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Ufficio di rappresentanza: Via Fabio Filzi, 22 – 20124 Milano Tel. +39(0)2.6765.0211/0148 – Fax +39(0)2.6765.0220 CF 97724640152 e-mail: [email protected] sito: www.milanfoodlaw.org XXI Conferenza delle Parti – United Nations Framework Convention on Climate Change Parigi, 30 novembre – 11 dicembre 2015 Proposte del Milan Center for Food Law and Policy

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Ufficio di rappresentanza: Via Fabio Filzi, 22 – 20124 Milano

Tel. +39(0)2.6765.0211/0148 – Fax +39(0)2.6765.0220

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sito: www.milanfoodlaw.org

XXI Conferenza delle Parti – United Nations

Framework Convention on Climate Change

Parigi, 30 novembre – 11 dicembre 2015

Proposte del Milan Center for Food Law

and Policy

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PRINCIPIO DI SVILUPPO SOSTENIBILE

1.A PARTIRE DALLA CARTA DI MILANO

I riferimenti allo sviluppo sostenibile ed alla preservazione del lascito nei

confronti delle generazioni future contenuti nella Carta di Milano sono

molteplici:

• Riteniamo che solo la nostra azione colleva in quanto ciadine e

ciadini, assieme alla società civile, alle imprese e alle istuzioni

locali, nazionali e internazionali potrà consenre di vincere le grandi

sfide connesse al cibo: combattere la denutrizione e la

malnutrizione, promuovere un equo accesso alle risorse naturali,

garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi;

• affermiamo la responsabilità della generazione presente nel meere

in atto azioni, condotte e scelte che garantiscano la tutela del diritto

al cibo anche per le generazioni future;

• crediamo che l’accesso a fonti di energia pulita sia un diritto di tutti,

delle generazioni presenti e future;

• siamo consapevoli che una delle maggiori sfide dell’umanità è quella

di nutrire una popolazione in costante crescita senza danneggiare

l’ambiente, al fine di preservare le risorse anche per le generazioni

future;

• in quanto membri della società civile, ci impegniamo a far sentire la

nostra voce a tutti i livelli decisionali, al fine di determinare proge

per un futuro più equo e sostenibile;

• in quanto imprese, ci impegniamo a contribuire agli obiettivi dello

sviluppo sostenibile sia attraverso l’innovazione dei processi, dei

prodotti e dei servizi sia attraverso l’adozione e l’adempimento di

codici di responsabilità sociale.

2. CONTESTO

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L’origine del principio di sviluppo sostenibile va ricercata all’inizio degli

anni Settanta.

La Conferenza di Stoccolma del 1972 ha segnato un momento di svolta

nell’approccio alle questioni mabientali, ispirandosi per la prima volta ad

una visione integrata e globale del problema.

Nel 1983, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito la World

Commission on Environment and Development, composta dai

rappresentanti di 21 Paesi, dai cui la vori è scaturito il rapporto

Brundtland (1987).

Quest’ultimo definisce sostenibile lo sviluppo capace di soddisfare le

necessità del presente senza compromettere le opportunità delle

generazioni future.

Nel giugno del 1992, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha

convocato a Rio de Janeiro la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente

e lo sviluppo, conclusasi con la ratifica della Dichiarazione di Rio, la

sottoscrizione dell’ambizioso programma d’azione “Agenda 21”, l’apertura

alla firma di due convenzioni multilaterali su questioni ambientali di

natura globale e l’istituzione di una Commissione per lo sviluppo

sostenibile.

A partire dagli anni novanta, un processo parallelo di consolidamento

del principio è andato svolgendosi nel diritto comunitario.

Nel 1992, le istituzioni comunitarie hanno recepito il principio dello

sviluppo sostenibile nel Trattato di Maastricht (inserito anche nei

successivi Trattati) e nell’anno successivo hanno approvato un Quinto

Piano per l’ambiente propedeutico all’attuazione, in ambito europeo,

dell’Agenda 21.

Il principio in esame ed il suo nesso con la tutela ambientale compaiono

inoltre nella Costituzione Europea. Il Preambolo della Carta esordisce

proclamando la volontà di operare nel rispetto dei diritti di ciascuno e

nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle

generazioni future e della Terra. L’art. 3-I (dedicato agli obiettivi

dell’Unione) al comma 3 stabilisce che l’Unione si adopera per lo sviluppo

sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata,

un’economia sociale di mercato fortemente competitiva che miri alla

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piena occupazione e al progresso sociale e un elevato di tutela e di

miglioramento della qualità dell’ambiente. L’art. II-37 prevede che un

livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità

devono essere integrati nelle politiche dell’unione e garantiti

conformemente al principio dello sviluppo sostenibile.

Il diritto italiano ha codificato tale principio in numerose fonti primarie

e secondarie, nonché in leggi di ratifica di numerose convenzioni

internazionali.

Altre Convenzioni ratificate dal nostro Paese annunciano la finalità di

salvaguardia degli interessi delle generazioni future. Tra queste: la

Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua

transfrontalieri e dei laghi internazionali, perfezionata a Helsinki nel 1992;

la Convenzione sugli effetti transfrontalieri derivanti da incidenti

industriali, perfezionata a Helsinki nel 1992; la Convenzione europea per la

salvaguardia del patrimonio architettonico in Europa; la Convenzione sulla

conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica, il

preambolo della Convenzione relativa alla conservazione della vita

selvatica e dell’ambiente naturale in Europa.

L’attributo della sostenibilità imposto allo sviluppo prescrive dunque la

difesa di un’integrità dell’ambiente funzionale al benessere delle

collettività attuali e delle discendenze future.

L’ottica intergenerazionale impressa alle istanze di salvaguardi

ambientale chiarisce come l’ordinamento estenda il proprio interesse

all’ambiente dell’uomo in quanto specie.

Il principio di sviluppo sostenibile esprime la coscienza della antitesi

che, quando è in gioco l’uso delle risorse naturali, oppone benefici su scala

generazionale ad interessi localizzati, nel tempo e nello spazio.

PRINCIPIO DI EQUITA’ INTERGENERAZIONALE

L’equità intergenerazionale è il principio secondo cui il pianeta debba

essere consegnato alle generazioni future in condizioni non peggiori

rispetto a quelle in cui lo abbiamo ereditato; ciò si traduce nel diritto delle

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generazioni future di poter usufruire dello stesso tipo di risorse e servizi

ecologici delle generazioni attuali.1

Parte della dottrina2 sottolinea come il principio in esame incida “sullo

sviluppo del diritto internazionale dell’ambiente nel suo complesso,

ampliandone lo scopo e ponendo i presupposti per un nuovo ordine

ambientale globale. In altri termini, la considerazione degli interessi delle

generazioni future non implica soltanto l’affermazione di nuovi criteri nella

gestione delle risorse ambientali. Essa impone l’affermazione di una nuova

etica, da tempo invocata sia in diversi strumenti delle Nazioni Unite, come

la Millennium Declaration del 2000 o il Piano di Attuazione del vertice di

Johannesburg sullo sviluppo sostenibile del 2002, sia in dottrina”.

Altra dottrina3 si spinge oltre, spiegando il lento e faticoso passaggio del

principio di responsabilità intergenerazionale dalla fase del dibattito

scientifico a quella della produzione normativa, come indice delle

profonde trasformazioni che sta vivendo il diritto come strumento di

regolazione sociale. Tale Autore individua due profili di interesse: il primo

riguardante l’inserimento del tema della responsabilità intergenerazionale

all’interno del fenomeno di “rimoralizzazione” del diritto, il secondo deriva

dal fatto che il diritto, ma soprattutto la politica, deve sempre più farsi

carico delle incertezze della scienza.

Documenti che contengono un richiamo al principio in esame:

La Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale, culturale e

naturale approvata dall’UNESCO nel 1972, all’art. 4 stabilisce: “ognuno

degli Stati facenti parte della presente Convenzione riconosce che l’obbligo

1 In accordo alla definizione datane da Stefano Grassi, il principio di equità

intergenerazionale è il principio secondo cui “tutti i membri di ciascuna generazione di

esseri umani che è possibile individuare ricevono un patrimonio naturale e culturale

dalle generazioni passate ed al tempo stesso ne fruiscono, assumendo il ruolo di custodi

di tale patrimonio, per consentire il trasferimento di tale eredità alle generazioni

future”. S. Grassi, Ambiti della responsabilità e della solidarietà intergenerazionale, in

R. Bifulco, A. D’Aloia (a cura di), Un diritto per il futuro. Teorie e modelli di sviluppo

sostenibile e delle responsabilità intergenerazionale, Napoli, Jovene, 2008, p.178. 2 L. Pineschi, Equità intergenerazionale e diritto internazionale dell’ambiente: principio

meta-giuridico o regola di diritto?, in R. Bifulco, A. D’Aloia (a cura di), p. 137 3 R. Bifulco, Diritto e generazioni future. Problemi giuridici della responsabilità

intergenerazionale, p. 19-21.

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di identificare, proteggere, reintegrare e trasmettere alle generazioni

future il patrimonio culturale e naturale sito nel proprio territorio deve

essere una incombenza primaria”.

Si tratta di un documento giuridicamente non vincolante, ma di enorme

rilevanza politica ed etica.

Nel diritto internazionale dell’ambiente i richiami alle generazioni future

sono costanti:

• Dichiarazione di principi sull’ambiente di Stoccolma del 1972;

• Rapporto Brundtland elaborato nel 1987 dalla Commissione

Mondiale su ambiente e sviluppo;

• Dichiarazione di Rio de Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo del 1992;

• Carta di Aalborg delle città europee per uno sviluppo durevole e

sostenibile di Johannesburg del 2002,

• Risoluzione sulla protezione del clima mondiale per le generazioni

presenti e future dell’assemblea generale delle Nazioni Unite n.

45/212 del 1990;

• Convenzione sulla diversità biologica del 1992;

• Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua

transfrontalieri e dei laghi internazionali del 1992;

• Convenzione internazionale per combattere la desertificazione del

1994;

• Convenzione sull’accesso alle informazioni, alla partecipazione

pubblica nei processi decisionali e alla giustizia nelle questioni

ambientali del 1998;

• Convenzione internazionale sugli inquinamenti organici persistenti

del 2001.

A livello costituzionale:

Molte Costituzioni entrate in vigore negli ultimi decenni fanno espresso

riferimento alle generazioni future, quasi sempre in relazione alla tutela

dell’ambiente e alle eredità storica e culturale.

Tra queste le Costituzioni di: Guyana, Brasile, Namibia, Cuba,

Argentina, Georgia, Sudafrica, Polonia, Albania, Sudan, Mozambico.

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Da notare che alcune di queste Costituzioni sono tra quelle che

contengono altresì il riconoscimento del diritto al cibo.

Anche l’art. 20a della Costituzione tedesca, introdotto nel 1994, recita:

“Lo Stato, tenendo conto della sua responsabilità verso le generazioni

future, protegge le basi naturali della vita umana e gli animali”.

MAPPATURA DELL’ESISTENTE

Italian Youth Declaration on Intergenerational Equity: è un documento

elaborato dal gruppo italiano dell’Intergenerational Equity working group,

contenente proposte su come rendere operativo il principio, già inserito

nel Preambolo del testo conclusivo dell’ADP .

Il documento contiene le seguenti proposte:

1) Innalzare l’Equità intergenerazionale da semplice principio a vero e

proprio diritto umano;

2) Inserire nelle Costituzioni la protezione dell’ambiente per le

generazioni future, come già fatto da alcuni Paesi;

3) Istituire un Tribunale internazionale di Giustizia deputato a

sanzionare le violazioni al diritto di Equità intergenerazionale e ad

indicare le possibili misure per garantire alle generazioni future il

godimento pieno ed ottimale delle risorse naturali.

PROPOSTA n. 1): INNALZARE L’EQUITA’ INTERGENERAZIONALE AL

RANGO DI DIRITTO UMANO

La proposta n. 1) appare senza dubbio la più convincente: si potrebbe

immaginare, infatti, l’impegno per l’affermazione del diritto alla equità

intergenerazionale come naturale prosecuzione del lavoro svolto con

riferimento al diritto al cibo.

L’obiettivo sarebbe quello di indurre gli Stati ad assumere un impegno

effettivo, attraverso un riconoscimento esplicito nell’Accordo di Parigi,

del diritto delle generazioni future a poter usufruire del pianeta, come

diritto umano fondamentale.

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Infatti, almeno a livello pattizio, se la tutela delle generazioni future

trova ampio spazio nei documenti concernenti la tutela ambientale, è

difficile trovare un esplicito riferimento ai “diritti” delle generazioni future.

Nel campo della tutela ambientale, il rapporto intergenerazionale, più che

attraverso il linguaggio dei diritti, viene identificato attraverso

l’attribuzione di doveri alle generazioni presenti in applicazione di un

principio di equità intergenerazionale.

In tal modo se ne potrebbe affermare altresì la giustiziabilità.

Si potrebbe, infatti, permettere a determinate categorie di soggetti,

eventualmente in forma associata, di fare le veci delle generazioni future

dinanzi al giudice, in quanto portatori di medesimi interessi.

È quanto è stato ammesso dalla Corte Suprema delle Filippine nel caso

‘Minors Oposa (…)’ del 1993: a seguito del ricorso proposto da parte di 35

minori, rappresentati dai loro genitori, la Corte dichiarò che gli attori

rappresentavano la loro progenie futura e che “l’affermazione del loro

diritto ad un ambiente sano costituisce la realizzazione del loro dovere di

assicurare la tutela di tale diritto per le generazioni a venire”.

PROPOSTA n. 2): COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL DIRITTO ALLA

PROTEZIONE DELL’AMBIENTE PER LE GENERAZIONI FUTURE/DIRITTI DI

NATURA

La proposta n. 2) dovrebbe muoversi nella direzione tracciata da alcuni

Paesi dell’America Latina, che hanno riconosciuto nelle proprie

Costituzioni i diritti di natura.

L'America Latina è stata, infatti, la prima ad intraprendere il percorso

verso una nuova comprensione ambientale.

La novità rispetto alle tradizionali concezioni giuridiche consiste nel

riconoscimento di veri e propri diritti in capo alla Natura. Questa, infatti,

non è protetta solo quando la sua distruzione possa minacciare la

sopravvivenza dell'uomo – come è proprio dell'approccio antropocentrico

del diritto ambientale – ma è tutelata in sé proprio in quanto persona

giuridica.

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La Pachamama da oggetto di protezione legislativa, attraverso

l'affermazione dei nuovi "diritti della Natura" e l'attribuzione di una

piena personalità giuridica, diviene a tutti gli effetti un nuovo soggetto di

diritto.

Così come la costituzionalizzazione del principio del Buen Vivir aveva

riconosciuto all'intero mondo naturale l'appartenenza alla "comu(ne-

un)ità", viene ora affermata la «cittadinanza ecologica» della natura.

-Costituzione Ecuador

L'affermazione dei diritti della natura, all'interno della Carta

costituzionale, è esplicita e diretta. In particolar modo sono due gli articoli

che la riguardano:

Art. 10.2: «La natura sarà titolare dei diritti che le sono riconosciuti dalla

Costituzione».

Art. 71.1: «La natura o Pacha Mama, dove si riproduce e si realizza la

vita, ha diritto a che si rispetti integralmente la sua esistenza e al

mantenimento e alla rigenerazione dei suoi cicli vitali, strutture, funzioni e

processi evolutivi».

La Costituzione ecuadoregna, tuttavia, non si limita alla sola

enunciazione dei diritti. Al capitolo VII (artt. 72-74), infatti, si disciplina in

maniera più dettagliata proprio lo statuto giuridico della natura. Gli articoli

in questione sono particolarmente interessanti in quanto sanciscono il

principio della restitutio in integrum (l'obbligo del risarcimento in forma

specifica – art. 72) ed il principio di precauzione (art. 73).

Art. 72: «La natura ha diritto ad interventi di riparazione. Tali interventi

saranno indipendenti dall’obbligo che hanno lo Stato e le persone fisiche e

giuridiche di risarcire gli individui e i collettivi che dipendono dai sistemi

naturali danneggiati. Nei casi di impatto ambientale grave o permanente,

inclusi quelli derivanti dallo sfruttamento di risorse naturali non

rinnovabili, lo Stato stabilirà i meccanismi più efficaci per la riparazione, e

adotterà le misure adeguate per mitigare o eliminare le conseguenze

ambientali nocive».

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Si prende così coscienza che il mondo naturale non può più essere oggetto

di mercificazione ma deve essere protetto per il valore culturale ed

esistenziale che ricopre. Pertanto:

«Lo Stato adotterà misure precauzionali e restrittive per attività che

possano condurre all’estinzione di specie, alla distruzione di ecosistemi o

all’alterazione permanente dei cicli naturali. È proibita l’introduzione di

organismi e di materiale organico e inorganico che possano alterare in

modo definitivo il patrimonio genetico nazionale». (Art. 73)

Attraverso tali misure si vuol rendere effettiva la protezione

dell'ecosistema e la riparazione ai danni da questo subiti. L'articolo

successivo, tuttavia, sembra richiamare nuovamente quell'approccio

antropocentrico che si riteneva superato proprio dal riconoscimento della

Natura come soggetto di diritti:

Art. 74: «Le persone, le comunità, i popoli e le nazionalità avranno diritto a

godere dell’ambiente e delle ricchezze naturali che rendono possibile il

buon vivere. I servizi ambientali non saranno suscettibili di appropriazione;

la loro produzione, prestazione, uso e godimento saranno regolati dallo

Stato».

Sebbene la natura venga qui presa in considerazione come tramite per un

ambiente sano e, quindi, nell'ottica di un interesse pubblico e della

collettività, ciò non sminuisce le importanti affermazioni degli articoli

precedenti.

I due concetti, cosmocentrico ed antopocentrico, confliggenti e

apparentemente incompatibili, possono, infatti, convivere all'interno di un

rapporto che sia dialettico e non dualistico. Ed è proprio questa

l'impostazione adottatta dalla Carta costituzionale (lo si noterà anche

all'art. 2 della Ley de derechos de la Madre Tierra boliviana). Ciò che

consente la coesistenza di queste due opposte visioni è, da un lato, la

comunanza dell'obiettivo – la protezione della natura – , dall'altro, la più

ampia portata dell'approccio "naturalista" che, riconoscendo i diritti della

natura, provvede ad un'ulteriore estensione di questi contenuti i quali,

peraltro, già ricomprende al proprio interno.

Pertanto, le due differenti impostazioni altro non sono che due facce della

stessa medaglia. Il riferimento alla natura come oggetto dell'interesse

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pubblico alla salute collettiva e la popolazione come beneficiario

dell'intervento, rappresentano soltanto un tentativo di rafforzare – e non

certo di sconfessare – la volontà di tutelare la Pachamama proprio

attraverso il riconoscimento dei diritti naturali.

«Sono – infatti – doveri e responsabilità di tutte le ecuadoriane e gli

ecuadoriani, senza pregiudizio per quanto altro previsto dalla Costituzione

e dalla legge: (...) 3. Difendere l’integrità territoriale dell’Ecuador e le sue

risorse naturali. (...) 6. Rispettare i diritti della natura, preservare un

ambiente sano e utilizzare le risorse naturali in modo razionale e

sostenibile». (Art. 83)

Legislazione Bolivia

A differenza dell'Ecuador, dove è la Costituzione stessa che attribuisce

alla Natura una posizione soggettiva di diritti e la personalità giuridica,

nell'ordinamento boliviano la normazione si individua, invece, all'interno

di precetti di rango ordinario. Ciononostante, un primo riconoscimento

solenne è dato già dalla Carta costituzionale.

Art. 33.3: « Le persone hanno diritto ad un ambiente sano, protetto ed

equilibrato. L’esercizio di questo diritto deve permettere agli individui e

alle collettività delle generazioni presenti e future, oltre che agli altri esseri

viventi, di svilupparsi in modo normale e permanente».

Se la struttura dell'articolo sembra richiamare il diritto ambientale e

non i diritti della natura, il riferimento «agli altri esseri viventi» come

destinatari del precetto insieme alle persone, riconducono nuovamente la

norma costituzionale alla lettura biocentrica.

Lo statuto giuridico vero e proprio della Pachamama, come anticipato, è

invece definito in maniera specifica a livello di legislazione primaria, in

paricolare nella Ley de derechos de la Madre Tierra N°71 del 2010.

Art. 5: «Agli effetti della protezione e della tutela dei suoi diritti, la Madre

Terra assume il carattere di soggetto collettivo di interesse pubblico ... I

diritti stabiliti nella presente legge non limitano l'esistenza di altri diritti

della Madre Terra».

Il contenuto della norma evidenzia, innanzitutto, il suo carattere di

clausola aperta che consente di implementare le pretese della natura

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anche al di là della lettera dell'articolo. All'art. 7 vengono esplicitati

proprio quegli ambiti che possono essere coperti dai diritti della Natura.

Questi sono: la vita (esistenza), la diversità della vita (biodiversità), l'acqua

(garanzia dei cicli vitali), l'aria pura, l'equilibrio, il ripristino e la vita libera

da contaminazioni. In caso di dubbi sulla portata delle disposizioni, queste

si applicano nel senso più favorevole alla protezione della natura, così

dispone l' Art. 6:

«Tutte le boliviane e i boliviani, facendo parte della comunità di esseri che

compongono la Madre Terra, esercitano i diritti stabiliti nella

presente legge in forma compatibile con i loro diritti individuali e collettivi.

L'esercizio dei diritti individuali è limitato dall'esercizio dei diritti

collettivi...; qualsiasi conflitto tra diritti deve risolversi in modo da non

intaccare irreversibilmente la funzionalità dei sistemi di vita».

È, infine, dovere di ogni boliviana e boliviano «15. Proteggere e difendere

le risorse naturali e contribuire al loro uso sostenibile, per preservare i

diritti delle future generazioni. 16. Proteggere e difendere un ambiente

adeguato per lo sviluppo degli esseri viventi». (Art. 108 Cost.)

Giustiziabilità

In Ecuador la garanzia processuale è riconosciuta dall'art. 71 della

Costituzione e si concreta nella possibilità, da parte di ciascun cittadino, di

richiedere l'acción de protección. Questa si configura come un'azione

popolare, sollevabile anche da chi non sia direttamente danneggiato,

davanti al giudice di primo grado del luogo in cui si è verificata la lesione

del diritto.

Art. 71.2: «Ogni persona, comunità, popolo o nazionalità potrà

pretendere dall’autorità pubblica l’osservanza dei diritti della natura. Per

applicare e interpretare questi diritti saranno osservati i principi stabiliti

dalla Costituzione, secondo le circostanze. Lo Stato incentiverà le persone

fisiche e giuridiche e i collettivi a proteggere la natura, e promuoverà il

rispetto di tutti gli elementi che formano l’ecosistema».

In Bolivia l'azionabilità della norma violata a tutela della natura in

questo caso è riconosciuta dalla stessa Carta Costituzionale:

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Art. 34: «Ogni persona, a titolo individuale o in rappresentanza di una

collettività, ha la facoltà di eseguire le azioni legali in difesa del diritto

all’ambiente, senza pregiudizio per gli obblighi delle istituzioni pubbliche

di intervenire contro gli attentati all’ambiente».

Per completezza di esposizione bisogna, infine, ricordare come vi siano

numerose ed ulteriori norme costituzionali, particolarmente affascinati

per i loro contenuti naturalisti così lontani dalla tradizione costituzionale

occidentale, che per una maggior scorrevolezza d'analisi sono state

tralasciate. Anche da queste traspare, analogamente a quanto visto sopra,

la dedizione dello Stato nella protezione della natura, delle risorse

terrestri e della biodiversità.

Le periferie del mondo si riscoprono, dunque, avanguardia per il

riconoscimento dei diritti della natura e del diritto alla sopravvivenza della

vita.

BIBLIOGRAFIA ITALIANA

- http://www.francoangeli.it/ricerca/Scheda_libro.aspx?ID=15638 2008

disponibile nella biblioteca Sottocrociera e al dipartimenoto cesare Beccaria della Statale

- http://www.giuffre.it/it-IT/products/402225.html 2012

Sottocrociera, Statale

- Libro bianco sul welfare, proposte per una società dinamica e solidale - Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 2003 Ci sono un paio di cenni pp. 9 e 21 http://www.edscuola.it/archivio/handicap/libro_bianco_welfare.pdf

file in pdf

- http://www.lampidistampa.it/marco-foroni/beni-comuni-e-diritti-di-cittadinanza/2074.html 2014

possibili punti di contatto tra equità intergenerazionale e diritti della natura in America Latina

https://books.google.it/books?id=17rgAwAAQBAJ&pg=PA23&lpg=PA23&dq=equit%C3%A0+intergenerazionale+libro&source=bl&ots=rttYqntN3O&si

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- http://www.luissuniversitypress.it/site/__kboard/DownloadFile.aspx?FileID=1953 2014

file in pdf

CONTATTI ITALIANI, oltre agli autori dei libri sopra citati:

• Italian Climate Network (Federico Brocchieri)

• Intergenerational Equity Working Group di YOUNGO (UNFCCC observer constuency of youth non governmental organizations)

• Giovanni Rantucci https://it.linkedin.com/pub/giovanni-rantucci/26/b68/377

• Sito e blog personale https://giovannirantucci.wordpress.com/tag/equita-intragenerazionale-ed-intergenerazionale/

• Il Libro Bianco sul welfare è stato redatto da un gruppo di lavoro coordinato da grazia Sestini, guido Bolaffi e Giovanni Daverio

DIRITTI DELLA NATURA

- Informazioni generali http://dirittidellanaturaitalia.it/

Bibliografia italiana

- http://dirittidellanaturaitalia.it/il-libro/ 2012

- I diritti della natura : paradigmi di giuridificazione dell'ambiente nel diritto pubblico comparato 1997. Sala Common Law, Statale - http://davidesapienza.net/doc/I%20DIRITTI%20DELLA%20NATURA%20Presentazione.pdf in pdf. -http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0484_baldin.pdf PRINCIPIO DI SVILUPPO SOSTENIBILE

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Bibliografia italiana

M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema

complesso, adattativo, comune, Giappichelli, Torino, 2007, p.44 ss.

PRINCIPIO DI EQUITA’ INTERGENERAZIONALE

Bibliografia italiana

-L. Pineschi, Equità intergenerazionale e diritto internazionale

dell’ambiente: principio meta-giuridico o regola di diritto?, in R. Bifulco, A.

D’Aloia (a cura di), p. 137

-R. Bifulco, Diritto e generazioni future. Problemi giuridici della

responsabilità intergenerazionale, p. 19-21. -A. Pisanò, Diritti deumanizzati. Animali, ambiente, generazioni future,

specie umana, p. 147 ss. -S. Grassi, Ambiti della responsabilità e della solidarietà

intergenerazionale, in R. Bifulco, A. D’Aloia (a cura di), Un diritto per il

futuro. Teorie e modelli di sviluppo sostenibile e delle responsabilità

intergenerazionale, Napoli, Jovene, 2008, p.178.

INCENTIVARE I PAESI IN VIA DI SVILUPPO A DIMINUIRE

IL FOOD LOSS4

La proposta a partire dalla Carta di Milano La Carta di Milano impegna i firmatari ad assumersi impegni precisi in

relazione al diritto al cibo quali:

1. sollecitare decisioni politiche che consentano il raggiungimento

dell’obiettivo fondamentale di garantire un equo accesso al cibo per

tutti;

2. impegnare la società civile a rafforzare e integrare la rete

internazionale di progetti, azioni e iniziative che costituiscono

un’importante risorsa collettiva;

4 L’espressione food loss, non tradotto per non snaturarne il significato indica lo spreco che avviene nel produrre, trasformare e distribuire i prodotti alimentari.

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3. impegnare le imprese a migliorare la produzione, la conservazione

e la logistica, in modo da evitare (o eliminare) la contaminazione e

da minimizzare lo spreco, anche dell’acqua, in tutte le fasi della

filiera;

4. impegnare le istituzioni a includere il problema degli sprechi e delle

perdite alimentari e idriche all’interno dell’agenda internazionale e

nazionale attraverso investimenti pubblici e privati a favore di

sistemi produttivi più efficaci5.

Alla luce di tale dichiarazioni e della credibilità internazionale ottenuta

grazie a Milano Expo 2015 sui temi alimentari, l’Italia potrebbe sollecitare

un meccanismo di contabilizzazione dei crediti di carbonio che consenta di

considerare il valore economico, morale e ambientale conseguente ad una

diminuzione dello spreco lungo la catena di produzione, trasformazione e

distribuzione. A tal fine, data la situazione di difficoltà, ovvero le

significative perdite di cibo lungo la filiera che si registrano nei Paesi in via

di sviluppo il meccanismo di incentivo dovrebbe essere riservato a questi

ultimi.

Il contesto Internazionale L'improrogabile necessità di individuare un percorso universale per

costruire uno sviluppo sostenibile condusse la comunità mondiale a

riunirsi nel 1992 a Rio de Janeiro. I Paesi aderenti riconobbero che le

problematiche ambientali devono essere affrontate in maniera universale

e che le soluzioni devono coinvolgere tutti gli Stati. Furono negoziate e

approvate tre dichiarazioni di principi, firmate due convenzioni globali6.

Hanno partecipato rappresentanti dei governi di 178 Paesi, più di 100

capi di Stato e oltre 1000 Organizzazioni non Governative. Sono state

sottoscritte 2 convenzioni e 3 dichiarazioni di principi, tra cui l'Agenda 21:

il Programma d'Azione per il XXI secolo, che pone lo sviluppo sostenibile

come una prospettiva da perseguire per tutti i popoli del mondo. Si

potrebbe affermare che il principio più importante e significativo della

5 Carta di Milano, Università degli Studi di Milano, 28 aprile 2015. 6 http://www.minambiente.it/pagina/il-percorso-dello-sviluppo-sostenibile-1992

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Dichiarazione di Rio (1992), per la disamina in questione, sia quello delle

“Comuni ma differenziate responsabilità”. Tale principio afferma :

“Gli Stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per

conservare, tutelare e ripristinare la salute e l'integrità

dell'ecosistema terrestre.

In considerazione del differente contributo al degrado

ambientale globale, gli Stati hanno responsabilità comuni ma

differenziate.

I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro

nel perseguimento internazionale dello sviluppo sostenibile date

le pressioni che le loro società esercitano sull'ambiente globale e

le tecnologie e risorse finanziarie di cui dispongono”.

È importante sottolineare quali siano le due matrici di tale principio: la

prima è rappresentata dalla responsabilità comune, e trova i suoi

antecedenti nel principio del comune patrimonio dell'umanità.

Recentemente strumenti giuridici internazionali hanno qualificato come

comune interesse dell'umanità il clima terrestre e la diversità biologica. In

particolare, le parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici,

nel preambolo, si dichiarano “consapevoli che i cambiamenti di clima del

pianeta e i relativi effetti negativi costituiscono un motivo di

preoccupazione per il genere umano”. La comune responsabilità riflette il

dovere degli Stati di condividere equamente l'onere della protezione

ambientale per le risorse globali comuni, i cosiddetti global commons.

Questo interesse giuridico e socio-ambientale comune è una spinta

decisiva per la cooperazione nella gestione e protezione di risorse globali

quali l'atmosfera e il ciclo del carbonio.

La seconda matrice esprime una duplice preoccupazione. In primo

luogo è espressione di una volontà di commisurare la partecipazione alla

protezione di tali risorse comuni alla specifiche condizioni socio-

economiche e alle capacità finanziarie e infrastrutturali dei singoli paesi,

così da raggiungere una sostanziale equità della distribuzione dei costi che

bilanci i criteri formali di eguaglianza tra Stati sovrani. Questo aspetto

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risale già al principio di trattamento differenziato, la cui lunga storia è

fatta risalire almeno al Trattato di Versailles del 1919 e a Trattati navali

successivi alla prima guerra mondiale. Il trattamento differenziato riflette

la necessità di considerare condizioni materiali differenti attraverso la

“gradazione” degli obblighi assunti dalle varie Parti, o attraverso la

contestualizzazione di tali obblighi. Magraw distingue a questo proposito

tre tipologie di norme: norme assolute, che si applicano egualmente a

tutte le Parti; norme contestuali, che si applicano ad ogni Parte tenendo

conto delle speciali circostanze di ogni Parte; norme differenziate, che

operano una differenziazione esplicita, ad esempio attraverso differenti

orizzonti temporali entro i quali procedere all'adempimento delle

obbligazioni stipulate7.

Il punto cruciale del principio delle comuni ma differenziate

responsabilità risiede nella considerazione esplicita delle responsabilità

storiche dei singoli paesi alla determinazione di specifici danni ambientali,

e in particolare per quanto riguarda i contributi in termini di emissioni di

gas serra. Ed è proprio questa seconda dimensione, e cioè il nesso che il

principio di comuni ma differenziate responsabilità stabilisce tra il passato

sfruttamento economico dei commons globali e la responsabilità di

intraprendere attività tese a rimediare o mitigare le conseguenze di tale

sfruttamento, che si pone come particolarmente importante8.

Prima di Rio tali disparità materiali e socio-economiche venivano

integrate in accordi internazionali, come brevemente menzionato,

attraverso il principio del trattamento differenziato. Il principio del

polluter pays dall'altra parte, assegna la responsabilità di sopportare i costi

di rigenerazione e riparazione di danni ambientali a colui che inquina.

La novità introdotta dal principio di comuni ma differenziate

responsabilità sta quindi proprio nell'emergenza della dimensione storica,

che introduce un elemento di correzione a fondamento di una equa

redistribuzione delle responsabilità. In questo senso va oltre sia al

7http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina_2009/principio_comuni_responsabilita_delucia.htm 8 J. Vinuales, The Rio Declaration on Environment and Development: a commentary,

University Press, Oxford, 2015 , passim.

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principio del trattamento differenziato che a quello del principio del

polluter pays. In sintesi, il principio di comuni ma differenziate

responsabilità esprime la necessità di valutare la responsabilità in una

dimensione storica ed in funzione della cooperazione internazionale, della

solidarietà e dell'equità.

La lettura dei due principi ci consegna una realtà ove nella

consapevolezza delle diverse capacità economiche, di infrastrutture e

conoscenze richiede impegni sì diversificati ma condivisi da parte degli

Stati.

La quantità di spreco lungo la filiera alimentare E’ molto preoccupante constatare che ogni anno circa un terzo della

produzione mondiale di cibo destinata al consumo umano si perde o si

spreca lungo la filiera alimentare9. In termini di calorie dei prodotti la

percentuale si aggira sul 24% 10. Tale quantitativo corrisponde ad uno

spreco di circa 1,6 miliardi di tonnellate di alimenti (inclusa la parte non

edibile dell’alimento); 1,3 miliardi di tonnellate se si considera solo la

frazione edibile11.

Alla luce di questi numeri preoccupanti bisogna dunque identificare

lungo quale fase della catena avviene lo spreco. Secondo i dati FAO la

distribuzione per anelli di filiera alimentare è la seguente: 510 milioni di

tonnellate si sprecano durante la produzione agricola, ovvero il 32%; 355

milioni di tonnellate si sprecano nelle fasi immediatamente successive alla

raccolta (post-harvesting and storage), ovvero il 22%; 180 milioni di

tonnellate si sprecano durante la trasformazione industriale, ovvero l’11%;

200 milioni di tonnellate si sprecano durante la distribuzione, ovvero il

13%; 345 milioni di tonnellate si sprecano al livello del consumatore,

ovvero il 22% (a livello domestico e nella ristorazione).

9 Food wastage footprint. Impacts on natural resources. Summary report, FAO, 2013, p. 6. 10 World Resource Institute, 2013. 11 Food wastage footprint. Impacts on natural resources. Summary report, FAO, 2013, p. 11.

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L’eterogeneità delle realtà e la geolocalizzazione degli sprechi

alimentari I dati globali fin qui riportati nascondono differenze significative che

denotano tanto l’abbondanza di cibo quanto l’efficienza delle tecniche di

produzione, trasformazione e distribuzione.

E’ infatti facile intuire come nei Paesi più ricchi lo spreco si concentri

nella fase finale, ovvero da parte del consumatore, il quale attribuisce

meno valore ai tanti prodotti alimentari che acquista. Per esempio in Italia

lo spreco alimentare che avviene nella fase del consumo si aggira sul

47%12.

Nei Paesi più poveri, ove l’accesso al cibo è per molti ancora una sfida

quotidiana, lo spreco si concentra nelle fasi precedenti, in quanto il

consumatore non può permettersi di sprecare il poco di cui è in grado di

disporre. Nei Paesi in via di sviluppo, tecniche di coltivazione e raccolto

non efficienti, carenze infrastrutturali (che ostacolano le operazioni di

trasporto e distribuzione), sistemi di immagazzinamento e conservazione

inadeguati, condizioni climatiche spesso avverse determinano perdite che

sarebbero evitabili diffondendo tecniche, conoscenze e infrastrutture

adeguati.

Lo spreco alimentare ha percentuali e quantità differenti a seconda del

prodotto alimentare considerato e della sua localizzazione su scala

globale. Suddividendo il pianeta in zone e i prodotti in ampie categorie

merceologiche un interessante studio rivela la percentuale di cibo

sprecato lungo ogni specifica filiera13. Considerate le perdite totali a livello

mondiale lo spreco si concentra nei paesi asiatici ( l’11% della totalità

sprecata su scala mondiale sono i prodotti vegetali dell’Asia industriale; il

7,5% cereali dell’Asia industriale, il 7,5% cereali del sudest asiatico, il 5%

tuberi amidacei dell’Africa subsahariana). Si comprende che anche per

ragioni di popolazione, (nell’Asia industriale si ricomprende anche la Cina),

lo spreco in termini quantitativi avvenga perlopiù in Asia, ove lo spreco di

vegetali e di cereali è particolarmente preoccupante. 12 P. Garrone, M. Melancini, A. Perego, Surplus food management against food waste, 2015, p. 25. 13 Food wastage footprint, Impact on natural resources, FAO, 2013. I dati segenti sono tratti da tale studio.

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Per avere un quadro completo bisogna però riferirsi allo spreco pro

capite. A tale riguardo gli sprechi più alti sono localizzabili: nell’Asia

industrializzata, 115 kg pro capite per i vegetali); nell’Africa subsahariana,

110 kg pro capite per i tuberi amidacei; nell'Africa settentrionale e Asia

centro-occidentale, 95 kg pro capite per i vegetali; in America Latina, 95 kg

pro capite per la frutta. Si nota come le rivelazioni pro capite presentano

una realtà ove gli sprechi più rilevanti non si concentrano solo in Asia ma

anche in altri continenti. Tale ricerca evidenzia le situazioni più complicate

che richiederebbero interventi urgenti significativi. Tali interventi

dovrebbero certamente essere azionati dai rispettivi Stati sovrani, ma

necessiterebbero anche una nuova attenzione da parte dell’intera

comunità internazionale.

L’impatto economico ed ecologico e le implicazioni morali

dello spreco alimentare Le conseguenze dovute allo spreco, di più facile comprensione, sono di

carattere economico. Si calcola, considerati solo i costi vivi e di più facile

lettura, che sia di mille miliardi di dollari il valore del cibo sprecato nel

mondo. I costi, cosiddetti nascosti, di più difficile stima, riguardano invece

tanto i costi ambientali quanto i costi sociali.

L’impatto ecologico, invece, in un contesto globale ove la popolazione

cresce e le risorse scarseggiano è sempre più drammatico. La riduzione di

cibo sprecato alleggerirebbe infatti la pressione sulle risorse naturali e

farebbe anche calare il fabbisogno di cibo necessario, (60% più

dell’attuale) per nutrire l’ipotetica popolazione del 2050.

Si consideri che il cosiddetto carbonfootprint, ovvero le emissioni di gas

che sono necessarie lungo la filiera, del cibo prodotto e non mangiato,

escluso il cambio di uso dei terreni, è stimato in 3,3 miliardi di tonnellate

di CO2 equivalente. Il waterfootprint del cibo sprecato è stimato sui 250

km3. Inoltre il cibo sprecato occupa un’ipotetica superficie di 1.4 miliardi

di ettari di terra, ovvero il 30% della superficie di terra adibita ad uso

agricolo 14.

14 Tutti i dati che seguiranno sono tratti da: Food wastage footprint. Impacts on natural resources. Summary report, FAO, 2013, p. 6.

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Infine non quantificabili, ma altrettanto significative, sono le

implicazioni morali: in un pianeta ove la fame è ancora una realtà per 795

milioni di persone, è davvero inaccettabile un sistema che consenta una

tale quantità di spreco di cibo.

Inoltre si deve rilevare come l’impatto ecologico, in specie il

carbonfootprint dei prodotti è molto eterogeneo. La carne è certamente il

prodotto che ha un maggiore impatto, infatti sebbene lo spreco della

carne si aggiri nell’ordine del 4% dello spreco mondiale, il suo

carbonfootprint è ben il 21% del totale. Gli altri prodotti hanno valori più

omogenei, solo i cereali e il pescato presentano un impatto ambientale in

proporzione più alto rispetto a l loro contributo percentuale quantitativo

in ordine al cibo sprecato su scala globale. Al contrario i prodotti più

sostenibile sono i tuberi amidacei e la frutta, secondariamente i vegetali.

Tali dati, che sono in parte riferibili anche al waterfootprint dei prodotti ci

danno indicatori fondamentali15. I più alti livelli di carbonfootprint pro

capite riguardano la carne in nord America e in secondo luogo i cereali

nell’Asia industrializzata. Non ogni produzione ha il medesimo impatto

ambientale, dunque ogni politica deve considerare la sostenibilità delle

produzioni per sviluppare una filiera alimentare sostenibile su scala

globale.

La proposta, inserita nel quadro negoziale La COP 21 avrebbe per la prima volta l’ardire di prevedere che anche i

Paesi in via di sviluppo assumano impegni obbligatori in tema di emissioni.

La bozza dell’accordo evidenzia la preoccupazione dei Paesi in via di

sviluppo di accantonare risorse, per contenere le emissioni, a scapito della

produzione e della distribuzione di cibo, o più genericamente alla lotta alla

povertà e alla fame.

Tale preoccupazione è ben evidente all’ art. 2 (scopi) comma 1, lett b),

opzione 1, dell’attuale bozza di accordo:

15

Food wastage footprint. Impacts on natural resources. Summary report, FAO, 2013, p 26 ss.

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perseguire la lotta al cambiamento climatico tramite uno sviluppo

sostenibile, per supportare la resilienza delle società al cambiamento

climatico e le economie con basse emissioni ad assicurare che la loro

produzione e distribuzione alimentare non sia minacciata.

La minaccia alla loro produzione e distribuzione alimentare potrebbe

essere ridimensionata ed affrontata tramite un meccanismo di incentivo

che consenta ai paesi in via di sviluppo trattamenti di favore nel caso

riescano a migliorare la loro catena alimentare. Infatti, se i paesi in via di

sviluppo riescono a diminuire lo spreco alimentare lungo la catena, si

propone di prevedere uno sconto nel calcolo totale della quantità di

crediti di carbonio che i Paesi in via di sviluppo potranno emettere.

Gli effetti della proposta Incentivare la diminuzione di food loss consente di diminuire le

conseguenze ecologiche delle emissioni sia per la fase della produzione e

della distribuzione sia per lo smaltimento. Mentre nei Paesi più ricchi le

tecniche di produzione, trasformazione e distribuzione hanno raggiunto

nell’insieme buoni livelli di efficienza16, nei Paesi in via di sviluppo

l’efficienza della filiera è lontana dai migliori standard.

Per incentivare tale meccanismo si dovrebbe considerare la

diminuzione delle emissioni dei Paesi in via di sviluppo, conseguenti ad un

miglioramento dell’efficienza nelle fasi della filiera, con speciale riguardo.

Applicare la normale procedura di conteggio pare infatti ignorare gli effetti

positivi tanto ecologici quanto morali del progresso.

Considerato un soggetto che produce 100, spreca 10, ed ha un impatto

ecologico di 110 vi sono 2 tipologie di intervento:

1. Si interviene diminuendo la produzione: produzione 95, spreco 9,5

impatto ecologico 104,5.

2. Si interviene sullo spreco: produzione 100, spreco 8, impatto

ecologico 108.

16 Dati Italia v. :P. Garrone, M. Melancini, A. Perego, Surplus food management against food waste, 2015, p. 25 ss.

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Bisogna considerare che il secondo intervento è ecologicamente ed

eticamente più proficuo e consente inoltre di non diminuire la produzione

di cibo.

Alla luce anche di tale semplicissimo esempio si comprende come le

mancate emissioni dovute ad una diminuzione del food loss abbiano,

senza intaccare la quantità di produzione, sia ecologicamente che

eticamente un valore sensibilmente e qualitativamente differente.

Bibliografia S. Bilal e P. Pezaros, Negotiating the Future of Agricultural Policies:

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international, L’Aja, 2000;

J.K.R. Watson, The WTO and the Environment: Development of

Competence Beyond Trade, Routledge, Oxon, 2013;

T. Scovazzi e T. Treves, World Treaties for the Protection of the

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T. Scovazzi e T. Treves, World Treaties for the Protection of the

Environment: Supplement (November 1992), Istituto per l’ambiente, 1992;

O. Kuik, P. Peters e N. Schirijver, Joint Implementation to Curb Climate

Change : Legal and Economic Aspects, Kluwer Law international,

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D.G. Victor, K. Raustiala, E.B. Skolkinoff, The Implementation and

Effectivness of International Environmental Commitments: Theory and

Practice, International Institute for Applied System Analysis, Laxenburg,

1998;

M. Di Pierri, La sfida del clima. Da New York a Lima aspettando Parigi

2015, Huffington Post, 01.10.2014, http://www.huffingtonpost.it/marica-

di-pierri/clima-new-york-lima-parigi-2015_b_5905718.html

J. Vinuales, The Rio Declaration on Environment and Development: a

commentary, University Press, Oxford, 2015 , pp. 207-229 e 429-450.

Carta di Milano, Università degli Studi di Milano, 28 aprile 2015.

P. Garrone, M. Melancini, A. Perego, Surplus food management against

food waste, 2015.

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Food wastage footprint. Impacts on natural resources. Summary report,

FAO, 2013.

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25

Subsidiary Body for Adaptation Practices Improvement

(Corpo Sussidiario per il Miglioramento delle Pratiche di

Adattamento). Piattaforma per l’adattamento al

cambiamento climatico dei piccoli agricoltori dei paesi in

via di sviluppo (PVS)

Presentazione dell’idea La Carta di Milano afferma: “Noi siamo consapevoli che la conoscenza e

la pratica dei modi di produrre, sia tradizionali sia avanzati, è essenziale

per l’efficienza dei sistemi agricoli, dall’agricoltura famigliare fino a quella

industriale”. Inoltre, la Carta di Milano, invita a “considerare il rapporto tra

energia, acqua, aria e cibo in modo complessivo e dinamico, ponendo

l’accento sulla loro fondamentale relazione, in modo da poter gestire

queste risorse all’interno di una prospettiva strategica e di lungo periodo

in grado di contrastare il cambiamento climatico”. La filiera produttiva

agroalimentare. La Carta auspica, infine, un più coraggioso impegno delle

istituzioni nazionali e internazionali nel promuovere un eguale accesso al

cibo, alla terra, al credito, alla formazione, all’energia e alle tecnologie, in

particolar modo alle donne, ai piccoli produttori e ai gruppi sociali più

svantaggiati. A partire da queste considerazioni, il Milan Center for Food

Law and Policy propone che l’Italia e l’Europa prendano una posizione

maggiormente proattiva tra i parties coinvolti nell’accordo che sarà

discusso a Parigi alla fine di novembre.

La bozza dell’“Accordo di Parigi” presentata dal gruppo di lavoro di

Bonn propone un sistema di gestione multilaterale delle strategie

nazionali per la riduzione delle emissioni e per l’adattamento al

cambiamento climatico (Intended Nationally Determined Contributions,

INDCs). Tra le opzioni proposte, molte rimandano al coordinamento dei

parties per la comunicazione dei processi attivati e in corso, oltre che per

la condivisione dei risultati ottenuti. A supporto delle attività dei parties,

gli estensori della bozza dell’accordo propongono di mantenere operativi

due subsidiary bodies, ossia il Subsidiary Body for Scientific and

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Technological Advice (SBSTA) e il Subsidiary Body for Implementation (SBI),

costituiti dagli articoli 9 e 10 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite

sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on

Climate Change, UNFCCC), nel 1992. SBSTA e SBI, secondo il loro mandato,

contribuiscono al lavoro della Conferenza dei Membri dell’Accordo (CMA)

e al suo Segretariato dando pareri sulle INDCs dei paesi membri e

fornendo suggerimenti su come implementare l’accordo stesso. In

definitiva, l’Accordo non ha alcuno strumento per operare a sostegno

delle iniziative di mitigazione e adattamento promosse sul pianeta: ogni

azione è di fatto affidata al controllo e alla supervisione dei parties.

Il Milan Center ritiene che sia necessario che la CMA e il Segretariato

debbano ora proporsi come attori attivi del cambiamento. Molti sono

infatti i fattori che impongono il cambiamento dell’approccio politico

scelto nel 1992.

1. Fin dai primi accordi, era chiaro che il riscaldamento globale e il

conseguente cambiamento climatico rappresentassero una minaccia

per il pianeta. Tuttavia, se nel 1992 e nel 1997 (anno della redazione

del Protocollo do Kyoto) tale pericolo poteva essere considerato

lontano, oggi è una realtà quotidiana. Come affermato dal molti

scienziati e politici, l’“Accordo di Parigi dovrà essere efficace,

altrimenti rischieremo di non avere più tempo per rimediare17”.

2. La bozza dell’Accordo prevede che le INDCs siano sviluppate

indipendentemente da ogni Stato. Tutti i parties dovranno

comunicare (come già avviene secondo la UNFCCC) le azioni

previste, i costi, i risultati previsti e ottenuti. Come previsto dal suo

mandato, né il CMA né il Segretariato possono intervenire per

modificare le strategie locali: il SBSTA può eventualmente fornire un

parere, che comunque non è vincolante.

3. Dal 1992 a oggi, i modelli di sviluppo sono cambiati, così come si

sono evoluti i parametri che vengono tenuti in considerazione nella

valutazione della crescita dei paesi in via di sviluppo (PVS). L’indice di

sviluppo umano (ISU), l’alfabetizzazione e il rispetto dei diritti umani

17

Ministro Galletti, Expo delle Idee, 10 ottobre 2015.

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hanno acquisito maggior peso rispetto al prodotto interno lordo pro-

capite (che rimane comunque un indicatore cruciale).

4. La cooperazione internazionale ha sviluppato nuovi approcci, basati

sulla valorizzazione dell’esistente e dell’aiuto mirato, che hanno

sostituito azioni maggiormente impegnative economicamente e

culturalmente. Oggi si punta su azioni che mettano in valore gli sforzi

delle popolazioni locali piuttosto che sostituirle con nuove pratiche.

Per queste ragioni, il Milan Center for Food Law and Policy propone la

costituzione di un istituzione che contribuisca al sforzo di mitigazione e

adattamento portato avanti dai paesi, in parte coordinando gli sforzi delle

agenzie delle Nazioni Unite e supportando le azioni a livello locale.

Subsidiary Body for Adaptation Practices Improvement (Corpo

Sussidiario per il Miglioramento delle Pratiche di

Adattamento)

Struttura

Il Subsidiary Body for Adaptation Practices Improvement (SBAPI) sarà

creato per fornire alla CMA e, se appropriato, agli altri subsidiary bodies,

uno strumento per valorizzare le azioni di mitigazione (mitigation) e

adattamento (adaptation) (Intended Nationally Determined Contributions,

INDCs) messe in atto nel pianeta. Il body dovrà essere aperto alla

partecipazione di tutte le Parti e dovrà essere multidisciplinare. Dovrà

contenere i rappresentanti governativi competenti in ambiti rilevanti.

Dovrà regolarmente fornire rapporti e dati alla COP sul suo operato.

Seguendo gli indirizzi della COP, e valorizzando l’operato delle

competenti istituzioni internazionali, il subsidiary body dovrà:

a. raccogliere informazioni e dati sulle INDCs attivate nel pianeta.

b. analisi attenta delle azioni e delle strategie percorse dai diversi

operatori locali, al fine di individuare le best practices.

c. trasmissione della conoscenza a partire da casi simili.

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d. diffusione della conoscenza e valorizzazione del patrimonio di

esperienze locali.

Rispetto al SBSTA e al SBI, lo SBAPI avrà alcune peculiarità:

1. Il Subsidiary Body for Adaptation Practices Improvement (SBAPI)

funzionerà come ente indipendente o come programma di un

istituzione già esistente.

2. Lo SBAPI dovrà avere struttura permanente. A differenza dei due

subsidiary bodies già esistenti, infatti, lo SBAPI agirà in modo

continuativo durante l’anno, operando quotidianamente con i diversi

interlocutori.

Ambito d’azione

La sfida per la mitigazione del riscaldamento globale e per

l’adattamento al cambiamento climatico riguarda tutti i livelli della

società. Per ogni gruppo, innumerevoli sono gli interventi che i parties

metteranno in azione per contenere la produzione di gas serra

(greenhouse gases) e per favorire la resilienza di fronte ai cambiamenti del

clima. Per questo motivo, il Milan Center propone di circoscrivere i lavori

dello SBAPI. Almeno in una fase iniziale, infatti, sarà utile focalizzare

l’attenzione su un campo specifico, in modo da valutare le strutture

l’efficacia delle strutture da esso messe in campo e per tarare la

dimensione del proprio impegno.

Il soggetto ideale saranno i piccoli agricoltori (smallholder farmers). Gli

agricoltori dei paesi in via di sviluppo sono i primi che subiscono

direttamente gli effetti del cambiamento climatico già in corso. Sono i

soggetti che, in quanto in prima linea hanno per primi un bisogno

concreto di innovazione, conoscenza e condivisone. Certamente la

mancanza di risorse e tecnologie è un tema centrale per garantire un

progresso diffuso, ma non il solo.

Non si può infatti fare l’errore di considerare i piccoli agricoltori quali

vittime inermi a fronte di politiche mondiali ancora timide nel disegnare

soluzioni efficaci e sistemiche. I piccoli agricoltori, ovvero le loro

conoscenze e tradizioni, germogliano un immenso bagaglio culturale e di

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esperienze pratiche che, se condiviso, potrebbe portare a progressi

sensibili. La condivisone, di tecniche efficienti e di tradizioni antiche ed

assodate, va inoltre inquadrata alla luce delle nuove sfide ed esigenze,

che gli effetti del cambiamento climatico già in corso, presenta

all’agricoltura.

Quando i piccoli agricoltori hanno l’accesso alle previsioni climatiche,

hanno una struttura di produzione diversificata e hanno la possibilità di

costruire una rete di conoscenze per confrontarsi e addivenire a soluzioni

pratiche sperimentate da altri agricoltori. Valorizzare questo set di

conoscenze ed esperienze, al contempo individuando le buone pratiche

già in atto per favorirne la condivisione e la trasmissione tra pari (peer-to-

peer training) significa seguire gli obiettivi dichiarati dell’“Accordo di

Parigi” con un approccio cooperativo innovativo.

Contesto

La proposta del Milan Center prende spunto da alcuni progetti che, a

livello mondiale, hanno individualmente contribuito a migliorare la

risposta al cambiamento climatico tra i piccoli coltivatori. In particolare, si

fa riferimento ai programmi Adattamento per l’Agricoltura dei piccoli

proprietari (Adaptation for Smallholder Agriculture, ASAP) del Fondo

Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (International Fund for the

Agricultural Development, IFAD) e Cooperazione Decentralizzata

(Decentralized Cooperation Programme, DCP) dell’Istituto delle Nazioni

Unite per la Formazione e la Ricerca (United Nations Institute for Traning

and Research, UNITAR).

Il programma ASAP parte dal desiderio di IFAD di porre maggior

attenzione alle sfide legate all’impatto dei piccoli coltivatori con il

cambiamento climatico e, al contempo, valorizzarne l’operato come attori

della lotta per la riduzione dei gas serra. Il presidente dell’IFAD, Kanayo

Nwanze, ha recentemente sottolineato come “i piccoli agricoltori sono

sulla linea del fronte del cambiamento climatico, per cui necessitano di

azioni urgenti per incrementare la loro resilienza rispetto alla crisi

climatica”. Il programma ASAP è il più grande fondo dedicato al supporto

delle azioni di adattamento al cambiamento climatico dei coltivatori

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poveri del pianeta. Attraverso il finanziamento diretto di alcuni governi

(Belgio, Canada, Finlandia, Norvegia, Paesi bassi, Regno unito, Svezia e

Svizzera), il progetto ha sostenuto centinaia di progetti in Africa, America

Latina e Asia.

Il DCP di UNITAR si è invece focalizzata sullo sviluppo di iniziative per la

riduzione del rischio di disastri. Focalizzando la propria iniziativa su tre

obiettivi chiave (consolidamento delle capacità; miglioramento del dialogo

tra le istituzioni; promozione di collaborazioni), UNITAR offre corsi di

formazioni per amministratori statali e ufficiali governativi. Attraverso la

rete dei Centri di formazione CIFAL (situati in Sud Corea, Ecuador, San

Salvador, ecc.), UNITAR promuove la collaborazione e la cooperazione tra

città, università, governi, istituti di ricerca, organizzazioni internazionali e

settore privato, al fine di sviluppare risposte ai disastri e strategie di

preparazione maggiormente efficaci.

Motivazioni 1. Mancanza di un’istituzione che raccolga e diffonda strategie vincenti di

adattamento al cambiamento climatico e al riscaldamento globale.

2. presenza di progetti che, regionalmente o a livello nazionale, affrontano

la questione, ma non hanno prospettive globali.

3. effetti positivi: valorizzazione delle esperienze pregresse; condivisione

della conoscenza tra pari (peer-to-peer training); proattività.

4. agire là dove le istituzioni locali non riescono ad arrivare (ad esempio,

http://newsroom.unfccc.int/action-to-adapt/zurich-flood-resilience-

program/).

I piccoli coltivatori sono uno dei soggetti che, ha livello globale, sono

maggiormente sensibili al cambiamento climatico. Inoltre, l’indebolimento

del sistema produttivo agricolo locale significa, potenzialmente, il crollo

della struttura produttiva-alimentare della regione, con il rischio di gravi

ripercussioni sulle aree urbane vicine. Il caso del Bangladesh è

emblematico nella contemporaneità, mentre l’esempio delle migrazioni

che seguirono il Dust Bowl evidenzia come, nei periodi di crisi anche i

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paesi sviluppati siano soggetti al rischio di fallimento e migrazione dei

piccoli agricoltori.

Lennart Båge, predecessor di Nwanze, faceva notare come, dall’inizio

del secolo, in Cina e America Latina la crescita agricola sia stata tra le 2,7 e

le 3,5 volte più significativa nella riduzione della povertà che non la

crescita non-agricola. Il World Development Report del 2008 mostrava

come la crescita del prodotto interno lordo generata dall’agricoltura offra

benefici alla parte più povera della popolazione in maniera più significativa

che qualsiasi altro settore.

Come evidenziato dal recente rapporto IFAD sulla povertà rurale, la

crescita agricola può continuare a rappresentare un fattore primario di

crescita economica e di riduzione della povertà rurale, qualora i piccoli

agricoltori vengano messi in condizione di trarre beneficio dalle nuove

opportunità e fronteggiare i nuovi rischi legati ai cambiamenti climatici e

ai mercati. Lo SBAPI darà sostegno agli agricoltori così che possano

apprendere nuove pratiche e tecnologie, mentre i governi da parte loro,

potranno rafforzare i programmi nazionali e incrementare i finanziamenti

in campo agricolo immaginando allo stesso tempo politiche attive per la

formazione e la diffusione dei saperi anche a quelle comunità rurali poco

industrializzate.

Ricadute ed effetti positivi 1. diffondere ben definite abilità specialistiche

2. arginare l’esodo nei centri urbani e nei paesi sviluppati

3. scambiarsi le conoscenze tecniche e le antiche tradizioni tra popoli

Gli effetti positivi che il sistema individuato potrebbe raggiungere sono numerosi. A livello nazionale, aumentando il numero di investimenti verso le piccole aziende agricole si riuscirebbe a garantire loro una possibilità di guadagno e di vita più dignitosa così da scoraggiare l’abbandono dei centri rurali verso le grandi città.

È auspicabile che i piccoli agricoltori riescano ad ottenere una base patrimoniale il più diversificata possibile in modo da ottenere maggiore solidità e produttività e che abbiano la possibilità di conoscere, in modo più dettagliato e preciso, l’andamento delle condizioni climatiche nella

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zona di loro interesse cosi da poter indirizzare i raccolti e contenere gli effetti negativi di eventuali danni ambientali.

Effetti positivi possono cosi crearsi anche a livello globale perché sono gli stessi piccoli imprenditori agricoli che, gestendo in modo efficiente e sostenibile il loro territorio, possono contribuire a conservare e ripristinare gli ecosistemi degradati, aumentando inoltre la capacità di resilienza delle catene agrioalimentari.

Acquisendo quindi aiuti economici e immagazzinando nuove conoscenze

sarebbe possibile arginare i danni e ridimensionare le minacce del

cambiamento climatico, soprattutto in termini di perdita di biodiversità e

degrado dell’ecosistema.

Bibliografia Bibliografia SBI e climate change

1- The protection of indigenous peoples and reduction of forest carbon

emissions. The REDD plus regime and international law. Di Handa Abidin

2- Low-carbon Technology transfer: from rhetoric to reality. Di David G.

Ockwell, Alexandra Mallett

3- Biodiversity and climate change. Linkages at international, national and

local levels. Di Frank Maes, An Cliquet, Willemien du Plessis, Heather

McLeod-Kilmurray

4- Climate Change and Africa. Di Pak Sum Low

5- Energy and Global Climate Change: Bridging the Sustainable

Development Divide. Di Anilla Cherian

6- Climate Change: Impact on Agriculture and Costs of Adaptation. Di

Nelson, Gerald C.,Rosegrant, Mark W.,Koo, Jawoo,Robertson,

Richard,Sulser, Timothy,Zhu, Tingju,Ringler, Claudia,Msangi, Siwa,Palazzo,

Amanda,Batka, Miroslav,Magalhaes, Marilia,Valmonte-Santos,

Rowena,Ewing, Mandy,Lee, David (PDF TRA I DOCUMENTI)

7- Climate Change and Agriculture: An Economic analysis of global

impacts, adaptation and distributional effects. Di Robert O. Mendelsohn,

Ariel Dinaù

8- Climate Change and Agriculture in the United States: Effects and

Adaptation. USDA Technical Bulletin 1935

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9- EU agriculture and climate change. European commission.

http://unccelearn.org/

Programmi FAO

http://www.fao.org/climate-change/programmes-and-projects/en/

- EPIC: economics and policy innovation for climate smart agricolture

http://www.fao.org/climatechange/epic/home/en/

- NAPs: national adaptation plans programme

http://www.fao.org/climate-change/programmes-and-

projects/detail/en/c/328984/ http://www.international-climate-

initiative.com/en/projects/projects/details/integrating-agriculture-

in-national-adaptation-plans-programme-431/

- FAO-adapt: http://www.fao.org/climatechange/fao-adapt/en/

- MICCA: mitigation of climate change in agriculture programme

http://www.fao.org/climatechange/micca/pilots/en/

- FAO forestry programme

http://www.fao.org/forestry/climatechange/en/

- http://www.fao.org/ag/portal/ags/ags-news/detail/en/c/282373/ :

partnership Fao di coperazione tra 5 paesi africani

Progetti FAO: http://www.fao.org/climate-change/programmes-and-

projects/projects/en/

http://www.ifad.org/climate/resources.htm

http://wiego.org/informal-economy/occupational-groups/smallholder-

farmers

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LETTERA D’INTENTI TRA MINISTERO DELL’AGRICOLTURA DELLA COLOMBIA

E MILAN CENTER FOR FOOD LAW AND POLICY

……………., con sede in ……………………………………………………………………………………, rappresentato da

………………………..,

E

Il Milan Center for Food Law and Policy (MCFLP) – Associazione senza scopo di lucro riconosciuta dalla

Prefettura con iscrizione nel Registro delle Persone Giuridiche della Provincia di Milano in data 23 luglio

2015- (di seguito “MCFLP”) con sede in via Fabio Filzi 22, Milano, CF 97724640152, rappresentato dalla

Presidente Livia Pomodoro

PREMESSO

- che [specificare le finalità e scopi del soggetto con cui il MCFLP sottoscrive la Convenzione]

- che il MCFLP persegue i seguenti scopi:

- realizzazione di una raccolta tematica, sistematica e accessibile della produzione normativa,

regolamentare e di risoluzioni politiche, su scala nazionale, europea, multilaterale (ONU, FAO, etc.) in

cooperazione con altre Istituzioni pubbliche e da realizzarsi secondo logiche collaborative (sistemi

wiki e open source);

- creazione di un supporto per la comunità scientifica, giuridica e politico-istituzionale nella

produzione legislativa e regolamentare, ponendosi quale punto di riferimento nell’interpretazione

della normativa in materia alimentare nonché nell’orientamento della produzione normativa

medesima;

- attività di relazione multilaterale (ONU e Consiglio diritti umani) e di ricerca, in funzione di un

avanzamento delle politiche dedicate al diritto al cibo con particolare riferimento al mandato in

materia dello Special Rapporteur del Segretario Generale dell'ONU;

- creazione di una rete di collaborazione alla ricerca avente per protagonista la comunità scientifica

nazionale e internazionale con il compito di contribuire - dopo che Expo Milano 2015 ne ha costituito

la piattaforma - alla costruzione di un polo internazionale permanente sulle scienze della nutrizione;

- sensibilizzazione delle autorità nazionali e internazionali sul tema del diritto al cibo e della sicurezza

alimentare.

Tutto ciò premesso, le parti, sottoscrivendo la presente lettera, convengono quanto segue

Finalità

Il MCFLP e Ministero dell’Agricoltura della Colombia intendono sviluppare, in attuazione dei relativi fini

istituzionali e nelle forme legali consentite, la più ampia e intensa collaborazione per le attività di

cooperazione, di studio e di ricerca.

La presente Lettera di Intenti ha l’obiettivo di favorire una collaborazione utilizzando le conoscenze,

competenze scientifiche e informazioni in possesso delle parti contraenti, al fine di promuovere lo studio, la

ricerca e la progettualità sulle tematiche inerenti gli scopi del MCFLP e l’attività istituzionale del Ministero

in questione.

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Oggetto della collaborazione

La collaborazione, da esplicitarsi mediante stipula degli specifici accordi scritti e potrà riguardare la

progettazione e la realizzazione di iniziative quali quelle sotto elencate a titolo esemplificativo e non

esaustivo:

a) scambio di informazioni, dati, flussi informativi su materie di reciproco interesse con particolare riguardo

a: diritto al cibo, best practices, politiche alimentari, sviluppo sostenibile, cambiamento climatico e spreco;

b) predisposizione e attuazione di progetti in materia agroalimentare e di cooperazione internazionale;

c) predisposizione di eventi di sensibilizzazione della popolazione italiana e colombiana su argomenti di

reciproco interesse.

Attuazione della collaborazione

Le modalità e i tempi della collaborazione tra il Ministero e il MCFLP verranno successivamente regolati

mediante la stipula di specifici accordi scritti contenenti il regolamento dei rapporti reciproci per

l’attuazione degli obiettivi concordati, declinati al precedente articolo e l’indicazione delle specifiche risorse

da utilizzare

Responsabili dei rapporti istituzionali

………….. indica quale proprio referente e responsabile della presente convenzione …….

Il MCFLP indica quale proprio referente e responsabile dei rapporti istituzionali la Presidente Livia

Pomodoro

Per il MCFLP per il Ministero dell’Agricoltura della Colombia

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Ufficio di rappresentanza: Via Fabio Filzi, 22 – 20124 Milano

Tel. +39(0)2.6765.0211/0148 – Fax +39(0)2.6765.0220

CF 97724640152

e-mail: [email protected]

sito: www.milanfoodlaw.org

Milan Center for Food Law and Policy

Progetto Malnutrizione e assistenza sanitaria

domiciliare

Azioni proposte

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Ufficio di rappresentanza: Via Fabio Filzi, 22 – 20124 Milano

Tel. +39(0)2.6765.0211/0148 – Fax +39(0)2.6765.0220

CF 97724640152

e-mail: [email protected]

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Contesto

Situazione italiana

Assistenza sanitaria domiciliare

Dagli anni novanta in termini di principio, l’assistenza domiciliare nelle sue

diverse connotazioni è stata sempre descritta come uno degli assi portanti

del sistema di intervento.

Il Progetto obiettivo «Tutela della salute degli anziani», stralcio del Piano

sanitario nazionale 1991-1995, indicava l’attivazione dei servizi di

assistenza domiciliare integrata (ADI) come obiettivo prioritario.

I successivi piani sanitari nazionali ribadiscono che l’assistenza territoriale

domiciliare, l’ospedalizzazione domiciliare e l’assistenza domiciliare

programmata e integrata della rete dei medici di medicina generale

rientrano nei Livelli essenziali e uniformi di assistenza, da garantire in

uguale misura e intensità su tutto il territorio nazionale (DPCM

29/11/2001) e confermano che deve essere il distretto a coordinare tutte

le attività extraospedaliere di assistenza sanitaria di base e specialistiche

(erogate con modalità sia residenziali sia intermedie, ambulatoriali e

domiciliari) oltre alle attività di assistenza sanitaria a rilevanza sociale e a

quelle a elevata integrazione sociosanitaria. Viene anche dichiarato che

«l’uso appropriato delle risorse disponibili rende imprescindibile

privilegiare forme di cura domiciliari» e che «la casa è il miglior luogo di

prevenzione, cura e riabilitazione».

Il Piano sanitario nazionale 2003-2005, cita fra gli obiettivi strategici per il

Servizio sanitario nazionale «il corretto dimensionamento dei nodi della

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rete (ospedalizzazione a domicilio, assistenza domiciliare integrata, centri

diurni integrati, residenze sanitarie assistenziali e istituti di riabilitazione)

in accordo con il loro effettivo utilizzo» e nel capitolo che tratta delle cure

palliative dice che «la maggior parte delle regioni ha già provveduto a

definire la programmazione della rete degli interventi di cure palliative,

anche se con modalità tra loro in parte differenti. Molte hanno elaborato

programmi regionali specifici per le cure palliative e altre hanno inserito lo

sviluppo delle cure palliative all’interno del più vasto programma di

riorganizzazione della rete di interventi domiciliari sanitari, sociosanitari e

assistenziali (rete per la cura e assistenza domiciliare). Ciò che emerge è la

necessità di un modello di intervento di cure palliative flessibile e

articolabile in base alle scelte regionali, in grado di garantire in tutto il

paese la risposta ottimale ai bisogni della popolazione, sia a quelli dei

malati che a quelli delle famiglie».

Anche il decreto legislativo 229/99 («Norme per la razionalizzazione del

servizio sanitario nazionale») e i precedenti 502 e 517, non offrono

comunque indicazioni aggiuntive. L’ADI è indicata tra le funzioni e le

risorse garantite dai distretti sociosanitari e le prestazioni domiciliari fra

quelle possibile oggetto dei fondi integrativi del Servizio sanitario

nazionale. La legge 328 dell’8 novembre 2000 («Legge quadro per la

realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali») prevede

che il Fondo nazionale per le politiche sociali determini ogni anno una

quota economica esplicitamente destinata al sostegno domiciliare di

persone anziane non autosufficienti, con particolare riferimento a

«progetti integrati tra assistenza e sanità, realizzati in rete con azioni e

programmi coordinati tra soggetti pubblici e privati, volti a sostenere e a

favorire “l’autonomia delle persone anziane e la loro permanenza

nell’ambiente familiare». Viene definita la priorità delle prestazioni di

aiuto e sostegno domiciliare per persone e famiglie con disabili fisici,

psichici e sensoriali e dello sviluppo di servizi di sollievo «per affiancare

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nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia e, in particolare, i

componenti più impegnati nell’accudimento quotidiano delle persone

bisognose di cure particolari, ovvero per sostituirli nelle stesse

responsabilità di cura durante l’orario di lavoro». Il decreto 229/99 e la

legge 328/00 hanno comunque introdotto modificazioni sostanziali

nell’assetto del sistema sanitario e assistenziale; molte di esse sono

enunciate nell’articolato principale e concretizzate attraverso atti di

indirizzo e decreti attuativi collegati. Il cambiamento si traduce anche in

mutamenti delle relazioni fra i due sistemi e nella stessa terminologia, da

cui consegue una diversa immagine del rapporto fra i servizi domiciliari e

le altre modalità di intervento.

Definizione delle cure domiciliari

Le cure domiciliari consistono in trattamenti medici, infermieristici,

riabilitativi, prestati da personale qualificato per la cura e l’assistenza alle

persone non autosufficienti e in condizioni di fragilità, con patologie in

atto o esiti delle stesse, per stabilizzare il quadro clinico, limitare il declino

funzionale e migliorare la qualità della vita quotidiana. Nell’ambito delle

cure domiciliari integrate risulta fondamentale l’integrazione con i servizi

sociali dei comuni. Il livello di bisogno clinico, funzionale e sociale deve

essere valutato attraverso idonei strumenti che consentano la definizione

del programma assistenziale ed il conseguente impegno di risorse.

Gli obiettivi principali delle cure domiciliari sono:

a) l’assistenza a persone con patologie trattabili a domicilio al fine di

evitare il ricorso inappropriato al ricovero in ospedale o ad altra

struttura residenziale;

b) la continuità assistenziale per i dimessi dalle strutture sanitarie con

necessità di prosecuzione delle cure;

c) il supporto alla famiglia;

d) il recupero delle capacità residue di autonomia e di relazione;

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e) il miglioramento della qualità di vita anche nella fase terminale.

Procedure per l’attivazione delle cure domiciliari

Le regioni adottano indirizzi per disciplinare le procedure di erogazione e

di attivazione delle cure domiciliari.

Aggiornamenti recenti

Il 20 dicembre 2014, è stato presentato il disegno di legge “Introduzione

della figura dell’infermiere di famiglia e disposizioni in materia di

assistenza infermieristica domiciliare” (DDL 1727) che, rispetto alle

precedenti normative, dovrebbe consolidare a livello nazionale l’esistenza

della figura dell’infermiere di famiglia o di comunità. Inviato per analisi alla

Commissione Igiene e Sanità il 4 marzo 2015, il testo è stato proposto alle

Commissioni Affari Costituzionali & Bilancio per un ulteriore valutazione.

Al momento non è prevista una data per la presentazione e discussione in

aula.

Situazione lombarda

La Lombardia è stata la prima regione ha produrre una proposta di legge

che richiamasse le indicazioni offerte dai Piani sanitari vigenti.

Il 4 marzo 2014 è stato presentato il progetto di legge “Assistenza

continua h24 nel distretto sociosanitario” (PDL 143)1. Il documento fa

1

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parte della proposta di riforma sanitaria, approvata con larghe modifiche

l’11 agosto 2015 come “Evoluzione del sistema sociosanitario lombardo”

(legge regionale 11 agosto 2015, n. 23).

L’articolo 10 della riforma istituisce, tra gli stumenti del sistema di cure

primarie, la figura dell’infermiere di famiglia, intesto come elemento

attivo nella prevenzione e nella cura di soggetti affetti da disturbi di salute

cronici. Per l’implementazione di tale strumento, la Regione lombardia ha

stanziato 90 milioni di euro.

Contesto internazionale

Case study: il Nursing Home Service (Scozia)

Tra i paesi i cui sistemi di welfare sono all’avanguardia, è sicuramente da

annoverare la Scozia. A suffragio di tale affermazione, vi sono elementi

concretamente tangibili, specialmente dal punto di vista legislativo: in

primo luogo, il recentissimo Welfare Funds (Scotland) Act, il quale pone

particolare attenzione ai soggetti vulnerabili, che si trovino in situazioni di

emergenza o quando vi sia una minaccia attuale e prossima per loro

salute.

Il Governo scozzese insieme all’ NHS (Scotland’s national Telehealth and

Telecare organization) ha implementato l’articolato quadro legislativo,

attraverso la creazione di servizi quali il Care Information Scotland (CIS),

che offre un servizio telefonico, una webchat e un website al fine di

fornire informazioni su servizi sanitari per le persone che vivono in Scozia.

Sul sito si trovano informazioni su come accedere ai servizi sanitari e vi è

una sezione dedicata (chiamata “Care at home”) , che illustra di quali

servizi si possa usufruire a casa. Essa può comprendere sia servizi sanitari

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che servizi “domestici”, come ad esempio aiuti per la manutenzione della

casa.

Tra i servizi che si possono ricevere a domicilio, sono particolarmente

meritevoli di menzione i seguenti :

• Consegna di pasti a domicilio (“meal services”) : tale servizio viene

erogato tenendo anche conto delle specifiche esigenze alimentari

di coloro che usufruiscono del servizio;

• Assistenza personale e infermieristica (“Personal and nursing care”):

questo tipo di assistenza è pensata per chi ha bisogno di aiuto per

vivere comodamente e in modo sicuro a casa. “Personal care”

include qualsiasi cosa che abbia natura personale :

1. Personal hygiene : igiene personale (bagno, doccia, lavaggio di

capelli, depilazione, igiene orale e cura delle unghie);

2. “Continence management”: aiuto con cateteri, toileting, cura della

pelle, biancheria per incontinenza …);

3. “Food and diet” – Cibo e dieta : aiuto nell’alimentazione,

preparazione del cibo e diete speciali;

4. “Immobility problems” - Problemi di immobilità;

5. Counselling e assistenza psicologica : management

comportamentale, assistenza psicologica e reminding devices;

6. Simple treatments: assistenza per medicazioni, applicazione di

creme e lozioni, semplici fasciature e ossigeno terapia;

7. Personal assistance: aiuto nel vestirsi, dispositivi chirurgici, protesi,

aiuto nell’alzarsi e coricarsi, anche a mezzo di sollevatori.

La c.d. “Nursing care” implica le conoscenze e le capacità di un infermiere

qualificato. Potrebbe includere cure come la somministrazione di iniezioni

o il controllo della pressione e le patologie ad esso connesse.

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Azioni proposte

A partire dalle precedenti informazioni, il Milan Center for Food Law and

Policy propone le seguenti azioni:

- Analisi delle normative regionali italiane

La normativa nazionale prevede che gli indirizzi posti a disciplinare le

procedure di erogazione e di attivazione delle cure domiciliari siano

proposti e adottati direttamente della Regioni.

Come conseguenza, esistono – o dovrebbero esistere – sul suolo nazionale

molteplici modalità di applicazione. La Lombardia ha approvato il proprio

testo di riferimento nell’agosto 2015.

In particolare, merita attenzione il ruolo dell’infermiere di famiglia o di

comunità nella prevenzione dei disturbi derivanti dalla malnutrizione. In

questo senso, appare importante analizzare i percorsi di formazione, gli

strumenti e le procedure messe in atto per tutelare la salute dei soggetti

fragili.

- Analisi delle legislazioni nazionali europee

Il caso scozzese presentato è l’esempio di come la tematica delle cure

domiciliari sia stata affrontata in Europa. Inoltre, presenta un caso

interessante di legislazione regionale specifica.

Una ricerca sullo stato attuale della legislazione e delle policies svilippate a

livello europeo per l’implementazione dei sistemi di cura a domicilio

tramite operatori pubblici (o finanziati dallo Stato) appare come uno

strumento interessante in vista dello sviluppo, a livello regionale italiano,

di normative e strategie locali.

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Ufficio di rappresentanza: Via Fabio Filzi, 22 – 20124 Milano

Tel. +39(0)2.6765.0211/0148 – Fax +39(0)2.6765.0220

CF 97724640152

e-mail: [email protected]

sito: www.milanfoodlaw.org

A questo proposito, il Milan Center si propone di sviluppare un

censimento europeo (con aggiunte extra-europee nel caso emergessero

casi significativi) delle norme, delle policies e delle best practices esistenti.

Al fine di redigere un rapporto che possa, fornendo un esaustivo spaccato,

possa contribuire a dare un quadro chiaro della situazione europea.

- Analisi dei casi internazionali in cui l’assistenza sanitaria

domiciliare è stata implementata.

Sulla scorta delle ricerche proposte precedentemente, il Milan Center

propone di sviluppare una analisi dei risultati ottenuti dalle policies

vigenti, in Italia e in Europa. Tale ricerca ha lo scopo di mettere in risalto le

pratiche che abbiano dato i migliori risultati (le vere e proprie best

practices) e i set di leggi/policies che abbiano favorito uno sviluppo più

efficiente del sistema di cura domiciliare. In particolare, la ricerca

vorrebbe focalizzare la propria attenzione sulla riduzione dei ricoveri

dovuti a disfunzioni alimentari, collegandoli con gli interventi promossi

dalle norme vigenti.

Scopo ultimo è la redazione di un report che contribuisca alla

quantificazione e alla stima dell’effettivo valore del ruolo dell’infermiere

familiare e di comunità nella prevenzione di tali disturbi.

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