di Francesco G. (2013) (Ed.). Le competenze per vivere e lavorare oggi: principalievidenze dall’indagine PIAAC / ISFOL, Roma: ISFOL, c2013, Isfol Research Pa-per; 9.

Gall M.D., Ward B.A., Berliner D.C., Cahen L.S., Winne P.H., Elashoff J.D., StantonG.C. (1978). Effects of questioning techniques and recitation on student learn-ing. American Educational Research Journal, 15, pp. 175-199.

Gall M.D. (1984). Synthesis of research on teachers’ questioning. Educational Lea-dership, 42(3), pp. 40-47.

26 Gli studenti che si sono spostati sul profilo Di Gruppo sono 2 per ogni classe. In par-ticolare nella classe A i due ragazzi risultati nella rilevazione post con un profilo DiGruppo, nel test pre erano entrambi nel profilo Superficiale; nella classe B invece i dueprofili Di Gruppo, nella rilevazione iniziale erano risultati essere Riflessivo e Pratico.

ricerche

167

Page 170: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Galliani L. (2003). Educazione versus formazione: processi di riforma dei sistemieducativi e innovazione universitaria. Napoli: Edizioni Scientifiche italiane.

Galliani L. (2004). I mezzi di comunicazione. In B. Vertecchi (Ed.), Il secolo dellascuola (pp. 289-305). Firenze: La Nuova Italia (ed. orig. 1994).

Giovannini M.L., Marcuccio M. (2012). Ricerca sulla valutazione di un progettoscolastico innovativo. Scelte e interrogativi.Milano: FrancoAngeli.

Marzano R. J., Pickering D. J., Pollock J. E. (2001). Classroom instruction that works:Research-based strategies for increasing student achievement. Alexandria, VA:Association for Supervision and Curriculum Development.

Morgan N., Saxton J. (1991). Teaching, questioning, and learning. London: Rou-tledge.

Pellerey M. (2006). Dirigere il proprio apprendimento. Autodeterminazione e auto-regolazione nei processi di apprendimento. Brescia: La Scuola.

Redfield D.L., Rousseau E.W. (1981). A meta-analysis of experimental researchon teacher questioning behavior. Review of Educational Research, 51, pp. 237-245.

Santonocito S. (2006). Le TIC nella didattica. Una ricerca empirica sui docenti e lescuole del Veneto. Padova: Cleup.

Schunk D. H. (1998). An educational psychologist’s perspective on cognitive neu-roscience. Educational Psychology Review, 10, pp. 411-417.

Trinchero R. (2012). Costruire, valutare, certificare competenze: proposte di attivitàper la scuola.Milano: FrancoAngeli.

Trinchero R. (2002). Manuale di ricerca educativa. Milano: FrancoAngeli.Walsh J.A., Sattes B.D. (2003). Questioning and Understanding to Improve Learning

and Thinking: Teacher Manual (2nd ed.). Charleston, WV: AEL.Wiggins G., McTighe J. (2000). Understanding by design. Alexandria, VA: Associ-

ation for Supervision and Curriculum Development.Wilen W.A., Clegg A.A., Spring (1986). Effective questions and questioning, A re-

search review. Theory and Research in Social Education, 14(2), pp. 153-61.Zimmerman B.J. (2001). Theories of self-regulated learning and academic achieve-

ment: an overview and analysis. In B.J. Zimmerman, D.H. Schunk (Eds.), Self-regulated learning and academic achievement (pp. 1-37). Mahwah, NJ:Lawrence Erlbaum Associates.

168

Page 171: Sird12 2014

169

Uno studio longitudinale sul valore aggiunto come misura di efficacia scolastica: risultati ed elementi di problematicità

A longitudinal study on value-added indicators for measuring school effectiveness: results and critical aspects

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Alessandra Rosa - Università di degli Studi di Bologna - [email protected] Silva - Università degli Studi di Bologna - [email protected]

The ongoing debate about value-added mo-dels as indicators of school effectiveness hi-ghlights as a primary need the detection andanalysis of longitudinal data. Consequently,the present study followed from the first tothe last year a cohort of more than 700 stu-dents from 12 junior high schools in the pro-vince of Bologna. At present, value-addedmodels are increasingly taken into accounteven in our country, aiming to the evaluationof the school system. Through the compari-son of data obtained during the three years,results of the present research confirm someof the methodological issues already discus-sed in the international literature, while alsoproviding interesting insights on the use ofvalue-added.

Keywords: school effectiveness, value-ad-ded models, accountability and school im-provement, longitudinal study, junior highschool, reading comprehension skills.

Il dibattito degli ultimi anni sul valore ag-giunto come indicatore di efficacia scolasti-ca sottolinea l’esigenza di disegni dirilevazione e analisi dei dati di tipo longitu-dinale. Alla luce di tali orientamenti, il pre-sente studio ha preso in esame una leva dioltre 700 studenti frequentanti 12 scuole se-condarie di I grado della provincia di Bolo-gna, seguendola dal momento dell’ingressoa quello dell’uscita dalla scuola media. Attra-verso la comparazione dei dati emersi neltriennio, i risultati della ricerca confermanoalcune problematiche di ordine metodolo-gico evidenziate dalla letteratura internazio-nale, fornendo inoltre interessanti spunti diriflessione sull’uso dei modelli di valore ag-giunto in un momento in cui, anche nel no-stro Paese, essi sembrano godere dicrescente considerazione nell’ambito delleprocedure finalizzate alla valutazione di si-stema.

Parole chiave: efficacia scolastica, valore ag-giunto, accountability e miglioramento, stu-dio longitudinale, scuola secondaria di Igrado, comprensione del testo.

Benché il contributo sia frutto del lavoro congiunto delle due autrici, Alessandra Rosa hascritto i §§ 1, 3 e 4, Liliana Silva ha scritto i §§ 2, 5 e 6.

Page 172: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

1. Caratteristiche e definizioni dei modelli di valore aggiunto

L’esigenza di una scuola equa ed efficace, che si pone in modo sempre più pressantenello scenario attuale della società della conoscenza e del lifelong e lifewide learning,evidenzia la portata culturale e politica della problematica presa in esame nel pre-sente contributo, relativa alla misurazione dell’efficacia scolastica non solo in un’ot-tica di responsabilità e trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica, ma anchenella prospettiva di un miglioramento continuo dell’offerta formativa e dei processidi insegnamento/apprendimento. La ricerca di modelli e procedure che consen-tano di pervenire a misure valide e attendibili dell’efficacia dei sistemi di istruzionee delle singole scuole risulta pertanto fondamentale da un lato per la cosiddettaaccountability, ovvero per la rendicontazione esterna dell’operato degli istituti edegli insegnanti, divenuta centrale anche a seguito dell’accresciuta autonomia adessi assegnata a livello gestionale, organizzativo e didattico; dall’altro lato per in-centivare processi di valutazione/autovalutazione che, a partire dalla riflessione edal confronto sui risultati emersi, consentano di definire interventi di migliora-mento in relazione ai punti deboli riscontrati.

Sulla base delle esigenze delineate, nell’ambito di quel filone della ricerca edu-cativa internazionale solitamente definito come School Effectiveness Research (SER)è emersa e si affermata, soprattutto negli ultimi due decenni, la proposta di modellibasati sul valore aggiunto. Tale concetto, le cui origini vanno ricercate nel settoredell’economia e della produzione di beni materiali, è stato trasposto al settore del-l’istruzione e proposto da vari studiosi afferenti al campo di indagine come pos-sibile soluzione al problema di individuare indicatori di efficacia più affidabili evalidi di quelli tradizionalmente utilizzati per la valutazione dei sistemi scolastici.Questi ultimi infatti, essendo basati sui “punteggi grezzi” degli studenti in provestandardizzate di profitto somministrate al termine di determinati gradi/cicli sco-lastici, sono ritenuti indicativi non tanto dell’efficacia degli istituti frequentati edell’istruzione ricevuta, quanto piuttosto delle differenze nella composizione dellapopolazione scolastica in termini di background socio-culturale: è noto infatti chetra rendimento scolastico e ambiente familiare di provenienza vi è una forte asso-ciazione e che gli alunni in condizione di svantaggio ottengono, mediamente, ri-sultati inferiori rispetto agli studenti di status più elevato.

In che modo si differenziano, rispetto a tali misure, gli indicatori ottenibili me-diante modelli di valore aggiunto? È possibile rispondere a tale domanda partendodalla descrizione che ne fornisce l’OCSE in un rapporto dedicato alla tematica daltitolo Measuring improvements in learning outcomes: best practices to assess the va-lue-added of schools, in cui essi vengono definiti come una categoria di modellistatistici che stimano il contributo delle scuole ai progressi degli studenti verso il

170

Uno studio longitudinale sul valore aggiunto come misura di efficacia scolastica: risultati ed elementi di problematicità

Page 173: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

raggiungimento di obiettivi educativi stabiliti o prescritti “al netto” di altri fattoriche influenzano tali progressi (OECD, 2008). In altre parole, il valore aggiunto in-dica l’accrescimento nei livelli di apprendimento degli studenti specificamente ri-conducibile ai processi di istruzione, in quanto i risultati che essi ottengono nelleprove di profitto vengono elaborati statisticamente per tener conto del peso eser-citato da variabili antecedenti quali il retroterra socio-culturale di provenienza ela loro “dotazione iniziale” in termini di conoscenze/competenze possedute, checostituiscono potenti predittori della riuscita scolastica.

A questo proposito, è necessario sottolineare il fatto che, nell’ambito della Scho-ol Effectiveness Research, l’espressione “valore aggiunto” è stata utilizzata per indi-care almeno tre diversi approcci alla misurazione dell’efficacia scolastica (Schagen,Hutchison, 2003): a) misurazione del rendimento attraverso un’unica rilevazione,“depurando” però i punteggi grezzi conseguiti dall’influenza del background fa-miliare degli studenti; b) misurazione del progresso attraverso più rilevazioni ef-fettuate a distanza di tempo, “depurando” i punteggi grezzi conseguiti al terminedi determinati periodi di istruzione dall’influenza riconducibile al rendimentopregresso degli studenti; c) misurazione del progresso attraverso più rilevazionieffettuate a distanza di tempo, “depurando” i punteggi grezzi conseguiti al terminedi determinati periodi di istruzione dall’influenza sia del rendimento pregresso,sia del background familiare degli studenti.

Il concetto di valore aggiunto ha dunque assunto accezioni e significati diffe-renti ma, come testimonia ad esempio il rapporto dell’OCSE precedentemente ci-tato, la letteratura più recente sembra ampiamente concorde nel circoscrivere l’usodi tale espressione soltanto al terzo degli approcci menzionati. In definitiva, il va-lore aggiunto, in quanto misura di progresso piuttosto che di status, si configuracome differenza tra un risultato osservato – il punteggio effettivamente ottenutodagli studenti nelle prove standardizzate – e un risultato atteso – determinato dallecaratteristiche di sfondo e di partenza degli studenti; se la differenza assume segnopositivo si può realmente parlare di valore aggiunto, mentre in caso di segno ne-gativo sarebbe forse più opportuno parlare di “valore sottratto”. La tecnica statisticatipicamente impiegata per determinare tale differenza è rappresentata dall’analisidella regressione, che consente di individuare e “isolare” – nell’ambito dell’analisidella varianza derivata dalla regressione – la parte di varianza associata ai risultatidegli studenti che, non essendo attribuibile ai predittori inseriti nel modello, puòconsiderarsi, con le dovute cautele, riconducibile all’effetto della scuola e dei pro-cessi di istruzione.

I risultati delle analisi di valore aggiunto variano a seconda del modello adot-tato e la presentazione degli stessi può essere strutturata in base ai livelli di aggre-gazione dei dati utilizzati come riferimento per il calcolo (singolo studente,classe/insegnante, scuola, area locale o regionale), nonché in base agli usi e ai de-stinatari previsti. A tale riguardo, il rapporto dell’OCSE individua tre principalitipologie di impiego dei dati ottenuti mediante modelli di valore aggiunto, ciascu-na delle quali implica il riferimento, almeno in via prioritaria, a diversi tipi di sta-keholder: la prima è finalizzata a supportare l’accountability scolastica, la secondale scelte degli studenti e delle loro famiglie e infine la terza il miglioramento degliistituti e dei processi educativi (OECD, 2008).

I primi due obiettivi individuati hanno entrambi a che fare con l’istanza, ri-chiamata in apertura del contributo, di una rendicontazione sociale dell’operatodelle scuole mediante la pubblicazione dei risultati raggiunti dagli studenti, rea-lizzando sistemi informativi in grado di fornire validi e attendibili indicatori diefficacia atti a supportare processi decisionali a vari livelli (dalle scelte di politica

ricerche

171

Page 174: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

scolastica e allocazione delle risorse a quelle delle famiglie). Il terzo si riferisce in-vece alla necessità, sempre più sottolineata negli ultimi anni (ad es. Giovannini,Tordi, 2009), di un uso “interno” dei dati provenienti da valutazioni esterne, incui le informazioni prodotte a livello di sistema sono messe al servizio dei singoliistituti per contribuire ad alimentare processi di riflessione e autovalutazione che,a loro volta, portino a definire piani di miglioramento.

In quest’ottica perde importanza la creazione di “classifiche” delle scuole e de-gli insegnanti, rintracciabile ad esempio nella tradizione delle League Tables in-glesi, mentre acquisisce valore la ricaduta formativa dei risultati, il loro porsi qualidati cui dirigenti scolastici e docenti possono fare riferimento per una migliorecomprensione/regolazione del proprio agire professionale e quali informazioniutili a supportare il monitoraggio e il miglioramento continuo dei processi diistruzione.

2. Il dibattito relativo alle indagini longitudinali sul valore aggiunto

Il dibattito relativo alle finalità e alla definizione sempre più accurata dei modelliper l’analisi del valore aggiunto ha trovato ampio respiro all’interno delle diverseesperienze sviluppatesi in ambito internazionale. All’interno di questo quadro,una delle tematiche centrali su cui vari studiosi hanno richiamato l’attenzione èindubbiamente rappresentata dal tipo di disegno necessario nell’impostazione del-le procedure di rilevazione/analisi dei dati e, in particolare, dall’importanza diadottare una prospettiva longitudinale, che in riferimento al valore aggiunto sipresenta come necessaria, ma al tempo stesso problematica. Tale esigenza si ricol-lega non solo all’intento di pervenire a stime più corrette degli effetti complessi-vamente rilevabili a livello di istituto e di classe, ma anche a quello di sondare lastabilità nel tempo degli indicatori di valore aggiunto relativi alle singolescuole/classi.

Per quanto alcuni autori abbiano teorizzato e avanzato ipotesi relative alle pos-sibilità di un modello di valore aggiunto longitudinale (ad es. Gray et al., 1996;Luyten, 1994), la prospettiva a lungo termine è stata oggetto di ricerche empirichesolo negli ultimi anni (cfr. ad es. Goldhaber, Hansen, 2008). A seguito delle diffi-coltà riscontrate nella misurazione nel corso di un solo anno (ad es. Giovannini,Tordi, 2009) si è infatti ritenuto necessario ampliare il framework temporale dellaricerca, per poter considerare i progressi degli studenti all’interno di un arco tem-porale più ampio.

Come è stato messo in evidenza nel precedente paragrafo, per il calcolo degliindicatori di valore aggiunto sono necessarie almeno due rilevazioni dei dati suglistessi soggetti; tuttavia, alcuni studiosi hanno indicato il triennio come l’arco tem-porale “minimo” per analisi che consentano di verificare la stabilità nel tempodelle misure effettuate (Kyriakydes, Creemers, 2008; Thomas et al., 2007; Van deGrift, 2009). L’ampliamento del framework temporale considerato permette infattidi ridurre gli errori di misura (Rothman, 2010) e di potenziare l’effetto formativodei dati, valorizzando il monitoraggio continuo e quindi la possibilità di ottenereinformazioni importanti per attuare miglioramenti negli istituti e nelle classi(Creemers, Kyriakydes, 2006).

Come sopra accennato, gli studi longitudinali offrono vantaggi dal punto divista dell’analisi dei dati, ma anche difficoltà e problematiche che, soprattutto senon opportunamente esplicitate e affrontate, possono indebolire la validità e l’at-

172

Page 175: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

tendibilità dei risultati ottenuti. Innanzitutto è necessario disporre di un sistemadi codifica/archiviazione dei dati che consenta di seguire l’allievo per un periododi tempo molto lungo, nel quale inevitabilmente saranno presenti variazioni (Am-rein-Beardsley, 2008); occorre inoltre prevedere l’insorgere di comportamenti op-portunistici da parte di alcuni soggetti interessati (ad es. effetto gaming) e curareil processo di informazione sui metodi e sui fini, che deve accompagnare la co-struzione di un impianto per molti aspetti complesso e delicato (Ricci, 2008); in-fine è necessario considerare che le variazioni nel tempo sono il frutto didinamiche complesse, non riconducibili esclusivamente all’effetto della scuola ealle prassi educative correnti (effetti ritardati, effetti life cycle, effetti incrociati traambiti disciplinari ecc).

La dimensione longitudinale è inoltre strettamente collegata alla problematicadei dati mancanti: più misure sono necessarie per un calcolo accurato, più aumentala possibilità di avere una mancanza di dati per il calcolo stesso, generando insta-bilità e incertezza nella restituzione di “classifiche” e risultati alle scuole (ad es.Ding, 2009; Van de Grift, 2009). Anche per i modelli di valore aggiunto, l’aspettodei missing data fa sostanzialmente riferimento ai soggetti che, per vari motivi(trasferimenti, ritiri, bocciature, assenze ecc.), presentano dati incompleti e ven-gono esclusi dalle analisi; il problema riguarda inoltre gli studenti che non sonoin grado di sostenere la prova (certificati, stranieri non alfabetizzati ecc.), i qualituttavia incidono sull’efficacia complessiva della didattica. Pur costituendo unodei principali nodi problematici messi in luce da vari studiosi, la letteratura inter-nazionale non sembra offrire una definizione precisa della possibile soluzione.Nell’ambito dei sistemi implementati in altri Paesi per la rilevazione e l’analisi delvalore aggiunto il problema è stato affrontato in diversi modi. Il TVAAS (Tennes-see Value Added Assessment System) sviluppato da William Sanders, ad esempio,tratta i dati relativi ai soggetti mancanti equiparandoli alla media rilevata a livellodi distretto ma, come sottolinea Kupermintz (2003), ciò può produrre distorsionisoprattutto per le classi caratterizzate da un elevato numero di dati mancanti. Por-tela et al. (2013), invece, propongono la definizione di un indice per la valutazionedelle evoluzioni delle performance scolastiche strutturato sulle misure di valoreaggiunto e sulle buone pratiche sviluppatesi nel tempo. Inserire l’impatto statisticodei dati mancanti nei modelli di valore aggiunto è certamente possibile, ma se nonfatto con precisione e analitica definizione degli indici il risultato finale, ancorauna volta, può generare informazioni scarsamente attendibili (Wiley, 2006).

La scelta più ricorrente in letteratura sembra essere quella di escludere i sog-getti con dati mancanti dalle analisi di valore aggiunto, basata in sostanza sul pre-supposto che essi siano distribuiti in modo casuale tra le varie scuole/classi. Vande Grift (2009), tuttavia, sottolinea come anche questa scelta sia discutibile, inquanto la distribuzione dei dati mancanti può essere considerata casuale soltantoin parte: i tassi di mobilità, di assenteismo, di ripetenza o di abbandono, ad esem-pio, non sono i medesimi in tutti gli istituti, ma tendono ad essere particolarmenteelevati soprattutto nelle scuole caratterizzate da un’utenza di basso livello socio-culturale e da indicatori di risultato sotto la media.

ricerche

173

Page 176: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

3. Obiettivi e impostazione della ricerca

Ponendosi in continuità con gli studi sul valore aggiunto già effettuati nell’ambitodel Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale della Sapienza - Università diRoma1, ma al tempo stesso differenziandosi da essi non solo per il livello scolasticoconsiderato ma soprattutto per la scelta innovativa di adottare un disegno di ri-cerca longitudinale, nel triennio compreso tra gli anni scolastici 2008/2009 e2010/2011 è stato realizzato uno studio nella scuola secondaria di I grado che hacoinvolto e collegato tra loro tre ricerche di dottorato2, ciascuna incentrata su unodei tre anni del progetto ma con un progressivo ampliamento del raggio di analisidei dati. In particolare, nell’indagine svolta nel secondo anno è stato possibile pren-dere in esame un arco temporale di due anni, confrontando i risultati degli allievicon quelli ottenuti, dagli stessi allievi, nell’ambito dell’indagine realizzata nel primoanno; allo stesso modo, nell’indagine effettuata nel terzo anno è stato possibile ri-flettere sull’andamento dei risultati relativi all’intero triennio considerato. A partire dal quadro teorico delineato nei precedenti paragrafi e sulla scorta

degli studi effettuati in altri Paesi, il progetto di ricerca ha inteso esplorare nel con-testo italiano potenzialità e limiti degli indicatori di valore aggiunto per la misu-razione dell’efficacia scolastica. Le ipotesi formulate e sottoposte a verifica –incentrate sul confronto tra tali indicatori e quelli basati sui punteggi grezzi, sullacomparazione tra diversi livelli di analisi (scuola e classe) e sull’esame dell’anda-mento delle misure effettuate nell’arco di tempo in esame – hanno mirato, nelcomplesso, a fornire utili spunti di riflessione in merito alla seguente controversaquestione: è possibile utilizzare il valore aggiunto per valutare – ed eventualmentepremiare/sanzionare – le scuole e gli insegnanti? Il campione coinvolto nella ricerca, tratto da una popolazione di riferimento

rappresentata da tutte le scuole secondarie di I grado attive sul territorio della pro-vincia di Bologna nell’a.s. 2008/2009, comprende 12 istituti per un totale di 36classi (tre per ciascun istituto) e oltre 700 studenti. La selezione delle unità di ana-lisi da tale popolazione è avvenuta mediante campionamento per obiettivi o di giu-dizio o ragionato, espressioni con cui si indica quel “disegno che ha come criterioil giudizio del ricercatore stesso, che sceglie le unità di analisi proprio sulla basedella sua aspettativa di ottenere risposte che meglio si confanno alle finalità del-l’indagine” (Lucisano, Salerni 2002, p. 138). Tale piano di campionamento, quindi,pur essendo di tipo non probabilistico e limitando di conseguenza la possibilitàdi generalizzare i risultati ottenuti, è stato scelto in base alle finalità e alle caratte-ristiche del progetto di ricerca, rispetto alle quali risultava necessario includerenello studio scuole rispondenti ai seguenti due requisiti di fondo: la collocazionein zone e contesti diversificati, allo scopo di coinvolgere istituti caratterizzati daun’utenza eterogenea in termini di background socio-culturale; la disponibilità di

174

1 Nell’ambito del Dottorato in Pedagogia sperimentale la tematica della misura dell’effi-cacia scolastica per mezzo del valore aggiunto è stata precedentemente affrontata daldott. Cristiano Corsini (XX ciclo) e dalla dott.ssa Claudia Tordi (XXI ciclo), le cui ri-cerche hanno preso in esame l’ultimo anno della scuola primaria facendo riferimento,rispettivamente, alle competenze degli alunni in lettura e in matematica.

2 Le tre indagini coinvolte nel progetto di ricerca longitudinale - coordinate e supervi-sionate dalla Prof.ssa Maria Lucia Giovannini e dal Prof. Pietro Lucisano - sono staterealizzate dalla dott.ssa Margherita Ghetti (XXII ciclo), dalla dott.ssa Alessandra Rosa(XXIII ciclo) e dalla dott.ssa Liliana Silva (XXV ciclo).

Page 177: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

almeno tre classi/sezioni parallele, per consentire l’analisi della varianza intra-scuo-la delle misure di efficacia.

La scelta dell’ambito entro cui rilevare gli apprendimenti degli studenti – da cuipartire per elaborare indicatori e graduatorie di efficacia relativi alle scuole e alleclassi partecipanti alla ricerca – ha privilegiato le abilità di lettura e comprensionedei testi, che indubbiamente occupano un posto di primo piano tra le abilità di baseche la scuola ha il compito di fornire agli studenti: esse non solo sono di natura tra-sversale e dunque necessarie per affrontare con successo lo studio di qualunque di-sciplina scolastica, ma risultano anche indispensabili per la vita al di fuori dellascuola in una società che sempre più richiede capacità di ampliamento/aggiorna-mento continuo delle conoscenze possedute. In ciascuno dei tre anni considerati siè dunque proceduto alla messa a punto, alla taratura e alla somministrazione di pro-ve strutturate di comprensione del testo, utilizzando item di ancoraggio tra una pro-va e l’altra e sottoponendo ogni volta i risultati ad item analisi mediante procedurericonducibili al modello dell’Item Response Theory (IRT), che consente di incre-mentare la precisione e l’attendibilità delle misure mettendo in relazione la difficoltàdei quesiti utilizzati e l’abilità dei soggetti rispondenti. Come illustra la Tabella 1sotto riportata, la medesima leva di studenti è stata coinvolta in un ciclo di quattrorilevazioni successive, consentendo di analizzare in prospettiva diacronica l’anda-mento degli indicatori di valore aggiunto nel triennio considerato.

Tab. 1: La scansione temporale dello studio longitudinale nella scuola secondaria di I grado

Per raccogliere i dati relativi al background familiare degli studenti, indispensa-bili per elaborare le misure di valore aggiunto, ma anche al fine di rilevare ulterioriinformazioni di contesto e di processo utili ad approfondire e interpretare tali misure– focalizzando in particolare l’attenzione sulle caratteristiche, sulle percezioni e sulleprassi degli insegnanti coinvolti –, sono stati inoltre messi a punto e utilizzati deiquestionari rivolti tanto agli studenti quanto ai loro docenti di italiano.

4. Principali risultati emersi dal primo biennio dello studio

Rifacendosi alle tecniche statistiche già utilizzate nel primo anno dello studio lon-gitudinale, gli indicatori di valore aggiunto relativi al secondo anno sono stati ot-tenuti mediante un’equazione di regressione lineare multivariata in cui, comevariabile dipendente, è stato considerato il punteggio nella prova di comprensionedel testo svolta dagli studenti in uscita dalla seconda media, mentre come predittorio regressori sono stati inseriti: a) il rendimento pregresso, ovvero i punteggi nelledue prove svolte in prima3; b) l’indice socio-culturale familiare (ISC), costruito me-

Classe prima - a.s. 2008/09 Classe seconda a.s. 2009/10 Classe terza - a.s. 2010/11

I somministrazione Ottobre 2008

II somministrazione Maggio 2009

III somministrazione Aprile/Maggio 2010

IV somministrazione Aprile/Maggio 2011

Prova di comprensione del testo

entrata prima media

Prova di comprensione del testo

uscita prima media

Prova di comprensione del testo

uscita seconda media

Prova di comprensione del testo

uscita terza media

!

ricerche

175

3 I coefficienti di correlazione osservati tra la variabile dipendente e il rendimento pre-

Page 178: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

diante analisi fattoriale a partire da alcune variabili di sfondo relative all’ambientedi provenienza degli studenti (tra cui il titolo di studio e l’occupazione dei genito-ri)4. Nel complesso, i regressori inseriti nel modello di analisi contribuiscono a“spiegare” una percentuale di varianza nei risultati degli studenti pari al 79%, chene conferma l’elevato potere predittivo sul rendimento scolastico.

Come già osservato nel primo anno dello studio e come ipotizzato in base agliesiti emersi da altre indagini effettuate in contesti diversi e/o a differenti livelli delsistema di istruzione (ad es. Choi et al., 2004; Corsini, 2009; Giovannini, Tordi,2009), l’uso di indicatori di valore aggiunto (VA) in luogo delle tradizionali misurebasate sui punteggi grezzi (PG) tende a modificare notevolmente il quadro cheemerge in termini di efficacia: il confronto tra i due tipi di indicatori evidenzia in-fatti la presenza sia di scuole/classi risultate efficaci sulla base dei PG che, in ter-mini di VA, mostrano invece indicatori di segno negativo, sia di scuole/classiefficaci in base agli indicatori di VA che mostrano invece, in termini di PG, valoriinferiori alla media.

Anche la comparazione tra i cosiddetti “effetto-scuola” ed “effetto-classe” –misurati in termini di varianza spiegata nei punteggi degli studenti a parità dialtre condizioni rilevanti (rendimento pregresso e background socio-culturale)– ha rivelato risultati in linea con quanto emerge dalla letteratura internazionale(ad es. Bressoux, 1995; Luyten, 2003) e dalle precedenti ricerche sul valore ag-giunto svolte nell’ambito del Dottorato in Pedagogia sperimentale (cfr. note 1 e2): mentre nel primo caso si registra una percentuale pari al 5%, nel secondoessa sale al 18% (cfr. Tabella 2). La classe sembra dunque configurarsi come di-mensione di analisi più rilevante e significativa rispetto a quella rappresentatadalla scuola nel suo insieme: lo scarto osservato tra le quote di varianza spiegatadai due livelli di aggregazione dei dati, insieme alla sostanziale disomogeneitàriscontrata tra gli indicatori di VA relativi alle diverse classi appartenenti a cia-scuna scuola, induce infatti a concludere che a fare realmente la differenza neiprogressi degli studenti sia la specifica classe frequentata, più che l’istituto di ap-partenenza.

Tab. 2: Effetto-scuola ed effetto-classe

Tabella ANOVA – Varianza VA tra SCUOLE Somma dei quadrati df Media dei quadrati F Sig. Quota di varianza spiegata

Fra gruppi 26,399 11 2,400 2,488 ,005

Entro gruppi 502,601 521 ,965 VA* Scuola

Totale 529,000 532

5,0%

Tabella ANOVA – Varianza VA tra CLASSI Somma dei quadrati df Media dei quadrati F Sig. Quota di varianza spiegata

Fra gruppi 96,468 35 2,756 3,167 ,000

Entro gruppi 432,532 497 ,870 VA* Classe

Totale 529,000 532

18,2%

!

176

gresso sono risultati elevati – e significativi al livello 0,01 – per entrambe le prove svoltein ingresso e in uscita dalla prima: 0.84 nel primo caso e 0.85 nel secondo.

4 La correlazione tra l’indice e la variabile dipendente è risultata elevata – e significativaal livello 0,01 – tanto a livello di scuola (0.81) quanto a livello di classe (0.73).

Page 179: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Un ulteriore confronto effettuato, reso possibile dall’adozione di un disegnolongitudinale e dunque dal collegamento con l’indagine svolta nel primo annodello studio, è quello relativo alla comparazione tra gli indicatori di VA ottenutial termine della prima media e quelli osservati al termine della seconda. Confer-mando i risultati di alcuni studi longitudinali condotti in altri Paesi (ad es. Aa-ronson et al., 2007; Bressoux, Bianco, 2004; Goldhaber, Hansen, 2008; Gorard etal., 2013; Hill et al., 2010; Thomas et al., 2007), gli esiti relativi al primo bienniodella nostra ricerca mettono in luce una forte discontinuità nel tempo delle misuredi valore aggiunto relative alle varie scuole e soprattutto alle singole classi, anchenei casi di permanenza dello stesso insegnante nei due anni scolastici considerati:mentre infatti i punteggi grezzi appaiono generalmente piuttosto stabili, perma-nendo nel biennio superiori o inferiori alla media in 10 scuole su 12 e in 31 classisu 36, gli indicatori di VA mostrano nella maggior parte dei casi notevoli slitta-menti – verso l’alto o verso il basso – nel passaggio dal primo al secondo anno (sivedano, a questo proposito, gli esempi riportati nel successivo Grafico 5). Questoandamento complessivamente “fluttuante” degli indicatori di VA induce a riflet-tere non solo sull’affidabilità e validità delle misure di efficacia, ma anche sull’usodei dati per esempio per classificare e premiare – come viene fatto in altri Paesi– le scuole o gli insegnanti: come valutare, ad esempio, un docente che, in riferi-mento ai medesimi studenti, risulti efficace nella classe prima e inefficace in se-conda? Un ultimo risultato su cui vorremmo soffermarci, anche in relazione a quanto

precedentemente affermato circa l’esigenza di coniugare efficacia ed equità, riguar-da la “distribuzione” del valore aggiunto tra gli studenti: ci sono differenze tragruppi di allievi di diverso livello socio-culturale? Nel Grafico 1 sotto riportato –relativo alle classi più e meno efficaci, cioè collocate agli estremi della graduatoriaottenuta al termine della seconda media – si illustra il modo in cui si distribui-scono gli allievi considerando i valori assunti dalle variabili VA (asse delle x) e ISC(asse delle y). Osservando il primo diagramma si nota che gli studenti tendono aconcentrarsi nella metà destra in quanto si fa riferimento alle classi con indicatoridi VA positivi, ma sembrano ripartirsi in maniera piuttosto equilibrata tra la partesuperiore e quella inferiore; nel secondo diagramma si osserva una situazione spe-culare a quella appena descritta: in questo caso, infatti, gli studenti si concentranonella metà sinistra in quanto si fa riferimento alle classi con indicatori di VA ne-gativi, ma tendono a ripartirsi tra la parte superiore e quella inferiore in manieraaltrettanto equilibrata. La distribuzione del valore aggiunto tra gli studenti appare dunque sostan-

zialmente “equa”: in altre parole, nelle classi in cui si aggiunge o si sottrae valore,ciò avviene per tutti gli studenti, senza disparità connesse al background fami-liare. Nella maggior parte dei casi, inoltre, le classi con VA positivo mostranouna concomitante riduzione delle differenze di rendimento tra gli studenti, conun decremento del valore assunto dal coefficiente di variazione tra la prima e laseconda media, mentre nelle classi con VA negativo il coefficiente al contrarioaumenta.

ricerche

177

Page 180: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Graf. 1: Confronto tra la distribuzione degli alunni nelle classi più efficaci (VA positivo) e meno efficaci (VA negativo)

Approfondendo ulteriormente l’analisi e articolando l’indice ISC in 5 livelli(invece di limitarsi a considerarlo come superiore o inferiore alla media) emer-gono tuttavia differenze, all’interno del campione preso in esame, tra gli studentiappartenenti alle modalità estreme: come mostra la seguente Tabella 3, ottienevalore aggiunto positivo il 45,7% degli studenti di livello socio-culturale basso,mentre la percentuale sale al 61,9% per quelli di livello alto; viceversa, solo il33% degli allievi di livello socio-culturale alto ottiene valore aggiunto negativo,mentre la percentuale sale al 43,5% in relazione a quelli di livello basso. Tali datiassumono particolare rilievo se confrontati con quelli riportati nella successivaTabella 4, in cui la distribuzione degli studenti in base alla variabile ISC vieneincrociata con quella delle misure di valore aggiunto ottenute, invece che al ter-mine della seconda media, in uscita dalla prima. Comparando le due tabelle sinota infatti un evidente “allargamento della forbice” nel corso del biennio in esa-me: le differenze tra gli studenti di livello socio-culturale alto e basso, che allafine della prima media appaiono di lieve entità, tendono invece a diventare piùconsistenti al termine del successivo anno scolastico. Ciò induce a supporre, purin presenza di una distribuzione del valore aggiunto complessivamente equa,che le differenze tra gli studenti più vantaggiati e svantaggiati in termini di back-ground familiare tendano comunque a emergere e ad accentuarsi nel corso deltempo5.

Tab. 3: Distribuzione degli alunni in base all’indice ISC e agli indicatori di VA: uscita seconda media

Indice socio-culturale (ISC)

Basso Medio-basso Medio Medio-alto Alto Totale

Negativo 43,5% 38,9% 47,7% 41,1% 33,3% 42,6%

Nullo 10,9% 11,9% 11,6% 10,7% 4,8% 11,1% Valore

aggiunto II media

Positivo 45,7% 49,2% 40,7% 48,2% 61,9% 46,3%

Totale 100% (N=46)

100% (N=126)

100% (N=172)

100% (N=168)

100% (N=21)

100% (N=533)

!

!!!

!!!

!!!

!!!

!!!

!!!

!!!

!!!

!!!

!!!

!!!

!!!

178

5 Per una presentazione più ampia e approfondita dei risultati emersi al termine del primobiennio dello studio si rimanda al volume di Rosa A. (2013).

Page 181: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Tab. 4: Distribuzione degli alunni in base all’indice ISC e agli indicatori di VA: uscita prima media

5. Principali risultati al termine del triennio della ricerca

Le analisi dei dati svolte al termine del terzo e ultimo anno della ricerca hanno se-guito le procedure già adottate nei primi due anni, brevemente descritte nel pre-cedente paragrafo, facendo riferimento ai dati ottenuti per mezzo dellasomministrazione delle prove di comprensione del testo e dei questionari agli stu-denti appartenenti al campione. È sin da ora importante sottolineare come, se al-l’inizio dell’indagine il campione era composto da oltre 700 studenti, al terminedel terzo anno coloro che hanno sostenuto la prova durante tutte e quattro le som-ministrazioni e quindi inclusi nel calcolo degli indicatori di valore aggiunto sonorisultati in numero nettamente inferiore (cfr. Grafico 2). La scelta fatta durante ladefinizione iniziale del disegno longitudinale è stata infatti quella di escludere glistudenti che non avessero completato tutte le prove della ricerca.

Graf. 2: Soggetti validi per le analisi di valore aggiunto nelle quattro somministrazioni

Rispetto ai risultati ottenuti al termine del secondo anno, la differenza tra i ri-sultati ottenuti mediante la misura dei punteggi grezzi e degli indicatori di valoreaggiunto risulta emergere nuovamente: se consideriamo le graduatorie generateper mezzo delle due misure, le differenze nelle posizioni ottenute dalle classi ri-sultano essere quelle riportate nel seguente Grafico 3.

Indice socio-culturale (ISC)

Basso Medio-basso Medio Medio-alto Alto Totale

Negativo 41,3% 42,9% 41,3% 47,0% 38,1% 43,3%

Nullo 8,7% 7,9% 8,1% 10,7% 9,5% 9,0% Valore

aggiunto I media Positivo 50,0% 49,2% 50,6% 42,3% 52,4% 47,7%

Totale 100% (N=46)

100% (N=126)

100% (N=172)

100% (N=168)

100% (N=21)

100% (N=533)

!

ricerche

179

Page 182: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Graf. 3: Differenze nelle posizioni delle classi tra le graduatorie basate sui punteggi grezzi e sugli indicatori di VA

Per quanto riguarda invece l’analisi della varianza tra scuole e classi, conside-rando un peggioramento della significatività dei risultati ottenuti rispetto al se-condo anno della ricerca, è possibile evincere come i progressi misurati per mezzodegli indicatori di valore aggiunto risultino variare tra le classi in misura maggioreche non tra le scuole: ad una quota di varianza spiegata dall’“effetto scuola”dell’1,8%, corrisponde infatti una quota di varianza spiegata dall’“effetto classe”dell’8,6%. Tale varianza è apprezzabile nel Grafico 4, dove al dato relativo agli in-dicatori di valore aggiunto misurati al termine del triennio per ogni scuola è af-fiancato quello delle rispettive classi, al fine di rilevare facilmente le importantidifferenze tra le stesse classi all’interno delle medesima scuola.

Graf. 4: Indicatori di valore aggiunto ottenuti dalle scuole e dalle rispettive classi durante il terzo anno dell’indagine

Il terzo aspetto considerato, l’andamento longitudinale delle rilevazioni permezzo del valore aggiunto, ci permette di considerare la differenza più apprezzabilerispetto ai dati relativi all’anno precedente: se al termine del secondo anno erastato riscontrato un aumento dell’“effetto classe” e dell’“effetto scuola” rispetto alprimo anno della ricerca, al termine del triennio tale aspetto risulta essere inferiore

180

Page 183: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

rispetto a quello del secondo anno. Inoltre, gli indicatori di valore aggiunto pre-sentano una forte disomogeneità e quindi instabilità nel triennio in esame, soprat-tutto tra le classi della stessa scuola, come è possibile desumere dal seguenteGrafico 5 dove sono riportati, a titolo di esempio, gli andamenti nei tre anni diquattro delle scuole comprese nel campione.

Graf. 5: Andamento degli indicatori di valore aggiunto osservati nel triennio in 4 scuole coin-volte nell’indagine e nelle rispettive 3 classi

Un’ultima considerazione riguarda invece la distribuzione del valore aggiuntotra gli studenti in relazione ai livelli socio-culturali di appartenenza: al terminedel terzo anno è possibile confermare quanto già emerso alla fine del secondo (cfr.Grafico 1) e quindi una distribuzione del valore aggiunto in cui, nel complesso,non si evidenziano sostanziali differenze connesse al background degli allievi. Sirileva tuttavia, rispetto al secondo anno, una situazione diversa in merito alle dif-ferenze tra gli studenti di livello socio-culturale rispettivamente alto e basso, chesembrano tornare contenute come già messo in evidenza al termine del primo an-no della ricerca.

Pur trattandosi di un risultato interessante, in base al quale si potrebbe supporreche la scuola si ponga come agente di equità nei confronti degli studenti riducendogli effetti dell’indicatore ISC, riteniamo necessari ulteriori approfondimenti ed ele-menti di conoscenza al fine di supportare tale interpretazione.

Considerazioni conclusive

Dal presente studio longitudinale emerge come il valore aggiunto rappresenti unmodello di misura dell’efficacia scolastica certamente più preciso rispetto alla mi-sura ottenuta per mezzo dei punteggi grezzi. Emergono tuttavia anche diverse pro-blematiche che ci permettono di mettere in discussione l’uso di questo modellocome realmente valido ed equo, tra cui in particolare l’instabilità dei risultati re-lativi al valore aggiunto in prospettiva longitudinale. Se la letteratura evidenzia lanecessità di effettuare le rilevazioni nell’arco di almeno un triennio, alcune criticitàsono emerse dalla presente ricerca con riferimento alla possibilità di una misura

ricerche

181

Page 184: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

che richieda somministrazioni per un arco di tempo prolungato. È stato infatti ri-levato, innanzitutto, il grande problema della “mortalità” dei soggetti del campione:se all’inizio dell’indagine questo poteva comprendere oltre 700 studenti, al terminedel triennio, a causa delle assenze in una o più somministrazioni, dei trasferimentie delle bocciature, il campione si è drasticamente ridimensionato (cfr. Grafico 2).È stato inoltre sottolineato l’andamento disomogeneo degli indicatori di VA relativialle classi nel corso del triennio, confermando quindi l’instabilità dei dati nel lungoperiodo.In definitiva, la prospettiva longitudinale appare fondamentale per la defini-

zione di un modello di efficacia scolastica strutturato sui progressi degli studenti,che necessariamente deve riferirsi a più anni; occorre tuttavia considerare le pro-blematiche che il modello comporta, per predisporre nuove prospettive sin dallafase di definizione del disegno stesso della ricerca.È utile inoltre considerare l’incidenza della composizione del campione degli

studenti nel triennio: sin dal principio si è infatti scelto di escludere dall’analisi gliallievi certificati e gli stranieri non alfabetizzati. Risulta tuttavia necessario consi-derare come la misura dell’efficacia a livello di classe non possa trascurare la pre-senza effettiva degli alunni suddetti nelle classi stesse, così come non può nontener conto della variabilità delle caratteristiche di alcune categorie nei tre anni(come nel caso degli stranieri non alfabetizzati) (cfr. Giovannini, 2012).I limiti presentati ci permettono, pertanto, di mettere in discussione l’uso del

modello del valore aggiunto nell’ambito della misura dell’efficacia di scuole e classi;in particolare, risulta pericoloso applicare la logica che ne prevede l’uso per la pre-sentazione di graduatorie e la distribuzione di premi determinati in relazione atali misure (Gorard et al., 2013). L’uso del modello del valore aggiunto sarebbequindi utilizzabile perché produttore di utili feedback, ma non come unico indi-catore (Scherrer, 2011). L’analisi dei risultati di uno studio longitudinale sul valore aggiunto assume

così anche una valenza politica e sociale: l’obiettivo non è infatti il raggiungimentodel miglior artificio statistico, ma quello di permettere che la prospettiva mera-mente rendicontativa sia effettivamente accompagnata da quella migliorativa eche possa essere reale strumento di sostegno per la scuola, perché riesca a garantirele conoscenze necessarie al cittadino della società della conoscenza in un’ottica diequità.In conclusione è dunque possibile affermare che le criticità messe in luce dallo

studio effettuato richiedono ulteriori indagini e approfondimenti, che coinvolganoanche aspetti ed elementi qui non presi in considerazione riguardanti, ad esempio,il confronto tra ambiti disciplinari diversi o l’esplorazione delle variabili relativeal contesto classe associate agli indicatori di valore aggiunto positivi e negativi.Ciò è necessario non solo per dare un ulteriore contributo al dibattito scientificosull’argomento, ma anche al fine di supportare l’interpretazione e l’uso delle misuredi efficacia scolastica mediante dati e informazioni che aiutino a comprendernemeglio il senso e la portata.

182

Page 185: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

Riferimenti bibliografici

Aaronson D., Barrow L., Sanders W. (2007). Teachers and student achievement inthe Chicago public high schools. Journal of Labor Economics, 25(1), pp. 95-135.

Amrein-Beardsley A. (2008). Methodological concerns about the education val-ue-added assessment system. Educational Researcher, 37(2), pp. 65-75.

Bressoux P. (1995). Les effets du contexte scolaire sur les acquisitions des élèves:effet-école et effets-classes en lecture. Revue Française de Sociologie, 36(2), pp.273-294.

Bressoux P., Bianco M. (2004). Long-term teacher effects on pupils’ learning gains.Oxford Review of Education, 30(3), pp. 327-345.

Choi K., Seltzer M., Herman J., Yamashiro K. (2004). Children left behind in AYPand Non-AYP schools: Using student progress and the distribution of studentgains to validate AYP. Los Angeles, CA: National Center for Research on Eval-uation, Standards, and Student Testing (ERIC Document Reproduction ServiceNo. ED483404).

Corsini C. (2009). Il valore aggiunto in educazione. Un’indagine nella scuola pri-maria. Roma: Nuova Cultura.

Creemers B.P.M., Kyriakides L. (2006). Critical analysis of the current approachesto modeling educational effectiveness: the importance of establishing a dy-namic model. School Effectiveness and School Improvement, 17(3), pp. 347-366.

Ding C.S. (2009). Measurement issues in designing and implementing longitudinalevaluation studies. Educational Assessment, Evaluation and Accountability,21(2), pp. 155-171.

Giovannini M.L. (2012). Valore aggiunto ed efficacia delle scuole. Rivista del-l’Istruzione, 1/2, pp. 41-48.

Giovannini M.L., Tordi C. (2009). Misura del valore aggiunto e miglioramentodell’insegnamento. Riflessioni da un’indagine empirica nelle scuole primariebolognesi. In G. Domenici, R. Semeraro (Eds.), Le nuove sfide della ricerca di-dattica tra saperi, comunità sociali e culture. Roma: Monolite.

Goldhaber D., Hansen M. (2008). Is it just a bad class? Assessing the stability ofmeasured teacher performance. Working Paper n. 5, CRPE, University of Wash-ington Bothell.

Gorard S., Hordosy R., Siddiqui, N. (2013). How unstable are “school effects” assessedby a value-added technique? International Education Studies, 6(1), pp. 1-9.

Gray J., Goldstein H., Jesson D. (1996). Changes and improvements in schools’ effec-tiveness: trends over five years, Research Papers in Education, 11(1), pp. 35-51.

Hill H.C., Umland K., Ring Kapitula L. (2010). Validating value-added scores: aninstructional analysis. Paper presented at the Annual Meeting of the AmericanEducational Research Association (AERA), Denver, CO, May 2010.

Kyriakides L., Creemers B.P.M. (2008). A longitudinal study on the stability overtime of school and teacher effects on student outcomes. Oxford Review of Ed-ucation, 34(5), pp. 521-545.

Kupermintz H. (2003). Teacher effects and teacher effectiveness: a validity inves-tigation of the Tennessee Value Added Assessment System. Educational Eval-uation and Policy Analysis, 25(3), pp. 287-298.

Lucisano P., Salerni A. (2002). Metodologia della ricerca in educazione e formazione.Roma: Carocci.

Luyten H. (1994). Stability of school effects in Dutch secondary education: theimpact of variance across subjects and years. International Journal of Educa-tional Research, 21(2), pp. 197-216.

ricerche

183

Page 186: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Luyten H. (2003). The size of school effects compared to teacher effects: an over-view of the research literature. School Effectiveness and School Improvement,14(1), pp. 31-51.

OECD (2008). Measuring improvements in learning outcomes. Best practices to as-sess the value-added of schools. Paris: OECD Publications Service.

Portela M.C., Camanho A.S., Keshvari A. (2013). Assessing the evolution of schoolperformance and value-added: trends over four years. Journal of ProductivityAnalysis, 39, pp. 1-14.

Ricci R. (2008). La misurazione del valore aggiunto nella scuola. Fondazione Gio-vanni Agnelli, Working Paper n. 9, 12.

Rosa A. (2013). Il valore aggiunto come misura di efficacia scolastica. Un’indagineempirica nella scuola secondaria di I grado. Roma: Nuova Cultura.

Rosa A., Giovannini M.L. (2013). Valore aggiunto ed efficacia delle scuole e degliinsegnanti: risultati di un’indagine empirica. In corso di pubblicazione.

Rothman R. (2010). Beyond Test Scores: Adding Value to Assessment. School Ad-ministrator, 67(2), pp. 20-26.

Schagen I., Hutchison D. (2003). Adding value in educational research: the mar-riage of data and analytical power. British Educational Research Journal, 29(5),pp. 749-765.

Scherrer J. (2011). Measuring teaching using value-added modelling: the imperfectpanacea. NASSP Bullettin, 95(2), pp. 122-140.

Thomas S., Peng W.J., Gray J. (2007). Modelling patterns of improvement overtime: value added trends in English secondary school performance across tencohorts. Oxford Review of Education, 33(3), pp. 261-295.

Van de Grift W. (2009). Reliability and validity in measuring the value added ofschools. School Effectiveness and School Improvement, 20(2), pp. 269-285.

Wiley E.W. (2006). A Practitioner’s Guide to Value Added Assessment. Tempe, Ari-zona State University.

184

Page 187: Sird12 2014

185

Separate special classes in order to teach the Italian languageto newly-arrived migrant students? The issues at stake and the proposal of a Randomized Controlled Test Design

Classi speciali separate per insegnare l’Italiano agli alunnistranieri neo-arrivati? Le questioni sul tappeto e la proposta di un disegno di valutazione randomizzato

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research© Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

ricerche

Paola Versino - Università degli Studi di Milano - [email protected]

In Italy there has been a long debate whe-ther to introduce in schools separate classesfor newly-arrived immigrant students, in or-der to teach them Italian. Single schools areentitled to decide about policies for secondlanguage teaching, with little empirical sup-port and in lack of a central normative regu-lation, resultig in a wide range of localpractices. This article traces a viable path that may of-fer an empirical basis to schools’ and policymakers’ decisions on this issue. The firststep, based on the direct experience of tea-chers who took part in the Interculture Pro-ject, is the identification of points ofconsensus and doubts regarding the effectsof intensive second language teaching onnewly-arrived students. The second step isthe consequent proposal of a randomizedcontrolled trial that seeks to assess the ef-fects on three essential aspects: languageabilities, socialization with peers and disci-plinary competences.

Keywords: immigrant students, newly-arri-ved students, second language, separateclasses, experiment, RCT

Da anni in Italia si dibatte sull’opportunitàdi introdurre nelle scuole classi separate perinsegnare l’Italiano agli alunni stranieri ne-oarrivati. I singoli istituti decidono le moda-lità di insegnamento della seconda lingua equesto, unito a uno scarso supporto empi-rico e ad una debole regolamentazione cen-trale, dà luogo a un variegato panorama dipratiche locali. L’articolo traccia una strada percorribile perfornire una base di evidenza empirica alledecisioni delle scuole e dei policy makerssul tema. L’esperienza degli insegnanti par-tecipanti al Progetto Interculture ha permes-so di identificare punti di consenso e dubbisugli effetti di diverse intensità di insegna-mento dell’Italiano ai neoarrivati. Da quimuove la proposta di un esperimento ran-domizzato che valuti l’entità di questi effettisu tre aspetti fondamentali: abilità linguisti-che, socializzazione con i pari e competen-ze disciplinari.

Parole chiave: studenti stranieri, studentineoarrivati, seconda lingua, classi separate,esperimento, RCT

Page 188: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

Introduction

In many Western countries it is a well-established fact that immigrant studentsachieve lower results at school, compared to their native peers (Jonsson and Ru-dolphi, 2012; Schnepf, 2006; Marks, 2005). In the Italian school the presence ofimmigrant students is relatively new: thirty years ago there were only few thou-sands of them, but starting from the 90’s their amount began to grow fast and itboomed in the last decade. In Italy, many researches agree that immigrants’ chil-dren are less likely to enroll in a high school, and are disproportionately concen-trated in vocational schools. Compared to their Italian peers, immigrant studentsare at an increased risk of drop-out, and they have an average lower scholasticachievement (Checchi, 2009; Azzolini and Barone, 2011; Barban and White, 2011).

On different levels of analysis, many factors bear on educational performance:the features of the national school system, the features of the very school of atten-dance and its way of organizing the teaching activities, the family background,and the individual abilities and attitudes (Nusche, 2009). The knowledge of thelanguage of education, which is the second language for immigrant students, is afundamental determiner of school achievement, in that it is essential for every le-arning process that takes place through listening, reading, writing and interactingwith peers and teachers. It has been proved that a scarce use of the communicationlanguage frustrates the cognitive development, which causes an impasse or evena regression in the schooling achievement. Language underdevelopment is alsocorrelated with little self-esteem, especially in minority children or children withlearning difficulties (Green, 2000).

The first paragraph of the article describes the institutional and normative fra-mework of school decisions about non-Italian students and explains the reasonswhy I choose to focus attention on the teaching of second language (L2 from nowon), among all the schooling activities aiming to reduce educational inequalitiesbetween migrant and native students. The absence of a standardized methodologyof Italian L2 teaching that is fixed by law allows politics and ideology to impactschool decisions on this matter. The great autonomy for Italian schools is currentlyjeopardizing the immigrant student’s right to equity of treatment. Italian L2 is mo-stly taught in tutorial groups, but in recent years there has been a much heateddebate on the advisability to teach Italian L2 to newly-arrived students intensively,in separate special classes, before they can join a regular class.

The second paragraph explores the advantages and disadvantages of these twoapproaches through the consideration of a large group of teachers involved in theInterculture Project, supported by Fondazione Cariplo in Lombardy. Teachersfrom different educational levels agree on the long-term outcomes the effectiveteaching of Italian L2 should have: the newly-arrived students should forge closerrelationships with their classmates, increase their language abilities, and be moreable to understand lessons and do their homework in Italian.

186

Separate special classes in order to teach the Italian languageto newly-arrived migrant students? The issues at stake and the proposal of a Randomized Controlled Test Design

Page 189: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

The third paragraph defines the theorical and methodological framework ofmy research hypotheses. Empirical evidence for L2 teaching is scarce. Internatio-nal studies show that an effective teaching should provide both explicit lessonsabout linguistic structure and opportunities to exercise the language in relationswith native children. Studies, however, neither answer the key question of what isthe optimum trade-off between exercising the language and learning its structure,nor offer empirical evidence on the effects of a disproportion between the two ac-tivities: these are precisely my research questions. Among the viable methods toestimate the effects of different intensity of L2 teaching on newly-arrived students,I chose the experimental method.

The fourth and last paragraph proposes a randomized controlled test whichseeks to assess the effects of the intensity of Italian L2 teaching on the three crucialaspects identified before by theachers and literature: language abilities, socializa-tion with peers, and disciplinary competences.

1. Institutional and normative framework for the school support of non-Ita-lian students

In Italy, the school treatment of non-Italian students is not a matter of central re-gulation. Unlike what happens in other countries, Italy does not have a commonnational program imposed by law to integrate them in schools, and the Ministryof Education guidelines (MIUR, 2006; MIUR, 2007; MIUR, 2014) are the onlyweak attempt to influence school choices on this sensitive subject. By law1 theschool’s teaching staff has the right to decide the school policy regarding the aca-demic inclusion of non-Italian students. This lack of regulation at the central levelis the main premise to the discretion of school treatment currently suffered bynon-Italian students around the country. Thus, predominant ideological and po-litical orientations in the teaching staff have the possibility to heavily impact onschool choices. The risk is the creation of very different sets of “local rights”, aswas stressed by the National Report on the Development of Education in 2008(MIUR, 2008).

The presence of newly arrived students is an additional workload for teachers,because of their specific language and disciplinary needs. No preferential treat-ment is provided by law to simplify teachers’ work in this situation. For instance,unlike what occurs when there are one or more disabled students, schools are notallowed to restrict the number of students in the class and teachers are not requiredto attend courses on language simplification techniques. Very recently2, schoolshave been given the possibility to design individual training plans for newly arri-ved immigrant students, in order to make learning activities fit for their languageskills and be eligible for the distribution of specific funds, but only as a temporaryadditional measure and in exceptional cases3. In addition to this, the very poorcentral resources are channeled to few schools located in depressed areas4. As aconsequence, the lack of institutional aid increases the reliance of school policies

1 Dlgs 286/1998 e D.P.R. 394/99.2 D.M. 27/12/2012 and C.M. 8/2013.3 Nota 23/11/2013.4 C.M. 6/4/2004, n. 40.

ricerche

187

Page 190: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

on school resources (both human and economic), multiplies the types of supportprovided to address newly arrived students’ special needs and increases the riskof common-sense adjustments: for instance putting newly arrived students intothe hands of the most motivated and attentive teachers, the only ones that arelikely to support them to their detriment.

In most cases, support provided by Italian schools to immigrant students ad-dresses two of their main needs: acquisition of the Italian language and simplifi-cation of educational contents. I choose to focus on the first one because is anecessary precondition to integration, necessary at the same time to learn educa-tional contents and to communicate with peers and teachers. A comparative study(Christensen and Stanat, 2007) identified some cross-country characteristics ofan effective teaching of L2. First of all, countries obtaining the best results establi-shed models to conform to, and titles to achieve at the end of the courses, whoseprograms are based on national curricula. Secondly, teachers holding L2 coursesneed to be specifically trained for that. Lastly, courses are intensive and last forprimary and middle school, with no interruption. In Italy, as I stated before inmore general terms, there is no L2 teaching model or curriculum established atnational level. Not only regular teachers generally hold L2 courses in schools, buteven teachers specifically assigned by the education ministry to the schools witha high percentage of non-Italian students (the so-called “facilitators”) are not re-quired to have attended a well-defined training (Favaro, 2002). The last criticalpoint of comparison is the fact that Italian as a L2 programs rarely are intensiveand the total autonomy of the schools in defining them is a great source of discon-tinuity within individual careers. These few details are enough to conclude thatthe quality of L2 teaching in Italy is very poor and has not improved in more thana decade. Even today, like back in 1999, we could say:

The priority for teachers is language acquisition. Yet there is no coordinatedor nationwide programme to assist immigrant children in learning Italian.Responsibility is passed to schools to resolve as they see fit. […] Unfortu-nately, the successful insertion of immigrant students depends on the ef-forts of single schools and teachers (Chaloff, 1999).

The following recommendations concerning L2 teaching were the only explicitones in the Ministry of Education’s guidelines (MIUR, 2006; MIUR, 2007) beforethe Interculture Project (see next paragraph) was held:

– social interaction with native peers has to be paired up with necessary separationof immigrant students from the rest of the class, in order to teach them L2;

– it is necessary to develop different types of L2 support in order to distinguish,among immigrant students, the newly arrived ones.

The purpose of the first recommendation is to prevent the immersion of ne-wly-arrived students in regular classes, without allowing them to benefit from L2support. This non-supportive policy of inclusion implements the “sink or swim”model, based on the belief that language acquisition in early childhood can be re-plicated in the school environment. The newly arrived student is required to learnlanguage by himself, through observation and listening to native peers, and imi-tation. The “immersion without support” model chooses to ignore the differencesbetween family and school environment, and between the acquisition of nativeand L2. In many cases it dooms newly-arrived students to be almost invisible

188

Page 191: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

among other students, and it severely reduces their understanding of lessons fora long period, making them loose self-assurance and motivation. All these diffi-culties have a negative impact on future performance. In Italy the model was com-mon in the ‘80s and ‘90s, when migrant students were very rare, but now is dyingout. In addition to this, the first recommendation highlighted the two elementsthat an effective model needs to combine: social interaction with native peers andL2 teaching specifically addressed to migrant students. There is a trade-off bet-ween the amounts of time devoted to the two elements and uncertainty regardingthe effects of increasing one to the detriment of the other. In the following para-graph this very point will be analyzed in-depth through teachers’ experiences andopinions.

The second recommendation officially recognized the necessity to adopt dif-ferent methods in order to teach L2 at different stages of immigrant students’ ca-reers, because each method has to meet different sets of needs. In this paper I willfocus my attention on the support provided by schools to newly-arrived studentsright after their migration and their entry in a new educational system.

After the Interculture Project, the new Ministry of Education’s guidelines(MIUR, 2014) have gone further, recommending for the first time a definiteamount of time to devote to L2 teaching for newly-arrived students: 8-10 hoursper week during the first 3-4 school months, and a gradual reduction after that.The policy is labeled as effective in the Ministry’s guidelines, but no empirical re-search in support of it is cited. The debate on the effectiveness of language teachingpolicies to include newly-arrived students in the Italian schools is still open, asshowed by a recent claim of ASGI5 for the opening of a round table among all theactors involved (e.g. institutions, schools, scholars, associations of parents)6.

There are no data on the effective diffusion of different L2 supports in Italianschools7. In this article I will consider two main types: the so-called “L2 laboratory”or tutorial group, and the so-called “welcoming class” or special separate class. Thefirst one is considered the most widespread choice (Favaro, 2002) among Italianschools. It’s a sort of tutorial group attended by all newly arrived students togetherfor few hours a week, whereas they stay in their regular classroom with native peersfor the main part of their school calendar. This methodology puts the stress on thenatural acquisition of L2 through the informal communication with native speakers.In 2008 there has been a much heated debate on the advisability to intensively teachItalian to newly-arrived students in separate special classes, before they can join aregular class. The debated was provocatively raised in the Italian parliament by aproposal of Lega Nord, the right-wing Federalist Party, and it gained a large echoon the media. The stress, in the case of special classes, is on the acquisition of L2through the formal teaching of its structures and guided exercises.

I will concentrate my attention on these two methods through the study of thecontroversial trade-off, in matters of time, between interaction with native peersand explicit teaching of L2 to immigrant students. In the following paragraph this

5 Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Association for Law Studies onImmigration).

6 http://www.asgi.it/public/parser_download/save/1_0131_scuola_minori_stranieri_asgi-documenti.pdf

7 The Ministry of Education Provincial Sections collect only the number of hours devotedto second language teaching per school in a year.

ricerche

189

Page 192: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

point will be discussed by teachers and the need to find empirical evidence to ad-dress different methods’ effects will emerge.

2. The Interculture Project in Lombardy: theachers’points of consensus con-cerning second language teaching

Interculture Project was an educational project supported by Cariplo Foundationand carried out between 2007 and 2010 in Lombardy, with the collaboration ofthe Ministry of Education Regional Section and ISMU Foundation. Its aim wasto support and improve school practices devoted to help integration of non-Italianstudents. Out of 169 applications, 29 schools were selected to partecipate in theProject: they represented different educational levels (primary, middle and highschool) and different areas of Lombardy, but they had in common a high rate ofimmigrant students and a strong experience in the implementation of educationalprojects.

Through the assignment of supporting facilitators, each school was helped firstto select and design its own set of practices to improve the integration of immi-grant students, and then to implement it. At that time, I worked as a junior rese-archer for an organization8 monitoring the project. My role was, first of all, to helpschool teachers think critically about the implemented practices and their effects,and, secondly, to collect and analize data in order to identify successful practicesworth being further developed in the future. SurveyS and focus groups were usedso as to explore teachers’ experiences and opinions regarding different fields ofschool support to non-Italian students.

The survey was administered to the schools twice during the implementationphase, in order to collect descriptive data and first impressions on the developingpractices. Focus groups were designed on the basis of this first data collection andalong with the Scientific Committee of the Project, composed of University tea-chers and intercultural communication experts. It was decided to organize the di-scussion around five main key topics: welcome procedures, L2 teaching, curricularevision, extra-school activities and relations between school and other local sub-jects. The five focus groups were repeated twice in a six-month time span: duringthe first session the discussion the focus directed on implementation difficultiesand expected effects of the practices; during the second session, the focus divertedon changes observed, work methodologies and solutions developed. Every focusgroup hosted at least a delegate teacher for every school that implemented an im-portant practice on the topic: participant teachers were numbered between tenand twenty, depending on the session. The role of facilitators was covered by a se-nior researcher and myself, as a junior one of the same organization.

The survey revealed that, among all the practices realized by the schools duringthe Interculture Project, L2 teaching ones were the most supported, both econo-mically and logistically, by public administrations. This is evidence of the impor-tance of language acquisition for the general integration of immigrant studentsand their families in the society. Furthermore, the survey revealed that only a cou-ple of schools didn’t carry out any intervention of L2 teaching or welcome proce-

8 A.S.V.A.P.P (Association for the Development of Public Policies Evaluation and Ana-lysis) http://www.prova.org/

190

Page 193: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

dure. The priority given by schools to this two types of support emerged clearlyand immediately during the focus groups, too. In a hypothetical situation of verypoor resources at their disposal, teachers agree on the schools’ strong need to keepalive at least these activities. The target population of both of them are the newly-arrived students, clearly the most disadvantaged and in need of support amongnon-Italian students. In particular L2 teaching meets newly-arrived students’ needto self-communicate without help provided by cultural mediators or more skilledmigrant students. The acquisition of the communication language eases educa-tional learning, and both of these skills gratify newly-arrived students in severalways. For instance, they allow the newly-arrived student a more and more com-plete fruition and enjoyment of schooling time, thus decreasing the social gap bet-ween them and native peers. Being able to make the best of their newly gainedlanguage abilities, the migrant students see an increase in their motivation to learnmore and more Italian. On the school side, the faster newly-arrived students in-crease L2 ability the bigger the savings, because they will be no more in need ofcultural mediators and welcome activities. Secondly, the faster students’ educatio-nal abilities grow, the faster teachers can give up special homework, have the stu-dents follow the common program, and mark their progresses. For all thesereasons teachers considered L2 teaching to be a basic school service, very unlikelyto be quit because it meets fundamental needs of newly-arrived students as wellas organizational and educational needs of the school institution.

Despite the institutional and normative framework doesn’t provide opportu-nities to share common methods and gain consensus around them, the majorityof teachers taking part in the focus groups did agree at least on the main resultsthey expected from an effective L2 teaching: improved language abilities, improvedsocialization among peers and increased educational performance. The improve-ment in language abilities is a direct outcome of the L2 teaching, occurring in ashort time and easy to test with specific tools (almost all the schools involved inthe Interculture Project used to do that with different methods, at the beginningand at the end of a school year). On the other hand, the improvement in sociali-zation among peers and the increasing in educational performance are long-termresults, mediated by the acquisition of language abilities and not so easy to test forschools. In fact, very few schools measured the improvement in socialization withpeers and they did it only providing schemes to help teachers’ observation. Noschool specifically measured educational performance, and only two or three tookin consideration data collected for other purposes, i.e. the marks during the schoolyear or the number of absences. Teachers agree also on the need to measure theseresults before the beginning of L2 teaching (immediately after the student’s entryin the school), at the end of the school year, but also at different times during it.In the last paragraph you can see how, within a randomized controlled trial, I de-sign to test all these abilities on newly-arrived students.

The second main finding of this exploration is the strong disagreement, amongteachers taking part in the focus groups, on a central issue. What is the optimalequilibrium between amounts of time devoted to the two fundamental elementsof language acquisition: the interaction with native peers on one hand and the ex-plicit teaching of language on the other? In teachers’ opinions this equilibriumcould substantially modify the effects of L2 teaching, both in the short and in thelong term. Teachers don’t call into question the necessary separation between thenewly-arrived students and their native peers required by the L2 teaching. Theyknow very well the acquisition of L2 ability is a necessary condition to understandsubjects’ contents and to socialize with Italian peers. In spite of this, almost half

ricerche

191

Page 194: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

the teachers attending the focus groups is convinced that devoting a very big partof newly arrived students’ schooling time to L2 teaching goes to the detriment ofsocialization with native peers and, to a second extent, even of L2 acquisition too.The assumption that lies behind this idea is that the time spent in regular classesis useful to absorb the language and create the condition of socialization with na-tive peers, even when the newly-arrived student doesn’t have basic language abi-lities to communicate with them. For this reasons many teachers refuse to takeinto account intensive methods of L2 teaching, even if temporary: in their opinion,it prevents newly-arrived students’ effective integration. In summary, I found twoquite opposite opinions among teachers: on one side, the supporters of little timeamount of L2 teaching, with newly-arrived students spending the most of theirschooling time in their regular classes; on the other side, the supporters of largetime amount of L2 teaching, with newly-arrived students spending the most oftheir schooling time in separate classes. In order to achieve the same results, thesupporters of little L2 teaching give priority to communication with native peers,whereas the supporters of intensive L2 teaching consider it as secondary. These findings stress teachers’need for empirical evidence to support their work

and schools’ decisions on the matter. In the next paragraph I will discuss my decisionto help collecting empirical evidence through the design of a randomized controlledtrial. At first, my impression looking into this dilemma was that the teachers knowvery little about different elements and stages of language acquisition. To understandthe extent to what this is true, in the next paragraph we ought to make a short di-gression in linguistic research, mainly American, concerning L2 teaching.

3. Research framework and hypoteses

3.1 Theorical framework

The knowledge of a language is made up of several skills: reading and writingskills, listening and speaking skills. All of them are extremely necessary to fullylearn L2 so as to attend school successfully and integrate into the society of arrival.Research in learning of L2 has mainly focused on the reading and writing skills(literacy), and studies agree that to acquire them an explicit and focused teachingof particular competences (lexicon, grammar, syntax, phonetics, and orthography)is needed. Oral skills have received poor attention from researchers instead: evenUnited States based research, the most flourishing in the field, has left out any at-tempt to determine best ways of teaching and promoting listening and speakingskills in school classes (Goldenberg and Coleman, 2010). It is however widely agre-ed9 that oral skills development is correlated to the improvement of literacy skills,though no causal chain between the two has ever been established. In order tobetter understand the matter, is fundamental to distinguish between the fluencyin “conversational language” and “academic language”: the first one is acquired ina relatively short time span, but it takes longer to master the second one. This di-stinction recalls the one between BICS and CALP (Cummins, 1984) or the Italianone between Italbase and Italstudio (e.g. Favaro, 1999 and 2002; Balboni, 2008)

9 The two most important American reviews about research on English teaching to ELLs(English Language Learners), published in 2006 by CREDE and NLP, agree on this point.

192

Page 195: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

and is cited in the Ministry of Education’s guidelines as well (MIUR, 2006; MIUR,2014). The aforementioned correlation between reading and writing skills on oneside, and listening and speaking skills on the other, is bigger in the academic lan-guage and smaller in the conversational language. The two kinds of language areto be kept distinct: the ability of a newly-arrived student to relate with peers inthe conversational language is not an indication of her or his ability to understanda lesson or succeed in an oral test. Anyway the conversational language and theacademic language are not completely unrelated: the fluency in the first is a ne-cessary first step (but not sufficient) toward the fluency in the second. To masterthe conversational language it may be enough to speak it every day with nativespeakers, but to master the academic language it is necessary a thorough teachingof the language structures.

An effective teaching of a L2 for the academic use must take into account twofactors:– the opportunity to practice the oral language, possibly in significant and mo-

tivating situations, with the aim of developing listening and speaking abilitieswith conversational language;

– a thorough and explicit teaching of the language structures necessary to thedevelopment of reading and writing skills, and to upgrade from the conversa-tional language to the listening and reading of the academic language.Research gives no hint as to what the optimal balance between the two factors

may be (Goldenberg and Coleman, 2010). There is no answer to the IntercultureProject teachers’ need for an assessment of the optimal intensity of explicit tea-ching of L2 during the first year of attendance of newly-arrived students. The an-swer to this need is the design of a randomized controlled trial, which I willdescribe in the next paragraph.

In the light of what linguistic research tells us, we can try and analyze the op-posite opinions expressed on the matter by the Interculture Project teachers. Thosein favor of a “light” L2 teaching avouch that the interaction with local peers allowsnewly-arrived students to practice conversational language and establish positiverelationships. Research says that conversational language can be learned just bypractice, but that may not apply to the particular condition of newly-arrived stu-dents. If not adequately motivated by teachers, local peers may avoid the interac-tion with the foreign student, as it requires much willingness and patience, withthe perspective of a poor and unproductive communication from a scholasticpoint of view. Teachers themselves may not be willing to engage in the study ofthe practices that could ease the interaction between newly-arrived students andlocal peers. Even though they spend most of the time in their regular classes, ne-wly-arrived students face the risk of finding themselves isolated, without any po-sitive relationship with their peers, and unable to learn and practice even theconversational language. My design of a randomized controlled trial will investi-gate the proportion of this phenomenon.

Interculture Project teachers that lean toward a “light” L2 teaching also assertthat the interaction with local peers makes the newly-arrived students get a hangof Italian more easily, which will come in handy for a good educational perfor-mance. Research, however, shows that the development of oral skills in everydaylanguage are only slightly correlated to the abilities in reading and writing, andthat in order to achieve the oral skills in academic language students must receiveand explicit teaching of the language. It is likely that a greater number of hoursdedicated to the explicit teaching of L2 are directly correlated to a broader graspof the abilities that are necessary to a good educational performance. This infe-

ricerche

193

Page 196: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

rence favors the “heavy” L2 teaching, which should be more effective to the lear-ning of academic language.

Those Interculture Project teachers in favor of a “heavy” L2 teaching implythat it promotes positive relationships with local peers. They suggest that this waythe newly-arrived students will be able to communicate more effectively in a shor-ter span of time, having a better knowledge of their L2. Although this may be true,I mentioned before that an effective learning of L2 relies both on the explicit tea-ching and on the opportunity of practicing it, possibly in significant and motiva-ting situations. If L2 teaching is too “heavy”, it will shrink down to the minimumthe opportunities to practice the language with local peers and this may affect thelearning of the conversational language necessary to build relationships. My designof a randomized controlled trial will investigate also this effect.

3.2 Research hypotheses

These considerations lead to the formulation of the hypotheses regarding the com-parative effects of the two intensities of L2 teaching. The effect of the “heavy” L2teaching in respects of the “light” one could be a significantly increased learningof reading and writing skills, a non-significantly increased learning of listeningand speaking skills of academic language, and a non-significantly decreased lear-ning of oral skills of conversational language. As to the building of positive rela-tionships with local peers, the “heavy” L2 teaching will have a significantly weakereffect than the “light” one on the short run, but significantly stronger on the longrun. The hypotheses tend to favour the “heavy” L2 teaching, but only the measureof the effects from a randomized controlled trial can substantiate or discard them,and identify the optimal intensity of L2 teaching. This will finally give an answerto the question posed by the teachers of the Interculture Project.

3.3 Choosing the method for the evaluation of the effects

Thanks to teachers’ experience and to linguistic research, I was able to define mycognitive objective: analyzing the effects of more and less intensive L2 support oneducational performance and peer-relations of newly-arrived students, during thefirst year of school in the new country of residence.

I am aware that in doing so I am entering the field of public policy analysis(Regonini, 1989). Within this framework I am interested in analyzing the effectsof an activity, not in reconstructing the decision-making process that has led toits implementation.

In the vocabulary of effect analysis the first word I need to use is “treatment”:I will use it to indicate an action to which correspond clear expected results. Thereare several methods aiming at reconstructing the counterfactual situation, so asto reach plausible estimates of a treatment’s effects. The main distinction is bet-ween experimental and non-experimental10 methods. The experimental method

10 Part of the literature calls them “quasi-experimental” methods, as a tribute to DonaldCampbell, author with Julian Stanley of one of the first and basic works about the topic,published in 1966.

194

Page 197: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

(RCT11) is considered the most robust method to estimate effects, the “gold stan-dard” among all the existing ones (D. J. Torgerson, C.J. Torgerson, 2008), becauseit provides the unique possibility to avoid distortions coming from two sources:selection bias and maturation. Maturation is the natural tendency of a phenome-non to evolve during a certain period of time, regardless of the treatment’s imple-mentation. Selection bias is the natural tendency of individuals to choose amongthe alternatives they are facing, depending on their individual characteristics: ob-servable (gender, age, social status) or unobservable (attitudes, preferences, moti-vation) from the outside (Martini, Sisti, 2009). This doesn’t mean estimatesprovided using non-experimental methods are not reliable at all, but the errorcould be bigger. As I’m saying below this point, the use of RCT method has a lotof limitations and in a high number of situations the only possibility to provideempirical evidence is the use of non-experimental methods.

In order to obtain strong estimates of the effects using RCT method, is requiredthe random assignment of individuals coming from a very large sample to the tre-atment. Randomization represents at the same time the strength and the weaknessof this method. Below, I will mention the pros and cons of using RCT and the con-siderations pushing me to adopt it in this attempt to provide empirical evidence.

Let’s begin with the pros. Randomization is the random assignment of indivi-duals to groups. If the sample of individuals is very large, randomization createsgroups in which there is an equivalent distribution (same mean, variance, quan-tiles) of individual features, either observable or unobservable by the researchers(D. J. Torgerson, C.J. Torgerson, 2008). By preventing individuals to choose thegroup in which they want to be or the treatment they want to access, randomiza-tion prevents selection bias: such as the influence of personal attitudes, preferencesand features on the possibility to receive the treatment. After the period of treat-ment, by the confront of (at least) two groups of individuals statistically equivalent,one assigned to a treatment and the other excluded from it, we can single out thedifferences between the groups specifically caused by the treatment. In this waywe take into account the maturation bias, originated by events happened duringthe treatment period that can distort its effects. In conclusion, thanks to rando-mization in a large sample, we can identify the treatment’s effect as the differencebetween the two means12 on the supposed result variable: the one measured withinthe treated group and the other within the ‘control’ group. As I will explain below,in my RCT design I consider three different treatments corresponding to threedifferent amount of time devoted to L2 teaching. In conclusion, the superiority ofRCT method in providing internally robust13 estimates of the effects is unconte-sted. This is the main reason why I chose to use it to provide empirical evidenceon the effects of different intensity of L2 teaching.

The cons of using the RCT method are its limited possibilities of applicationin reality. Manipulating the selection of individuals through random assignmentposes different kinds of problems. First of all, there are problems related to the re-search implementation. RCTs can’t be designed and implemented ex-post, whenthe policy has already been realized: this restrict the application of the method to

11 Randomized Controlled Trial.12 For a formal dissertation about this point, see: Martini and Sisti (2009), pp. 149-161.13 External validity is a goal that is only possible to approach, although no method can

obtain it for sure.

ricerche

195

Page 198: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

new policies and extends the research time, because at least three to five years haveto pass before obtaining an estimation of the effects. On another hand, the needof a control group composed of individuals randomly excluded from the fruitionof the treatment makes universalistic policies’ effects not estimable using RCT me-thod. For instance is possible to use RCT method in order to assess the effects ofa training program for adults, but it’s impossible to use it in order to assess the ef-fects of the primary school for children because the attendance is compulsory(Martini, Sisti, 2009). Not less concerning, moral and political problems are to beborne in mind when considering the use of the RCT method. For many people,the exclusion of potential beneficiaries from the fruition of a treatment is morallyintolerable, even if the aim of the experiment is precisely to establish with morecertainty what type of benefits it provides to them (Orr, 1999). Political oppositionto the use of RCT method is also very common, because the benefits are hard toexplain to common people via mass media communication. Finally, unaccommo-dating attitudes are very common among social workers and service operators:this is understandable because in many cases they have to face potential benefi-ciaries’ objections, when trying to justify a logic they don’t understand. Unaccom-modating attitudes can be a powerful source of problems, the most dangerous onebeing the randomization’s subversion. Service operators are the ones performingand managing the treatment, thus they have the power to admit individuals to thefruition of the treatment even though they are assigned to the control group.Usually they believe the new treatment to be more effective than the previous oneand consequently they act in the interests of the beneficiaries (D. J. Torgerson, C.J.Torgerson, 2008). An example can be the teacher who gives the possibility to at-tend a new remedial course to a troubled students assigned to the control group.If researchers aren’t able to identify these situations and correct them, collecteddata are not reliable.

All these limitations must not induce researchers to give up working with RCTmethod, but only to contemplate very carefully if it’s appropriate to the specificsituation. RCT method requires uncertainty about the expected results of an actionto be widespread among decision-makers and operators. This is precisely the caseof L2 teaching’s intensity: the heated debate that was raised by the Lega Nord’sproposal in 2008 divided politicians, media, experts and teachers on the effects ofspecial classes on newly-arrived students’ integration within school and society.If this were not the case, the experiment could be compromised from the very be-ginning (Martini, Sisti, 2009). A second very important condition to be able toestimate the effects of a treatment using RCT method is the presence of a discon-tinuity, between different moments or between different groups of individuals.This allows the researchers to identify a treatment-variable. In the simplest case itis a dummy variable: the code ‘0’ is assigned to data collected on individuals be-longing to control group or to data collected when the treatment was not yet im-plemented, whereas the code ‘1’ is assigned to data collected on treated group orto data collected when the treatment was implemented. In my RCT design, as Iwill explain in the next paragraph, I decided to use a treatment-variable with threecodes, because I want to split my sample in three groups corresponding to differentintensity of L2 teaching to newly arrived students.

196

Page 199: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

4. The proposal of a Randomized Controlled Trial design

4.1 Effects on what? The outcome-variables

Outcome-variables are observable and measurable variables, through which wecan estimate the expected results of the treatment. As noted before14, teachers agre-ed on the expected results of L2 teaching. The following are to be expected in ashort-term:

– achievement of a good level of L2 abilities;– positive socialization with native peers.

In the long run, otherwise, we should expect:

– achievement of a higher level of L2 abilities;– maintenance of positive socialization with native peers;– acquisition of educational contents.

I want to measure the newly-arrived student’s level of L2 ability through a stan-dardized test. The level of language ability could be represented:

– globally, by the level acquired on CEFRL15 scale ;– more specifically, by one mark for every ability field (written comprehension,

oral comprehension, written production, oral production).

The results of a test aiming to assess the level of ability in the L2 achieved by astudent, if written in the second language itself, may not exactly be reliable, becausethe comprehension of the test instructions requires the same ability that is to bemeasured by the test (Koretz, 2008). Unfortunately in Italy it is almost impossibleto use tests written in all the primary languages of immigrant students, becauseof the large variety of countries they come from. Following Interculture teachers’suggestion, researchers need to administer the test to newly arrived students ofthe sample more than two times (before and after the treatment): intervals betweeneach administering should be shorter during the treatment (for instance everythree months) and longer after its end (for instance only at the end of the followingschool years).

I want to measure the level of social integration/isolation of the newly arrivedstudents within their classroom using the Moreno’s sociogram, a diagram analy-zing the interactions of individuals within a community. The sociogram needs tobe administered to all members of the class, in order to reconstruct the positionof immigrant students (leader, popular, outcast, marginal, solitary) within the so-cial network of their peers. Moreno’s sociogram could be administered togetherwith the language ability test. Finally, I want to measure the educational perfor-mance through the INVALSI test, administered by INVALSI in all the Italian Scho-ol but not at the end of every school year. Concerning this, is important to keepin mind the fact that the educational performance has to be measured also in thefollowing school years after the treatment, when all newly-arrived students of the

14 See paragraph 2. 15 Common European Framework of Reference for Languages.

ricerche

197

Page 200: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

sample return to a common status-quo situation. If we suppose our sample to becomposed only of middle school students, the treatment could take place duringthe first year because at the end of second and third year INVALSI is going to ad-minister the test. To measure educational performance of newly-arrived studentsis better to consider only the portions of the test concerning not-linguistic abilities(science, mathematics).

To help the interpretation of test results other data have to be collected, throughquestionnaires administered to teachers more connected with newly-arrived stu-dents and consequently more able to evaluate the occurrence of expected resultsin their careers:

– the questionnaire exploring social relations with peers has to be administeredto the teacher with more hours of lessons in the class;

– the questionnaire exploring educational acquisition has to be administered tothe teacher, among the ones related to a scientific subject, with more hours oflessons in the class;

– the questionnaire exploring L2 acquisition has to be administered to the mainteacher of L2 (if there are more than one).

4.2 Effect of…what? The exposure-variable

The exposure-variable I chose is the L2 teaching to newly arrived students. It hasthree modalities, corresponding to each time intensity and the group assigned to it:

– 10% of weekly school hours devoted to L2 teaching – Group 1;– 50% of weekly school hours devoted to L2 teaching – Group 2;– 100% of weekly school hours devoted to L2 teaching – Group 3.

The control group is Group 1. The amount of time devoted to L2 teaching hereis very limited, but can’t be 0% because it would arise teachers’ and families’ protestand it would incremented the possibility of randomization’s subversion. Anotherreason to prefer a limited amount of hours devoted to L2 teaching instead of noone is the recognition that this situation probably is the most common in Italianschools and thus corresponding to the status-quo.

The L2 teaching method has to be the same in the three groups, in order tomaintain only time-intensity as a variation between them, thus the difference bet-ween variables’ codes can be identified as the effect of this variation.

Newly-arrived students entering in the school after the beginning of the schoolyear don’t enter into any of the groups. Anyway, they can receive the same type ofL2 support, if provided by other teachers in separate classrooms. The exclusionfrom the experiment of the newly-arrived students after the beginning of the scho-ol year is needed to avoid the slowdown in the L2 teaching within the groups.

The treatment period is to be one year for all the three groups. Group 1 andGroup 2 slowly, and at the same time, decrease the time-intensity of the L2 tea-ching during the school year to facilitate the inclusion of students into their regularclassrooms.

In the sample will be included only newly-arrived students entering for thefirst time in the Italian school system at the beginning of the school year and ha-ving null or minimal L2 ability (below level A1 of CEFR scale).

198

Page 201: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

4.3 The randomization and the sample composition

In most trials in the field of education, it is impossible to randomize the studentsper se: for ethical and organizational reasons, it is highly unlikely that teachersand parents will willingly accept the coexistence of two newly-arrived studentstreated differently in the same class. I chose to randomize the schools, instead ofsingle classes, because this will minimize the risk of contamination betweengroups: the coexistence of more than one treatment in the same school may leadsome teacher to “cheating”, for example having some students attend a greateramount of L2 teaching than expected from randomization. It is more likely thatthe integrity of the trial will be ensured, if all the newly-arrived students of the sa-me school are assigned to the same kind of treatment. The precision of the eva-luation relies for the most part on the number of school involved, rather than thenumber of newly-arrived student attending those schools (Martini and Sisti, 2009).An adequate sample should be made up of a great number of schools, even withfew newly-arrived students in each school, rather than a great number of newly-arrived school for each academic year. The number of schools that should be in-volved in the experiment is determined using the analytical method of theMinimum Detectable Effect.

Finally, it is necessary to contemplate on a method to increase the external va-lidity of the inferences about the effect deriving from the trial. The most viablemethod to increase the external validity is to pick the school in a way that is re-presentative of the statistical population, in respect of the variables that bear onthe effect of the treatment. These variables must be detectable in the sample, andtheir distribution in the statistical population must be known: these two require-ments are not easily met in most cases. An example of a viable variable is the ageof arrival of foreign students, as it can affect the learning of the L2. If we assumethe type of school as a measure of the age of arrival of the newly-arrived students,it could be a good option to focus the trial on a single order of school: we wouldbe able to extend the valuation of the effects only to the population of that orderof school, and thus to the corresponding interval of age of arrival. We could alsopick schools of different orders in the same proportion as they are present in acertain area of study.

Conclusions

This article wants to contribute to the knowledge of the topic of L2 teaching, whichis the key activity for schools to support the integration of newly-arrived students.Neverthless, the topic is too often debated in Italy only by linguists and pedago-gists, while it is neglected by sociologists of education and political scientists.

Thanks to my participation as a junior researcher to the evaluation of Inter-culture Project in Lombardy, I was able to collect the opinions of teachers fromdifferent school levels, who everyday have the opportunity to observe the effectsof L2 teaching policies on the newly-arrived immigrant students. Theachers’ ex-perience is a very important source of empirical knowledge about the risks andthe potentials of different intensities of language teaching on the integration ofnewly-arrived students. Last but not least important, the analysis of the opinionsof teachers is a way to approach the topic from a practical point of view and clearthe air of all prejudices and ideologies sedimented in years of public debate. Tea-chers’ empirical knowledge is then compared with and completed by linguistic re-

ricerche

199

Page 202: Sird12 2014

Giornale Italiano della Ricerca Educativa | Italian Journal of Educational Research

search about L2 acquisition, creating a rare corpus of knowledge on the topic ofL2 teaching intensity and its effects. The research questions and hypotheses emerging from this review concern the

trade-off between exercising the language and learning its structure. What is theoptimum equilibrium between these two essential activities? In the case of separatespecial classes for newly-arrived students, what effects can a disproportion betweenthe two activities have on children’s language abilities, school achievement, and so-cialization with peers? The Randomized Controlled Trial designed in the last partof the article could represent, were it implemented, a viable option to answer thosequestions with a reliable estimate of the effects. This evidence would be a tool forthe decision-making in schools on this matter, for the work of teachers, and for po-licy makers interested in favoring the integration of migrant students.

Riferimenti bibliografici

Azzolini D., Barone C. (2012). Do they progress or do they lag behind? Educatio-nal attainment of immigrants’ children in Italy: the role played by generationalstatus, country of origin and social class. Research in Social Stratification andMobility, 31, pp. 82-96.

Balboni P.E. (2008). Italiano L2: una via italiana. Studi di Glottodidattica, 1, 2008,pp. 17-31.

Barban N., White M. (2011). Immigrants’ Children’s Transition to SecondarySchool in Italy. International Migration Review, 45, 3, pp. 702-726.

Chaloff J. (1999). Current research into education for immigrants in Italy. Roma:Fondazione Censis.

Checchi D. (2009). Immobilità diffusa. Bologna: Il Mulino. Christensen G. and Stanat P. (2007). Language policies and practices for helping im-

migrants and second- generation students succeed. Washington D.C.: Institut dePolitique Migratoire/ Berstelsmann Stiftung.

Cummins J. (1984). Bilinguism and special education: issues in assessment and pe-dagogy. Clevedon: Multilingual Matters.

Favaro G. (1999). Imparare l’italiano, imparare in italiano. Milano: Guerini.Favaro G. (2002). Insegnare l’italiano agli alunni stranieri. Milano: La Nuova Ita-lia.

Goldenberg C., Coleman R. (2010). Promoting academic achievement among En-glish learners. A guide to the research. Thousand Oaks: Corwin.

Green P. (2000). Alunni immigrati nelle scuole europee. Trento: Edizioni Erikson.Jackson M., Jonsson J.O., Rudolphi F. (2012). Ethnic inequality in choice-driveneducation systems. A longitudinal study of performance and choice in Englandand Sweden. Sociology of Education, 85, 2, pp. 158-178.

Koretz D. (2008). What educational testing really tells us. Cambridge: Harvard Uni-versity Press.

Marks G.N. (2005). Accounting for immigrant nonimmigrant differences in rea-ding and mathematics in twenty countries. Ethnic Racial Studies, 28, pp. 925-946.

Martini A., Sisti M. (2009). Valutare il successo delle politiche pubbliche Bologna:Il Mulino.

M.I.U.R. (2006). Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.Roma.

200

Page 203: Sird12 2014

anno VII | numero 12 | Giugno 2014

M.I.U.R. (2007). La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione deglialunni stranieri. Roma.

M.I.U.R. (2008). Rapporto Nazionale 2008 sullo sviluppo dell’educazione – La scuolaper l’inclusione sociale. Geneve.

M.I.U.R. (2014). Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.Roma.

Nusche D. (2009).What works in migrant education? A review of evidence and po-licy options. OECD Education Working Paper n. 22.

Orr L. (1999). Social experiments. Evaluating public programs with experimentalmethods. Thousand Oaks: Sage Publications.

Regonini G. (1989). Lo studio delle politiche pubbliche. In A. Panebianco (Ed.),L’analisi della politica. Bologna: Il Mulino.

Schnepf S.V. (2006). How different are immigrants? A cross-country and cross-survey analysis of educational achievement. In C. Parsons, T. Smeeding (Eds.),Immigration and the Transformation of Europe. Cambridge: Cambridge Uni-versity Press.

Torgerson D.J., Torgerson C.J. (2008). Designing randomized trials in Health, edu-cation and the social sciences. Basingstoke: Palgrave Macmillan.

ricerche

201

Page 204: Sird12 2014