Project Relationship Management

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Project Relationship Management: persone e buon senso prima che diagrammi e procedure

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Persone e buon senso prima che diagrammi e procedure

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Project Relationship Management: persone e buon senso prima che diagrammi e procedure

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Se bastasse fare un Gantt...

Il project management moderno ha ormai più di cinquant’anni. Eppure, tutta questa e-sperienza, tutto lo sforzo fatto per trarne insegnamenti generali, metodi e strumenti, sembrano ancora insufficienti e sui progetti si continua a tribolare.

Per lo Standish Group solo il 28% dei progetti in ambito Information Tecnology si conclu-de nel rispetto dei vincoli su costi, tempi e qualità.

Gli esperti si affannano a descrivere le condizioni ideali per la conduzione di un progetto: obiettivi chiari e definiti; conflitti sulle risorse gestiti “sportivamente”, alla luce del sole; rapporti trasparenti e cooperativi tra clienti e fornitori; project manager accompagnati nel-la loro crescita dai colleghi più esperti; uffici di project management dotati di tutte le ri-sorse necessarie e immuni dal feticismo documentale; il tema della qualità e dell’efficacia come priorità assoluta.

Ma la realtà è diversa e i procedimenti descritti nelle liste puntate di certi manuali spesso sono assolutamente inattuabili.

C’è una lezione che possiamo prenderci dal project management di questi cinquanta an-ni: la speranza di ridurre il ruolo di project manager a un seguire procedure e direttive, a un utilizzare check list e tracciare barrette colorate, è destinata a restare un’ingenua illu-sione. Per governare un progetto occorre ben altro.

Un buon project manager non può che essere un buon manager: la competenza tecnica è d’aiuto, ma non è quella chiave.

La perfetta conoscenza di come un progetto dovrebbe andare non serve a nulla, se non si ha chiaro in mente perché, così spesso, tende a non farlo. Le tecniche di gestione vanno applicate ragionando, tenendo sempre conto degli aspetti organizzativi, culturali e rela-zionali, ricordando che ogni progetto è unico.

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Gestire le relazioni, pensando

Spesso la formazione dei project manager è nettamente divisa in due parti che sembrano avere poco a che fare l’una con l’altra. Da un lato c’è l’aspetto “tecnico” della gestione, fatto di metodi quantitativi e di rappresentazioni grafiche sintetiche. Dall’altro c’è quello della gestione relazionale, del quale di solito si parla come di una “arte”.

Questa suddivisione è del tutto artificiosa e ingenera parecchi equivoci. Infatti, di ciò che è “tecnico” spesso si pensa come se potesse essere “automatico”, mentre ciò che è indi-cato come “artistico” per ciò stesso viene considerato estraneo alla sfera razionale e so-vente lasciato alla libera interpretazione e ai buoni sentimenti dei project manager.

Il paradosso è che tanto l’automatismo quanto la fantasia sembrano poco compatibili con la dote essenziale di un buon project manager: il saper ben ragionare.

È perciò che, anche nel proporre un intervento formativo sulla gestione delle relazioni nei progetti, noi da anni abbiamo sentito il bisogno di suggerire un ritorno alla ragione.

Infatti, solo così è possibile sostituire intelligenza emotiva, capacità diplomatica, abilità negoziale e leadership senza autorità al diffuso buonismo che spesso suscita l’ironia e lo scetticismo dei partecipanti.

Ciò non implica affatto che la formazione su questi aspetti debba essere fredda a imper-sonale. La mutua esclusione tra ragione e passione è infatti frutto dello stesso equivoco che ha generato la rigida separazione tra gli aspetti tecnico e artistico.

In questi anni abbiamo avuto modo di condividere con tanti partecipanti l’emozione di scoprirsi capaci di ragionare sul modo in cui le persone sentono, pensano e agiscono e di comprendere conseguentemente come comportarsi per ben gestire le relazioni in conte-sti complicati.

Lo abbiamo fatto rivivendo in aula episodi realmente accaduti, parte del nostro patrimo-nio personale di esperienza, grazie a delle simulazioni. Oppure inducendo i partecipanti a raccontare le loro storie di successo e le loro difficoltà, per condividerne le dinamiche e collocarle in un quadro logico, che permetta di riconoscerle e gestirle meglio la prossima volta.

Per “sentire” e quindi apprendere, non occorre sospendere la facoltà di pensare.

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Progettare la concretezza

La formazione, oggi più che mai, deve dimostrarsi concreta, cioè produrre risultati rapi-damente. Noi crediamo che non si tratti tanto di scegliere le giuste tecniche d’aula, quan-to di progettare interventi che siano coerenti con il contesto in cui vengono attuati. Ciò è vero in particolar modo a proposito delle iniziative sulle soft skill.

Infatti, cosa è e come si fa un digramma di Gantt può essere spiegato quasi ovunque allo stesso modo. Ma già come usare un Gantt allo scopo di raggiungere gli obiettivi del pro-getto dipende fondamentalmente da fattori che possono cambiare anche in modo drasti-co passando da un’azienda all’altra.

A maggior ragione, per esempio, non è possibile parlare di gestione dei rapporti tra le uni-tà organizzative di linea e quelle temporanee che danno vita ai progetti, prescindendo dalle caratteristiche culturali e organizzative della realtà in cui quei progetti si svolgono.

È proprio omettendo di ragionare su questi aspetti che il project management spesso viene trasformato in una macchina per produrre pezzi di carta.

Perciò, insieme ai nostri clienti progettiamo un intervento a partire da casi e problemi del-la loro azienda. Solitamente si tratta di due o tre giorni, durante i quali si chiariscono le logiche organizzative progettuali, si analizzano le cause tipiche delle difficoltà di natura diversa da quella tecnica, si approfondiscono i criteri e i metodi di gestione degli stake-holder, si applicano i principi della comunicazione efficace.

Il tutto viene fatto studiando i casi appositamente preparati, utilizzando sessioni simula-te, costruendo e discutendo autocasi, avvalendosi talora della narrazione di episodi e-semplari, tratti dalla storia di altre aziende ma anche da quella con la S maiuscola, ove possibile con l’uso di contributi filmati e leggendo brani di documenti storici.

Dunque, in termini di metodo, puntiamo al forte coinvolgimento dei partecipanti prima di tutto assicurando la congruenza tra il loro vissuto professionale e l’oggetto dell’intervento, ma senza dimenticare che è l’emozione a fissare il ricordo.

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