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Nomen/omen: poetica e funzione dei nomi (Plauto, Seneca, Petronio) Author(s): Gianna Petrone Reviewed work(s): Source: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 20/21 (1988), pp. 33-70 Published by: Fabrizio Serra editore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40235905 . Accessed: 03/04/2012 11:59Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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Gianna Ptrone omeri:poetica e funzione dei nomi omeri/ (Plauto, Seneca, Petronio); , , . Plat. Crat. 435 d , , ,

Che cosa un personaggio in letteratura? Prima di tutto il suo nome, dato che la letteratura costruita pur sempre da parole. Se nel linguaggio della realt quotidiana il nome proprio potuto sembrare uno 'spazio bianco' del senso e un elemento privo di contesto, il cui unico significato si esauriva nella sua realt fonica, nel linguaggio letterario l'uso dei nomi propri sempre stato un atto di creazione poetica, quando questi si potevano inventare, di adeguamento del mondo reale al mondo e alla verit dell'opera, quando non era lecito allo scrittore forgiarli ex novo. Identificare, classificare, significare: queste le funzioni comunicative del nome, di cui l'ultima quella specialmente letteraria. Territorio sino a ieri poco frequentato, se non da un'erudizione tradizionale e un po' pedantesca, lo studio dei nomi propri si sta invece rivelando di straordinaria ricchezza1 : il nome infatti non un suono 'opaco' ma un segno a volte 'trasparente', e spesso il ricettacolo privilegiato del senso. Esso pu assommare e concentrare in s una rete di significati metaforici e simbolici, di connotazioni sociali, di allusioni letterarie1. I fondamenti logico-filosofici sono stati posti dalla teoria della referenza linguistica di S. Kripke, Naming and Necessity, in Semantics of Naturai Languages, Dordrecht 1972 (ne esiste una traduzione francese: La logique des noms propres, Paris 1982). Un ottimo avvio teorico alla questione dal punto di vista letterario in E.Nicole, L'onomastique littraire, Potique 54, 1983, pp. 233-253, che reca anche una bibliografia di tutto rispetto. Dello stesso autore (prevalentementededicato ai nomi proustiani ma con spunti interessanti) Personnage et rhtorique du Nom, Potique 46, 1981, pp. 200-216.

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ma soprattutto di riferimenti inerenti al testo stesso nel quale si colloca. La poetica dei nomi finisce con l'apparire il luogo di un processo semantico fondamentale, attraverso cui si affermano le caratteristiche dei personaggi, le loro 'qualit psicologiche', la loro funzione nell'opera, in definitiva la loro 'verit' letteraria2. Non certo un caso se il Candide di Voltaire, lo Stephen Dedalus di Joyce, il Godot che si aspetta invano nel dramma di Beckett lo Pseudolus plautino si chiamano cos (e gli esempi potrebbero essere tanti quanti ne contiene la Biblioteca borgesiana). Si tratta al contrario di nomi in cerso senso 'necessari', che non solo racchiudono, come diceva Spitzer, 'l'imperativo categorico del personaggio' e ne rivelano l'essenza, la marca basilare, ma anche, e di pi, sono in indispensabile relazione con il contesto, lo presuppongono e annunciano, ne indicano i sensi pi importanti. Spesso ad essi sono affidati alcuni tra i significati centrali dell'opera cui appartengono s da prestarsi efficacemente a contenere in nuce le rappresentazioni mentali che ne abbiamo: come accadeva per i nomi mitici, capaci di per s d'evocare il racconto che li comprendeva e di suscitare la memoria dell'intreccio che era loro indissolubilmente legato. L'onomastica letteraria inoltre spesso un sistema organizzato, dove ha valore, oltre alla nominazione individuale di un personaggio, la reciprocit, l'affinit la diversit che si stabilisce tra i diversi nomi; decifrare la norma sottesa alla loro invenzione pu a volte avvicinare alla genesi dell'opera. Non senza una qualche intenzione polemicamente paradossale, R. Barthes affermava riguardo alla Recherche come per Proust (e per noi) possedere il sistema dei nomi era... possedere le significazioni essenziali del libro, l'impalcatura dei suoi segni, la sua sintassi profonda3. Forse il nome proprio che la letteratura ci presenta un caso davvero unico in cui il significante non 'arbitrario', come ci hanno insegnato essere il linguaggio, ma 'motivato': il nome 'giusto', 'vero', 'naturale', come secondo il parere del Cratilo platonico, non del tutto smentito da Socrate, deve essere sempre il nome: corrispondente alla cosa che indica.

2. Per il ruolo del nome proprio nel romanzo cfr. Ph. Hamon, Semiologia Lessico Leggibilit del testo narrativo, trad. it., Parma 19843, soprattutto alle pp. 87 ss. 3. R. Barthes, Proust e i nomi, in // grado zero delh scrittura, trad. it., Torino 1982 (ma il saggio del 1967), p. 129.

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Ancora prima di significare comunque il nome proprio identifica e classifica; cos nella vita come nella letteratura esso pone l'individuo cui attribuito in un gruppo, in un ambiente, in una situazione storica e geografica: il nome proprio resta sempre dal lato della classificazione4. Perci Hans Castorp della 'Montagna incantata' di Th. Mann, per esempio, vale gi da s una serie di indicazioni generali: un tedesco, di famiglia presumibilmente borghese, vissuto in un'epoca che non chiaramente quella dei Nibelunghi, come il nome della Lesbia catulliana quello della Delia tibulliana gi per i contemporanei doveva permettere la loro collocazione tra le femmes galantes oggetto dell'amore di un poeta. In questi casi il nome, oltre a classificare, illumina retrospettivamente le intenzioni dell'artista che lo ha inventato. Da Hans Castorp possiamo gi dedurre la volont da parte dell'autore di scrivere un romanzo borghese, ma non pi di tanto, mentre dai nomi delle donne della poesia latina si pu quasi risalire ad un programma di poesia e ad una convenzione: chi nomina in tal modo l'amata fa gi intendere infatti il rapporto con la poesia greca e allude ad una certa pratica di vita . Non diversamente il Ti tiro e PAmarillide virgiliani sono il segno della ripresa che Virgilio compie dei modi e delle movenze della poesia teocritea, equivalgono a 'nomi bucolici' e classificano chi li porta come personaggio dell'idillio pastorale. Mentre il nome proprio della letteratura romanzesca dei tempi pi vicini a noi risente fortemente dell'obbligo realistico della verosimiglianza, che pu non essere cogente ma restringe in ogni caso le possibilit d'invenzione dell'artista, subordinandole al codice linguistico e a quello sociale in uso, la pratica letteraria dell'antichit si preoccupava meno del 'mimetismo' del nome proprio e della sua ammissibilit, ma, in ottemperanza ad altre regole meno indistinte e pi sottili che non la sola legge del verosimile, motivava il nome proprio riempiendolo di significati. Nello stesso tempo le capacit espressive di questo non si legavano soltanto a suggestioni indeterminate, quali possono sorgere dalla sensazione fonica e dalle associazioni che pu fa4. Sulla denominazione come classificazione d'obbligo il rimando a C. LviStrauss, II pensiero selvaggio, trad. it., Milano 1964, pp. 179 ss.. Cfr. anche J. M. Lotman - B. A. Uspenskij, Semiotica e cultura, Milano 1975, pp. 97 ss. 5. Per la rettifica del rapporto arte-vita negli elegiaci (con una liquidazione degli eccessi di 'biografismo' ma anche con qualche forzatura) cfr. P. Veyne, La poesia, Vamore, Vocadente. L 'elegia erotica romana, trad. it., Bologna 1985.

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vorire, quanto ad elementi lucidamenterazionali (nei casi che abbiamo citato ad esempio la ratio di tipo allusivo). Se da un lato l'enunciazionedei nomi operavain un ambito pi vasto, in quanto un maggior numero di proposte poteva essere accettabile, dall'altro era pi precisa, poich il motivo dell'attribuzione di un nome doveva essere decodificabiledal alle ragionamento.Nonostante i nomi appartenessero serie pi disparate,contenevanocomunque una ratio una etymologia che li giustificavae mostravail perchdella loro genesi, cio al fondo di essi era una motivazione (come ad esempio quella letteraria) una descrizione(qualenascevadall'etimologia).In entrambi i casi se i referenti del nome potevano essere molti, il destinatarioera in grado di decriptarlisecondo un procedimento logico: Titiro gi in Teocrito, quindi Virgilio lo usa in riferimento alla letteraturaprecedente,Lesbia non suggeriscesensazioni vaghe, ma rimanda,etimologicamente,all'isoladi Lesbo ed ai significati simbolici ad essa connessi. Per chiarirela differenzasi possono addurrele celebri fantasie nominali della Recherche,magicheevocazioni che il fascino di alcuninomi fa risentireai personaggi:il nome di Guermantes alimental'immaginedi un torrione immateriale,un luminoso fantasmacolor arancioneoppure la sonorit di Balbec fa pensare al mare in tempesta e a una chiesa in stile persiano6.Il simbolismo fonico cui Proust ricorrepoggia su sinestesie e associazioni mentali che non sfuggono al soggettivismoe mancano alla fine di un riscontro obiettivo. Diverso e generalmente pi limpido, pur nella complessite sottigliezza, il regolamento antico, che affidaval'attribuzionedei nomi all'interpretazione etimologica, teorizzata nei trattati di retorica (Arist. rhet. 2, 1400 B; Cic. de or. 2, 257; Quint. 6, 3, 55)7.6. Cfr. R. Barthes, art. cit. pp. 124 s. e G. Genette, Proust e il linguaggio indiretto, in Figure II', trad. it., Torino 1972, pp. 157 ss., ripreso poi in quel grande dossier sul rapporto tra gli scrittori e la teoria del linguaggio che Mimologiques, Paris 1976 (di cui costituisce il capitolo L'ge des noms, pp. 315 ss.). Quest'opera definita dal suo autore come una recensione alla posterit del Cranio. 7. Cfr. Arist. rhet. 2, 1400 b: , , ..., , * ' . , . ,

, Aristotele, come evidente, guarda soprattutto alla tragedia. Cicerone

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Potremmo affermare,servendocidi concetti saussuriani,che vi stato un progressivo passaggio dal 'motivato' all''arbitra'8: il grado di motivazione di Pseudolus,che richiamaimmee dunquesi motiva con V diatamente, nomiinterpretano nis, per esempio senz'altro maggiore di quello, poniamo, di Guermantes,che si motiva pi difficilmente. Pratica molto diffusa, l'interpretazioneetimologica del nome, su cui ci illuminala riflessioneretoricaantica,muovevatuttavia da nomi preesistenti, reali forniti dalla tradizione. Nella del commedia era invece Pimmaginazione poeta a produrli, come testimonia Aristotele, il quale affermache nella commedia... i poeti dapprima,con una serie di casi verisimiliinventano e compongono la favola, e poi, allo stesso modo inventano e mettono i nomi ai personaggi; non fanno come gli [antichi] poeti giambici,che poetavanointorno a persone vere e proprie. Nella tragedia i poeti si attengono ai nomi gi fissati dalla tradizione9.Secondo questaesplicitaaffermazionedella Poetiad invece alla commedia: Etiam interpretano nominis habet acumen, curri ridiculum convertas, quam ob rem ita quis vocetur; ut ego nuper, Nummium divisorem, ut Neoptolemum ad Troiani, sic illum in campo Marno nomen invenisse {de or. 2, 257). Anche Quintiliano si interessa ai nomi nell'ambito dell'attenzione verso il ridicolo: Fiunt et adiecta et detracta adspiratione et divisis coniunctisqueverbis similiter saepius frigida, aliquando tarnen recipienda, eademque condicio est in iis quae a nominibus trahuntur. Multa ex hoc genere Cicero in Verrem... (6, 3, 55). Anch'egli guarda al mondo della commedia, cita infatti come particolarmentefelice una battuta di Cicerone che scherzava su un personaggio di nome Phormio, ... nee minus niger... nee minus confidens quam est Me Terentianus Phormio (Quint. 6, 3, 56). La teoria retorica prende comunque in esame il procedimento che partendo dai nomi esistenti tenta di trasferirli dalla individuazione alla significazione. Teneva per in conto anche il gioco paronomastico, che forzava i significati (cfr. Cic. de or. 2, 256 e Quint. 6, 3, 53) e che Quintiliano considera addirittura come nominum fictio. A tutta la questione dell'allusione etimologica dedica pagine densissime A. Traina, Allusivit catulliana (Due note al e. 64), in Poeti Latini (e Neolatini), Bologna 19862, pp. 131-158. Rimando a questo studio, fitto di esempi, per un quadro diacronico di tale prassi nella poesia antica. 8. Per il concetto di 'motivazione relativa', che limita senza modificarlo il campo dell'arbitrarietassoluta, cfr. F. De Saussure, Cours de linguistique gnrale, Paris 1922. 9. Poet. 9, 3; la traduzione di Manara Valgimigli. La discussione sui nomi si inserisce nel celebre passo in cui si discute dell'universalit della poesia di contro alla particolaritdella storia. La presenza dei nomi propri non contraddice per Aristotele questa universalit (cfr. Manara Valgimigli, Poeti e filosofi di Grecia, I, Firenze 1964, p. 608 n. 1).

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ca dunque la commedia il genere nel quale la fantasia del poeta era libera di produrre i nomi che credeva. Oltre la tragedia invece anche evidentemente l'epica era legata ai nomi 'storici', ma questo non impediva agli antichi poeti di sottolinearne con giochi etimologici l'adeguatezza riguardo l'essere che individuavano: si tentava di fissare nel nome la qualit che chi lo portava mostrava di possedere, attraverso un'associazione di parole, che articolava il significato del nome proprio (manovrando i significanti). un uso poetico invalso sin da Omero10, sul quale infatti lungamente s'intrattiene il Cratilo platonico, e praticato dai di Sofocle tragici, a livello di allusione, come il (Ai. 914), ma anche di dichiarata spiegazione etimologica, come quella che collega il nome di Aiace all'esclamazione di dolore Ai. 430 ss.) l'altra che riconduce il nome (alai .... a (Soph. Tyro fr. 597N) quella ancora che fa derivare il nome .di Afrodite dall'aqpQoouvn (Eur. Tro. 990). che non sfuggirono all'attenzione di AriEsempi quest'ultimi stotele (rhet. 2, 1400 B). Se tuttavia paragoniamo le motivazioni dei nomi epici e tragici con i meccanismi d'ideazione del nome inventato, quale quello della commedia e poi del romanzo, non possiamo non notare delle differenze. Infatti nel caso dei nomi 'storici' si tratta di un intervento che il poeta compie a posteriori, di un tentativo di dare significato ad un significante che riceve dalla tradizione dalla realt. Potremmo parlare di nomi 'rimotivati', per i quali si cerca un accordo tra la designazione e il significato, accordo che pu essere trovato attraverso una risemantizzazione del nome oppure anche con mezzi fonici che l'accostino a parole di suono affine, creando cos l'illusione della similarit di significato. Diverso invece l'atteggiamento del poeta inventore dei nomi, che a priori investe il nome del significato opportuno e lo sceglie a seconda delle azioni che il personaggio dovr compiere delle situazioni in cui prevede che si trover. Questa una motivazione genetica, che istituisce un vincolo strettissimo tra il nome e il suo contenuto semantico. In conclusione il tragediografo e il commediografo (e il romanziere) compiono lo stesso percorso ma in senso inverso,10. Cfr. C. Calarne, L 'antroponimogreco come enunciato narrativo: appunti linguistici e semiotici, in Mondo classico. Percorsipossibili, Ravenna 1985, pp. 27-37.

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poich il primo decifra un'analogia tra il suono e il senso di un nome, e ne svela un significato nascosto, l'altro, dovendo creare qualcosa che s'accordi con i significati che ha in mente, cerca nel repertorio onomastico che ha a disposizione nei possibili neologismi che il sistema linguistico gli consente quanto corrisponda alle sue intenzioni. L'uno decodifica, l'altro codifica ma sempre all'interno di un rapporto di motivazione. Metteremo adesso alla prova queste riflessioni sull'onomastica plautina, non solo per predilezioni personali, quanto perch un campo d'indagine effettivamente interessante, ed accenneremo ancne all'uso degli antroponimi nelle tragedie senecane e nel romanzo di Petronio per provare a delineare un quadro d'insieme di una questione di 'poetica' non irrilevante per gli antichi. Si sa che i nomi plautini sono nomina loquentia, e come tali sono stati descritti in studi di grande autorevolezza11. Eppure questa tradizionale definizione gi implicitamente un'ammissione del loro valore comunicativo e della loro capacit di trasmettere delle informazioni sul personaggio che individuano. Infatti definirli cos non pu essere senza conseguenza e nell'ambito della comunicazione teatrale e in quello della struttura drammatica interna all'opera cui appartengono: se 'parlano' per comunicare dei messaggi che lo spettatore doveva intendere e per dare delle indicazioni sul ruolo che epersonae svolgevano nella trama. Il sistema appellativo adoperato da Plauto ha una singolare coerenza nel denominare il personaggio a seconda della tipologia cui appartiene, del suo ruolo scenico, delle sue caratteristiche funzionali, della parte che chiamato a svolgere e una pari efficacia nel comunicare questo significato. Il nome innanzitutto tale da classificare spesso il personaggio nel catalogo di tipi fissi che la commedia registra e da determinarlo dunque come servo parassita, giovane vecchio, meretrix matrona e cos via. cio in grado in molti casi di collocare l'appellativo individuale entro una classe e spesso addirittura in una sottoclasse. Questo avviene perch il nome di un servo si differenzia da quello, per esempio, di un adulescens e perch la spiegazione etimologica sottesa al nome restituisce la funzione del personaggio. Prendiamo per absurdum il caso del tutto secon11. Innanzitutto F. Ritschl, Quaestiones onomatologicae comicae, in Opuscula philologica IH, Lipsiae 1877, pp. 301-351 e K. Schmidt, Die gnechiscben Personennamen bei Plautus, Hermes 37, 1902, pp. 173-211; 353-390; 608-626.

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dario del servo Grumio, che compare nella prima scena della Mostellaria. Seppure il contesto non specificasse, come invece fa, di che tipo convenzionale si tratti, il nome permetterebbe di identificarlo come servo e, all'interno della grande specie dei servi plautini, della pi ristretta famiglia dei servi di campagna. Le ragioni foniche non sono distintive e lascerebbero spazio a troppe incertezze: ci sono infatti vecchi liberi come Euclio, parassiti come Curculio, servi come Milphio, Sagaristio, Trachalio ecc. ma anche cuochi, come Congrio e lenoni come Ballio, tutti con identica terminazione in -io, sicch poche sarebbero le esclusioni (e pensiamo qui per contrasto a quelle sillabe che in Proust da sole connotavano un nome come nobile piccoloborghese). Distintivo non dunque il morfema ma il lessema: Grumio, da grumus, 'mucchio di terra', non pu che chiamarsi un servo di campagna. Inoltre, poich il servo di campagna contestuale al servo di citt, la cui presenza il primo richiede, ecco che l'esistenza di un Grumio postula come necessaria conseguenza il tradizionale contrasto campagna/citt, che poi, se ad incarnarlo sono dei servi da commedia, quello tra servo zotico ed ubbidiente e servo trappolone di maligna genialit. Tutto ci si pu dire concentrato nel nome Grumio, nucleo che implicitamente contiene tutta questa sequenza. In realt cos ragionando abbiamo capovolto la dinamica con cui appare il nome di Grumio nel testo plautino, che viene pronunciato quando questi dati sono stati gi esposti ed stato ripetuto pi volte che il personaggio in questione proviene dalla campagna, sicch, quando il nome, prima sconosciuto, poi pronunciato (/. 51), se ne intende appieno il significato e la sua 'leggibilit' assicurata. Del resto questa funzione del nome doveva essere ben chiara a livello teorico se Donato poteva sostenere che nomina personarumy in comoediis dumtaxat, habere debent rationem et etymologiam (ad Adelph. 1, 1, 1, 26 W.). Tale affermazione troppo chiara ed esplicita perch possano sminuirla la considerazione della distanza cronologica che separa l'antico grammatico dal corpus di testi che esamina le incerte vicende della tradizione cui attinge la sua teoria della commedia (su cui cfr. Leo, Plautinische Forschungen, 232 ss.). infatti una vera e propria 'retorica' del nome da commedia, spiegata in dettaglio con l'apporto di numerosi esempi, che emerge dalle osservazioni di Donato, un'articolata e precisa tassonomia. A monte sta la norma generale; continua infatti Donato: ete-

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nim absurdum est comicum apte argumenta confingat, vel nomen personae incongruum dare vel officium, quod sit a nomine diversum. Il commediografo deve dunque osservare la coerenza del nome e del personaggio, regola aurea evidentemente per Donato se si preoccupa di specificarla anche per via negativa, sottolineando l'assurdit compositiva di un nome inadatto di un compito del personaggio, diremmo una 'funzione', in contraddizione con il nome. L'attitudine antica a fissare degli schemi anche per gli elementi pi fortuiti del gioco letterario e a non lasciare nulla fuori da una normativa che doveva ricoprirne tutto l'esistente si fa notare in questa riflessione. Eppure non si tratta di un criterio univoco, a maglie strette, che si basi come accadeva nel Cratilo sulla coscienza di una segreta corrispondenza tra le parole e le cose, ma di una legge di compattezza poetica, che compendia casi non del tutto omogenei tra di loro. Vi hanno parte quel che noi chiameremmo un certo 'verosimile letterario', cio l'uso precedente degli altri autori che ha creato una tradizione di nomi comici, per la quale ad un giovane conviene un nome come Pamphilus e ad una matrona uno come Myrrhina, come pure la regola etimologica. Vi persino compresa qualche communis opinio bizzarra, come quella che etichettava i servi provenienti da alcune regioni come sleali e dunque rendeva adeguati nomi come Syrus Geta per un servo bugiardo. Donato infatti ci tramanda questa casistica, specificando le considerazioni precedenti: hinc servus fidelis Parmeno, infidelis Syrus vel Geta, miles Traso vel Polemon, iuvenis Pamphilus, matrona Myrrhina et puer vel ab odore Storax vel a ludo et gesticulatione Scirtus... Sotto il termine ratio quindi da vedere non una regola unica ma una serie di possibilit ammesse dalla convenzione comica. Certo Donato scrive sulla base di testi teatrali che sono a lui largamente preesistenti e dunque incontra certamente delle difficolt nell'unificare una materia lontana nel tempo, ampia e non sempre omogenea (Plauto e Terenzio non sono facilmente omologabili). Viene perci da pensare che, nel tentativo di ricavare le norme generali e delineare un sistema, possa forzare la mano, cercando di mettere assieme casi non perfettamente analoghi. Ratio tuttavia parola sufficientemente ampia da riassumere la molteplicit degli esempi particolari; ci da in fondo l'indicazione di quello che potremmo chiamare un rapporto di motivazione tra nome e personaggio. Seguiamo ancora Donato che cos conclude: ...ef item similia.

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in quibus summum poetae vitium est, si quid e contrario repugnans contrarium diversumque protulerit, nisi per ioculariter nomen inponit, ut Misargyrides in Plauto dicitur trapezita. et f ere apud alios hoc modo poetas nomina componuntur describentia quod dsignant. Non attuare la per , coerenza del nome e del personaggio dunque per Donato summum vitium di un poeta. Ma siccome ogni regola, si sa, ha la sua eccezione, ecco che interviene il caso polarmente opposto nella quale il nome afferma la della motivazione per , esattamente contraria al personaggio. All'inizio indubqualit biamente strategia fuorviante, che scompigliava le fila delle consuetudini invalse, questa violazione e trasgressione della regola diventa essa stessa canonica. ovviamente perch la norma della congruenza si era fissata e costituiva parte integrante della 'poetica' di un commediografo che questa innovazione poteva compiersi ed essere intesa come fatto che produceva un effetto comico (ioculariter). Resta ancora da esaminare un'altra serie di esempi che Donato ci trasmette a proposito dei nomi dei servi: Semper nomina comicorum servorum aut a nationibus sunt indita, ut Mysis Syrus, aut ex accidentibus, ut Lesbia velut ebriosa, a Lesbo insula, quaeferax est suavissimi candidissimique vini, aut a moribus et vernilitate, ut Pseudolus, aut ex negotio, ut Chrysalus, aut ex qualitate corporis, ut Thylacus, aut ex specie formae, ut Pinacium (adAndr. 1, 3, 21, 226 W.). Qui l'aspetto deduttivo prevale sulla sintesi ma al contrario della notizia precedente, dove la 'connivenza' del significato non era esplicitata, il rapporto di motivazione messo allo scoperto: per filo e per segno Donato espone la ragione che sta alla base dell'attribuzione del nome. Una categoria di personaggi plautini mostra ancora pi facilmente di altri la natura di eponimo, ovvero di soprannome, dell'appellativo ed quella dei parassiti, cui tocca sempre un nome di battaglia che potremmo definire con Donato e moribus. Perci la classificazione di tali personaggi tramite il nome avviene con maggiore immediatezza che per altri e la frontiera tra il 'nome d'intelaiatura' che indica il tipo scenico tradizionale, quale sarebbe parasitus, e il nome proprio diventa pi sottile che altrove: non fa infatti molta differenza dire parasitus dire Saturio, 'il sazio', Artotrogus, 'il mangiapane' e cos via. Ricollegare l'individuo alla categoria cui appartiene in questi casi immediato: sar evidente al pubblico che simili nomi non possono

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che designare un membro della famiglia teatraledei parassiti. Spesso inoltre il nome viene 'chiosato', nel senso che il motivo dichiaratodal personagche lo ha suscitatoviene espressamente stesso nel suo monologo d'ingresso, secondo uno schema gio di ripetuto che evidenziale caratteristiche 'trovata'comica della sua invenzione: il nome un elemento dello spettacolo,ha qualit d'arte,come sappiamoda Donato e come si evince dai passi plautini dove il parassitaraccontacon compiacimentocome entratoin possesso di quel nome. Iuventus nomenfecit Peniculo mihi I ideo quia mensam quando edo detergeo (Men. 77 s.), 'Spazzola' un nome, diremmo, metonimico; il parassita denominato dall'arneseche lo caratterizza.Ed questo un nome certo fantasioso, che perch venga inteso appieno accompagnato da una didascalia.Identicamanierain Capt. 89 s.: luventus nomen indidit Scortomihi, I eo quia invocatussoleo esse in convivio. La 'trouvaille'serve ad un gioco di parole,perchnon questo il nome del parassita,che invece si chiama,per antifrasi, Ergasilo, 'lavoratore'. Il nome scherzoso viene comunque messo in rilievo e spiegato, anzi c' una serie di nomi, quasi a moltiplicarele occasioni per delle buone battutee a mostrarela bravuradel poeta. Non dissimile la presentazioneche di s fa Gelasimo, 'Ridicolo' nello Stichus:Gelasimonomen mi indidit parvo pater, I (propterpauperiem hoc adeo nomen repperi)I quia ind'iam a pusillo puero ridiculusfui, I eo quia paupertas forem (St. 174 ss.). L'identitGelasimus- Ridicufecit ridiculus lus cos segnalatae lungamentespiegata.Con una leggeravarianteSaturionel Persaparladel nome della suagens, che tutta professionalmente parassitica:neque edacitate eos quisquam poterai vincere, I atque is cognomentumerat duris Capitonihus del (59 s.). Il mos in tutti questi casi la causadichiarata nome e la motivazione messa a nudo. e Oltre ai parassitianonimi deVAsinaria delle Bacchides,redell'omonimacommedia, e Artostano Curculioy protagonista personaggioprotaticoche comparenellaprimascenadel troguSy Mues come 'spalla' di Pirgopolinice. Questi ultimi due nomi appartengonoalla stessa sfera semantica:com' noto infatti il primo indica il verme roditore del grano e il secondo significa e ). Gli fa da pendantMiccotrogus (da 'Mangiapane' il 'Mangiapoco',nome con cui si autobate) (da tezza Gelasimo nello Stichus quando in seguito al prolungato digiuno e alla disperante assenza dai banchetti osserva che il del nome di prima,che avevasenso nell'allegria convito, non gli

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si confa e che il suo nome Vero', cio quello che corrisponde alla realt della sua situazione appunto Miccotrogus,fedelmente riproduttivo del suo stato di difficolt alimentare.Alla servettache lo chiamaGelasimo egli rispondeche non quello il suo nome; lo fu, e bene, un tempo ma ora ha perso il diritto, meglio la possibilit,di usarlo:fuit disertimverum id usuperdidi: I nunc Miccotrogusnomine e vero vocor (240 s.). Superfluo mi sembra notare come il testo plautino presupponga la piena ricezione da parte del destinatariodel valore semantico dei nomi Gelasimus e Miccotroguscome degli altri. Inoltre questa concezione per la quale il nome deve corrispondere a quel che indica e dunque mutareallorchil personaggio che lo possiede si trasformanon era affattosfuggitaal Fraenkel, che anzi ne avevafatto parteintegrantedi un capitolo del Plautinisches,cogliendovi un aspetto distintivo dellaprassiplautina: il motivo della 'trasformazione'e della 'identificazione'. Cos Fraenkelformulavaquesto tema: L'ideasu cui tale concetto si fonda questa: Ogni cosa quel che il suo nome dice e viceversa. Perci se uno perde le qualitfinora possedute, oppure ne acquistadi nuove deve cambiareanche il nome12.Ne concludeva infine che tutti i passi dove si configuravail 'motivo dell'identificazione e della trasformazione'si basavano sulla seria convinzione dell'identitfra la cosa e il nome13.Questa 'instabilit'del nome proprio14, la quale l'etichettache conper trassegnail personaggiopu modificarsise cambianole azioni le condizioni di esso, moltiplicail gioco appellativoma ne conferma il meccanismoe specificaulteriormentela naturadi eponimi dei nomi plautini. A Gelasimo, per esempio, verr attribuito un terzo nome allorch il suo ex-protettore temer che egli possa diventareper lui Catagelasimus,cio 'quello che ride dietro le spalle':nunc ego nolo ex Gelasimomifieri te Catagelasimum (St. 630-1). Ergasilo oltre al soprannomedi Scortum(funzionale ad una il battuta)si autoattribuisce cognomendi Saturio(denominazione ripetutadal parassitadel Persa),sperandoche gli porti buona fortuna: ...ita me amabit sancta Saturitas, I ...itaque suo me sempercondecoretcognomine(Capt. 877 s.), dove l'effetto foni12. E. Fraenkel, Elementi plautini in Plauto, trad. it., Firenze 1960, p. 27. 13. Op. cit. p. 28. 14. Cfr. Hamon, op. cit. p. 108.

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co crea anch'esso senso (la Saziet per il parassita una Laddove Plauto aveva innovato con la brillanteindivinit)15. versione antifrastica nome di Ergasilo,non perdeper occadel sione di mantenerela regola e ricalcareil solito procedimento. Al fondo comnque la stessa mentalit: se Ergasilo avr da mangiare potr chiamarsi Saturio. Battuta uguale alla serie Gelasimo/Miccotrogo/Catagelasimo ispirata da Saturio nel Persa, che appunto 'il sazio', ma non avendo mangiatotrova adeguatoper s il nome contrario,Essurio,'l'affamato';a chi lo avevachiamatoSaturiorisponde:mendaciumedepoldicisatque hau te decet: I nam Essuriovento, non advenio Saturio(Pe. 101 s.). Esiste mendaciumperch c' un nome falso e un nome vero, come affermavaanche Gelasimo (...e vero vocor...). Il gioco di parole rigorosamentebasato sull'etimologiae sul perfetto incrocio di nome e situazione: lo schema identico a quello sel guito nello StichuSy come qua un personaggiointerpellal'altro per nome e questo gli risponde ragguagliandolosul nome che in quel preciso momento gli si attaglia.Come Cratilo, Plauto crede alla verit dei nomi. Della questione dei nomi plautinisi recentementeoccupato su questa stessa rivista, C. Questa16,che ha dimostrato come nei prologhi l'esposizione della vicendavenga fatta indicandoi personaggitramitela loro qualificascenica, ovvero la 'maschera', e non mediantei loro nomi. Ne viene rivisitatacos tutta la materiacon messe a punto dellaprassiplautina,confrontatacon quellamenandreae l'altraterenziana.L'assenzadei nomi propri della narrano,ovvero del rias, secondo Questa, caratteristica sunto ed esposizione degli avvenimenti,data nel prologo, che, perch sia senza equivoci il processo comunicativotra poeta e pubblico e questo possa fruiredelle informazioniche gli occorrono allo spettare, deve essere oltremodo perspicua. Dunque in questi brani 'diegetici'il lessico privilegiato, afferma Questa, quello che designa i personaggicome maschere, del tipo di senexyadulescens,ecc, mentre i nomi propri non vengono forniti in prima istanza poich in questa fase non mimetica ma informativasono dei puri accidenti, che confonde15. Sulla sintassi 'paradigmatica' della preghiera di Ergasilo cfr. R. Danese, La poesia plautina, forma linguistica di creazione, MD 14, 1985, pp. 79-99, 16. Maschere e funzioni nelle commedie di Plauto, MD 8, 1982, pp. 9-64, ora in C. Questa-R. Raffaelli, Maschereprologhi naufragi nella commedia plautina, Bari 1984.

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rebbero e complicherebbero inutilmente quello che invece deve essere chiaro. Tanto pi che la codificazione delle trame e la memorizzazione che di esse aveva compiuto lo spettatore rendeva intellegibile la struttura di una commedia e prevedibile il suo svolgimento alla sola presentazione delle 'maschere' che vi avevano parte; un miles e un leno sono gi, alla semplice enunciazione, antagonisti, una virgo e un adulescens certamente eroi17. Quanto nota Questa nei prologhi pu credo estendersi ai pezzi narrativi sparsi lungo le commedie con la palese intenzione -da parte del commediografo di ricordare al pubblico, immaginato evidentemente facile preda di distrazione e smemoratezze, i gangli principali della fabula. Tali narrationesy che in genere si configurano come monologhi di uno dei protagonisti, segnano la ripresa di quelle 'locandine' di presentazione iniziale che erano nel racconto del prologo: allora il nome proprio torna ad essere insufficiente e la preferenza accordata al nome che esprime il tipo scenico, onde non si generino ambiguit. Quando i nomi propri ci sono singolare che siano accompagnati dalla menzione della 'maschera'. Per esempio nel monologo di Crisalo nelle Bacchides ai w. 174 ss. ai nomi sono aggiunte le qualifiche sceniche, con una ridondanza di informazione che per utilissima ovviamente ai fini della comunicazione e allora si ha Nicobulus... senex, sodalis... PistocleruSyamica... Bacchis; poich il nome proprio non assicura del tutto, e presso gli spettatori meno attenti e pi pigri ad intendere, la percezione dei nessi della trama, viene dato insieme al ruolo scenico in un efficace mmento. Pi in l in un altro monologo di Crisalo (w. 349 ss.) che riespone la vicenda, il giovane padroncino chiamato erilisfilius, il padre ora senex ora pater, la terminologia cio quella della parentela o, che non fa molta differenza, della 'maschera', tale da offrire un quadro lineare della trama. Ancora un altro monologo, questa volta di Mnesiloco, riporta nomi propri e funzioni in un ulteriore riepilogo, cos Pistoclerus sodalis, Bacchis amica, Chrysalus servus (389 ss.). Peraltro questa doppia denominazione, dove il nome comune, indicativo della classe di appartenenza, e il

17. Art.. cit. p. 47. Quanto all'organizzarsi delle trame plautine attorno a modelli fissi cfr. M. Bettini, Verso un* antropologia dell'intreccio: le strutture semplia della trama nelle commedie di Plauto, MD 7, 1982, pp. 39-101.

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nome proprio, Variante libera' ma sempre motivata, persiste anche al di l delle narrationes, delegate alle esigenze della chiarichiamarne rezza, quando c' da presentare il personaggio l'esistenza dopo una qualche assenza dalla scena che possa averne cancellato la memoria. Cos, per esempio, molto didascalicamente nello Stichus i personaggi allorch vengono chiamati in scena, cio quando se ne annunzia da parte di altri l'ingresso, sono distinti da entrambe le qualificazioni: Gelasimus parasitas (. 150), Pinacium puer (. 270), Epignomus vir (v. 372), Stichhs servus (v. 371), Stephanium ripetutamente amica (w. 431, 651). Questo procedimento tanto logico che non credo valga la pena di cercarne altre applicazioni, che sono un po' dovunque nelle commedie. S'intende per che esso poco mimetico, poich enfatizza la convenzionalit delle parti e impedisce che s'instauri l'illusione della verosimiglianza con il richiamo continuo ad un'onnipresente didascalia. Come si regola invece Plauto nei prologhi mimetici, ovvero in quelle commedie nelle quali la scena si apre su un dialogo? L'informazione non pu essere n esplicita n didascalica laddove non vi narrano preliminare ma assai pi artisticamente deve essere calata nella mimesi; allora il nome proprio dei personaggi che dialogano, e cui affidato il compito di iniziare la commedia, non pu essere taciuto, ma si trova allo scoperto, senza la rassicurante compagnia del nome comune che indica il tipo scenico e gli tocca sostenere da solo il peso della catalogazione. Questo avviene in otto delle commedie superstiti, Cistellaria, Curculio, Epidicus, Miles, Mostellaria, Persa, Pseudolus, Stichus, nelle quali la prima scena si apre direttamente sulla rappresentazione senza la premessa del prologo monologico, anche se poi in alcune di esse questo interviene nell'immediato seguito18. Lasceremo da parte Cistellaria, dove i nomi delle meretrici sono subito perspicui anche per la caratteristica finale in -ium {Gymnasium, Slnium), Pseudolus perch il valore del

18. La diversit della prassi comica, gi nella commedia antica, dall'uso della tragedia e le stranezze della nominazione dei personaggi erano notate dal Leo in una pagina fondamentale (Plautinische Forschungen, Berlin 19122, p. 221), che osservava come alcuni nomi venissero dati all'inizio mentre di altri l'esposizione tacesse e certi prologhi non facessero alcun nome. Gli esempi dati dal Leo vanno da Aristofane a Plauto; in effetti il problema della nominazione, Aristotele insegna, si pone in modo specifico nella commedia.

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nome il meglio noto , e Stichus, dove mancano i nomi di persona e le due sorelle si interpellano a vicenda con soror e, nel dare le linee dell'intreccio, adoperano il lessico della parentela (parlano del pater e dei viri), particolarmente adatto in una commedia la cui prima parte fondata sui rapporti familiari. La prima scena del Curculio presenta un dialogo tra Phaedromus e il suo schiavo-pedagogo Palinurus, nel quale sono inserite tutte le notizie che riguardano la trama20.Il nome del personaggio principale credo non sia insignificante. Siamo nel pieno della notte ed il giovane innamorato avanza facendosi egli stesso luce per recarsi ad un incontro furtivo d'amore. Lo sfondo quello notturno, spezzato dalla veglia impaziente del'adulescenSyche interrompe le tenebre portando una candela di cera in mano: per questo che egli si chiama Phaedromus, dal greco 'lucente', che non allude soltanto e genericamente, co, me pareva a Schmidt21, al bell'aspetto del giovane (significato invece prevalente in Terenzio, dove Pbaedria si chiama Yadulescens tWEunuchus e quello del Phormio) ma con assoluta precisione si adegua alla situazione e all'azione che quello sta compiendo: l'interruzione del buio della notte con la luce di un cero. La leggibilit di questo significato non affidata soltanto alla catena significante del gesto e dell'oggetto concreto (la candela) ma come sempre in Plauto dispiegata dal testo, dove la funzione di 'luminoso' di Fedromo dichiarata ed accentuata; infatti gli viene detto lautus luces cereum (v. 9), che una didascalia del nome, in quanto lautus luces pu considerarsi una traduzione del concetto espresso da . Fedromo, 'il luminoso' tale non solo perch lautus, ben azzimato, dall'aspetto curato, ma anche perch egli si fa luce con la candela di cera. Dire di uno, che si chiama 'il luminoso', che illumina ovviamente la sottolineatura, per chi non l'avesse inteso, in un modo che non potrebbe essere, mi pare, pi chiaro, del significato pertinente del nome proprio22.19. Rinvio al lavoro di G. Pascucci, // nome di Pseudolus, Atene e Roma 6, 1961, pp. 30-34, ora in Scritti scelti, I, Firenze 1983, pp. 273-279. 20. Per il caratteredi questa prima scena cfr. Plauto, Curculio a cura di G. Monaco, Palermo 1969, pp. 125 ss. 21. Art. cit. p. 378. 22. Quanto al nome di Palinurus, si tratterebbeper Schmidt (art. cit. p. 198) di un nome mitico, usato tuttavia senza prendere in considerazione il significato originario. Se si ripensa all'atmosfera che regna su tutta la prima scena della commedia, che

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Per quanto riguarda YEpidicus, compaiono nel prologo mimetico Epidicus e Thesprio, nome quest'ultimo della categoria pi generica tra quelli attribuiti ai servi, cio, per dirla con Donato, a nationibus {Thesprio dalla Tesprozia, regione delPEpiro). Ben pi interessante il nome di Epidicus, alla cui spiegazione era arrivato gi Schmidt, isolando alcuni versi che mettevano in rilievo come Epidicus equivalesse a 'colui che amministra la giustizia'23; il che infatti si ricava da questo scambio di battute:Th. ius dicis. Ep. me decet. Th. iam tu autem nobis praeturam geris? Ep. quem dices digniorem esse hominem hodie Athenis alterum? (vv. 25 s.).

Epidicus vale cio a sottolineare l'attitudine al comando del servo, che come sempre fa e disfa, quasi che fosse un magistrato alla rovescia. una specie di pretore comico. Si scherza infatti sulla mancanza di ci che contraddistingue l'autorit: gli mancano per esercitare la pretura i duo lictores, ma soprattutto i duo ulmei fasces virgarum (v. 27), le insegne del potere, ma anche nel caso di questo particolarissimo pretore da commedia, l'incombente minaccia di bastonate. Insomma Epidicus un magistrato speciale, il servo che esercita il suo potere comico di tramare inganni quasi fosse un mandato conferitogli dalla legge. Si tratta allora di un nome programmatico, di quelli che, dati in anticipo, lasciano ben sperare e portano con s una specie di atto di veridizione. Cosa potr fare un personaggio che gi nella prima scena si manifesta come un pretore da commedia, degno per di ricevere bastonate, se non ordire inganni, comandare alle finzioni e attuare le profezie cos ben incluse nel significato del suo nome? Epidicus, come certi altri nomi plautini, equivale ad una definizione e pone un'identit, inserito in un contesto quella di un notturno nel quale la frenesia amorosa di Fedromo costringe Palinuro ad una veglia sgradita ad una Venus noctuvigila, si sarebbe tentati di collegare il nome del personaggio all'affermazione che fa al v. 215, ... et vapulando et somno pereo: ... Palinuro, come il nocchiero di Enea nel mito potrebbe essere vittima del sonno? Troppo poco per si sa sul personaggio mitico prima della versione virgiliana perch una simile affermazione possa avere fondamento. Cfr. O. Immisch in Roscher, Myth. Lex., II, 1295-1300. Sul nome epico scherzer pesantemente Marziale con una parodia etimologica: meiere vis iterum? Iam Palinurus eris (3, 78), da . 23. Art. cit. pp. 187 ss.

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dove gli elementi semantici compresi nel nome vengono richiamati e per cos dire spiegati, una sorta di enunciato narrativo che concentra tutta una sequenza di racconto: .... ecco quello che adesso si comporter come un magistrato comico, dettando le sue leggi d'imbroglio ed eserciter nius imponendo ai personaggi-vittime la sua volont maliziosa. Sia nel caso del Curculio che in quello At\YEpidicus la singolarit e la specificit del nome del personaggio segnalata dall'autore con un procedimento didascalico, che svela apertamente il valore dell'etichetta e scioglie i contrassegni semantici in essa compresi. Un gioco di parole, una battuta esplicativa polarizzano l'attenzione sul significato del nome proprio e lo distendono, lo dispiegano per esteso, accostandolo a quelle idee che l'hanno ispirato: come un indovinello, prima in certa misura enigmatico, poi, rivelata la soluzione, piacevolmente soprendente per la esatta rispondenza tra la formulazione e la spiegazione: Fedromo colui che lucet, Epidico quello che praeturam gerii. Problemi di chiarezza scenica e di comunicazione teatrale non ve ne sono neppure per l'inizio del Miles, comicissimo dialogo nel quale il parassita Artotrogo fa da personaggio protatico allo scopo di presentare l'ethos di Pirgopolinice. Un nome come Artotrogus, 'Mangiapane' non abbisogna di ulteriori delucidazioni, dato che ovviamente appartiene ad un parassita, mentre quello di Pirgopolinice, pronunziato verso la fine della scena, vale come 'compendio' di quanto finora emerso su di lui; pi che un nome appare come un titolo guadagnato sul campo. Pi interessante invece constatare come l'idea che alla base del nome si continui e venga ripresa in metafore, in varianti, in successivi ripensamenti, in richiami analogici. Un filo continuo lega il nome di Artotrogo, che nasce dall'immagine del 'rodere' il pane, con l'espressione altrimenti lambiccata e incomprensibile dei campi Curculionii (v. 13), cio i campi nei quali si trovano i curculiones, che sono i parassiti del grano. Artotrogo infatti appartiene alla stessa sfera semantica di Curculio, entrambi significano 'parassita', in quanto mangiatori di pane (Artotrogus) frumento (Curculio), che lo stesso. Insomma Curculio l'identificazione nell'ambito animale di un 'mangiapane' ovvero di un parassita, perci la denominazione del personaggio che sta conversando con il miles richiama per analogia l'espressione campi Curculionii24. Si instaura a partire dal nome cio una serie24. Questo passo del Miles abbastanza tormentato. Ne discuto alcune difficolt

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di metafore richiamiche ne proseguono il significatoesasperandonela referenza,per esempio in questo caso quanto attiene alla sfera del pane/frumento. Viene inoltre il sospetto che al significato del nome possa alludere l'affermazionedel parassitache offae monent (v. 49), sono cio i buoni bocconi a fargli ricordarele mirabolantie inesistenti gesta del miles. Ora offa propriamentefrustum dentium (cfr. Isid. orig. 20, 2, 26 e Th. l L. s.v.) e perci riferibile al che caratterizzaYedacitasdi Artotrogo. In definitivail nome costruisceaddosso al personaggioun'attitudine (il 'rodere')e una specializzazionegastronomica,quella che contenuta in Artotrogus e campi Curculionii, entrambi riferibiliallo stesso referente).Metaforaripetutadunque, che nello stesso tempo gioco di variazionesu un nome d'invenzione artistica. Quello della Mostellaria uno dei migliori prologhi mimetici; la scena un alterco vivacissimoeppureveniamo a saperetutto quanto occorre dallo scambio d'insulti tra Grumio e Tranio. Del primo s' gi detto, come Thesprioe Artotrogusl'indispensabilesostegno del prologo dialogico e serve esclusivamensui te a permettereil dialogo chiarificatore punti di avvio della trama:esauritatale funzione, Grumioscomparedi scenaperch non c' pi bisogno di lui, nello stesso modo in cui n Thesprio n Artotrogusavevano pi parte nello spettacolo. Si trattaperci di un personaggio'funzionale',la brevitdella cui partescenica non tuttaviaproporzionaleallacuraposta dal commediografo nel tratteggiarlo(il che vale anche per i suoi simili Thesprio e Artotrogus, efficacissimemacchiette). La felice affinit che fonica dei nomi di Grumio e Tranio, graditaa Shakespeare chiamercos due servi della Bisbeticadomata, veicola invece un'opposizione, perch l'un personaggio il contrario dell'altro, la mascalzonagginedel secondo risaltasull'obbedienzadel primo, come il Vivere alla greca'e il profumarsidi Tranio,servo di citt, il contraltaredella rusticaesistenza e del puzzo di Grumio, servo di campagna.in un articolo, Campi curculionii ovvero il bestiario del parassita, di prossima pubblicazione. A mio parere l'espressione campi curculionii non pu che riferirsi ad Artotrogo, ma questione controversa. Cfr. F. H. Cowles, Comment and Conjecture on Plautus Miles Gloriosus 13, The Classical Weekly 35, 1942, pp. 195-196 e K. A. Rockwell, Plautus, Miles 13; Campis Curculionieis, The Classical Weekly 49, 1956, p. 71.

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Se il nome di Grumio la sua verit scenica, che ruolo ha il nome di Tranioin questo contesto? I pi lo fanno derivarecon Ritschl da , cio l'astuto', l'intelligente'25,il che collima certo col caratteredel personaggio,callidissimoarteficedi molteplici inganni,ma privo di un riscontronel testo, di quelli che ci pare di aver trovato negli altri casi: mancala didascalia,forse si potrebbe dire perch troppo evidente. Esiste tuttaviaun'altra ipotesi, difficiliorma molto pi suggestiva, che senza altre in'banco del conciapelli'e formazioni, collegava Tranioa 'dareuna strigliata','bastonaredi santaragione'26. a si ricava da un verso di Aristofane, quanto 'le tue cuoia sarannostese sul cavalietto'(Eq. 369), a proposito del quale gli scoli spiegano che si trattadi una minaccia di bastonate (perch il trattamentodelle pelli prevedeva la battituracon bastoni affinch diventasseromorbide), il cui significato perci equivale a franto allora, in quanto 'banco del conciapelli' sa27; rebbe colui che destinato al sacrificiodelle bastonate,il cuoio del conciapellie quindi la schienada prenderea botte? Indirizza verso questa etimologia la presenzadi una versione disciolta di tale significatoai vv. 55 ss., dove Tranio apostrofato(e minacciato) come 'setaccio' di carnefici:carnuficium cribrum, quod credo fore, ita te forabunt patibulatum per vias stimulis carnufices si huc reveniat senex.

Carnuficiumcribrummi pare un'allusione, in absentia, al nome, una minaccia-profeziatesa a spiegarloe a metterlo in funzione come provocatore d'immaginie suscitatoredi temi. Se la metafora non esattamente la stessa, l'analogia con , stretta:si trattadi un'azione, per cos dire, capillaree sistematicadi battitura. Nel nome di Traniopotrebbe alloraiscriversiYomendi quella meritata punizione corporale che perseguitail personaggio per tutta la commedia (divenendo creazione linguisticanei fa-

25. Op. cit. p. 331. 26. Tale proposta poggia sull'auctoritas di Schmidt, art. cit. p. 386. 27. Scholia Graeca in Aristophanem^ed. Fr. Dbner, Paris 1877 (Hildesheim 1969), p. 46.

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mosi compostiplagipatidae,... plagigeruliecc.28,anch'essidella sin quasi alle ultime battute, stessa sfera semanticadi ) dove, appenaprimadella richiestad'applauso,il castigo a lungo sfuggito ma sempre minacciosamenteincombente, viene scongiurato. In tutte le scene prologiche che abbiamoesaminatoil nome la proprio presente, senza obbligatoriamente qualificascenica del personaggio e con una sua evidente funzionalitsemantica. anche questa la situazione del Persa, che si apre con un dialogo tra Toxilus,il servo che amator, con una sovrapposizione di ruoli altrove distinti, e Sagaristio,altro servo. Dai 'designatori' dei personaggi vengono delle indicazioni che si immettono nel tessuto comunicativo del testo, servendo da segni veri e propri. Di Sagaristio sappiamo prima di conoscerne il nome che un servo, quando poi l'apprendiamo,questo in normale sintonia con il personaggioe ne indica la provenienza geografica.Da ci forse Schmidtera indotto a credereerroneama mente nome 'etnico' anche quello di Toxilus29, va detto che Plauto non sembra avere l'abitudinedi unificare'etimologicamente' i nomi dei personaggiche compaiono insieme, che anzi il criterio apparequello della diversificazione.La denominazione sulla base della provenienza, buona a tutti gli usi, invece una specie di extremaratio, cui ricorreper i personaggiminori e non per i protagonisti, ai quali si addice un nome fondato sulla a funzione sulla qualitdistintiva.E Toxiluspenso appartenga 'arco', 'colui che scagliafrecce'. Egli si questo tipo: da , presentasulla scena paragonandole sue sofferenze amorose alle imprese di rcole e cita alcune delle sue fatiche: come quello lottavacon il leone, l'idra,il cervo, il cinghiale,gli uccelli Stinfalidi, Anteo, a lui invece tocca lottarecon Amore. I versi in questione, che sono i primi della commedia,presentanoun personaggio che si definisce come un rcole d'altrogenere,il che non sarebbe contraddittorio con il significato di 'arciere'. Anzi possibile che la relazione con rcole s'impongagi nel nome di Toxilus e che tra questo e il confronto iniziale con rcole intecorra un rapporto di necessit. L'arco infatti era attributo essenziale dell'eroe, che persino nell'oltretomba descritto da28. Per l'aspetto quasi 'autoparodico' delle parole di Tranione cfr. G. Ptrone, Teatro antico e inganno: finzioni piatitine, Palermo 1983, pp. 176 ss. 29. Art. cit. p. 211.

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Omero mentro lo imbraccia ( , 607), nell'atdi scagliare frecce ( , teggiamento perpetuo 608). Probabilmente il nome anche un omen del tiro ben assestato che chi lo porta sapr infliggere al lenone e, se cos, lo rivela instaurando un'attesa: riguardo alla freccia che sapr scagliare ovvero al modo in cui sapr tangere il suo rivale. Tiratore dell'arco, Tossilo per un cacciatore ferito: ... saucius factus sum in Veneris proelio: I sagitta Cupido cor meurn transfixit (24 s.). L'immagine appartiene alla stessa sfera semantica del nome e a quel gioco di sviluppi orizzontali, per contiguit, che di solito l'accompagnano. Arco e freccia significano dunque pure che Tossilo un innamorato, dal momento che si tratta delle insegne tradizionali di Eros. Segnalazione importante, in quanto questo personaggio s un amator ma anche un servo e dunque il suo ruolo particolarmente complicato30. infatti sullo stesso registro linguistico del transfigere, il passare da parte a parte proprio della freccia, usato da Tossilo per indicare la sua condizione di vittima di Amore, che il compare gli ricorda l'altra e principale condizione di servo e quindi la possibilit che siano invece le battiture consuete ai servi disubbidienti a ferirlo (vide modo ulmeae catapultae tuom ne transfigant latus, v. 28). Transfigere qui forzato per le esigenze della battuta e per la coincidenza con la sfera semantica cui appartiene il nome di Toxilus. Se allora riguardo al nome/maschera del protagonista la prima scena del Persa ci lascia qualche dubbio sulla sua piena leggibilit, non mi sembra si possa negare come dal nome si generi una serie di battute altrimenti prive di senso. Il procedimento secondo il quale Plauto conia i nomi dei suoi personaggi si rifrange all'interno della commedia nella prassi che viene seguita da chi si trova nella situazione di doversi inventare un nome e allora se ne trova uno corrispondente al suo officium, cio alla parte che sta svolgendo. Questo riflettersi a livello minimale e dentro la trama di quanto accade invece nel laboratorio dell'artista serve come ulteriore conferma dell'obbligatoriet della motivazione dei nomi. Quando alla virgo del Persa, che sta facendo finta d'essere una straniera per ingannare il lenone, questi chiede come si30. Sugli elementi paradossali su cui imperniata la trama cfr. G. Chiarini, La recita. PUuto, la farsa, la festa, Bologna 19832, pp. 21 ss.

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chiama, quella risponde d'aver nome Lucris, 'guadagno', che , secondo il commento di Tossilo, suo compare nella burla, nomen atque omen (Pe. 624): esso in realt collima perfettamente con l'azione che la virgo sta svolgendo, che quella di procurare un guadagno conspicuo ai suoi amici. Nel corso della stessa beffa il solito ignaro lenone chiede all'accompagnatore della virgo, il finto-persiano, il suo nome e quello gli imbastisce una litania di nomi incredibili, una filastrocca di argute invenzioni, ottenute mettendo assieme spezzoni di frasi come fossero nomi composti, che mentre pretende di essere la dichiarazione di complicati appellativi persiani la pi che farsesca descrizione, di gusto quasi infantile, di quanto il finto-persiano sta combinando. Insomma Sagaristio travestito da persiano gabella per nomi esotici lunghi e contorti il racconto di quanto sta facendo, creando improbabilissime denominazioni, che del nome proprio hanno il suffisso e l'esteriore apparenza ma sono, pi che trasparentemente, degli enunciati narrativi. Proprio perch il brano smaccatamente da vaudeville si vede con assoluta chiarezza come il nome proceda dal racconto, anzi come il racconto diventi nome, anche se tutto ci non poi che pretesto al divertimento fonico. Sagaristio sta mentendo? Bene, il primo nome che dichiara Vaniloquidorus. Ha intenzione di afferrare la somma che il lenone credulo gli dar e di involarla? Afferma allora che tra i suoi nomi c' Quodsemelarripides Numquameripides (Pe. 705). Se il senso di tutto ci nel puro ludus verbale, non deve sfuggirci la rispondenza nome/azione, che, proprio perch eccessiva e inverosimile, pi scoperta. Altro scherzo rivelatore del rapporto genetico nome/offiurriy fondato sull'etimologia, per esempio la duplice spiegazione che nello Pseudolus viene data del nome di Harpaxy l'attach del miles che dovrebbe ritirare dal lenone la ragazza. Quando apprende tale nome, Pseudolo ha un moto di ripulsa e non vorrebbe farlo entrare in casa, ne quid feceris (Ps. 654): perch, tenendo fede al suo nome, quello non rubi qualcosa. L'altro gli fornisce allora una spiegazione diversa: porta quel nome perch rapisce i nemici delle loro schiere. Pseudolo non gli crede e borbotta che la ragione deve essere un'altra: il fatto che rubi dalle case i vasi di bronzo. Scambio di battute di repertorio, d'accordo, che per si basano su una duplice possibile interpretazione etimologica e ci interessano in quanto manifestano l'attenzione che Plauto porta alla creazione dei nomi. Il nesso nomen/omen cos radicato nella commedia plautina da

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essere un credo che gli stessi personaggi fanno proprio, persuasi che nella designazione di s e degli altri sia iscritta la traccia dell'azione, cos come l'autore convinto della opportunit di nominare le sue creature teatrali dal destino che hanno sulla scena. A questa funzione del nome come segno volevamo in ultimo arrivare; quando esso vale come programma narrativo, compendio dei tratti distintivi del personaggio e riassunto della sua essenza scenica. La rete dei significati che i nomi impongono attua allora nei testi teatrali una specie di soprasegmentazione e ne fa dei segni privilegiati, al di sopra dell'effimera e transeunte sequenza verbale. Quello dei nomi finisce a volte con l'essere una specie di metalinguaggio. Partecipa a questo effetto il bilinguismo del nome e del testo, il fatto cio che la stragrande maggioranza dei nomi plautini sia formata da nomi greci (presenti meno nel vocabolario reale). Questo conferisce gi un isolamento, un distacco dal resto che li segnala e li mette in mostra. Il linguaggio dei nomi riesce pi facilmente ad essere un codice complesso che regola il gioco teatrale perch gi in una lingua diversa rispetto a quella del testo, lingua in certo senso per adepti (nonostante, s'intende, il greco potesse essere largamente noto) perch era lecito leggervi le intenzioni dell'artista in una sorta di complicit. Il greco era, vorrei dire, la lingua dell'impianto istituzionale della palliata e quindi la lingua della commedia, del genere. Giovandosi di questa appartenenza dei nomi, anche in virt della lingua, ad un piano di comunicazione privilegiato, l'atto di nominazione si traduce in una scansione delle attitudini del personaggio e in una articolazione del tipo che deve incarnare. Chiamare la cortigiana del Truculentus Phronesium, da , 'intelligenza' segnalare la sua qualit scenica, marcare la sua differenza nell'ambito del ruolo delle meretrices, oppure etichettare Vadulescens benevolo del Trinummus Lysiteles (da Tutile') distinguere la sua parte scenica nel contesto della categoria degli amici-aiutanti dell'^m^ior (e in effetti questo ruolo che la trama della commedia gli affida). Se ne possono dare anche esempi cos schematici da risultare addirittura troppo poco elaborati: come la coppia oppositiva Antipho/Calliphoy 'colui che parla contro'/'colui che parla bene'. Il secondo il lepidus senex dello Pseudolus, figura conciliante, che cerca, come dice il nome, di mettere la buona, il primo invece il

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padre delle due sorelle dello Stichus, che 'parla contro' i generi per convincere le figlie a rimaritarsi, un oppositore, un guastafeste, tale e quale lo rivendica il suo nome . Con piccoli mutamenti etimologici Plauto ha dato a due diversi personaggi un nome che l'equivalente della loro 'maschera'. Pi e meglio intravediamo il sistema dei nomi nelle Bacchides, anche perch per questa commedia non grava l'incognita menandreo i del modello, che anzi sappiamo nel personaggi si chiamavano differentemente, tranne il pedagogo Lydus, il cui nome Plauto ha conservato perch s'associava con Indus, 'scuola' (e si tratta di uno che s'atteggia a rigoroso maestro) e perch si prestava a molte figure di suono. Anche a questo proposito non c' dubbio che l'innovazione plautina si sia fatta sentire, perch da quello che in origine era un nome abbastanza incolore 'di provenienza' si traggono una serie di effetti speciali, di ambiguit generate da figure di senso e di suono. Quanto ci sembra interessante riguarda per i due adulescentes, Pistoclerus e Mnesilochus; quest'ultimo sembra essere nome menandreo32 (oltre che gi usato da Aristofane) e dunque in qualche misura 'convenzionale': eppure se Plauto qui ha cambiato rispetto a Menandro, anche se adoperando materiale menandreo, avr avuto dei motivi. E in effetti, se guardati dallo spettro della trama, tali nomi si rivelano oltremisura 'parlanti'. e) 'colui che ha Pistoclerus vale a un dipresso (da e in sorte la lealt', 'il leale', mentre Mnesilochus (da press'a poco 'colui che fa menzione delle insidie'; 'Ri) cordinsidia' traduce Paratore33. Forse la credibilit menandrea dei nomi ha fatto da schermo alla palese 'loquacit' in rapporto alla trama e non ne ha fatto intendere le interne allusioni. Che sono invece manifeste quando si pensi che c' nella commedia che si crede violata e la conseun delicato problema di di un inganno confessato e menzionato. guente complicazione E allora Pistoclerus, 'il leale' tale proprio perch la commedia mette in scena l'equivoco sulla sua lealt di amico, mentre Mnesilochus, 'Ricordinsidia', ha questo nome perch a lui tocca, in31. Per l'analisi di quest'ultimo personaggio cfr. il mio Morale e antimorale. Ricerche sullo Stichus, Palermo 1977, pp. 47 ss. in 32. Cfr. C. Questa, Struttura delle Bacchides (e problemi del ), Parerga phutina. Struttura e tradizione manoscritta delle commedie, Urbino 1985, p. 19 n. 6. 33. Plauto. Tutte le commedie, a cura di E. Paratore, I, Firenze 1976, p. 345.

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seguito al presunto tradimento di Pistoclerus 'fare menzione' delle 'insidie* ordite dal servo e rivelatesi inutili quando egli crede d'aver perduto per la rivalit dell'amico la sua amata. Il complicato inganno nel quale cade Mnesiloco, che credendo Pistoclero colpevole d'avergli sottratto la ragazza denunzia al padre il piano per estorcergli il denaro, compreso e racchiuso nei nomi, da un lato profetici, in quanto prevengono i comportamenti, dall'altro al di fuori, meglio al di sopra delle apparenze, metalinguistici e soprasegmentali. Perch, se da spettatore posso confondermi nei risvolti dell'intreccio, ne sapr di pi rivolgendomi al nome, che mi da per sicuro come Pistoclerusy 'il leale' non possa aver mentito e come debba essere amico fedele, secondo quanto detta il suo nome. Il cui significato viene, come di consueto, indicato tramite la connessione con le parole affini e segnalato con una ridondanza di accostamenti. Ecco come si esprime il pedagogo quando vuoi lamentare i cattivi costumi di Pistoclerus, causati a suo parere dal permissivismo del padre: nuncpropter te tuamque pravus factus est fiduciam/ Pistoclerus (Bacch. 413 s.), dove quasi un effetto ossimorico quel pravus... Pistoclerus (come pu essere pravus chi e l'eccezionale collocazione delle paprende nome dalla ?) role, con l'artefatta contiguit di fiduciam e Pistoclerus nei punti di rilevanza del verso, decodifica il significato del nome. L'idenche da nome al giovane tit semantica tra la fiducia e la viene sottolineata dalla figura di senso, resa possibile dal bilinguismo e dal fatto che quindi l'elemento semantico del nome pu essere tradotto nel corrispondente sostantivo latino. In ordine alla comunicazione teatrale, tramite questo gioco verbale data un'informazione di livello superiore rispetto alle affermazioni che i personaggi fanno: mentre Lido cio sta dicendo che Pistoclerus ha per troppa fiducia tralignato, il pubblico trae invece la convinzione che non possibile che Pistoclerus divenga pravus dall'etimologia esasperata e dall'eccesso con cui segnalato il concetto di / fiducia. La verit indubitabile al di sopra di qualsiasi apparenza quella che viene detta dal nome. Tale veridicit del nome di grande efficacia al momento della comedy of errors tra i due giovani, quando Mnesiloco si lamenta con Pistoclero di essere stato tradito da un amico ma esita a rivelargli che si tratta proprio di lui e a pronunziare il suo nome. Quando infine si decide a dire quel nome a lungo taciuto, differito e rimandato, l'equivoco si mostra tale al pubblico an-

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che se non ne ricordasse le circostanze che l'hanno prodotto, perch non pu essere stato un Pistoclerus a tradire l'amicizia. Video non potesse quin tibi eiius nomen eloquar. I Pistoclere, perdidisti me sodalem funditus (Baccb. 559 s.); il momento della rivelazione ritardata ma anche il punto terminale del gioco d'inganno, che non pu andare oltre, dato che adesso il giovane accusato pu addurre l'argomento che dissiper il sospetto ma, potremmo anche dire, dato che quello stesso nome ha la capacit, come una formula magica, di scongiurare ogni dubbio su chi 10 porta. Il valore semantico del nome balza in definitiva in primo piano, diventa ingrediente essenziale della comunicazione poetica, artificio peraltro sempre usato, e talvolta abusato, (... come non ricordare qualche verso dantesco? Per esempio O padre suo veramente Felice! / oh madre sua veramente Giovanna, / se, interpretata, vai come si dice!). Non tuttavia solo questione di etimologia ma di una vera superiorit che il nome teatrale ha rispetto al resto, dice sempre il vero ed quindi solidale a quegli elementi costruttivi della trama, come il prologo e l'agnizione finale, che fuori da ogni incertezza sono destinati alla chiarezza della comunicazione e fanno parte della composizione dell'intreccio. Elemento d'intelaiatura, parte del sistema dell'intrigo, il nome l'invenzione a partire dalla quale ha luogo 11 personaggio. Questa tecnica che affida al nome il preannuncio dell'azione ha particolare valore e significato in una cultura che possiede gli omina e dunque crede nella potenza inerente alle parole impiegate e nella capacit persistente che il nome ha di modificare l'avvenire. Vomen era il presagio fornito dal linguaggio che dava forma al futuro; il nome di un individuo costituiva un omen duraturo, dall'efficacia intrinseca, che era importante scegliere bene34. L'uso teatrale si radicava quindi in una realt culturale che conferiva all'antroponimo ben altra risonanza che quella un po' fredda e artificiosa che noi possiamo sentirvi. Considerazioni della stessa natura possono farsi riguardo a Mnesilochus, che ben due volte mette in funzione il suo nome:34. Cfr. A. Bouch-Leclercq, Histoire de la divination dans l'antiquit, IV, Paris 1882 (Darmstadt 1978), pp. 135 ss. Che l'uso plautino dei nomi s'intenda appieno proprio se lo si collega alla cultura degli omina mi pare indubitabile. Per esempio il caso della Lucris del Persa ha un qualche corrispettivo nella pratica reale: quando i censori davano in affitto il demanio pubblico, cominciavano con l'aggiudicare il lago Lucrino 'per il felice presagio (lucrum)' (Paul. Fest. p. 121 L. s.v. Lacus).

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quando espone il raggiroal padrerestituendoglii denarie quando per volont di Crisalo scrive al padre la lettera la cui forza d'ingannosta nel rivelarel'inganno,ovvero nel mettereil padre in guardiadai tiri mancini dello schiavo. A questa valenza del nome il testo non manca di far riferimento con una figura etymologica, come ...ecquidnam meminit Mnesilochi (Bacch. come omnia rescivisceleraex Mne206), con una 'didascalia', silochotua (Bacch.782) (dove resciviscelera allusioneetimologica a Mnesilochus).Per gli altripersonaggidella commediavale, ovvio, la stessa regola (Bacchides/ Bacchae, Chrysalus/ ecc). Un ultimo codicillo soltanto credo che si debba aggiungere, riguardoalla presenza misconosciutadi battute che hanno origine dal nome. Appannatasiper noi la trasparenzadi questo, in gran parte ne per la sua intraducibilit, abbiamoperso per stradanon soltanto, che pi importante,la funzionalitinterna,ma anche, ed il meno, il fulmineo manifestarsidel significatoin qualche motto di spirito. E non parlo degli strascichisonori che un nome proprio porta con s e lo fanno variamenterisuonaresulla base di accostamentifono-semantici,ma di battuteincomprensibili se non si tiene conto dell'etimologia. che, Valgaper tutti un esempio dallo Stichusy per quantevolte io abbia letto la commedia, scorgo solo adesso. Quando la servetta va a chiamareGelasimo, il parassita,dicendogli che la sua padronavuole vederlo, fa il nome di lei, sinoranon pronunziato nella commedia che fin qui la designavacome soror,e questo Panegyris, parola greca che significa 'festa grande', 'solennit festiva'. Gelasimo rispondechiedendo se sono cotte le interiora e quanti agnelli sono stati sacrificati(St. 247 ss.). Non avevo visto in questi versi altro che un generico sussulto della macchietta del parassita,che, vistosi invitato, presume che la causa ne sia un banchetto, mentre si trattadi una battutache si fonda sulla 'spiegazione'del nome. Infatti, la 'festa' si celebravacon il sacrificio,da qui la pretesadi Gelasimoalle interiora e agli agnelli perfettamentelogica: visto che 'Festa'a chiaun marlo, deve essercistato necessariamente sacrificio,quindi ci sarannointerioraed agnellida mangiare.La mancatainterpretazione 'etimologica' del nome lascia nel vago quanto invece al suo posto (perchmai altrimentiun invito a casadovrebbeevocare per il parassitaexta ed agni, che non sono cibi normalin oggetto in particolaredel vagheggiamentodei parassiti,se non

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perch si tratta della gastronomia' conseguente al sacrificio?). Qui viene meno a non considerareil nome la piena intelligenza del testo. L'operazionecompiuta da Senecasui nomi di segno uguale e contrario e si pu definire come una riattivazionedel significante. Per dare al suo pensiero forza di penetrazione, l'autore concentranei nomi inattese energie e nuove risorse, scopre nei suoni, che egli non inventa ma trova gi nel patrimonio della tradizione, un senso arcanoche dissotterracome un tesoro nascosto, quasi che per primo scovasse un significato ignoto agli altri e celato all'intelligenzacomune ma tuttaviailluminantee prodigiosamenteveritiero. In praticaSeneca adattail suono al senso e rifrangesul nome le sue intenzioni, accentuandonevalori laterali servendosi di artificilinguistici e sintattici. Il che era gi avvenuto nella commedia (e certo pure nella tragediaarcaica),dove spessissimoil senso tenevadietro al suono in serie omofoniche iniziate dal nome, del tipo Crisalo/Crucisalo, procedimentotanto abitualeda essereoggetto di possibile imitazione e da fare scuola nell'ambito della prassi teatrale. Tuttavianella commediaquesto generedi forzaturedel linguaggio s'affiancavae non si sostituiva al gioco etimologico, che precedevae sovrastavala scritturadel testo, e ne erauna variante; i nomi venivano inventatia partiredal significato,era il senso a determinareil significante,l'idea a farsi nome, il concetto a incarnarsinel personaggio,la menzogna a divenirePseudolus l'oro a farsi Chrysalus, anche se poi in senso contrario, una volta creato, questo significante,fluido e instabile,poteva dirigersi dove il poeta volesse, corrisponderead un altro significato, come Chrysalusal momento del timore del castigo diventava Crucisalus.Mentre la commedia percorrea doppio senso l'itinerariotra il senso e il suono, nella tragediala direzione di marcia obbligatoriaed il suono a creareil senso35.Come accade in Senecatragicoper l'antroponimoMedea, secondo quanto ha dimostrato A. Traina36,che viene associato a mater, malum,35. La prevalenza degli elementi fonici nella commedia latina non qui naturalmente in discussione (superfluo specificare che quanto da noi osservato strettamente da riferire al nome proprio e al suo duplice rapporto con il suono e con l'etimologia). Sono ben note le finissime pagine sull'argomento di A. Traina in Forma e suono, Roma 1977 (cf. anche Epilegomeni a Forma e suono, MD, 9 1982, pp. 9-29. 36. Due note a Seneca tragico, Maia, 31, 1979, pp. 273-276, ora in Poeti latini (e neolatini), II, Bologna 1981, pp. 123 ss.

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monstrum per suggerire un rapporto di opposizione (Medea/ mater sottolinea la negazione della maternit, centro focale della tragedia) identificazione (Medea un malum e un monstrum). A mettere in rilievo l'antroponimo il poeta si serve di procedimenti stilistici: la collocazione e Pallitterazione. Il nome di Medea, sinora privo di senso, acquista cos una sinistra risonanza e si riempie di un significato che sembra iscritto nell'insieme di suoni che lo compongono. Un verso come maiusque mari Medea malum (Med. 362) porta all'estremo l'artificio. Il legame omofonico che Seneca stabilisce tra l'antroponimo Medea e parole come maius e malum tale che funziona addirittura in absentia e si ripropone ad evocare la selvaggia eroina anche quando a designarla una perifrasi: in Phaed. 697 a proposito di Fedra Ippolito dice che ella peggiore di Medea, Colchide noverca maius haec, maius malum est. Qui Medea indicata come la matrigna della Colchide ma, nonostante la perifrasi, il riferirsi a lei implica ugualmente, anche in assenza dell'antroponimo, la serie allitterante maius... maius malum, che ormai come una concrezione formatasi a ridosso del significante Medea e ormai inalienabile. Il procedimento confermato da casi analoghi, se non per la riuscita, per il tentativo di sottolineatura dell'antroponimo. In Tro. 250 ss. il nome di Pyrrhus, il sanguinario e iroso figlio di Achille, messo in evidenza dal duplice concorso di un accostamento 'etimologico' e di una clausola allitterante: Iuvenile vitium est regere non posse impetum; I aetatis alios fervor loie primus rapit, Pyrrhum paternus..., dove da un lato la serie fervor... Pyrrhum crea un'analogia significante {Pyrrhus caratterizzato dal fervor che ne l'elemento essenziale) dall'altro la serie Pyrrhum paternus segnala con l'omofonia allitterante il rapporto padre/figlio sulla base dell'ira (Pirro, come suo padre, impetuoso e arrogante). In Ag. 637 la sequenza parens Pyrrhus Ulixi invece di tipo oppositivo (Pyrrhus, la negazione dell'ubbidienza e il prototipo del guerriero d'assalto questa volta parens, asservito al volere di Ulisse), come pure in Tro. 1154, novumque monstrum est Pyrrhus ad caedem piger, l'allitterazione e la collocazione di Pyrrhus/piger sottolineano l'inconciliabilit tra il personaggio e l'indugio, visto che Pirro sinonimo d'audacia sfrenata e di furia d'uccidere. L'enfatizzazione senecana dell'antroponimo sottintende tuttavia la riflessione che la lunga tradizione tragico-letteraria ave-

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va rivolto ai nomi mitici: se questi sin dall'inizio comprendevano in s il racconto ad essi relativo, adesso, in questa seriore esperienza, che torna a farli riascoltare dopo secoli di uso e abuso, non possono che assumere il senso di una antonomasia, sono ormai tra virgolette ed indissolubilmente legati a quella propriet qualit azione che li fondava come personaggi: Medea Pirro non sono pi tanto nomi quanto rappresentazioni della della furia guerresca, sono irrefrenabile natura femminile 'una* Medea, 'un' Pirro, non pi solo antroponimi quanto simboli meglio tropi, figure. Questa virgolettatura del nome, ovvero tale valore antonomastico risulta assai spesso dall'esasperazione retorica con cui il personaggio usa il suo nome per affermare prepotentemente la qualit che lo distingue. La vecchia abitudine tragica, secondo la quale la persona chiamava s stessa per nome, assume cos una nuova sfumatura. Per esempio in Tro. 307 s. ... maiorem (seti victimam) dabo I dignamque quam det Pyrrhus..., in cui lo stesso Pirro a designarsi per nome, piuttosto che con 'io', l'antroponimo ha l'evidente significato di 'un Pirro', cio un guerriero che ama spargere il sangue. ancora cos nella replica con cui gli risponde Agamennone: ...Haud equidem nego I hoc esse Pyrrhi maximum in bello decus (Tro. 310 s.), dove il mancato uso del possessivo di seconda persona e la forzosa ripetizione del nome serve ad insistere sullo stesso rapporto antonomastico tra Pirro e il desiderio di sangue. Ancora enfatizzazione in Tro. 338, dove Pirro continua a chiamarsi per nome: (... Pyrrhus exsolvit iugof). A ribadire il complesso di virt che gli proprio il personaggio usa per s il nome, in quanto il semplice profferirlo diffonde come un'eco, basta ad additare le qualit che gli appartengono. Cos all'inizio del Tieste la Furia riassomma le sue nefande richieste nel nome di Tantalo: ...et impie Tantalo totam

domum (Thy. 53).

Questo di Seneca si dimostra come un impiego non primario ma secondario del nome proprio, secondario alla conoscenza ormai radicata che i destinatari hanno del complesso di propriet che caratterizzano i personaggi e alla loro 'competenza', per la quale il nome mitico era divenuto paradigma semantico. Potrebbero segnalarsene molti casi ma preferisco limitarmi ad uno solo, nel quale un segnale sintattico indica che si appunto molto vicini all'antonomasia. In Tro. 613 s. Ulisse, rivolgendosi a s stesso e richiamando le proprie doti di astuzia ed intelligenza

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ingannatricesi dice: nunc advoca astus, anime, nunc fraudes, dolos, I nunc totum Ulixen ..., invocando, per cos dire, la pienezza del suo essere; totus significa infatti l'interezza, il pieno il possesso delle sue note qualit. Ora qui semanticamente nome di Ulisse presentail contenuto concettualedi 'uomo astuto', 'abile artefice d'inganni', di conseguenza, ed per questo che l'esempio mi pareprobante,pu essereprecedutodall'aggettivo totus, quasi come se Ulisse fosse un nome comune: 'un' Ulisse tutto intero. In conclusione si pu ribadire'il passaggioche Senecafa subire all'antroponimo dal tipo denotativo a quello connotativo'37;il nome proprio, di per s privo di significato,ne ha ormai in Senecaacquistatodefinitivamenteuno, quello che le vicende solidali al personaggiogli hanno attribuito.Ha facilitatoquesto passaggiola molteplicitdelle occorrenzeteatralie letterariedel nome mitico. Forse un trattamentoparticolareSeneca riserva al nome di Edipo, cui gi in antico si legava una spiegazione etimologica, poich portava con s il contrassegnodel personage ), i 'piedi gonfi' (da che erano il marchio del gio: suo destino di bambinoesposto dai genitorisul monte perchvi morisse (Sopb. Oed. Tyr. 1032 ss.). I piedi gonfi erano nome e omen di Edipo gi nella tragediagreca,il segno di quella particolaritche era anchela sua maledizione38. Senecanaturalmente non ignora questo significato, che anzi mette in notevole evidenza, facendo dei piedi di Edipo un elemento del 'riconoscimento', come si evince dalle seguentibattutetra Edipo e il senex che gli rivelad'averloricevuto bambinoda un pastore sul Citerone:Oed. Nunc adice certas corporis nostri notas Seri. Forata ferro gesseras vestigia, tumore nactus nomen ac vitio pedum {Oed. 811 ss.).

Da quest'etimologia Seneca ricavadegli effetti. Valga a dimostrarlo Oed. 1003... vultus Oedipodamhic decet, dove non mi sembradubbio che la scelta e la collocazione delle parole e l'uso37. Art. cit. p. 126. 38. Cfr. J. P. Vernant, Ambiguit e rovesciamento. Sulla struttura enigmatica delVEdipo re, in Vernant e Vidal-Naquet, Mito e tragedia nelV antica Grecia^trad. it., Torino 1976, pp. 100 s.

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patetico del nome proprio ( lo stesso Edipo a parlare) sortiscano grande efficacia e multipla risonanza, mettendo in luce un nesso sinora impensato, quello occhi cavati/piedi forati: a chi si chiama 'l'uomo dai piedi gonfi', gonfi perch, come spiegavano i versi precedentemente citati, le piante dei piedi erano state forata ferro, s'addice vultus hic, cio l'avere le orbite vuote. La cecit di Edipo con questa felice 'acutezza' stilistica diventa l'aspetto complementare e necessario dei suoi piedi gonfi, il ripetersi di quelle stigmate di uomo respinto dalla comunit che egli gi portava. Le parti estreme del corpo, volto/piedi, s'incontrano nell'offrire il segno dell'uomo maledetto, quel segno che era iscritto nel suo nome. Accanto a questi giochi sul nome proprio che testimoniano l'attenzione che, coerentemente a una consolidata prassi poetica latina, anche Seneca continua a portarvi, penso debba essere notata la presenza di un lessico privilegiato e sostitutivo dei nomi propri. Avevamo visto come in Plauto, in sostituzione del nome proprio, potesse esservi il lessico delle 'maschere' teatrali, parallelo e pi chiaro, e dove occorresse i personaggi venissero indicati come senex, adulescens, amica, ecc. Ora anche in Seneca esiste una maniera alternativa rispetto al nome proprio di designare il personaggio, solo che questa seconda effettivamente una maniera preferita. A differenza di Plauto, che adopera il 'lessico d'intelaiatura' solo per le primarie esigenze comunicative ma si diverte nell'invenzione e nell'uso acrobatico del nome proprio, Seneca, che pure come s' visto ne sa sfruttare le implicazioni semantiche, anzi sa creare significato anche dove non ce n', preferisce ai nomi propri un altro lessico, che quello, come notavo altrove39, della parentela. Al posto del nome proprio vi cos assai spesso la perifrasi che indica il rapporto di parentela: Teseo 'il padre d'Ippolito', Fedra la noverca d'Ippolito, come Giunone la noverca di rcole e cos via in una vera ossessione di linguaggio, secondo una ricerca a volte forzata dei nessi, che ci avvicina al centro ideologico del teatro senecano. Basti pensare alla celebre scena della confessione d'amore di Fedra ad Ippolito, tutta giocata sui termini di parentela, laddove Fedra, la noverca, rifiuta l'appellativo di mater, con cui la chiamava Ippolito, e gli sostituisce quello di soror, oppure a versi come Ag. 979 s. ...nata genetricem impie I probris lacessit, occu39.

Palermo1984,pp. Ili ss.

Cfr. La scrittura tragica delVirrazionale. Note di lettura al teatro di Seneca^

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litfratrem abditum, dove nata sta per Elettra, genetrix per Clitennestra, f rater per Oreste (ovviamente non a caso ma per centrare il conflitto che si creato attorno a Clitennestra). Vengono ancora in mente tutte le complicazioni della parentela che si sono compiute nella casa di Edipo e l'eccesso minuzioso della descrizione che Seneca ne fa40. Mentre il lessico che Plauto sostituiva ai nomi propri era semplice obbedienza alla logica teatrale, il lessico di designazione basato sulla parentela che Seneca usa invece molto diversamente il frutto di una scelta, di una 'ideologia' del dramma, anche se, paradossalmente, finisce con l'essere anche un lessico d'intelaiatura. Perch mettendo a nudo i legami dei personaggi, nei quali consiste la ragione profonda della tragedia, evidenzia la struttura interna della trama. In che cosa consiste infatti l'essenziale della Phaedra? Nel fatto che la donna che 'matrigna' d'Ippolito e dovrebbe essergli mater lo vuole invece come amante. E la tragedia di Edipo? Nell'essere contemporaneamente marito e figlio, padre e fratello41. L'indicazione della parentela, al posto del nome proprio, assicura allora un ascolto guidato delle tragedie, orienta il racconto drammatico e lo fa funzionare nel senso voluto dall'autore. Il vero erede della convenzione comica del nome parlante Petronio, che usa nomi 'motivati', intessendo con essi una fitta trama di allusioni, una catena di rinvii che si inseriscono nella narrazione: egli da al nome la direzione del senso del racconto42. Con risultati di molta raffinatezza, che comportano40. In un articolo ricco di spunti, in cui riprende le proposte di Traina per estenderle al teatro senecano, Ch. Segai (Nomen sacrum: Medea and other names in senecan tragedy, Maia 34, 3, 1982, pp. 241-246) nota come un certo numero di passi senecani utilizzino il nome che indica la parentelae ne sottolineino la sacralit. Mi conforta come le osservazioni di Segai confermino quanto gi notavo in La scrit. t.. Anche a proposito del nome di Edipo va detto come Segai s'accorga delPesplicitazione da parte di Seneca della connessione etimologica con (cfr. p. 244 e 244 n. 9). 41. Cfr. M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma: a proposito dell'Oedipus di Seneca, Dioniso 54, 1983, pp. 137-153. 42. L'onomastica petroniana da tempo oggetto d'attenzione. Da consultare per un'informazione generale:J. Gonzales de Salas,De Satina PersonarumNominibus, in P. Burman, Titi Petronii Arbitri quae supersunt Amsterdam 17432 (Hildesheim 1974) II, pp. 79-85; F. Buecheler, Sittenzge der rmischen Kaiserzeit, Neues Schweiz. Mus. 3, 1863, pp. 14-31, ripubblicato in Kleine Schriften, I, Leipzig 1915,

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per noi difficolt a decodificareappieno, poich nel repertorio si insediatal'allusionemitica e letteraria,con le sue sottigliezze, i velati riferimenti,le segretecorrispondenze. questione di ars, dove entrano in gioco la dimensioneletterariadi una scrittura e la capacitdi una letturain filigranache un autore dotto presuppone nel suo pubblico43. Un nome mitico assume Encolpio44quando decide di farsi chiamarePolieno, appellativocon cui le Sirenein Omero si rivolgevano ad Ulisse, nome che omeri dell'incontro amoroso con Circe, inevitabile perch, secondo l'osservazione di Circe stessa, inter haec nomina magna fax surgit (Sat. 127), e vale Simili giustificazionidel dunque come meccanismonarrativo45. nome, commenti sulla sua invenzione fatti all'interno della finzione romanzesca finiscono con il mettere allo scoperto il procedimentodell'autore(lo notavamogi per Plauto). Un'attitudine frequenteporta cos i personaggidel Satyriconad identificarsicon un qualcheeroe mitico e dunque ad un'allusivaantonomasia: quando Gitone raccontadel tentativo di violenza da parte di Ascilto ne riferiscela minacciasi Lucretiaes... Tarquinium invenisti {Sat. 9), che rinvia ai paradigmidella difesa del pudore (Lucrezia) e dello stupro (Tarquinio),oppure quando Encolpio confessa la sua impotenza, si paragonaper il passato quondamAchilles eram {Sat. 129). In questi casi l'autorepresta ai personaggiquel tipo di riflessioneche di solito generail nome allusivo. Persino il triviale padrone di casa della Cena adotta finezze di nominazione quando intende porgersi agli ospiti come philologus e denomina Carpusil servo che deve tagliarela carne, s da imbastire il gioco di parole Carpe, Carpe, con ilpp. 423-39 (ma sui nomi petroniani vd. p. 437 n. 6); S. Priuli, Ascyltus. Note di onomastica petroniana, Bruxelles 1975. 43. Bene ha mostrato le implicazioni di un nome mitico, usato in chiave di 'profezia* parodistica, A. Barchiesi, // nome di Lica e la poetica dei nomi in Petronio, MD 12, 1984, pp. 169-175. Nel nome di Lica compresa un'allusione al personaggio mitico che porta la veste fatale di Nesso ad Eracle e ne viene scagliato in mare, cos come il Lica petroniano, anch'egli portatore di una sacravestis, perisce in mare in seguito al naufragio. 44. Sul significato di Encolpios cfr. E. Paratore, // Satyricon di Petronio, II, Firenze 1933, p. 27, n. 2 e V. Ciaffi, Struttura del Satyricon, Torino 1955, p. 131. 45. Per la trama odissiaca e la 'rappresentativit'allusiva dei nomi vd. A. Cameron, Myth and Meaning in Petronius: some modern compansons, Latomus 29, 1970, pp. 397-425.

ad un Achille del sesso, .... funerata est Ma pars corporisyqua

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quale nello stesso tempo chiamail servo e gli da l'ordine di fare le porzioni46.Di un nome mitico allusivamentemotivato Trimalchione dota poi il cuoco, che , pour cause,Daedalus: ...et ideo ingenio meo impositum est UHnomen bellissimum;nam Daedalus vocatur(Cena 70)47.Dedalo non solo grazieallavirt 'architettonica'che, come il mitico costruttore del labirinto, l'arteficedi quei prodigi culinariche sono le portate della Cena ha dimostrato, ma anche perch, come quello avevacreato una realtillusoriae inestricabile,questi modificaa suo piacimentoi cibi rendendoneirriconoscibilela natura.Trimalchioneda dunque egli stesso spiegazionedei nomi presceltie allo stesso modo Petronio glossa quelli di alcunidei suoi personaggi.Come accade per Fortunata^ quae nummos modio metitur (Cena 37), secondo il commento di Ermerote,che esplicitazionedel nome, dal momento che Fortunata colei che possiede innumerevoli fortunae. Succedeanche per personaggisecondari,come Chryil santuSy morto di cui parl