San Marino Design Workshop magaziine

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giorno 2 >>> martedì 12 luglio 2011

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Magazine del Workshop "Il design del ben-essere" tenutosi presso l'università di San Marino dal 11 al 16 luglio 2011.

Transcript of San Marino Design Workshop magaziine

Workshop Magazine / quotidiano d’approfondimento del San Marino Design Workshop 2011

giorno 1 >>> lun 11 lug 2011 18:30

Workshop Magazine / quotidiano d’approfondimento del San Marino Design Workshop 2011

giorno 1 >>> lun 11 lug 2011 18:30

Workshop Magazine / quotidiano d’approfondimento del San Marino Design Workshop 2011

giorno 1 >>> lun 11 lug 2011 18:30giorno 2 >>> martedì 12 luglio 2011

Editoriale

Progettare il Ben-essere in un mondo cambiatoAlberto Bassi, direttore del Corso di laurea

Il mondo sta cambiando e continuerà a cambiare sempre più velocemente. Globalizzazione, economie emergenti, nuove tecnologie (dai computer agli smart phone) e nuovi media (a cominciare da internet), differenti comportamenti e sensibilità, condizioni di incertezza e insicurezza divenute permanenti, consumatori evoluti. Quello che brillantemente il filosofo Zygmunt Bauman ha definito “modernità liquida”. Servono rinnovati concetti, modelli e parole che aiutino a comprendere e agire nel mutato contesto. Abbiamo sempre pensato che l’economia avesse a che fare con lo sviluppo indefinito; ma ci accorgiamo che esistono vincoli, a partire dalla limitatezza delle risorse ambientali ed energetiche.

Illustri studiosi dicono che bisogna ora trovare il modo di convivere con un’“economia del limite”. Il tema è come conciliarla con la salvaguardia delle condizioni di vita acquisite, in verità ancora assai differenti nel mondo e all’intero di aree geografiche ed economiche relativamente omogenee. Perché esiste non solo il sud dell’Italia, ma anche un sud dell’Europa e poi uno del mondo etc. Si comincia allora a parlare della necessità di passare da una società del “ben-avere” a una del “ben-essere”. Dove le condizioni di prosperità, fino al lusso, coincidono con una prosperità personale ed umana, con la soddisfazione globale della propria esistenza, del proprio lavoro. Un’autentica rivoluzione forse, ma di cui si colgono segnali sempre più forti ed evidenti.Il concetto di ben-essere muove da presupposti alti ma si declina naturalmente in modi assai concreti che vanno dalla sicurezza fisica e

psicologica al comfort nelle molteplici situazioni di vita urbana e domestica. Stare bene allora vuol dire un nuovo modo di vivere la città o uno spazio verde, magari piacevolmente attrezzato e accogliente; significa essere sicuri e a proprio agio su un mezzo di trasporto o dentro una casa o un ufficio; vuol dire predisporre in modo adeguato strumenti, prodotti e servizi per la cura della persona, per rendere agevole lavorare, divertirsi, curarsi e così via. Un ruolo decisivo per delineare gli scenari (poi contribuire a costruire) le nuove condizioni del ben-essere contemporaneo spetta, fra gli altri, ai luoghi della ricerca e della formazione, ma anche alla cultura del progetto e dell’impresa. Provare a intendere le nuove direzioni e predisporre gli strumenti intellettuali e operativi per orientare percorsi dotati di senso oltre che di etica.Una sfida importante ma che necessita di essere raccolta.

ConfortevoleMichele Zannoni

Esistono regole dichiarate e non che guidano il design nella definizione di uno stato in cui le persone siano a proprio agio rispetto alla realtà circostante. Il “confortevole” inteso come condizione di equilibrio tra forme e uomo è una ricerca continua e la sua applicazione si estende a tutte le discipline del design. La sensazione di disagio percepita in modo inequivocabile quando sedendosi i muscoli rimangono costantemente in tensione determina il medesimo fastidio della lettura di un artefatto grafico il cui corpo del testo è dimensionato non correttamente. Non è solo una questione di forze fisiche che si contrappongono e si devono annullare; il concetto di confortevole è più complesso: l’equilibrio va ricercato nei molteplici aspetti fisici, visivi, mentali e percettivi che caratterizzano il progetto di design.

giorno 2martedì 12 luglio 2011ore 18:30- - - Conversazione sul tema

introduceAlberto Bassi

modera Michele Zannoni

- - -Francesco Pia

Stefano RocchettoErmanno Tasca

Dialogo con Francesco Pia

Marianna Calagna / Ester Maria Rita Greco >>> Il termine “confortevole” è solitamente riferito all’ambito del product design. Quale legame pensa possa avere questo concetto con il mondo della progettazione visiva?

Francesco Pia >>> Quello di “confortevole” nell’ambito della progettazione visiva è un tema che un designer visuale dovrebbe conoscere bene. Può essere inteso come ergonomia di lettura o architettura dei contenuti ben definita. Il comfort non è soltanto il fatto di performare, ossia di portare a termine un’operazione nel modo più semplice possibile, ma è anche semplicemente il fatto che io possa farla. Attraverso i diversi gradi di comfort posso definire dei casi differenti di efficienza, come ad esempio la possibilità di arrivare velocemente alla toilette se ci si trova in un edificio dove è difficile orientarsi e con segnaletica non chiara.E sicuramente sarà da rendere più confortevole la possibilità di compiere azioni attraverso dispositivi tecnologicamente sempre più evoluti.

MC / EMRG >>> Quali possono essere le nuove frontiere dell’interazione uomo-macchina tenendo come obiettivo il comfort degli utenti?

FP >>> Se parliamo di nuove frontiere, queste saranno definite dalla presenza sempre più diffusa di nuovi dispositivi.Sostanzialmente, i limiti fisici odierni –dove posizionare un hardware, un calcolatore o un computer– diverranno a breve trascurabili, dunque la possibilità di avere questo “ubiquitus computing” sarà un tema a cui prestare molta attenzione. Le possibilità secondo me sono tutte da esplorare perché l’interfaccia e l’interazione con qualunque tipo di macchinario sono “ambienti” nuovi per il mondo del design. Tuttavia l’impatto sociale dell’interaction design sarà

sempre maggiore e sicuramente è un “ambiente” dal quale il graphic designer non può prescindere.

FP >>> Abbiamo letto che sei stato negli States. Hai riscontrato un diverso background di sviluppo dei progetti rispetto alla metodologia di progettazione presente in Italia?

FP >>> Premetto che sono stato in America per un breve periodo in cui ho vissuto e mi sono mosso lungo un’area geografica molto ristretta. Comunque sono andato molto in profondità dal punto di vista progettuale perché ho lavorato in una situazione che produceva prodotti di grande qualità. Non posso di certo generalizzare ma riportare l’impressione che mi sono fatto. Rispetto all’Italia, tutto è molto più professionalizzato, un designer può arrivare a non dover rispondere al telefono, nel senso che per questo c’è la segretaria: ogni ruolo cioè è ben distinto e definito. Questa caratteristica tuttavia non sempre permette di approfondire le questioni progettuali.

MC / EMRG >>> Saprebbe individuare dunque degli elementi caratteristici propriamente italiani?

FP >>> Proprio la commistione e la capacità di mixare le cose, tipica di noi italiani –ed è anche una delle ragioni per cui sappiamo ancora imporre la nostra visione del mondo in determinati ambiti– è una delle sfide più complesse e difficili da perseguire. La professionalità infatti se da un lato definisce sempre più il ruolo di ciascuno, dall’altro imbriglia le professioni e inibisce il dialogo e la collaborazione reciproca.Come hanno sostenuto Marco Piva e Philippe Daverio, in un convegno a cui ho partecipato recentemente a Venezia, non serve essere competitivi nei confronti di nazioni nelle quali la sfida si rivela molto semplice, ma piuttosto dovremmo lanciarci in proegtti che permettano di mettere in campo la nostra capacità di risolvere

problemi complessi.

MC / EMRG >>> Di solito il comfort è definito secondo parametri soggettivi, secondo lei è possibile stabilire e misurare in modo oggettivo il comfort di un oggetto di interaction design?

FP >>> Arrivare alla definizione scientifica dell’affidabilità di una scelta progettuale rispetto ad un’altra è una cosa auspicabile perché inevitabilmente permette di spiegare che un oggetto è migliore di un altro.Una cosa molto importante che mi ha insegnato Franco Clivio, docente all’Università Iuav di Venezia, è la necessità di rappresentare e definire la serie di azioni o connessioni in un prodotto che consenta a un utente di concludere un’azione. Se il numero di connessioni e il grafico che le rappresenta è semplice, può darsi che questo sia una motivazione valida per indicare un progetto come migliore di quello che utilizza un grafico e un flusso più complessi.Il ruolo del designer è anche quello di definire uno strumento di verifica per supportare il proprio progetto. Se pensiamo ai compiti che svolgiamo quotidianamente, il grado di efficienza con cui affrontiamo queste azioni può essere identificato dalla variabile tempo e dalla variabile complessità.

MC / EMRG >>> Quali possono essere i punti di partenza per lo sviluppo di un prodotto di interaction design confortevole?

FP >>> Prima di tutto è importante definire a cosa serve un prodotto, poi un’adeguata architettura dei contenuti, quindi calare il problema nello specifico, a partire dall’utente e dall’utilizzo che esso ne fa e infine testarlo. Più che di interaction design è più opportuno quindi parlare di “design del comportamento”; come in un allestimento immagino il tragitto che una persona deve compiere, allo stesso modo in un dispositivo mobile digitale devo pensare al tipo di percorso che farà il mio utente.

MC / EMRG >>> Quali suggerimenti daresti a giovani designer che desiderino cimentarsi nell’ambito dell’interaction design?

FP >>> Il mio consiglio per i giovani è quello di non perdere il contatto con il mondo fisico, poiché se ci si immerge troppo nel mondo delle nuove tecnologie si finisce con avere l’impressione di aver a che fare con qualcosa di irreale. Il rischio è proprio quello di perdere di vista la fisicità. Bisogna perciò comprendere bene come funzionano le cose reali e solo successivamente trasportare queste “metafore” fisiche nel mondo virtuale.

MC / EMRG >>> Quali sono gli step progettuali per la definizione di un prodotto di interaction design?

FP >>> Nello sviluppo di questi prodotti bisogna prima di tutto partire dai contenuti della funzione che vogliamo progettare. Ovvero bisogna mettere a fuoco il “task”, il compito che la nostra interfaccia deve risolvere; identificare chi è l’utente e individuare quali sono i limiti tecnici che ci vengono imposti; capire, ad esempio, il tipo di dispositivo di cui abbiamo bisogno e quale interazione è permessa da questo. Oltre a ciò ci sono la definizione precisa dell’architettura dell’informazione, dell’inserimento di layout, di una serie di codici che permettono di muoversi all’interno di una gerarchia di informazioni. Quindi un insieme di competenze molto varie –che ho forse enunciato in modo troppo vago e impreciso– che devono convergere in quello che chiamiamo “design del comportamento”.

MC / EMRG >>> Viene prima l’innovazione o la funzionalità?

E.P. >>> Possono integrarsi. Sicuramente ci può essere innovazione quando trovo un modo nuovo di eseguire un compito, quindi posso parlare di innovazione quando riesco a far risolvere un compito in modo più funzionale.

Editoriale

Progettare il Ben-essere in un mondo cambiatoAlberto Bassi, direttore del Corso di laurea

Il mondo sta cambiando e continuerà a cambiare sempre più velocemente. Globalizzazione, economie emergenti, nuove tecnologie (dai computer agli smart phone) e nuovi media (a cominciare da internet), differenti comportamenti e sensibilità, condizioni di incertezza e insicurezza divenute permanenti, consumatori evoluti. Quello che brillantemente il filosofo Zygmunt Bauman ha definito “modernità liquida”. Servono rinnovati concetti, modelli e parole che aiutino a comprendere e agire nel mutato contesto. Abbiamo sempre pensato che l’economia avesse a che fare con lo sviluppo indefinito; ma ci accorgiamo che esistono vincoli, a partire dalla limitatezza delle risorse ambientali ed energetiche.

Illustri studiosi dicono che bisogna ora trovare il modo di convivere con un’“economia del limite”. Il tema è come conciliarla con la salvaguardia delle condizioni di vita acquisite, in verità ancora assai differenti nel mondo e all’intero di aree geografiche ed economiche relativamente omogenee. Perché esiste non solo il sud dell’Italia, ma anche un sud dell’Europa e poi uno del mondo etc. Si comincia allora a parlare della necessità di passare da una società del “ben-avere” a una del “ben-essere”. Dove le condizioni di prosperità, fino al lusso, coincidono con una prosperità personale ed umana, con la soddisfazione globale della propria esistenza, del proprio lavoro. Un’autentica rivoluzione forse, ma di cui si colgono segnali sempre più forti ed evidenti.Il concetto di ben-essere muove da presupposti alti ma si declina naturalmente in modi assai concreti che vanno dalla sicurezza fisica e

psicologica al comfort nelle molteplici situazioni di vita urbana e domestica. Stare bene allora vuol dire un nuovo modo di vivere la città o uno spazio verde, magari piacevolmente attrezzato e accogliente; significa essere sicuri e a proprio agio su un mezzo di trasporto o dentro una casa o un ufficio; vuol dire predisporre in modo adeguato strumenti, prodotti e servizi per la cura della persona, per rendere agevole lavorare, divertirsi, curarsi e così via. Un ruolo decisivo per delineare gli scenari (poi contribuire a costruire) le nuove condizioni del ben-essere contemporaneo spetta, fra gli altri, ai luoghi della ricerca e della formazione, ma anche alla cultura del progetto e dell’impresa. Provare a intendere le nuove direzioni e predisporre gli strumenti intellettuali e operativi per orientare percorsi dotati di senso oltre che di etica.Una sfida importante ma che necessita di essere raccolta.

ConfortevoleMichele Zannoni

Esistono regole dichiarate e non che guidano il design nella definizione di uno stato in cui le persone siano a proprio agio rispetto alla realtà circostante. Il “confortevole” inteso come condizione di equilibrio tra forme e uomo è una ricerca continua e la sua applicazione si estende a tutte le discipline del design. La sensazione di disagio percepita in modo inequivocabile quando sedendosi i muscoli rimangono costantemente in tensione determina il medesimo fastidio della lettura di un artefatto grafico il cui corpo del testo è dimensionato non correttamente. Non è solo una questione di forze fisiche che si contrappongono e si devono annullare; il concetto di confortevole è più complesso: l’equilibrio va ricercato nei molteplici aspetti fisici, visivi, mentali e percettivi che caratterizzano il progetto di design.

giorno 2martedì 12 luglio 2011ore 18:30- - - Conversazione sul tema

introduceAlberto Bassi

modera Michele Zannoni

- - -Francesco Pia

Stefano RocchettoErmanno Tasca

Dialogo con Francesco Pia

Marianna Calagna / Ester Maria Rita Greco >>> Il termine “confortevole” è solitamente riferito all’ambito del product design. Quale legame pensa possa avere questo concetto con il mondo della progettazione visiva?

Francesco Pia >>> Quello di “confortevole” nell’ambito della progettazione visiva è un tema che un designer visuale dovrebbe conoscere bene. Può essere inteso come ergonomia di lettura o architettura dei contenuti ben definita. Il comfort non è soltanto il fatto di performare, ossia di portare a termine un’operazione nel modo più semplice possibile, ma è anche semplicemente il fatto che io possa farla. Attraverso i diversi gradi di comfort posso definire dei casi differenti di efficienza, come ad esempio la possibilità di arrivare velocemente alla toilette se ci si trova in un edificio dove è difficile orientarsi e con segnaletica non chiara.E sicuramente sarà da rendere più confortevole la possibilità di compiere azioni attraverso dispositivi tecnologicamente sempre più evoluti.

MC / EMRG >>> Quali possono essere le nuove frontiere dell’interazione uomo-macchina tenendo come obiettivo il comfort degli utenti?

FP >>> Se parliamo di nuove frontiere, queste saranno definite dalla presenza sempre più diffusa di nuovi dispositivi.Sostanzialmente, i limiti fisici odierni –dove posizionare un hardware, un calcolatore o un computer– diverranno a breve trascurabili, dunque la possibilità di avere questo “ubiquitus computing” sarà un tema a cui prestare molta attenzione. Le possibilità secondo me sono tutte da esplorare perché l’interfaccia e l’interazione con qualunque tipo di macchinario sono “ambienti” nuovi per il mondo del design. Tuttavia l’impatto sociale dell’interaction design sarà

sempre maggiore e sicuramente è un “ambiente” dal quale il graphic designer non può prescindere.

FP >>> Abbiamo letto che sei stato negli States. Hai riscontrato un diverso background di sviluppo dei progetti rispetto alla metodologia di progettazione presente in Italia?

FP >>> Premetto che sono stato in America per un breve periodo in cui ho vissuto e mi sono mosso lungo un’area geografica molto ristretta. Comunque sono andato molto in profondità dal punto di vista progettuale perché ho lavorato in una situazione che produceva prodotti di grande qualità. Non posso di certo generalizzare ma riportare l’impressione che mi sono fatto. Rispetto all’Italia, tutto è molto più professionalizzato, un designer può arrivare a non dover rispondere al telefono, nel senso che per questo c’è la segretaria: ogni ruolo cioè è ben distinto e definito. Questa caratteristica tuttavia non sempre permette di approfondire le questioni progettuali.

MC / EMRG >>> Saprebbe individuare dunque degli elementi caratteristici propriamente italiani?

FP >>> Proprio la commistione e la capacità di mixare le cose, tipica di noi italiani –ed è anche una delle ragioni per cui sappiamo ancora imporre la nostra visione del mondo in determinati ambiti– è una delle sfide più complesse e difficili da perseguire. La professionalità infatti se da un lato definisce sempre più il ruolo di ciascuno, dall’altro imbriglia le professioni e inibisce il dialogo e la collaborazione reciproca.Come hanno sostenuto Marco Piva e Philippe Daverio, in un convegno a cui ho partecipato recentemente a Venezia, non serve essere competitivi nei confronti di nazioni nelle quali la sfida si rivela molto semplice, ma piuttosto dovremmo lanciarci in proegtti che permettano di mettere in campo la nostra capacità di risolvere

problemi complessi.

MC / EMRG >>> Di solito il comfort è definito secondo parametri soggettivi, secondo lei è possibile stabilire e misurare in modo oggettivo il comfort di un oggetto di interaction design?

FP >>> Arrivare alla definizione scientifica dell’affidabilità di una scelta progettuale rispetto ad un’altra è una cosa auspicabile perché inevitabilmente permette di spiegare che un oggetto è migliore di un altro.Una cosa molto importante che mi ha insegnato Franco Clivio, docente all’Università Iuav di Venezia, è la necessità di rappresentare e definire la serie di azioni o connessioni in un prodotto che consenta a un utente di concludere un’azione. Se il numero di connessioni e il grafico che le rappresenta è semplice, può darsi che questo sia una motivazione valida per indicare un progetto come migliore di quello che utilizza un grafico e un flusso più complessi.Il ruolo del designer è anche quello di definire uno strumento di verifica per supportare il proprio progetto. Se pensiamo ai compiti che svolgiamo quotidianamente, il grado di efficienza con cui affrontiamo queste azioni può essere identificato dalla variabile tempo e dalla variabile complessità.

MC / EMRG >>> Quali possono essere i punti di partenza per lo sviluppo di un prodotto di interaction design confortevole?

FP >>> Prima di tutto è importante definire a cosa serve un prodotto, poi un’adeguata architettura dei contenuti, quindi calare il problema nello specifico, a partire dall’utente e dall’utilizzo che esso ne fa e infine testarlo. Più che di interaction design è più opportuno quindi parlare di “design del comportamento”; come in un allestimento immagino il tragitto che una persona deve compiere, allo stesso modo in un dispositivo mobile digitale devo pensare al tipo di percorso che farà il mio utente.

MC / EMRG >>> Quali suggerimenti daresti a giovani designer che desiderino cimentarsi nell’ambito dell’interaction design?

FP >>> Il mio consiglio per i giovani è quello di non perdere il contatto con il mondo fisico, poiché se ci si immerge troppo nel mondo delle nuove tecnologie si finisce con avere l’impressione di aver a che fare con qualcosa di irreale. Il rischio è proprio quello di perdere di vista la fisicità. Bisogna perciò comprendere bene come funzionano le cose reali e solo successivamente trasportare queste “metafore” fisiche nel mondo virtuale.

MC / EMRG >>> Quali sono gli step progettuali per la definizione di un prodotto di interaction design?

FP >>> Nello sviluppo di questi prodotti bisogna prima di tutto partire dai contenuti della funzione che vogliamo progettare. Ovvero bisogna mettere a fuoco il “task”, il compito che la nostra interfaccia deve risolvere; identificare chi è l’utente e individuare quali sono i limiti tecnici che ci vengono imposti; capire, ad esempio, il tipo di dispositivo di cui abbiamo bisogno e quale interazione è permessa da questo. Oltre a ciò ci sono la definizione precisa dell’architettura dell’informazione, dell’inserimento di layout, di una serie di codici che permettono di muoversi all’interno di una gerarchia di informazioni. Quindi un insieme di competenze molto varie –che ho forse enunciato in modo troppo vago e impreciso– che devono convergere in quello che chiamiamo “design del comportamento”.

MC / EMRG >>> Viene prima l’innovazione o la funzionalità?

E.P. >>> Possono integrarsi. Sicuramente ci può essere innovazione quando trovo un modo nuovo di eseguire un compito, quindi posso parlare di innovazione quando riesco a far risolvere un compito in modo più funzionale.

Dialogo con Ermanno Tasca

Marianna Calagna / Ester Maria Rita Greco >>> Technogym è considerata una vera e propria icona del settore del fitness, sempre all’avanguardia nel mercato con prodotti innovativi. Come ci si sente a ricoprire il ruolo di senior designer di un’azienda così importante? Ermanno Tasca >>> Il lavoro è simile a quello di qualsiasi altra grande azienda. Il principale fattore di interesse nel nostro caso è il fatto di progettare per un settore che è in espansione, con infinite possibilità di crescita rispetto ad altri settori di prodotti. Quello del fitness è un campo che si può definire vergine rispetto ad altri, perché è stato poco indagato e soprattutto perché è abbastanza recente, dal momento che è nato negli anni Settanta. L’aspetto più divertente per un designer è quello di indagare nuove esperienze, nuovi prodotti e nuovi sentieri che non sono stati percorsi da altri.

MC / EMRG >>> Tra i traguardi di interaction design realizzati finora da Technogym, quali consideri di maggior successo?

ET >>> Technogym è abbastanza “fresca” su questo argomento visto che è stato introdotto più o meno quando sono stato assunto. Sicuramente “Visio” è la piattaforma che ha tracciato la maggior differenza e novità rispetto agli altri prodotti nel nostro settore, anche se è solo un punto d’inizio. Abbiamo quindi deciso di partecipare a questo workshop per cercare di migliorare i limiti che ancora abbiamo.

MC / EMRG >>> Quali sono i suoi riferimenti?

ET >>> Come punti di riferimento nell’ambito della progettazione, sicuramente ho avuto degli ottimi insegnanti durante l’università. Certo una persona che ha influito molto nel mio percorso è stata Franco Clivio, che come docente all’università mi ha seguito durante gli studi e introdotto nel mondo

del progetto. Un altro incontro per me significativo è stato quello con Dino Gavina, imprenditore romagnolo, per il modo di approcciarsi al design. Per quanto riguarda invece l’interaction, sicuramente chi fa scuola in questo momento è Apple, per la capacità di progettare interfacce e di concepire l’interfaccia stessa come un prodotto a se stante e non semplicemente come un “pezzo” dell’artefatto. Nokia ha commesso l’errore di sottovalutare il valore dell’interfaccia all’interno del prodotto. Quello che invece vogliamo fare in Technogym è capire il valore di questo prodotto e quindi investirci.

MC / EMRG >>> A livello tecnico, come verificate la corretta funzionalità delle interfacce?

ET >>> Noi facciamo degli “usability test” e seguiamo un metodo che è oggi diffuso: semplicemente si realizza una demo, ovvero una simulazione dell’interfaccia che verrà realizzata; in giro per il mondo si scelgono dei club che hanno le nostre attrezzature; si profilano questi club in base al tipo di utenti che si allenano e, portando un prototipo delle interfacce, lo si sottopone alle persone. Scegliamo ovviamente delle domande specifiche: in base ai comportamenti e ai commenti degli utenti apportiamo successivamente le modifiche.

MC / EMRG >>> Quanto tempo intercorre dalla concettualizzazione fino alla messa in produzione di un prodotto?

ET >>> Per la completa progettazione di un prodotto occorrono due o tre anni. Per quanto riguarda invece le tempistiche inerenti il processo di verifica attraverso i test invece esse dipendono tanto dalla bravura dei designer in fase di progettazione quanto dalla complessità del prodotto: possono ridursi a pochi mesi o allungarsi fino ad un anno e mezzo.

MC / EMRG >>> A livello di comfort, che meccanismo adoperate per verificarne il livello?

ET >>> Il comfort per noi è diviso in due aspetti. Il primo riguarda il comfort dell’allenamento, relativo al modo in cui la persona fa esercizio sull’attrezzo: l’utente deve sentirsi bene nel momento in cui utilizza la macchina, compiendo i corretti movimenti. L’altro è inerente all’utilizzo degli attrezzi senza il bisogno di assistenza per comprenderne il funzionamento. Abbiamo quindi adottato una serie di regole che aiutano l’utente a trovarsi a proprio agio sull’attrezzo. Per i prodotti si adoperano i cosiddetti focus group: chiamiamo utenti e palestre, facciamo testare loro una preview su prototipi abbastanza avanzati e alla fine otteniamo commenti sull’indice di gradimento o sulla presenza di pregi o difetti. In base ai feedback raccolti vengono in seguito apportate le modifiche sul prodotto.

MC / EMRG >>> Esistono delle macchine specifiche in grado di misurare il livello di comfort?

ET >>> No, noi abbiamo delle macchine per misurare solo la durabilità. Si tratta di quegli strumenti che noi chiamiamo “ciclopi”: sono delle attrezzature che simulano gli arti umani e ripetono a cicli continui il movimento: ad esempio abbiamo delle finte gambe che corrono sul nastro fino a che questo non si consuma.

MC / EMRG >>> In che modo le vostre macchine incidono sullo stile di vita delle persone e ne determinano cambiamenti negli atteggiamenti quotidiani?

ET >>> L’esercizio fisico è sicuramente una cosa indispensabile nella vita di tutti i giorni: se una persona ha fatto esercizio fisico anche in età avanzata rimane attiva e giovane. Il problema della vita di oggi è che si fa fatica a muoversi: per come è strutturata la società si tende a passare la vita seduti. L’obiettivo dei nostri prodotti è cercare di attirare le persone a fare movimento, perché anche se è molto difficile iniziare a fare esercizio, una volta che si comincia diventa un’esigenza.

Noi ripetiamo costantemente che l’attività fisica è una specie di “droga”, e ciò è provato scientificamente: il movimento mette infatti in circolazione nell’organismo delle sostanze che spingono a compiere sempre più esercizio. La cosa difficile per noi è fare in modo che le persone riescano a stare sugli attrezzi, si divertano e siano a proprio agio, perché è ovviamente molto più semplice andare a correre fuori o giocare a calcio piuttosto che andare in palestra. Questa è la sfida dei prodotti Technogym.

MC / EMRG >>> Come è strutturato il team di lavoro nel processo di sviluppo di un nuovo prodotto? Quante e quali figure professionali sono coinvolte?

ET >>> I professionisti sono molti: c’è l’area Industrial Design, l’area R&D, per la progettazione meccanico-tecnologicae l’ingegnerizzazione, la Ricerca scientifica per la certificazione e l’individuazione dei nuovi esercizi, il Product marketing, insieme al Centro Stile, responsabile della definizione del brief di un progetto. Definito quest’ultimo si parte con la fase di concettualizzazione. Segue la realizzazione del mock-up, una sorta di prototipo estetico che simula quello che sarà il prodotto finale. Parallelamente viene messo a punto un “cavallo”, ovvero un prototipo solamente funzionale per testare il corretto funzionamento degli elementi di progettazione meccanica. Fatti convergere mock-up e “cavallo” si giunge al cosiddetto “prototipo vestito”, una meccanica funzionante con il design applicato sottoforma di sterolitografia: lì ho ottenuto quasi un prodotto finito. La fase finale consiste nella messa a punto degli stampi e nell’industrializzazione della parte meccanica. A livello numerico noi al Centro Stile siamo in dieci, l’R&D accoglie circa un centinaio di persone, il reparto di Product marketing un’altra decina e la Ricerca scientifica un po’ meno di dieci persone.

Dialogo con Stefano Rocchetto

Marianna Calagna / Ester Maria Rita Greco >>> Ritiene che il concetto di “comfort” possa essere applicabile solo alle aree immerse nel verde o che sia possibile integrare questo concetto anche nell’ambito dell’ambiente urbano? Stefano Rocchetto >>> Innanzitutto il concetto di “comfort” ha molti significati. Confortevole vuol dire anche rassicurante, vuol dire qualcosa che ci tranquillizza rispetto a ciò che non conosciamo; è un termine vasto, non riducibile solamente al concetto di comodità, applicable al nostro modo di essere e all’ambiente, che sia verde o urbano. Quando ero bambino ricordo che a casa mia ci si lavava due volte a settimana; ci si lavava in tinozze o a pezzi: allora era la massima idea dell’igiene, oggi invece sono a disagio se non mi faccio la doccia ogni giorno. Il concetto di confort cambia da persona a persona e nel tempo. Potremmo affermare che è un concetto cangiante. Oggi è così, domani come quale? Il futuro cosa ci riserverà? È caduto il muro di Berlino, non ci sono più due mondi che si guardano e si annullano a vicenda. Il confortevole si realizzerà nella capacità di convivere con altre culture, altre etnie, fianco a fianco. La sostenibilità del pianeta è probabilmente legata a questa nostra capacità di elaborare criticamente il tema del vicino, non il vicino di casa, ma il vicino che viene da molto lontano. È un tema molto complesso che non si può ridurre al confortevole in giardino. Pensate ad esempio ai Sassi di Matera, un luogo straordinario e magico dove Pasolini ha girato un celebre film. Nelle abitazioni la gente viveva con gli animali, confortevolmente rispetto alla propria idea di comfort; oggi sono state trasformate in case particolari all’interno delle quali la gente vive con i tutti comfort moderni.

MC / EMRG >>> Quale contributo pensa che

l’architettura possa offrire al design e viceversa?

SR >>> Non trovo che ci sia grande differenza tra architettura e design: il progetto diventa l’elemento che misura il mondo, costruisce e determina un modo di guardare le cose. Oggi abbiamo deciso per ragioni anche di convenienza di definire con più precisione i limiti del mestiere del designer rispetto a quello dell’architetto. In realtà abbiamo costruito noi sono degli ambiti la differenza fra gli ambiti. Un esempio su tutti: Gio Ponti, straordinario designer degli anni cinquanta e sessanta, in realtà era un uomo d’arte. Era pittore e decoratore, pensiamo ai mosaici che ha realizzato per l’Università di Padova, nelle grandi sale del Rettorato oppure all’opera che lo ha reso più celebre, il grattacielo Pirelli, ma anche a tutti i suoi oggetti di design: era un designer o un architetto? Era un uomo di progetto, che sapeva interpretare attraverso il proprio mestiere l’epoca in cui viveva. Credo che l’architettura, come il design, sia una pratica artistica, una pratica che lavora in particolari momenti con materiali diversi. Il risultato di questo workshop sarà un progetto di design o di architettura? È un progetto che ha come obiettivo il miglioramento di un luogo, attraverso oggetti, una diversa sistemazione, un modo inedito di percepire e vedere lo spazio, e di usarlo.

MC / EMRG >>> Quanto è importante la comunicazione visiva?

SR >>> È troppo importante. Nel senso che oggi stiamo vivendo in un mondo in cui spesso i grandi progetti di architettura si riducono solamente a operazioni di comunicazione e di marketing. L’introduzione delle vaste possibilità che il mezzo del computer fornisce spesso travalicano il vero contenuto del progetto. A Venezia si dice spesso che “stuco e pitura fà bea figura”: c’è più superficie che contenuto, c’è più “packaging” che sostanza. Spesso il cliente viene

affascinato più dal modo in cui gli viene raccontato e presentato il progetto che dal suo significato vero e proprio. Se noi andiamo a vedere i progetti di architettura di soli cinquant’anni fa, questi erano presentati in modo molto semplice: prospettive, piante, prospetti e sezioni. Oggi invece coi render si inventano dei mondi che non sono nemmeno veri, solo immaginati e non realizzabili. Ad esempio, fra i render e il progetto realizzati da Zaha Hadid c’è una notevole differenza. Quale progetto è vero? Quello immaginato da Zaha Hadid e raccontato attraverso il mezzo elettronico o invece quello che poi si costruisce?

MC / EMRG >>> Quale approccio progettuale ispira la sua opera di progettazione degli spazi aperti?

SR >>> Parto sempre dall’idea che il progetto si deve basare su ciò che c’è, quello che quel luogo in quel momento mi può fornire. Dunque quando mi reco in un luogo per realizzare un progetto, come in questo caso di uno spazio aperto o di un giardino, cerco sempre di capire quali siano gli elementi che caratterizzano quel luogo e in che modo ricomporli in un’eventuale nuova gerarchia, che poi diventerà il materiale su cui costruire il progetto. Il progetto deve presentarsi come forma di conoscenza di quel luogo: attraverso il lavoro bisognerebbe riuscire ad esaltare le qualità che possono essere evidenti ma anche nascoste, che solo il progetto riesce a rivelare, a far emergere. Ogni luogo ha una sua storia e una sua durata nel tempo. Il progetto deve in qualche modo fare i conti con la storia di questi luoghi e farla diventare un materiale operante.

MC / EMRG >>> Estetica, funzionalità e sostenibilità ambientale possono convivere insieme nel concetto di design per il raggiungimento di un prodotto confortevole? Quanto una è più importante rispetto alle altre?

SR >>> In realtà noi abbiamo l’abitudine di etichettare

tutto. L’estetica di per sé, avulsa da un contesto culturale, in termini astratti, significa poco o niente: quello che può essere bello per me non lo è per un papua che si tatua interamente il viso, perché la sua idea di estetica prevede che il suo corpo sia totalmente tatuato. Questa è un concetto che Adolf Loos ribadiva più di cento anni fa. Per quanto riguarda la funzionalità, si tratta di un concetto di cui spesso si abusa, diventando un termine deterministico. L’architettura più che funzionale deve essere opportuna, deve offrire le risposte adeguate a dei problemi senza per questo sottostare al vincolo della funzionalità; ma anche questo tema deve imporsi come questione su cui riflettere per il fare progettuale. Il progetto introduce sempre al tema della funzione degli spostamenti: è la misura di questi che determina la qualità del lavoro stesso, nel momento in cui riescono a rilevare questioni che sono poco evidenti facendole emergere da quell’elemento indistinto che precede il progetto. Per quanto concerne la sostenibilità, ancora una volta essa deve fare i conti con il tema dell’opportunità. Oggi abbiamo tutti gli strumenti e i materiali per rendere il progetto più aderente ai temi del basso consumo energetico degli edifici. Gli edifici di una volta in qualche misura rispondevano naturalmente al tema: utilizzavano materiali naturali. Pensate al mattone, con il quale è stata costruita l’Europa, riciclabile e dalle notevoli proprietà di isolamento. Già in passato si faceva architettura sostenibile. Uno dei temi su cui dobbiamo riflettere, che rappresenta il fattore determinante della crisi dell’architettura contemporanea, è inerente al fatto che ci si sta sempre più concentrando sull’oggetto. L’architettura contemporanea sta diventando più prossima al design: si lavora e si progetta il singolo oggetto edilizio, perdendo di vista il rapporto con il sistema insediativo generale. La composizione urbana si sta visiodimenticando che non è fatta di tante individualità che generano il caos.

Dialogo con Ermanno Tasca

Marianna Calagna / Ester Maria Rita Greco >>> Technogym è considerata una vera e propria icona del settore del fitness, sempre all’avanguardia nel mercato con prodotti innovativi. Come ci si sente a ricoprire il ruolo di senior designer di un’azienda così importante? Ermanno Tasca >>> Il lavoro è simile a quello di qualsiasi altra grande azienda. Il principale fattore di interesse nel nostro caso è il fatto di progettare per un settore che è in espansione, con infinite possibilità di crescita rispetto ad altri settori di prodotti. Quello del fitness è un campo che si può definire vergine rispetto ad altri, perché è stato poco indagato e soprattutto perché è abbastanza recente, dal momento che è nato negli anni Settanta. L’aspetto più divertente per un designer è quello di indagare nuove esperienze, nuovi prodotti e nuovi sentieri che non sono stati percorsi da altri.

MC / EMRG >>> Tra i traguardi di interaction design realizzati finora da Technogym, quali consideri di maggior successo?

ET >>> Technogym è abbastanza “fresca” su questo argomento visto che è stato introdotto più o meno quando sono stato assunto. Sicuramente “Visio” è la piattaforma che ha tracciato la maggior differenza e novità rispetto agli altri prodotti nel nostro settore, anche se è solo un punto d’inizio. Abbiamo quindi deciso di partecipare a questo workshop per cercare di migliorare i limiti che ancora abbiamo.

MC / EMRG >>> Quali sono i suoi riferimenti?

ET >>> Come punti di riferimento nell’ambito della progettazione, sicuramente ho avuto degli ottimi insegnanti durante l’università. Certo una persona che ha influito molto nel mio percorso è stata Franco Clivio, che come docente all’università mi ha seguito durante gli studi e introdotto nel mondo

del progetto. Un altro incontro per me significativo è stato quello con Dino Gavina, imprenditore romagnolo, per il modo di approcciarsi al design. Per quanto riguarda invece l’interaction, sicuramente chi fa scuola in questo momento è Apple, per la capacità di progettare interfacce e di concepire l’interfaccia stessa come un prodotto a se stante e non semplicemente come un “pezzo” dell’artefatto. Nokia ha commesso l’errore di sottovalutare il valore dell’interfaccia all’interno del prodotto. Quello che invece vogliamo fare in Technogym è capire il valore di questo prodotto e quindi investirci.

MC / EMRG >>> A livello tecnico, come verificate la corretta funzionalità delle interfacce?

ET >>> Noi facciamo degli “usability test” e seguiamo un metodo che è oggi diffuso: semplicemente si realizza una demo, ovvero una simulazione dell’interfaccia che verrà realizzata; in giro per il mondo si scelgono dei club che hanno le nostre attrezzature; si profilano questi club in base al tipo di utenti che si allenano e, portando un prototipo delle interfacce, lo si sottopone alle persone. Scegliamo ovviamente delle domande specifiche: in base ai comportamenti e ai commenti degli utenti apportiamo successivamente le modifiche.

MC / EMRG >>> Quanto tempo intercorre dalla concettualizzazione fino alla messa in produzione di un prodotto?

ET >>> Per la completa progettazione di un prodotto occorrono due o tre anni. Per quanto riguarda invece le tempistiche inerenti il processo di verifica attraverso i test invece esse dipendono tanto dalla bravura dei designer in fase di progettazione quanto dalla complessità del prodotto: possono ridursi a pochi mesi o allungarsi fino ad un anno e mezzo.

MC / EMRG >>> A livello di comfort, che meccanismo adoperate per verificarne il livello?

ET >>> Il comfort per noi è diviso in due aspetti. Il primo riguarda il comfort dell’allenamento, relativo al modo in cui la persona fa esercizio sull’attrezzo: l’utente deve sentirsi bene nel momento in cui utilizza la macchina, compiendo i corretti movimenti. L’altro è inerente all’utilizzo degli attrezzi senza il bisogno di assistenza per comprenderne il funzionamento. Abbiamo quindi adottato una serie di regole che aiutano l’utente a trovarsi a proprio agio sull’attrezzo. Per i prodotti si adoperano i cosiddetti focus group: chiamiamo utenti e palestre, facciamo testare loro una preview su prototipi abbastanza avanzati e alla fine otteniamo commenti sull’indice di gradimento o sulla presenza di pregi o difetti. In base ai feedback raccolti vengono in seguito apportate le modifiche sul prodotto.

MC / EMRG >>> Esistono delle macchine specifiche in grado di misurare il livello di comfort?

ET >>> No, noi abbiamo delle macchine per misurare solo la durabilità. Si tratta di quegli strumenti che noi chiamiamo “ciclopi”: sono delle attrezzature che simulano gli arti umani e ripetono a cicli continui il movimento: ad esempio abbiamo delle finte gambe che corrono sul nastro fino a che questo non si consuma.

MC / EMRG >>> In che modo le vostre macchine incidono sullo stile di vita delle persone e ne determinano cambiamenti negli atteggiamenti quotidiani?

ET >>> L’esercizio fisico è sicuramente una cosa indispensabile nella vita di tutti i giorni: se una persona ha fatto esercizio fisico anche in età avanzata rimane attiva e giovane. Il problema della vita di oggi è che si fa fatica a muoversi: per come è strutturata la società si tende a passare la vita seduti. L’obiettivo dei nostri prodotti è cercare di attirare le persone a fare movimento, perché anche se è molto difficile iniziare a fare esercizio, una volta che si comincia diventa un’esigenza.

Noi ripetiamo costantemente che l’attività fisica è una specie di “droga”, e ciò è provato scientificamente: il movimento mette infatti in circolazione nell’organismo delle sostanze che spingono a compiere sempre più esercizio. La cosa difficile per noi è fare in modo che le persone riescano a stare sugli attrezzi, si divertano e siano a proprio agio, perché è ovviamente molto più semplice andare a correre fuori o giocare a calcio piuttosto che andare in palestra. Questa è la sfida dei prodotti Technogym.

MC / EMRG >>> Come è strutturato il team di lavoro nel processo di sviluppo di un nuovo prodotto? Quante e quali figure professionali sono coinvolte?

ET >>> I professionisti sono molti: c’è l’area Industrial Design, l’area R&D, per la progettazione meccanico-tecnologicae l’ingegnerizzazione, la Ricerca scientifica per la certificazione e l’individuazione dei nuovi esercizi, il Product marketing, insieme al Centro Stile, responsabile della definizione del brief di un progetto. Definito quest’ultimo si parte con la fase di concettualizzazione. Segue la realizzazione del mock-up, una sorta di prototipo estetico che simula quello che sarà il prodotto finale. Parallelamente viene messo a punto un “cavallo”, ovvero un prototipo solamente funzionale per testare il corretto funzionamento degli elementi di progettazione meccanica. Fatti convergere mock-up e “cavallo” si giunge al cosiddetto “prototipo vestito”, una meccanica funzionante con il design applicato sottoforma di sterolitografia: lì ho ottenuto quasi un prodotto finito. La fase finale consiste nella messa a punto degli stampi e nell’industrializzazione della parte meccanica. A livello numerico noi al Centro Stile siamo in dieci, l’R&D accoglie circa un centinaio di persone, il reparto di Product marketing un’altra decina e la Ricerca scientifica un po’ meno di dieci persone.

Dialogo con Stefano Rocchetto

Marianna Calagna / Ester Maria Rita Greco >>> Ritiene che il concetto di “comfort” possa essere applicabile solo alle aree immerse nel verde o che sia possibile integrare questo concetto anche nell’ambito dell’ambiente urbano? Stefano Rocchetto >>> Innanzitutto il concetto di “comfort” ha molti significati. Confortevole vuol dire anche rassicurante, vuol dire qualcosa che ci tranquillizza rispetto a ciò che non conosciamo; è un termine vasto, non riducibile solamente al concetto di comodità, applicable al nostro modo di essere e all’ambiente, che sia verde o urbano. Quando ero bambino ricordo che a casa mia ci si lavava due volte a settimana; ci si lavava in tinozze o a pezzi: allora era la massima idea dell’igiene, oggi invece sono a disagio se non mi faccio la doccia ogni giorno. Il concetto di confort cambia da persona a persona e nel tempo. Potremmo affermare che è un concetto cangiante. Oggi è così, domani come quale? Il futuro cosa ci riserverà? È caduto il muro di Berlino, non ci sono più due mondi che si guardano e si annullano a vicenda. Il confortevole si realizzerà nella capacità di convivere con altre culture, altre etnie, fianco a fianco. La sostenibilità del pianeta è probabilmente legata a questa nostra capacità di elaborare criticamente il tema del vicino, non il vicino di casa, ma il vicino che viene da molto lontano. È un tema molto complesso che non si può ridurre al confortevole in giardino. Pensate ad esempio ai Sassi di Matera, un luogo straordinario e magico dove Pasolini ha girato un celebre film. Nelle abitazioni la gente viveva con gli animali, confortevolmente rispetto alla propria idea di comfort; oggi sono state trasformate in case particolari all’interno delle quali la gente vive con i tutti comfort moderni.

MC / EMRG >>> Quale contributo pensa che

l’architettura possa offrire al design e viceversa?

SR >>> Non trovo che ci sia grande differenza tra architettura e design: il progetto diventa l’elemento che misura il mondo, costruisce e determina un modo di guardare le cose. Oggi abbiamo deciso per ragioni anche di convenienza di definire con più precisione i limiti del mestiere del designer rispetto a quello dell’architetto. In realtà abbiamo costruito noi sono degli ambiti la differenza fra gli ambiti. Un esempio su tutti: Gio Ponti, straordinario designer degli anni cinquanta e sessanta, in realtà era un uomo d’arte. Era pittore e decoratore, pensiamo ai mosaici che ha realizzato per l’Università di Padova, nelle grandi sale del Rettorato oppure all’opera che lo ha reso più celebre, il grattacielo Pirelli, ma anche a tutti i suoi oggetti di design: era un designer o un architetto? Era un uomo di progetto, che sapeva interpretare attraverso il proprio mestiere l’epoca in cui viveva. Credo che l’architettura, come il design, sia una pratica artistica, una pratica che lavora in particolari momenti con materiali diversi. Il risultato di questo workshop sarà un progetto di design o di architettura? È un progetto che ha come obiettivo il miglioramento di un luogo, attraverso oggetti, una diversa sistemazione, un modo inedito di percepire e vedere lo spazio, e di usarlo.

MC / EMRG >>> Quanto è importante la comunicazione visiva?

SR >>> È troppo importante. Nel senso che oggi stiamo vivendo in un mondo in cui spesso i grandi progetti di architettura si riducono solamente a operazioni di comunicazione e di marketing. L’introduzione delle vaste possibilità che il mezzo del computer fornisce spesso travalicano il vero contenuto del progetto. A Venezia si dice spesso che “stuco e pitura fà bea figura”: c’è più superficie che contenuto, c’è più “packaging” che sostanza. Spesso il cliente viene

affascinato più dal modo in cui gli viene raccontato e presentato il progetto che dal suo significato vero e proprio. Se noi andiamo a vedere i progetti di architettura di soli cinquant’anni fa, questi erano presentati in modo molto semplice: prospettive, piante, prospetti e sezioni. Oggi invece coi render si inventano dei mondi che non sono nemmeno veri, solo immaginati e non realizzabili. Ad esempio, fra i render e il progetto realizzati da Zaha Hadid c’è una notevole differenza. Quale progetto è vero? Quello immaginato da Zaha Hadid e raccontato attraverso il mezzo elettronico o invece quello che poi si costruisce?

MC / EMRG >>> Quale approccio progettuale ispira la sua opera di progettazione degli spazi aperti?

SR >>> Parto sempre dall’idea che il progetto si deve basare su ciò che c’è, quello che quel luogo in quel momento mi può fornire. Dunque quando mi reco in un luogo per realizzare un progetto, come in questo caso di uno spazio aperto o di un giardino, cerco sempre di capire quali siano gli elementi che caratterizzano quel luogo e in che modo ricomporli in un’eventuale nuova gerarchia, che poi diventerà il materiale su cui costruire il progetto. Il progetto deve presentarsi come forma di conoscenza di quel luogo: attraverso il lavoro bisognerebbe riuscire ad esaltare le qualità che possono essere evidenti ma anche nascoste, che solo il progetto riesce a rivelare, a far emergere. Ogni luogo ha una sua storia e una sua durata nel tempo. Il progetto deve in qualche modo fare i conti con la storia di questi luoghi e farla diventare un materiale operante.

MC / EMRG >>> Estetica, funzionalità e sostenibilità ambientale possono convivere insieme nel concetto di design per il raggiungimento di un prodotto confortevole? Quanto una è più importante rispetto alle altre?

SR >>> In realtà noi abbiamo l’abitudine di etichettare

tutto. L’estetica di per sé, avulsa da un contesto culturale, in termini astratti, significa poco o niente: quello che può essere bello per me non lo è per un papua che si tatua interamente il viso, perché la sua idea di estetica prevede che il suo corpo sia totalmente tatuato. Questa è un concetto che Adolf Loos ribadiva più di cento anni fa. Per quanto riguarda la funzionalità, si tratta di un concetto di cui spesso si abusa, diventando un termine deterministico. L’architettura più che funzionale deve essere opportuna, deve offrire le risposte adeguate a dei problemi senza per questo sottostare al vincolo della funzionalità; ma anche questo tema deve imporsi come questione su cui riflettere per il fare progettuale. Il progetto introduce sempre al tema della funzione degli spostamenti: è la misura di questi che determina la qualità del lavoro stesso, nel momento in cui riescono a rilevare questioni che sono poco evidenti facendole emergere da quell’elemento indistinto che precede il progetto. Per quanto concerne la sostenibilità, ancora una volta essa deve fare i conti con il tema dell’opportunità. Oggi abbiamo tutti gli strumenti e i materiali per rendere il progetto più aderente ai temi del basso consumo energetico degli edifici. Gli edifici di una volta in qualche misura rispondevano naturalmente al tema: utilizzavano materiali naturali. Pensate al mattone, con il quale è stata costruita l’Europa, riciclabile e dalle notevoli proprietà di isolamento. Già in passato si faceva architettura sostenibile. Uno dei temi su cui dobbiamo riflettere, che rappresenta il fattore determinante della crisi dell’architettura contemporanea, è inerente al fatto che ci si sta sempre più concentrando sull’oggetto. L’architettura contemporanea sta diventando più prossima al design: si lavora e si progetta il singolo oggetto edilizio, perdendo di vista il rapporto con il sistema insediativo generale. La composizione urbana si sta visiodimenticando che non è fatta di tante individualità che generano il caos.

Svolge la propria attività nelle sedi di Figino Serenza e Milano.

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Francesco Pia Si forma all’Università Iuav di Venezia, dove consegue il titolo magistrale al Corso di laurea in Comunicazioni visive e multimediali, a stretto contatto con i maestri della grafica italiana e internazionale. Esplora, fin dalle scelte dei temi progettuali di laurea, le capacità espressive della comunicazione ibrida con progetti di ambiti diversi. In particolare, per conoscere da vicino la grafica in movimento, lavora negli Usa presso la Prologue films di Kyle Cooper. Dal 2000 collabora con lo studio Altermedia e, dopo un’esperienza di grafica interattiva presso H-Farm, dal 2008 è tra i soci fondatori di Studio Visuale.

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Stefano RocchettoNato a Venezia, è professore associato di composizione architettonica e urbana presso l’Università Iuav di Venezia. Attualmente è titolare dei corsi di Progettazione architettonica al Corso di laurea Scienze dell’architettura e del Laboratorio integrato sostenibilità al Corso di laurea magistrale “architettura per la sostenibilità”. Al centro del suo interesse disciplinare pone l’architettura e la città. Negli ultimi anni, ha orientato il suo campo di riflessioni verso i temi della sostenibilità urbana e del rapporto tra natura e artificio. Oltre all’insegnamento, si dedica all’attività progettuale soprattutto all’interno di convenzioni tra università ed enti esterni, partecipando a concorsi e seminari nazionali e internazionali.

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Ermanno TascaSi laurea all’Università Iuav di Venezia, Corso di laurea magistrale in Disegno Industriale del prodotto. Nel 2005, grazie a Franco Clivio, conosce Dino Gavina per il quale realizza un documentario sulla sua vita. Nel 2006 entra come

industrial designer al centro stile Technogym, dove attualmente si occupa sia di product che di interaction design, coordinando diversi progetti con il ruolo di senior designer.

Partner

Giunta di Castello di CittàL’amministrazione locale della Repubblica di San Marino è organizzata in nove castelli, corrispettivi dei comuni italiani, ai quali è preposta una Giunta. Il Castello di San Marino Città si estende su una superficie di circa 7 kmq, con una popolazione di 4.562 abitanti, e comprende la capitale Città di San Marino e il centro storico, da poco riconosciuto Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, dove hanno sede le più importanti istituzioni politiche.

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ElicaFondata nel 1970 da Ermanno Casoli, è oggi il primo produttore mondiale di cappe aspiranti e leader di mercato in termini di unità vendute. Vanta inoltre una posizione di leadership a livello europeo nella progettazione, produzione e commercializzazione di motori elettrici per cappe, caldaie, frigoriferi e forni ad uso domestico. Il connubio tra tradizione, qualità, design, innovazione e tecnologia caratterizzano questa azienda che nel 1972 riuscì ad anticipare gli orientamenti del mercato, presentando alla Philips a Parigi la prima cappa da incasso. Da allora inizia un processo di evoluzione societaria, organizzativa ed industriale che ha portato l’azienda a seguire una strategia di crescita per linee esterne con l’obiettivo di estendere l’attività in settori complementari.

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SpykeNata nel 1978 per volere della famiglia Bizzotto, l’azienda introduce il marchio Spyke negli anni Novanta e si impone nel settore delle tute in pelle per l’alta velocità.

Amplifica la sua visibilità impiegando testimonial d’eccellenza; fra gli altri, nel 2000 vince due titoli mondiali con Kenny Roberts Jr e Roberto Locatelli, mentre dal 2010 si avvale di Troy Bayliss, campione della classe superbyke. Nel tempo l’azienda ha ampliato la sua gamma di prodotto, inserendo linee dedicate al gran turismo e alla città. Oggi la ricerca Spike punta fortemente alla pista per sperimentare soluzioni estreme, con l’obiettivo di rendere fruibili a tutti gli sportivi capi estremamente performanti – ad esempio, utilizzando la tecnologia costruttiva Dynamic 360.0 –, capaci di coniugare l’unicità della manifattura artigianale alla sicurezza.

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TechnogymL’azienda è stata costituita nel 1983 da Nerio Alessandri, fondatore e presidente di Technogym, e attualmente impiega oltre 2.000 persone. È leader mondiale nella realizzazione di attrezzature per il fitness destinate ad abitazioni private, centri di riabilitazione, palestre aziendali, strutture universitarie, strutture sportive professionistiche e altro ancora. Da oltre venticinque anni gli obiettivi dell’azienda sono ispirati da un’unica filosofia, il Wellness® – lo stile di vita Technogym® –, orientato al miglioramento della qualità della vita attraverso l’educazione a una regolare attività fisica, una corretta alimentazione e un approccio mentale positivo. Il Wellness Lifestyle® mette al centro le persone con i loro bisogni, per soddisfare la loro domanda di salute, stimolarne la creatività e svilupparne il potenziale.

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TonelliFin dagli anni Cinquanta, l’azienda Tonelli è presente sul mercato come fornitore di semilavorati in legno e produttore di cartone alveolare per l’industria del mobile. Negli anni Novanta espande la propria attività con la produzione del pannello ecologico Ecopan, costituito

da una struttura interna a nido d’ape in cartone ricoperta da fogli di cartoncino. Ecologico, versatile, resistente e leggero, Ecopan può essere facilmente tagliato, fustellato e piegato e trova il suo principale utilizzo nel settore dell’imballaggio e nella realizzazione di oggetti e componenti di arredo.

Programma

San Marino Design Workshop 2011- - - - - - - - - - - - - -11–16 luglio- - - - - - - - - - - - - -Workshop- - - - - - - - - - - - - -

12 luglio ore 18.30Conversazione sul temaConfortevoleIntroduce: Alberto BassiModera: Michele Zannoni- Francesco Pia- Stefano Rocchetto- Ermanno Tasca

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13 luglio ore 18.30 Conversazione sul temaSicuroModera: Massimo Brignoni- Mauro Cazzaro- Stefano Fariselli- Luigi Mascheroni

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14 luglio ore 18.30 Conversazione sul tema UsabileModera: Riccardo Varini- Ginette Caron- Mauro Da Pieve- Marco Fornasier

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16 luglio ore 14.30-17.30Mostra dei progettiInaugurazione ore 14.30

Corso di laurea in Disegno Industriale Antico Monastero Santa ChiaraContrada Omerelli, 20San Marino Città

Infosegreteria [email protected]/disegnoindustriale

San Marino Design Workshop 2011Il design del ben-essere. Confortevole, sicuro, usabileNella sede del Corso di laurea in Disegno industriale dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino dall’11 al 16 luglio si tiene la VI edizione di San Marino Design Workshop.Il tema scelto quest’anno ruota attorno al concetto di ben-essere, inteso come riflessione sulla qualità delle relazioni che instauriamo quotidianamente con gli oggetti, i sistemi e i servizi che utilizziamo.Nello sviluppo dei progetti, i 150 studenti selezionati, guidati da designer noti a livello internazionale, quali Ginette Caron, Mauro Cazzaro, Mauro Da Pieve, Stefano Fariselli, Marco Fornasier, Luigi Mascheroni, Francesco Pia, Stefano Rocchetto, Ermanno Tasca, si troveranno a collaborare con importanti aziende leader del mercato – Elica, Spyke, Technogym e Tonelli – che, assieme alla Giunta di Castello di Città, hanno sostenuto l’iniziativa.Concepiti come un’esperienza progettuale intensiva della durata di sei giorni, gli otto workshop offrono agli studenti la possibilità di confrontarsi con affermate realtà imprenditoriali e stimati progettisti. L’obiettivo è di offrire agli studenti una concreta esperienza di progettazione intorno a tematiche di estrema attualità, ma anche di far emergere possibili spunti che meritino di essere approfonditi in una fase di ricerca post-workshop.Accanto all’attività progettuale sono previsti vari appuntamenti aperti al pubblico allo scopo di sottolineare la condivisione di questa esperienza con le istituzioni e il sistema produttivo e, più in generale, con tutti i soggetti interessati alle tematiche del design e dell’innovazione. In particolare, sempre nella sede del Corso di laurea, il 12, 13 e 14 luglio alle ore 18,30, si tengono tre conferenze in cui i progettisti si confrontano sui concetti di confortevole, sicuro e usabile, mentre il 16 luglio alle ore 14,30 sarà inaugurata la mostra dei risultati finali.

Colophon

responsabile scientificoAlberto Bassi

coordinamento didattico Massimo Brignoni con Alessandra Bosco, Riccardo Varini

tutorGiorgio Dall’Osso, Lucia Del Zotto, Massimo Gardella, Federico Ghignoni, Giada Luzi, Chiara Murarotto, Laura Tentoni, Michele Zannoni

visual and exhibit designDonatello D’Angelocon Marianna Calagna, Ester Maria Rita Greco

coordinamentoorganizzativoe comunicazioneFiorella Bulegato con Andrea Bastianelli

sito web Pietro Costa

segreteriaamministrativa Maria Grazia Pasquinelli

responsabile laboratorioinformatico Pietro Renzi

responsabile laboratoriodi modellistica Tommaso Lucinato

Designer

Ginette CaronSi laurea a Montréal in Graphic Design (BFA) alla Concordia University. Dopo anni di lavoro nella pubblicità e in agenzie di branding a Montréal, apre nel 1985 uno studio di graphic design a Milano. In più di trent’anni di esperienza nel design strategico applicato all’identità totale, ha lavorato su molti aspetti: identità e immagine coordinata, editoria, packaging, exhibition design e grafica relativa all’architettura o al web. Tra i suoi clienti: Barilla, Bulgari, Chase Manhattan Bank, Grand Théâtre de Provence, Fondazione Prada, Knoll, San Carlo, Swatch.

Mauro Cazzaro/ Francesca BasaldellaLaureati all’Università Iuav di Venezia, hanno collaborato con vari studi di progettazione per lo sviluppo di format commerciali di brand nazionali e internazionali. Nel 2009 fondano con Massimo Checchin, Itlab.Design gruppo di ricerca e sperimentazione in design del prodotto, architettura, interni, grafica e comunicazione, allestimenti ed eventi. Oggi collabora con Andromeda International, Confesercenti, Custò Barcelona, Donghia, GasJeans, Levis Footwear, Luci Italiane, Rubelli, Trio Bep’s, Twentyfour7. Dal 2009 collaborano alla didattica alla Facoltà di Design e Arti dell’Università Iuav di Venezia e al Corso di laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino.

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Mauro Da PieveArchitetto, laureato all’Università Iuav di Venezia, è responsabile dell’ufficio progettazione dell’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale) di Pordenone. Parallelamente alla progettazione architettonica di interventi per l’edilizia pubblica, residenziale e non, di riqualificazione di aree urbane e di pianificazione urbanistica, si occupa da anni di architettura sostenibile e feng shui, temi sui quali ha svolto una considerevole attività di ricerca e di consulenza. Sulla sostenibilità promuove una costante attività di divulgazione anche tramite l’associazione &Co Energie Condivise, con la quale organizza incontri mensili e convegni, come il recente Pratiche di sostenibilità urbana.

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Stefano FariselliLaureato in architettura all’Università Iuav di Venezia con una tesi progettuale sviluppata presso

il centro stile Ducati, ha collaborato con aziende operanti nel campo dei dispositivi di sicurezza per le attività ludiche ad alto rischio come il motociclismo, gli sport alpini e aeronautici, con progetti come il sistema di protezione delle spalle disegnato per Spyke e segnalato al Paris Technical Awards del 2005. All’attività professionale affianca il ruolo di collaboratore alla didattica al Corso di laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino.

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Marco FornasierDopo aver conseguito il diploma all’Isia di Urbino, si laurea all’Università Iuav di Venezia, Corso di laurea magistrale in Comunicazioni visive e multimediali. Si sposta spesso fra Firenze, Milano, Urbino, Pesaro, Rotterdam, Venezia e Vienna. Lavora da brand designer freelance per agenzie e studi di comunicazione, come RovaiWeber, FutureBrand, MadeinDream o StudioDumbar, cimentandosi in progetti che vanno dalla sperimentazione nel brand design, all’exhibition design in ambito culturale fino al typographic design (“quello sulla carta, come una volta”).

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Luigi MascheroniArchitetto, si laurea nel 1984 al Politecnico di Milano. Nel 1986 fonda Decoma Design, società di progettazione ed engineering del prodotto industriale. Collabora con importanti aziende italiane e straniere che operano in settori diversi: riconoscimenti e riviste specializzate documentano i risultati ottenuti. Si occupa anche di progettazione architettonica, immagine d’interni e corporate design. Dal 2004 collabora in ambito formativo con workshop universitari e dal 2006 con l’Adi nelle giurie dell’“Adi Design Index”.

Svolge la propria attività nelle sedi di Figino Serenza e Milano.

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Francesco Pia Si forma all’Università Iuav di Venezia, dove consegue il titolo magistrale al Corso di laurea in Comunicazioni visive e multimediali, a stretto contatto con i maestri della grafica italiana e internazionale. Esplora, fin dalle scelte dei temi progettuali di laurea, le capacità espressive della comunicazione ibrida con progetti di ambiti diversi. In particolare, per conoscere da vicino la grafica in movimento, lavora negli Usa presso la Prologue films di Kyle Cooper. Dal 2000 collabora con lo studio Altermedia e, dopo un’esperienza di grafica interattiva presso H-Farm, dal 2008 è tra i soci fondatori di Studio Visuale.

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Stefano RocchettoNato a Venezia, è professore associato di composizione architettonica e urbana presso l’Università Iuav di Venezia. Attualmente è titolare dei corsi di Progettazione architettonica al Corso di laurea Scienze dell’architettura e del Laboratorio integrato sostenibilità al Corso di laurea magistrale “architettura per la sostenibilità”. Al centro del suo interesse disciplinare pone l’architettura e la città. Negli ultimi anni, ha orientato il suo campo di riflessioni verso i temi della sostenibilità urbana e del rapporto tra natura e artificio. Oltre all’insegnamento, si dedica all’attività progettuale soprattutto all’interno di convenzioni tra università ed enti esterni, partecipando a concorsi e seminari nazionali e internazionali.

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Ermanno TascaSi laurea all’Università Iuav di Venezia, Corso di laurea magistrale in Disegno Industriale del prodotto. Nel 2005, grazie a Franco Clivio, conosce Dino Gavina per il quale realizza un documentario sulla sua vita. Nel 2006 entra come

industrial designer al centro stile Technogym, dove attualmente si occupa sia di product che di interaction design, coordinando diversi progetti con il ruolo di senior designer.

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Giunta di Castello di CittàL’amministrazione locale della Repubblica di San Marino è organizzata in nove castelli, corrispettivi dei comuni italiani, ai quali è preposta una Giunta. Il Castello di San Marino Città si estende su una superficie di circa 7 kmq, con una popolazione di 4.562 abitanti, e comprende la capitale Città di San Marino e il centro storico, da poco riconosciuto Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, dove hanno sede le più importanti istituzioni politiche.

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ElicaFondata nel 1970 da Ermanno Casoli, è oggi il primo produttore mondiale di cappe aspiranti e leader di mercato in termini di unità vendute. Vanta inoltre una posizione di leadership a livello europeo nella progettazione, produzione e commercializzazione di motori elettrici per cappe, caldaie, frigoriferi e forni ad uso domestico. Il connubio tra tradizione, qualità, design, innovazione e tecnologia caratterizzano questa azienda che nel 1972 riuscì ad anticipare gli orientamenti del mercato, presentando alla Philips a Parigi la prima cappa da incasso. Da allora inizia un processo di evoluzione societaria, organizzativa ed industriale che ha portato l’azienda a seguire una strategia di crescita per linee esterne con l’obiettivo di estendere l’attività in settori complementari.

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SpykeNata nel 1978 per volere della famiglia Bizzotto, l’azienda introduce il marchio Spyke negli anni Novanta e si impone nel settore delle tute in pelle per l’alta velocità.

Amplifica la sua visibilità impiegando testimonial d’eccellenza; fra gli altri, nel 2000 vince due titoli mondiali con Kenny Roberts Jr e Roberto Locatelli, mentre dal 2010 si avvale di Troy Bayliss, campione della classe superbyke. Nel tempo l’azienda ha ampliato la sua gamma di prodotto, inserendo linee dedicate al gran turismo e alla città. Oggi la ricerca Spike punta fortemente alla pista per sperimentare soluzioni estreme, con l’obiettivo di rendere fruibili a tutti gli sportivi capi estremamente performanti – ad esempio, utilizzando la tecnologia costruttiva Dynamic 360.0 –, capaci di coniugare l’unicità della manifattura artigianale alla sicurezza.

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TechnogymL’azienda è stata costituita nel 1983 da Nerio Alessandri, fondatore e presidente di Technogym, e attualmente impiega oltre 2.000 persone. È leader mondiale nella realizzazione di attrezzature per il fitness destinate ad abitazioni private, centri di riabilitazione, palestre aziendali, strutture universitarie, strutture sportive professionistiche e altro ancora. Da oltre venticinque anni gli obiettivi dell’azienda sono ispirati da un’unica filosofia, il Wellness® – lo stile di vita Technogym® –, orientato al miglioramento della qualità della vita attraverso l’educazione a una regolare attività fisica, una corretta alimentazione e un approccio mentale positivo. Il Wellness Lifestyle® mette al centro le persone con i loro bisogni, per soddisfare la loro domanda di salute, stimolarne la creatività e svilupparne il potenziale.

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TonelliFin dagli anni Cinquanta, l’azienda Tonelli è presente sul mercato come fornitore di semilavorati in legno e produttore di cartone alveolare per l’industria del mobile. Negli anni Novanta espande la propria attività con la produzione del pannello ecologico Ecopan, costituito

da una struttura interna a nido d’ape in cartone ricoperta da fogli di cartoncino. Ecologico, versatile, resistente e leggero, Ecopan può essere facilmente tagliato, fustellato e piegato e trova il suo principale utilizzo nel settore dell’imballaggio e nella realizzazione di oggetti e componenti di arredo.

Programma

San Marino Design Workshop 2011- - - - - - - - - - - - - -11–16 luglio- - - - - - - - - - - - - -Workshop- - - - - - - - - - - - - -

12 luglio ore 18.30Conversazione sul temaConfortevoleIntroduce: Alberto BassiModera: Michele Zannoni- Francesco Pia- Stefano Rocchetto- Ermanno Tasca

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13 luglio ore 18.30 Conversazione sul temaSicuroModera: Massimo Brignoni- Mauro Cazzaro- Stefano Fariselli- Luigi Mascheroni

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14 luglio ore 18.30 Conversazione sul tema UsabileModera: Riccardo Varini- Ginette Caron- Mauro Da Pieve- Marco Fornasier

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16 luglio ore 14.30-17.30Mostra dei progettiInaugurazione ore 14.30

Corso di laurea in Disegno Industriale Antico Monastero Santa ChiaraContrada Omerelli, 20San Marino Città

Infosegreteria [email protected]/disegnoindustriale

San Marino Design Workshop 2011Il design del ben-essere. Confortevole, sicuro, usabileNella sede del Corso di laurea in Disegno industriale dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino dall’11 al 16 luglio si tiene la VI edizione di San Marino Design Workshop.Il tema scelto quest’anno ruota attorno al concetto di ben-essere, inteso come riflessione sulla qualità delle relazioni che instauriamo quotidianamente con gli oggetti, i sistemi e i servizi che utilizziamo.Nello sviluppo dei progetti, i 150 studenti selezionati, guidati da designer noti a livello internazionale, quali Ginette Caron, Mauro Cazzaro, Mauro Da Pieve, Stefano Fariselli, Marco Fornasier, Luigi Mascheroni, Francesco Pia, Stefano Rocchetto, Ermanno Tasca, si troveranno a collaborare con importanti aziende leader del mercato – Elica, Spyke, Technogym e Tonelli – che, assieme alla Giunta di Castello di Città, hanno sostenuto l’iniziativa.Concepiti come un’esperienza progettuale intensiva della durata di sei giorni, gli otto workshop offrono agli studenti la possibilità di confrontarsi con affermate realtà imprenditoriali e stimati progettisti. L’obiettivo è di offrire agli studenti una concreta esperienza di progettazione intorno a tematiche di estrema attualità, ma anche di far emergere possibili spunti che meritino di essere approfonditi in una fase di ricerca post-workshop.Accanto all’attività progettuale sono previsti vari appuntamenti aperti al pubblico allo scopo di sottolineare la condivisione di questa esperienza con le istituzioni e il sistema produttivo e, più in generale, con tutti i soggetti interessati alle tematiche del design e dell’innovazione. In particolare, sempre nella sede del Corso di laurea, il 12, 13 e 14 luglio alle ore 18,30, si tengono tre conferenze in cui i progettisti si confrontano sui concetti di confortevole, sicuro e usabile, mentre il 16 luglio alle ore 14,30 sarà inaugurata la mostra dei risultati finali.

Colophon

responsabile scientificoAlberto Bassi

coordinamento didattico Massimo Brignoni con Alessandra Bosco, Riccardo Varini

tutorGiorgio Dall’Osso, Lucia Del Zotto, Massimo Gardella, Federico Ghignoni, Giada Luzi, Chiara Murarotto, Laura Tentoni, Michele Zannoni

visual and exhibit designDonatello D’Angelocon Marianna Calagna, Ester Maria Rita Greco

coordinamentoorganizzativoe comunicazioneFiorella Bulegato con Andrea Bastianelli

sito web Pietro Costa

segreteriaamministrativa Maria Grazia Pasquinelli

responsabile laboratorioinformatico Pietro Renzi

responsabile laboratoriodi modellistica Tommaso Lucinato

Designer

Ginette CaronSi laurea a Montréal in Graphic Design (BFA) alla Concordia University. Dopo anni di lavoro nella pubblicità e in agenzie di branding a Montréal, apre nel 1985 uno studio di graphic design a Milano. In più di trent’anni di esperienza nel design strategico applicato all’identità totale, ha lavorato su molti aspetti: identità e immagine coordinata, editoria, packaging, exhibition design e grafica relativa all’architettura o al web. Tra i suoi clienti: Barilla, Bulgari, Chase Manhattan Bank, Grand Théâtre de Provence, Fondazione Prada, Knoll, San Carlo, Swatch.

Mauro Cazzaro/ Francesca BasaldellaLaureati all’Università Iuav di Venezia, hanno collaborato con vari studi di progettazione per lo sviluppo di format commerciali di brand nazionali e internazionali. Nel 2009 fondano con Massimo Checchin, Itlab.Design gruppo di ricerca e sperimentazione in design del prodotto, architettura, interni, grafica e comunicazione, allestimenti ed eventi. Oggi collabora con Andromeda International, Confesercenti, Custò Barcelona, Donghia, GasJeans, Levis Footwear, Luci Italiane, Rubelli, Trio Bep’s, Twentyfour7. Dal 2009 collaborano alla didattica alla Facoltà di Design e Arti dell’Università Iuav di Venezia e al Corso di laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino.

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Mauro Da PieveArchitetto, laureato all’Università Iuav di Venezia, è responsabile dell’ufficio progettazione dell’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale) di Pordenone. Parallelamente alla progettazione architettonica di interventi per l’edilizia pubblica, residenziale e non, di riqualificazione di aree urbane e di pianificazione urbanistica, si occupa da anni di architettura sostenibile e feng shui, temi sui quali ha svolto una considerevole attività di ricerca e di consulenza. Sulla sostenibilità promuove una costante attività di divulgazione anche tramite l’associazione &Co Energie Condivise, con la quale organizza incontri mensili e convegni, come il recente Pratiche di sostenibilità urbana.

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Stefano FariselliLaureato in architettura all’Università Iuav di Venezia con una tesi progettuale sviluppata presso

il centro stile Ducati, ha collaborato con aziende operanti nel campo dei dispositivi di sicurezza per le attività ludiche ad alto rischio come il motociclismo, gli sport alpini e aeronautici, con progetti come il sistema di protezione delle spalle disegnato per Spyke e segnalato al Paris Technical Awards del 2005. All’attività professionale affianca il ruolo di collaboratore alla didattica al Corso di laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino.

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Marco FornasierDopo aver conseguito il diploma all’Isia di Urbino, si laurea all’Università Iuav di Venezia, Corso di laurea magistrale in Comunicazioni visive e multimediali. Si sposta spesso fra Firenze, Milano, Urbino, Pesaro, Rotterdam, Venezia e Vienna. Lavora da brand designer freelance per agenzie e studi di comunicazione, come RovaiWeber, FutureBrand, MadeinDream o StudioDumbar, cimentandosi in progetti che vanno dalla sperimentazione nel brand design, all’exhibition design in ambito culturale fino al typographic design (“quello sulla carta, come una volta”).

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Luigi MascheroniArchitetto, si laurea nel 1984 al Politecnico di Milano. Nel 1986 fonda Decoma Design, società di progettazione ed engineering del prodotto industriale. Collabora con importanti aziende italiane e straniere che operano in settori diversi: riconoscimenti e riviste specializzate documentano i risultati ottenuti. Si occupa anche di progettazione architettonica, immagine d’interni e corporate design. Dal 2004 collabora in ambito formativo con workshop universitari e dal 2006 con l’Adi nelle giurie dell’“Adi Design Index”.

Workshop Magazine / quotidiano d’approfondimento del San Marino Design Workshop 2011

giorno 1 >>> lun 11 lug 2011 18:30

Workshop Magazine / quotidiano d’approfondimento del San Marino Design Workshop 2011

giorno 1 >>> lun 11 lug 2011 18:30

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Workshop Magazine / quotidiano d’approfondimento del San Marino Design Workshop 2011

giorno 1 >>> lun 11 lug 2011 18:30

Workshop Magazine / quotidiano di approfondimento del San Marino Design Workshop 2011Graphic Design: Donatello D’Angelo. Redazione impaginazione: Marianna Calagna, Ester Maria Rita Greco.Si ringraziano: Talisa Bassi, Emanuele Lumini, Stefania Tonello.