RITMICA DEL DISINCANTO -...

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ENRICO PANZA RITMICA DEL DISINCANTO A word is dead when it is said, some say. I say it just begins to live that day. E. Dickins

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ENRICO PANZA

RITMICA DEL DISINCANTO

A word is dead when it is said, some say.

I say it just begins to live

that day. E. Dickins

Indice

PRELUDIO: IL VUOTO (1990–1994) ................................................................. pag. 2

L’UOMO DI CARTA (1993–1994) ..................................................................... pag. 9

SOLITUDINE IN FOLIO (1990–1994) ................................................................. pag. 17

NON DICO NIENTE E DICO (1991–1995) ........................................................... pag. 22

Poesia ex nihilo (1995–1997) ......................................................................... pag. 31

Preludio: il vuoto (1990–1994)

Il Giorno della Falena Sole spento sul viso, putrefatto giallo: sospiro; un giorno traspare ma tra le pieghe del mare.

Nei pensieri dispersione, le ceneri dell’incubo: già posso sprofondare, nessuna tregua, è l’inerzia.

Il tempo, un momento che divora, niente reale, senza contorni: le falene si nascondono, spariscono nel fuoco.

Enrico Panza 3

Preludio L’altro tarlo dei miei pensieri? Volo d’aurora.

Pozzo stige e catramoso veleno: Visi usurpati da falsi cieli, e pianti nel passato mai nati annegati nell’amniotico lacrimatoio. Confuso dall’eco disumano: spauracchio di risa, ho recluso l’ala al supplice precipitare. La sospirata fine: infinito vacillare del secchio nel vuoto.

Enrico Panza 4

Un Volo sul Mare Rossi cresimi ed ombre mendaci favole di un carnevale: uno sciame, fuochi d’ali come quelli sul mare.

La mia memoria: un tramonto estatico, spasmodico fluire di caldi solari è cinico arroventarsi di lama fendente, l’odio celato nell’ardua planata.

Il ricordo: rigurgito di campi sfuocati, mendicomio di mai persa passione, ossessione che inghiotte il cerule volo disciolto nel vuoto, dall’onda del mare.

Enrico Panza 5

Desiderio Divino Questo senso di vuoto. Ha un prezzo alto la serenità, questo senso di vuoto: l’alibi. E’ fugace la leggerezza di Dio. Questo senso di Lui, la mia povera presenza, raggiungere le mani: mai! La debolezza è la mia assenza.

Enrico Panza 6

Poi la Notte, Di Nuovo Il sole ha uno spazio sereno, un triangolo vuoto, brandello di niente: là appare consumando quotidiani d’aurora, e muore. Brucia l’attrito dell’ultimo confine, tanto in quell’attimo di cielo sempre ritorna prigioniero. Poi la notte, di nuovo. Ho scrollato macigni d’estasi, un cuore impazzito di sogni. Viaggio in viaggio: la noia mi spossa. Mi fermo apro le imposte: ancora il vuoto, triangolo vuoto, il brandello del niente. Ancora rovinerai silente in un margine visivo, in questa notte tra le persiane: senz’altri spazi, tra gli spasmi di un cane, questo vento di fessura. Ritornello che torna senza tormento, la mia noia: dolce far pensieri di carta.

Enrico Panza 7

Pelago La fuga so che non è valida, il rifugio tiepido – ma dove? Una vacanza da me verso l’ignoranza.

Starmene lì a pascere d’ignoto nel fantomatico crogiolo del quotidiano: scorgo l’oblio del secondo.

Ma l’ignoranza genera l’angoscia: è il passo dell’incedere libero, del nulla. Il vuoto abbisogna sempre di qualcosa.

Sospesi noi due nel non so che cosa come nel pelago d’essere che mi fa uomo: abbracciarsi al niente, abbandonarsi medito.

Ma là non c’è l’originario esistere? Tra consapevolezza e direzione ne va del vento che sbatte il paradiso nell’inferno.

Questo tragitto è breve – chi non sa di non sapere sa che qualcosa serve per ritornare in esilio. Spaesarci nel niente è tutto dentro l’oceano dell’essere.

Enrico Panza 8

L’uomo di carta (1993–1994)

300993: Sensazione al Risveglio Stanotte ho sognato frattaglie dimenticate.

Adesso abbandonato il sole tornerei a dormire per raggiungere quelle messi d’ansia ingorde che il cuore ancora mi fa mangiare, divorate dal fiato: puzzo d’appetito! Tutto sale in gola per l’acido conato, per quei sogni: macelleria del cervello.

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Diagnosi Senza ironia il patetico dramma sinottico

accede al flusso nevrotico delle mie pretese: tremo per ardire alla donna con le parole e quelle a me rivolgo, recandovi mille offese. Potrei scriverle versi – ma la poesia non ha uomini, ha topi, conigli, galline, non ha tori che scalciano pesanti aliti di forza dalle narici calde dell’istintiva monta. Eppure m’arrovello nella precipitosa patologia: l’attrito di te assente già l’anima scintilla. Uomo mediocre, solitudine e penna alla mano quando il respiro scardina la razione di cervello e si ricovera presto nel sapore dell’acre memoria. Ascolta il monito, ostinata lingua muta, confessati, prima che il silenzio non ti soffochi.

Enrico Panza 11

Revival Più fertile sembra l’arare del ricordo se si rece lacrime ed escrementi.

L’antefatto è breve: dalla stazione tante volte attesa un’amica col suo bagaglio mi prega che in questa città la riporti a casa.

La vicenda è lunga: investe stridente il mio passato, la lussuria del solito amore, delle parole, di arrivi, nordici treni e di fughe all’alba nel consueto romantico scenario del pensiero.

Alle undici e venti spira la sera che percorro nella galleria al neon, il sottovia colle voci amplificate che annunciano Milano: undici e trenta l’abituale partenza; ma quest’anno si traveste della mia già premeditata assenza.

Per Milano binario sei... Tu non ci sei: rima troppo facile per sì difficile peso, per il ponte del passato, la pericolante passione cielo e terra del tempo: non vi voglio più. Un infantile capriccio è il rimorso. La notte stinge il dolore che non curo binario uno: solo assonanze per la mia amica; anche lei viene dall’amore, ma vivo lo vanta di gioia: ché non è poesia.

Enrico Panza 12

Il freddo schianta sul ciglio maestrale l’attesa, com’era quel giorno: come il moto d’alveare. la mia amica arriva, scende e mi consola sebbene non sappia la vicenda dei miei mutamenti. Mi abbraccia come se fosse la memoria: la sua tristezza è una valigia dimentica in Capitanata. La mia amarezza è nel cuore; il mio treno ancora tarda in quella rima sbagliata.

Enrico Panza 13

Adieu! Finita è la passione: ma la confusione esclude il definitivo? Sempre telefonicamente soggiunge la novella, la ritmica pappardella del triste dire. Eccomi ora, poeta a raccontare sui titoli di coda il verso al vittimismo del solitario idiota. E’ filmica la vicenda: montaggio assurdo, incomprensibile per l’istinto, inefficace alla parola; eppure è così: finita è la tempesta, la festa e dietro di me il sabato, ricordo di donzelletta. La mia mano alza il ricevitore e nella testa resta, non cessa l’infetta operetta: all’infinito la rima che cela il turbinio, il vento violento che sbatte tutti gli stipiti o gli stupidi ancoraggi di non sentirla più, di non vederla più: prosaica calma di un ciclone. Sei tu atmosferico dolore: la grandine che bagna, ferisce e rovina il raccolto, mai neve, ma granita, un granito al limon. Il cuore batte e forse nemmeno per te, per l’antibiotico: un collaterale effetto; mal di gola, mal di stomaco, mal di te, le mal de vivre: un collaudato affetto. Non riesco a prenderti sul serio, ora non più e se non piango rido come una iena. Lasciami dire solo una parola, una parola e basta: adieu! adieu! Ma petit ami.

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Desiderio Cercasi Insoddisfazione, che strano umore la notte. Desiderio cercasi, ore zero, uno e dieci niente profumo annoto, chinato sulla toilette. A. A. Annuncio gratis et amore dei, rido non defeco, ma la notte quella c’è: vorrei urlare sulla testa dei condomini l’abominevole silenzio degli uomini, questa musa baciata, cartastraccia, la mia ultima tentazione... urlerò! Inquilini di un palazzo addormentato domani è lunedì, gli altri lavorano: non sono sonnambuli, della penna funamboli? Vi invidio: ché non avete merda da inventare, non sprecate passi coi tacchi solinghi e non tastate il freddo di un letto invernale che nessuno – dio santo – nessuno mi sa intiepidire. Questo è il mio desiderio: tiro lo sciacquone, uso il bidè; l’ultima consolazione: fare rumore ché nel letto non c’è nessuno, qualcuno, nemmeno da sognare.

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L’Uomo di Carta Ed eccolo qui l’uomo di carta, strausata metafora del niente: già mi appresto alle mie paure ora, da solo, con la nausea al culo e virgo nell’emisfero delle mie lune. Il coraggio non mi manca ma il solito languore di cervello mi consuma un cuore che non sento. La testa enorme con alito sensuale consiglia i traguardi ma tradisce con gli sguardi, e dico cose che non ho vissuto e soldato divento di guerre che non soffro: illusionista di destini ben evitati; ora voglio in silenzio essere aiutato.

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Solitudine in folio (1990–1994)

I Aggroviglio pensieri guardo fuori un caos assente: cerco la confusione, passato, presente. La sensazione di vuoto pesante, analogie tra oggetti e trascorsi nel reale che m’inghiotte: il cielo sedette sul mare.

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II Ironia oltraggiosa ed uggiosa pazzia, vacua corsa tra rette orizzontali, apatia di un esule senza trame: amarezze di un’ostentata fantasia. Tiranni sconosciuti, favole malvagie nella coltre dell’oblio, tutto come l’ombra riemerge senza cesoie. Tristezze, solitudini amare, serbate dal destino per me, volti oscuri, presagi di morte, tarli mordaci: idoli di un forsennato dio. Ma se la Musa finisse nel silenzio e la mano non scavasse nel mio cuore: pensieri ed idee, perduti ricordi fermi sulla soglia del tempo e lo slancio primitivo. Non ho scampo: sempre più solo in questo spazio.

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III Perse illusioni ho ritrovato rinchiuse in odiate scatole che contorni non hanno: nelle stanze vuote di sonno attendono afose germogli di vita. Una strada scarna ringhia l’amore desolato di una cagna l’annusa e monta: randagi piaceri come solitudine di un pianto. Silenzio per le scale, salgo mentre giochi d’infanzia regalano immagini di segreti piani. Quotidiani occhi insonni: i miei sogni caduti nel ciclico ritmo del cuore raccontano in fogli già letti l’amaro segno, l’inutile salvezza. Sublimi, cosmi e onirici disegni disdegni di un altro uomo: sono stato; ora con il sentore di un diverso respiro cercherei il giaciglio dell’oblio.

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IV Questo è il tempo di un altra solitudine più consapevole, ricercata: rinnegato prigioniero. Questo è il tempo di una pendola bloccata, non è la strada di chi ha perso la meta: abiuro dall’infantile morbo del dannato, lo specchio, un bel patire come catena. Coscienza ho del male, esiste il salto, il riscatto nella comunicazione mi balena la forza dirompente che cerca l’altro. Questo è il tempo di nuove solitudini, il secolo del falso termine mentre il secondo batte e sfugge, non è più mio. Senso del reale è insensualità del presente, l’inautentico, mediato trionfo del capire: questo cerco, l’assoluto in cui mi perdo perché non ho trovato affinità elusive; questo sono io: gioco della cavallina, prosa che mi sembra poesia sgualcita da una sfacciata abitudine: nuovamente solitudine.

Enrico Panza 21

Non dico niente e dico (1991–1995)

La Memoria: Testo e Contesto La memoria è un libro ben tradotto con l’originale documentato a fronte che s’affranca da una lingua incomprensibile. Che panegirico esortativo per il se stesso codesta finzione: senza frizione tra il dire e l’esperire! Ho memoria di te: testardo orpello, decorum di passati precipitati nell’in|signi|finitudine della parola: coro del ricordo, un Adagio, Allegro ma non troppo. A volte ancor ora pervieni al mio ardire travolta dal gioco analitico dell’assonanza ma la psyché è solo anima, animo! Coraggio! lo dico all’Io proviamo la riflessione peri mnestereros. Traduco alla lettera il testo della memoria cercando di mantenere il contesto quotidiano, così appoggio la mano sulla mia letteratura per non sbirciare il candore del racconto: capisco il dolore, l’inconsistenza della memoria oppure soltanto la mia retorica, la meritoria lezione di vita: una historia?

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La Domanda di Ieri Questa notte perché scrivo? Tergo un letto sfatto mi veglia, rituona come sveglia e mi stordisce il freddo luogo comune della malinconia, ma io non lo guardo; no! Io non lo squadro il rettangolare perimetro che spaura, l’accurata marmaglia, la lasciva tirannia. Cosa scrivo? Incazzato: perché scrivo?! Perché mi si è impastato un colore e l’emozione del silenzio m’orchestra una festa: giochi di parole, di questo io scrivo perché non voglio dormire, perché mi fa schifo morire; nonvouldirniente, ecco cosa scrivo: quando scende la Luna un altro giorno è già nato. Ai miei pensieri sto dando un disegno formale... Una domanda la mia biro non ha ricordato, la domanda di ieri: perché scrivo? Forse perché non ho finito la chiusa, mai terminato fu il verso perfetto? Uno stolto mi chiama e ride, un’altra notte s’è fatta: per chi scrivo?

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Marameo Talvolta l’ironia soltanto si fa leggera, il tempo delucida la sua prognosi riservata: sorride chi canta le logiche orrende. Solo talvolta la mano ferma calligrafa il tragico, la patetica scomparsa dai registri del bordello di una lirica mondana che sorride reminiscente: un soprano peso di chi grava postumo nel silenzio. Talvolta mi consola la distrazione soltanto e non ho pentimenti, rimuginii, fiammiferi spenti, l’odore di zolfo consumato, acre, lezzo di tosse raschiata: l’impossibile suono rimoso che mi rimane dentro. Talvolta mi prefiguro esibizioni esorbitanti, applausi per la patetica modestia del poeta col capo reclinato – ringraziare lo scroscio manesco, la dimostrazione d’affetto. Solo talvolta mi chino dio sul destino mio e cerco la piega definitiva dei miei ridenti sentieri nei dépliant d’avventure col feroce Saladino, con Hook l’uncino, il terribile Barbablù: gusto rétro di uno scudiero del verso... Ma il mio mondo mi fa il verso – marameo, ché indigesta sta la parola bella innanzi a sé.

Enrico Panza 25

Verso Omicida Olezzante scempio formale. Inchiostro e cascano pensieri –maculazione del vuoto: tremori sognati, amori, timori del tempo. Tutto nasce per non tornare: inutilità del ricordo. Un giorno per berciare, la notte per schernire: è più terribile il mio buio nel sole. Di bianche pagine insozzate, è la noia, il fiore tra lo sterco. Il silenzio di un ruggito prepotente: il colpo in canna. Un altro giorno stramazza.

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Senza Titolo Allibito: non dico niente! non ho parole, né segni. I ghirigori belli, rime formali, sinonimi e metafore: non ho più informazioni dagli oggetti, dai miei interni. Dei temi miei più niente: poesia di poesia, ricordi e venti, solitudini, memorie, tutti gli amori, il diario biografico delle date, non ne rimane nessuna scrittura. Mi curo di niente – lo sospettavo. Almeno la ri–scrittura ha le sue maniere ma il niente... Arte pestifera. Forse la mia vita s’è stinta: no! Forse le azioni sono mute: gesticolo! Probabilmente mi ri–peto: forse sbuffo! Non dico niente ed aspetto: già da un po’ faccio solo prove a soggetto.

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Non Dico Niente e Dico Terribile pare il silenzio delle cose quando sponde lascio per tentazioni: lor signori sanno il male che sento, l’astinenza di viaggiare in questo verso? Un grave legato ho al piè sicuro e sprofondo glu – glu giù pel niente: mi sforzo di risalir la china rane, stile libero, papera e cane. Non so strascinare la penna bagnata, non punge più com’ape inzuppata, insozzata di nulla: non dico niente e dico.

Enrico Panza 28

Paperoverso Dove cercare i destini di un altro linguaggio? Ovunque mi sbrana il silenzio della civiltà ed un chiasso di brama terribile sono. Temibile situazione di un c’è assiomatico che precede ogni filosofismo: sono pieno di ci, di qui, di qua come un papero che starnazza sull’uscio della gloria. Sento una foresta di simboli raschiarmi la cute, una rossa coperta: culturame vetrato di buoni propositi mi infetta e ci sono, scintilla e mi sento all’opra. Devo forse rifare il dramma che la coscienza infiamma: ma io ci sono, e la retorica che ho è l’esistenza qua, qua, qua, qua: non distruggerò il mio paperoverso.

Enrico Panza 29

Nichilismo Io parlo in questa lingua che passerà dentro le fauci di un‘escavatrice nel pianto vocativo, la modernità. il pastiche di una Storia traditrice. Poesia: finestra sul cortile, il thriller, gallerie di mummie esibibili, miete sbadigli; se il faro sonda un lavoro operaio, la carpenteria, ironia chiassosa che arma pilastri di memoria... Avessi io all’attivo una disperata vitalità: non so più affermare l'io narciso, la sua morte, ma l’ossario, l’occhio suo già fossile, questo muro: la parola che senti o leggi non scivola più in rogge vernacolari. L’intellettuale immemore deve oggi socializzare: non piange ciò che muta, anche per farsi migliore? L’umanista aborra le sue contraddizioni e come cane lecca enciclopedico le citazioni: ho imparato a disporre le parole senza fidarmi troppo. Voi, retori annichiliti nell’assemblaggio di un suono perso nel ritorno, perso nel risentito tuono: non è più musa, è moviola, coazione, ripetizione ancora odissea di illuministica dialettica, linguaggio simbolico, dominio, ora stile, ora estetica.

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Poesia ex nihilo (1995–1997)

I Mi dimeno in spazi tempi d’ambra che sono svuotati canestri pesanti: dopo qualche ora il nulla ha preso forma. Scolasticismo: forma che anela sostanza.

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II Mi perseguita un’idea di guerra che il tutto poetico fronteggi un nulla ironico: lirica – ironia; non due opposti ma incomunicabili terribili avamposti.

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III Il tempo che brilla è mina obiettiva deflagrazione di mille storie: scampo indarno; riverso su questa biada da cervello leggorileggo l’inciso del mio tempo! Perderlo qui, nel rigiro rapace di sapere il quotidiano rimuginio delle parole: se sapessi fare ponti? Non ne ho il tempo. Il tempo questo nulla che ho, nulla che s–finisce.

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IV Colpa non ha il tempo se passa col cinismo il tempo che scorre: è l’uomo stabile e la sua cura che dolgono all’affanno di chissà quali ritorni. Facezie brevi gli occorrerebbero per controllare i ritmi del disincanto: ma l’uomo rigetta tali piccoli inganni, giochi che durano anni egli progetta. Povero uomo che di niente s’avvede, povero poeta che a tutto provvede e niente sa fare.

Enrico Panza 35

V Oggi il mio cuore sembra marzapane, si è arreso davanti ad un passato ritrito: muscolo rilassato ai paralleli di una solitudine.

Oggi il mio cuore s’è ingottato come bruciata guarnizione della vita e la dolce mandorla trasmuta sapore.

Ieri non temevo il dolore: un rito, sacramento decadente della poesia, mano solerte di divina apatia.

Il maldestro eterno mio non era amore, ieri: erano forme puerili e troppo serie. Ieri sembra l’altro ieri ed è solo una notte.

Ora testimonio la solerzia soltanto quando del passato si ha una modesta percezione, quando più niente merita la ma passione.

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VI Promesse ricusate dal tempo, già sostenute con vigore e dolore tuttavia scartate via senza pensiero. Un esempio: la dedica al verso ha or ora abbandonato il periglio e con prosa scrittura dico come, perché fugge in esilio volontario. Senza altro dire, senz’altro vile, senza più versare in musiche invenzioni.

Enrico Panza 37

VII Il ripiego ho trovato col tempo sicuro la curva integrale che senso a lui dona: forze increspano superfici ritmate. Ho cercato l’onda gelida dello schianto, di passaggio, distratto come colto sul fatto. Il seno definiva l’eccesso secretivo ché tra il niente e il nulla qualcosa vi rimane... sempre: condannato dal non–essere ad essere versatile.

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