Poetry in the morning

189
Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze! Non solo poesie e qualche commento

description

Non solo poesie e qualche commento

Transcript of Poetry in the morning

Page 1: Poetry in the morning

Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze!Non solo poesie e qualche commento

Page 2: Poetry in the morning

2

La poesia, cronaca della vita, scienza (esatta) del presenteI versi non sono evasione, ma un tuffo nella realtà

La poesia, scrive Flaubert, è una scienza esatta, come la geometria. Pubblicare una collana di poesia, per un grande giornale, non significa mettere una rosa su un tavolaccio dove si riversano i sanguinosi, fangosi, eccitati, angosciosi eventi del mondo, dalla cronaca nera alla recessione economica, dalle stragi che sempre avvengono in qualche parte del mondo alle turpitudini e alle virtù di casa nostra. Un giornale, specie un quotidiano, è un romanzo; spesso un romanzaccio della realtà - politica, economica, sociale, morale.Ogni giorno ci dà una fotografia - una radiografia, una risonanza magnetica - della nostra esistenza; una lastra ora più ora meno fedele e veritiera, messa a fuoco o sfuocata, in certi casi pure un fotomontaggio abusivo del reale. La poesia non è un'evasione né tantomeno una sublimazione spiritualeggiante della realtà; è anzi spesso uno dei suoi ritratti più precisi, spietati, autentici. Non è meno realista delle cronache politiche, dei reportages su una guerra o su un'epidemia, delle relazioni sui bilanci e sui deficit. La letteratura - e, nel suo ambito, la poesia in modo particolare - non dà informazioni sui fatti, sulla crisi economica, sulle leggi che regolano i matrimoni, le pensioni o l'assistenza sociale, ma dice come gli uomini vivano tutto questo; dice come i grandi numeri della disoccupazione, del disagio sociale o delle ideologie in crescita o in declino si calino nell'esistenza degli individui, diventino la loro quotidianità, la loro carne e il loro sangue.La poesia dice la verità della realtà più vera, più corposa e concreta: la vita di ogni singolo individuo. Dice come egli ama, soffre, desidera, protesta, spera, incontra o fugge gli altri individui. Se vogliamo capire cosa è stata veramente la storia d'Italia dell'ultimo secolo, non basta sapere cosa hanno fatto Mussolini, De Gasperi o Agnelli; d'Annunzio o Pasolini - per citare a caso due esempi rilevanti - ci fanno toccare con mano cos'è stata questa storia, con le sue trasformazioni e suoi subbugli, nella vita concretissima dei sensi, dei sogni, delle speranze, delle disillusioni degli uomini. «Il grande poeta - dice Eliot - nello scrivere se stesso scrive il suo tempo» - ossia il nostro tempo, se è un contemporaneo, o un'altra stagione della storia, se ha vissuto, scritto e patito in passato. Per conoscere il nostro tempo - per conoscerci, per sapere come abbiamo vissuto o non vissuto, come la Storia si sia intrecciata ai nostri amori, alle nostre pulsioni, ai nostri bisogni intimi e fondamentali - occorre rivolgersi ai poeti.Questi ultimi non sono necessariamente migliori degli altri; spesso sono egocentrici, invidiosi, meschini; le rivalità che si creano intorno a un premio letterario sono spesso più ignobili e miserevoli di quelle per la conquista di un potere economico o politico. I poeti - ha detto uno fra i più grandi di essi, Milosz - hanno spesso un cuore freddo; se scrivono una poesia per la morte di un bambino, rischiano di appassionarsi più per la bellezza dei loro versi che per la morte del bambino pianta in quei versi. Ma, anche grazie a questa selvaggia e irresponsabile soggettività, i poeti fanno i conti più di ogni altro con la nostra pelle, con il fuoco e la follia latenti nella realtà quotidiana apparentemente normale; rubano e diffondono la fiamma di tante verità umane insostenibili e perciò spesso soffocate dalle istituzioni della vita organizzata. La poesia dice il fondo della vita - come, secondo Saba, lo dicono gli animali - e assume su di sé, nella realtà concreta delle reazioni epidermiche e delle brucianti nostalgie, le contraddizioni della propria epoca.Pubblicando una collana di poesia, un grande giornale non offre un delicato dessert o digestivo che compensi il cibo troppo robustoso e forte dell'informazione politica o economica, ma assolve al suo compito primo, che è appunto quello dell'informazione. Un'informazione che sarebbe carente se trascurasse quella realtà di sogni, pulsioni, sfide, smarrimenti che sono di tutti e che la poesia esprime per tutti. La vita di un poeta è quella di tutti, diceva Gérard de Nerval; è doveroso offrirla a quei tutti - almeno potenziali - che sono i lettori. Anche i giornali hanno bisogno, per svolgere con precisione e dunque con onestà il loro lavoro, della poesia: nessuno come il poeta, dice Rilke, odia l'approssimativo.

Claudio Magris - Corriere della Sera, 27 dicembre 2011

Page 3: Poetry in the morning

3

Inizio questa antologia con la mia amata Alda Merini. Tutto comincia con un foglio bianco, con “la dismisura dell’anima” che un foglio bianco annuncia.

I fogli bianchi sono la dismisura dell’animae io su questo sapore agrodolcevorrò un giorno morire,perché il foglio bianco è violento.Violento come una bandiera,una voragine di fuoco,e così io mi compongolettera su lettera all’infinitoaffinché uno mi leggama nessuno impari nullaperché la vita è sorso, e sorsodi vita i fogli bianchidismisura dell’anima.

Alda Merini. In “Fogli bianchi. 23 inediti”.

Page 4: Poetry in the morning

4

Ringrazio Chiara per questa immensa poesia di Rilke.

Il tempo è come l’orlo seccod’una foglia di faggio.E’ la splendida vesteche Dio scagliò lontanoquando, eterno abisso,si stancò di volaree si nascose agli annifinché, come radici, spuntaronoin ogni cosa i suoi capelli.

Rainer Maria Rilke. In “Libro d’ore”.

Page 5: Poetry in the morning

5

Ci sono anime...

Ci sono anime che hannostelle azzurre,mattini secchitra le foglie del tempoe angoli castiche conservano un vecchiorumore di nostalgiae di sogni.Altre anime hannodolenti spettridi passioni. Fruttacon vermi. Echidi una voce bruciatache viene da lontanocome una corrented'ombre. Ricordivuoti di piantoe briciole di baci.La mia anima è maturada molto tempoe si sgretolapiena di mistero.Pietre giovanilirose dal sognocadono sull'acquadei miei pensieri.Ogni pietra dice:«Dio è molto lontano!»

Federico Garcia Lorca, 8 febbraio 1920

Page 6: Poetry in the morning

6

Dopo l’insperato successo(!) della nuova rubrica di poesie ho pensato di dare un titolo alla stramba antologia che verrà. Il titolo lo prendo da un racconto di Bukowski “Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze”, come la cosa sia andata è faccenda nota!

Nella prossima occasione sarà doveroso ricordare il “compagno di sbronze”, ce n’è una che mi torna in mente.

Arrivederci fratello mare

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venutiarrivederci fratello maremi porto un po' della tua ghiaiaun po' del tuo sale azzurroun po' della tua infinitàe un pochino della tua lucee della tua infelicità.Ci hai saputo dir molte cosesul tuo destino di mareeccoci con un po' più di speranzaeccoci con un po' più di saggezzae ce ne andiamo come siamo venutiarrivederci fratello mare.

Nazim Hikmet, In “Poesie d’amore”

Page 7: Poetry in the morning

7

la tragedia delle foglie

mi destai alla siccità e le felci erano morte,le piante in vaso gialle come grano;la mia donna era sparitae i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuotemi cingevano con la loro inutilità;c'era ancora un bel sole, però,e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldoe senza pretese; ora quello che ci volevaera un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzaresull'assurdità del dolore; il dolore è assurdoperché esiste, solo per questo;sbarbai accuratamente con un vecchio rasoiol'uomo che un tempo era stato giovane e,così dicevano, geniale; maquesta è la tragedia delle foglie,le felci morte, le piante morte;ed entrai in una sala buiadove stava la padrona di casainsultante e ultimativa,mandandomi all'inferno,mulinando i braccioni sudatie strillandostrillando che voleva i soldi dell'affittoperché il mondo ci aveva traditotutt’e due.

Charles Bukowski. In “It Catches My Heart in Its Hands (Poems 1955-1963)”

Page 8: Poetry in the morning

8

Dopo la poesia di Bukowski era inevitabile soffermarsi almeno una volta sulle foglie. Fin da Omero le foglie sono un tòpos  nella poesia (Quale delle foglie, | tale è la stirpe degli umani. Il vento | brumal le sparge a terra, e le ricrea | la germogliante selva a primavera, Libro VI, Iliade), per non dire di Mimnermo, Simonide, solo per citare i classici… e Leopardi, fino a Hikmet, Ungaretti e Prevert. Chissà perché i poeti hanno questo rapporto con le foglie? Forse perché dotati di quegli “esili acuminati sensi” di cui parlava Zanzotto, non possono fare a meno di sentirne l’urlo…. Oggi però la foglia non è di quelle cadenti, resta attaccata.

La foglia

Io sono come quella foglia - guarda - sul nudo ramo, che un prodigio ancoratiene attaccata.

Negami dunque. Non ne sia rattristatala bella età che a un'ansia ti colora,e per me a slanci infantili s'attarda.

Dimmi tu addio, se a me dirlo non riesce.Morire è nulla; perderti è difficile.

Umberto Saba, 1942. In “Il canzoniere”

Page 9: Poetry in the morning

9

Per la morte di George, la tartaruga gigante delle Galapagos, da tempo ormai ultimo esemplare della sua specie.

Ha una sua solitudine lo spazio,solitudine il maree solitudine la morte - eppuretutte queste son follain confronto a quel punto più profondo,segretezza polare,che è un’anima al cospetto di se stessa:infinità finita.

Emily Dickinson, 1855.

Page 10: Poetry in the morning

10

Esistere psichicamente

Da questa artificiosa terra-carneesili acuminati sensie sussulti e silenzi,da questa bava di vicende- soli che urtarono fili di cigliaariste appena sfrangiate pei colli -da questo lungo attimoinghiottito da nevi, inghiottito dal vento,da tutto questo che non fuprimavera non luglio non autunnoma solo egro spiraglioma solo psiche,da tutto questo che non è nullaed è tutto ciò ch'io sono:tale la verità geme a se stessa,si vuole pomo che gonfia ed infradicia.Chiarore acido che tessii bruciori d'infernodegli atomi e il conatotorbido d'alghe e vermi,chiarore-uovoche nel morente muco fai parolee amori.

Andrea Zanzotto. In “Vocativo”, 1957

Page 11: Poetry in the morning

11

In questa antologia ci saranno anche inediti. Saranno pochi, Vincenzo Errico è tra questi. I versi di questa sua poesia, che evocano il gatto di Poe,  grondano di sacrificale “spirito”, fin dal titolo.

alcool, alcool, alcool

A compiere il rito digestivo dopo cena,ci sedemmo, io e mia madre, fuori casaa prendere il fresco della sera,aspettare parole che sarebbero venutesulla vita, le cose, le persone,figli lontani, quelli degli altri che crescono,chi muore, si sposae chi lavora lì o per niente ovunque.In tutto questo un gatto nero pancia all’aria,da due giorni nel campo accanto casa,cominciava a puzzare di morto animale avvelenatoo ferito da ruote di macchina assassina.Aveva trovato il posto per sdraiarsi e andare.E come fare per non sentirlo più nel suo esser morto?Quattro fascine di bouganville, rami secchi tagliati a Pasquasono stati il suo rogo, la sua funebre pira.Ma il fiammifero non si accendeva, vecchio,accennava una fiamma che poi moriva anch’essa.Pensavo d’aver fatto bene, tra le vampe,insieme al mio amico d’infanzia, passato lìe tirato con supplica nel rito nauseabondo.La pratica amicizia cresciuta in mille fattiil silenzio accarezzava.Non è bastato il fuoco a ceneriree allora alcool alcool alcool,ma di seppellire non se ne parlava.Stanotte mi svegliai di brutto per un sogno:un mostro si accaniva su di me…e il gatto che ardeva ieri sera?

Vincenzo Errico. In Taccuino blu.

Andrea... oddio, un altro che ha fatto del taccuino blu un feticcio.

Ioperché, anche il tuo taccuino è blu? ;-)

Andreano, la maggior parte dei miei hanno la copertina nera, ma illo deve essere un'altro seguace di Auster...

Page 12: Poetry in the morning

12

Siamo in un teatro popolare, è in scena una versione dell’Otello di Shakespeare. Jago-Totò mette in atto il suo ruolo nel falso tradimento di Desdemona con Cassio. Il pubblico non gradisce l’esito tragico della storia che prevede l’assassinio di Desdemona da parte di Otello, gli spettatori salgono sul palcoscenico, uccidono Jago e Otello e portano in trionfo Desdemona e Cassio. I due attori-marionette (Jago e Otello) saranno buttati nel camion della spazzatura, poi nella discarica, accompagnati dal canto di Domenico Modugno. Jago e Otello, tra i rifiuti, guardano sopra di loro le nuvole e “la straziante meravigliosa bellezza del creato”.

Che cosa sono le nuvole?

Ch'io possa esser dannato se non ti amo. E se così non fosse non capirei più niente. Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo lo soffia il cielo... così.

Ah! Malerba soavemente delicata di un profumo che dà gli spasimi! Ah! ah! tu non fossi mai nata! Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo lo soffia il cielo... così

Il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro, ma il derubato che piange ruba qualcosa a se stesso. Perciò io mi dico finché sorriderò tu non sarai perduta.

Ma queste son parole e non ho mai sentito che un cuore, un cuore affranto si cura con l'udito. Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo lo soffia il cielo... così.

Testo di Pier Paolo Pasolini. Musica di Domenico Modugno

Page 13: Poetry in the morning

13

Qualcuno, forse Shakespeare, diceva che il poeta è colui che fa notare cose che tutti vedono senza notare. Spesso quello che non si nota è il rimosso e il poeta è colui che, a volte brutalmente, mette di fronte al rimosso. E’ il caso di stamattina e della poesia che avevo in mente, di Pavese, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, poi il rimosso ha vinto, ma appena un po’ e ho scelto Pessoa che da giusta voce alla menzogna che è necessaria per fronteggiare la verità.

Il poeta è un fingitore.Finge così completamenteche arriva a fingere che è doloreil dolore che davvero sente.

E quanti leggono ciò che scrive,nel dolore letto sentono proprionon i due che egli ha provato,ma solo quello che essi non hanno.

E così sui binari in tondogira, illudendo la ragione,questo trenino a mollache si chiama cuore.

Fernando Pessoa, Autopsicografia, 1931. In “Una sola moltitudine”.

Page 14: Poetry in the morning

14

I versi di oggi potrebbero celebrare solennemente l’apertura di una conferenza mondiale sulla terra, un Rio+20 moderato da poeti! Una dichiarazione d’amore immensa questa poesia che non potresti dire se indirizzata a una donna o alla madre terra e già chiederselo significa perderne il significato.

Scritto con inchiostro verde

L'inchiostro verde crea giardini, selve, prati,fogliami dove cantano le lettere,parole che son alberi,frasi che son verdi costellazioni.

Lascia che le parole mie scendano e ti ricopranocome una pioggia di foglie su un campo di neve,come la statua l'edera,come l'inchiostro questo foglio.Braccia, cintura, collo, seno,la fronte pura come il mare,la nuca di bosco in autunno,i denti che mordono un filo d'erba.

Segni verdi costellano il tuo corpocome il corpo dell'albero le gemme.Non t'importi di tante piccole cicatrici luminose:guarda il cielo e il suo verde tatuaggio di stelle.

Octavio Paz

Page 15: Poetry in the morning

15

Mi soffermo ancora una volta sulle calde note messicane di Paz.

Due corpi

Due corpi, uno di fronte all'altro,sono a volte due ondee la notte è oceano.

Due corpi, uno di fronte all'altro,sono a volte due pietree la notte deserto.

Due corpi, uno di fronte all'altro,sono a volte radicinella notte intrecciate.

Due corpi, uno di fronte all'altro,sono a volte coltellie la notte lampo.

Octavio Paz

Page 16: Poetry in the morning

16

Lingua e dialettu

Un populumittitulu a catinaspugghiatuluattuppatici a vucca,è ancora libiru.

Livatici u travagghiuu passaportua tavola unni manciau lettu unni dormiè ancora riccu.

Un populu,diventa poviru e servuquannu ci arribbanu a linguaaddutata di patri:è persu pi sempri.

Diventa poviru e servuquannu i paroli non figghianu parolie si manciunu tra d'iddi.

Minn'addugnu ora,mentri accordu a chitarra du dialettuca perdi na corda lu jornu.

Mentri arripezzua tila camulatachi tesseru i nostri avicu lana di pecuri sicilianie sugnu poviruhaiu i dinarie non li pozzu spènniri,

i giuiellie non li pozzu rigalari;u cantu,nta gaggiacu l'ali tagghati

U poviru,c'addatta nte minni strippida matri putativa,chi u chiama figghiu pi nciuria.

Nuàtri l'avevamu a matri,nni l'arrubbaru;aveva i minni a funtani di lattie ci vippiru tutti,

Lingua e dialetto

Un popolomettetelo in catenespogliatelotappategli la boccaè ancora libero.

Levategli il lavoroil passaportola tavola dove mangiail letto dove dorme,è ancora ricco.

Un popolodiventa povero e servoquando gli rubano la linguaricevuta dai padri:è perso per sempre.

Diventa povero e servoquando le parole non figliano parolee si mangiano tra di loro.

Me ne accorgo ora,mentre accordo la chitarra del dialettoche perde una corda al giorno.

Mentre rappezzola tela tarmatache tesserono i nostri avicon lana di pecore siciliane.E sono povero:ho i danarie non li posso spendere;

i gioiellie non li posso regalare;il cantonella gabbiacon le ali tagliate.

Un poveroche allatta dalle mammelle aridedella madre putativa,che lo chiama figlio per scherno.

Noialtri l’avevamo, la madre,ce la rubarono;aveva le mammelle a fontana di lattee ci bevvero tutti,

Page 17: Poetry in the morning

17

ora ci sputanu.

Nni ristò a vuci d'idda,a cadenza,a nota vasciadu sonu e du lamentu:chissi non nni ponnu rubari.

Nni ristò a sumigghianza,l'annatura,i gesti,i lampi nta l'occhi:chissi non ni ponnu rubari.

Non nni ponnu rubari,ma ristamu povirie orfani u stissu.

Ignazio Buttitta, 1970

ora ci sputano.

Ci restò la voce di lei,la cadenza,la nota bassadel suono e del lamento:queste non ce le possono rubare.

Ci restò la somiglianza,l’andatura,i gesti, la luce negli occhi:questi non ce li possono rubare.

Non ce le possono rubare,ma restiamo poverie orfani lo stesso.

Page 18: Poetry in the morning

18

Sandro Penna è stato il cantore della bellezza dei fanciulli. Le sue poesie sono spesso rapide quartine, a volte hanno meno versi, a volte di più. Sono piccoli bagliori di luce nel buio, appena sufficienti per scorgere quello che c’è intorno, per non esserne sopraffatti. Tutta la poesia di Penna può essere letta come una variazione di quel “Godi, fanciullo mio; stato soave, / Stagion lieta è cotesta. / Altro dirti non vo'; ma la tua festa / Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.”

Esco dal mio lavoro tutto pienodi aride parole. Ma al cancellohanno posto gli dèi per la mia gioiaun fanciullo che giuoca con la noia.

***

Le stelle sono immobili nel cielo.L'ora d'estate è uguale a un'altra estate.Ma il fanciullo che avanti a te camminase non lo chiami non sarà più quello ...

***

Ecco il fanciullo acquatico e felice.Ecco il fanciullo gravido di lucepiù limpido del verso che lo dice.Dolce stagione di silenzio e solee questa festa di parole in me.

Sandro Penna

Page 19: Poetry in the morning

19

Di un rapido bagliore di luce dicevo ieri a proposito della poesia di Penna, l’autore di oggi il suo cerino l’ha tenuto acceso appena un po’ più a lungo, quanto era sufficiente per vedere cosa si celava dietro quella bellezza che estasiava Penna.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhiquesta morte che ci accompagnadal mattino alla sera, insonne,sorda, come un vecchio rimorsoo un vizio assurdo. I tuoi occhisaranno una vana parola,un grido taciuto, un silenzio.Così li vedi ogni mattinaquando su te sola ti pieghinello specchio. O cara speranza,quel giorno sapremo anche noiche sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.Sarà come smettere un vizio,come vedere nello specchioriemergere un viso morto,come ascoltare un labbro chiuso.Scenderemo nel gorgo muti.

Cesare Pavese, 1951.

Page 20: Poetry in the morning

20

Ci sono canzoni che vengono direttamente dalla poesia, questa è una di quelle…

Siamo di fronte all’immenso sagrato di una chiesa vuota, sugli scalini una sterminata moltitudine di mendicanti di giorni e bellezza. Un disperato interrogarsi di cosa metta insieme questa moltitudine. Davanti a questo interrogarsi “persino il Padreterno da così lontano guardando quell'inferno dovrà benedire” un’umanità senza giudizio, che la felicità è un accidente. Uno sguardo colmo di pietas quello di Chico Buarque de Hollanda e di Ivano Fossati in questa canzone che per me è una delle più belle mai scritte, impreziosita dalla magnifica interpretazione di Fiorella Mannoia. Come per le canzoni di Mimì è difficile, dopo averle ascoltate da loro, immaginarle cantate da altri.

Ah che sarà

Ah, che sarà, che saràche vanno sospirando nelle alcoveche vanno sussurrando in versi e strofeche vanno combinando in fondo al buioche gira nelle teste, nelle paroleche accende le candele nelle processioniche va parlando forte nei portonie grida nei mercati che con certezzasta nella natura nella bellezzaquel che non ha ragionené mai ce l'avràquel che non ha rimedioné mai ce l'avràquel che non ha misura.

Ah, che sarà, che saràche vive nell'idea di questi amantiche cantano i poeti più delirantiche giurano i profeti ubriacatiche sta sul cammino dei mutilatie nella fantasia degli infeliciche sta nel dai-e-dai delle meretricinel piano derelitto dei banditi.

Ah, che sarà, che saràquel che non ha decenzané mai ce l'avràquel che non ha censurané mai ce l'avràquel che non ha ragione.

Ah che sarà, che saràche tutti i loro avvisi non potranno evitareche tutte le risate andranno a sfidareche tutte le campane andranno a cantaree tutti gli inni insieme a consacraree tutti i figli insieme a purificaree i nostri destini ad incontrarepersino il Padreterno da così lontanoguardando quell'inferno dovrà benedirequel che non ha governoné mai ce l'avràquel che non ha vergognané mai ce l'avràquel che non ha giudizio.

Chico Buarque de Hollanda, Ivano Fossati, 1989.

Page 21: Poetry in the morning

21

Il silenzio va ascoltato. Edgar Lee Masters sapeva ascoltare il silenzio, lui che scrisse il suo poema umano sulla collina silenziosa di una piccola comunità dove gli abitanti riposavano. Di quella piccola comunità silenziosa fece specchio del destino universale e Spoon River divenne la storia di tutti e di sempre. E’ dei poeti “avere l’infinito nel palmo della mano”, come disse il visionario Blake. Un'altra grande anima diede voce al silenzio di quella collina riecheggiando quartine di Khayyam e il suonatore Jones divenne il mistico ubriaco di vino e santità che chiede al mercante di liquori "tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?"

La poesia di oggi è compendio e summa dell’Antologia di Spoon River dove l’urgenza della parola serve solo a dare voce al silenzio.

Il silenzio

Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del maree il silenzio della città quando si placae il silenzio di un uomo e di una verginee il silenzio con cui soltanto la musica trova linguaggio.Il silenzio dei boschiprima che sorga il vento di primaverae il silenzio dei malati quando girano gli occhi per la stanza,e chiedo per le cose profonde a che serve il linguaggio.

Un animale nei campi geme una o due voltequando la morte coglie i suoi piccoli;noi siamo senza voce di fronte alla realtà.Noi non sappiamo parlare.

Un ragazzo curioso domanda a un vecchio soldatoseduto davanti la drogheriaCome hai perduto la gamba?e il vecchio soldato è colpito di silenzio e poi gli diceMe l’ha mangiata un orso.E il ragazzo stupisce,mentre il vecchio soldato, muto,rivive come in sognole vampe dei fuciliil tuono del cannonele grida dei colpiti a mortee sé stesso disteso al suoloi chirurghi dell’ospedalei ferrii lunghi giorni di letto.Ma se sapesse descrivere ogni cosa sarebbe un artista,ma se fosse un artistavi sarebbero ferite più profondeche non saprebbe descrivere.

C’è il silenzio di un grande odioe il silenzio di un grande amoree il silenzio di una profonda pace dell’animae il silenzio di un’amicizia avvelenata.

Page 22: Poetry in the morning

22

C’è il silenzio di una crisi spiritualeattraverso la quale l’anima, sottilmente tormentata,giunge con visioni inesprimibiliin un regno di vita più alta,e il silenzio degli dèi che si capiscono senza parlare.C’è il silenzio della sconfittac’è il silenzio di coloro che sono ingiustamente punitie il silenzio del morente, la cui mano stringe subitamente la vostra.C’è il silenzio tra padre e figlio,quando il padre non sa spiegare la sua vita, sebbene in tal modonon trovi giustizia.C’è il silenzio che interviene fra il marito e la mogliec’è il silenzio dei fallitie il vasto silenzio che copre le nazioni disfatte e i condottieri vinti.C’è il silenzio di Lincoln, che pensa alla povertà della sua giovinezzae il silenzio di Napoleone dopo Waterlooe il silenzio di Giovanna d’Arcoche dice tra le fiammeGesù benedettorivelando in due parole ogni dolore, ogni speranza.C’è il silenzio dei vecchi,troppo carichi di saggezzaperché la lingua possa esprimerlain parole intelligibilia coloro che non hanno vissuto la grande parabola della vita.

E c’è il silenzio dei morti.Se noi che siamo vivi non sappiamo parlare di profonde esperienze,perché vi stupite che i morti non vi parlino della morte?Quando li avremo raggiuntiil loro silenzio avrà spiegazione.

Edgar Lee Masters.

Page 23: Poetry in the morning

23

Andrea

“Bè, è proprio il caso di abbassare il livello con una risposta improntata alla cultura pop, trattasi di una canzone uscita come singolo nel 1990 cioè circa 75 anni dopo la pubblicazione dello sforzo di E.L. Masters... anche qui il tema è il silenzio, o meglio, le parole a che servono?” Non sono d’accordo che la proposta di Andrea abbassi “livello”!

Enjoy the silence

Words like violenceBreak the silenceCome crashing inInto my little worldPainful to mePierce right through meCan't you understandOh my little girl

All I ever wantedAll I ever neededIs here in my armsWords are very unnecessaryThey can only do harm

Vows are spokenTo be brokenFeelings are intenseWords are trivialPleasures remainSo does the painWords are meaninglessAnd forgettable

All I ever wantedAll I ever neededIs here in my armsWords are very unnecessaryThey can only do harm

Enjoy the silence

Martin Gore, Depeche Mode, In "Violator", 1990.

Page 24: Poetry in the morning

24

Dedicata a Giorgio M., sicuramente Giorgio Manganelli che di Alda Merini fu mentore e, forse, amante. Entrambi ricevettero le tavole della legge dal monte Sinai del manicomio, entrambi furono battezzati “in una pozza di acqua infetta”. Non aveva nulla di divino la loro follia ma gli riservò l’amaro privilegio di vedere nel fondo “di una legge agli uomini sconosciuta”.

a Giorgio M.

Rattratta contro un muro,un giorno una povera vecchiami ha svelato il mistero della vita.Se tu sapessi come è pallido il cantodei grandi poeti!Vanno e vengono confusi nel tuttoe latrano invano…Somigliano a una muta di canialla periferia della terradove siringhe e odorisconfiggono il male oscuroe cadono ai piedi del mondocome eroi prigionieri.

Alda Merini. In "Ballate non pagate", 1995.

Page 25: Poetry in the morning

25

Dopo essere stato per qualche giorno nel mio Salento vi saluto con i versi di Vittorio Bodini, cantore di un sud quasi mitologico per chi non vi è nato. Poco noto Bodini, purtroppo. “Tu non conosci il Sud, le case di calce / da cui uscivamo al sole come numeri / dalla faccia d'un dado.” (Da Foglie di Tabacco 1945-47) Quel tu non conosci di apertura riecheggia un altro verso di maggior notorietà “Tu non ricordi la casa dei doganieri” scriveva Montale qualche anno prima. Anche in La casa dei doganieri ci sono dadi e se per il poeta di Genova “il calcolo dei dadi più non torna” per il poeta di Lecce i numeri dei dadi siamo noi stessi. E’ il Sud quel varco di cui Montale parla? Azzardato il mio nesso forse, o forse no. Non è mitologico un sud dove per un sole atroce le foglie cadute s’accartocciano più in fretta che altrove, le stradine hanno crepe come linee delle mani e la gente vive nella memoria di antichi dei e alla loro ombra.

Qui non vorrei vivere dove viveremi tocca, mio paese,così sgradito da doverti amare;lento piano dove la luce paredi carne crudae il nespolo va e viene fra noi e l'inverno.

Pigrocome una mezzaluna nel sole di maggio,la tazza di caffè, le parole perdute,vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:divento ulivo e ruota d'un lento carro,siepe di fichi d'India, terra amaradove cresce il tabacco.Ma tu, mortale e torbida, così mia,così sola,dici che non è vero, che non è tutto.Triste invidia di vivere,in tutta questa pianuranon c'è un ramo su cui tu voglia posarti.

Vittorio Bodini. In La luna dei Borboni

Page 26: Poetry in the morning

26

Mi trattengo ancora qualche giorno su Bodini. I pomodori secchi fanno parte dei punti cardinali del Salento, insieme alle olive, l’uva, un tempo le foglie di tabacco e altri tesori. I pomodori secchi mi sono particolarmente cari perché con il loro impasto si fa una salsa da spalmare, sapore leggermente acido e decisamente sapido. Solitamente si mette un po’ di peperoncino piccante nell’impasto e allora quella salsa si trasforma, per un prodigio della lingua, in “salsa amara”.

Dovreste vederle quelle distese di pomodori a seccare al sole, spaccati a metà e stesi sulle tavole appoggiate sui tufi, campi di papaveri immobili che a tratti sembra sangue rappreso.

I pomodori secchiattaccati a uno spagoe le donne dai cuori di cicoria.I pomodori secchi e i datteri gialli,e le donne che colgono le olivefra gli olivastri, con la bocca viola;tutto è univoco e perso a furia d'esistere.

Dove hai nascosto, cielo, l'altra ipotesi?Quale parte è la nostra?Non saremo null'altroche rozzi testimoni di questo esistere?

Vittorio Bodini. In Inediti (1954-1961)

Page 27: Poetry in the morning

27

http://www.youtube.com/watch?v=pu_5YV24Qmo

“s’ode un canto dai campi di tabacco”. Ho fatto in tempo ad ascoltarli quei canti dai campi, ero piccolo e ancora oggi mentre cammino per i campi li sento risuonare nelle mie orecchie. La mia non è rievocazione è continuo andare e venire da me a me. Il mio paesino è ancora più a sud di quelli nominati nel filmato, si spinge ancora più a sud. I canti nei campi sono quasi sempre canti di donne, perché contrariamente a quanto potrete trovare negli studi sociologici o etnografici le società del sud sono società matriarcali, lo sono sempre state e ai poveri uomini, bambini inconsolabili, non resta che continuare a credere di essere i capo-famiglia. “Le antiche donne”, con le loro mani “aperte pietre sui grembi”, hanno sempre saputo di dover celare con cura questo segreto agli uomini, troppo fragili per poterlo sopportare.

Una funesta mano con languore dai tettivisita i forni spenti, le stalle in cui si destauna lanterna o voce impolverata.Come da un astro prossimo a morires'ode un canto dai campi di tabacco.Sulle soglie, in ascolto, le antiche donne sedute- o macchie che la luna ripercuote nell'aria socchiudono pupille d'una astratta durezzadai palmi delle mani, aperte pietre sui grembi.

Vittorio Bodini. In Foglie di tabacco (1945-47)

Page 28: Poetry in the morning

28

Questa non è di Bodini, anzi l’autore mi assicura di averla scritta prima di conoscere le poesie di Bodini, conoscenza avvenuta piuttosto recentemente, purtroppo.

Solo una piccola introduzione. Dalle mie parti è un’arte antica quella degli artigiani che intrecciano canne, vimini, giunchi, rami di lentisco, di mirto, di olivastro... Si realizzano canestri, ceste, sporte, nasse per la pesca... Sono pochi ormai quelli che conservano quest’arte. Passeggiando per le viuzze di Gallipoli trovi qualche anziano intento a intrecciare nasse di giunchi. Nei paesi del Capo di Santa Maria di Leuca c’è ancora una produzione artigianale di ceste e altri oggetti. Ricordo quando ero bambino al mare dai miei nonni c’era un signore, si chiamava Cosimo, come mio nonno, e tutti i pomeriggi intagliava e intrecciava canne e vimini per fare rivestimenti per le damigiane, vassoi, fiaschi… Per me era un incanto vedere quelle dita muoversi come aghi a cucire quei fili spessi intorno al niente che piano piano prendeva forma. Molto tempo dopo ho capito che quell’attività non era una semplice realizzazione di oggetti, era qualcosa di molto più complesso. In quell’intreccio intorno al niente c’era e c’è la tessitura di una vita.

All'ombra degli ulivi cuciamo scampoli di giorni,vendiamo stracci e memoriea costi di fabbrica prossima alla chiusura.

Qui, nei pomeriggi caldi,intrecciamo parole e destinicon giunchi secchi, cannee rami di vimini.

Le nostre vitesono discorsi interrotti ad arteall'ombra degli ulivi.

Page 29: Poetry in the morning

29

Più di qualcuno ha apprezzato “l’urgenza della parola per celebrare l’apoteosi del silenzio”, era una nota scritta nel mio taccuino dopo aver letto la Trilogia di Beckett, lettura faticosissima, come scalare una vetta e trovarsi su una montagna di polvere. Tutta l’opera di questo gigante del 900 è questo per me, “l’urgenza della parola per celebrare l’apoteosi del silenzio”. La vita stessa una pausa tra due immensi silenzi, pausa fatta di parole “…bisogna dire delle parole, intanto che ci sono, bisogna dirle, fino a quando esse non mi trovino…” (In L’innominabile, 1953). Bisogna dirle le parole per abitarle, in silenzio. Se posso usare un’immagine, sempre che un’immagine possa descrivere Beckett, è quella di una noce sospesa nel vuoto, un guscio di parole che chiude il silenzio, immerso in un silenzio abissale. Beckett sembra più interessato al silenzio abissale… Una pausa tra due silenzi ed essere sottratti al primo silenzio è il supremo delitto del quale non si da redenzione, neanche con il secondo.Da qualche parte ho letto, o forse l’ho scritto io stesso ma non ricordo più, che il silenzio è l’unico posto dove incontrare sé stessi, forse è dal terrore che questo incontro avvenga che nasce l’orrore del silenzio cui oggi assistiamo… ormai i posti dove poter stare in silenzio sono oltre quota 2000 o in campagna sopra i 40° tra un frinito e l’altro delle cicale. “Tacere e ascoltare, neanche uno su cento ne è capace, non sa neppure cosa significhi. Eppure è allora che, al di là dell’assurdo frastuono, si può distinguere il silenzio di cui è fatto l’universo.” (In Malloy, 1951).

Silenzio

Musica dell'indifferenzacuore tempo aria fuoco sabbiadel silenzio frana d'erroricopri le loro voci ch'ionon mi senta piùtacere.

Samuel Beckett

Page 30: Poetry in the morning

30

L’amore, si sa, è il soggetto da sempre più cantato nella poesia. “Eros mi scuote la mente / come il vento sui monti gli alberi invade” scriveva Saffo nella sua isola. Cosa non farebbero gli innamorati per amore? In difesa del proprio amore gli innamorati chiamerebbero a raccolta tutti gli dèi dell’universo, innalzerebbero templi in una notte per distruggerli alle prime luci dell’alba, ingannerebbero la morte per incatenarla negli abissi marini, lotterebbero disarmati contro legioni di demoni, farebbero questo e altro… ma quando è troppo è troppo!

Io ti amo

Io ti amoe se non ti bastaruberò le stelle al cieloper farne ghirlandae il cielo vuotonon si lamenterà di ciò che ha persoche la tua bellezza solariempirà l'universo

Io ti amoe se non ti bastavuoterò il maree tutte le perle verrò a portaredavanti a tee il mare non piangeràdi questo sgarboche onde a mille, e sirenenon hanno l'incantodi un solo tuo sguardo

Io ti amoe se non ti bastasolleverò i vulcanie il loro fuoco metterònelle tue mani, e sarà ghiaccioper il bruciare delle mie passioni

Io ti amoe se non ti bastaanche le nuvole cattureròe te le porterò domatee su te piover dovrannoquando d'estateper il caldo non dormiE se non ti bastaperché il tempo si fermifermerò i pianeti in voloe se non ti bastavaffanculo.

Stefano Benni.

Page 31: Poetry in the morning

31

Di chi parla questa poesia di Evtusenko? Degli illuminati? Dei saggi? Dei matti? O forse dei poeti? C’è davvero differenza tra questi “partecipi di una suprema conoscenza”? Se questa poesia non facesse parte di una raccolta di poesie d’amore potremmo non capire che parla degli amanti, di coloro che amano. E cosa sono gli amanti se non illuminati, saggi, matti e forse poeti? Coloro che amano vivono uno stato di alterazione dell’anima, alterazione nel senso di alter, altro, diverso. Uno stato alterato dell’anima, uno stato in cui vi è assenza di inganno che sembra inganno, mentre quello che era inganno non si mostra tale.

Piccola divagazione. Alterazione, la valenza negativa del termine è nel timore dell’altro. L’etimo della parola non rivela alcuna accezione negativa che non sia una lettura disinvolta di un principio di per sé equivoco, il principio di identità di Aristotele, un principio che molti dicono di logica ma che in molte occasioni appare di comodo.

Sono meravigliosi i primi incanti.Pericolosi come le ferite...Ma non ha importanza - Al di sopra del tran trannoi, partecipi di una suprema conoscenza,siamo salvati da una beata cecità.

E non temendo di incespicare,sciocchi, dal punto di vista dei vedenti,portiamo volti incantatitra la folla disincantata.

Dal quotidiano, dai tornaconti della vita,dai pallidi scettici, dai rosei opportunisti,qualcosa che brilla ci attira lontano,trasfigurando coi riflessi il mondo.

Ma l'inesorabilità dei disincantici apre gli occhi. Da ogni lato,di colpo, acquista i contorniquanto, prima d'allora, ignoto a noi.

Il mondo che ci appare non riluce, non è offuscato,né è illuminato da nulla di particolare,ma questa assenza di inganno, sembra ingannoe quello che era tale, non lo pare.

Non la capacità d'essere ultrasapiente drago,né il dubbio onore dell'esperienza,ma la proprietà d'essere incantati dal mondo,ci rivela il mondo come esso è.

D'improvviso qualcuno con volto incantatoguizza, affrettandosi verso uno scintillio lontano,e cieco non ci sembra affatto -ciechi sembriamo a noi stessi noi...

Evgenij Aleksandrovic Evtusenko, 1963. In: Poesie d'amore, 1989.

Page 32: Poetry in the morning

32

Di inganni che non sembrano tali si diceva nella precedente poesia. Se gli inganni fossero veri questa poesia di Rodari parlerebbe di inganni ma poiché gli inganni veri non sono allora forse parla della realtà che si finge inganno e dei supremi maestri dell’inganno: gli specchi. Quale raffinata malia fa considerare le immagini che mostrano un fedele riflesso della realtà?

Un rotolo di cordase ne sta lì tutto arrotolatoe finge di essere un pitone addormentato.Una nuvola fingedi essere un castello,una balena un cammello.Ieri uno specchio ha fintodi essere la mia faccia e mi mostrava i denti.Con tanti bugiardi in giro bisogna stare attenti!Un sacco nero fingedi essere spazzatura:in realtà è un abito da sera.

Gianni Rodari

Page 33: Poetry in the morning

33

Per una presentazione a questa poesia rimando ai commenti in http://cosechedimentico.blogspot.it/2011/05/la-tovaglia.html

La tovaglia

Le dicevano: - Bambina!che tu non lasci mai stesa,dalla sera alla mattina,ma porta dove l'hai presa,la tovaglia bianca, appenach'è terminata la cena!Bada, che vengono i morti!i tristi, i pallidi morti!

Entrano, ansimano muti.Ognuno è tanto mai stanco!E si fermano sedutila notte intorno a quel bianco.Stanno lì sino al domani,col capo tra le due mani,senza che nulla si senta,sotto la lampada spenta. -

E` già grande la bambina:la casa regge, e lavora:fa il bucato e la cucina,fa tutto al modo d'allora.Pensa a tutto, ma non pensaa sparecchiare la mensa.Lascia che vengano i morti,i buoni, i poveri morti.

Oh! la notte nera nera,di vento, d'acqua, di neve,lascia ch'entrino da sera,col loro anelito lieve;che alla mensa torno tornoriposino fino a giorno,cercando fatti lontanicol capo tra le due mani.

Dalla sera alla mattina,cercando cose lontane,stanno fissi, a fronte china,su qualche bricia di pane,e volendo ricordare,bevono lagrime amare.Oh! non ricordano i morti,i cari, i cari suoi morti!

- Pane, sì... pane si chiama,che noi spezzammo concordi:ricordate?... E` tela, a dama:ce n'era tanta: ricordi?...Queste?... Queste sono due,come le vostre e le tue,due nostre lagrime amarecadute nel ricordare! -

Giovanni Pascoli, La tovaglia, in I canti di Castelvecchio, 1903.

Page 34: Poetry in the morning

34

Montale è tra gli Déi della poesia. Raccogliere in uno sberleffo dalla perfezione cristallina millenni di storia è roba che solo un Dio può permettersi. “Al mio ritorno l’ordine si rifà / con supplemento di briciole”. Ordine e briciole di pane, l’accostamento quasi blasfemo è sufficiente a far vacillare secoli di fiducia nella razionalità ordinatrice… non ricordo più chi ha detto che dopo Cartesio tutta la filosofia è stato un continuo cercare i suoi errori… ma divagazione a parte delle briciole si diceva che soddisfano bisogni corporali, antichi e inevitabili.

La solitudine

Se mi allontano due giornii piccioni che beccanosul davanzaleentrano in agitazionesecondo i loro obblighi corporativi.Al mio ritorno l'ordine si rifàcon supplemento di briciolee disappunto del merlo che fa la spolatra il venerato dirimpettaio e me.A COSI' POCO E' RIDOTTA LA MIA FAMIGLIA.E c'è chi ne ha una o due, che spreco, ahimè!

Eugenio Montale

Page 35: Poetry in the morning

35

“Forse pronunciate la mia condanna con maggior timore di quanto io abbia nel riceverla”, pare fossero le parole di Giordano Bruno quando il tribunale che lo giudicò stava per pronunciare la sentenza di morte. Abiura o morte fu l’alternativa che gli venne posta, Giordano Bruno preferì la morte fisica alla morte morale e intellettuale. La storia è nota, come è noto chi sia morto su quel rogo in piazza Campo de’ Fiori di qualche tempo fa.

Lasciate l’ombre et abbracciate il vero.Non cangiate il presente col futuro.Voi siete il veltro che nel rio trabocca,mentre l’ombra desia di quel c’ha in bocca.Aviso non fu mai di saggio o scaltroperdere un ben per acquistarne un altro.A che cercate sì lungi divisose in voi stessi trovate il paradiso?

Anzi, chi perde l’un mentre è nel mondo,non speri dopo morte l’altro bene:per che si sdegna il ciel dar il secondoa chi il primero don caro non tene;cossì credendo alzarvi gite al fondo,et a i piacer togliendovi, a le penevi condannate: e con inganno eternobramando il ciel vi state ne l’inferno.

Giordano Bruno, In “Lo spaccio della bestia trionfante”

Page 36: Poetry in the morning

36

Due vecchi seduti davanti al camino in una sera d’inverno. Parla solo uno dei due, l’altro ascolta muto, ogni parola è un macigno. Un corpo a corpo con Dio. Ecco cos’è questa poesia di Ungaretti, l’immenso Ungaretti. Dio resta in silenzio. Ci sono poesie che non vanno commentate. Forse perché ogni commento potrebbe offenderle, forse perché il commentatore ritiene prudente non esporsi a emozioni troppo forti di prima mattina.

La Pietà

1Sono un uomo ferito.

E me ne vorrei andareE finalmente giungere,Pietà, dove si ascoltaL’uomo che è solo con sé.

Non ho che superbia e bontà.

E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.

Ma per essi sto in pena.Non sarei degno di tornare in me?

Ho popolato di nomi il silenzio.

Ho fatto a pezzi cuore e mentePer cadere in servitù di parole?

Regno sopra fantasmi.

O foglie secche,anima portata qua e là…

No, odio il vento e la sua voceDi bestia immemorabile.

Dio, coloro che t’imploranoNon ti conoscono più che di nome?

M’hai discacciato dalla vita.

Mi discaccerai dalla morte?

Forse l’uomo è anche indegno di sperare.

Anche la fonte del rimorso è secca?

Il peccato che importa,se alla purezza non conduce più.

La carne si ricorda appenaChe una volta fu forte.

È folle e usata, l’anima.

Dio guarda la nostra debolezza.

Vorremmo una certezza.

Di noi nemmeno più ridi?

E compiangici dunque, crudeltà.

Non ne posso più di stare muratoNel desiderio senza amore.

Una traccia mostraci di giustizia.

La tua legge qual è?

Fulmina le mie povere emozioni,liberami dall’inquietudine.

Sono stanco di urlare senza voce.

2Malinconiosa carnedove una volta pullulò la gioia,occhi socchiusi del risveglio stanco,tu vedi, anima troppo matura,quel che sarò, caduto nella terra?

È nei vivi la strada dei defunti,

siamo noi la fiumana d’ombre,

sono esse il grano che ci scoppia in sogno,

loro è la lontananza che ci resta,

e loro è l’ombra che dà peso ai nomi,

la speranza d’un mucchio d’ombrae null’altro è la nostra sorte?

E tu non saresti che un sogno, Dio?

Almeno un sogno, temerari,vogliamo ti somigli.

È parto della demenza più chiara.

Non trema in nuvole di ramiCome passeri di mattinaAl filo delle palpebre.

Page 37: Poetry in the morning

37

In noi sta e langue, piaga misteriosa.

3La luce che ci pungeÈ un filo sempre più sottile.

Più non abbagli tu, se non uccidi?

Dammi questa gioia suprema.

4L’uomo, monotono universo,crede allargarsi i benie dalle sue mani febbrili

non escono senza fine che limiti.

Attaccato sul vuotoAl suo filo di ragno,non teme e non seducese non il proprio grido.

Ripara il logorio alzando tombe,e per pensarti, Eterno,non ha che le bestemmie.

Giuseppe Ungaretti, 1928. In “Sentimento del Tempo”

Page 38: Poetry in the morning

38

Previsioni meteo per settembre!

La pioggia nel pineto

Taci. Su le sogliedel bosco non odoparole che diciumane; ma odoparole più nuoveche parlano gocciole e foglielontane.Ascolta. Piovedalle nuvole sparse.Piove su le tamericisalmastre ed arse,piove sui piniscagliosi ed irti,piove su i mirtidivini,su le ginestre fulgentidi fiori accolti,su i ginepri foltidi coccole aulenti,piove su i nostri voltisilvani,piove su le nostre maniignude,su i nostri vestimentileggeri,su i freschi pensieriche l'anima schiudenovella,su la favola bellache ierit'illuse, che oggi m'illude,o Ermione.

Odi? La pioggia cadesu la solitariaverduracon un crepitio che durae varia nell'aria secondo le fronde

più rade, men rade.Ascolta. Rispondeal pianto il cantodelle cicaleche il pianto australenon impaura,né il ciel cinerino.E il pinoha un suono, e il mirtoaltro suono, e il gineproaltro ancora, stromentidiversisotto innumerevoli dita.E immersinoi siam nello spiritosilvestre,d'arborea vita viventi;e il tuo volto ebroè molle di pioggiacome una foglia,e le tue chiomeauliscono comele chiare ginestre,o creatura terrestreche hai nomeErmione.

Ascolta, Ascolta. L'accordodelle aeree cicalea poco a pocopiù sordosi fa sotto il piantoche cresce;ma un canto vi si mescepiù rocoche di laggiù sale,dall'umida ombra remota.Più sordo e più fiocos'allenta, si spegne.

Gabriele D'annunzio

Page 39: Poetry in the morning

39

“I polacchi non morirono subito / e inginocchiati agli ultimi semafori / rifacevano il trucco alle troie di regime / lanciate verso il mare”, cantava De Andrè nella sua La domenica delle salme, uno dei tanti vertici del poeta genovese. “La domenica delle salme / si portò via tutti i pensieri / e le regine del tua culpa / affollarono i parrucchieri.” In questa poesia c’è un ritratto impietoso della “regina del tua culpa” che si annida dentro ciascuno, della miseranda maestria della rimozione, un ritratto straziante della disperanza umana che il parabrezza lucido di una troia di regime non può nascondere.

Lavando il parabrezza della mia auto

Bambine che si vendono sui marciapiedi.Bambini con la mano tesa al semaforo.Cani abbandonati.Uomini con le tette che si esibiscono sotto i lampioni.Uomini senza palle che vendono droga all'angolo.Bambini nei cassonetti e immondizie per la strada.Scippi, rapine e risse.Ragazzini che fumano e sputano sui muri.Vestiti tutti uguali e pensieri tutti uguali.Ubriaconi alla guida che vanno a tutta birra.Pensavo che lavando il parabrezza della mia autotutto questo sarebbe sparito.

Arthur Rimbaud

***

Vi rigiro la mail di Andrea, che ringrazio:

aò, c'abbiamo un problema di attribuzione... ma sei sicuro che la poesia sia di Rimbaud?? quello morto alla fine del '800? vabbè che il poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi (fonte wikipedia) ma il quadro sembra ritrarre con davvero troppa somiglianza elementi postumi e scene di vita di fine '900 o prime decadi del 2000 (semafori, bimbi nel cassonetto, ubriaconi alla guida, bambine che si vendono sul marciapiede)!La produzione di massa delle auto è successiva alla morte di Rimbaud, gli ubriaconi alla guida immortalati dall'autore della poesia sono sicuramente di fine '900 (l'abitudine mi sembra davvero più recente e prossima alle nostre che a quelle del periodo di Rimbaud)...dice wikipedia che il primo semaforo moderno è comparso negli USA nel 1914... vedi un po'...ciao,a.

Potrei dire che volevo vedere se qualcuno se ne sarebbe accorto ma sarei di una disonestà disgustosa ;-))) in realtà ci sono cascato come un pollo. Mi son detto, non c’è nessuna poesia di Rimbaud, l’ho cercato in rete, ho letto questa, mi è piaciuta e non ho verificato la lievissima perplessità sulle auto che m’aveva sfiorato. Unica attenuante è che non ero ancora del tutto sveglio quando l’ho inviata!

Page 40: Poetry in the morning

40

Ho raccontato a Vito di ieri, lui dice che a volte, quando sono sovra pensiero, sono spento. Se sono spento commentando dei versi chiaramente anacronistici mi chiedo di che spegnimento si tratti? Mi prendo una pausa di riflessione, per riparare il mio amor proprio.

Questa ve la devo. Il commento per la poesia di Rimbaud sarà di Rimbaud. Io taccio.

“… Io dico che bisogna essere veggenti, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca sé stesso, esaurisce in lui tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura dove egli ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovraumana, dove egli diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il supremo Sapiente! – Poiché è arrivato all'ignoto! Dopo avere coltivato la sua anima, già ricca, più di chiunque altro! Egli arriva all'ignoto, e quando, impazzito, finirà per perdere l'intelligenza delle sue visioni, le ha pur viste! Che crepi nel suo salto verso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti dove l'altro si è accasciato!” Lettera del veggente. A Paul Demeny, 15 maggio 1871.

La mia Bohème (Fantasia)

Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate;anche il mio cappotto diventava ideale;andavo sotto il cielo, Musa!, ed ero il tuo leale;oh! quanti amori assurdi ho strasognato!

Nei miei unici calzoni avevo un largo squarcio.- Pollicino sognatore, in corsa sgranavorime. Il mio castello era l'Orsa Maggiore.- Le mie stelle in cielo facevano un dolce fru-fru.

Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade,nelle calme sere di settembre in cui sentivosulla fronte le gocce di rugiada, come un vino vigoroso;

in cui, rimando in mezzo a quelle ombre fantastiche,come fossero lire, tiravo gli elasticidelle mie suole ferite, con un piede contro il cuore.

Arthur Rimbaud, ca. 1870.

Page 41: Poetry in the morning

41

Un’anima “innamorata del piacere fino all’atrocità” contempla i ciechi, coloro che non chinano mai, “pensosamente, la loro testa appesantita” verso i selciati, sulla terra. Eppure sembra quasi un privilegio che quelle teste levate al cielo possano “attraversare così il nero sconfinato”, mentre al poeta, “più inebetito d’essi”, resta il piacere atroce di guardarsi mentre si trascina, ponendosi domande senza risposta.

I ciechi

Contemplali, anima mia; essi sono davvero orribili!Simili ai manichini; vagamente ridicoli;Terribili, singolari come i sonnambuli;Mentre dardeggiano non si sa dove i loro globi tenebrosi.

I loro occhi, in cui s'è spenta la scintilla divinaCome se guardassero lontano, restano levatiAl cielo; non li si vede mai verso i selciati,Chinare, pensosamente, la loro testa appesantita.

Essi attraversano così il nero sconfinato,Questo fratello del silenzio eterno. O città!Mentre che attorno a noi tu canti, ridi e sbraiti,

Innamorata del piacere fino all'atrocità,Guarda! anch'io mi trascino! ma, più inebetito d'essi,Io dico: Cosa chiedono al Cielo, tutti questi ciechi?

Charles Baudelaire, In: I fiori del male, 1857.

Page 42: Poetry in the morning

42

Chiara.[…] vi lascio opportune indicazioni per la compilazione del vostro CV, affiancandomi una volta tanto ad Antonio nella condivisione delle visioni poetiche di altri individui appartenenti alla nostra specie (anche se probabilmente a fatica).

Scrivere un curriculum

Che cos'è necessario?E' necessario scrivere una domanda,e alla domanda allegare il curriculum.A prescindere da quanto si è vissutoè bene che il curriculum sia breve.E' d'obbligo concisione e selezione dei fatti.Cambiare paesaggi in indirizzie malcerti ricordi in date fisse.Di tutti gli amori basta quello coniugale,e dei bambini solo quelli nati.Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.I viaggi solo se all'estero.L'appartenenza a un che, ma senza perché.Onorificenze senza motivazione.Scrivi come se non parlassi mai con te stessoe ti evitassi.Sorvola su cani, gatti e uccelli,cianfrusaglie del passato, amici e sogni.Meglio il prezzo che il valoree il titolo che il contenuto.Meglio il numero di scarpa, che non dove vacolui per cui ti scambiano.Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.E' la sua forma che conta, non ciò che sente.Cosa si sente?Il fragore delle macchine che tritano la carta.

Wisława Szymborska

Page 43: Poetry in the morning

43

Amici miei, è troppo bello mentre vengo qui pensare “cosa mando oggi?”, “quale autore?”. È vero, ho preso una cantonata madornale, ingiustificabile se non con massicce dosi di stupefacenti che non avevo assunto (… almeno credo!) oppure con una patologica sospensione del giudizio. Al diavolo i miei disordini temporali, seguirò il consiglio di Samuel Beckett «Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better», anche se gli errori di cui parla Beckett sono meno banali dei miei. Vi voglio bene e condividere queste poesie mi fa bene. Tanto questa raccolta non diventerà pubblica, vero Chiara? Oppure abbiate pietà, dovesse diventarlo, nominate un comitato editoriale di cui faccia parte Andrea con facoltà di tagliare i pezzi. Ovviamente la scelta di questa poesia non è nata stamattina. Ho riletto di recente le poesie di Rimbaud ed ero quasi incazzato mentre le leggevo…anche questa reazione è tutta da capire! Ho scelto “La credenza”. Il testo che ho, della Newton Compton tradotto da Laura Mazza, dice che è una delle poesie più citate e imparate a memoria a scuola “nonostante non sia particolarmente originale né per il soggetto né per la tecnica”. A mio avviso per apprezzare la bellezza di certe poesie non è all’originalità intesa in termini di novità che bisogna attingere ma all’originalità in termini di capacità di arrivare all’origine, se la prima originalità è rara l’altra è comune. In questi termini “La credenza” è una poesia originale, tocca corde comuni, che stanno all’origine. Mi piace “la credenza”, odora di tempo e di memoria, e mi piacciono le espressioni infantili “tutta piena” di “vecchie cose vecchie”… per la verità la traduttrice ha scelto di rendere “tout plein” con “stracolma”, io avrei preferito “tutta piena” ma non conosco affatto il francese per poterlo dire con cognizione.Insomma in questa poesia c’è lo stupore di un bambino che percorre trent’anni in due gradini di una vecchia soffitta e si trova davanti a qualcosa che discretamente gli sussurra che è cresciuto… suo malgrado.

La credenza

È una grande credenza lavorata, la quercia scurae antica, ha preso l'aspetto bonario dei vecchi;la credenza è aperta e versa nella sua ombra,come un fiotto di buon vino, dei profumi allettanti.

Stracolma, è un'accozzaglia di vecchie cose vecchie,di biancheria ingiallita ed odorosa, di straccida donna e da bambino, di merletti sciupati,di scialli della nonna con grifi dipinti;

- E là che puoi trovare i medaglioni, le ciocche di capelli biondi o bianchi, i ritratti, i fiori secchiil cui profumo si mescola a quello della frutta.

- Credenza dei tempi passati, quante storie conosci!E vorresti narrarci i tuoi racconti e cigoliquando s'apron pian piano le tue grandi porte nere.

Arthur Rimbaud, ottobre 1870

Page 44: Poetry in the morning

44

La bellezza degli Haiku è che ti presentano una goccia di rugiada dicendoti che è l’intero universo e di fronte al tuo stupore rispondono, sì è vero è un po’ di più dell’universo ma l’universo non si poteva ridurre di più. Ecco, questo è l’Haiku e un po’ tutta la cultura Zen che quando non è in mano alla stanca borghesia occidentale è qualcosa di sublime.

Inizio d'autunno:nel mare e nei campiun verde solo

Matsuo Bashõ

***

ascolto in questa notteil letargo invernalepioggia sui monti.

Kobayashi Issa

***

il tetto si è bruciato:ora posso vedere la luna

Masahide

***

la lunga notte,il rumore dell'acqua,dicono quel che penso

Gochiku

***

breve notte d'estatesulla peluria del brucostille di rugiada

Yosa Buson

***

accatastata per il fuoco,la fascinacomincia a germogliare

Boncho

Page 45: Poetry in the morning

45

E’ una poesia-lettera, una delle più belle lettere d’amore che io conosca. Quello che la rende tragicamente bella, di una bellezza straziante, è che non è mai arrivata a destinazione…ma forse non sapremo mai che il destino delle lettere è quello di arrivare sempre a destinazione e del resto non sapremo mai neanche se è vero il contrario.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scalee ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.Il mio dura tuttora, né più mi occorronole coincidenze, le prenotazioni,le trappole, gli scorni di chi credeche la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccionon già perché con quattr'occhi forse si vede di più.Con te le ho scese perché sapevo che di noi duele sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,erano le tue.

Eugenio Montale, da Satura, 1971.

Page 46: Poetry in the morning

46

Qualche giorno fa ho comprato il libro che raccoglie tutte le poesie di Vittorio Bodini e quindi vi mando una poesia di Senghor Léopold Sédar! Spiego. Il libro di Bodini lo avevo ordinato via web quindi già pagato e dovevo solo ritirarlo ma all’entrata della Feltrinelli c’era un ragazzo nero con i suoi libri, siccome il libro di Bodini ormai era gratis allora perché non prendere qualcosa dal ragazzo? Ho preso Senghor, non tutte le poesie di quella raccolta mi sono piaciute, ma ce ne sono un paio che ho apprezzato molto, questa è una.

Donna nera

Donna nuda, donna neraVestita del tuo colore che è vita, della tua forma che è bellezza!!Sono cresciuto alla tua ombra; la dolcezza delle tue mani mi bendava gli occhi.Ed ecco che nel cuore dell’Estate e del MeriggioTi scopro Terra Promessa, dall’alto di un alto colle calcinatoE la tua bellezza mi folgora in pieno cuore come il lampo di un’aquila.

Donna nuda, donna oscuraFrutto maturo dalla carne piena, estasi cupa di vino nero, bocca che rende la mia bocca lirica,Savana di puri orizzonti, savana che fremi alle carezze ardenti del Vento dell’EstTamtam scolpito, tamtam teso che tuona sotto le dita del VincitoreLa tua voce profonda di contralto è il canto spirituale dell’Amata.

Donna nera, donna oscuraOlio che alcun respiro riesce a increspare, olio calmo sui fianchi dell’atleta, sui fianchi dei principi del MaliGazzella dalle giunture celesti, le perle sono stelle sulla notte della tua pelleDelizie dei giochi della mente i riflessi dell’oro che rosseggia sulla tua pelle che si screziaAll’ombra della tua capigliatura si rasserena la mia angoscia per il sole vicino dei tuoi occhi.Donna nuda, donna neraCanto la tua bellezza che passa, forma che fisso nell’Eterno,Prima che il destino geloso ti riduca in cenere per nutrire le radici della vita.

Senghor Léopold Sédar.

Page 47: Poetry in the morning

47

Questa poesia è stata evocata ieri, sulla strada per la mensa. Non ha bisogno di commenti, è un manifesto della poesia. I sensi si mescolano, l’uomo attraversa una foresta di simboli, profumi freschi e corrotti sono a malapena distinguibili. Una passeggiata dove perdersi è un dovere.

Corrispondenze

La Natura è un tempio dove incerte parolemormorano pilastri che son vivi,una foresta di simboli che l'uomoattraversa nel raggio dei loro sguardi familiari.

Come echi che a lungo e da lontanotendono a un'unità profonda e buiagrande come le tenebre o la lucei suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi.

Profumi freschi come la pelle d'un bambino,vellutati come l'òboe e verdi come i prati,altri d'una corrotta, trionfante ricchezza

che tende a propagarsi senza fine - cosìl'ambra e il muschio, l'incenso e il benzoinoa commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.

Charles Baudelaire, da I fiori del male, 1857. Traduzione di Giovanni Raboni, Milano, Mondadori, 1977

Altre traduzioni sono disponibili in questo sito.

Page 48: Poetry in the morning

48

ChiaraÈ il verso che apre l’ultima strofa.È anche il titolo di un libro di cui ho sentito parlare e che voglio leggere, che come dono anticipato mi ha portato a questa poesia. A quest’ora, tra le pareti scricchiolanti di un cupo edificio di via Pavese, la poca luce di fuori e il silenzio del corridoio, l’atmosfera è la più adatta per credere che se ti giri veloce, vedi per un attimo il poeta e lei accanto, infinitamente lontana. Certo, domattina in pieno sole, non sarà lo stesso, ma vale la pena condividere questo incanto. Non ci avevo pensato. Il gioco che Antonio ci propone ogni giorno non credo sia nato per caso: erano mesi o forse anni che i poeti che si sono impossessati delle strade qui intorno ci suggerivano di mettere un po’ di carne tra i pezzi di silicio. Due nel crepuscolo

Fluisce fra te e me sul belvedereun chiarore subacqueo che deformacol profilo dei colli anche il tuo viso.Sta in un fondo sfuggevole, recisoda te ogni gesto tuo; entra senz’orma, e sparisce, nel mezzo che ricolmaogni solco e si chiude sul tuo passo:con me tu qui, dentro quest’aria scesaa sigillareil torpore dei massi.

Ed io riversonel potere che grava attorno, cedoal sortilegio di non riconosceredi me più nulla fuor di me; s’io levoappena il braccio, mi si fa diversol’atto, si spezza su un cristallo, ignotae impallidita sua memoria, e il gestogià più non m’appartiene;se parlo, ascolto quella voce attonito,scendere alla sua gamma più remotao spenta all’aria che non la sostiene.

Tale nel punto che resiste all’ultimaconsunzione del giornodura lo smarrimento; poi un soffiorisolleva le valli in un freneticomoto e deriva dalle fronde un tinnulosuono che si disperdetra rapide fumate e i primi lumidisegnano gli scali.

... le parole

Page 49: Poetry in the morning

49

tra noi leggere cadono. Ti guardoin un molle riverbero. Non sose ti conosco; so che mai divisofui da te come accade in questo tardoritorno. Pochi istanti hanno bruciatotutto di noi: fuorchè due volti, duemaschere che s’incidono, sforzatedi un sorriso.

Eugenio Montale

Page 50: Poetry in the morning

50

MarinaSarà suggestione di una "fuori sede", ma le parole del tuo commento (e più ancora la poesia) mi hanno fatto tornare in mente le atmosfere giapponesi di Mishima e forse della prima Yoshimoto.

Le stelle

Quando gli uomini guarderanno le stelle,nel loro cuore si leverà, carico di essenze,il vento della notte.

Sulla foresta, sul lago, sulla città,le nuvole fluttueranno tranquille.Allora le stelle inizieranno a cadere copiosee come la rugiada copriranno ogni cosa. Nel disegno tracciato dall’invisibile nastro divino,tutte le costellazioni crolleranno a una a unacon estrema eleganza. D’allora in poi le stelle dimorerannonella nostra anima, e forse torneranno ancoraquei giorni in cui gli uominierano dolci e meravigliosi come gli Dei.

Yukio Mishima

Page 51: Poetry in the morning

51

Questi versi da leggere e da ascoltare sono un inno alla vita, si potrebbe dire piuttosto dimesso ma non è detto che un inno debba essere gioioso…dopotutto Wittgenstein ebbe a dire “Non so perché siamo qui ma sono abbastanza sicuro che non è per divertirci.”… eppure, divertimento a parte, c’è una vita dentro questi versi che va oltre la vita… lasciate perdere le stronzate pseudo-religiose sull’immortalità, pensate più in grande.

L’albero ed io

Quando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo sul mondo,non voglio pietra su questo mio corpo, perché pesante mi sembrerà.Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio;voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio.

Ed in inverno nel lungo riposo, ancora vivo, alla pianta vicino,come dormendo, starò fiducioso nel mio risveglio in un qualche mattino.E a primavera, fra mille richiami, ancora vivi saremo di nuovoe innalzerò le mie dita di rami verso quel cielo così misterioso.

Ed in estate, se il vento raccoglie l'invito fatto da ogni gemma fiorita,sventoleremo bandiere di foglie e canteremo canzoni di vita.E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l'albero e iosempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che dicon di Dio.

Francesco Guccini, In Due anni dopo, 1970

Page 52: Poetry in the morning

52

E’ una poesia dedicata al non detto. Allora sarebbe indiscreto da parte mia dire cosa questa poesia non dice.

Dal cassetto

Volevo appenderla a un muro della stanza.

Ma l’umidità del cassetto l’ha guastata.

Non la metto in un quadro questa foto.

Dovevo conservarla con più cura.

Queste le labbra, questo il viso –ah, per un giorno solo, per un’orasolo tornasse quel passato.

Non la metto in un quadro questa foto.

Mi fa soffrire vederla così guasta.

Del resto, se anche non fosse guasta,che fastidio badare a non tradirmi –una parola o il tono della voce –se mai qualcuno mi chiedesse chi era.

Costantino Kavafis, Poesie erotiche, traduzione di Nicola CrocettiCrocetti Editore 1983, 2000

Page 53: Poetry in the morning

53

Il suono dell’oboe, se ti capita di ascoltarlo dal vivo, ti scava dentro una grotta e da lì non si muove più. Ascoltare un oboe è un’esperienza trascendentale, non puoi dire se si tratti dell’apoteosi della gioia o del dolore più cupo. E’ questa sintesi che lo rende un suono unico. Per Baudelaire era vellutato per Quasimodo gelido. Quasimodo non poteva scegliere migliore strumento per esprimere uno stato d’animo che trascende la contingenza, come di un tempo sospeso tra l’accadere e il non accadere su un terreno ventoso e arido.

Òboe sommerso

Avara pena, tarda il tuo donoin questa mia oradi sospirati abbandoni. Un òboe gelido risillabagioia di foglie perenni,non mie, e smemora; In me si fa sera:l'acqua tramontasulle mie mani erbose. Ali oscillano in fioco cielo,labili: il cuore trasmigraed io son gerbido, e i giorni una maceria.

Salvatore Quasimodo. In Òboe sommerso, 1932

Concerto per oboe e orchestra di Alessandro Marcello, dal 3° minuto comincia l’adagio che è il mio movimento preferito.

Page 54: Poetry in the morning

54

Alla casa dello studente Raffaele era considerato uno strano, parlava poco e faceva esperimenti con le convinzioni delle persone. Studiava oboe e filosofia, odiava l’uno e l’altra perché l’uno soffocava il suo respiro e l’altra il suo pensiero. Scriveva poesie di tanto in tanto, anche lui a tempo perso e per appuntarsi qualche pensiero che altrimenti sarebbe sfuggito. Piccole dosi, per consumo personale! Alcune fanno parte della mia piccolissima e privata antologia, come questa. Avevamo vent’anni e sapevamo benissimo di non essere poeti, sapevamo che non lo saremmo mai stati.

La canicola estiva,le strade assolatee deserte di agosto,i campi ricopertidi erba seccae non più verdi,la terra delle campagnearsa dal sole.Tutto questo sono io!

Invano attesiLa pioggia d’autunno,il verde dei prati,la sorgente dei fiumi,l’umidità dei boschi.Tutto questo avrei voluto essere.

Raffaele Caliandro

Page 55: Poetry in the morning

55

Scegliere qualcosa del poeta solitario è arduo, di primo acchito avrei scelto L’infinito, rileggerlo fa sempre bene, invece ho scelto l’ultima strofa delle ricordanze. Potrei dire l’ultimo movimento perché questa poesia è come una sinfonia dove ogni ricordo è uno strumento e le memorie si inseguono in fughe e contrappunti fino ad arrivare all’ultimo movimento dove quel “Passasti.”, incuneato al centro della strofa, crea una dissonanza paradossale e potentissima. Paradossale perché quel cuneo di rapido movimento è l’unico punto fermo della poesia e potentissima perché lì tutto il fluire delle ricordanze s’incaglia. Se dovessi suggerire un parallelo musicale accosterei le ricordanze di Leopardi alla 6° sinfonia di Tchaikovsky, quella che l’autore definì “un requiem per la mia anima”.

XXII - Le ricordanze (ultima strofa)

O Nerina! e di te forse non odoQuesti luoghi parlar? caduta forseDal mio pensier sei tu? Dove sei gita,Che qui sola di te la ricordanzaTrovo, dolcezza mia? Più non ti vedeQuesta Terra natal: quella finestra,Ond'eri usata favellarmi, ed ondeMesto riluce delle stelle il raggio,E' deserta. Ove sei, che più non odoLa tua voce sonar, siccome un giorno,Quando soleva ogni lontano accentoDel labbro tuo, ch'a me giungesse, il voltoScolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoiFuro, mio dolce amor. Passasti. Ad altriIl passar per la terra oggi è sortito,E l'abitar questi odorati colli.Ma rapida passasti; e come un sognoFu la tua vita. Ivi danzando; in fronteLa gioia ti splendea, splendea negli occhiQuel confidente immaginar, quel lumeDi gioventù, quando spegneali il fato,E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regnaL'antico amor. Se a feste anco talvolta,Se a radunanze io movo, infra me stessoDico: o Nerina, a radunanze, a festeTu non ti acconci più, tu più non movi.Se torna maggio, e ramoscelli e suoniVan gli amanti recando alle fanciulle,Dico: Nerina mia, per te non tornaPrimavera giammai, non torna amore.Ogni giorno sereno, ogni fioritaPiaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,Dico: Nerina or più non gode; i campi,L'aria non mira. Ahi tu passasti, eternoSospiro mio: passasti: e fia compagnaD'ogni mio vago immaginar, di tuttiI miei teneri sensi, i tristi e cariMoti del cor, la rimembranza acerba.

Page 56: Poetry in the morning

56

Giacomo Leopardi, Canti.

Page 57: Poetry in the morning

57

Ieri sera ho rivisto Una canzone per Bobby Long, film bellissimo, dove la storia è un infuso di alcol e poesia. Citazioni di Frost, Thomas, Eliot, alcune sono sulla solita Wikipedia. Allora la poesia di oggi è suggerita direttamente da quel film. Ringrazio Gabriele per il contributo alla traduzione della poesia.

La strada che non presi

Due strade divergevano in un bosco gialloe mi dispiaceva non poterle percorrere entrambeed essere un solo viaggiatore, rimasi a lungoa guardarne una fino a che potei.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,e aveva forse l’ aspetto migliore,perché era erbosa e meno consumata,sebbene il passaggio le avesse rese più o meno uguali.

Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,con foglie che nessun passo aveva annerito.Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiroda qualche parte tra anni e anni:due strade divergevano in un bosco, e io -io presi la meno percorsa,e quello ha fatto tutta la differenza.

Robert Frost

Page 58: Poetry in the morning

58

Visto la mia crescente resistenza al risveglio dovuta all’arrivo della stagione fredda i miei commenti diventeranno via via più brevi, fino a sparire. Resteranno le poesie… che sono la parte più importante ovviamente. Quattro ebbre quartine per Omar Khayyàm e un rimando al mio blog.

Vieni, o coppiere, e porta, pel nostro cuore(sciogli con la bellezza tua il nostro difficil problema)porta un'anfora di vino, che ne brindiamo insiemeprima ch'anfore facciano della nostra argilla nera.

***

Come il tulipano d'Aprile prendi in mano la coppa rotondase hai la fortuna di startene con una guancia di rosa.Bevi vino in letizia, ché questo antico cielo crudeled'un tratto dell'alto tuo cuore farà bassa polvere e terra.

***

Io nulla so, non so se Chi m'ha creatom'ha fatto per Cielo o m'ha destinato all'Inferno.Ma una coppa e una bella fanciulla e un liuto sul lembo del pratoper me son monete sonanti: a te la cambiale del Cielo!

***

Da quando la Luna e i Pianeti comparvero in cielonessuno vide mai cosa più dolce di purissimo Vino.Pien di stupore son io pei venditori di vino, ché quelliche cosa mai posson comprare migliore di quel ch'han venduto?

Omar Khayyàm, Rubaiyyàt.

Page 59: Poetry in the morning

59

Ho deciso che gli inediti saranno di più. Ieri sera leggendo un blog che seguo ho incontrato questo gioiello. Non conosco Stefano Giorgio Ricci e non so se abbia pubblicato, so che questa poesia mi è piaciuta molto.

I viandanti

Hanno occhi spiaggiati, quei morti,e dormono in letti di sabbia,in carezze scomposte nella mano.Ciò che i pavidi vedono ombraè solamente corpo straniero:il nostro stesso corpo,un corpo devastato dalla distribuzione del grasso.Piangono angeli, i viandanti,ed è pianto livido di ombre:scrutate con dispetto,esiliate in angoli di strada,vendute un tanto al chilo. Dormono in suolo di ore cedute,i viandanti, e non hanno ninnolinella voce quando narranoi conti dell’esilio.Vorrebbero un giocattolo nuovo,i viandanti, e sarebbe il primo.

Stefano Giorgio Ricci

ChiaraMi ha fatto venire in mente una canzone di Gianmaria Testa che fa parte di un suo album sul tema di migranti e viandanti che mi piace tantissimo e che, se non conoscete, vi consiglio quantunquamente

La canzone è tela di ragno

L’album è “da questa parte del mare”

Page 60: Poetry in the morning

60

«La poesia è un paio di scarpette rosse. Spesso si balla sulle braci, sul fuoco. È così. È una condanna» diceva Alda Merini in una intervista. Sono tante le poesie dedicate dai poeti alla poesia, ma penso che questa ballata ubriaca di Bukowski sia tra le più sincere, non è da tutti vedere “una città dove Dio cavalca nudo per le strade come Lady Godiva”, solo ad uno spirito eletto dell’inferno è consentito.

“una poesia è una città”

una poesia è una città piena di strade e tombinipiena di santi, eroi, mendicanti, pazzi,piena di banalità e di roba da bere,piena di pioggia e di tuono e di periodidi siccità, una poesia è una città in guerra,una poesia è una città che chiede a una pendola perché,una poesia è una città che brucia,una poesia è una città sotto le cannonatele sue sale da barbiere piene di cinici ubriaconi,una poesia è una città dove Dio cavalca nudoper le strade come Lady Godiva,dove i cani latrano di notte, e fanno scapparela bandiera; una poesia è una città di poeti,per lo più abbastanza simili tra loroe invidiosi e pieni di rancore...una poesia è questa città adesso,50 miglia dal nulla,le 9:09 del mattino,il gusto del liquore e delle sigarette,né poliziotti né innamorati che passeggiano per le strade,questa poesia, questa città, che serra le sue porte,barricata, quasi vuota,luttuosa senza lacrime, invecchiata senza pietà,i monti di roccia dura,l'oceano come una fiamma di lavanda,una luna priva di grandezza,una musichetta di finestre rotte...

una poesia è una città, una poesia è una nazione,una poesia è il mondo...

e ora metto questo sotto vetroperché lo veda il pazzo direttore,e la notte è altrovee signore grigiastre stanno in fila,un cane segue l'altro fino all'estuario,le trombe annunciano la forcamentre piccoli uomini vaneggiano di coseche non possono fare.

Charles Bukowski

"a poem is a city" by Charles Bukowski

a poem is a city filled with streets and sewersfilled with saints, heroes, beggars, madmen,filled with banality and booze,filled with rain and thunder and periods ofdrought, a poem is a city at war,a poem is a city asking a clock why,a poem is a city burning,a poem is a city under gunsits barbershops filled with cynical drunks,a poem is a city where God rides nakedthrough the streets like Lady Godiva,where dogs bark at night, and chase awaythe flag; a poem is a city of poets,most of them quite similarand envious and bitter …a poem is this city now,50 miles from nowhere,9:09 in the morning,the taste of liquor and cigarettes,no police, no lovers, walking the streets,this poem, this city, closing its doors,barricaded, almost empty,mournful without tears, aging without pity,the hardrock mountains,the ocean like a lavender flame,a moon destitute of greatness,a small music from broken windows …

a poem is a city, a poem is a nation,a poem is the world …

and now I stick this under glassfor the mad editor’s scrutiny,and night is elsewhereand faint gray ladies stand in line,dog follows dog to estuary,the trumpets bring on gallowsas small men rant at thingsthey cannot do

Page 61: Poetry in the morning

61

Una poesia alla quale sono molto legato, purtroppo.

Il viaggio definitivo

… E me ne andrò. E resteranno gli uccellia cantare;e resterà il mio giardino, col suo verde alberoe col suo pozzo bianco.Tutte le sere, il cielo sarà azzurro e placido,e suoneranno, come suonano stasera,le campane del campanile.Moriranno quelli che mi amarono;e il paese si rinnoverà di gente ogni anno;e nell’angolo, là, del mio giardino fiorito e incalcinato,vagherà, nostalgico, il mio spirito…E me ne andrò, e sarò solo, senza casa, senza alberoverde, senza pozzo bianco,senza cielo azzurro e placido…E resteranno gli uccelli a cantare.

Juan Ramón Jiménez (1881-1958)

Page 62: Poetry in the morning

62

Campagna

La sera sta morendocome un umile fuoco che si spegne.

Là, sui monti, non restache un po’ di brace. E quell’

albero rotto nel sentiero biancofa piangere di pena.

Due rami nel tronco ferito, e unafoglia appassita e nera in ogni ramo!

Piangi?... Nel folto del pioppeto d’oro,lontano – un’ombra – l’amore ti aspetta.

Antonio Machado, Solitudini

Page 63: Poetry in the morning

63

Canzone orientale

È la melagrana profumataun cielo cristallizzato.(Ogni grana è una stellaogni velo è un tramonto.)Cielo secco e compressodalle unghie del tempo.

La melagrana è come un senovecchio di pergamena,e il capezzolo si è fatto stellaper illuminare il campo

È un’arnia minuscolacol favo insanguinato,e le api l’hanno formatacon bocche di donne.Per questo scoppiando ridecon porpore di mille labbra…

La melagrana è un cuoreche batte sul seminato,

un cuore sdegnosodove non beccano gli uccelli,un cuore che fuoriè duro come il cuore umanoma dà a chi lo trafiggeodore e sangue di maggio.La melagrana è il tesorodel vecchio gnomo del prato,quello che parlò con la piccola Rosa,nel bosco solitario.Quello con la barba biancae il vestito rosso.È il tesoro che ancora conservanole verdi foglie dell’albero.Arca di pietre preziosein visceri di oro vago.

La spiga è il pane. È Cristoin vita e morte rappreso.

L’olivo è la costanzadella forza e del lavoro.

La mela è il frutto carnale,sfinge del peccato,goccia di secoli che tienei contatti con Satana.

L’arancio è la tristezza

delle corolle profanate,così diventa fuoco e orociò che prima era puro e bianco.

Le viti sono la lussuriache si coagula nell’estate,e da esse la chiesa ricava,benedetto, il santo liquore.

Le castagne sono la pacedel focolare. Cose d’altri tempi.Crepitare di vecchi legni,pellegrini smarriti.

La ghianda è la serenapoesia del passato,e il cotogno d’oro debolela pulizia della salute.

Ma la melagrana è il sangue,sangue sacro del cielo,sangue di terra feritadall’ago del torrente.Sangue del vento che vienedal rude monte graffiato.Sangue del mare tranquillo,sangue del lago dormiente.La melagrana è la preistoriadel sangue che portiamo,l’idea di sangue, chiusoin globuli duri e acidi,che ha una vaga formadi cuore e di cranio.

O melagrana aperta, tu seiuna fiamma sopra l’albero,sorella carnale di Venere,riso dell’orto ventoso.Ti circondano le farfallecredendoti un sole fermoe per paura di bruciarsiti sfuggono i vermi.

Perché sei la luce della vita,femmina dei frutti. Chiarastella della forestadel ruscello innamorato.

Potessi essere come sei tu, frutto,passione sulla campagna!

Federico Garcia Lorca,1920, da Libro de poemas, 1921

Page 64: Poetry in the morning

64

Preghiera dell’ateo

Ascolta il mio pregare Tu, Dio che non esistiraccogli nel tuo nulla queste mie doglianze.Tu che ai poveri uomini nulla consentisenza consolazione di inganno. Non resistialla nostra supplica e di nostra brama ti adorni.Quando più dalla mia mente ti allontanipiù ricordo i placidi racconticon cui mi addolcì le tristi notti l’amor mio.Quanto sei grande mio Dio! Sei tanto grandeche non sei neppure Idea, e molto angustaè la realtà per quanto a contenertila si espanda. Io soffro nel tuo costatoDio inesistente, poiché se Tu esistessidavvero esisterei pur io.

Miguel de Unamuno y Jugo

Page 65: Poetry in the morning

65

Il vento nell’isola

Il vento è un cavallo:senti come correper il mare, per il cielo.

Vuol portarmi via: senticome percorre il mondoper portarmi lontano.

Nascondimi tra le tue bracciaPer questa notte sola,mentre la pioggia rompecontro il mare e la terrala sua bocca innumerevole.

Senti come il ventomi chiama galoppandoper portarmi lontano.

Con la tua fronte sulla mia fronte,con la tua bocca sulla mia bocca,legati i nostri corpiall’amore che ci brucia,lascia che il vento passisenza che possa portarmi via.

Lascia che il vento corracoronato di spuma,che mi chiami e mi cerchigaloppando nell’ombra,mentre, sommersosotto i tuoi grandi occhi,per questa notte solariposerò, amor mio.

Pablo Neruda

Page 66: Poetry in the morning

66

Il titolo è “Telefonami tra vent’anni” ma mi attengo a quello che ascolto, la cantavo qualche giorno fa. Fa parte di quelle canzoni di Dalla dove si intravede quel linguaggio profetico e visionario con cui ha scritto alcune delle canzoni che preferisco. L’ultima luna ne è il modello, Come è profondo il mare la summa. Buon ascolto.

Telefona tra vent'anniio adesso non so cosa dirtinon so rispondertie non ho voglia di capirti

Invece pensami tra vent'anni pensamiio con la barba più bianca e una valigia in manocon la bici da corsa e gli occhiali da solefermo in qualsiasi posto del mondo chi sa dovetra miliardi miliardi di personea bocca aperta senza parolenel vedere una mongolfierache si alza piano pianoe cancella dalla memoriatutto quanto il passatoanche linee della manomentre dall'alto un suonocome un suono prolungatoil pensiero che è appena natosi avvicina e scende giù

Ah io sarei uno stronzoquello che guarda troppo la televisione!Beh qualche volta lo sono statoimportante è avere in mano la situazione

Non ti preoccupare

di tempo per cambiare ce n'ècosì ripensami tra vent'anni ripensamivestito da torero con una torta in manol'orecchio puntato verso il cieloverso quel suono lontano lontanoma ecco che si avvicinacon un salto siamo nel duemilaalle porte dell'universoimportante è non arrivarci in filama tutti quanti in modo diversoognuno con i suoi mezzimagari arrivando a pezzisu una vecchia bicicletta da corsacon gli occhiali da soleil cuore nella borsaimpara il numero a memoriapoi riscrivilo sulla pellese telefoni tra vent'annibutta i numeri fra le stelle

Alle porte dell'universoun telefono suona ogni serasotto un cielo di tutte le stelledi un'inquietante primavera.

Lucio Dalla

Page 67: Poetry in the morning

67

Poesia in forma di rosa (1961-64) I. La realtà

Ballata delle madri

Mi domando che madri avete avuto. Se ora vi vedessero al lavoro in un mondo a loro sconosciuto, presi in un giro mai compiuto d’esperienze così diverse dalle loro, che sguardo avrebbero negli occhi? Se fossero lì, mentre voi scrivete il vostro pezzo, conformisti e barocchi, o lo passate a redattori rotti a ogni compromesso, capirebbero chi siete?

Madri vili, con nel viso il timore antico, quello che come un male deforma i lineamenti in un biancore che li annebbia, li allontana dal cuore, li chiude nel vecchio rifiuto morale. Madri vili, poverine, preoccupate che i figli conoscano la viltà per chiedere un posto, per essere pratici, per non offendere anime privilegiate, per difendersi da ogni pietà.

Madri mediocri, che hanno imparato con umiltà di bambine, di noi, un unico, nudo significato, con anime in cui il mondo è dannato a non dare né dolore né gioia. Madri mediocri, che non hanno avuto per voi mai una parola d’amore, se non d’un amore sordidamente muto di bestia, e in esso v’hanno cresciuto, impotenti ai reali richiami del cuore.

Madri servili, abituate da secoli a chinare senza amore la testa, a trasmettere al loro feto l’antico, vergognoso segreto d’accontentarsi dei resti della festa. Madri servili, che vi hanno insegnato come il servo può essere felice odiando chi è, come lui, legato, come può essere, tradendo, beato, e sicuro, facendo ciò che non dice.

Madri feroci, intente a difendere quel poco che, borghesi, possiedono, la normalità e lo stipendio, quasi con rabbia di chi si vendichi o sia stretto da un assurdo assedio. Madri feroci, che vi hanno detto: Sopravvivete! Pensate a voi! Non provate mai pietà o rispetto per nessuno, covate nel petto la vostra integrità di avvoltoi!

Ecco, vili, mediocri, servi, feroci, le vostre povere madri! Che non hanno vergogna a sapervi – nel vostro odio – addirittura superbi, se non è questa che una valle di lacrime. È così che vi appartiene questo mondo: fatti fratelli nelle opposte passioni, o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo a essere diversi: a rispondere del selvaggio dolore di esser uomini.

Da Pier Paolo Pasolini, Bestemmia. Tutte le poesie, vol. I, Garzanti, Milano 1993

Page 68: Poetry in the morning

68

In questa antologia a metà strada tra poesia e canzoni in versi questo cammeo ci sta benissimo. Faccio solo notare un passaggio: “se e quando moriremo, ma la cosa è insicura, / avremo un paradiso su misura”, resta incerto che la cosa insicura sia morire oppure il coronamento del piano che abbiamo fisso in testa.

Gli amici

I miei amici veri, purtroppo o per fortuna,non sono vagabondi o abbaialuna,per fortuna o purtroppo ci tengono alla faccia:quasi nessuno batte o fa il magnaccia.

Non son razza padrona, non sono gente arcigna,siamo volgari come la gramigna.Non so se è pregio o colpa esser fatti così:c'è gente che è di casa in serie B.

Contandoli uno a uno non son certo parecchi,son come i denti in bocca a certi vecchi,ma proprio perché pochi son buoni fino in fondoe sempre pronti a masticare il mondo.

Non siam razza d' artista, né maschere da gognae chi fa il giornalista si vergogna,non che il fatto c' importi: chi non ha in qualche postoun peccato o un cadavere nascosto?

Non cerchiamo la gloria, ma la nostra ambizioneè invecchiar bene, anzi, direi... benone!Per quello che ci basta non c'è da andar lontanoe abbiamo fisso in testa un nostro piano:

se e quando moriremo, ma la cosa è insicura,avremo un paradiso su misura,in tutto somigliante al solito locale,ma il bere non si paga e non fa male.

E ci andremo di forza, senza pagare il fìodi coniugare troppo spesso in Dio:non voglio mescolarmi in guai o problemi altrui,ma questo mondo ce l' ha schiaffato Lui.

E quindi ci sopporti, ci lasci ai nostri giochi,cosa che a questo mondo han fatto in pochi,voglio veder chi sceglie, con tanti pretendenti,tra santi tristi e noi più divertenti,veder chi è assunto in cielo, pur con mille ragioni,fra noi e la massa dei rompicoglioni....

Francesco Guccini, 1983.

Page 69: Poetry in the morning

69

Alberi

Alberi,foste freccedall'azzurro cadute?Quali crudeli guerrieri vi scagliarono?Furono le stelle?

Le vostre musiche vengono dall'anima degli uccelli,dagli occhi di Dio,dalla passione perfetta.Alberi!Riconosceranno le vostre ruvide radiciil mio cuore in terra?

Federico Garcia Lorca, 1919

Page 70: Poetry in the morning

70

La luna e la morte

La luna ha denti d'avorio.Come è vecchia e triste!I fiumi sono secchi,la campagna senza verdee gli alberi appassitisenza nidi e senza foglie.Donna Morte, piena di rughe,passa tra i salicicol suo assurdo corteodi remote illusioni.Vende coloridi cera e di burrascacome una fata leggendariacattiva e ingannatrice.

La luna ha comperatoquadri alla Morte.In questa notte buiala luna è pazza!

Nel mio cuore cupoaprouna fiera senza musicacon le baracche d'ombra.

Federico Garcia Lorca, 1919

Page 71: Poetry in the morning

71

Ottobre

Un tempo, era d'estate,era a quel fuoco, a quegli ardori,che si destava la mia fantasia.Inclino adesso all'autunnodal colore che inebria;amo la stanca stagioneche ha già vendemmiato.Niente più mi somiglia,nulla più mi consola,di quest'aria che odoradi mosto e di vinodi questo vecchio sole ottobrinoche splende nelle vigne saccheggiate.

Vincenzo Cardarelli

Page 72: Poetry in the morning

72

Rimango su Cardarelli. Per Chiara è stata una scoperta e un po’ la invidio perché quando mi capita di leggere un poeta per la prima volta, uno di quei poeti che ti porta via con sé, provo una singolare sensazione, di piacevole dolore, di compenetrazione con le parole che tocca anche fisicamente... la pelle d’oca, non so se vi è mai capitato di avere la pelle d’oca pensando ad una poesia o ad una musica, la musica… la prima volta che ho ascoltato l’allegretto dalla 7a di Beethoven ero disperato, non riuscivo a capire se era l’apoteosi della danza o il fondo della tristezza, non potevo ancora capire che era entrambi. Sono sensazioni di cui poi vai alla ricerca dopo ma che è sempre più difficile provare, ecco perché invidio Chiara che legge Cardarelli per la prima volta e allora oggi non sarà solo una poesia ma tre, la prima, quella che mi ha fatto tremare come la terra durante una scossa di terremoto, come il fortissimo dell’allegretto di Beethoven, le altre due sull’autunno che vanno lette in unità con quella di ieri.

O memoria spietata, che hai tu fattodel mio paese?Un paese di spettridove nulla è mutato fuor che i viviche usurpano il posto dei morti.Qui tutto è fermo, incantato,nel mio ricordo.Anche il vento.Quante volte, o paese mio nativo,in te venni a cercareciò che più m'appartiene e ciò che ho perso.Quel vento antico, quelle antiche voci,e gli odori e le stagionid'un tempo, ahimè, vissuto.

***

Autunno. Già lo sentimmo venirenel vento d’agosto,nelle pioggie di settembretorrenziali e piangentie un brivido percorse la terrache ora, nuda e triste,accoglie un sole smarrito.Ora che passa e declina,in quest’autunno che incedecon lentezza indicibile,il miglior tempo della nostra vitae lungamente ci dice addio.

***

Sole d'autunno inatteso,che splendi come in un di là,con tenera perdizionee vagabonda felicità,tu ci trovi fiaccati,vòlti al peggio e la morte nell'anima.Ecco perché ci piaci,vago sole superstiteche non sai dirci addio,tornando ogni mattinacome un nuovo miracolo,tanto più bello quanto più t'inoltrie sei lì per spirare.E di queste incredibili giornatevai componendo la tua stagionech'è tutta una dolcissima agonia. Vincenzo Cardarelli

Page 73: Poetry in the morning

73

Alla deriva

La vita io l’ho castigata vivendola.

Fin dove il cuore mi ressearditamente mi spinsi.Ora la mia giornata non è piùche uno sterile avvicendarsidi rovinose abitudinie vorrei evadere dal nero cerchio.Quando all’alba mi riduco,un estro mi piglia, una smaniadi non dormire.

E sogno partenze assurde,liberazioni impossibili.Oimè. Tutto il mio chiusoe cocente rimorsoaltro sfogo non hafuor che il sonno, se viene.Invano, invano lottoper possedere i giorniche mi travolgono rumorosi.Io annego nel tempo.

Vincenzo Cardarelli

Chiara… sembra scritta da un dipendente ***!Grazie Antò (è decisamente lunedì mattina)

Andreano però scusate Chiara ha ragione... analisi del testo:il protagonista della vicenda, ex dipendente ***, è stato recentemente collocato a riposo dal medico competente perché il cuore non reggeva più a fronte dell'impegno quotidiano richiesto.Per ragioni di riservatezza questa analisi non tratterà lo "sterile avvicendarsi di rovinose abitudini"... certo è che il "cerchio nero" potrebbe ragionevolmente riferirsi alle occhiaie del protagonista che non trova riposo e non lo cerca durante la notte, mentre all'alba è posseduto dal ricordo delle peripezie vissute in ufficio ogni volta che si cimentava con la preparazione delle richieste di autorizzazione di missione, seguite miracolosamente dall'approvazione delle stesse e soprattutto dall'erogazione dei biglietti e dei voucher, quest'ultime vissute come autentiche liberazioni "impossibili" perché insperate. Frustrazione, rospi mandati giù, pastoie burocratico-amministrative e rabbia represse oltre a una puntina (ma proprio minima però!) di senso di colpa, retaggio bimillenario della tradizione giudaico-cristiana, non possono che sperare di trovare pace nel sonno, ma danni e colpe della vita da dipendente sono tali e tante che il redde rationem scatta già attraverso la negazione del sonno (tragicissimo quel "se viene"), praticamente un assaggio di ciò che il dipendente *** dovrà affrontare nel giorno del giudizio. Da notare da ultimo anche il contrappasso: gli infiniti colpevoli stati narcolettici durante l'orario di lavoro trovano compensazione nell'insonnia durante il pensionamento. Tardiva l'ammissione di responsabilità per le mancanze durante la vita lavorativa, dunque solo vana può essere la lotta per recuperare le giornate e gli anni buttati che ora invece tumultuosamente lo precipitano nel gorgo dell'appuntamento con il suo ultimo giorno. Non è esattamente un dolce annegare come diceva quell'altro invece.

... vabbè, ma in fondo in fondo, una bella comunicazione interna o una richiesta di autorizzazione di missione aggiungono quel certo non so che alla vita, e daje!

P.S.Cardarelli Vincenzo, laurea in direzione del personale ad honorem, conferita postuma...

Page 74: Poetry in the morning

74

Domani partirò per andare giù dai miei, da persona educata si addice un congedo. Un viaggiatore si chiede sempre dove il suo viaggio lo porterà, una delle più pericolose illusioni è pensare di saperlo in anticipo. Giorgio Caproni, viaggiatore cerimonioso certamente più di me, si chiedeva “Quando non sarò più in nessun dove / e in nessun quando, dove / sarò, e in che quando?” La domanda rende bene l’animo del viaggiatore. Conto che il mio congedo, almeno questo congedo, sia meno definitivo di quello di Caproni!

Congedo del viaggiatore cerimonioso

Amici, credo che siameglio per me cominciarea tirar giù la valigia.Anche se non so bene l’orad’arrivo, e neppureconosca quali stazioniprecedano la mia,sicuri segni mi dicono,da quanto m’è giunto all’orecchiodi questi luoghi, ch’iovi dovrò presto lasciare.

Vogliatemi perdonarequel po’ di disturbo che reco.Con voi sono stato lietodalla partenza, e moltovi sono grato, credetemiper l’ottima compagnia.

Ancora vorrei conversarea lungo con voi. Ma sia.Il luogo del trasferimentolo ignoro. Sentoperò che vi dovrò ricordarespesso, nella nuova sede,mentre il mio occhio già vededal finestrino, oltre il fumoumido del nebbioneche ci avvolge, rossoil disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voisenza potervi nascondere,lieve, una costernazione.Era così bello parlareinsieme, seduti di fronte:così bello confonderei volti (fumare,scambiandoci le sigarette),e tutto quel raccontare

di noi (quell’inventare

facile, nel dire agli altri),fino a poter confessarequanto, anche messi alle strettemai avremmo osato un istante(per sbaglio) confidare.

(Scusate. E’ una valigia pesanteanche se non contiene gran che:tanto ch’io mi domando perchél’ho recata, e qualeaiuto mi potrà darepoi, quando l’avrò con me.Ma pur la debbo portare,non fosse che per seguire l’uso.Lasciatemi, vi prego, passare.Ecco. Ora ch’essa ènel corridoio, mi sentopiù sciolto. Vogliate scusare.)

Dicevo, ch’era bello stareinsieme. Chiacchierare.Abbiamo avuto qualchediverbio, è naturale.Ci siamo – ed è normaleanche questo – odiatisu più d’un punto, e frenatisoltanto per cortesia.Ma, cos’importa. Siacome sia, tornoa dirvi, e di cuore, grazieper l’ottima compagnia.

Congedo a lei, dottore,e alla sua faconda dottrina.Congedo a te, ragazzinasmilza, e al tuo lieve afroredi ricreatorio e di pratosul volto, la cui tintamite è sì lieve spinta.

Page 75: Poetry in the morning

75

Congedo, o militare(o marinaio! In terracome in cielo ed in mare)alla pace e alla guerra.Ed anche a lei, sacerdote,congedo, che m’ha chiesto se io(scherzava!) ho avuto in dotedi credere al vero Dio.

Congedo alla sapienzae congedo all’amore.Congedo anche alla religione.

Ormai sono a destinazione.

Ora che più forte sentostridere il freno, vi lasciodavvero, amici. Addio.Di questo, sono certo: ioson giunto alla disperazionecalma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento

Giorgio Caproni

ChiaraEbbene sì:partire è un po’ morire …oggi ci siamo domani chissà …

ma c’è il sole! Quindi un congedo tanto solenne deve essere frutto dello stato d’animo conseguente alla peperonata di ieri sera (o simili)!!! ;-)

Page 76: Poetry in the morning

76

RoyComincio io il ciclo di Sede Vacante, così Eleonora mi impone.Vi allego la filosofica leggerezza di un grande poeta, perché a volte ribellarsi e trasgredire è necessario.Tra le righe, troverete anche una incredibile citazione a Franco Battiato...

E lasciatemi divertire

Tri tri tri,fru fru fru,ihu ihu ihu,uhi uhi uhi!Il poeta si diverte,pazzamente,smisuratamente!Non lo state a insolentire,lasciatelo divertirepoveretto,queste piccole corbelleriesono il suo diletto.

Cucù rurù,rurù cucù,cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?Queste strofe bisbetiche?Licenze, licenze,licenze poetiche!Sono la mia passione.

Farafarafarafa,tarataratarata,paraparaparapa,laralaralarala!

Sapete cosa sono?Sono robe avanzate,non sono grullerie,sono la spazzaturadelle altre poesie

Bubububu,fufufufu.Friu!Friu!

Ma se d'un qualunque nessoson prive,perché le scrive

quel fesso?

bilobilobilobilobiloblum!Filofilofilofilofiloflum!Bilolù. Filolù.U.

Non è vero che non voglion dire,voglion dire qualcosa.Voglion dire...come quando unosi mette a cantaresenza saper le parole.Una cosa molto volgare.Ebbene, così mi piace di fare.

Aaaaa!Eeeee!Iiiii!Ooooo!Uuuuu!A! E! I! O! U!

Ma giovanotto,ditemi un poco una cosa,non è la vostra una posa,di voler con così pocotenere alimentatoun sì gran foco?

Huisc...Huiusc...Sciu sciu sciu,koku koku koku.

Ma come si deve fare a capire?Avete delle belle pretese,sembra ormai che scriviate in giapponese.

Abì, alì, alarì.Riririri!Ri.

Page 77: Poetry in the morning

77

Lasciate pure che si sbizzarrisca,anzi è bene che non la finisca.Il divertimento gli costerà caro,gli daranno del somaro.

Labalafalalafalalaeppoi lala.Lalala lalala.

Certo è un azzardo un po' forte,scrivere delle cose così,

che ci son professori oggidìa tutte le porte.

Ahahahahahahah!Ahahahahahahah!Ahahahahahahah!

Infine io ò pienamente ragione,i tempi sono molto cambiati,gli uomini non dimandanopiù nulla dai poeti,e lasciatemi divertire!

Aldo Palazzeschi, 1910

ChiaraQue divertido!! W il re!

Ma dillo che volevi principalmente fare pubblicità occulta per il 5‰!!

...Palomaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!

Ernestoio ai supplenti tagliavo le gomme il primo giorno, in maniera disinteressata ma preventiva

Page 78: Poetry in the morning

78

EleonoraFacciamo finta che sono le 8 di mattina, il mio buongiorno arriva con una poesia di Corrado Alvaro, un grande poeta calabrese appunto. Qualche giorno fa, in tv parlavano della Calabria e dei suoi ulivi (o olivi?) attraverso le parole di questo poeta, scrittore, giornalista…Non sono riuscita a trovare nulla sugli ulivi.Eleonora

Ballata in cerca di padrone

Ho nella mente un paesecon un cimitero e due chiese.Nel cimitero la biada crescevae falciata il guardiano la vendevaché in quel paese tutto era giardino.In quel paese tutto era giardino,cuore d’uomo e di femmina persino.Cori e danze eran belli a vederenella malinconia di certe serequando il mondo pareva là finire.

Corrado Alvaro in Poesie grigioverdi (1917)

Page 79: Poetry in the morning

79

Questa poesia di Totò la conoscete sicuramente ma non è un motivo per non ricordarla. Colgo l’occasione per ringraziare i supplenti delle loro belle poesie ma non è mia intenzione ricoprire il ruolo di “titolare” in questo come in qualsiasi altro ambito, il mio sogno segreto è sempre stato di diventare un celebre anonimo.

‘A livella

Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanzaper i defunti andare al Cimitero.Ognuno ll'adda fà chesta crianza;ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,di questa triste e mesta ricorrenza,anch'io ci vado,e con dei fiori adornoil loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...dopo di aver compiuto il triste omaggio.Madonna! si ce penzo,e che paura!,ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto,statemi a sentire:s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:io,tomo tomo,stavo per uscirebuttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchesesignore di Rovigo e di Bellunoardimentoso eroe di mille impresemorto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto......sotto 'na croce fatta 'e lampadine;tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:cannele,cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signorence stava 'n 'ata tomba piccerella,abbandunata,senza manco un fiore;pe' segno,sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:"Esposito Gennaro - netturbino":guardannola,che ppena me facevastu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!Stu povero maronna s'aspettava

ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,s'era ggià fatta quase mezanotte,e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...Stongo scetato...dormo,o è fantasia?

Ate che fantasia;era 'o Marchese:c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...'omuorto puveriello...'o scupatore.'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,s'avota e tomo tomo..calmo calmo,dicette a don Gennaro:"Giovanotto!

Da Voi vorrei saper,vile carogna,con quale ardire e come avete osatodi farvi seppellir,per mia vergogna,accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va,si,rispettata,ma Voi perdeste il senso e la misura;la Vostra salma andava,si,inumata;ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non possola Vostra vicinanza puzzolente,fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fossotra i vostri pari,tra la vostra gente"

"Signor Marchese,nun è colpa mia,i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,

Page 80: Poetry in the morning

80

i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'ossee proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumentomme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?Se io non fossi stato un titolatoavrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé..-piglia sta violenza...'A verità,Marché,mme so' scucciato'e te senti;e si perdo 'a pacienza,mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?......Muorto si'tu e muorto so' pur'io;ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permettiparagonarti a me ch'ebbi nataliillustri,nobilissimi e perfetti,da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervellache staje malato ancora e' fantasia?...'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,trasenno stu canciello ha fatt'o puntoc'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,suppuorteme vicino-che te 'mporta?Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"

Antonio de Curtis, in arte Totò

Page 81: Poetry in the morning

81

EleonoraE' sempre emozionante rileggerla, ancor di più oggi che ho seguito una "lectio magistralis" di Don Luigi Ciotti sull'etica. Ha parlato di giustizia, uguaglianza, libertà, responsabilità. Senza diritti (e doveri) e uguaglianza non ci sarà progresso sociale.Tra le tante cose dette, è stato citato Don Lorenzo Milani e, in particolare, "Lettera a Pipetta", scritta a un giovane comunista. M'è piaciuta e ve la propongo...magari vale come poesia per domani mattina.Baci bacetti dalla bella (e un po' freddina..ma col sole) macerata :-) Ele

"Caro Pipetta,ogni volta che ci incontriamo tu mi dici che se tutti i preti fossero come me, allora… Lo dici perché tra noi due ci siamo sempre intesi anche se te della scomunica te ne freghi e se dei miei fratelli preti ne faresti volentieri polpette. Tu dici che ci siamo intesi perché t'ho dato ragione mille volte in mille tue ragioni.Ma dimmi Pipetta, m'hai inteso davvero?È un caso, sai, che tu mi trovi a lottare con te contro i signori. San Paolo non faceva così.E quel caso è stato quel 18 aprile che ha sconfitto insieme ai tuoi torti anche le tue ragioni. È solo perché ho avuto la disgrazia di vincere che… Mi piego, Pipetta, a soffrire con te delle ingiustizie. Ma credi, mi piego con ripugnanza. Lascia che te lo dica a te solo. Che me ne sarebbe importato a me della tua miseria?Se vincevi te, credimi Pipetta, io non sarei più stato dalla tua. Ti manca il pane? Che vuoi che me ne importasse a me, quando avevo la coscienza pulita di non averne più di te, che vuoi che me ne importasse a me che vorrei parlarti solo di quell'altro Pane che tu dal giorno che tornasti da prigioniero e venisti colla tua mamma a prenderlo non m'hai più chiesto.Pipetta, tutto passa. Per chi muore piagato sull'uscio dei ricchi, di là c'è il Pane di Dio.È solo questo che il mio Signore m'aveva detto di dirti. È la storia che mi s'è buttata contro, è il 18 aprile che ha guastato tutto, è stato il vincere la mia grande sconfitta.Ora che il ricco t'ha vinto col mio aiuto mi tocca dirti che hai ragione, mi tocca scendere accanto a te a combattere il ricco.Ma non me lo dire per questo, Pipetta, ch'io sono l'unico prete a posto. Tu credi di farmi piacere. E invece strofini sale sulla mia ferita.E se la storia non mi si fosse buttata contro, se il 18… non m'avresti mai veduto scendere là in basso, a combattere i ricchi.Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione.Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione.Ma come è poca parola questa che tu m'hai fatto dire. Come è poco capace di aprirti il Paradiso questa frase giusta che tu m'hai fatto dire. Pipetta, fratello, quando per ogni tua miseria io patirò due miserie, quando per ogni tua sconfitta io patirò due sconfitte, Pipetta quel giorno, lascia che te lo dica subito, io non ti dirò più come dico ora: «Hai ragione». Quel giorno finalmente potrò riaprire la bocca all'unico grido di vittoria degno d'un sacerdote di Cristo: «Pipetta hai torto. Beati i poveri perché il Regno dei Cieli è loro».Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò.Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso."

(Don Lorenzo Milani, 1950)

AntonioVale come poesia questa bellissima lettera, vale eccome. Grazie Ele, non la conoscevo. E' davvero grande questa lettera, una analisi lucida e disperata del potere e delle contingenze della storia, dei rovesciamenti, di quelli che i filosofi deliranti chiamano asetticamente eterogenesi dei fini, quali fini poi? L'avvento dello spirito! Tornante di quel frammento di storia fu il 18 aprile del 48 quando quello che si chiamava fronte popolare perse le elezioni. "è stato il vincere la mia grande sconfitta" dice don Milani, non ho mai sentito commento più sincero a quella beatitudine che ricorda gli ultimi.

Page 82: Poetry in the morning

82

Ci sono notti che non accadono mai

Ci sono nottiche non accadono maie tu le cerchimuovendo le labbra.Poi t’immagini sedutoal posto degli dèi.E non sai diredove stia il sacrilegio:se nel ripudiodell’età adultache nulla perdonao nella bramad’essere immortaleper vivere infiniteattese di nottiche non accadono mai.

Alda Merini

Page 83: Poetry in the morning

83

La poesia originale è in dialetto romagnolo, la riporto per chi può apprezzarlo, io purtroppo non posso.

I partigièn

Un’ è par véa d’la gloriasa sém andè in montagnaa fè la guèra.Ad guèra a sémi stóff,ad patria ènca.Evémi bsogn ad déi:lascés al mèni lébri,i pii, i òcc’, a gli urèci;lascès durmèi ‘nt e fèns’una ragaza.Par quèst avém sparèa’ s sém fat impichèa sém andè a e’ mazèllpianzénd ‘nt’ e’ còre al labri ch’al tremèva.Mò ènca a savémiche a pèt d’un boia d’un fascésta,neun a sémi zèntae lòu del mariunèti.E adèss ch’ a sém mortn’u rumpéis i quaieunsa ‘l cerimòni,pansè piutòst m’i véivch ì n’ apa da pérd ènca lòula giovineza.

Nino Pedretti, Al vòusi e atre poesie in dialetto romagnolo, Torino, Einaudi 2007

I partigiani

Non è per motivi di gloriache ce ne andammo in montagnaa fare la guerra.Di guerra ne avevamo piene le scatolee anche di patria.Avevamo un gran bisogno di dirvi:lasciateci libere le manie i piedi, gli occhi, gli orecchi;lasciateci dormire nel fienocon una ragazza.Solo per questo abbiamo sparato,ci siamo fatti impiccare,siamo andati al macellocon il pianto nel cuoree con le labbra che ci tremavano.Ma anche così eravamo sicuriche, in confronto a un boia di fascista,noi eravamo persone veree loro marionette.E adesso che siamo mortinon ci venite a rompere i coglionicon le cerimonie,pensate ai vivi piuttosto,ché non tocchi anche a loro di perderela giovinezza.

Page 84: Poetry in the morning

84

Quanto è diverso “questo bel sole di ottobre” di Pasolini dal “vecchio sole ottobrino” di Cardarelli … contrappunti laceranti.

La tosse dell'operaio

Sento tossire l'operaio che lavora qui sotto;la sua tosse arriva attraverso le grate che dal pianterrenodanno nel mio giardino. Sicché essa pare risuonare tra le piante,toccate dal sole dell'ultima mattina di bel tempo. Egli,l'operaio, là sotto, intento al suo lavoro, tossisce ogni tanto,certamente sicuro che nessuno lo senta. E' un male di stagionema la sua tosse non è bella; è qualcosa di peggio che influenza.Egli sopporta il male, e se lo cura, immagino, come noida ragazzi. La vita per lui è rimasta decisamente scomoda;non l'aspetta nessun riposo, a casa, dopo il lavoro,come noi, appunto, ragazzi o poveri o quasi poveri.Guarda, la vita ci pareva consistere tutta in quella povertà,in cui non si ha diritto neanche, e con naturalezza,all'uso tranquillo di una latrina o alla solitudine di un letto;e quando viene il male, esso è accolto eroicamente:un operaio ha sempre diciotto anni, anche se ha figlipiù grandi di lui, nuovi agli eroismi.Insomma, a quei colpi di tossemi si rivela il tragico senso di questo bel sole di ottobre.

Pier Paolo Pasolini, "Tempo illustrato", 8 novembre 1969. In Poesie disperse I

Page 85: Poetry in the morning

85

ChiaraNon so per quale strada neuronale PPP ha richiamato CL.L’operaio e il contadino. L’autunno nelle sue infinite luci. Lascio parole per entrambi.

M’avete fatto umanobaci dolenti, terre nascostedove un dolore anticoera prima del mio arrivo.

Come un classico dio mendicosono stato in mezzo al granopovero e alle scompostecolline del grigio ulivo;

secoli di pene impostee di desiderio vanosul biondo tuo viso amicocome in quei monti scoprivo

che un egoismo lontanoarse paterno e passivospogliando d’erbe l’apricoterreno e le tenere coste.

Alle offerte senza risposteso solo rispondere, e dicoparole che apran l’arcanogrembo del fonte vivo.

luglio 1936

Carlo Levi

Un nuovo sole, azzurro di grige lontananze volge gli ultimi insetti alle sbadate danze

ultime; tutti i santi si gloriano dell'oro delle foglie, al sussurro chiesastico dei boschi.

Sopra i monti distanti del paese italiano distende il suo lavoro giallo e verde l'autunno.

Giacciono in loro stanze i morti di Trespiano nella gloria costretti dei ricordi e dei pianti.

Di nessun luogo alunno senza amori e compianti con i morti e coi santi entro nel freddo autunno.

novembre 1943

Carlo Levi

Page 86: Poetry in the morning

86

Da Carlo Levi a Primo Levi. E’ ben più di un’associazione, più di una coincidenza. Vicino casa mia c’è il teatro-biblioteca il Quarticciolo, una biblioteca piccola ma di quelle che piacciono a me, puoi prendere i libri, leggerli e ovviamente riporli, oppure puoi prenderli in prestito. Proprio sabato mattina scorso ci sono andato e nell’attesa che la biglietteria del teatro aprisse ho sfogliato qualche libro nella sezione delle poesie, non è molto ricca e i pochi libri che ci sono devono aver provato parecchio fastidio a questo mio pensiero, la poesia non ha grande considerazione del concetto di quantità. Ho preso un libro di Primo Levi, ho aperto a caso e mi sono preso una sberla dalla quale mi sono ripreso solo quando sono tornato a casa. Cercando in rete la poesia che avevo letto, la prima che riporto, ho trovato la seconda, un’altra sberla. Quando siete davanti a dei libri di poesie non dite mai che sono pochi, potrebbero farvela pagare molto cara.

Voci

Voci mute da sempre, o da ieri, o spente appena;Se tu tendi l’orecchio ancora ne cogli l’eco.Voci rauche di chi non sa più parlare,Voci che parlano e non sanno più dire,Voci che credono di dire,Voci che dicono e non si fanno intendere:Cori e cimbali per contrabbandareUn senso nel messaggio che non ha senso,Puro brusio per simulareChe il silenzio non sia silenzio.A vous parle, compaings de galle:Dico per voi, compagni di baldoriaUbriacati come me di parole,Parole-spada e parole-veleno,Parole-chiave e grimaldello,Parole-sale, maschera e nepente.Il luogo dove andiamo è silenziosoO sordo. È il limbo dei soli e dei sordi.L’ultima tappa devi correrla sordo,L’ultima tappa devi correrla solo.

Primo Levi, 10 Febbraio 1981

Page 87: Poetry in the morning

87

Le pratiche inevase

Signore, a fare data dal mese prossimo voglia accettare le mie dimissioni. E provvedere, se crede, a sostituirmi. Lascio molto lavoro non compiuto, Sia per ignavia, sia per difficoltà obiettive. Dovevo dire qualcosa a qualcuno, ma non so più che cosa e a chi: l'ho scordato. Dovevo anche dare qualcosa, una parola saggia, un dono, un bacio; ho rimandato da un giorno all'altro. Mi scusi, Provvederò nel poco tempo che resta. Ho trascurato, temo, clienti di riguardo. Dovevo visitare città lontane, isole, terre deserte; le dovrà depennare dal programma o affidarle alle cure del successore. Dovevo piantare alberi e non l'ho fatto; costruirmi una casa, forse non bella, ma conforme a un disegno. Principalmente, avevo in animo un libro meraviglioso, caro signore, che avrebbe rivelato molti segreti, alleviato dolori e paure, Sciolto dubbi, donato a molta gente il beneficio del pianto e del riso. Ne troverà traccia nel mio cassetto, in fondo, tra le pratiche inevase; Non ho avuto tempo per svolgerla. È peccato, sarebbe stata un'opera fondamentale.

Primo Levi

Page 88: Poetry in the morning

88

Oggi cambiamo registro, altrimenti non arriviamo a fine settimana… Propongo di leggere ma soprattutto ascoltare un tango del 1971 traboccante di pathos e sentimento. Il testo, vi assicuro, perde molto del suo messaggio senza la straziante interpretazione del grande Aldo Fabrizi. Se qualcuno di voi non dovesse disporre di mezzi adeguati per l’ascolto allora può sfruttare l’assenza del mio coinquilino per ascoltare questo memorabile testo nella mia stanza.

Lulù tu non mi ami più.

Lulù nel cielo blunon brillano piùle stelle lassùse tu vai laggiù.Lulù la gioventùsfiorisce quaggiùperché manchi tu.

Non mi guardano piùquegli occhioni tuoi blu,non mi ridono piùquei dentoni tuoi blu.

Dimmi forse nel tuo cuorec' è nascosto un altro amoredimmi infrangi il mio doloredimmi dimmi se c'è alcun.

Vorrei gettarmi ai piedi tuoinel mio soffrirema a star vicino ai piedi tuoisi può morire.

Amor mio gran tesorper te soffriròper te piangeròper te incecchirò.

Amor singhiozza il corperché soffre ogn'orperché soffre ogn'orperché so’ fregnon.

Non mi estasiano piùi capelli tuoi blu,non mi sfiorano piùle ginocchia tue blu.

Se nei frizzi tuoi mordacimi deridi e non mi bacitaci dunque, dunque tacitaci dunque, 'tacci tu.

Si, del mio cuore fanne pure quel che vuoi,però non dirmi i frizzi più, mortacci tuoi.

Sono pazzo già da un pezzogià da un pezzo sono pazzose mi sprezzo m'ammazzose m'ammazzo morirò.

Ma che m'importase il tuo amore è una folliaah! ah! ah! ah! ...io voglio bene solamente a... mamma mia.

Aldo Fabrizi, 1971.

Page 89: Poetry in the morning

89

Andreatengo il buon Fabrizi riposto in uno dei tanti meandri delle mie circonvoluzioni cerebrali... quando leggo cose sue o che sono state da lui interpretate, parte l'ologramma che mi recita la cosa con tanto di impostazione sorniona e gongolante, accento, lieve affanno, gioco di occhi, smorfie, strascico di sillabe e presenza ingombrante... a volte la dotazione personale supplisce alle carenze di adeguati mezzi! ;-)E a proposito di presenza ingombrante il nostro non si risparmiava davvero come descrive ne "La dieta", d'altra parte mantenere il punto e rinforzare il proprio proposito è affare serio e controverso come lamenta in questa altra poesia: Povera panza mia

Calà de peso è utile e confortaperchè riempie de soddisfazione,ma 'sto riempimento è un illusioneche la panzetta mia nun la sopporta.

Si brontola più forte, quarche vorta,quel brontolio me dà la sensazioneche le budella vanno in processionecantanno er coro de la panza morta.

Così ho pensato a facce tatuàun paro de posate messe a crocee su la croce 'st'epitaffio qua:

«Dopo una vita onesta e attrippatella,stroncate dalla dieta più ferocequì riposeno in pace le budella.» Aldo Fabrizi

Page 90: Poetry in the morning

90

Andrea, all’ora di pranzoAnche per gli assenti e per i fuori sede ;-)Proseguendo quindi con Aldo Fabrizi vi do appuntamento fra cinque minuti nel corridoio... Magnà e dormì

So’ du’ vizietti, me diceva nonno,che mai nessuno te li pò levà,perché so’ necessari pe’ campàsin dar momento che venimo ar monno.

Er primo vizio provoca er seconno:er sonno mette fame e fà magnà,doppo magnato t’aripija sonnopoi t’arzi, magni e torni a riposà.

Insomma, la magnata e la dormita,massimamente in una certa età,so’ l’uniche du’ gioje de la vita.

La sola differenza è questa qui:che pure si ciài sonno pòi magnà,ma si ciài fame mica pòi dormì.

Aldo Fabrizi

ChiaraANTO’, GNAGNA E’ CAPITOLATO!!!!!!!!!!!!!!!

IoHai visto che bello! Bastava citare il poeta giusto.  ;-))

Page 91: Poetry in the morning

91

Rimaniamo sul romanesco con una poesia di Natale Polci, poeta romano nato a Giuliano nel 1897 (non trovo traccia in rete della morte ma ad occhio e croce dovrebbe essere dipartito, magari una voce in wikipedia i romani potrebbero dedicargliela!). La poesia è solitamente (ed erroneamente) attribuita a Trilussa. Da non perdere la lettura della versione italiana di Andrea Bocelli.

Er passero ferito

Era d'Agosto. Un povero uccelletto,ferito da la fionna d’un maschietto,s’agnede a riposà co ‘n’ala offesa,su la finestra aperta d’una chiesa.

Da le tendine der confessionale,un prete intese e vidde l’animale,ma dato che lì fori, c’ereno nun so quanti peccatori,richiuse le tendine espressamente,e se rimise a confessà la gente.

Ma mentre che la massa de persone,diceva l’orazzionesenza guardà pe’ gnente l’ucelletto,‘n omo lo prese e se lo mise in petto…

Allora ne la chiesa se sentì,un lungo cinguettìo: cì-cì, cì-cì…Er prete, risentendo l’animale, lasciò er confessionale,poi, nero nero peggio de la pece,

s’arampicò sur purpito e lì fece:"Fratelli, chi ha l’ucello per favorevada fora dar Tempio der Signore!".Li maschi, tutti quanti in una vorta,

partirono p’annà verso la porta,ma er prete, a que lo sbajo madornale:"Fermi!", strillò "che me so espresso male…Tornate indietro e stateme a sentì:qua, chi ha preso l’ucello deve uscì!".

A testa bassa e la corona in mano,cento donne s’arzorno piano piano.Ma mentre se ‘n’annaveno de fora,er prete ristrillò: "Ho sbajato ancora!".

Rientrate tutte quante fije amate,ch’io nun volevo dì quer che pensate.Io v’ho già detto e ve ritorno a dì,che chi ha preso l’ucello deve uscì,

ma io lo dico a voce chiara e stesa,a chi l’ucello l’abbia preso in chiesa!".In quello stesso istante,le moniche s’arzorno tutte quante,eppoi, cor viso pieno de rossore,lasciarono la casa der Signore.

L'uccelletto in chiesa

Era d'agosto e un povero uccellettoferito dai pallini di un moschettoandò a posarsi con un'ala offesasulla finestra aperta di una chiesa.

Dalle tendine del confessionaleil parroco intravide l'animale,ma, pressato da molti peccatoriche volevan pentirsi degli errori,richiuse le tendine immantinentee si rimise a confessar la gente.

Mentre in ginocchio oppur stando a sedereogni fedele diceva le preghiereuna donna, notato l'uccelletto,lo pose al caldo mettendolo nel petto.

A un tratto un improvviso cinguettìoruppe il silenzio nel tempio di Dio.Rise qualcuno e il prete, a quel rumore,il ruolo abbandonò di confessore,

s'arrampicò sul pulpito velocee di lassù gridò ad altra voce:"Fratelli, chi ha l'uccello, per favore,esca fuori dal tempio del Signore".

I maschi, un po' stupiti a tal parole,lesti si accinsero ad alzar le suole,ma il prete a quell'errore madornale"Fermi!" - gridò - "mi sono espresso male,rientrate tutti e statemi a sentire:solo chi ha preso l'uccello deve uscire".

A testa bassa e la corona in manocento donne s'alzarono pian piano,ma mentre s'affrettavan di buon orail prete le gridò "Ho sbagliato ancora,rientrate tutte quante figlie amate,ch'io non volevo dire quel che pensate".

E riprese: "Già dissi e torno a dire,solo chi ha preso l'uccello deve uscire,ma mi rivolgo a voce chiara e estesasolo a chi ha preso l'uccello in chiesa".

A tal parole, nello stesso istante,le monache si alzaron tutte quante,quindi, col viso pieno di rossore,lasciarono la casa del Signore.

Page 92: Poetry in the morning

92

Natale Polci

(Versi aggiunti successivamente da anonimo)

Er prete co’ la faccia imbambolata,capì che aveva detto ‘na cazzatae sentenziò: "Rientrate piano piano…sorta chi adesso cià l’ucello in mano!".

Una ragazza che cor fidanzato,stava co’ lui a sede sur sagrato,disse impaurita, cor visetto smorto:"Che te dicevo? A stronzo! Se n’è accorto!".

Ma quello che nessuno ha mai capitoè perché pure er chirichettos'è arzato e se n’è ito.

Andreabè... direi che la versione in italiano è troppo sbilanciata sulla dimensione-barzelletta e le aggiunte successive tradiscono un po' il sonetto originale, no?Polci non si trova manco più in libreria come molti altri dialettali e coltivatori del vernacolo, sarà stato messo fuori catalogo pure sul web... gita a Giuliano di Roma? magari alla Biblioteca Comunale intitolata al Polci?... oddio è Ciociaria e il paese ha fornito pure manodopera alla banda del Brigante Gasparone quindi la zona potrebbe non essere molto raccomandabile! ;-)

IoSono d’accordo che le aggiunte successive siano di diverso registro, devo ammettere però che anche la versione italiana è piacevole, anche qui le aggiunte hanno una forzatura, un di più che rompe l’equilibrio

Andreanon lo so mica però...ci sono licenze di "traduzione" che stravolgono un po' troppo tutto... già all'inizio "la fionna d'un maschietto" diventa "pallini di un moschetto" la disperata ricerca di un assonanza tra le due versioni porta a risultati paradossali: se colpisci un passero con un moschetto a pallini non lo ferisci, lo disintegri. Un po' come tirare al piccione con il cannone o sparare a un coniglio con un fucile da caccia grossa insomma"."n'omo lo prese e se lo mise in petto" diventa "una donna...", vabbè le pari opportunità ma allora devo concludere che hanno fatto benissimo a cambiare anche il titolo al sonetto tradotto!

Ele..boccio le aggiunte e la versione in italiano.Grazie Antonio, veramente divertente!

IoSull’annoso problema … traduzione, tradizione, tradimento … la radice è la stessa ;-)

"Santa Vergine!" - esclamò il buon prete -"Sorelle, su rientrate, state quiete,perché voglio concluder, sissignori,la serie degli equivoci e di errori,perciò, senza rumore, piano piano,esca soltanto chi ha l'uccello in mano".

Una fanciulla che col fidanzatoera nascosta in un angolo appartatodentro una cappella laterale,poco mancò che si sentisse male,quindi gli sussurrò col viso smorto:"Te lo dicevo, hai visto, se n'è accorto!".

(Altro finale aggiunto)Ma in un angolo ancora più appartato,un'altra ragazza col fidanzato,disse: "Caro, non se n'è accorto, ché io non son sciocca,in quanto, l'uccello, lo tenevo in bocca!".

Page 93: Poetry in the morning

93

Dopo la carrellata romanesca doveva essere il turno di uno dalle mie parti ma il mio autore aspetterà fino a domani perché oggi è il compleanno di Daniela e le sue parole non andavano bene per l’occasione. Trovo più indicate quelle di Emily. Per l’occasione la traduzione è mia, quella in rete non mi piaceva, siate clementi.

Autunno

Le mattine sono più miti di primaLe noci diventano più scureLa guancia della bacca è più paffuta,La rosa è fuori città.

L’acero indossa una sciarpa più gaia,La campagna una gonna scarlatta.Perché io non debba essere antiquata,mi metterò un ciondolo.

Autumn

The morns are meeker than they were,The nuts are getting brown;The berry's cheek is plumper,The rose is out of town.

The maple wears a gayer scarf,The field a scarlet gown.Lest I should be old-fashioned,I'll put a trinket on.

Emily Dickinson

Danielagraziebella la poesia e mi piace molto la traduzionese la mela rossa matura in autunno un frammento in tema

Quale dolce mela che su altoramo rosseggia, alta sul piùalto, la dimenticarono i coglitori;no, non fu dimenticata: invanotentarono di raggiungerla…

Saffo (traduzione S. Quasimodo)

Page 94: Poetry in the morning

94

“Questo poema è solo, chiuso nel suo stesso impossibile” dice Carmelo Bene. Del poema 'L mal de' fiori Bene vietò espressamente recensioni, si autointervistò per evitare lo stupro dei critici. Scrisse qualche articolo, lesse e commentò qualche verso. Da parte mia poche parole, come si addice, sfilacciate e incompiute. La parola è dissezionata, esplosa, non perché vecchia ma perché parola. Del futurista Bene ha il tono, non l’intento, non c’è novità che possa nascere dove non c’è inizio, “tutto è passato senza incominciare”. Bene accetta la parola, sia medioevale o contemporanea, dialettale o italiana, al lettore lascia il senso del verbo che fu all’inizio e già si perde nelle trame del dissenso e dell’insignificanza. Bene accetta la parola, in tutte le sue sfumature, capace di creare e svaporare come fumo sotto gli occhi allucinati di chi legge. La parola è voce rauca nell’inavvenir, prescritta “da un voler che non si sa disvoluto”.Non è da tutti avere il privilegio d’esser dannati, a Carmelo Bene è toccato. Scriveva di sé “La mia massima ambizione è sempre stata quella di diventar cretino, perseguita con accanimento sin dalle operine giovanissime”. Un disegno così impegnativo chiede costante dedizione e duro lavoro, non tutti possono affrontarlo.

Voce mia tua chissà chiamare questoMia tua chissà la voce che chiamareventilato è suonar che ne discorrein che pensar diciamo e siamo dettivani smarriti soffi rauchi versiprescritti da un voler che non si sadisvoluto e alla mano intima incisisegni qui divertiti disattesisensi descritti testid'altri che morti fiatidimentichi 'n mia tua chissà la voce

Noi non ci apparteniamo E' il mal de' fioriTutto sfiorisce in questo andar ch'è starinavvenirNel sogno che non sai che ti sognaretutto è passato senza incominciare'me in quest'andar ch'è stato

Carmelo Bene, dal poema 'L mal de' fiori, Bompiani, 2000

Siamo fuor del marcire dentro un sacco

Siamo fuor del marcire dentro un saccomorente assenza Restidi che mai fu In provinciala stessa che ritorna tourne à naîtrein tour-nées poveri guittibabalbutiti ‘n vuota scena danostradonnamaria insignificanza indovece ne no stiamo più non stiamo e t’amo ‘n letto

‘me se d’altrui cadaveri ‘nventato.

L’hanno portato via l’hanno portatochi l’aveva una volta mai l’amatase non a mo’ di tazza sul comòtepida oscena dura a mo’ di smaltotronco busto sensuato ‘me di bambolaeducato ‘n androide sì cosìsi sta in così ecce femina ch’è no

Distaccata ‘me posta lontanata chissàper s’avvicina l’altra mano toccamiqui dove più non duoleil no del corpo star in fare il morto.

Che ragazza e ragazza! E’ cosa spoglianella sera dall’ombra carezzatanella carezza ombrata da la nottein dell’incanto sole del meriggiodomestico claustrato d’arabeschidivini evanescenti alle marinepareti della stanza ‘n divenir

Che ragazza e ragazza! sperso arredo ‘n dettagliin apparir disparso dentro vanoche d’intimo discreto in m’hai scordataL’hanno portata via l’hanno portata

Page 95: Poetry in the morning

95

‘me il tutto ch’è mai stato e poi finì. Carmelo Bene, dal poema 'L mal de' fiori, Bompiani, 2000

Andreaannamo a magna' che poi doppo possiamo cinguettare puro noi... La poesia

Appena se ne va l'urtima stellae diventa più pallida la lunac'è un Merlo che me becca una per unatutte le rose de la finestrella:s'agguatta fra li rami de la pianta,sgrulla la guazza, s'arinfresca e canta.

L'antra matina scesi giù dar lettoco' l'idea de vedello da vicino,e er Merlo furbo che capì er latinospalancò l'ale e se n'annò sur tetto.- Scemo! - je dissi - Nun t'acchiappo mica...-E je buttai du' pezzi de mollica.

- Nun è - rispose er Merlo - che nun ciabbiafiducia in te, ché invece me ne fido:lo so che nu m'infili in uno spido,lo so che nun me chiudi in una gabbia:ma sei poeta, e la paura miaè che me schiaffi in una poesia.

E' un pezzo che ce scocci co' li trilli!Per te, l'ucelli, fanno solo questo:chiucchiù, ciccì, pipì... Te pare onestode facce fa la parte d'imbecillisenza capì nemmanco una parolade quello che ce sorte da la gola?

Nove vorte su dieci er cinguettioche te consola e t'arillegra er corenun è pe' gnente er canto de l'amoreo l'inno ar sole, o la preghiera a Dio:ma solamente la soddisfazzioned'avè fatto una bona diggestione.

Trilussa

Page 96: Poetry in the morning

96

Rimaniamo al sud con un inedito. Un cammeo, almeno per me, di quelli a cui ti affezioni e ti danni per non aver scritto. Abele Longo è del sud e vive a Londra, ha un blog che consiglio di leggere. Chi segue il mio blog sa della mia adorazione per quelle ragnatele del tempo che sono i muri a secco.

Muri a secco

Si condensanei confini nettidi una terraarida di zollela notte,coi solchi chiusialle falesie,dove il marefa da ponteall’universo.

Abele Longo

______________________________

Ancora una poesia di Abele

Sotto il cielo di Gaza

proviamo ad appendere i nostri figlicome ai fili del bucato

cliccare mi piace su facebookcome il pilota sgancia le bombe

poi vedremo se passacome passano i temporali

Abele Longo

Page 97: Poetry in the morning

97

Ernesto

Odiare forse?

Odiare forse un popolola cui carne fu ceneresotto una mano iniqua?Odiare anche i bambini- l'età dei miei fratelli -se hanno un padre che bevevino sulle mie lacrime?Pure l'odio al carnefice,e il perdono ai suoi figli,sarà, sempre, sarà ancora,nonostante la miseria?

Rashid Husayn, 1936-1980

Page 98: Poetry in the morning

98

Andrea, per la firma di un contratto

beccateve questa, per la serie... è dura ma ce la faremo :-D Mercoledì 21 novembre 2012

Suonavano a festale sante campane.-E’ congrua! – cantavanovicine e lontane.Ed io che sbirciavoSul chiaro verbale,le firme cercavo,malfidato totale.Il nitido scrittoleggendo, compresiche ver’eranle voci, e sorrisi.Mi dissi: “Altro passo,che è grande, vedrai,se avanti nell’iter,portar lo saprai”.Chiusi gli occhicon rassegnazione…e vidi una gemmabrillar: la determinazione. Rimaneggiamento di una poesia sul Natale imparata quando ero piccolo e quasi dimenticata del tutto...

Page 99: Poetry in the morning

99

Girotondo

Se verrà la guerra, Marcondiro'nderose verrà la guerra, Marcondiro'ndàsul mare e sulla terra, Marcondiro'nderasul mare e sulla terra chi ci salverà?

Ci salverà il soldato che non la vorràci salverà il soldato che la guerra rifiuterà.

La guerra è già scoppiata, Marcondiro'nderola guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà.

Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro'nderaci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.

Buon Dio è già scappato, dove non si sabuon Dio se n'è andato, chissà quando ritornerà.

L'aeroplano vola, Marcondiro'nderal'aeroplano vola, Marcondiro'ndà.

Se getterà la bomba, Marcondiro'nderose getterà la bomba chi ci salverà?

Ci salva l'aviatore che non lo faràci salva l'aviatore che la bomba non getterà.

La bomba è già caduta, Marcondiro'nderola bomba è già caduta, chi la prenderà?

La prenderanno tutti, Marcondiro'nderasiam belli o siam brutti, Marcondiro'ndà

Siam grandi o siam piccini li distruggeràsiam furbi o siam cretini li fulminerà.

Ci sono troppe buche, Marcondiro'nderaci sono troppe buche, chi le riempirà?

Non potremo più giocare al Marcondiro'nderanon potremo più giocare al Marcondiro'ndà.

E voi a divertirvi andate un po' più in làandate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.

La guerra è dappertutto, Marcondiro'nderala terra è tutta un lutto, chi la consolerà?

Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiorii boschi e le stagioni con i mille colori.

Di gente, bestie e fiori no, non ce n'è piùviventi siam rimasti noi e nulla più.

La terra è tutta nostra, Marcondiro'nderane faremo una gran giostra, Marcondiro'ndà.

Abbiam tutta la terra Marcondiro'nderagiocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà

Fabrizio De Andrè, 1968

Page 100: Poetry in the morning

100

Prima di vederci da Gabriele stasera, special guest della poesia di oggi, vi invio una poesia di John Matthias, un autore che lui mi ha fatto conoscere e apprezzare. Non è molto noto ma appena la nostra antologia sarà pubblicata sono sicuro che avrà il posto che merita nel panteon della poesia ;-)La poesia è tra le mie preferite della raccolta che Gabriele ha tradotto. La storia dell’amico Gil si intreccia con quella di Gilgamesh, avvenuta millenni prima. La storia accadica di Gilgamesh si ferma alla XII tavola, la storia di Gil è letta millenni dopo, in frammenti, sulla XIII tavola, quando si ricorderà appena di un uomo che pendeva tra le macerie come “un dispensa semi per i fringuelli dalla gola gialla.”

Column I, Tablet XIIIFor Gilburt Loescher, UN High Commission for Refugees...

mostly broken, but assumed to bea lone survivor...

...man called Gilis what the paper saidif you were able to decipher the Akkadian,cuneiform...

A man called Gilgamesh,was king and had a friend.

Climb along the outer wall, the inner wall,study the foundation......expedition...dreamin Nether world. Apsu, the abyss

He lived next door to me for many yearsand he would read beneath the tree that shadedboth our gardens. Tall Gilgamesh, he'dplay basketball with local kids and let them win.His friend Sergio called to himfrom Baghdad. Man of peace, scholarof our failure to mend...he went...

in schools they studied exorcism...Sin-legi-unninni wrote it down. Humbaba camethe outer walls collapsed... inner walls

his wife Ann doing her tai chias Gil Red on, then stringing wire betweenour houses, hanging up a feeder forthe yellow-throated finch

Gil hanging upside down in rubbleby his broken legs, callingfor his friend. Terrible the flash of lightO terrible the thunder-blast

column... tablet...Enkidu

Colonna I, Tavola XIIIPer Gilburt Loescher, Alto Commissario ONU per i Profughi...

rotto per lo più, ma ritenuto esserel'unico esemplare sopravvissuto...

un uomo chiamato Gilè quello che il giornale dicevase eri capace di decifrare la lingua accadica,il cuneiforme...

Un uomo chiamato Gilgamesh,era re ed aveva un amico.

Sali sul muro esterno, il muro interno,studia le fondamenta......spedizione...sognoin un mondo degli Inferi. Apsu, l'abisso

Ha vissuto per molti anni nella casa accanto alla miae soleva leggere sotto l'albero che dava ombra a entrambi i nostri giardini. Gilgamesh il lungo, giocava a basket con i ragazzini del posto e li lasciava vincere.Il suo amico Sergio ri rivolse a luida Baghdad. Uomo di pace, studiosodella nostra incapacità di riparare...egli andò...

nelle scuole studiavano esorcismi...Sin-legi-unninni lo trascrisse. Humbaba vennei muri esterni collassarono... i muri interni

sua moglie Ann che faceva il suo tai chimentre Gil continuava a leggere, poi stendeva il filo trale nostre case, appendeva un dispensa semiper i fringuelli dalla gola gialla

Gil che pende a testa in giù tra le maceriedalle sue gambe rotte, che invocail suo amico. Terribile il lampo di luceO terribile lo scoppio del tuono

Page 101: Poetry in the morning

101

colonna ... tavola ... EnkiduJohn Matthias, Nuotando a mezzanotte. Traduzione e cura di Gabriele Poole. Ed. Dante & Descartes, 2008.

Page 102: Poetry in the morning

102

Margaret Fuller Slack

Sarei stata grande come George Eliot ma il destino non volle. Guardate il ritratto che mi fece Penniwit, col mento appoggiato alla mano e gli occhi fondi — e grigi e indaganti lontano. Ma c'era il vecchio, l'eterno problema: celibato, matrimonio o impudicizia? Venne il ricco esercente John Slack, con la promessa che avrei potuto scrivere a mio agio, e io lo sposai, misi al mondo otto figli, e non ebbi più tempo per scrivere. Per me, comunque, era tutto finito quando l'ago mi trafisse la mano mentre lavavo i panni del bambino, e morii di tetano, un'ironica morte. Anime ambiziose, ascoltate, il sesso è la rovina della vita!

Edgar Lee Masters, In Antologia di Spoon River, 1916

Page 103: Poetry in the morning

103

Come fare 15 km con la testa tra le nuvole.In questo mese c’è uno spettacolo che non smette mai di riempirmi di meraviglia e commozione, gli storni di stormi, uno stordimento dei sensi, uno stormire di ali e segni capace di farti arrivare ovunque senza bisogno di sapere quale strada hai fatto.

La poesia di oggi è un pensiero che scrisse un mio amico sul volo degli uccelli.

"Ogni specie di uccello ha un suo modo di volare, ritmo, energia, dolcezza e poesia, quasi un modo suo di dare forma e consistenza all'invisibilità dell'aria. Siamo tutti occhi aperti su orizzonti unici.", Luca.

Tempo fa passai in rassegna decine di video per trovarne uno che fosse degno di accompagnare queste parole. http://cosechedimentico.blogspot.it/2011/12/pensierialtrui.html

Page 104: Poetry in the morning

104

Conosco poco Elio Pecora, e dire che una sera sono stato ad un metro da lui.

Per una musica

Non so più dove né quandolasciai il bambino che eroné se quel giorno fuipiù infelice o contento.

Di quel bambino lontanoporto l’attesa eccessiva.

Né più m’è dato vederlo,ma ne odo il riso e il richiamose un altro giorno saluto,se a un altro giorno m’avvio.

Elio Pecora

Page 105: Poetry in the morning

105

Ormai son due giorni che sono costretto a venire con i mezzi per via della pioggia… “perché proprio a noi questo impervio destino” si chiede il poeta!!!

Perché proprio a noiquesto impervio destino:cieli che spiovono,rime che frananosopra un fangoso mattino?

Per me che sognavouna parola sola(una ferma corazza, una beata viola)solo polvere e frammenti, disanellatiori.

Non è per voi questo tempoo troppo quieti, o mestinomi: al gelo che si annunciascricchiano anche le foglie,

ghiacciano i cuori.

Giancarlo Pontiggia, Bosco del tempo, Guanda 2005.

Page 106: Poetry in the morning

106

Ricordo che questa poesia fu la prima ad essere studiata in prima media, o forse una delle prime, certamente fui interrogato. Bisognava impararla a memoria e commentare. Incredibile a dirsi, la conoscevo a memoria, forse a quei tempi il mio autismo l’aiutava la memoria, l’interrogazione andò bene. La professoressa me la ricordo bene, Maria Luisa Merlo, era di Busto Arstizio, sposata a Gallipoli con un gioielliere che faceva Campa di cognome, per un malaccorto auspicio i genitori chiamarono lui Sereno e il fratello Felice, come potevano sapere che lui sarebbe stato ucciso durante una rapina nella sua gioielleria e il fratello sarebbe morto mentre puliva il suo fucile di caccia? Potenza della tragedia, il destino è un cavallo imbizzarrito che non vuole briglie. Me la ricordo bene la professoressa Merlo, rimase impigliata in un crinale della memoria quando, quasi per gioco, il mondo, per un altro rovescio del destino, mi divenne asimmetrico e cominciò a pesare tutto da un lato, mentre l’altro lato all’improvviso divenne leggero, quasi invisibile.

Rio Bo

Tre casettinedai tetti aguzzi,un verde praticello,un esiguo ruscello: rio Bo,un vigile cipresso.Microscopico paese, è vero,paese da nulla, ma però...c'è sempre disopra una stella,una grande, magnifica stella,che a un dipresso...occhieggia con la punta del cipressodi rio Bo.Una stella innamorata?Chi sase nemmeno ce l'hauna grande città.

Aldo Palazzeschi

Page 107: Poetry in the morning

107

EleonoraCiao cari,qualche giorno fa ho visto il film di animazione “Valzer con Bashir” sul massacro dei campi palestinesi di Sabra e Chatila avvenuto il 16 settembre 1982.Mi piace l’idea che la nostra antologia contenga un ricordo di quella strage. Affido il compito alle parole di Francis Khoo Kah Siang, un combattente singaporiano per la libertà di tutti i popoli oppressi, perseguitato e rifugiato a Londra.La sua poesia, scritta il 27 luglio 1984, è stata letta il 16 settembre 2012 a Beirut durante l’incontro di benvenuto alle delegazioni internazionali intervenute alla commemorazione del trentennale del massacro di Sabra e Shatila.La traduzione della poesia è di Marco Pasquini, regista del film Gaza Hospital (che non ho visto!).

http://www.palestinalibera.org/2012/10/in-ricordo-di-francis-khoo-kah-siang-francisco/

PASSAPORTO (Per i Palestinesi che non hanno passaporti) Cos’è un passaporto se non un album che vanta luoghi lontani che hai già visitato?Cos’è un passaporto se non una seccatura con visti e timbri che puoi riguardare?Cos’è un passaporto se non pacchetti del duty free con aeroporti e dogane e valigie samsonite?Ma dov’è il mio passaporto il mio diritto ad averne uno il mio diritto di nascita il mio posto nel mondo?Dov’è il passaporto per quelli rimasti indietro per le famiglie e i patrioti oltre frontiera?Dov’è il passaporto per Sabra e Shatila per milioni di esiliati dispersi nella diaspora?Dov’è il passaporto per Gerusalemme, Ramallah Nablus, Jabaliah Tulkarm e Rafah?Quando potrà un passaporto gridare Palestina questa Terra non è la tua Terra questa Terra è la mia?Ma questo è il mio passaporto quel che mi è caro una bandiera, una pietra, una kufjia Perché presto me ne andrò dove cresce il timo dove si danza la dabkhe sia cosa sia Che venga quel giorno mia karameh che venga quel giorno mia dignità Traduzione di Marco Pasquini

PASSPORT (For the Palestinians who have not passports) What is a passport but a scrapbook galore boasting faraday places you have visited before?What is a passport but a hassle to you what with visas and fees for you to review?What is a passport but duty free fags with airport and customs and samsonite bags?But where is my passport my right toh ave one that mark of my birth right my place in the sun?Where is the passport for those left behind for family and patriots behind the greenline?Where is the passport for Sabra Shatilla for millions in menfa ejected diaspora?Where is the passport for Al-Quds, Ramallah Nablus, Jabaliah Tulkarm and Rafah?When cam a passport cry out Palestine this land ain’t your land for this land is mine?But this is my passport the one I hold dear a flag, a rock a chequered keffiyeh?For soon I go where za’tar grows dance the debkeh come what may So come that day my karameh so come that day my karameh “Francisco” Francis Khoo Kah Siang

La strage ve la ricordo con le parole di Stefano Chiarini, giornalista del manifesto ed esperto di Medio Oriente, morto il 3 febbraio 2007. Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2002.La versione integrale la trovate al link http://www.contropiano.org/it/esteri/item/11270

“…Questo ventesimo anniversario è per certi versi ancora più amaro e triste di quelli che l'hanno preceduto, non solo per i ricordi personali delle 3.000 vittime massacrate dai falangisti sotto la supervisione dell'esercito israeliano tra il pomeriggio del 16 e la mattina del 18 - anziani, donne e soprattutto bambini torturati, menomati, in alcuni casi tagliati a fettine e poi ricomposti sulle tavole a mo' di dolci - ma anche per il fatto che tutto, a vent'anni di distanza, sembra di nuovo ripetersi.

Page 108: Poetry in the morning

108

Una veloce lettura degli eventi di quei terribili giorni del 1982 non lascia dubbi sulle responsabilità internazionali, proprio come oggi. I combattenti palestinesi si erano ritirati da Beirut alla fine di agosto in cambio dell'impegno sottoscritto dal governo israeliano con l'inviato Usa Philip Habib, di non entrare a Beirut ovest. I soldati americani, francesi e italiani, arrivati il 21 agosto, avrebbero vigilato sul mantenimento degli impegni presi da Israele. Invece, ritiratisi i fedayin, gli Usa decisero un ritiro anticipato di 15 giorni, lasciando i campi alla mercé degli israeliani. Sharon l'11 settembre dichiarò che a Sabra e Chatila «ci sono ancora 2.000 terroristi». Martedì 14 venne ucciso Bechir Gemayel, il presidente falangista libanese alleato di Israele, mercoledì 15 l'esercito israeliano entrò a Beirut ovest e circondò i campi affidando ai falangisti la loro «ripulitura». Giovedì 16 iniziò il massacro che sarebbe durato fino a sabato 18. Lunedì 20 Reagan annunciò il ritorno delle forze multinazionali incaricate di «proteggere i palestinesi».La strage era compiuta e la coscienza dell'Occidente salva.”

Page 109: Poetry in the morning

109

L'ho visto anch'io quel film, non fino alla fine però, non ce l'ho fatta. A volte devo darmi tempo per poter vedere o leggere qualcosa, farlo di getto mi costa troppo. E' il caso di questa poesia di Paul Celan, da leggere con parsimonia. Alla voce Paul Celan di wikipedia trovate una discreta analisi della poesia.

Fuga di morte

Nero latte dell’alba lo beviamo la seralo beviamo al meriggio, al mattino, lo beviamo la nottebeviamo e beviamoscaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti

Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scriveche scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margaretelo scrive e va sulla soglia e brillano stelle e richiama i suoi mastinie richiama i suoi ebrei uscite scavate una tomba nella terrae comanda i suoi ebrei suonate che ora si balla

Nero latte dell’alba ti beviamo la notteti beviamo al mattino, al meriggio ti beviamo la serabeviamo e beviamoNella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scriveche scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margaretei tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti

Egli urla forza voialtri dateci dentro scavate e voialtri cantate e suonateegli estrae il ferro dalla cinghia lo agita i suoi occhi sono azzurrivangate più a fondo voialtri e voialtri suonate che ancora si balli

Nero latte dell’alba ti beviamo la notteti beviamo al meriggio e al mattino ti beviamo la serabeviamo e beviamonella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margaretei tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca coi serpentiegli urla suonate la morte suonate più dolce la morte è un maestro tedescoegli urla violini suonate più tetri e poi salirete come fumo nell’ariae poi avrete una tomba nelle nubi lì non si sta stretti

Nero latte dell’alba ti beviamo la notteti beviamo al meriggio la morte è un maestro tedescoti beviamo la sera e al mattino beviamo e beviamola morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurroegli ti centra col piombo ti centra con mira perfettanella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margareteegli aizza i suoi mastini su di noi ci dona una tomba nell’ariaegli gioca coi serpenti e sogna la morte è un maestro tedesco

i tuoi capelli d’oro Margaretei tuoi capelli di cenere Sulamith

Page 110: Poetry in the morning

110

Paul Celan,  da "Papavero e memoria" ("Mohn und Gedachtnis")

Page 111: Poetry in the morning

111

Ieri parlando con Ele ho pensato che va spesa qualche parola sulla poesia che ho mandato in risposta alla sua. Non ho mandato Celan perché ebreo, la storia umana non è una partita che si pareggia e la palla torna al centro. La palla non tornerà mai più al centro e non c’è regno, in cielo o in terra, che possa assolvere. Nessuna redenzione è possibile. Come diceva Ele l’uomo non ha imparato nulla dalle sue follie, ecco perché ho mandato Celan, perché la follia dell’olocausto non ha insegnato nulla. Gli unici ad aver capito qualcosa sono i morti, forse, e i poeti.

Rimango un altro giorno su Celan. Nelle sue poesie ha sempre dato del tu alla morte. Colei cui si riferiva era proprio la morte, la sfidava ad una risposta, in maniera ossessiva, fino a quando volle incontrarla faccia a faccia, per non poter più riferire le sue parole che forse, finalmente, gli rivolse.

Con alterna chiave

Con alterna chiavetu schiudi la casa dovela neve volteggia delle cose taciute.A seconda del sangue che ti sprizzada occhio, bocca ed orecchiovaria la tua chiave.

Varia la tua chiave, varia la parolacui è concesso volteggiare coi fiocchi.A seconda del vento che via ti spinges'aggruma attorno alla parola la neve.

Paul Celan, da "Di soglia in soglia"

Page 112: Poetry in the morning

112

Una delle grandi composizioni di De Andrè, tra i poemi umani più intensi che De Andrè ha cantato. Una lama che incide la carne, cadenzata come la vendetta che avvelena e segna il tempo, rintocchi di una pendola che batte le ore oscillando tra odio e odio. “Si accontenta di cause leggere la guerra del cuore”, basta essere appena vivi. Qui trovate un breve commento al testo. Invito solo a soffermarsi su un passaggio immenso, sfuggito al commento: “… un odiare a metà / e alla parte che manca si dedica l’autorità”, in questi versi De Andrè dice chiaramente che la radice del potere è l’odio che sfugge all’illusione di poter essere controllato, un odiare per delega.

Disamistade

Che ci fanno queste animedavanti alla chiesaquesta gente divisaquesta storia sospesa

A misura di braccioa distanza di offesache alla pace si pensache la pace si sfiora

Due famiglie disarmate di sanguesi schierano a resae per tutti il dolore degli altriè dolore a metà.

Si accontenta di cause leggerela guerra del cuore,il lamento di un cane abbattutoda un'ombra di passo

Si soddisfa di brevi agoniesulla strada di casauno scoppio di sangueun'assenza apparecchiata per cena.

E a ogni sparo di caccia all'intornosi domanda fortuna.

Che ci fanno queste figliea ricamare a cucirequeste macchie di luttorinunciate all'amore

Fra di loro si nascondeuna speranza smarritache il nemico la vuoleche la vuol restituita

E una fretta di mani sorpresea toccare le maniché dev'esserci un modo di viveresenza dolore

Una corsa degli occhi negli occhia scoprire che inveceè soltanto un riposo del vento,un odiare a metà.

E alla parte che mancasi dedica l'autorità.

Ché la disamistadesi oppone alla nostra sventuraquesta corsa del tempoa sparigliare destini e fortuna.

Che ci fanno queste animedavanti alla chiesaquesta gente divisaquesta storia sospesa.

Fabrizio De Andrè, In Anime salve, 1996.Versione originaleVersione della London Symphony orchestra

Andrea“… un odiare a metà / e alla parte che manca si dedica l’autorità”, in questi versi de Andrè dice chiaramente che la radice del potere è l’odio che sfugge all’illusione di poter essere controllato, un odiare per delega.

Page 113: Poetry in the morning

113

...e perché? io ho sempre inteso il riferimento all'autorità in questa canzone non come potere che affonda le radici nell'odio ma proprio come denuncia delle mancanze di una Autorità (cioè istituzioni, Stato?) che è stata ed è incapace di intervenire per favorire un processo culturale che rimuova la "tradizione"/meccanismo delle faide o il costume del rancore radicato e nutrito che genera l'odio e alimenta la catena morto-assassinio-morto-assassinio. L'autorità si dedica alla vittima, anzi al cadavere che però ormai sta lì, prova a perseguire il reato e i presunti colpevoli se ci riesce, ma non fa nulla affinché la tradizione cessi e il costume cambi, anzi contribuisce suo malgrado a sostenerla. ciao,a.

IoHomo homini lupus oppure homo homini Deus? La tua lettura va in un verso, la mia nell’altro…con la manifesta speranza di essere in errore. Non dimenticare che De Andrè era / è un sincero anarchico e il suo riferimento all’autorità è estremamente complesso e critico.

Andreae sono d'accordo su tutto, in realtà era sul tuo "chiaramente dice" che mi chiedevo "perché?" ;-)

IoBeh, diciamo che era una lettura aritmetica ;-) se tu un odiare lo dividi per due quello che resta è un’altra metà di odio (oppure anche qui vale il discorso del bicchiere mezzo pieno/mezzo vuoto e metà odio è anche metà amore?). E’ sulla polisemia di “dedica” che si apre lo spazio per l’interpretazione. L’autorità si dedica alla metà dell’odio, nel senso che si prende cura della metà, e qui hai ragione tu, oppure alla metà dell’odio si dedica l’autorità, nel senso che si consacra all’autorità metà dell’odio, e qui avrei ragione io? Ad ogni modo, convengo che il “chiaramente” è di troppo.

Page 114: Poetry in the morning

114

Andrea non so perché il mio gemello ti ha detto che la canzone di Vecchioni era fedele alla poesia di Pessoa, lui è fatto così, si lancia in accostamenti che vive nella sua testa. Forse desiderava che fosse fedele. Mah, vallo a capire, io è una vita che ci provo e non ci riesco e se te lo dico io che sono identico a lui…

Tutte le lettere d’amore

Tutte le lettere d’amore sonoridicole.Non sarebbero lettere d’amore se non fosseroridicole.Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,come le altre,ridicole.Le lettere d’amore, se c’è l’amore,devono essereridicole.Ma dopotuttosolo coloro che non hanno mai scrittolettere d’amoresonoridicoli.Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevosenza accorgermenelettere d’amoreridicole.La verità è che oggisono i miei ricordidi quelle letterea essere ridicoli.(Tutte le parole sdrucciole,come tutti i sentimenti sdruccioli,sono naturalmente ridicole).

Àlvaro de Campos (Fernando Pessoa)

Le Lettere d’amore (Chevalier De Pas)

Fernando Pessoa chiese gli occhialie si addormentòe quelli che scrivevano per luilo lasciarono solofinalmente solo…così la pioggia obliqua di Lisbonalo abbandonòe finalmente la finìdi fingere foglidi fare male ai fogli…

e la finì di mascherarsidietro tanti nomi,dimenticando Opheliaper cercare un senso che non c’èe alla fine chiederle "scusase ho lasciato le tue mani,ma io dovevo solo scrivere, scriveree scrivere di me…"e le lettere d’amore,le lettere d’amorefanno solo ridere:le lettere d’amorenon sarebbero d’amorese non facessero ridere;anch’io scrivevo un tempolettere d’amore,anch’io facevo ridere:le lettere d’amorequando c’è l’amore,per forza fanno ridere.

E costruì un delirante universosenza amore,dove tutte le cosehanno stanchezza di esisteree spalancato dolore.

Ma gli sfuggì che il senso delle stellenon è quello di un uomo,e si rivide nella penadi quel brillare inutile,

Page 115: Poetry in the morning

115

di quel brillare lontano…

e capì tardi che dentroquel negozio di tabaccheriac’era più vita di quanta ce ne fossein tutta la sua poesia;e che invece di continuare a tormentarsicon un mondo assurdobasterebbe toccare il corpo di una donna,rispondere a uno sguardo…

e scrivere d’amore,e scrivere d’amore,anche se si fa ridere;anche quando la guardi,anche mentre la perdiquello che conta è scrivere;e non aver paura,non aver mai paura

di essere ridicoli:solo chi non ha scritto mailettere d’amorefa veramente ridere.

Le lettere d’amore,le lettere d’amore,di un amore invisibile;le lettere d’amoreche avevo cominciatomagari senza accorgermi;le lettere d’amoreche avevo immaginato,ma mi facevan rideremagari fossi in tempoper potertele scrivere…

Roberto Vecchioni

Page 116: Poetry in the morning

116

Ieri in tv ho visto Milk, con Sean Penn, grande film, grande attore. Dopo, a mezzanotte, avrebbero dato Urlo, dal titolo del poema di Allen Ginsberg. A mezzanotte non ci sono arrivato ma un omaggio a Ginsberg ci vuole. Urlo è piuttosto lungo e non mi va di mettere solo l’incipit che trovate ovunque, ad ogni modo consiglio di leggerlo.

Canzone

Il peso del mondoè amore.Sotto il fardellodi solitudinesotto il fardellodell'insoddisfazione

il peso,il peso che portiamoè amore.

Chi può negarlo?In sognoci toccail corpo,nel pensierocostruisceun miracolo,nell'immaginaziones'angosciafino a nascerenell'umano -

s'affaccia dal cuorebruciando di purezza -poiché il fardello della vitaè amore,

ma noi il peso lo portiamostancamente,e dobbiamo trovare riposotra le braccia dell'amoreinfine,trovar riposo tra le bracciadell'amore.

Non c'è ripososenza amore,né sonnosenza sogni

d'amore -sia matto o gelidoossesso d'angelio macchine,il desiderio finaleè amore- non può essere amaronon può negare,non può negarsise negato:

il peso è troppo

deve daresenza nulla in cambiocosì come il pensierosi dàin solitudinecon tutta la bravuradel suo eccesso.

I corpi caldisplendono insiemeal buiola mano si muoveverso il centrodella carne,la pelle tremadi felicitàe l'anima vienegioiosa fino agli occhi -

sì, sì,questo è quelche volevo,ho sempre voluto,ho sempre voluto,tornareal mio corpodove sono nato.

Allen Ginsberg

Page 117: Poetry in the morning

117

Anche qui riecheggio De Andrè. La riconoscete? Villon viene qualche tempo prima di De Andrè ma come avrebbe detto Jorge Luis Borges, un autore che vuole lasciare il segno non manca mai di citare i suoi posteri.

L’epitaffio di Villon o Ballata degli impiccati

Fratelli umani che dopo noi vivete,non abbiate con noi i cuori induriti,perché se avete pietà di noi, poveri,Dio avrà più presto pietà di voi.Voi ci vedete qui, in cinque, sei, appesi:quanto alla nostra carne, troppo nutrita,dopo molto tempo è divorata e putrida,fino all'osso, siam polvere e cenere.Della nostra sventura, nessun si rallegri,ma pregate Dio che tutti noi assolva!

Se noi vi chiamiamo fratelli, non doveteaverne sdegno, anche se siamo uccisidalla giustizia. Tuttavia voi sapeteche animo turbolento hanno gli uomini.Perdonateci, perché siamo trapassati,verso il figlio della Vergine Maria,ché la sua grazia non ci sia arida,e ci preservi dalle fiamme infernali.Siamo morti, nessuno ci tormenti,ma pregate Dio che tutti noi assolva!

La pioggia ci ha lavati abbastanzae il sole ci ha anneriti e seccati;Gazze, corvi ci hanno gli occhi scavati,e strappata la barba e le sopracciglia.Mai un solo istante restiamo seduti;di qua e di là, come fa il vento soffiando,a suo agio, senza tregua siam sballottatie in più colpiti e dagli uccelli beccati.Non siate della nostra confraternita,ma pregate Dio che tutti noi assolva!

Principe Gesù che hai potere su tutti,fa che l'inferno in potere non ci abbia:non avendo nulla a che spartire con lui.Uomini, adesso, non derideteci,ma pregate Dio che tutti noi assolva.

François Villon, 1489

Andreainteressante... personaggio affascinante e misterioso... il 1489, dice wikipedia, è la data di una delle prime edizioni complete della sua opera, 26 anni dopo che si perse ogni traccia dell'autore, sempre wikipedia riporta che dal 1463, quando fu bandito l'ultima volta per 10 anni da Parigi non si sa più nulla a parte che visse errando... magari in tutti i sensi.

Page 118: Poetry in the morning

118

Venerdì chiamavo in causa il veggente cieco, Omero contemporaneo e di sempre che sapeva cantare lo scorrere del tempo perché, per rendergli omaggio, il tempo si era fermato davanti ai suoi occhi.

Arte poetica

Guardare il fiume fatto di tempo e di acquaE ricordare che il tempo è un altro fiume.Sapere che noi ci perdiamo come il fiumeE che i volti passano come l'acqua.

Sentire che la veglia è un altro sognoChe sogna di non sognare e che la morteChe la nostra carne teme è questa morteDi ogni notte, che si chiama sogno.

Vedere nel giorno e nell'anno un simboloDei giorni dell'uomo e dei suoi anni.Convertire l'oltraggio degli anniIn una musica, una voce e un simbolo.

Vedere nella morte il sogno, nel tramontoUn triste oro, tale è la poesiaChe è immortale e povera. La poesiaTorna come l'alba e il tramonto.

Talora nel crepuscolo un voltoCi guarda dal fondo di uno specchio:L'arte deve essere come questo specchioChe ci rivela il nostro proprio volto.

Narrano che Ulisse, sazio di prodigi,Pianse d'amore scorgendo la sua ItacaVerde e umile. L'arte è questa ItacaDi verde eternità, non di prodigi.

Ed è pure come il fiume senza fineChe scorre e rimane, cristallo di uno stessoEraclito incostante, che è lo stessoEd è altro, come il fiume senza fine.

Jorge Luis Borges

Page 119: Poetry in the morning

119

Attenzione, in questa poesia si entra come in un labirinto. Quando state per uscirne ricordate di ringraziare anche per Borges, un dono che non poteva essere menzionato.

Un’altra poesia dei doni

Ringraziare voglio il divinolabirinto delle cause e degli effettiper la diversità delle creatureche compongono questo universo singolare,per la ragione, che non cesserà di sognareun qualche disegno del labirinto,per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,per l’amore, che ci fa vedere gli altricome li vede la divinità,per il saldo diamante e l’acqua scioltaper l’algebra, palazzo di precisi cristalli,per le mistiche monete di Angelus Silesius,per Schopenhauer,che forse decifrò l’universo,per lo splendore del fuocoche nessun essere umano può guardaresenza uno stupore anticoper il mogano, il sandalo e il cedro,per il pane e il sale,per il mistero della rosache prodiga colore e non lo vede,per certe vigilie e giorni del 1955,per i duri mandriani che nella pianuraaizzano le bestie e l’alba,per il mattino a Montevideo,per l’arte dell’amicizia,per l’ultima giornata di Socrate,per le parole che in un crepuscolo furono detteda una croce all’altra,per quel sogno dell’Islam che abbracciòmille notti e una notte,per quell’altro sogno dell’inferno,della torre del fuoco che purifica,e delle sfere gloriose,per Swedenborg,che conversava con gli angeli per le strade di Londra,per i fiumi segreti e immemorabiliche convergono in me,per la lingua che secoli fa parlai nella Northumbria,per la spada e l’arpa dei sassoni,per il mare, che è un deserto risplendentee una cifra di cose che non sappiamo,

per la musica verbale d’Inghilterra,per la musica verbale della Germania,per l’oro che sfolgora nei versi,per l’epico invernoper il nome di un libro che non ho letto,per Verlaine, innocente come gli uccelli,per il prisma di cristallo e il peso d’ottone,per le strisce della tigre,per le alte torri di San Francisco e di Manhattan,per il mattino nel Texas,per quel sivigliano che stese l’Epistola Morale,e il cui nome, come preferiva, ignoriamo,per Seneca e Lucano, di Cordova,che prima dello spagnoloscrissero tutta la letteratura spagnola,per il geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,per l’odore medicinale degli eucalipti,per il linguaggio, che può simulare la sapienza,per l’oblio, che annulla o modifica i passati,per la consuetudine,che ci ripete e ci conferma come uno specchio,per il mattino, che ci procura l’illusione di un principio,per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,per il coraggio e la felicità degli altri,per la patria, sentita nei gelsominio in una vecchia spada,per Whitman e Francesco d’Assisi che scrissero giàquesta poesia,per il fatto che questa poesia è inesauribilee si confonde con la somma delle creaturee non arriverà mai all’ultimo versoe cambia secondo gli uomini,per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figliperché moriva così lentamente,per i minuti che precedono il sonno,per il sonno e la morte,quei due tesori occulti,per gli intimi doni che non elenco,per questa musica, misteriosa forma del tempo.

Jorge Luis Borges, Altra poesia dei doni, da L’altro, lo stesso (1964)

Page 120: Poetry in the morning

120

Ieri dicevo che la poesia di Borges dei doni è un labirinto, ma di tutta la letteratura di Borges si potrebbe dire la stessa cosa, un gomitolo secondo Italo Calvino. A entrambi, indegnamente, dedicai tempo fa un omaggio. Mi piacerebbe pensare che la poesia di oggi sia anche un po’ quello che ho scritto ma per rimediare a questo peccato di presunzione vi invito a leggere un’altra immensa poesia dei doni, una di quelle disseminate lungo il labirinto di Borges.

Laudes Creaturarum

Altissimu, onnipotente bon Signore,Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,spetialmente messor lo frate Sole,lo qual è iorno, et allumini noi per lui.Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate Ventoet per aere et nubilo et sereno et onne tempo,per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi Signore, per frate Focu,per lo quale ennallumini la nocte:ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,la quale ne sustenta et governa,et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.

Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amoreet sostengono infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato s' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,da la quale nullu homo vivente pò skappare:guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiatee serviateli cum grande humilitate.

Francesco d’Assisi, 1224 circa.

Page 121: Poetry in the morning

121

Facciamoci due foglie d’erba! “Celebro me stesso, / E ciò che immagino tu immaginerai, / Perché ogni atomo che appartiene a me appartiene davvero anche a te.” scrive Whitman nella sua Poesia di Walt Whitman, un americano. Scrisse una sola raccolta di poesie, Foglie d’erba, ma disseminò del suo linguaggio tutta la poesia americana a venire. “Schiodate i catenacci dalle porte! / Schiodate le porte stesse dai cardini! / Chiunque degrada qualcuno degrada anche me, e qualunque cosa / venga fatta o detta ritorna, alla fine, a me, / E qualunque cosa io faccia o dica, io anche ritorno.” E i catenacci furono davvero aperti, le porte schiodate dai cardini. Non so a quale poesia di Whitman si riferisse Borges, forse tutta l’opera poetica di Whitman è un interminabile laudate alla natura e alla vita. “Mi contraddico? / Molto bene, allora, mi contraddico, / Sono largo, contengo moltitudini.”

Poesia di fede

Non ho bisogno di rassicurazioni – sono un uomo che si pre-occupa della propria anima;Non ho dubbi che qualunque cosa io conosca in un dato momento,molto più rimane che ancora non conosco;Non ho dubbi che da sotto i piedi e accanto alle mani e al viso che ioconosco, ci siano ora a guardare volti a me sconosciuti – volti calmi e reali;Non ho dubbi che la maestà e la bellezza del mondo siano latenti in ogni iota del mondo;Non ho dubbi che ci siano percezioni, di cui non ho la minima idea,che aspettano me da un angolo all’altro del tempo e dei pianeti – anche su questa terra;Non ho dubbi che io sia infinito, e che gli universi siano infiniti – einvano cerco di afferrare quanto siano infiniti;Non ho dubbi che gli astri e i loro sistemi compiano rapidi giochinell’aria con uno scopo – e che io un giorno sarò in grado difare come loro, e anche più di loro;Non ho dubbi che ci sia nelle cose piccole – insetti, persone volgari,schiavi, nani, erbacce, rifiuti scartati – più di quanto io abbia immaginato;Non ho dubbi che ci sia in me più di quanto io abbia immaginato – ein tutti gli uomini e le donne – e nelle mie poesie ancora più di quanto io abbia immaginato;Non ho dubbi che le cose temporanee durino milioni e milioni di anni;Non ho dubbi che l’intimità abbia la sua intimità, l’esteriorità la suaesteriorità – che la vista abbia un’altra vista, l’udito un altro udito, la voce un’altra voce;Non ho dubbi che alle morti strazianti dei giovani qualcuno provveda –e che alle morti di giovani donne e a quelle dei bimbi qualcuno provveda;Non ho dubbi che ai naufragi in mare, senza considerare gli orrori –senza considerare chi sia la moglie, il figlio, il marito,l’amante che è affogato – qualcuno provveda, fin nei minimi particolari;Non ho dubbi che a superficialità, meschinità, malignità, qualcuno provveda;Non ho dubbi che alle città, a te, all’America, alle vestigia della terra,alla politica, alla libertà, alle degradazioni qualcuno provveda con cura;Non ho dubbi che a tutto ciò che può eventualmente accadere, inqualunque luogo, in qualunque momento, qualcuno provveda, in relazione alle cose.

Walt Whitman, Da Foglie d’erba.

Page 122: Poetry in the morning

122

Non fidatevi della rete. Questa poesia secondo qualcuno è di Walt Whitman, prima o poi verrà fuori che l’ha scritta Rimbaud e qualcuno ci crederà pure! … ma solo per un po’ ;-)

The Garden of Love

I went to the Garden of Love,And saw what I never had seen;A Chapel was built in the midst,Where I used to play on the green.

And the gates of this Chapel were shut,And ‘Thou shalt not’ writ over the door;So I turned to the Garden of LoveThat so many sweet flowers bore.

And I saw it was filled with graves,And tombstones where flowers should be;And priests in black gowns were walking their

rounds,And binding with briars my joys and desires.

William Blake, Songs of Experience, 1794

Il Giardino dell'Amore

Sono andato al Giardino dell'Amore,E ho visto ciò che non avevo mai visto:Una Cappella era costruita nel centro,Dove ero solito giocare sull'erba verde.

E i cancelli di questa Cappella erano chiusi,E 'Tu non devi' era scritto sull'ingresso;Così sono tornato al Giardino dell'AmoreChe è fecondo di così tanti e dolci fiori;

E ho visto che era pieno di tombe,E pietre sepolcrali dove avrebbero dovuto esserci

fiori,E Preti in vesti nere vi giravano attorno,E incatenavano con rovi le mie gioie e i miei

desideri.

Page 123: Poetry in the morning

123

Pensare le cose le trasforma in idee, sentire le cose è partecipare della natura delle cose che è la nostra natura. Questo in sintesi il pensiero di Alberto Caeiro, uno degli eteronimi di Fernando Pessoa, il più “materialista” dei suoi eteronimi. Non amava le metafore Caeiro, la metafora trasfigura le cose, ne tradisce la natura. Attraverso Caeiro non amava le metafore Pessoa. Le metafore sono necessarie quando le cose non bastano. Pessoa/Caeiro non amava le metafore, eppure Pessoa non si bastava, per questo fece di sé stesso una metafora dei suoi eteronimi.

Mi lessero oggi S. Francesco d’Assisi.Me lo lessero e stupii.Come’è possibile che un uomo cui piacevano tanto le cosemai le osservasse, né sapesse cosa fossero?

Perché chiamare mia sorella l’acqua, se essa non è mia sorella?Per sentirla meglio?La sento meglio bevendola che chiamandola qualche cosa –Sorella, o madre, o figlia.L’acqua è acqua e è bella per questo.Se io la chiamo sorella mia,nel chiamarla sorella mia, vedo che non lo èe che se è acqua è meglio chiamarla acqua;o, meglio ancora, non chiamarla cosa alcuna,ma berla, sentirla nei polsi, guardarlae tutto ciò senza alcun nome.

Alberto Caeiro. In Fernando Pessoa, Un’affollata solitudine. Poesie eteronime, BUR, 2012

Page 124: Poetry in the morning

124

EleonoraPensando al colore rosso mi è venuta in mente una poesia recitata da Ugo Dighero, qualche tempo fa a Palazzo Barberini in occasione della notte bianca.

Ho l’orto

Ho l’ortoNon sono solo, sono con otto.Con otto? Non so...Solo solo lo poso, solo lo sgobbo.Con loro otto lo colgo.Con loro otto, porco mondo, lo godo.Solo pongo orzo, sorgo, porro, pomodoro.Non con loro!Solo lo poto, lo sgombro, lo coccolo,lo contorno col fossosgombro lo scolo, lo sormonto col dosso,fo l’orco con lo storno o col topo col corvo,col colombo o col tordo...Oh, non lo scordo.Sono stronzo?No! Lo sono loro...Lo so, ho tortonon ho polso con costoroo non ho bon ton:provo con Dodo, con John,con Romolo, con Rodolfo, con Ron.Propongo l’ortocos’ho: conforto?No, ho solo ‘sto coro:"Non posso, non posso...Non posso, son sotto concorsonon dormo, non sono prontoho lo scolo, non sono solo,sono solo col nonno, son morto!"Sporco mondo corrotto!Non ho conforto....Sopporto lo scottoobtorto collo, tonto...

Poco dopo controllo l’orto:ho troppo rovotroppo poco pomodoronon scorgo sorgol’orzo non lo trovo.Solco toppo profondo?

Troppo poco posto?Posto con troppo solo troppo fosco?Boh!Do lo zolfo? No, son contro!

Pomodoro...lo sogno rosso, grosso, rotondo,odoroso no,lo trovo storto,mollo, morso, bolso, corrosoCon foro!T’ho colto mostro morboso!Oh, non l’ho colto solo,poco dopo lo scopro:sono otto!Corrono tondo tondocol loro corpo rotondocolor oro.Sono otto, sono loro!Non controllo lo sconforto:do lo zolfolo soffoco col clorocol cromo, col bromo solforosolo sporco morbo morboso!

O lo soffoco,o l’orto lo scordomorso dopo morsoforo dopo foromostro dopo mostro!Do lo zolfo!Comodo, poco costoso...

No, non lo do, son contro!

Tratto da Rime tempestose (Sperling & Kupfer, 1992). Poesie monovocaliche del gruppo di poesia ludico sperimentale "Bufala Cosmica" (Marco Ardemagni, Alessandra Berardi, Gianni Micheloni, Antonio Pezzinga).

Page 125: Poetry in the morning

125

MarinaDall’orto ad otto (il passerotto) il passo e’ breve. Giusto il tempo di una consonante che varia. Inaspettatamente.

http://www.youtube.com/watch?v=PJrtV5DqkWs

Greg: L'altro di' me ne stavo in soffitta e spulciando tra vecchi trumo' tra la polvere li' zitta zitta... la cartella che mi ha accompagnato, col quaderno, l'astuccio e il diario, il righello e l'abbecedario, con le lettere e i numeri in fila, e tra questi mi accorsi di lui... se ne stava panciuto e pienotto, tutto tondo era il numero... Lillo: Zero! Greg: No, Otto! Ma lo sento ad un tratto cinguetta, gli spunta un'aletta, ed un'altra piu' in fretta, poi un'al... no so' finite. Poi le piume, le zampe e il codino, e quell'augellino ha inziato a volar... e lo sai chi era Lillino caro? Lillo: None. Greg: Te lo dice paparino tuo. Era otto il passerotto pieno di felicita', questo numero pienotto che ha iniziato a svolazzar, e sui platani e sui pini qual provetto aviatore, e gli amici sua uccellini lo salutan con ardore. Lillo: Perche' Otto diventa un passerotto? Greg: Perche'... perche' e' una favoletta Lillino caro. Lillo: No... non gli piaceva essere un otto? Greg: Ma gli piaceva una cifra essere un otto, solo che... sai come succede nelle favole, c'e' la fatina con la bacchetta magica e Otto diventa un passerotto. Pero', non e' finita la favola, stai a sentire adesso che si sviluppa tutta quanta, e' bella. Capito Lillino caro? Era otto il passerotto zeppo di felicita', un po' pilota un po' pilotto, che ha inziato a svolazzar, e decolla come un razzo... Lillo: Cinque e' la mucca. Greg: Fino a un pa... fino a... Lillo: Cinque e' la mucca. Greg: No Lillino caro non e' la mucca. Lo senti non fa rima? Invece: otto, passerotto, fa rima; cinque, mucca, non fa rima. Lillo: Cinque, mucca. Greg: No Lillino: otto, passerotto, senti che fa rima? Mucca non fa rima quindi non c'e'. Lillo: Cinque non è la mucca? Greg: No Lillino non c'e'. Ma ascolta invece la st... la favoletta di Otto il passerotto; e' carina, questo e' solo l'abbrivio, invece adesso c'e' tutto lo svolgimento, il momento topico... e' propio bellina assai, capito? Sentila Lillo, senti. Era otto il passerotto ebro di felicita', un po' Gianni e un po' Pinotto, che ha iniziato a decollar, e sorvola come un razzo... Lillo: Il sette e Pepette. Greg: ... Le montagne fino... al la... Lillo: Sette e Pepette. Greg: Che cos'e' il Pepette? Lillo: Fa rima: sette, Pepette. Greg: Ma si'... ma non... ma non esiste. Dev'essere una cosa che esiste e che faccia rima, come Otto il passerotto. Lillo: Sette, Pepette. Greg: Ma... Lillo: Fa rima. Greg: Ma fa ri... Lillo: Stacce! Greg: Lilli... Lillino, fa rima ma non c'e', perche' non esiste, quindi non... non c'e', non c'e' in questa favola e non c'e', non esiste, e deve essere una cosa che fa rima! Ma ascolta la favoletta che e' tanto

Page 126: Poetry in the morning

126

bella, me l'hai chiesta tu: 'Mi racconti una favoletta paparino?'. Io te la racconto pero' se non ascolti non ti addormi e io non posso fare quello che devo fare io. Ascolta che e' carina, senti! Era otto il passerotto zuppo di felicita', 'sto pennuto panzerotto, che ha iniziato a svolacchiar, e decolla come un razzo... Lillo: E nove e' il bove. Greg: ... Le montagne fino al lago, e si... Lillo: E nove e' il bove. Greg: Che e' il bove?! Che bove?! Lillo: Nove e bove, fa rima e c'e'. Greg: Ma che c'entra Lillino... c'e' dove? Non c'e' nella favola... Lillo: E il quattro? Greg: Non lo so... Lillo: Il quattro e' il gattro... eheheheh. Greg: Il gatto... gatto neanche, neanche fa rima. Lillo: Quattro, gattro, eheh. Greg: Lillino, neanche fa rima, non c'e', non c'e' nella fa... Lillo: E il dieci? Greg: Non lo so... Lillo: Dieci e' pasta e ceci. Fa rima e c'e'. Greg: Ah... Lillino mi stai a asco... ascoltami: non c'e' nella favola. Lillo: Eh. Greg: Questa e' la favola di Otto il passerotto, e parla solo di Otto il passerotto... Lillo: E cinquantamila diventa... Greg: ... Ed e' tanto carina, tanto bellina; perche' lui e' un Otto... Lillo: E il trentotto? Greg: ... E' un numero, poi passa una fatina con la bacchetta... Lillo: Voglio sapere l'un milionevocecentotremilaquattrocentododici... Greg: ... E lui diventa un uccellino; solo che e' la prima volta che e' un uccellino e non sa volare... Lillo: E cinquantadue? Greg: ... Quindi si perde nel bosco e trova un castello incantato... Lillo: Eh il settantaquattro... ? Greg: ... Svolacchia fino alla finestra e vede dentro... Lillo: Vo... voglio sapere... dodici fratto tre. Che diventa quello? Eh? Che diventa, due milionidodici? Greg: ... Un'ombra nera; si gira ed e' un mostro orrendo, solo che c'ha la faccia di Laura Pasini e allora lui si spaventa, cade in cantina... Lillo: E il ventuno? Greg: ... Ci so' i bacarozzi... Lillo: E il ventidue? Greg: ... E diventa il re dei bacarozzi... Lillo: E il ventitre? Greg: ... E... e' bucio di culo! Lillo: Ma non e' animale bucio di culo... Greg: 'Sti cazzi, e' il bucio de culo che me sto a fa io a raccontatte 'sta fregnaccia! Lillo: Eh... e il settantasette? Greg: Le tette, le zinne! Lillo: E l'uno? Greg: Il cazzo! Lillo: Eh... e l'ottantotto? Greg: So' le zoccole che fanno le pompe ai cavalli, dai! Lillo: Eh... e centotre?

Page 127: Poetry in the morning

127

Greg: So' le... i rasponi a du' mano! Continua che famo bingo, dai, Che so' tutta 'a Smorfia! Lillo: Eh... e otto il passerotto? Greg: No, Otto era il passerotto, poi e' passata 'na strega co' 'na bacchetta grossa cosi'! Mo' e' diventato Otto er culo rotto! Hai capito? Otto, culo rotto! Fa rima, c'e'! Otto culo rotto! Era... Otto il culo rotto! Eh... e te: stai in campana che io so' bono e caro, ma te fai 'a stessa fine de Otto er culo rotto, perche' io te rompo il culo a te, a li mortacci tua, a 'sta cazzo de mucca che c'hai in mano, a li mortacci dei trentadue anni che ta ritrovi, a 'sta cazzo de BIP Bologna de Maria BIP Fabio BIP telefona BIP de 'sto testa de cazzo che fa rima co' te li mortacci tua, e de chi 'n te 'o dice co' 'a voce de Mike Bongiorno, mortacci tua! E vaffanculo... 'sto stronzo...

Page 128: Poetry in the morning

128

RoyNon posso resistere... sempre Ugo Dighero, stessa notte I Ciclisti Vidi i ciclistiin bici sì vivilì vidi tristidi bici privi. Vidi i ciclistidi giri in giridirsi i difficili«Ci si ritiri». Rividi i miticiripidi clivi,i visi tipicidi bimbi schivi. Vidi i ciclistisfiniti, vintili vidi irrisiin bici, spinti. I divi vididi dì finiticinti di mirti,intimiditi. Li vidi livididi gin intrisidirti i bisticcii tifi divisii fischi, i gridi,i liti, i lividi,gli sprint, i brividi,i tiri viscididi Giri mitici. Mi dissi: scrivi,scrivi di bici,scriviiiiii, mi dissi!

Page 129: Poetry in the morning

129

RoyBeh, allora leggetemi la celebre favola di Pinocchio, come l'ha intesa Umberto Eco. Vediamo se indovinate quale è il filo rosso di tutta la trattazione... Povero Pinocchio! Povero papà (Peppe), palesemente provatopenuria, prende prestito polveroso pezzopino poi, perfettamente preparatolo,pressarolo, pialla pialla, progettaprefabbricarne pagliaccetto.Prodigiosamente procrea, plasmandoplasticamente, piccolo pupo pel pelato,pieghevole platano!Perbacco! Pigola, può parlare, passeggiare,percorrere perimetri, pestare pavimento,precoce protagonista (però provvistopallido pensiero), propenso produrrepasticci. Pronunciando panzane protuberapropria proboscide pignosa, prolungaprominente pungiglione, profilo puntuto.Perde persino propri piedi piagati, perusti!Piagnucola. Papà paziente provvede.Pinocchio privo pomodori, panciavuota,pela pere. Poco asciutto, piluccapicciuolo. Padre, per provvedergliprestazioni professorali, premurosamenteporta Pegno palandrana."Pensaci", punzecchialo peritissimo,prudentissimo parassita parlante,"prudenza, perseveranza! Prevedo pesantipunizioni!" "Piantala petulante pignolo!"

Presuntuoso pupattolo percuote pedagogopiccino piccino (plash!) producendonepoltiglia. Peccato. Poteva piuttostoPorgergli padiglione.Poi parte pimpante, privo pullover. Papàpiange preoccupato: "Pinocchio perduto!"Pellegrino, percorre perennemente pianurepaludose ... Pinocchio, pedala, pedala,pervicacemente peregrinando per piazze,partecipa pantonima pupazzetti, periclitapresso pentola, prende pochi pennies.Pervenuto Pub Palinuro Purpureo, perperfidia personaggi poco popolari (pirati,paltronieri perdigiorno), penzola penosopatibolo.Puella portentosa (parrucca pervinca)provvede poliambulatorio pennuto,parlagli predicando perfetti principi,promettendo prossima pubertà, persinoparvenza piacente persona. Pinocchiopare puntiglioso, persistente,predeterminato. Palle. Parole. Parcamentepersegue positivi propositi. Preferiscepassatempi pestilenziali, percorsipuntellati perigli paurosi, perdendopossibilità parascolastiche.

IoProvo particolare predilezione per perigliosi problemi però preme pregare: perché porre pesanti proposte? ;-)

Buon anno a tutti ;-)

Page 130: Poetry in the morning

130

Avrei potuto mandarveli prima questi “Auguri scomodi” ma non sono in ritardo, né credo che lo saranno mai, purtroppo. Da 8 anni il 2 gennaio è dedicato alla pace e a don Tonino Bello. Sapevo quanto quest’uomo straordinario si fosse speso per la pace e per una fede che fosse il terreno di “convivialità delle differenze”. Solo pochi giorni fa però ho letto un paio di suoi libri e ho visitato il suo paese, dove riposa all’ombra di un ulivo.

«Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo.Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario.Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano.Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio.E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che é poi l’unico modo per morire ricchi.Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.»

don Tonino Bello

Page 131: Poetry in the morning

131

Potrei citare tante frasi del povero Marx, oppure qualche delirio di Hegel ma il senso di pietas nei confronti dei grandi pensatori mi impone il silenzio.

La Storia

La storia non si snodacome una catenadi anelli ininterrotta.In ogni casomolti anelli non tengono.La storia non contieneil prima e il dopo,nulla che in lei borbottia lento fuoco.La storia non è prodottada chi la pensa e neppureda chi l'ignora. La storianon si fa strada, si ostina,detesta il poco a poco, non procedené recede, si sposta di binarioe la sua direzionenon è nell'orario.La storia non giustificae non deplora,la storia non è intrinsecaperché è fuori.La storia non somministra carezze o colpi di frusta.La storia non è magistradi niente che ci riguardi. Accorgersene non servea farla più vera e più giusta.La storia non è poila devastante ruspa che si dice.Lascia sottopassaggi, cripte, buchee nascondigli. C'è chi sopravvive.La storia è anche benevola: distruggequanto più può: se esagerasse, certosarebbe meglio, ma la storia è a cortodi notizie, non compie tutte le sue vendette.La storia gratta il fondocome una rete a strascicocon qualche strappo e più di un pesce sfugge.Qualche volta s'incontra l'ectoplasmad'uno scampato e non sembra particolarmente felice.Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.Gli altri, nel sacco, si credonopiù liberi di lui.

Eugenio Montale

Page 132: Poetry in the morning

132

L’amico che dorme

Che diremo stanotte all'amico che dorme?La parola più tenue ci sale alle labbradalla pena più atroce. Guarderemo l'amico,le sue inutili labbra che non dicono nulla,parleremo sommesso.La notte avrà il voltodell'antico dolore che riemerge ogni seraimpassibile e vivo. Il remoto silenziosoffrirà come un'anima, muto, nel buio.Parleremo alla notte che fiata sommessa.

Udiremo gli istanti stillare nel buioal di là delle cose, nell'ansia dell'alba,che verrà d'improvviso incidendo le cosecontro il morto silenzio. L'inutile lucesvelerà il volto assorto del giorno. Gli istantitaceranno. E le cose parleranno sommesso.

Cesare Pavese

Page 133: Poetry in the morning

133

C’era un vecchio dall’anima milionaria che la cantava di tanto in tanto , quando è andato via mi ha lasciato alcune delle sue immense ricchezze, non tutte, che avrei potuto dilapidarle.

RodolfoChe gelida manina!Se la lasci riscaldar...Cercar che giova?Al buio non si trova.Ma per fortunaè una notte di lunae qui la luna l'abbiamo vicina.Aspetti signorina,le dirò con due parolechi son, chi son,che faccio, come vivo.Vuole?Chi son?Chi son?Sono un poeta.Che cosa faccio?Scrivo.E come vivo?Vivo.In povertà mia lietascialo da gran signorerime ed inni d'amore.Per sogni, per chimeree per castelli in arial'anima ho milionaria.Talor dal mio forziereruban tutti i gioiellidue ladri, occhi belli.V'entran con voi pur ora,ed i miei sogni usatie i bei sogni mieitosto si dileguar.Ma il furto non m'accorapoiché , poiché v'ha preso stanzala speranza!Or che mi conoscete,parlate voi, deh parlate!Chi siete?Vi piaccia dir?Vi piaccia dir?

MimìSì. Mi chiamano Mimì,ma il mio nome è Lucia.La storia mia è breve.A tela o a setaricamo in casa e fuori...Son tranquilla e lietaed è mio svagofar gigli e rose.Mi piaccion quelle coseche han sì dolce malìa,che parlano d'amor, di primavere,di sogni e di chimere,quelle cose che han nome poesia...Lei m'intende?

Mi chiamano Mimì,il perché non so.Sola, mi foil pranzo da me stessa.Non vado sempre a messa,ma prego assai il Signore.Vivo sola, solettalà in una bianca cameretta:guardo sui tetti e in cielo;

Ma quando vien lo sgeloil primo sole è mioil primo bacio dell'aprile è mio!

Germoglia in un vaso una rosa...Foglia a foglia la spio!Cosi gentile il profumo d'un fiore!Ma i fior ch'io faccio,Ahimè! non hanno odore.Altro di me non le saprei narrare.Sono la sua vicina che la vien fuorid'ora a importunare.

Page 134: Poetry in the morning

134

Paese d'inverno Che il sole dopo la neveappaia, e le nuvole si tingano di rossocome schiave: la neve sui tettiun rossore colorirà, guancia di principessa.S'alzi un leggero ventoe spenga l'acqua, che s'era addormentata,con assonnata voce di pastore;escano fanciulle con scialli,lampeggiando gli occhi neri,e improvvisamente corrano punte dall'ariasimili a uccelli che s'alzino a volo.E gli zingari rubino ragazzi.

Attilio Bertolucci. Da Fuochi in novembre.

Page 135: Poetry in the morning

135

Nebbia

Nascondi le cose lontane,tu nebbia impalpabile e scialba,tu fumo che ancora rampolli,su l'alba,da' lampi notturni e da' crollid'aeree frane!Nascondi le cose lontane,nascondimi quello ch'è morto!Ch'io veda soltanto la siepedell'orto,la mura ch'ha piene le crepedi valeriane.Nascondi le cose lontane:le cose son ebbre di pianto!Ch'io veda i due peschi, i due meli,soltanto,che dànno i soavi lor mielipel nero mio pane.Nascondi le cose lontaneche vogliono ch'ami e che vada!Ch'io veda là solo quel biancodi strada,che un giorno ho da fare tra stancodon don di campane...Nascondi le cose lontane,nascondile, involale al volodel cuore! Ch'io veda il cipressolà, solo,qui, solo quest'orto, cui pressosonnecchia il mio cane.

Giovanni Pascoli

Page 136: Poetry in the morning

136

Mia vita, a te non chiedo lineamentifissi, volti plausibili o possessi.Nel tuo giro inquieto ormai lo stessosapore han miele e assenzio.

Il cuore che ogni moto tiene a vileraro è squassato da trasalimenti.Così suona talvolta nel silenziodella campagna un colpo di fucile.

Eugenio Montale

Page 137: Poetry in the morning

137

Ogni cosa viva è segnataSin dalla prima etàSe io non fossi un poetaSarei un ladro e imbroglione

Scarno, di statura bassaTra i ragazzi sempre eroeSpesso, spesso col sangue al nasoRitornavo nella mia casa.

Ed incontro alla madre spersaRispondevo a denti stretti:“Non è niente, son inciampatoAll’indomani sarò già guarito!”

E adesso, quando ormai si è scioltoDi quei giorni il tormento ardente,Una forza indomita e audaceSi e' riversata sopra i miei versi.

L’oro dei verbi e il grano,Sopra ogni riga dei versiSi riflette ancor l’ardoreDi quel vecchio monello.

Come allora, ardito e fieroSolo il mio passo si è cambiato...Mi picchiavano prima nel muso,Ma ora mi sanguina il cuore.

E non più alla mamma confessoBensì a canaglia che sghignazza e ride:“Non è niente, son inciampatoAll’indomani sarò già guarito!”

Sergej A. Esenin – 1922

Page 138: Poetry in the morning

138

Questo autore lo conosco grazie alla lettura del blog di Garbo. Anche in questi versi sarà facile scorgere qualche assonanza con la canzone Tela di ragno di Gianmaria Testa.

A Ibn Hamdis

Cu n'avè-ddir'a-nnui,limarra ri lu munnu,ca sta terra matturiata,pistata ri tutt'e-mmarriciuta,s'avê-ffari pont'e-ppararisu,ppi-llàzar'e strazzùn'assicutatiarrèri, dopu tantu tempuca nun-çiòv'e-mmancunuvuli preni r'acqua s'appènnununto çel'azzurru, c'arristàustampat'a-ffoc'ardentinta-ll'occi stramuntati r'Hamdis? Frati miu sbannutu ppi n'aternu,Ibn amurus'e scunsulatu,si pèssir'i iardina fittie-ddanni ca viristi ntâ marina.A terr'è-gghjars'e-ccinari çiaccazzi mpatiddati.Se turnassitu ravèru, comu riçi,s'abbarruiss'a menti tova ntunnamenti.

Dda casa ri Not'è sdirrubbata tutta;Ddiu nun çi ntisi ri ssu latu.Ora succi, can'ì mànnir'e-llattruna brivittatiScalìin'e-mmanciunu ri mprisa.Aer'ágghicàrî to cuçini,chíddi rá Tunisia e ddi Manila.I stracquar'â-ttutti nsuprasattu,ppô-rrispettu rá liggí ré briganti,a iddi ca n'anu-ddirittue-ssù-ll'ùniçi ca sbrannìinuppi-bbéniri nta stu nfernuri focu e Adi vilen'árnmusculatu,unni cupassa, macari ri luntanu,sput'é-gghetta feli ri sintenzi.

(Sebastiano Burgaretta, A Ibn Hamdis, Trame del Mediterraneo, Libreria Editrice Urso, Avola)

Chi l'avrebbe detto a noi,fango del mondo,che questa terra tormentata,calpestata e maledetta da tutti,si sarebbe fatta ponte e paradiso,per lazzari e straccioni cacciati nuovamente,dopo tanto tempo che non piove e nemmeno nuvole gravide d'acqua stanno sospeseal cielo azzurro, che rimaseimpresso a fuoco ardentenegli occhi di Hamdis?

Fratello mio bandito in eterno,Figlio amoroso e sconsolato,andarono perduti i giardini foltie grandi che vedesti alla marina.La terra è arsa e pienadi crepe antiche.Se veramente tornassi come dici,del tutto si confonderebbe la tua mente.

Quella casa di Noto è tutta diroccata;Dio non ha sentito da quel verso.Oramai topi, cani di mandria e ladroni incallitifrugano e mangiano a garaIeri sono arrivati i tuoi cugini,quelli di Tunisia e di Manila.Li hanno cacciati di botto,in nome della legge dei briganti,proprio loro che ne hanno dirittoe sono i soli che smaniano per venire in quest'infernodi fuoco e di veleno aggrumatodove chiunque passi, anche da lontano,sputa e schizza fiele di sentenze.

Page 139: Poetry in the morning

139

Forse un mattino andando in un'aria di vetro,arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:il nulla alle mie spalle, il vuoto dietrodi me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gittoalberi case colli per l'inganno consueto.Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zittotra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Eugenio Montale, da Ossi di seppia, 1925

Page 140: Poetry in the morning

140

Er sorcio de città e er sorcio de campagna

Un Sorcio ricco de la capitaleinvitò a pranzo un Sorcio de campagna.- Vedrai che bel locale,vedrai come se magna...- je disse er Sorcio ricco - Sentirai!Antro che le caciotte de montagna!Pasticci dorci, gnocchi,timballi fatti apposta,un pranzo co' li fiocchi! una cuccagna! -L'istessa sera, er Sorcio de campagna,ner traversà le saleintravidde 'na trappola anniscosta;- Collega, - disse - cominciamo male:nun ce sarà pericolo che poi...?- Macché, nun c'è paura:- j'arispose l'amico - qui da noice l'hanno messe pe' cojonatura.In campagna, capisco, nun se scappa,ché se piji un pochetto de farinaciai la tajola pronta che t'acchiappa;ma qui, se rubbi, nun avrai rimproveri.Le trappole so' fatte pe' li micchi:ce vanno drento li sorcetti poveri,mica ce vanno li sorcetti ricchi!

Trilussa

Page 141: Poetry in the morning

141

Er mortorio

Appresso ar mio num vojo visi affritti,e pe’ fa’ ride pure a ‘ st’occasionefarò un mortorio con consumazione…in modo che chi venga n’approfitti.

Pe’ incenso, vojo odore de soffritti,‘gni cannela dev’esse un cannellone,li nastri –sfoje all’ovo e le coronefatte de fiori de cocuzza fritti.

Li cuscini timballi de lasagne,da offrì ar momento de la sepporturaa tutti quelli che “sapranno” piagne.

E su la tomba mia, tutta la gentece leggerà ‘sta sola dicitura:Tolto da questo mondo troppo al dente”.

Aldo Fabrizi

L'invito

Nun m'aricordo bene in che paesetto,quanno che mòre un capo de famìa,er parentado je fà compagnia,facenno un pranzo intorno ar cataletto.

La tradizione vò che 'sto banchetto,preparato durante l'agonia,se faccia, senza tanta ipocrisia,cor medico, cor prete e'r chirichetto.

Doppo li pianti la famìa se carmae ar punto che la pasta viè servita,se brinda a la salute della sarma.

Poi c'è l'invito pe' nun faje un tortoe si a st'invito nun ritorna in vita,significa ch'er morto è propio morto.

Aldo Fabrizi

Page 142: Poetry in the morning

142

Altre gemme rubate dal blog di Garbo.

“Dormir nella memoria dell’obliodell’oblio della memoria,e come nel materno utero mi perdoe li perduto non nasco.Benedetto avvenire mio trascorsodomani eterno ieri;tu, ogni cosa che fu in eterno assolta,mia madre e figlia e sposa”.

“ ... E quando al tramontare,il sole accenderà l’oro secolare che ti ricama,col tuo linguaggio di messaggera dell’eterno,racconta che sono esistito”.

Miguel de Unamuno y Jugo, (1907), Poesie scelte, Passigli, Firenze, 2006

Page 143: Poetry in the morning

143

Noi siamo come le foglie, che la bella stagionedi primavera genera, quando del sole ai raggicrescono: brevi istanti, come foglie, godiamodi giovinezza il fiore, né dagli dei sappiamoil bene e il male. Intorno stanno le nere dee:reca l’una la sorte della triste vecchiezza,l’altra di morte. Tanto dura di giovinezzail frutto quanto la terra spande la luce il sole.Ma, quando questa breve stagione è dileguata,allora, anzi che vivere, è più dolce morire.

Mimnermo, fr.2 Diehl, Lirici greci, Garzanti, Milano, 1976.

Page 144: Poetry in the morning

144

Non sia mai ch’io ponga impedimentiAll’unione di due anime fedeli; Amore non è amoreSe muta quando scopre un mutamentoO tende a svanire quando l’altro s’allontana.

Oh no! Amore è un faro sempre fissoChe sovrasta la tempesta e non vacilla mai;È la stella che guida di ogni barca,Il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.

Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbraE gote dovran cadere sotto la sua curva lama;Amore non muta in poche ore o settimane,

Ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio;Se questo è un errore e mi sarà provato,Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

William Shakespeare, Sonetto 116.

Page 145: Poetry in the morning

145

Spesso citata, da pochi conosciuta.

Nessun uomo è un'isola,completo in se stesso;ogni uomo è un pezzo del continente,una parte del tutto.Se anche solo una nuvolavenisse lavata via dal mare,l'Europa ne sarebbe diminuita,come se le mancasse un promontorio,come se venisse a mancareuna dimora di amici tuoi,o la tua stessa casa.La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,perché io sono parte dell'umanità.E dunque non chiedere maiper chi suona la campana:suona per te.

John Donne (1572 - 1631)

Page 146: Poetry in the morning

146

Protagonista di questa poesia è una martellante domanda, la ferma speranza di non ingannarsi. Peraltro nella versione originale la domanda apre i versi anziché chiuderli.

Noi saremo

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattiviche certo guarderanno male la nostra gioia,talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modestache la speranza addita, senza badare affattoche qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,non ha molta importanza. Se vuole, esso può beneaccarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,e inoltre ricoperti di una dura corazza,sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destinoper noi ha stabilito, cammineremo insiemela mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Paul Verlaine

Page 147: Poetry in the morning

147

Mi prendo una pausa dal circolo poetry in the morning, una pausa a tempo indeterminato. Il circolo resta naturalmente aperto per chi vorrà frequentarlo ma io me ne starò seduto ad un tavolo a leggere. Saluto con un pensiero di don Tonino Bello dedicato alla poesia. Il teologico senso della preesistenza di cui è intriso il passaggio potrebbe non convincere tutti ma questo omaggio ai poeti e ai musicisti mi sembra un buon saluto e non mi pare sia necessario trovarlo convincente per riconoscerne la bellezza. Del resto la bellezza, della poesia o della musica, non si pone lo scopo di convincere ma di (scon)volgere segni e significati. A tal proposito mi torna in mente un illuminante rovesciamento delle parole che don Tonino era solito dire ai suoi allievi: “voi non dovete consolare gli afflitti ma affliggere i consolati”.

“Poesia. Secondo me il poeta non è uno che merita di essere ammirato perché crea. E’ uno che merita di essere ringraziato perché libera. Lui non crea niente. Fa nascere ciò che altri ha concepito. Esonera dal travaglio del parto. Mette a nudo creature che non gli appartengono. Un po’ come il musicista. Neppure lui crea. Non è un inventore di melodie. E’ uno scopritore, semmai. Scopre, nell’intreccio vagante dei suoni arcani dell’universo, un filone prezioso, e lo arrotola intorno a un pentagramma. Ma quella musica c’era già.La inseguivi da tempo anche tu: solo che non riuscivi mai ad afferrarne il bandolo. Meno male che è arrivato lui: ti ha liberato da un peso. Grazie, perciò, ai poeti e ai musicisti. Senza di loro, agonizzeremmo di fatica.”

don Tonino Bello, Alfabeto della vita. Ed. Paoline, 2009.