News of the_world_18_03_12

22
News of the World di notwnadmin - 18 marzo 2012 La bomba iraniana 18/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com) Nel numero di gennaio-febbraio della rivista Foreign Affairs un articolo di Matthew Kroenig intitolato «È il momento di attaccare l'Iran» spiega perché un attacco è l'opzione meno peggiore. Sui media si fa un gran parlare di un possibile attacco israeliano contro l'Iran, mentre gli Stati uniti traccheggiano tenendo aperta l'opzione dell'aggressione, ciò che configura la sistematica violazione della carta delle Nazioni unite, fondamento del diritto internazionale. Mano a mano che aumentano le tensioni, nell'aria aleggiano i fremiti delle guerre in Afghanistan e Iraq. La febbrile retorica della campagna per le primarie negli Stati uniti rinforza il suono dei tamburi di guerra. Si suole attribuire alla «comunità internazionale» - nome in codice per definire gli alleati degli Stati uniti - le preoccupazioni per l'imminente minaccia iraniana. I popoli del mondo, però, tendono a vedere le cose in modo diverso. I paesi non-allineati, un movimento che raggruppa 120 nazioni, hanno vigorosamente appoggiato il diritto dell'Iran di arricchire l'uranio, opinione condivisa dalla maggioranza della popolazione degli Stati uniti (sondaggio WorlPublicOpinion.org) prima dell'asfissiante offensiva propagandistica lanciata da due anni. Cina e Russia si oppongono alla politica Usa rispetto all'Iran, come pure l'India, che ha annunciato che non rispetterà le sanzioni statunitensi e aumentà il volume dei suoi commerci con l'Iran. Idem la Turchia. Le popolazioni europee vedono Israele come la maggior minaccia alla pace mondiale. Nel mondo arabo, a nessuno piace troppo l'Iran però solo una minoranza molto ridotta lo considera una minaccia. Al contrario, si pensa che siano Israele e Stati uniti le minacce principali. La maggioranza si dice convinta che la regione sarebbe più sicura se l'Iran si dotasse di armi nucleari. In Egitto, alla vigilia della primavera araba, il 90% compartiva questa opinione, secondo i sondaggi della Brookings Institution e di Zogby International. I commentatori occidentali parlano molto del fatto che i dittatori arabi appoggiano la posizione Usa sull'Iran, mentre tacciono il fatto che la gran maggioranza della popolazione araba è contaria. Negli Stati uniti alcuni osservatori hanno espresso anche, da un bel po' di tempo, le loro preoccupazioni per l'arsenale nucleare israeliano. Il generale Lee Butler, ex-capo del comando strategico Usa, ha affermato che l'armamento nucleare israeliano è straordinariamente pericoloso. In una pubblicazione dell'esercito Usa, il tenente colonnello Warner Farr ha ricordato che «un obiettivo delle armi nucleari israeliane, che non si usa precisare ma che è ovvio, è "impiegarle" negli Stati uniti», presumibilmente per garantire un appoggio continuo di Washington alle politiche di Israele. Una preoccupazione immediata, in questo momento, è che Israele cerchi di provocare qualche reazione iraniana, che a sua volta provochi un attacco Usa. Uno dei principali analisti strategici israeliani, Zeev Maoz, in «Difesa della Terra santa», un'analisi esaustiva della politica di sicurezza ed estera israeliana, arriva alla conclusione che il saldo della politica nucleare di Israele è decisamente negativo e dannoso per la sicurezza dello Stato ebraico. E incita Israele a cercare di arrivare a un trattato regionale di proscrizione delle armi di distruzione di massa e a creare una zona libera da tali armi, come chiedeva già nel 1974 una risoluzione dell'Assemblea generale dell'Onu. Intanto le sanzioni occidentali contro l'Iran fanno già sentire i loro effetti soliti, causando penuria di alimenti basici non per il clero governante ma per la popolazione. Non può meravigliare che anche la valorosa opposizione iraniana condanni le sanzioni. Le sanzioni contro l'Iran potrebbero avere gli stessi effetti di quella precedenti contro l'Iraq, condannate come genocide dai rispettabili diplomatici dell'Onu che pure le amministravano, e che alla fine si dimisero come segno di protesta. In Iraq le sanzioni hanno devastato la popolazione e rafforzato Saddam Hussein, a cui probabilmente hanno evitato, almeno all'inizio, la sorte toccata alla sfilza degli altri tiranni appoggiati da Usa e Gb, dittatori che hanno prosperato praticamente fino al giorno in cui varie rivolte interne li hanno rovesciati. Esiste un dibattito poco credibile su ciò che costituisca esattamente la minaccia iraniana, per quanto abbiamo una risposta autorizzata, fornita dalle forze armate e dai servizi segreti Usa. I loro rapporti e audizioni davanti al Congresso hanno lasciato ben chiaro che l'Iran non costituisce nessuna minaccia militare: ha una capacità molto limitata di dispiegare le sue forze e la sua dottrin a strategica è difensiva, destinata a dissuadere un'invasione per il tempo necessario alla diplomazia per entrare in campo. Se l'Iran sta sviluppando armi nucleari (ciò che ancora non è provato), questo sarebbe parte della sua strategia di dissuasione. Il concetto dei più seri fra gli analisti israeliani e statunitensi è stato espresso con chiarezza da Bruce Riedel, un veterano con 30 anni di Cia sulle spalle, che nel gennaio scorso ha dichiarato che se lui fosse un consigliere per la sicurezza nazionale iraniano auspicherebbe certamente di avere armi nucleari come fattore di dissuasione. Un'altra accusa dell'Occidente contro l'Iran è che la Repubblica islamica sta cercando di ampliare la sua influenza nei paesi vicini, attaccati e occupati da Stati uniti e Gran Bretagna, e che appoggia la resistenza all'aggressione israeliana in Libano e all'occupazione illegale dei territori palestinesi, sostenute dagli Usa. Al pari della sua strategia di dissuasione contro possibili atti di violenza da parte di paesi occidentali, si dice che le azioni dell'Iran costituiscono minacce intollerabili per l'ordine globale. L'opinione pubblica concorda con Maoz. L'appoggio all'idea di stabilire una zona libera dalle armi di distruzione di massa in Medio Oriente è schiacciante. Questa zona dovrebbe comprendere Pagina 1 di 22

description

 

Transcript of News of the_world_18_03_12

Page 1: News of the_world_18_03_12

News of the Worlddi notwnadmin - 18 marzo 2012

La bomba iraniana

18/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Nel numero di gennaio-febbraio della rivista ForeignAffairs un articolo di Matthew Kroenig intitolato «È ilmomento di attaccare l'Iran» spiega perché unattacco è l'opzione meno peggiore. Sui media si faun gran parlare di un possibile attacco israelianocontro l'Iran, mentre gli Stati uniti traccheggianotenendo aperta l'opzione dell'aggressione, ciò checonfigura la sistematica violazione della carta delleNazioni unite, fondamento del diritto internazionale.Mano a mano che aumentano le tensioni, nell'ariaaleggiano i fremiti delle guerre in Afghanistan e Iraq.La febbrile retorica della campagna per le primarienegli Stati uniti rinforza il suono dei tamburi diguerra. Si suole attribuire alla «comunitàinternazionale» - nome in codice per definire glialleati degli Stati uniti - le preoccupazioni perl'imminente minaccia iraniana. I popoli del mondo,però, tendono a vedere le cose in modo diverso. Ipaesi non-allineati, un movimento che raggruppa120 nazioni, hanno vigorosamente appoggiato ildiritto dell'Iran di arricchire l'uranio, opinionecondivisa dalla maggioranza della popolazione degliStati uniti (sondaggio WorlPublicOpinion.org) primadell'asfissiante offensiva propagandistica lanciata dadue anni. Cina e Russia si oppongono alla politicaUsa rispetto all'Iran, come pure l'India, che haannunciato che non rispetterà le sanzionistatunitensi e aumentà il volume dei suoi commercicon l'Iran. Idem la Turchia. Le popolazioni europeevedono Israele come la maggior minaccia alla pacemondiale. Nel mondo arabo, a nessuno piace troppol'Iran però solo una minoranza molto ridotta loconsidera una minaccia. Al contrario, si pensa chesiano Israele e Stati uniti le minacce principali. Lamaggioranza si dice convinta che la regione sarebbepiù sicura se l'Iran si dotasse di armi nucleari. InEgitto, alla vigilia della primavera araba, il 90%compartiva questa opinione, secondo i sondaggidella Brookings Institution e di Zogby International. Icommentatori occidentali parlano molto del fattoche i dittatori arabi appoggiano la posizione Usasull'Iran, mentre tacciono il fatto che la granmaggioranza della popolazione araba è contaria.Negli Stati uniti alcuni osservatori hanno espressoanche, da un bel po' di tempo, le loro preoccupazioniper l'arsenale nucleare israeliano. Il generale LeeButler, ex-capo del comando strategico Usa, haaffermato che l'armamento nucleare israeliano èstraordinariamente pericoloso. In una pubblicazionedell'esercito Usa, il tenente colonnello Warner Farrha ricordato che «un obiettivo delle armi nucleariisraeliane, che non si usa precisare ma che è ovvio,è "impiegarle" negli Stati uniti», presumibilmenteper garantire un appoggio continuo di Washingtonalle politiche di Israele. Una preoccupazioneimmediata, in questo momento, è che Israele cerchidi provocare qualche reazione iraniana, che a sua

volta provochi un attacco Usa. Uno dei principalianalisti strategici israeliani, Zeev Maoz, in «Difesadella Terra santa», un'analisi esaustiva della politicadi sicurezza ed estera israeliana, arriva allaconclusione che il saldo della politica nucleare diIsraele è decisamente negativo e dannoso per lasicurezza dello Stato ebraico. E incita Israele acercare di arrivare a un trattato regionale diproscrizione delle armi di distruzione di massa e acreare una zona libera da tali armi, come chiedevagià nel 1974 una risoluzione dell'Assembleagenerale dell'Onu. Intanto le sanzioni occidentalicontro l'Iran fanno già sentire i loro effetti soliti,causando penuria di alimenti basici non per il clerogovernante ma per la popolazione. Non puòmeravigliare che anche la valorosa opposizioneiraniana condanni le sanzioni. Le sanzioni control'Iran potrebbero avere gli stessi effetti di quellaprecedenti contro l'Iraq, condannate come genocidedai rispettabili diplomatici dell'Onu che pure leamministravano, e che alla fine si dimisero comesegno di protesta. In Iraq le sanzioni hannodevastato la popolazione e rafforzato SaddamHussein, a cui probabilmente hanno evitato, almenoall'inizio, la sorte toccata alla sfilza degli altri tiranniappoggiati da Usa e Gb, dittatori che hannoprosperato praticamente fino al giorno in cui varierivolte interne li hanno rovesciati. Esiste un dibattitopoco credibile su ciò che costituisca esattamente laminaccia iraniana, per quanto abbiamo una rispostaautorizzata, fornita dalle forze armate e dai servizisegreti Usa. I loro rapporti e audizioni davanti alCongresso hanno lasciato ben chiaro che l'Iran noncostituisce nessuna minaccia militare: ha unacapacità molto limitata di dispiegare le sue forze e lasua dottrin a strategica è difensiva, destinata adissuadere un'invasione per il tempo necessario alladiplomazia per entrare in campo. Se l'Iran stasviluppando armi nucleari (ciò che ancora non èprovato), questo sarebbe parte della sua strategia didissuasione. Il concetto dei più seri fra gli analistiisraeliani e statunitensi è stato espresso conchiarezza da Bruce Riedel, un veterano con 30 annidi Cia sulle spalle, che nel gennaio scorso hadichiarato che se lui fosse un consigliere per lasicurezza nazionale iraniano auspicherebbecertamente di avere armi nucleari come fattore didissuasione. Un'altra accusa dell'Occidente control'Iran è che la Repubblica islamica sta cercando diampliare la sua influenza nei paesi vicini, attaccati eoccupati da Stati uniti e Gran Bretagna, e cheappoggia la resistenza all'aggressione israeliana inLibano e all'occupazione illegale dei territoripalestinesi, sostenute dagli Usa. Al pari della suastrategia di dissuasione contro possibili atti diviolenza da parte di paesi occidentali, si dice che leazioni dell'Iran costituiscono minacce intollerabili perl'ordine globale. L'opinione pubblica concorda conMaoz. L'appoggio all'idea di stabilire una zona liberadalle armi di distruzione di massa in Medio Oriente èschiacciante. Questa zona dovrebbe comprendere

Pagina 1 di 22

Page 2: News of the_world_18_03_12

Iran, Israele e, preferibilmente, le altre due potenzenucleari che si sono rifiutate di entrare nel Trattato dinon proliferazione nucleare (Tnp) - Pakistan e India -paesi che, come Israele, hanno sviluppato i loroprogrammi atomici con l'aiuto Usa. L'appoggio aquesta politica nella conferenza sulla revisione delTnp, nel maggio 2010, fu tanto forte che Washingtonsi vide obbligata ad accettarla formalmente, peròimponendo condizioni: la zona non potrà divenireeffettiva prima di un accordo di pace fra Israele e isuoi vicini arabi; il programma di armamenti nuclearidi Israele sarebbe esentato dalle ispezioniinternazionali; nessun paese (si legga: Usa) potrebbeessere obbligato a fornire informazioni sulleinstallazioni e le attività nucleari israeliane, néinformazioni relative a trasferimenti anteriori ditecnologia nucleare a Israele. Nella conferenza del2010 si fissò una nuova sessione per il maggio 2012con l'obiettivo di avanzare nella creazione di unazona libera da armi di distruzione di massa. Tuttaviacon tutto il bailamme sollevato intorno all'Iran, èmolto poca l'attenzione che si dà a questa opzioneche pure sarebbe il modo più costruttivo per gestirele minacce nucleari nella regione: per la «comunitàinternazionale» la minaccia che l'Iran arrivi allacapacità nucleare; per la maggior parte del mondo,la minaccia rappresentata dall'unico Stato dellaregione che possieda le armi nucleari e una lungastoria di aggressioni, e dalla superpotenza che gli fada padrino. ©La Jornada/il manifesto di NOAMCHOMSKY

Russia: corteo anti-Putin, 100 arresti

18/03/2012 (ansa)

(ANSA) - MOSCA, 18 MAR - Uncentinaio di oppositori russi, tra cuidue leader della protesta controVladimir Putin, sono stati arrestatioggi a Mosca durante una

manifestazione organizzata davanti alla torre dellatelevisione per protestare contro un programmatrasmesso di recente da Ntv che accusaval'opposizione di essere stata pagata per manifestarecontro la rielezione di Putin al Cremlino. AncheSergei Udaltsov, coordinatore del gruppo diopposizione Fronte di sinistra, e' stato arrestato.

Nasce la Rete europea dei movimentiper l'acqua. Primo obiettivo, unmilione di firme

18/03/2012 di fabio sebastiani (rassegna sindacale)

Nasce a Marsiglia la Rete europeadei movimenti per l'acqua.L’ufficializzazione è avvenuta aMarsiglia nel corso dei lavori delFame, il forum mondiale alternativo

dell’acqua, che si è svolto in concomitanza del forummondiale. A dicembre scorso, a Napoli, il Movimentoeuropeo dell’acqua bene comune aveva vissuto lasua fase embrionale raccogliendo intorno a sesindacati, realtà sociali, associazioni della società

civile provenienti dal Vecchio Continente. La rete perl’acqua pubblica ha provveduto anche ad una Cartaeuropea dei diritti connessi al bene incentrata sulvalore della gestione partecipata e sullacontrapposizione alla logica del profitto.Sfruttando l'articolo 14 della Convenzione diLisbona, il movimento vuole portare in Europa quelmilione di firme necessarie a costringere Bruxelles alegiferare sull'acqua come diritto umano e asottrarre la materia alle regolamentazioni europeedel mercato unico. Del tutto simile a un referendum,la procedura prende il nome di Iniziativa dicittadinanza europea.Il testo verrà depositato il primo aprile allaCommissione europea. Entro due mesi a partire daquella data si saprà se ci sarà il via libera allaraccolta di firme. Pablo Sánchez dell'Europeanfederation of public services uions (Epsu) è convintoche non sarà difficile superare i requisiti imposti perl'iniziativa popolare, e ricorda che "la campagnaeuropea trova base nei movimenti di 25 Paesi edovrà continuare nel tempo, con azioni disensibilizzazione parallele in tutti i territori, perlanciare un messaggio forte abbastanza da premeresulle autorità affinché assumano una decisionesull'acqua". "Negli ultimi mesi – aggiunge Sanchez -abbiamo assistito a una lettera dell'Ue inviata algoverno italiano che indicava di privatizzare l'acquanonostante il risultato referendario, al memorandumfirmato dalla Troika con i portoghesi sullaprivatizzazione della risorsa, alle crescenti pressioniindirizzate alla Spagna e alla stessa Francia cheospita il Forum ufficiale".Secondo Pilar Esquinas Rodrigo, avvocato dellaCommissione legale della piattaforma contro laprivatizzazione del Canal Isabel II (la società didistribuzione idrica nella città di Madrid), "l'iniziativalegislativa europea è uscita rafforzata dal Forumalternativo". Ma non si tratta della sola azione daintraprendere. Forte dei 177.616 voti raccolti nellaconsultazione informale del 4 e 5 marzo contro laprivatizzazione del gestore a Madrid, Rodrigosostiene che "bisogna adire tutte le sedi dove èpossibile ottenere un riconoscimento dell'acquacome bene comune". La rete ha varato una cartabasata su quattro punti fondamentali: 1) l’acqua nonè una merce ma un diritto universale ed un benecomune 2) il superamento del full cost recoverycome principio guida del finanziamento del servizioidrico 3) garantire a tutti l’accesso al quantitativominimo vitale d’acqua 4) la partecipazione deicittadini e dei lavoratori alla gestione del servizio.Il Forum alternativo chiude il bilancio in modopositivo: oltre 2000 partecipanti (che sono diventati4.000 nella manifestazione di ieri) registrati e 50 fraworkshop e conferenze, che hanno approfondito tuttii principali temi legati all’acqua, ma soprattuttohanno rafforzato i legami e la strategia interna. Unadelle questioni che maggiormente ha animato idibattiti è quella su quale modello di pubblico ilmovimento intende abbracciare. Un dibattito apertoche apre un interessante confronto sia culturale chefra tradizioni politiche diverse ed essenziale nellariflessione complessiva sul tema dei beni comuni.Nel giorno di chiusura è arrivata anche la notizia chela sezione francese di Amnesty International eReporter sans Frontière hanno aperto un fascicolosul caso dei mediattivisti fermati dalla polizia inoccasione dell’apertura dei lavori del forum ufficiale.

Pagina 2 di 22

Page 3: News of the_world_18_03_12

Gli attivisti erano stati prelevati dal palazzo deicongressi e trasportati in questura per poi essererilasciati, al termine della cerimonia, senza nessunaspiegazione e richiesta di scuse. Un fatto inquietanteche ben si sposa con la natura privatisticadell’evento.

In 100 mila contro la mafia ad altavelocità

18/03/2012 di Alessandra Fava (il manifesto)

«Qui c’èl’Italiachevuoleveritàegiustizia»,conDonCiotti c’ètuttalasinistra sociale. Ma senza bandiere

Migliaia di giovani e giovanissimi hanno invasoGenova. Sono loro che fanno la differenza e

raccontano di un’Italia che non fa più finta che lamafia non esista o sia solo al Sud. Tra lorocompaiono come funghi i No Tav perché comespiega Alessandro M., 16 anni, che regge un cartelloscritto a mano «No Tav, 4 cm uguale un anno dipensione», «sulle grandi opere c’è l’influsso dellamafia». Così tra scuole e licei, striscioni colorati evolantini stampati nella notte anche dagli studentigenovesi del liceo scientifico Cassini che secondo illoro preside non avrebbero dovuto andare inmanifestazioni, si insinua il dubbio che sianecessario tenere d’occhio le grandi infrastrutture emedi e piccoli appalti delle amministrazioni.Scorre così la diciassettesima Giornata per lamemoria e l’impegno, organizzata dall’associazioneLibera, che a Genova ha radunato oltre 100 milapersone, tra cui più di 400 parenti delle vittime. Unafiumana di gente arrivata con centinaia di pullman,alcuni treni speciali e molti mezzi privati per sfilareda piazza della Vittoria al porto Antico. In testa cisono i familiari delle vittime di mafia come RosannaScopelliti, la figlia del magistrato ucciso nel ’91 dalla‘ndrangheta, o Giuseppe Impastato, fratello diPeppino, «un giornalista, un militante politico che sefosse qui sarebbe accanto ai no global, ai no Tav e atutti i conflitti sociali». Vicino a lui altri familiari dipersone, in alcuni casi morte per sbaglio, tra tiriincrociati e dimenticate nell’oblio, se non fosse chequegli oltre 900 nomi sono stati letti l’altro ieri incattedrale e ieri al porto Antico.«Non è una manifestazione, è un grande abbraccioai familiari delle vittime di mafia – spiega dal palcodon Luigi Ciotti, il presidente di Libera – siamo quiper loro, per dire che una parte d’Italia sta dallaparte della democrazia, della giustizia, della ricercadella verità». Libera da anni porta avanti un progettocapillare nelle scuole, grazie al coinvolgimento ditantissimi volontari e di centinaia di insegnanti, ma«alla denuncia deve seguire l’impegno el’assunzione di responsabilità che è la spina dorsaledella nostra democrazia, quella responsabilità chechiediamo allo stato, alle istituzioni, ma anche aciascuno di noi», ci dice don Ciotti mentre la scortalo riporta fuori dal corteo.Ci sono i gonfaloni e i sindaci con la fascia tricolore,politici e sindacalisti, moltissime sigle che hannorinunciato per un giorno alla propria bandiera o a

striscioni. Mimetizzati tra la folla, il segretario dellaFiom Maurizio Landini e Sergio Cofferati. Landinicommenta che «un lavoro o ha dei diritti o non èlavoro. E il problema della la legalità riguarda ilmondo del lavoro e l’economia perché tanta partedell’economia reale è in mano alla malavitaorganizzata. Il sindacato deve tornare a mettere alcentro trasparenza e rispetto dei contratti, perché lafrantumazione dei processi lavorativi, con appaltisubappalto, sottoappalti e cooperative, coincidonocon la messa in discussione dei diritti e dei contrattinazionali e l’allargamento dell’illegalità nel lavoro».Cofferati aggiunge che «se il sindacato fa bene il suomestiere, soprattutto in certi settori, crea un arginealla malavita penso alla trasparenza e controllo delrispetto delle regole, ad esempio nei grandi appalti».Un po’ più in là il segretario provinciale del Pd VictorRasetto, “epurato” dopo la sconfitta delle duecandidate Marta Vincenzi e Roberta Pinotti alleprimarie, chiacchiera col leghista Edoardo Rixi,candidato (per la sola Lega) a sindaco contro MarcoDoria, che passeggia a qualche metro di distanza. Intesta al corteo per un tratto c’è anche il capo dellaprocura torinese Gian Carlo Caselli, che alla fine digennaio firmò il provvedimento di arresto dei no Tavaccusati dei disordini di luglio. Tra la folla un gruppodi ambientalisti e pacifisti mostra lo striscione «NoTav-Ascoltateli!» e quando la manifestazione arriva apiazza Cavour, in alto sulle mura della Marina glistudenti universitari e gli anarchici srotolano a mo’di memento quattro striscioni che ricordano aipassanti che alcuni degli arrestati sono ancora ingalera dopo quasi due mesi. Di no Tav parlano anchei bambini di una scuola elementare, la Daneo, checompaiono in corteo con le cassette della frutta dellamensa dipinte sul rovescio «No Tav».Tra la folla tutti hanno una ricetta. «Dobbiamosmantellare la corruzione, cercare di denunciare ifatti che conosciamo e stare vicino ai verimagistrati», dice Angela, 56 anni. «È importante pernoi giovani venire a sentire i familiari delle vittime –aggiunge Riccardo Segantin, 18 anni, di un liceo diTrescore – Impegno attivo vuol dire: ricordare,informarsi e non adeguarsi alla massa». Una ragazzadi un istituto tecnico di Busso, provincia di Varese,dice che «il cittadino può denunciare, partecipare aproteste e assumere la consapevolezza che la mafiasi può combattere giorno per giorno» perché, comedice uno striscione, «un intero popolo contro il pizzocambia i costumi, un intero popolo che non paga ilpizzo è libero».

New York, Occupy fa primavera

18/03/2012 di MARTINA ALBERTAZZI (il Manifesto)

Occupy Wall Street festeggia i suoi sei mesi di vitascendendo in strada a New York, in una marcia chesecondo gli organizzatori è solo l'inizio di unaprimavera piena di eventi. Ieri mattina alle 11, imanifestanti si sono riuniti di nuovo a Zuccotti Parkper celebrare l'arrivo della nuova stagione. «Neiprimi sei mesi di vita abbiamo cambiato il dibattitonazionale, nei prossimi sei mesi vogliamo cambiare ilmondo», hanno scritto sulla homepage del sito. El'atmosfera a Liberty Square è proprio quella di

Pagina 3 di 22

Page 4: News of the_world_18_03_12

risveglio dopo i mesi invernali in cui il movimentoera sembrato giù di tono, per alcuni addiritturamorto. All'una del pomeriggio circa 150 persone,molte vestite di verde per celebrare il giorno di SanPatrizio, hanno iniziato a marciare verso BatteryPark, più precisamente verso l'Irish HungerMemorial, il monumento inaugurato nel 2002 perricordare il milione di vittime delle carestie in Irlandadal 1845 al 1852. «La strada che stiamo percorrendoha bisogno di una svolta - racconta Jack, 53 anni,che lavora come attore in un teatro, mentre mostrauna copia del suo passaporto irlandese - Gliappuntamenti come questo sono importanti, perchéci permettono di far sentire la nostra voce». Ma nonpreferirebbe festeggiare San Patrizio in un bar abere, come fanno tutti? «Io festeggio così, perchéamo le mie radici irlandesi, ma l'America è il mioPaese e Occupy Wall street sta cercando di salvarlo»,risponde. Mentre il corteo si dirige verso LowerManhattan, scortato da circa cinquanta poliziotti apiedi e in scooter, un centinaio di manifestanti èrimasto invece a Zuccotti Park, tra canti, balli etamburi riportando la memoria allo scorsosettembre, quando il movimento era appena nato escene come questa erano all'ordine del giorno.«Questa sera dormiremo qui e ci riprenderemo lapiazza», afferma convinto Rick, 23 anni, mentreriprende fiato dopo aver gridato uno degli slogan piùcelebri, «Siamo il 99% e lo sei anche tu». Davantialla piazza il numero di agenti della polizia di NewYork è nettamente superiore a quello deimanifestanti. E gli arresti sono iniziati già nel primopomeriggio, quando due persone sono state portatevia in manette, a quanto pare con l'unica colpa diaver distribuito volantini. L'entusiasmo pacifico delresto della folla però non si è fatto intimidire.Qualche manifestante parla con i pochi cronistirimasti a Zuccotti Park, altri improvvisano comizi einvitano i passanti a unirsi a loro, annunciando unastagione vivace, che proseguirà fino alle elezionipresidenziali di novembre. E non solo a New York,come ha raccontato Cynthia Price, 46 anni, che daLos Angeles si è trasferita qui, per iniziare unapiccola attività con il marito John: «Pago le tasse, houna casa tutta mia e mi ritengo una cittadinamodello, al contrario di questo governo cleptomane.È il motivo per cui scendo in piazza con Ows e andròa Washington a manifestare davanti al Congresso.Stasera però torno nel mio appartamento e lasciol'occupazione di Zuccotti Park in mano ai giovani».

#occupy wall street, la lotta continua

18/03/2012

La polizia di New York ha arrestatola notte scorsa decine di indignati di'Occupy Wall Street' durante unraduno indetto per ricordare l'iniziodel movimento di Zuccotti park sei

mesi fa. L'atto repressivo della polizia di Obama èavvenuto poco prima della mezzanotte locale (le5.00 in Italia) è giunto al termine di una giornata didimostrazioni e marce nella parte meridionale diManhattan. Il regime non ha fornito cifre sugliarresti, ma le persone portate via ammanettate sonostate decine. Tre donne rimaste ferite sono statemedicate in un'ambulanza. Nel corso della giornata

erano state fermate 15 persone ed era statoannunciato il ferimento di tre agenti. Dopo lemanifestazioni svoltesi nel pomeriggio attraverso ildistretto finanziario di New York i dimostranti si sonodati appuntamento per la sera nel parco e intornoalle 23 c'erano circa 500 persone. Tra loro anche ilregista Michael Moore. «È la nostra offensiva diprimavera», ha detto Michael Premo 30 anni che si èautodefinito il portavoce del movimento. «La gentepensa che il movimento Occupy sia finito, èimportante che vedano che siamo tornati», haaggiunto. La polizia è rimasta a sorvegliare la zonasenza intervenire fino a quando alcuni dimostrantihanno cominciato a montare una tenda. Circa uncentinaio di agenti sono allora entrati nel parco e idimostranti si sono seduti rifiutandosi di obbedireall'ordine di andarsene. A quel punto i poliziottihanno ammanettato i dimostranti portandoli via neifurgoni. Il movimento Occupy Wall Street era nato il17 settembre dello scorso anno a Zuccotti Park perprotestare contro le politiche finanziarie statunitensiaccusate di incrementare il divario tra ricchi epoveri. La polizia in novembre aveva sgomberatol'accampamento dei dimostranti.

Giorcelli, ucciso dall'eternit

18/03/2012 di MAURO RAVARINO (il Manifesto)

«Mi sono sempre considerato un casalese doc. Damartedì 25 gennaio, lo sono più che mai. Anch'ioporto il segno più profondo della casalità di questiultimi cinquant'anni: il tumore dell'amianto. Comemigliaia di persone che non ci sono più, comecentinaia che combattono la stessa battaglia. Noi diCasale Monferrato. Una piccola Hiroshima, unapiccola Nagasaki, una piccola Chernobyl. Ma quantopiccola?». Un anno, un mese e pochi giorni dopoaver scritto queste parole, Marco Giorcelli è morto.Giovedì mattina alle 8. Ucciso dal mesoteliomapleurico, il cancro di Casale. Il tumore dell'Eternit,quella fabbrica mostro che non ha solo inquinato lepropaggini dello stabilimento ma ha impestato unterritorio. Cinquantuno anni, da 19 era direttore de«Il Monferrato», il giornale che ha seguito, in modoscrupoloso, ogni tappa del processo contro i signoridell'amianto. E se la causa del mesotelioma è notada decenni, dal 13 febbraio lo sono anche i colpevoli:Stephan Schmidheiny e Jean Louis de Cartier,condannati a 16 anni. «Era un giornalista vero -racconta Massimiliano Francia del «Monferrato» -,fedele alle notizie, tanto da difenderle strenuamentein una piccola realtà dove le pressioni sono spessopiù insistenti che nei grandi quotidiani... Ci spremevacome limoni ma alla sera tornavi a casa contento.Sul processo Eternit dovevamo coprire ognisfumatura. E ricordo quando gli feci leggere alcunidocumenti sulle bonifiche in cui emergeva unasovrapposizione tra i siti inquinati dal polverino (ilmateriale di scarto, ndr) e l'incidenza della malattia.Lesse, ma a un certo punto il suo sguardo si fermò:'c'è anche il cortile nel quale giocavo da ragazzo'.Una paura sciolta dal sorriso, disse: 'ma sono passatipiù di quarant'anni'». È lo stesso selciato dovegiocava da bimba Luisa Minazzi, direttrice scolasticae assessore di Casale, morta nel 2010. Non avevamai messo piedi all'Eternit. Come Marco Giorcelli.Con la sua prematura scomparsa (ieri si sono svolti i

Pagina 4 di 22

Page 5: News of the_world_18_03_12

funerali) si allunga la lista di una «spoon river»senza fine, che lascia una città nel tormento. Lagente di Casale trema al primo colpo di tosse. È lasindrome di Chernobyl: il timore costante dicontrarre la malattia. Un disastro psicologico esociale accanto a quello ambientale.

Cosa accade se un «brasiguayos»diventa il re assoluto della soja

17/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Coltivazioni/ LA SPECULAZIONE SULLE TERREASUNCIÒN. I coloni brasiliani hanno latifondisterminati di cui non beneficiano gli altri abitanti.Tranquilino Favero e il suo impero Oltre mezzomilione di brasiliani vive in Paraguay da ormai alcunidecenni. Tra di loro ci sono gruppi molto diversi, maquelli che sono ora al centro di una situazioneconflittuale sono i grandi proprietari terrieri: quelliche si sono installati nelle zone di frontiera nell'estdel paese, in particolare nell'alto Paranà. Possiedonodi solito enormi estensioni di terra che da annihanno destinato all'assai redditizia coltivazione disoja, e difendono le loro terre con le armi. Ladittatura di Alfredo Stroessner (1954-1989) li haavuti come grandi alleati, e gli ha permesso didisporre a proprio piacere di territori sempre piùampi, senza alcun controllo. Del milione e mezzo diettari coltivati a soja nell'est del paese, 1,2 milioniappartengono a brasiliani - a «brasiguayos» e adaltri brasiliani di arrivo più recente, che compranoterre a prezzi da favola: la terra che nel loro paesevale 7 o 8mila dollari per ettaro, la ottengono inParaguay per un migliaio - al massimo quattromiladollari per quella più fertile, le stesse che fino atempi recenti erano utilizzate per l'allevamento delbestiame. Di fatto, nell'oriente del paese coltivato asoja non si applica la legge, approvata nel 2005, chevieta l'acquisto o usufrutto di terre situate a meno di50 chilometri dalla frontiera a cittadini sttranieri dipaesi limitrofi. Ancor meno si applicano le norme disalvaguardia ambientale. La coltivazione della soja,super-tecnologizzata (i brasiliani hanno«modernizzato» il settore agricolo paraguayano) haespulso da questi territori buona parte dei piccoliproduttori agricoli. «Non c'è alcun beneficio per lazona: la gente è espulsa dal lavoro e perfino dalterritorio, le strade sono rovinate dal traffico deicamion della soja - e gli imprenditori non vivono lì,non pagano imposte né trattenute, nulla di ciò cheguadagnano resta nelle comunità», dichiaravaqualche tempo fa alla Bbc di Londra Claudia Ricca,dell'organizzazione non goovernativa Amigos de laTierra, che opera nella zona. Tranquilino Favero, unsettuagenuario sbarcato in Paraguay nei primi anni'60, simbolizza come pochi questo nucleo dibrasiguayos. Ha attraversato la frontiera tentando lasorte, all'inizio della dittatura, e oggi è uno deimaggiori imprenditori del paese. Lo chiamano «il redella soja», è a capo di un impero che conta su unesercito privato di sicari. Le sue entrature conl'esercito sono note. Favero ha più volte lanciatoappelli per «fermare l'avanzata del comunismo», chelui vede impersonato in fernando Lugo per i vecchilegami del presidente con i movimenti contadini edei senza terra. Intanto, nella regione orientale leuccisioni di contadini per mano di «sconosciuti»,

probabilmente al soldo dei latifondisti, si contano adecine. di Ignacio Cirio

La Green economy dell'oro blu

17/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Tariffe, privati e grandi digheMARSIGLIA Sottoscrittadai governi la dichiarazione finale Al controvertice sicontesta la finanziarizzazione dell'economia verde:così i beni comuni si trasformano in mercecommercializzabile Il Forum mondiale dell'acqua nonha ancora chiuso i battenti, ma la dichiarazioneinterministeriale è già stata ratificata da tutti igoverni presenti a Marsiglia. Un testo che tende arafforzare il meccanismo del full recovery cost e acollocare l'acqua nel quadro della cosiddetta GreenEconomy. In pratica si auspica un sistema difinanziamento del servizio idrico che coniughi letariffe, gli investimenti privati e la mobilizzazione dirisorse pubbliche e un ulteriore accelerazione allacostruzione di grandi impianti idroelettrici. Unsistema che non fa alcun riferimento alla risoluzionedelle Nazioni Unite, che nel 2010 ha dichiaratol'accesso all'acqua un diritto umano universale efondamentale. Un'omissione gravissima, voluta dalCanada, che all'ultimo momento ha fatto cambiare iltesto cancellando ogni riferimento alla risoluzionenel silenzio assenso degli altri governi, eccetto laBolivia che si è rifiutata di firmare la dichiarazione.Della finanziarizzazione dell'acqua e di GreenEconomy si è parlato ieri in una delle tre conferenzedi convergenza organizzate dal Forum Alternativoanche in vista del Vertice Rio+20 sullo svilupposostenibile, in programma a giugno prossimo. Untema cruciale, in un momento in cui si cerca una viad'uscita alla crisi sistemica del capitalismofinanziario e si punta sull'economia verde percontinuare a produrre profitto. In altre parole,l'attacco che i mercati stanno sferrando, con lacomplicità dei governi, è quello della radicalefinanziarizzazione delle risorse naturali. L'obiettivo èquello di collocare in maniera sistemica i benicomuni nell'alveo finanziario. L'acqua è ancora oggila risorsa meno finanziarizzata rispetto al petrolio, laterra, il cibo e le altre materie prime. Se il processodi privatizzazione dell'acqua è in stato avanzato,quello di mercificazione inizia oggi a essereconcettualizzato e promosso dalle èlite economichee speculative. Dal forum alternativo si leva ladenuncia del vero obiettivo che si nasconde dietro illinguaggio della dichiarazione intergovernativafirmata in casa del Consiglio Mondiale dell'Acqua,associazione di diritti privato che riunisce leprincipali multinazionali del settore e che haorganizzato il meeting Marsigliese. Ovvero latrasformazione dell'acqua in una commoditycommercializzabile attraverso un sistema di venditaglobale di diritti di sfruttamento. In alcuni Stati degliUsa, in Cile, in Sudafrica, in Australia e alle Canariequesto sistema è già vigente e altri paesi stannoconsiderando l'introduzione di questo modello. Sequesto sistema fosse adottato a livello globale siverrebbe a creare una vera e propria borsadell'acqua, dove sarebbe possibile comprare evendere i diritti di sfruttamento, così come giàavviene con le materie prima e con i crediti dicarbonio previsti dal Protocollo di Kyoto. Chi ha un

Pagina 5 di 22

Page 6: News of the_world_18_03_12

surplus di acqua o chi ha precedentemente acquisitoa fini speculativi i diritti di un fiume, una falda o unlago potrebbe rivenderli a chi ha un deficit idrico.Possedere una certa quantità d'acquasignificherebbe avere un asset finanziario in grado digenerare una rendita. Sarebbe inoltre possibilestrutturare sull'acqua tutti prodotti finanziariderivati. L'allarme è stato lanciato durante il suosaluto al forum alternativo anche da Catarina deAlbuquerque, special rapporteur delle Nazioni Uniteper il diritto all'acqua, che ha evidenziato come illinguaggio della dichiarazione sia teso amarginalizzare il percorso di riconoscimento deldiritto all'acqua avviato nel 2010. E' sempre piùnecessario riportare il dibattito sulle risorse idricheglobali in una sede legittima e istituzionale ed inquesto senso è responsabilità delle Nazioni Unitemettere in piedi un'iniziativa che sottragga allemultinazionali la guida politica e faccia saltare ilprossimo appuntamento del Forum Mondialedell'acqua (organizzato dal Consiglio Mondialedell'Acqua, associazione di diritto privato cheriunisce le multinazionali del settore) previsto inCorea del sud nel 2015. * Crbm di Caterina Amicucci*

Israele vuole attaccare l'Iran, Francia,Usa, Gran Bretagna frenano

17/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Il ministro Juppè a «Le monde»: non li aiuteremo ATel Aviv parcheggi sotterranei trasformati in bunkerLa Francia è pronta a «schierarsi al fianco» di Israele«se la sua sicurezza fosse minacciata», ma «non peraiutarlo ad attaccare altri Paesi» e in particolarel'Iran. È stato perentorio il ministro degli esterifrancese Alain Juppè, rispondendo alle domande diLe Monde. E altrettanto espliciti contro la guerra(almeno per ora) lo sono stati anche il presidenteUsa Barack Obama e il premier britannico DavidCameron, quando l'altro giorno hanno ribadito che«c'è tempo e spazio» per la diplomazia. EppureBenyamin Netanyahu non cambia idea. Il premierisraeliano, secondo la stampa locale, non ha ancoradeciso in via definitiva l'attacco contro Tehran ma èvicino a muovere quel passo. Netanyahu non sembraavere alcuna intenzione di aspettare l'esito dellepresidenziali americane di novembre perché,scriveva un paio di giorni fa Ben Caspit su Maariv,non è affatto sicuro che Obama affronterà il«problema iraniano» in maniera «appropriata» dopol'eventuale rielezione, scatenando una nuova guerranel Golfo. Netanyahu attaccherà. Lo ha annunciatopiù o meno apertamente l'altro giorno parlando allaKnesset, prima della fine dell'anno perché, sostieneil premier, l'Iran nel 2013 sarà in grado diassemblare un ordigno nucleare (Israele ne possiedealmeno 200 in segreto ma tutti fingono di nonsaperlo). Ed è pronto a farlo senza il via libera diWashington, come nel 1981 decise il primo ministroMenachem Begin ordinando l'attacco del sitoiracheno di Osirak. Dalla sua parte il premier ha 8dei 14 ministri che compongono il «gabinetto disicurezza». Altri sei, tra i quali Benny Begin (il figliodi Menachem), sono contrari. La preparazionedell'attacco prosegue senza sosta, a livello militare esul «fronte interno», quello dei civili che pagheranno

le conseguenze della inevitabile risposta iranianaall'attacco subito. I piloti israeliani si addestrano daanni a colpire a 1.600 km dalle loro basi, grazieanche a Grecia e Italia che hanno messo i loroaeroporti (di recente in Sardegna) a disposizione perqueste esercitazioni speciali. Lo Stato ebraicopossiede circa 300 aerei da combattimento tra i piùavanzati al mondo e 100 di questi prenderannoparte al raid. Alcune decine attaccheranno i sitiatomici, come gli F15i in grado di trasportare oltredue tonnellate di bombe, a cominciare dalle GBU-28,le «bunker-busting» guidate dai laser capaci didistruggere bersagli nascosti in profondità. Altri,come gli F-16i, si occuperanno della contraerea e deiradar. La resistenza iraniana sarà tenace. Tehran nonpossiede un'aviazione in grado di contrastare quellaisraeliana ma ha un sistema di difesa antiaereaefficace, fondato su una imitazione del sistema russoS-300. Ma a giocare contro i piloti israeliani saràanche la distanza. I 100 cacciabombardieri dovrannorifornirsi in volo da sei aerei cisterna nello spazioaereo di altri paesi. E non sarà facile. Le rotte sonotre: attraverso la Turchia, per la Giordania e l'Arabiasaudita o passando per Giordania e Iraq. La più facileè la rotta turca ma Ankara, da tempo in pessimirapporti con Tel Aviv, ha già detto un secco «no».L'Arabia saudita, nemica dell'Iran, aprirebbevolentieri il suo spazio aereo ma rischia di esporsitroppo alla reazione di Tehran. Rimane il passaggioper Giordania e Iraq, praticabile viste le ottimerelazioni tra Tel Aviv e Amman e l'incapacità diBaghdad di proteggere il suo spazio aereo. È unamissione audace, di quelle che piacciono ai leaderisraeliani, ma oltre a gettare la regione in una nuovaguerra, riuscirà a bloccare solo per un breve periodoi progetti nucleari di Tehran. Da parte loro i civiliisraeliani dovranno fare i conti con l'arrivo di missilibalistici (Shihab) ben più potenti e precisi dei vecchiScud iracheni del 1991. In Israele si stannocostruendo parcheggi sotterranei trasformabili inrifugi per migliaia di persone. Come quello di piazzaHabima a Tel Aviv. Qualche mese fa mentre insuperficie, nella adiacente via Rothschild, gliindignados protestavano contro il carovita, sottoterra veniva completato un parcheggio di quattrolivelli in grado di proteggere 1.600 persone anche daun attacco chimico, grazie ai suoi speciali filtridell'aria. «Ma non facciamoci illusioni - avverteMoshe Tiomkin del consiglio comunale - sulla nostracittà non cadranno soltanto 40 missili come nel1991». E non mancano voci contro l'attacco all'Iran.Dopo David Grossman anche un altro scrittore, AmosOz, è sceso in campo per accusare il premierNetanyahu di «seminare isteria». di Michele Giorgio

Ecokiller a Oaxaca, ucciso un attivista

17/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Nella città francese il terzo giorno del Fame èfunestato dalla notizia dell'omicidio di un uomo chedifendeva la sua piccola comunità dallo sfruttamentodel sottosuolo Il giovane stava lavorando a undossier da consegnare al Tribunale dei popoli Uncommando armato assassina Bernardo Vazquez,ingegnere trentenne che si batteva contro leestrazioni minerarie e per il diritto collettivoall'acqua nello stato messicano. Gli ecologisti a

Pagina 6 di 22

Page 7: News of the_world_18_03_12

Marsiglia diffondono la notizia e raccontano la suabattaglia contro una multinazionale canadeseNelpieno dei lavori del Fame, il sesto Forum alternativomondiale dell'acqua che a Marsiglia è arrivato al suoterzo giorno, l'assassinio del messicano BernardoVásquez Sánchez arriva come una bomba: i suoicompagni della Coordinadora de Pueblos Unidos delValle di Ocotlán e dell'Asamblea Nacional deAfectados Ambientales - una piattaforma di oltre uncentinaio di vertenze comunitarie contro imegaprogetti in Messico - non si capacitano dellamorte di questo giovane attivista di Oaxaca, da anniimpegnato nella difesa della sua piccola comunitàcontadina, 3000 persone a San Josè del Progreso.Questo piccolo paese nel Valle Central da tre anni èsotto scacco per le devastazioni ambientali e socialicausate dalle attività estrattive dell'industriamineraria canadese Fortuna Silver Minds, che inMessico opera sotto il nome di Minera Cuzcatlan: lamultinazionale, proprietaria di una famigliaperuviana, ha trovato in quella zona oro in grandiquantità. È entrata nel territorio senza chiederepermesso agli abitanti e senza la cosiddetta"consulta previa" , il meccanismo previsto dallalegge che dovrebbe permettere alle comunità localidi essere parte in causa dei processi invasivi deipropri territori. Anche se in Messico, così come ciracconta Octavio Rosas Landa, la Ley Ambiental delEquilibrio Ecologico è praticamente una presa ingiro: «Non può essere richiesta dalle comunità localima dev'essere proposta dalle autorità. Le comunitàsono chiamate solo per essere informate deivantaggi che i megaprogetti porteranno loro.Contando che le leggi ambientali prevedonoconcessioni con estrema facilità, e se le industriestraniere incontrano acqua nelle perforazioni, se lapossono tenere. Gratis». Non c'è due senza tre Lanotizia di questo assassinio commuove perefferatezza e perché purtroppo, era da temponell'aria. «Bernardo era nel mirino - ci raccontano idelegati messicani - Aveva già subito due attentati,uno l'anno scorso, quando era stato inseguito daun'auto e buttato fuori strada. E uno il 19 gennaioscorso: un commando armato era entrato in paesedurante una manifestazione. Abbiamo sentito unpoliziotto gridare: sparate a Bernardo! E in effettihanno sparato ed ucciso, ma il Bernardo sbagliato: sitrattava del giovane Mendez Vasquez, non diVasquez Sanchez. L'ultimo attentato ieri alle 20 oralocale. Questa volta andato a segno». Nella stessaazione il commando armato ha ferito il fratello Arturoe la compagna Rosalinda Dionicio Sanchez,«difensori del diritto collettivo dell'acqua dellacomunità di San Josè del Progreso, a Oaxaca, permano di sicari al servizio della impresa minerariacanadese Fortuna Silver Mines», così come si leggenel comunicato in più lingue che parteimmediatamente dopo l'arrivo della notizia, firmatoda tutte le organizzazioni presenti al Forumalternativo dell'acqua. Octavio ha gli occhi lucidi.Conosceva bene Bernardo. Lui, docenteall'Università Nazionale di Città del Messico, facoltàdi Economia, è da sette anni al fianco delle comunitàcontadine: «Lavoravamo assieme dal 2009», ciracconta, «l'avevo conosciuto durante la QuintaAssemblea contro i crimini ambientali, e propriodurante quell'incontro fu deciso di tenere lasuccessiva assemblea proprio a Oaxaca. Fu la piùforte a cui ho assistito: nel 2010 si riunirono 1500

delegati di tutte le lotte ambientali dei 17 stati delPaese, per condividere strategie e resistenze controle industrie minerarie, i megaprogetti, il maistransgenico, le violenze contro donne, i lavoratori, isindacalisti, i giornalisti. Tutto quello che fa del mioPaese uno dei più violenti al mondo». Impunitàmineraria In Messico l'industria minerariatrasnsazionale, soprattutto quella canadese, sicaratterizza per operare impunemente al marginedella legge attraverso corruzione dell'autorità,intimidazione, la distruzione delle condizioni di vitadella comunità. «A San Josè la gente è tre anni checerca di opporre resistenza alla miniera: le fonti sistanno seccando, e la poca acqua che rimane èfortemente inquinata. Bernardo era pieno di risorse,aveva organizzato una cooperativa di taxi, una delletante alternative economiche e di sicurezza chemetteva in campo per scardinare quella chechiamiamo ingegneria del conflitto: le multinazionalinon solo depredano le risorse, ma cercano in tutti imodi di dividere le comunità». Negli ultimi dieci anniil governo messicano ha elargito più di 24 milaconcessioni minerarie sulla base di 700 progetti, perun'estensione pari al 30 per cento del Paese.Documenti ufficiali (Informe de la Auditoria Superiorde la federacion) parlano di cifre impressionanti: 111pesos per un anno, 7 euro. Tanto deve pagaremediamente un'industria straniera per poter metterele mani sui minerali messicani. Si calcola che fra il2005 e il 2010 le imprese minerarie abbiano pagatocirca 6000 milioni di pesos, circa 500 milioni didollari, per le concessioni. Estraendo 552 milamilioni di tonnellate di minerali. In pratica, paganol'1,2 per cento di quello che guadagnano. Alla mercèdelle multinazionali Il Messico è al quattordicesimoposto al mondo come quantità di risorse minerarie.Ma sale al primo posto per facilità giuridica: qui leindustrie straniere entrano come un coltello nelburro e si accaparrano facilmente dei tesori delPaese. Il Canada la fa da padrone, con il 75 percento delle concessioni totali. Bernardo stavalavorando al capitolo Messico da presentare alTribunale dei Popoli con sede a Roma. Avevatrent'anni, era ingegnere. Un altro caduto dellaGuerra Sucia che in Messico ogni anno fa 60 milamorti e 18 mila sparizioni. «Noi lo consideriamo unassassinio di stato - conclude Octavio - ora quelloche vogliamo è giustizia per Bernardo, e la fine delleconcessioni minerarie alla Fortuna Silver Minds». diFRANCESCA CAPRINI

La lotta dei contadini contro gliusurpatori

17/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Paraguay. Intervista con Balbuena, Coordinatricenazionale delle Organizzazioni di lavoratori rurali eindigeni, all'indomani della decisione del governo diindagare sulle proprietà «mal acquisite». Laquestione sociale del Paese più scottante è agraria,rappresentata dagli 8 milioni di ettari «comprati»con la dittatura ASUNCIÒN. Il governo di FernandoLugo ha deciso di avviare un'indagine sulle terre«mal acquisite» in Paraguay: si tratta di ben 8 milionidi ettari di terre i cui titoli di proprietà potrebberoessere contraffatti, o falsi, o semplicemente usurpatidurante il periodo della dittatura di Alfredo

Pagina 7 di 22

Page 8: News of the_world_18_03_12

Stroessner. Il governo ha così preso di petto unadelle questioni sociali di fondo del paese, quellaagraria. I grandi proprietari terrieri, che hannoinondato il Paraguay di soja transgenica, oppongonograndi resistenze all'indagine, appoggiati dalparlamento dove Lugo è in netta minoranza: alpunto da minacciare una rottura istituzionale,magari anche atti di forza. Epicentro del conflitto è ildipartimento di Alto Paranà, confinante con il Brasile.«La lotta dei contadini senza terra in questa zona èdi vecchia data», spiega dalla capitale paraguayanaAsunciòn Margui Balbuena, Coordinatrice nazionaledelle Organizaciones de Trabajadoras Rurales eIndígenas (Organizzazioni di lavoratori rurali eindigeni). Qual è la situazione attuale? Di recente ilgoverno di Lugo ha cercato di emanare leggi chestabiliscono delle regole sulle terre di frontiera, di cuistanno facendo manbassa imprese multinazionali,soprattutto brasiliane. È in questo quadro che ilgoverno ha mandato i militari alla frontiera, perdemarcare e compiere controlli su quelle terre.Perché ci sono molti dubbi su come quelle terre sonopassate in mano a cittadini stranieri in un arco ditempo molto breve, non più di dieci anni - e ci trattadelle terre migliori. Sono grandi superfici oracoltivate a soja transgenica, una monocoltura perl'esportazione. Per farlo hanno spianato colline,seccato ruscelli, avvelenato fiumi con l'usoindiscriminato di pesticidi. Sono cose gravi cheavvengono in tutto il paese, ma soprattutto in quellazona di frontiera: e qui suscita una sorta di spiritopatriottico nella popolazione, a cui sembra che laregione non sia neppure più parte del Paraguay. Cosìreagiscono. E quando i militari sono andati a fare isopralluoghi e controllare i titoli di quelle terre sisono mobilitati i carperos. Chi sono i «carperos», puòspiegare questo movimento? Sono persone di diversidipartimenti di quella zona di conflitto, che mettonoin questione in particolare un latifondista brasiliano,Tranquilino Favero. Possiede terre in tre o quattrodipartimenti, le migliori della frontiera. Ha aziendeagricole e coltivazioni di soja sterminate, superano ilmilione di ettari. L'Istituto nazionale di svilupporurale e della terra, Indert, ha cominciato a indagaresull'origine dei titoli di questo imprenditore, pare chemolti siano contraffatti o falsi. Ma anche nell'Indertc'è una vera e propria mafia che per anni ha vendutoe rivenduto terre dello stato. È tutto questo che haprovocato la crisi a Ñacunday, nel dipartimento diAlto Paraná: è in questione un appezzamento di162mila ettari di frontiera, oggi controllato daFavero, e i senza terra hanno una rivendicazione:vogliono che lo stato lo distribuisca tra loro. Comehanno reagito le diverse parti in causa? Lasituazione è incandescente da quando l'esercito èarrivato per la demarcazione delle terre, a metàgennaio. I grandi coltivatori di soja si sono uniti adifesa di Favero. È il caso della CoordinadoraAgrícola del Paraguay, la Coordinadora deProductores de Soja e le cooperative. La presenzadell'esercito ha evitato che i latifondisti compianoazioni contro i contadini che reclamano la terra - c'èaddirittura un ordine del ministero dell'internoperché la polizia non li reprima. I grandi proprietariperò hanno fatto resistenza contro le demarcazioni.Perché non vogliono che lo stato ispezioni idocumenti? La magistratura e l'intero parlamentosono a favore dei coltivatori di soja e hanno messo insordina il problema delle «terre mal acquisite». Ma

l'unico modo perché la terra resti sotto la sovranitàparaguayana è che venga distribuita alle migliaia emigliaia di contadini che la rivendicano. Ci sono statiscontri diretti da parte dei grandi proprietari terrieri?La pressione è molto forte, tutta la stampa è afavore dei coltivatori di soja, e c'è il rischio reale chequesti alla fine si comportino come sono abituati afare: con la violenza contro i contadini senza terra. Ilatifondisti hanno organizzato gruppi armati eminacciano di agire per conto proprio. Questo è unmomento di tira e molla e sta prendendo corpo unproblema politico, perché i coltivatori di soja hannominacciato che, se il governo continuerà nel suotentativo, metteranno a rischio le elezioni del 2013.Ci sono state perfino riunioni di alti ufficialidell'esercito in pensione. I loro alleati sono moltoforti qui in Paraguay. Vi ricordo che, secondo alcunestime, le terre «mal acquisite» occupano unasuperfice di 8 milioni di ettari, e sono in mano afunzionari, militari, imprese e collaboratori dellapassata dittatura di Alfredo Stroessner. Dunquestiamo parlando di un pericolo di rotturaistituzionale? È così. Il principale problema inParaguay è quello agrario, la terra. C'è unacontraddizione profonda tra le 400mila famigliesenza terra e i coloni brasiliani, quelli che vengonochiamati brasiguayos, che occupano non solo terredi frontiera ma si stanno addentrando nel Chaco, nelcuore del paese. Questa è una zona boscosanaturale, un vero polmone verde di cui dobbiamotutti interessarci. Invece non c'è controllo, stannodepredando, devastando questa regione percoltivare in modo intensivo la soja transgenica. È unvero e proprio saccheggio della nostra terra. Sonodecenni ormai che viene applicato questo modello,oltretutto assai inquinante, di cui le donne e ibambini soffrono più di tutti le conseguenze:malattie, malformazioni, aborti spontanei el'impoverimento estremo delle nostre comunità efamiglie. In effetti, crediamo che qualcuno stiatramando un piano di destabilizzazione, magariprovocando fatti di sangue per far precipitare ilconflitto. * di Radio Mundo Real, emittente internetlatinoamericana di Ignacio Cirio*

Migranti, Rotta Balcanica

16/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Lojane, nel nord della Macedonia, è la Lampedusadell'est. I migranti dormono nelle case abbandonatea causa degli scontri etnici. A controllare i loromovimenti una rete di «smugglers», trafficantid'uomini LOJANE (Macedonia) -Il generale FadilNimani, alto sul suo piedistallo, punta il braccio dibronzo verso la campagna macedone, silenziosa ebianca di neve. Sembra muovere delle truppeinvisibili. La bandiera dell'Albania dietro di lui si agitaal vento balcanico. Siamo all'estremo nord dellaMacedonia, nella regione di Kumanovo abitata dapopolazione di etnia albanese. Il confine con laSerbia è a una manciata di chilometri più a nord. IlKosovo è appena dietro il confine brullo delle colline,verso ovest. Falid è uno dei generali dell'Esercito diliberazione albanese morto nel 2001 durante laguerra civile scoppiata contro le truppe dellaRepubblica di Macedonia. Quando gruppi etnicialbanesi rivendicavano l'autonomia delle regioni a

Pagina 8 di 22

Page 9: News of the_world_18_03_12

nord e a est del paese da loro abitate. La statua diFadil Nimani e il suo mausoleo sorgono sulla stradache collega i piccoli villaggi di Vaksince e di Lojane.Una zona che undici anni fa fu teatro dibombardamenti e fughe di profughi. Oggi quellecontrade sono attraversate ancora da un fiume diimpronte, lasciate sulla terra da gente in fuga.Questa volta però sono impresse da profughiafghani, pachistani, somali, iraniani, bengalesi, chetutti i giorni tentano di attraversare il confine con laSerbia e andare dritti a nord, verso l'Ungheria e poil'Austria. Il nord della Macedonia sta diventando unnuovo avamposto nella rotta dei flussi migratorieuropei. A Lojane vivono accampati centinaia dimigranti. Tra i 500 e i 600, secondo quanto dicono gliabitanti del villaggio e i media locali. Ogni seratentano di attraversare il confine. Il villaggio degliimmigrati I primi migranti asiatici e africani sonoarrivati in questo angolo dei Balcani meridionali dueanni fa. La loro presenza cresce esponenzialmente,mese dopo mese. Dormono nelle stalle, oppureospiti dei contadini. C'è chi si rifugia nelle casesfollate durante il conflitto del 2001 o abbandonatedagli albanesi emigrati in Svizzera e Germania.«Sono almeno dieci volte che varco il confine ma iserbi mi trovano e mi respingono indietro», spiegaun ragazzo pachistano circondato da altri quattrocompagni, pachistani anche loro. Si riparanoall'entrata di Lojane, fra i pilastri di cemento d'unapalazzina vuota come un guscio. «Non ci sono più isoldi per continuare. Il nostro viaggio per ora è finito.Torniamo ad Atene, a cercare un lavoro eguadagnare qualcosa. Sappiamo dai nostriconnazionali ancora in Grecia che là la situazione èdrammatica, ma non ci resta scelta», raccontanointirizziti. Nella taverna Dahili, a due passi dallamoschea, il via vai di migranti è continuo. «Vengonoa mangiare e a prendere un po' di caldo. Siamogente di cuore, noi albanesi. Li accogliamo gratis,qualcuno magari affitta loro un giaciglio per cinqueeuro a notte», racconta Vamos, il cameriere dellataverna, piena di pachistani e di giovani del paeseche consumano le loro giornate di disoccupazionenel locale. Alle pareti è attaccato un araldo conl'aquila a due teste dell'Albania. Ovunque a Lojane sileggono scritte che inneggiano al'Uck, l'esercito diliberazione del Kosovo. Una strada più in là, il piccolointernet point del villaggio è pieno di tunisini,algerini, iraniani e bengalesi. Attaccati a Facebook, sitengono in contatto coi familiari o i compagni diviaggio lasciati in chissà quale città durante il lorocammino, tra l'Asia meridionale e i Balcani.«Eravamo arrivati in Serbia due notti fa - raccontaun ragazzo algerino - dormivamo in un casolare. Lapolizia serba è entrata e ci ha cacciato a spintoni.Siamo stati riportati al confine e rispediti inMacedonia». Sulle strade di fango del paese gruppidi iraniani si affacciano dagli usci delle case doveattendono rintanati. Altri camminano in fila indiana.Entrano e escono da Lojane, diretti al confine, versola campagna. Mossi come pedine dagli smugglers, itrafficanti di uomini che fanno arrivare i migranti quifin dalla Grecia e dalla Turchia. Lojane, dopo ildisfacimento dell'ex Jugoslavia, è presto divenutauna base logistica della migrazione irregolare. Nelcorso degli anni 2000 è stata al centro della trattadella prostituzione. I trafficanti di esseri umani vifacevano transitare le ragazze est europee diretteverso i night club e i postriboli nell'ovest della

Macedonia. Poi ci sono passati i cinesi. Arrivavano inRussia in aereo e gli smugglers li portavanoillegalmente a Lojane da dove poi venivano trasferitiin Grecia e quindi in Italia. Questo traffico è statosconfitto dalla polizia macedone nel 2008. Icontrabbandieri di uomini «Li conosco uno a uno glismugglers che stanno facendo arrivare asiatici eafricani. Vivono a Lojane ormai da anni. Ho il loronumero di cellulare. Anche loro sono immigrati». Ilsindaco del villaggio, Shpend Destani, agitato tirafuori dalla sua agenda un foglio stampato dopol'altro e denuncia: «Guardate qui, sono tutterichieste di aiuto che ho spedito a Skopje. Lasituazione è critica. Ogni tanto scoppia una rissa framigranti. C'è chi ruba anche nelle case. Ma algoverno macedone non interessa di noi. Non si èancora vista una organizzazione umanitaria o unpresidio stabile delle forze dell'ordine». 50 km piùsud, negli uffici del Ministero dell'Interno a Skopje,incontriamo Sande Kitanov, capo dell'Unità per ilcontrasto di traffico di esseri umani e losfruttamento dell'immigrazione illegale: «Primafronteggiavamo l'entrata irregolare degli albanesiche attraversavano la Macedonia per andare alavorare in Grecia. Questo flusso oggi si è fermato,anche in seguito alla crisi. Ora siamo di fronte a unnuovo fenomeno. Il nostro Paese è attraversato daimigranti asiatici e africani diretti a nord - spiegaKitanov -. Entrano dalla Grecia, dalla linea di confineintorno al passo frontaliero di Gevgelija. Vegonoaccompagnati sul confine dagli smugglers di base inGrecia, immigrati come loro. Una volta oltre confinepuntano diretti verso Lojane, a nord, in macchina. Iltragitto è di 200 km e si fa in due ore. La Macedoniaè la via più veloce da percorrere per chi va versol'Austria. Se attraversassero la Bulgaria tuttodiventerebbe più lungo. Gli spostamenti sonoorganizzati da gruppi criminali di etnia albanese, magli autisti sono macedoni. A Lojane, sul confine, moltiabitanti del posto mettono poi a disposizione le loromacchine per accompagnare i migranti verso ivalichi più sicuri e nascosti. Per attraversare laMacedonia da sud a nord ogni migrante spende tra i300 e i 500 euro». Una volta a Lojane, si prova aoltranza a eludere i controlli alla frontiera perproseguire verso Belgrado, Budapest e poi Vienna. Ilnumero delle persone intercettate dalla polizia serbae respinte in Macedonia è sconosciuto, «un buconero», spiega Kitanov. Il nuovo vettore del sud estChe il passaggio attraverso la Macedonia sia inaumento, lo dimostra anche che il numero dirichiedenti asilo politico si sia decuplicato da unanno all'altro. Nel 2011 le domande sono state 856.Nel 2010 erano 174, due anni prima 96. «Una voltaintercettati, tutti i migranti fanno richiesta perdiventare rifugiati e così finire nel Centro perrichiedenti asilo», spiega Zoran Apostolovski, ildirettore del Centro, aperto a Skopje da due anni. «InMacedonia c'è un centro di detenzione per migrantiirregolari, a Gazi Baba. Ma è sempre vuoto, dato chetutti fanno richiesta per diventare rifugiati». Lastruttura d'accoglienza per richiedenti asilo è aperta,si può entrare e uscire, ci si può allontanare.Succede così che scappano tutti, per proseguire illoro viaggio. «Non si è fermata nessuna delle 856persone che l'anno scorso avevano chiesto didiventare rifugiate. Tutte hanno deciso di continuareil loro viaggio clandestino prima di vedere se la lorodomanda sarebbe stata accettata. Ogni giorno

Pagina 9 di 22

Page 10: News of the_world_18_03_12

arrivano tre o quattro nuovi richiedenti e altrettantise ne vanno. Nel centro non ci sono più di 100persone alla volta», racconta Apostolovski. Intantoanche in Serbia le domande di asilo politico sonosestuplicate fino a raggiungere le 3000 in un anno.Segno tangibile che anche quella nazione èdiventata terra di attraversamento migratorio. Ilrafforzamento del nuovo vettore balcanico è unaconseguenza di quanto sta accadendo in Greciadove, nel 2011, sono entrati 55mila migrantiirregolari (dati del Frontex). La porta è a est, sulfiume Evros, ai confini con la Turchia. Una volta inGrecia, i migranti tentano di arrivare in Europaimbarcandosi di nascosto a Patrasso o aIgoumenitsa, nei traghetti per Brindisi, Bari, Anconae Venezia. Attualmente, però, questo vettore èsempre più controllato. A Patrasso è stato inauguratoun nuovo porto, fuori città. Le banchine dove si salpaper l'Italia sono difficilmente raggiungibili. Così comea Igoumenitsa la polizia ha smobilitato gliaccampamenti di migranti sulle colline sopra la città.Dinnanzi al rafforzarsi delle nuove barriere qualchesmuggler usa per il trasporto degli yacht privati chesbarcano in Puglia. Oppure il tragitto alternativo,sempre più battuto, guarda verso i Balcani. diMARCO BENEDETTELLI LOJANE

Violentata, sposata a forza, si uccide

16/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Costretta a sposare l'uomo che l'aveva violentata eche, grazie a quel matrimonio, era riuscito a sfuggireal carcere, una sedicenne si è suicidata in Maroccoinghiottendo veleno per topi, secondo quantodenunciato da una ong marocchina per i diritti delledonne. «Amina al-Filali è stata violentata e si èsuicidata la scorsa settimana a Larache, vicino aTengeri, nord del Marocco, per protestare contro ilmatrimonio con il suo violentatore«, ha detto FouziaAssouli, presidente della Lega democratica per idiritti delle donne, con base a Casablanca. Per lostupro il codice penale prevede pene fra i 5 e i 10anni, fino a 20 se la vittima è minorenne. Ma unarticolo consente di fatto che in caso di matrimonio"riparatore" con la vittima «il violentatore scampialla prigione». L'articolo del codice penale nascondeil termine «stupratore» con quello di «rapitore». Persabato sono state convocate manifestazioni diprotesta.

L'Onu: «Un'operazione Natoimpensabile»

16/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

L'unica speranza, per quanto labile, è la missione diKofi Annan per una «soluzione negoziata»Finalmente due parole sensate: «Un'operazione Natoin Siria è impensabile». A dirlo il presidente dellaCommissione Onu di inchiesta sulla Siria, PauloSergio Pinheiro, in un incontro con la stampa ieri aBruxelles. «Pensiamo che un intervento militare nonavrebbe successo: le vittime non sarebberocentinaia ma migliaia. Cerchiamo di essere più sobrisu questo punto. La comunità internazionale devedare il suo pieno sostegno a Kofi Annan». Per

Pinheiro, alcuni Stati «dovrebbero astenersi dalpraticare lo "scetticismo automatico"» verso lamissione di Annan, appena all'inizio, perchè «l'unicasoluzione è il dialogo». Senza contare poi che leforze armate in Siria «non sono un'armataBrancaleone», come potevano essere quelle libiche«e la catena di comando è rimasta intatta» dopo unanno di rivolta (nonostante le notizie ricorrenti sulladiserzione di qualche generale). «Aumentare lamilitarizzazione e fornire armi non è una soluzione»,ha aggiunto Pinheiro, riferendosi all'eventualerifornimento di armamenti all'opposizione. «Per noiquello che rimane centrale - ha concluso - è laprotezione dei civili» e quindi puntando sul cessate ilfuoco e sull'accesso degli aiuti umanitari. I primi duepunti su cui sta lavorando Kofi, con il terzo a seguire:negoziati fra tutte le parti del conflitto. Le stesseparole del segretario generale Ban Ki moon: governoe opposizione (attenzione: anche l'opposizione)fermino le violenze e cooperino con Kofi Annan pertrovare una soluzione negoziata alla crisi. Appelloanche di 200 gruppi che si occupano di diritti umani,alla «comunità internazionale» perché «si unisca»(ossia a Russia e Cina perché rinuncino a veti edistinguo) e «aiuti i siriani a metter fine all'orrore» edia il suo «pieno sostegno» a Kofi. Per il momentouna «missione umanitaria» formata da governosiriano, Onu e Oci (l'Organizzazione per lacooperazione islamica) inzierà entro la settimanauna visita in diverse città siriane colpite dalla guerra(Homs, Hama, Deraa) per valutare la situazione. Ilconflitto e le violenze che non cessano (anche ieri imorti sarebbero decine, secondo le fontidell'opposizione) ingrossano il flusso di profughisiriani che cercano scampo nei paesi vicini: Libano,Giordania e soprattutto Turchia (dove sono già più di15 mila ma se ne temono addirittura mezzo milione).Un vicepremier turco, Besir Atalay, ha accusatoDamasco di disseminare di mine le zone di confine.Affermazioni non confermate da fonti indipendenti.Tanto più che da anni le mine erano (o forse sonoancora) piazzate su entrambi i lati del confine. Ieriera l'anniversario dello scoppio della rivolta, il 15marzo 2011, e il regime - che si sta dimostrando piùsolido e tosto di quello gheddafiano - ha organizzatograndi manifestazioni a Damasco, Aleppo, Latakia ealtre città in appoggio ad Assad. Due giornalistiturchi «dispersi» sarebbero stati presi dalle miliziedel regime Shabiha e passati all'intelligence siriana.Ieri, dopo Italia, Francia, Spagna, Usa, Arabia sauditae Bahrain, anche l'Olanda (in segno di «repulsione difronte all'atroce violenza del governo siriano») hachiuso l'ambasciata a Damasco. La guerra continua.di m.m.

Karzai fa il duro: «Yankee go home»

16/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

E i taleban annunciano la sospensione dei negoziaticon gli Usa Sono arrivate ieri le reazioni più temute -quelle politiche - alla strage compiuta dal sergenteamericano che nella notte tra sabato e domenica haucciso 16 persone, tra cui nove bambini, nellaprovincia di Kandahar. Durante un incontro con ilsegretario alla difesa Usa Leon Panetta, il presidenteafghano Hamid Karzai ha infatti dichiarato di volerassumere la sicurezza del paese già nel 2013, un

Pagina 10 di 22

Page 11: News of the_world_18_03_12

anno prima di quanto previsto finora dai vertici Isaf-Nato, e ha chiesto che i soldati stranieri impiegatinegli avamposti delle aree remote vengano trasferitinelle loro basi principali. Nonostante le apparenze, èdifficile che Karzai abbia mostrato i muscoli a LeonPanetta, che mercoledì è scampato di poco a unattentato, quando è atterrato con il suo aereo nellabase di Camp Bastion (ieri l'attentatore, che guidavauna macchina finita in fiamme, è morto). Piùprobabile, invece, che i due abbiano concordatol'iniziativa, conveniente per entrambi: già due giornifa il New York Times segnalava l'impazienzadell'amministrazione Obama di accelerare il ritirodall'Afghanistan, aumentando il numero dei soldatiche lasceranno il paese alla fine del 2012. Quanto aKarzai, è consapevole di non essere in grado digestire la sicurezza, ma ora gli fa comodopresentarsi - almeno a parole - come il protettoredell'«indipendenza» del paese, di fronte a unapopolazione sempre più insofferente verso le truppestraniere. Lo dimostrano, tra le altre cose, imanifestanti che nei giorni scorsi sono scesi instrada a Kabul, Jalalabad e Qalat (cittadina nonlontana dal luogo della strage) per chiedere che ilcolpevole della carneficina fosse affidato allagiustizia locale, anziché a quella degli Stati uniti. Laloro richiesta resterà lettera morta: quel soldato -membro del Combat Team della terza StrykerBrigade della seconda Divisione fanteria - è già statorimpatriato. Secondo il capitano John Kirby, uno deiportavoce del Pentagono, in Afghanistan gliamericani «non hanno strutture adeguate pertrattenerlo più di quanto abbiamo fatto». Eppure,continuano a gestire diverse prigioni, come il ParwanDetention Centre nella base di Bagram, la cuiresponsabilità passerà agli afghani solo tra qualchesettimana, dopo un estenuante braccio di ferro traKarzai e le autorità americane. A questo puntoanche i negoziati tra Stati uniti e Afghanistansull'accordo di partenariato di lungo periododiventano più complicati. Ma l'accordoprobabilmente si farà. Come ha notato ThomasRuttig, analista politico di Afghanistan AnalystsNetwork, è fondamentale sia per Karzai, incapace ditenersi sulle proprie gambe, sia per gli americani,che dovranno controllare da vicino Iran, Pakistan eAfghanistan anche dopo il ritiro. Non è un caso che,con un'intervista all'emittente televisiva Tolo, ancheil rappresentante civile della Nato a Kabul, SimonGass, ne abbia ricordato la reciproca convenienza.Per poi ammettere che, nelle condizioni date, allaNato non è più possibile parlare di vittoria: la finedelle ostilità - ha sostenuto Gass - non può cheavvenire «tramite un processo politico, dove perdefinizione non ci può essere una sconfitta e vittoria,altrimenti non si può raggiungere alcun accordo».L'accordo però si allontana: con una dichiarazioneufficiale, i taleban ieri hanno fatto sapere di volersospendere i negoziati con gli americani, accusati diavere un atteggiamento incoerente. Secondo i"turbanti neri", gli americani sarebbero tornati suiloro passi, mettendo in discussione accordi già presirelativi all'apertura di un ufficio politico in Qatar e altrasferimento di alcuni prigionieri da Guantanamo aDoha. Inoltre, negano che ci siano state trattativedirette con l'amministrazione Karzai. Per i seguacidel mullah Omar, che si presentano come un attore«con politiche trasparenti, competenze precise e unpiano di lungo termine per ogni questione rilevante»,

finché ci saranno le truppe d'occupazione, parlarecon Karzai è una perdita di tempo. E anche parlarecon gli americani, fin quando non si decideranno arispettare gli impegni presi. di Giuliano Battiston

Ogm, il ministro Clini sta con le lobbybiotech

16/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Superficiale. Sconcertante. Preoccupante.Discutibile. Insensato. Fuorviante. Sono solo alcuniaggettivi che qualificano la prima uscita ufficiale delministro dell'Ambiente Corrado Clini, il quale hascelto di farsi intervistare dal Corriere della Sera persponsorizzare gli organismi geneticamentemodificati (Ogm). A parte l'incompetenza dimostratacitando alcuni esempi di colture tradizionalispacciate per prodotti transgenici (il riso Carnaroli, ipomodori San Marzano, la cipolla rossa di Tropea),colpisce che il ministro dopo una gita a Bruxelles - ilcovo privilegiato delle lobby biotech - abbia deciso disostenere una proposta che «ha l'effetto di riaprire inEuropa le iniziative legate agli Ogm, e più ingenerale gli investimenti in ricerca e sviluppo suitemi legati alla biotecnologie ed all'ingegneriagenetica». Clini la pensa così: «L'opposizione agliOgm in Italia ha avuto l'effetto di deprimere laricerca, nonostante le grandi competenze presentinel nostro paese». Un'opinione personale (o digoverno?) che contraddice il parere espresso daquasi tutte le regioni italiane, da più di 300 sindaci,dalle principali associazioni agricole, dalla grandedistribuzione, dalle industrie, dalle associazioni deiconsumatori e dai milioni di cittadini che nel 2007 sisono espressi con un no secco rispondendo a unquesito della Coalizione Liberi da Ogm. Lavalutazione del ministro Clini - da sempre fan degliOgm - ha ricompattato il fronte ecologistaframmentato che si batte contro l'invasione dellemultinazionali biotech nel sistema agricolo italiano.Ma, soprattutto, ha colto di sorpresa il ministrodell'Agricoltura, Mario Catania, che fino a provacontraria dovrebbe essere il titolare della questione.«Non condivido l'intervista rilasciata da ministro Clinisul tema degli Ogm, si tratta di una posizionepersonale, l'Italia non ha bisogno di organismigeneticamente modificati», ha precisato Catania.Quanto alla proposta partorita dalla Commissioneeuropea che avrebbe «illuminato» Clini, precisaCatania, «accresce l'autonomia dei singoli stati equindi la reputo assolutamente positiva». Cioé:l'Italia ha deciso di non coltivare Ogm. A meno che ilgoverno Monti, e l'uscita di Clini fa pensare male,non abbia intenzione di ripensarci. E, comunque, nonè un caso se le prime frizioni tra ministri «tecnici» sisono registrate su questo tema. Il ministro Clini, daparte sua, ha cercato di metterci una pezza con unaprecisazione poco convincente: «Fermo restando laposizione italiana in merito al divieto dell'impiegodegli Ogm in agricoltura, credo che sarebbeinsensato continuare a tenere il freno alla ricerca».Slow Food, dopo aver smontato le due o tre«inesattezze» scientifiche improvvisate da Clini (inrealtà ha solo ripetuto alcuni slogan usurati dellelobby biotech) se l'è presa piuttosto male.«L'approccio superficiale e confusionario in tema diOgm che emerge dalle parole del ministro - dice il

Pagina 11 di 22

Page 12: News of the_world_18_03_12

presidente Roberto Burdese - ci preoccupamoltissimo anche perché si accompagna a unamancanza di azione in ambiti molto più urgenti e dicompetenza di questo ministero». Federica Ferrario,responsabile della campagna Ogm di Greenpeace,ha buona memoria e ricorda che le sperimentazioniOgm nel 1999 - ultimo anno in cui sono stateaffidate al dottor Clini - erano 182 per un totale di121 ettari, ma non appena gli è stata tolta lacompetenza sono scese a 38 per un totale di 3,87ettari nel 2000. Insomma, Clini ci sta semplicementeriprovando. Per Legambiente la posizione di Clini èincredibile. «Proprio nel giorno in cui agricoltori,associazioni e cittadini - si legge in una nota -scendono in piazza in difesa del made in Italy, ilministro dichiara al paese di voler assumere in sedeeuropea una posizione di apertura agli Ogm davveropreoccupante». Angelo Bonelli, presidente dei Verdi,pone un quesito cui dovrebbe rispondere ilpresidente del Consiglio: «Siamo esterrefatti, sullabase di quale mandato parlamentare il ministro hadeciso di modificare una posizione consolidatadell'Italia?». Non è un interrogativo ozioso,considerando che in questo parlamento, tra le altresciagurate cose, si annida anche una potente lobbypro Ogm. Bipartisan. di LUCA FAZIO

Né inchini né inClini agli Ogm

16/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Nel suo andamento carsico, la vicenda Ogm ètornata recentemente alla ribalta grazie a un rilanciodanese sul tavolo del Consiglio Europeo Ambiente ealle temerarie posizioni del ministro Clini. Tema indiscussione, la coltivazione di varietà transgenichenei sistemi agrari del continente e le prerogative -vere o presunte - dei Paesi membri dell'Unione divietarne la semina. Aveva riaperto le danze due annifa il presidente della Commissione Europea Barrosoquando, per cercare di sbloccare l'empasse delsistema autorizzativo per Ogm destinati allacoltivazione, aveva avanzato la proposta diammettere divieti nazionali, seppure a determinatecondizioni. Gli Ogm rappresentano infatti in Europauna questione di forte sensibilità pubblica rendendo igoverni riluttanti ad aprir loro le porte e laCommissione Europea, che regolamenti alla manopuò dire l'ultima parola sulla loro approvazione,timorosa sul via libera, almeno per la semina. Lostallo si trascina da anni, con la sola autorizzazionealla coltivazione di una patata transgenica destinataall'industria di carta e colle, approvata dallaCommissione dopo lunghi contenziosi e piantata inuna manciata di ettari nelle sole Svezia e Germania.Serviva dunque una spallata e il governo danese, nelcorso della sua presidenza di turno dell'Unione e diconcerto con Bruxelles, ha provato il gioco delle trecarte: ammettere divieti totali o parziali dei singoliStati, ma caso per caso e previa negoziazione con lamultinazionale di turno (un'aberrazione giuridica:una transazione tra uno Stato e un'impresa, dovenon sarebbe neanche chiara la contropartita) esenza poter invocare motivazioni di carattereambientale, verosimilmente le più consistenti data ladiversità di contesti ecologici europei. Al gioco delletre carte partecipano di solito il mazziere, deicomplici e il pollo da fare fesso. Identificato il

mazziere e in flagrante assenza dei fessi, vistal'alzata di scudi di agricoltori, ambientalisti econsumatori, ha destato scalpore in Italia laposizione del ministro Clini che da Bruxelles rendevanoto il suo favore alla proposta danese. Non proprioun coming out, visto che all'epoca del suoinsediamento come Ministro aveva già plauditoall'ingegneria genetica, ma stupiva la decisione difarsi interprete al tavolo europeo di una disponibilitàdel nostro Paese. Un atto vano, comunque, visto chenon si è raggiunta alcuna mediazione per l'ostinatacontrarietà di diversi governi, tra difensori dell'Ogm-free e paladini del mercato unico e della liberacircolazione delle merci in seno all'Unione. L'inutilesacrificio richiedeva forse un'orgogliosarivendicazione e la tribuna offerta da un'intervista alCorriere della Sera ha consentito al Ministro diostentare fiducia verso «i molti benefici che puòportare l'ingegneria genetica», e di ritenere infondatii timori che questa possa «snaturare i nostri prodottitipici». Che anzi ne trarrebbero un salvificovantaggio, tanto che bisogna rilanciare la ricerca nelsettore, pur non essendo questa materia di suacompetenza. Come dire: si punta forte su una cartasenza vedere, tanto si vince comunque. Chi al giocodelle tre carte sembra non voler partecipare èinvece il ministro dell'agricoltura Catania che, nelcorso di una conferenza stampa al cospetto dellaCommissaria Europea alla Pesca, ha criticato Cliniper aver espresso favore all'introduzione di Ogmnell'agricoltura italiana. Ambiente e sistemi agrarisono le due principali aree di impatto degli Ogm e irispettivi ministri, tecnici o politici che siano,dovrebbero dimostrare non solo unità di intenti, masoprattutto di avere a cuore la tutela del propriosettore di competenza e l'interesse della collettività.Che in Italia e in Europa ha costantemente espressoostilità all'introduzione del transgenico nei campi enei piatti. P.s. Se poi il Ministro Clini ci tenesseproprio alla ricerca agricola, perché non si adoperaper ripristinare il fondo del 2% di prelievo sullevendite di pesticidi a favore della ricerca inagricoltura biologica, da troppi anni ormai personelle nebbie e nei silenzi di fronte alle relativeinterrogazioni parlamentari? *segretario dellaFondazione per la Ricerca in Agricoltura biologica ebiodinamica (Firab) di LUCA COLOMBO *

I predatori dell'oceano

16/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Altroché pirateria: è un saccheggio in grande stilequello che si consuma lungo le coste dell'Africaoccidentale. Un affare nell'ordine di grandezza delmiliardo e mezzo di dollari l'anno. È la pesca illegale:l'oceano di fronte all'Africa occidentale è uno dei piùpescosi del pianeta, con grandi riserve di cernie,dentici, sardine, maccarelli, gamberi. Ma proprio perquesto è anche zona di incursione per intere flotte dienormi pescherecci stranieri che fanno razzia,pescando anche in zone protette, nel maresottocosta riservato alla pesca artigianale, magaricon reti a maglie più piccole di quanto prescritto ecomunque senza licenze. Una pesca selvaggia,possibile un po' grazie alla corruzione di cui siaccompagna, un po' perché i paesi che ne sonovittima, dalla Costa d'Avorio alla Sierra Leone, Mali e

Pagina 12 di 22

Page 13: News of the_world_18_03_12

altri, non hanno il personale e gli equipaggiamentiper fermare i pescherecci abusivi. Tanto che un altofunzionario della Fao, David Doulman, ieri dichiaravaall'agenzia Reuters che «la pesca illegale in Africaoccidentale è fondalmentalmente fuori controllo».Un'organizzazione ambientalista londinese, laEnvironmental Justice Foundation, in uno studio hacercato di descrivere questo saccheggio. Gran partedella pesca illegale è condotta da grandi peschereccibattenti bandiera cinese, sudcoreana o di paesieuropei, spiega (li definisce Iuu, illegal, unreported,unregulated - illegali, non segnalati e privi dilicenze). Pesce proveniente dall'Africa occidentale èstato visto ad esempio nei mercati di Londra, inscatole «con il logo della Cnfc, azienda statalecinese proprietaria di numerosi pescherecci Iuu cheoperano nel golfo di Guinea». L'Unione europea fasapere che sta studiando un sistema di certificazioniper impedire che roba pescata illegalmente finiscasul mercato. Lo studio spiega come il pesce presoillegalmente sottocosta (zona riservata alla pescalocale) viene poi travasato in altomare su altripescherecci con magazzini frigoriferi, spesso cinesi oeuropei, che poi lo rivenderanno come se l'avesseropescato in altomare. È un giro d'affari notevole: gliStati uniti e l'Unione europea stimano che la pescaillegale ammonti ogni anno al valore di 23 miliardi didollari in tutto il mondo. E la proporzione più alta diquesta pesca illegale, il 37 per cento, avvieneproprio nel mare dell'Africa occidentale. I paesicoinvolti non riescono a fermare questo saccheggioin parte per la mancanza di mezzi: pochemotovedette e poco personale per intercettare leflotte illegali. In parte perché le norme non sonoadeguate, le multe ridicole. Peggio ancora, per lacorruzione: si parla di pescherecci che si compranol'impunità "oliando" autorità doganali e di sicurezzacon tangenti di solito di qualche migliaio di dollari. Ipescatori locali sono i più direttamente danneggiati,perché i grandi pescherecci drenano il meglio: econsiderato che la pesca rappresenta circa unquarto dell'occupazione in Africa occidentale,secondo la Fao, è chiaro che le incursioni dipescherecci illegali sono la causa direttadell'impoverimento delle popolazioni costiene dallaMauritania in giù. A volte i pescatori locali diventanoparte dell'impresa illegale: con le loro barche piùpiccole fanno da tramite in zone troppo vicine allacosta per entrarvi con i grandi pescherecci. LaReuters cita il caso di pescatori senegalesi con leloro piroghe: escono dal porto di St. Louis, vengonoissati a bordo da un peschereccio sudcoreano eportato per migliaia di chilometri, fino ai terreni dipesca del Gabon: la mattina sono calati in mare,pescano sottocosta, la sera tornano a bordo ericevono un prezzo scontato per il loro pescato.Inutile biasimarli, in fondo sono l'ultima pedina di ungigantesco affare illegale. di PAOLA DESAI

Marsiglia: acqua bene comune

16/03/2012 di Maurizio Gubbiotti (sbilanciamoci)

A Marsiglia migliaia di attivisti contestano ilavori del World Water Forum, che riunisce igoverni e le corporation dei servizi pubblici. Echiedono che l'acqua sia un diritto e un bene

comune

E’ stata una sessione molto interessante epartecipata quella che ha aperto il Forum alternativodell’acqua a Marsiglia, proprio mentre quello delleistituzioni, organizzato dalle multinazionalidell’acqua, era a due passi dal fallimento, in parteannunciato. A fronte di una presenza quasi nulla alvertice delle multinazionali, soprattutto in confrontoal precedente di Istanbul, sono stati molto più visibilii delegati e le iniziative dei movimenti sociali tra lestrade di Marsiglia.

Da subito si è posta la voglia e la necessità di faruscire il movimento degli “acquiferi” dal rischio di unpo’ di monotematismo e autoreferenzialismo,valorizzando le tante similitudini tra la nascita delprimo Social Forum Mondiale, che contestava edenunciava l’illegittimità dell’appuntamento deglieconomisti a Davos, e il Forum alternativodell’acqua, che si oppone, denunciandonel’illegittimità, a quello dove le istituzioni vengonoportate dalle multinazionali. E quindi la possibilità digiocare un protagonismo sempre più forte nellarimessa in discussione di tutti i modelli, economico,energetico, di globalizzazione che fino ad oggi cigovernano.

Mentre continuano a giungere persone, 2000 soloquelle che si sono iscritte online, le aspettativesembrano quindi rispettate, e subito nellediscussioni emerge la voglia di consolidare questomovimento anche a livello europeo con un impegnoforte dei movimenti, del sindacato, delleassociazioni. Piuttosto numerosa e accolta con moltofavore la presenza del movimento italianodell’acqua, che, forte della capacità di rete capillaree della vittoria referendaria travolgente, rappresentaormai un punto di riferimento per Spagna,Portogallo, Grecia. E così mentre il sindaco di RomaAlemanno continua a farneticare di nuove quote davendere ai privati dell’Acea, l’azienda dell’acquadella Capitale, infischiandosene del volere deicittadini, l’elaborazione del movimento avanza e sicontamina sempre più. Tanti momenti di discussionesu come lavorare tutti insieme verso l’appuntamentodi Rio+20 del prossimo giugno in Brasile, ma ancheposizioni molto avanzate del mondo agricolo,presente ormai autorevolmente dentro il movimentodell’acqua, e che ad esempio oggi parla non più solodi diritto all’acqua ma dell’acqua.

Tuttavia, sono presenti esigenze molto diverseperché le realtà dell’America Latina, molto presenti,hanno la necessità di combattere situazioni comequella del Brasile, che da solo custodisce almenol’11% dell’intero patrimonio di acqua dolce delpianeta ma vede 54 milioni di persone senzaaccesso all’acqua, o la rete colombiana deimovimenti, che ha raccolto ben 2 milioni di firme perrichiedere un referendum contro la privatizzazione,ma vede tutto vanificato dal proprio Senato. Oppurerealtà come quella francese, dove l’esperienza diripubblicizzazione da parte della municipalità diParigi dimostra che un’altra strada è possibile, oquella di altri Paesi come il nostro dove forse oggi sigioca la battaglia più dura: far rispettare la volontàpopolare espressa nel referendum. Un Forum dovecoesione e contaminazione tra movimenti, temi,

Pagina 13 di 22

Page 14: News of the_world_18_03_12

esperienze e sfide possono essere le parole chiave.Strade non facili ma in gran parte obbligate.

Storia di Abdou ucciso dal Cie

16/03/2012 di stefano galieni (controlacrisi)

Dentro i cie si muore, a volte si muore anchedopo esserne usciti, per le cicatrici indelebililasciate da un luogo in cui regna la violenza

Ha aperto la finestra dal terzo piano della casa in cuiera ospitato, si era tagliato le vene con una lamettapochi minuti prima, si è gettato nel vuoto e dopopoco più di un ora la vita lo ha abbandonato. «Eragià un morto che camminava – racconta un ragazzoche lo ha conosciuto – ma un tempo non era così,aveva 28 anni». Abdou Said era arrivato in Italia aluglio, egiziano, aveva attraversato la Libia e poi erasbarcato a Lampedusa a cercare fortuna, insieme asuo fratello. Ad agosto era già recluso nel Cie diPonte Galeria, nei pressi di Roma. Allora aveva tuttala forza della sua giovane età, l’aggressività di chinon accetta di stare in gabbia senza ragione,insieme ad altri aveva tentato la fuga ma era statoripreso. Secondo varie testimonianze era statoriportato in cella con evidenti segni di percosse e daquel giorno non era stato più la stessa persona. «Nnci vedeva da un occhio, aveva problemi di equilibrioed evidenti danni psichici – racconta l’avvocatoSerena Lauri che ne aveva assunto la difesa – glihanno dovuto dare psicofarmaci sotto indicazioneper tentare di farlo riprendere, nel frattempo avevachiesto protezione umanitaria, al diniego era seguitala sospensione del provvedimento di espulsione mastava male, veramente male». Tanto male che neera stato disposto il rilascio con un foglio di via chegli intimava di lasciare entro 7 giorni il territorionazionale. Non basta, secondo voci non confermate,era finito sotto processo per resistenza a pubblicoufficiale, accusato di aver aggredito un agente,l’ennesimo colpo ad una persona in pienadepressione e ancora traumatizzato. Chi dovevacurarne il percorso fuori?«A mio avviso dovevaessere seguito da personale medico – affermal’avvocato – L’ente gestore e la Asl potevanorivolgersi ad una delle tante reti di supporto cheesistono a Roma, poteva intervenire anche l’ufficioimmigrazione. Il responsabile per il centro di solito èmolto attento a questo ma stavolta qualcosa èmancato e Abdou è stato lasciato praticamente dasolo. Un medico lo ha accompagnato a casa e poi piùnulla». Alcuni amici raccontano che era statoraccomandato a chi lo ospitava di non lasciarlo maida solo ma è bastata un ora per permettere checompisse una scelta così disperata. Ora il fratello,anch’esso rinchiuso nel centro, è stato rilasciatoquando ancora non si sapeva della morte e staseguendo le pratiche tristi insieme al consolato. Sicerca di rimandare in patria la salma ma in questicasi sarà necessario procedere ad un esameautoptico per capire se possibile le condizioni in cuiera Abdou al momento della morte. Oggi è stata

giornata di tensione nel centro. Rimpatri in massaattuati per bloccare la rivolta scoppiata fra i detenutinell’apprendere la notizia. Molti sono in scioperodella fame e si minacciano altre azioni di protesta. Ilcentro è presidiato e molti fra i magrebini hannoiniziato lo sciopero della fame. Le notizie filtranorare, altro che trasparenza nei centri, intanto ladetenzione ha fatto un'altra vittima. Torneremopresto su questa vicenda per tenere informati sullosviluppo, se ce ne saranno, delle indagini.

Sucre: un nome e un programma

15/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Qualche analogia e molte differenze fra l'euro e il«sistema unitario di pagamento a compensazioneregionale». Marx? «Basta Keynes...» Manuel Ceresal,docente all'Università bolivariana di Caracas, è uneconomista trentaquattrenne di origine belga moltoascoltato dal presidente venezuelano Hugo Chávez.Membro del Centro studi di economia politica, halavorato al progetto sucre, la piccola monetacomune messa in campo dai paesi dell'Alba(l'Alleanza bolivariana per i popoli della nostraAmerica). Antonio José de Sucre (1795-1830) è statoil luogotenente del Libertador Simon Bolivar e ilvincitore della battaglia d'Ayacucho (1824), cheportò l'indipendenza alle colonie spagnole delSudamerica. Sucre (Sistema unitario di pagamento acompensazione regionale) è oggi simbolo diindipendenza economica: in continuità col sognodella "Patria grande" per tutto il continente. Abbiamoincontrato Ceresal a Caracas, durante lapreparazione del vertice del blocco regionale -un'idea di Cuba e Venezuela, nata per consolidarel'integrazione del Sudamerica e dei Caraibi, il 14dicembre del 2004. L'Alba entra nel suo ottavo annodi vita. Cos'ha dimostrato fin'ora? È importantericordarsi l'inizio, il primo no all'Alca, l'Accordo dilibero commercio progettato dagli Stati uniti. Quelrifiuto opposto alla forma dominante del pensieroeconomico da Cuba e Venezuela ha aperto la stradaa un diverso atteggiamento oggi presente anche nelMercosur. I progetti dell'Alba, sostenuti dall'omonimabanca, sono di natura sociale e condotti sulla base diuno scambio solidale. In seguito al dispiegarsi dellacrisi capitalista, abbiamo concentrato gli sforzi sullanecessità di creare uno spazio finanziarioindipendente dal resto del mondo. E' impossibilefarlo completamente, però si può limitare ladipendenza nella prospettiva di una zona economicadi produzione e scambio allargata a quella cheChávez, riprendendo Bolivar, definisce la Patriagrande. Non tutti i governi che partecipano all'Alba,però, sono socialisti. Alcuni paesi caraibici hannousato questa grande possibilità di finanziamento perrimpinguare il loro bilancio. E questo non va bene,non vogliamo adottare in sedicesimo la logica delFondo monetario internazionale. I fondi comuniverranno gestiti dalla banca dell'Alba solo per losviluppo sociale. Siamo ancora stretti nellacontraddizione fra la vecchia architettura finanziaria,produttiva e commerciale, e il nuovo progetto. Ilproblema è che ci vorrebbero dei pesi massimi comeBrasile e Argentina, che invece non sono nell'Alba.

Pagina 14 di 22

Page 15: News of the_world_18_03_12

Per questo, il commercio interregionale è di soli 5miliardi l'anno: comunque, un seme di qualitàdiversa, che indica la rottura con modelli diintegrazione inefficaci, per via del loro carattereneoliberista. Sono convinto che ad avere politicheeconomiche centrate sull'economia reale, ci siguadagni. Non c'è bisogno di tornare a Marx, bastaKeynes. Che cos'è il Sucre, realtà o suggestione? Ilprogetto sucre è un Sistema unitario di pagamento acompensazione regionale, una piccola monetacomune che per ora è poco più che una realtàvirtuale. E' una unità di conto, la prima funzione deldenaro fra quelle descritte da Marx. Una unità dimisura che permette di calcolare il valore di scambiodei prodotti e di scambiarli, appunto, su larga scala.Si tratta di una moneta fiduciaria che non è ancorastata coniata. E rischia di non esserlo perché ledinamiche internazionali del sistema sono feroci... Ilsucre cerca di compensare i valori di transazione incorso tra i paesi dell'Alba all'interno di una camera dicompensazione virtuale, in base ai conti effettuatidalle banche che accettano i sucre, la monetadell'unità di conto. Queste banche acquistano deicoupon con la loro moneta locale senza ricorrere alladivisa internazionale, il sucre fa funzione di divisa dicambio. Abbiamo immaginato un sistema di scambiun po' più sovrano, non per rimpiazzare il dollaro maper essere un po' meno dipendenti: per ora duranteappena un semestre. Può fare un esempio? Allostato attuale, per sei mesi, quando Bolivia eVenezuela, o Bolivia e Ecuador, paesi dell'Alba,attuano una transazione, non si muovono dollari. Unimportatore venezuelano paga la bancacommerciale in bolivar, che ritornano alla Bancacentrale. Quest'ultima li scambia in sucre, stabilendoin quella unità il valore dell'operazione, e poi litrasferisce per via elettronica alla Banca centrale diBolivia che li converte nella sua moneta e regola cosìi conti con l'esportatore boliviano. In questo schema,i dollari non compaiono, però sulla carta il contrattofra Bolivia e Venezuela viene stipulato in dollari,perché è la moneta di fiducia. Continuiamo cosìperché i nostri paesi hanno bisogno di dollari freschiper onorare altri pagamenti internazionali:importiamo da altri paesi e nel sucre siamo solo inquattro. Per questo, ogni sei mesi siamo obbligati aristabilire le assegnazioni di sucre che avevamoall'inizio liquidando le posizioni marginali, leeccedenze o il deficit, in dollari. L'idea del sucre èche più tu arrivi a equilibrare il commercio nella zonaAlba, meno usi i dollari, se raggiungi unauguaglianza perfetta tra le tue esportazioni e leimportazioni non hai dollari da sborsare alla fine deisei mesi. Certo, se hai molto venduto, molto più diquanto hai comprato, e hai molto ricavo ineccedenza riceverai dei dollari, ma questo noivogliamo evitarlo, agendo sulle politichecommerciali. Perciò abbiamo creato altri strumentinel sucre: come il Fondo di riserva e convergenzecommerciali, un piccolo fondo destinato a finanziareprogetti produttivi che permettono di raffinare lematerie prime da esportare fra i nostri paesi. Unitàdi conto, camera di compensazione semestrale eFondo di riserva e convergenze commerciali sono ipilastri dell'Alba: uno spazio comune per invertire ladipendenza commerciale dal Nord, dovuta allacolonizzazione. C'è un rapporto tra l'idea originariadi integrazione economica europea e quella delsucre? In fondo, la nostra idea nasce dal dibattito

scaturito a ridosso degli accordi di Bretton Woods.Allora, Keynes spiegava che c'era bisogno di unsistema internazionale monetario e commerciale piùgiusto. Per questo, da un lato aveva proposto ilBancor, una unità di controllo a livello mondiale perconsentire la compensazione del pagamenti, comeavviene nell'Alba. Dall'altro, stabiliva che i paesipossessori di grandi eccedenze dovessero esseresolidali con quelli deficitari. Sarebbe però un errorecredere che il sucre si ispiri all'euro. L'euro intende ladialettica dell'integrazione con una sorta diidealismo della convergenza macroeconomica. Ipaesi della Ue si arrangiano per imbastire un trattatoche dica la stessa cosa di quel che diceva Maastrich,un patto dell'euro ma rafforzato: basato su unalogica punitiva, anche se nessuno compie lecondizioni stabilite. C'è una fissazione, volontarismodell'euro che ha stordito l'Europa. Se n'è voluto fareun simbolo culturale, oltre che un segno monetario.Jacques Delors, il padre dell'euro, nel suo rapportoaveva indicato che, oltre al patto di stabilità dellaBanca centrale, ci sarebbe stato bisogno di undiverso patto economico. Invece, la Banca centraleeuropea, oggi è più neoliberista, nella suaconcezione, della Federal Reserve, la quale haalmeno obbiettivi di crescita e impiego. Adesso,comunque, sia l'Europa che punta su misure diausterità, che gli Usa dove fanno marciare lamacchina stampa-biglietti, sono nella stessasituazione di stagnazione. E' la crisi del capitale .Quello di aver costruito un paniere di monete, unito ipaesi, suscitato un sentimento di appartenenza auna zona dell'euro, è stato un bell'esercizio, mal'euro è uno strumento del capitale. La Germania,che ha prestato soldi per 10 anni, a partiredall'eccedenza di cui disponeva in quanto potenzaindustriale, non si comporta come nel sistema diKeynes. In quel caso, avrebbe finanziato, ma senzaritorno economico, o allora avrebbe investito neipaesi dell'euro oggi in crisi. E oggi magari cisarebbero più imprese tedesche presenti in Italia,ma non banche tedesche rimaste a casa propria, cheperò chiedono di riscuotere i crediti che hannoinviato. L'euro ha quindi vizi di forma e di fondo nelmodo in cui è stato creato. Anziché lo sviluppo diuna politica produttiva dell'Europa, c'è stato quellodelle politiche di concorrenza, di un modello diintegrazione che ha relegato sia le questioni socialiche quelle produttive in secondo piano. E oggi,anche i fondi strutturali destinati a questo fine(1.000 miliardi) non sono paragonabili ai 400 miliardiimmessi nel fondo di stabilizzazione finanziaria. Quisi vede com'è concepita l'Europa del neoliberismo.Noi non possiamo permetterci di essere così idealisti,dobbiamo avere una dialettica dell'integrazione unpo' più marxista. In questo quadro, il sucre è moltopiù che una suggestione. di GERALDINA COLOTTI

Sulla Siria state sbagliando

14/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

LETTERE CRITICHE AL MANIFESTO SULLA VICENDASIRIANA Partite sporche Vi scrivo per esprimervi, dagrande ma non acritico sostenitore, il mio dissensoriguardo al modo nel quale state presentando sulgiornale la drammatica situazione in Siria. Ilmanifesto, che apprezzo per la volontà di scavare

Pagina 15 di 22

Page 16: News of the_world_18_03_12

nelle notizie internazionali, sta descrivendo unasituazione avviata verso il baratro della guerra civilefocalizzando esclusivamente sulle manovre politicheattuate dalle potenze europee e dagli Usa, alleatialle monarchie filo-occidentali del Golfo, non certorispettose dei diritti umani nemmeno dei lorocittadini, allo scopo di far crollare il regime di Assad,che ha la colpa di essere alleato allo "stato canaglia"Iran e di avere un governo laico e islamico-sciitacontro le petro-monarchie islamico-sunnite del Golfo.Per ottenere questo obiettivo, concludete, questacoalizione sta sostenendo con soldi e armil'opposizione armata al regime siriano, moltoambigua per la presenza di forze islamiste radicali, enon scarterebbe nemmeno l'opzione dell'interventomilitare, come già fatto contro la Libia. Sono uno diquei pacifisti che, assieme a tanti altri, ha semprelevato la propria voce contro le cosiddette guerreumanitarie, dall'Iraq al Kossovo all'Afghanistan allaLibia. Per quello che posso capire, penso anch'io chesulla pelle del povero popolo siriano si stannogiocando molte partite sporche, e non certo in nomedei diritti umani, della giustizia e della libertà. Ciòdetto, negli articoli che ho letto non viene dato alcunrilievo alle due questioni che un giornale pacifista ecomunista avrebbe dovuto considerare centrali.Prima di tutto, che alle proteste per chiederemaggiore libertà e giustizia, il regime siriano ha dasubito risposto con una violenza bestiale,scatenando i suoi temutissimi servizi segreti nellarepressione, e ciò ha inevitabilmente convinto unaparte dell'opposizione a scegliere la strada dellalotta armata, pericolosissima specie in una societàmultietnica e multiconfessionale come quella siriana;in secondo luogo, che lo spettacolo drammatico cui ilmondo sta assistendo ormai da giorni, ilbombardamento con l'artiglieria pesante di unesercito potente come quello siriano di interiquartieri di una città di 800.000 abitanti, Homs,perché in essi si annidano le forze armatedell'opposizione, è una vergogna e una barbarie chenon può essere in nessun modo sminuita osottaciuta. Mi sarei aspettato che il manifesto, difronte ai morti e al terrore causati da quelle bombeche cadono tra la popolazione civile (bambinicompresi, sappiamo che le bombe non sono moltointelligenti) non avrebbe avuto alcun dubbio aindicare chiaramente chi è il repressore e chil'oppresso, chi il macellaio e chi la vittima innocente.Ho letto invece con profondo dispiacere solo leallusioni ad un "gioco al rialzo" da parte delleorganizzazioni dell'opposizione siriana (della qualegiustamente evidenziate le divisioni, le ambiguità ele violenze verso i civili di altre comunità religiose)perché starebbero gonfiando le cifre dei morti,specie civili, allo scopo di creare una maggioreindignazione e reazione nella comunitàinternazionale. Tutti sappiamo che queste cosepossono succedere, che la prima vittima di ogniguerra è la verità, e che in una guerra civile - il tipopeggiore di guerra - la violenza viene commessa datutte le parti; ciò nonostante, chi vuole preparare ilterreno a un'umanità migliore dovrebbe direinnanzitutto, e con tutta la forza che ha, che i mortisono comunque tanti, troppi, diverse migliaia damarzo dello scorso anno, nessuno ne sa il numero, eche la gran parte sono stati sicuramente ammazzatidal regime, moltissimi civili, sembra centinaia dibambini. E che alla fine di un altro giorno di

bombardamenti dell'esercito di Assad ne siano mortialtri 50 o 100 o 200, a seconda delle fontid'informazione, non fa alcuna differenza: l'unica cosada dire è che è sempre un prezzo inaccettabile.Saluti pacifisti ed i miei più grandi auguri per ilvostro/nostro futuro. Carlo Villarini Ma qualeequidistanza Se non fosse così tragico sarebbe daridere. Mentre da settimane Homs è sotto le bombe,mentre da ormai un anno gli sbirri della famigliaAssad uccidono, rastrellano, torturano chi chiededignità e libertà, il manifesto continua con la sua"equidistanza" tra insorti e dittatura. In fondo ci sono"ammazzamenti da una parte e dall'altra" (14/2) o,cosa ovvia sul manifesto, nato tra stragi di Stato...,gli ordigni esplosivi che fanno strage «non sonocerto piazzati da agente del regime di Assad»(Marinella Correggia 27/1). Care/i compagni/e, altroche "equidistanza", tra chi si è ribellato al regime e ilregime degli Assad, gira e rigira, scegliete Assad. Ela linea delirante del Réseau Voltaire ben noto inFrancia per le sue tesi "complottiste" portate avantidall'11 settembre, e gli articoli di Silvia Cattori in cuiil sionismo diventa "ideologia ebrea". Bellacompagnia! Comunque al di là di questo squallore, lacosa politicamente grave è che non lasciate nessunospazio di dibattito a chi nell'opposizione siriana tutta(e basta con la barzelletta del Cns "venduto" e delCcn "puro"), e tra noi compagni/e si chiede comeportare avanti il sostegno a chi crepa sotto le bombepur di non vivere più sotto il ricatto del terrore e ilrifiuto di un intervento miltare esterno. Insomma, èimpossibile non farsi domande e cercare risposte.Quelle che riesco a darmi sono queste: a) Ilpacifismo di alcune/i che li porta ingenuamente aprendere per buone informazioni di chi il pacifismostrumentalizza. b) Assad "pro- palestinese" e chedunque va difeso. Peccato che abbia sempre usato laPalestina fare tacere la dissidenza interna e perindebolire i paesi limitrofi, finanziando a casa lorogruppi islamisti che massacrava in Siria. E che nonabbia mai fatto nulla di serio per recuperare il Golan.c) Un po' di veterocomunismo che vede ancora inCastro - e ora in Chavez - un campo "di sinistra" dasostenere. E Chavez ha dichiarato che il suo "amico"Assad è un "umanista". d) La paura per la stradaaperta dalle "primavere araba" ai gruppi islamisti. Equi, caro Matteuzzi, lascia che una vecchia e noiosainsegnante di francese ti ricordi che dopo la cadutadella monarchia (1789) ci vollero 90 anni moltotravagliati prima che la repubblica diventasse formadi governo stabile (1879) e 116 anni per arrivare allaseparazione di Stato e Chiesa (1905), senza parlarepoi del voto alla donne. E che dunque dichiararedopo neanche un anno la primavera araba morta, misembra un po' prematuro! e) Un'antiglobalizzazioneche vede nei Bric in ascesa un antidoto alneoliberismo imperante e si schiera dunque dallaloro parte. Tacendo che la Russia sta cinicamenteusando la crisi siriana per negoziare con gli Usa sulloscudo antimissili, e l'uso di Tartous. Altro chenegoziazione tra le opposizioni e Assad.... LilianaBoccarossa Come Ponzio Pilato Siria: quanti venerdìdi protesta (e di stragi) sono passati in otto mesi del2011, prima che si formasse l'"Esercito liberosiriano" (Els)? Venticinque, trenta o di più? Lasinistra italiana, nonostante le divisioni in duetronconi dell'opposizione siriana, aveva dimostratouna cauta simpatia per i dimostranti, per le protestedi piazza, ma non altro: non ha mosso un dito

Pagina 16 di 22

Page 17: News of the_world_18_03_12

affinché la repressione fosse fermata e non si desseadito a interferenze straniere. Eppure non siamo piùnegli anni '60, quando si sussurava che il Baathsocialista siriano finanziasse un partito italiano, poidiscioltosi. A sinistra si sperava, fregandosi le mani,nel vaticinio che si ripetesse una nuova Libia persussumere la rivolta di popolo sotto la cifradell'intervento imperialista, potendosi così, tral'altro, in qualche modo uniformarsi al linguaggiosprezzante del dittatore Assad, che da subito, difronte a gente disarmata, aveva definito chi andavain piazza come "terrorista". Filisteismo: è bastato chesi formasse un nucleo consistente di militari disertoriche, non solo si rifiutavano di sparare sulla folla, maaffiancavano la protesta, perché quanto accadeva inSiria fosse omologato, alla stregua delledichiarazioni e degli interessi russi e cinesi, sotto ladizione generica di "violenze", non meglio qualificatee addebitate. Ora è un gioco da ragazzini dimostrarsiapparentemente super partes, appoggiando di fattoil regime dalle diciassette polizie segrete e di altroancora. Di Ponzio Pilato nella storia non ce ne è statosolo uno. Giacomo Casarino, Genova **********Risponde Matteuzzi La prima cosa che viene da dire,di fronte a queste lettere sulla crisi siriana e di comela stia trattando "il manifesto", è: ma, cari compagnie lettori, la vicenda della Libia - prima la «guerraumanitaria» e poi il caotico, violento, secessionistapost-guerra in corso - non ha insegnato niente? Nonè lecito, anzi d'obbligo, almeno per un giornale comeil nostro, alimentare qualche dubbio sui e qualchepresa di distanza dai modi in cui la «narrazione»(come si usa dire adesso) e la lettura della crisisiriana vengono presentate dall'Occidente ingenerale, da paesi quali l'Arabia saudita e il Qatar,dalla stampa mainstream, italiana e internazionale(facciamo due nomi a caso, la Repubblica e alJazeera)? Allora ribadiamo qualche punto fermo eavanziamo qualche domanda. 1) Noi, come"manifesto", non stiamo adesso con Assad, comesulla Libia non stavamo con Gheddafi. Questo deveessere chiaro. Durante la guerra libica e adessodurante la guerra siriana, abbiamo sempre (sempre)scritto che dovevano andarsene e cheinevitabilmente alla fine se ne sarebbero andati (nelsenso che sarebbero stati cacciati). Quindi nessuna«scelta» per Assad, nessun «filisteismo», nessun«ponziopilatismo». Semmai, e lo rivendichiamo, ilrifiuto del «pensiero unico» e della «narrazione asenso unico». 2) Rispetto alle legittimissime critichedi questi nostri compagni e lettori sulla coperturadella crisi siriana, siamo noi a chiedere se e cosa ciavrebbero scritto se il manifesto avesse seguito ilmainstream di politica e informazione sulla vicendalibica (ricordano i lettori quando la qatariota alJazeera, presa per oro colato, la Repubblica ecompagnia cantante, sparavano le notizie sui 10mila morti a Tripoli, sulle fosse comuni e altrecolossali balle?). Come spiegano che, adesso, della«nuova Libia», (esecuzioni extragiudiziarie, torturesistematiche, razzismo, radicalismo islamico, miliziefuori controllo..., il tutto documentato da Amnesty,da Human Rights Watch, Croce rossa e perfinodall'Onu che a suo tempo avallava la panzanadell'«intervento umanitario a protezione dei civili») iSarkozy, i Cameron, gli Obama (e purtroppo anche iNapolitano) non profferiscano più parola, al pari deigiornali e tv mainstream? 3) Come non capire che ildittatore Assad e i suoi sanguinari servizi possono

fare le nefandezze che stanno facendo in Siria,anche (anche) perché i Sarkozy, i Cameron, gliObama (e purtroppo anche i Napolitano) e una Onusempre più succube delle potenze centralidell'Occidente hanno fatto in Libia quel che hannofatto con il trucco della risoluzione 1973 sulla«protezione dei civili con qualsiasi mezzo» (ossiatramite i bombardieri della Nato)? 4) Come sispiegano l'attivismo sfrenato (e miliardario emilitare) di paesi come l'Arabia saudita e il Qatar afianco degli insorti di Libia e Siria? Carlo Villariniscrive che lui pensa «che sulla pelle del poveropopolo siriano si stanno giocando molte partitesporche e non certo in nome dei diritti umani, dellagiustizia e della libertà». Giusto, ma sono solo lepessime Russia e Cina a giocarle? 5) In realtà, iocredo che la scandalosa impotenza della «comunitàinternazionale» (con l'eccezione rivelatrice dellepetro-monarchie del Golfo) a fermare la macelleriaprima in Libia e ora in Siria (e anche in Yemen eBahrain, ma quelle passate sotto silenzio: comemai?) sia un effetto diretto di un «interventismoumanitario» che in tutti i casi precedenti («dall'Iraqal Kosovo all'Afghanistan alla Libia», scrivegiustamente Villarino, e io ci aggiungerei anche Haitie Somalia) si sono rivelati tutto fuorché «umanitari»,mentre in altri casi, quando un «interventismoumanitario» gridava la sua necessità (qualcuno siricorda il genocidio del Ruanda?), non c'è stato alcunintervento (per colpa di chi?). 6) "Il manifesto" non èaffatto «equidistante tra insorti e dittatura», come ciaccusa Liliana Boccarossa. Ma ha distinto econtinuerà a distinguere fra situazioni affatto diverseche richiedono letture e giudizi diversi, anche setutte vanno sotto un ombrello di comodo (troppocomodo) di «primavera araba». Le rivolte o«rivoluzioni» in Tunisia ed Egitto (e anche quellamisconosciuta e abbandonata a se stessa delBahrain) sono una cosa, le rivolte e rivoluzioni inLibia e Siria un'altra. Ma davvero Liliana Boccarossapensa che non si tratti, in entrambi i casi, di tentativi(mal) mascherati di «regime change» etero-diretti?Altro che «rifiuto di un intervento militare esterno»...È vero che i parametri di giudizio politico sonocambiati, che bisogna trovare nuovi strumenti diinterpretazione della realtà. Ma, primo, questi nuovistrumenti non mi sembra che siano stati ancoracompiutamente trovati e, secondo, bisogna fareattenzione che dietro a molti dei pretesi nuovistrumenti non si nascondano in realtà quanto di piùvecchio esista nella storia del «secolo breve»appena concluso. Detto questo, per favorecontinuate e comprarci, leggerci e... polemizzare. diMaurizio Matteuzzi

Quei video atroci Qualche dubbio,qualche domanda

14/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

I video circolati lunedì sulla strage di bambini edonne a Homs mostrano corpi di persone «uccise emutilate dalle milizie di Assad» e filmate da«attivisti» dell'opposizione. Accusa speculare (marifiutata dai media mainstream) da parte delministero dell'informazione di Damasco: sono corpidi cittadini rapiti e uccisi, poi mutilati e ripresi perincitare ad una presa di posizione internazionale

Pagina 17 di 22

Page 18: News of the_world_18_03_12

contro la Siria. La tv siriana raccoglie testimonianzedi cittadini di Homs che dicono di essere stati per unmese ostaggio di armati che uccidevano,dinamitavano le case, rapivano. E danno i nomi dialcune persone rapite e uccise che avrebberoriconosciuto. Sulla responsabilità della strage è forselegittimo chiedersi «a chi giova?» L'opposizionearmata e il Cns sono usciti indeboliti dalla perdita diHoms e dalla visita di Annan; adesso la «comunitàinternazionale» chiede di nuovo di fermare subito ein qualsiasi modo Assad. Ma lasciamo stare il cuiprodest. Parliamo dei video. Alcuni sono nitidi,uomini uccisi, con le mani legate, un'intera famigliamorta in una stanza (e sono quelli mostrati dalla tvstatale). Altri sono molto confusi. L'«attivista» diHoms Hadi Abdallah autore di uno dei video haprecisato all'Afp che membri dell' «Esercito liberosiriano» hanno trasportato i corpi nel quartiere diBab Sebaa, più sicuro, e là sono stati filmati(trasportati?). Ma se sono morti da tempo come puòesserci il sangue vivo mostrato da una foto? In unaltro video uno solo dei cadaveri ha le mani legate.Come mai le immagini sono così sfocate (anche iltelefonino più scarso filma meglio), corrono veloci osi soffermano sui corpi a distanza tanto da non farcapire granché? Eppure la stessa Avaaz ha sostenutodi aver dotato di sofisticati mezzi tecnologici i suoi400 attivisti antiregime in Siria... La cosa più chiaraè l'appello iniziale di un video: «Vogliamo chel'esercito siriano libero venga armato così potremodifenderci». Pochi giorni fa, sempre dopo la perditadi Baba Amr, la tv pubblica britannica Channel 4 hatrasmesso in esclusiva un video(http://www.channel4.com/news/exclusive-syrian-doctors-torturing-patients: «Dottori siriani torturano ipazienti») : «vittime civili ferite nelle violenze etorturate dai medici» nell'ospedale militare di Homs,dove «per ordine del governo vengono portati i civiliferiti nelle manifestazioni». Unica precauzione dellospeaker, la formuletta «non possiamo confermare inmodo indipendente». «Scioccante» (ovvio) eavallato dalla commissaria Onu ai diritti umani NaviPillay, il video sarebbe stato girato«clandestinamente da un dipendente dell'ospedale».Ma non fornisce alcuna prova. Non mostra torture inatto. Immagini sfocate e rapide mostrano 4 uomini(lo speaker: «civili disarmati feriti nellemanifestazioni») su letti con lenzuola pulite, testa eocchi avvolti in fasce bianche: come se fossero tuttiferiti alla testa e agli occhi. Le caviglie strette in«catene arrugginite». Sui comodini, in bella vista, gli«strumenti di tortura» (lo speaker: «un filo elettrico»,«un cavo di gomma» che in realtà potrebbe essereuno stetoscopio). L'immagine più cruenta è quelladel torace di un uomo striato di segni chepotrebbero essere di frusta. Potrebbero... Ilvideomaker è poi intervistato a volto oscurato, «inun luogo sicuro», seduto vicino a un mobile dainfermeria (sempre l'ospedale militare? Non èpericoloso farsi intervistare lì? E da chi?). Narra diaver visto episodi atroci: medici che danno fuoco allazona pubica di un ragazzo di 15 anni dopo averlocosparso di alcol; che amputano senza anestesia perfar soffrire. Non è lecito, doveroso qualche dubbio?di marinella correggia

Terre rare, tutti contro Pechino

14/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

LIMITI ALL'EXPORT «SCORRETTI» Unione Europea,Stati Uniti e Giappone si rivolgono al Wto Per laprima volta tre potenze economiche denunciano ilpaese che estrae il 90% dei preziosi metalli, vitaliper l'hi-tech PECHINO. I suoi rivali economici lereclamano a gran voce. La Cina è disposta avenderne sempre meno e presentando un conto viavia più salato. Al centro dello scontro le cosiddette«terre rare», 17 metalli indispensabili nell'industriahi-tech per ottenere i quali ieri Unione Europea, StatiUniti e Giappone hanno annunciato un espostocontro la Repubblica popolare pressol'Organizzazione mondiale per il commercio (Wto).L'accusa? Pechino - che con oltre il 90% vanta ilprimato mondiale dell'estrazione - pone limiticontrari alle regole della Wto all'esportazione diqueste materie prime utilizzate nella produzionedelle lampadine a risparmio energetico come deimissili guidati, passando per gli smart phone, le autoibride e i pannelli solari. Si tratta della prima voltache le tre potenze economiche si rivolgono assiemealla Wto per denunciare pratiche commercialiscorrette da parte della seconda economiamondiale. «Dobbiamo prendere in mano il nostrofuturo energetico, non possiamo permettere chel'industria dell'energia metta radici in altri paesi aiquali è stato permesso di violare le regole» hatuonato dalla Casa Bianca il presidente Obama. Ilcommissario europeo per il commercio Karel DeGucht, ha dichiarato all'agenzia Reuters: «Lerestrizioni della Cina alle terre rare e altri prodottiviolano le leggi internazionali e devono essererimosse, perché si tratta di misure che danneggianoi nostri produttori, tra cui quelli dell'industria hi-teche di quella verde, e i consumatori nella Ue e in tuttoil mondo». Nel 2001, al momento del suo ingressonella Wto, Pechino si era impegnata a rimuovere ilmeccanismo delle "quote", attraverso il qualecontrolla la quantità dell'export e i prezzi di alcunematerie prime. D'altro canto, come ha spiegato aBbc news Ivor Shrago, presidente di Rare EarthsGlobal (un'azienda che si occupa di consulenzamineraria), gli Stati Uniti «circa 20 anni fa scelsero dinon sviluppare l'estrazione delle terre rare e invecedi comprare prodotti finiti». Le ragioni di Pechinosono arrivate direttamente dall'Assemblea nazionaledel popolo, di cui in questi giorni è in corso lasessione annuale. Il Quotidiano del popolo attacca:secondo i deputati «l'era in cui la Cina forniva terrerare a prezzi scontati è destinata a terminare, perchéil paese deve rafforzare il controllo su queste risorsepreziose a causa dei rischi ambientali» legati allaloro estrazione. Oltre che per la loro abbondanza(1/3 delle riserve mondiali stimate), la ricerca delleterre rare si concentra in Cina per i bassi salaripagati ai minatori e perché per anni le autoritàhanno chiuso un occhio di fronte alle devastazioniambientali causate da questa corsa all'oro hi-tech.La provincia meridionale di Jiangxi, nel cui suolo ècustodita la stragrande maggioranza delle riserve,ha pagato il prezzo più alto: acque dei fiumiinquinate dalle sostanze chimiche utilizzate pertrattare le terre rare, miniere a cielo aperto chediffondono malattie. A Dai, tristemente noto come«villaggio del cancro», negli ultimi 20 anni nessuno

Pagina 18 di 22

Page 19: News of the_world_18_03_12

dei residenti ha passato le visite di leva, mentre nelvicino Wuxing a decine di bambini sono stateriscontrate quantità allarmanti di piombo nelsangue. Nel gennaio scorso la Wto aveva dato tortoalla Cina in un giudizio simile: Unione Europea, StatiUniti e Messico, nel 2009, si erano rivoltiall'organizzazione internazionale per denunciare ilsistema delle "quote" imposto da Pechino su alcunematerie prime come bauxite, coke e zinco. Anche inquesto caso Pechino aveva provato a difendere lelimitazioni all'export sulla base di preoccupazioniambientali. Lo scontro sulle terre rare fa salire latensione con l'Ue, che da mesi cerca invano diottenere da lla Repubblica Popolare centinaia dimiliardi delle sue riserve in valuta estera per provarea tamponare il debito degli Stati in crisi. E anche congli Stati Uniti, dove Obama - che ormai è incampagna elettorale in vista delle presidenziali delnovembre prossimo - recentemente ha istituito unanuova agenzia per il commercio nel cui mirino èsubito finita la Cina. di Michelangelo Cocco

Guai a chi critica

13/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

I giornalisti fuori dal coro chiusi nei blindati e poiportati in commissariato Il Forum Mondialedell'acqua, la grande kermesse organizzata dallemultinazionali del settore e legittimata dallapresenza di 140 governi, ha aperto le porte nelsegno della repressione.L'evento era statoinizialmente pensato come passerella elettorale perNicolas Sarkozy, ma si appresta a essere un grandeflop in termini di partecipazione e attenzionedell'opinione pubblica. Per questo il presidentefrancese ha preferito dare forfait all'ultimo momentoe delegare l'anonimo primo ministro François Fillon alruolo di cerimoniere. Ciò non è bastato ad allentarela morsa della sicurezza che, nel giorno di aperturaha avuto l'esplicito ordine di allontanare qualsiasivoce critica, compresa quella de il manifesto. Inoccasione di molti vertici internazionali la Campagnaper la Riforma della Banca Mondiale ha collaboratocon il giornale, ricevendo sempre un regolareaccredito stampa. Non era mai successo che almomento del ritiro del pass di accesso all'area deigiornalisti qualcuno venisse circondato dalla polizia,perquisito, chiuso in un blindato e trasportato in uncommissariato per essere rilasciato dopo diverse oresenza spiegazioni. Fermo avvenuto in seguito a unlavoro di inteligence, con fotografie alla manoscattate nei giorni precedenti in luoghi pubblici dellacittà, e quindi attraverso avvistamenti epedinamenti. È quanto accaduto ieri allasottoscritta, a Marek Rembowski, altro attivista delForum Italiano Movimenti per l'acqua e ad almenoaltri 10 mediattivisti francesi e spagnoli muniti diaccredito stampa. Un'operazione capillare,finalizzata a mettere il bavaglio a qualsiasi vocecritica o forma dialettica di dissenso. Il rilascio deifermati è infatti avvenuto esattamente al terminedella cerimonia di apertura, quando non c'erano piùnotizie da raccontare. D'altra parte anche nellaconferenza stampa che si è tenuta in serata, aigiornalisti è stato proibito di avanzare qualsiasidomanda. Ma non è tutto. Il flash mob organizzatoda un centinaio di attivisti davanti le porte del forum

si è trasformato in un fermo collettivo. Il gruppo èstato circondato da un cordone di poliziotti chehanno bloccato le persone per due ore sotto il sole,impedendo a chiunque di allontanarsi. Un climainquietante, avvenuta nel cuore di quell'Europa chepretende di dettare le ricette economiche all'interaUe. Appare sempre più evidente che alle politiche diausterity procedono di pari passo con politicherepressive e di privazione del diritto di privacy,informazione e libera circolazione. Marsiglia sipresenta quindi come banco di prova, le più grandimultinazionali dell'acqua sono francesi e giocando incasa non hanno alcuna intenzione di rischiare chel'inganno venga smascherato. Ovvero che si denuncil'emergenza democratica di una delega in biancoche i governi stanno dando al settore privato perl'intera gestione delle risorse idriche del nostropianeta. Delega che verrà respinta al mittente dallasocietà civile che mercoledì si riunirà a Marsiglia inoccasione del Forum Alternativo dell'acqua(www.fame2012.org) che si concluderà il 17 con unamanifestazione internazionale. Il Forum ItalianoMovimenti per l'Acqua è presente con una foltadelegazione che non si farà mettere il bavaglio econtinuerà a raccontare ciò che accade sulmanifesto e sul blog www.famedacqua.it. *Campagna Riforma della Banca Mondiale diCATERINA AMICUCCI *

Tutti pazzi per la guerra

13/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Il gesto del sergente assassino che, casa per casa,ubriaco e, secondo testimonianze dei parenti dellevittime, in compagnia di molti uomini del suoplotone, ha massacrato almeno sedici bambini,donne e anziani a Kandahar, sarebbe «follia». Tantoche il presidente Obama, come si conviene per ungesto insano, è rimasto «scioccato». Invece è«sano» continuare una guerra per undici anni nonsolo senza risultati, ma dopo avere in modo a dirpoco controproducente ucciso migliaia di civili con ibombardamenti «mirati». Perché colpire dall'alto deicieli, con cacciabombardieri o droni indirizzati daicomandi unificati della Nato, lontano, da Tampa inFlorida - è «azione necessaria, utile alla pace».Eppure basta guardare le aberrazioni delle ultimeguerre, per scoprire che questa «follia» altro non èche la normalità. Nell'elenco - dall'Afghanistanall'Iraq - quella dei marine che eroicamente piscianosui nemici uccisi, del Corano dato alle fiamme, diAbu Ghraib, delle stragi di Bagram, dei raid al fosforobianco su Falluja. E del massacro di Haditha in Iraq,per citarne uno solo, quando, nel novembre 2005,casa per casa, strafatti di chissà che, i soldati di unplotone americano in perlustrazione massacrarono24 bambini, donne e anziani. Ci hanno fatto un filmnegli Usa - (sul Vietnam ne hanno fatti 58mila difilm, uno per ogni soldato americano rimasto ucciso.Ma avete mai visto un film vietnamita che parli deidue milioni di vittime civili?). Ma gli atti delledeposizioni per il processo su Haditha sono stateritrovati poco tempo fa da un inviato del New YorkTimes in una discarica di Baghdad. Avere dichiaratola guerra all'Afghanistan come vendetta per l'11settembre e quella all'Iraq per le armi di distruzionedi massa che non aveva, è forse un atto di «salute

Pagina 19 di 22

Page 20: News of the_world_18_03_12

mentale»? La risposta non serve: per questimassacri di centinaia di migliaia di esseri umaninessuno pagherà mai. L'impunità è la maggioresindrome di «ragionevolezza» della nostra epoca.Altro che «follia»: abbiamo costruito noi il manicomioattribuendo ai militari il compito di esportare lademocrazia con le armi. E il manicomio apparesempre più in evidenza se si riflette che la piùgrande democrazia al mondo, gli Stati uniti,assegnano un quarto dell'intero bilancio federale agliarmamenti. In conto c'è già che qualche«dissennato» Rambo impazzisca, come dimostranole alte spese per sostenere le vite distrutte deglispostati sociali, i veterani delle tante guerre«umanitarie» della fine dell'ultimo millennio e diquello nuovo, sospesi tra suicidio e sopravvivenza. Econtinuare a sostenere, in modo bipartisan come fal'Italia, quel conflitto inutile e sanguinoso, e in apertodisprezzo della nostra Costituzione che bandisce laguerra come mezzo di risoluzione dei conflittiinternazionali, non è pazzia ma «sostegno agliobblighi internazionali», ci ricorda incredibilmente ungiorno sì e un giorno no addirittura il Presidente dellaRepubblica che sulla Costituzione dovrebbe vigilare.Così come impegnare, nell'epoca della scure deitagli sociali, almeno dieci miliardi di euro peracquistare - e investire soldi pubblici in aziendeprivate e per profitti privati - ben 91cacciabombardieri F-35 non è demenza ma«adeguamento e ammodernamento della nostradifesa», sostiene il ministro-generale Di Paola, degnoerede del già ministro dannunziano La Russa. Quelloche solo pochi mesi fa in modo «savio» gettava daun aereo militare volantini sui cieli afghani pergiustificare ai sudditi dell'impero le magnifiche sortie progressive della nostra manìa bellica. È la guerra,che si vuole corollario indispensabile alla crisi diquesto modo di vivere, produrre e consumare, che èla vera follia. Con la logica da Rambo, che fapiangere gli italiani solo quando gli «indiani», comein Nigeria, siamo noi. E la sinistra in Italia «nonesiste più», come ricordava Luigi Pintor, proprio apartire dall'adesione alla guerra. A noi, per impedirequesta deriva demente e collettiva, non resta che laparte degli «scemi di guerra», di quei saggi capaci difarsi passare per matti pur di non partire per ilfronte. di TOMMASO DI FRANCESCO

Il fuciliere «solitario»

13/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Nelle guerre coloniali di solito le persone sonoarrestate, torturate a caso e spesso uccise. Neppureuna facciata di legalità è considerata necessaria. Il«solitario» fuciliere americano che ha massacratodegli innocenti afghani due giorni fa è ben lungidall'essere un'eccezione, come la parola «solitario»implicherebbe. Perché questo non è il gesto di unmaniaco squilibrato che ammazza degli studenti inuna città degli Stati uniti. Non è il primo e non saràl'ultimo a uccidere in questo modo. I francesi hannofatto lo stesso in Algeria, i belgi in Congo, i britanniciin Kenya e a Aden, i tedeschi in Africa di sud-ovest,gli italiani in Libia, i boeri a casa loro in Sudafrica, gliisraeliani in Palestina, gli americani in Corea,Vietnam e Centro America, e nel passato recente iloro surrogati hanno agito in modo analogo contro le

loro stesse popolazioni in sud America e gran partedell'Asia. Anche l'occupazione russa in Afghanistanha visto i suoi «fucilieri solitari» comportarsi in modosimile - anche se, più istruiti di molti dei loroconsimili statunitensi, hanno scritto ragioni ecircostanze in tormentati diari dopo il loro ritorno acasa. Nel suo libro Afgantsy, Roderic Braithwaite necita ampi capitoli e passaggi. Non esiste una guerra«umanitaria». Prima i cittadini dei paesi occupanti sene renderanno conto, prima sarà possibile mobilitareil sostegno necessario a opporsi a nuove avventureneocoloniali, con le atrocità correlate. Non è unsegreto che la gran parte degli afghani si oppongonoall'occupazione del loro paese. I soldati occupanti nesono ben consapevoli. Il «nemico» non è nascosto. E'pubblico. Così cancellare donne e bambini è partedella guerra. Come assassini però elicotteri daguerra, cacciabombardieri e droni sono più efficacidei fucilieri «solitari». La situazione in Afghanistanoggi è così disastrosa che le forze occupanti nonhanno modo di sapere se gli afghani che lavoranocon loro sono dalla loro parte o no. Alcuni dei recentiattacchi contro soldati Usa e della Nato sono venutida afghani che indossavano uniformi di polizia edell'esercito disegnate dalla Nato stessa. Così orachiunque è un nemico. Anche il presidente fantoccioHamid Karzai, il quale sa che i suoi giorni sonocontati ma almeno ha diversi luoghi sicuri e continumerati che lo aspettano. Per gli Stati uniti, lacontraddizione è implacabile. Gli afghani voglionoche se ne vadano e la guerra non è vincibile. Chefare dunque? Andarsene subito. Questa guerra chede-umanizza il «nemico» de-umanizza anche icittadini degli stati guerrafondai. Se americani,europei e australiani sono arrivati a diventare ciechie sordi alle urla di bambini, madri e padri, certohanno in serbo giganteschi problemi per se stessi.Siamo tenuti in stato di ignoranza, ma la tragedia èche con la nostra apatia contribuiamo a prolungareall'infinito questo stato. Il fuciliere solitarioscomparirà presto dai nostri pensieri coscienti, epotremo allora tranquillamente tornare alle uccisionidi routine che avvengono ogni giorno, condotte inmodo collettivo su ordine dei dirigenti politici che noieleggiamo. di TARIQ ALI

In attesa della risposta dopo la «folle»strage

13/03/2012 di Manifesto (miogiornale.com)

Si aspetta ora la «risposta», che di certo nonmancherà (come fu dopo che altri soldati Usabruciarono copie del Corano nella base di Bagram),dopo che nella notte tra sabato e domenica unsergente americano ha fatto strage di civili inAfghanistan, nella provincia di Kandahar, a 500 metridalla sua base militare. Secondo le ricostruzioni delleagenzie stampa, sarebbe entrato in tre diverse casenei villaggi di Alkozai e Najeeban, uccidendo 16persone, tra cui 9 bambini, ferendone almeno altre5, per poi bruciare alcuni corpi delle persone uccise.L'identità dell'omicida, che dopo la strage pareessersi consegnato alle autorità militari americane,non è stata resa nota, ma secondo fonti citate dallaAp l'uomo sarebbe un 38enne proveniente da unabase dello stato di Washington, alla sua primamissione in Afghanistan e reduce da tre missioni in

Pagina 20 di 22

Page 21: News of the_world_18_03_12

Iraq. Tra le ipotesi accreditate come causa del gesto,il fatto che fosse ubriaco, psicologicamente instabileo vittima di un «crollo psichico». Come dopo il casodel Corano bruciato, i vertici della coalizione Isaf-Nato si sono scusati con la popolazione afghana. Lostesso ha fatto Barack Obama, che in una telefonataal presidente Hamid Karzai ha promesso un'inchiestarigorosa, ribadendo l'estraneità del corpo militareUsa a un gesto così incomprensibile, mentre ilsegretario alla difesa Usa, Leon Panetta, ha volutoassicurare che «giustizia sarà fatta». Da parte sua ilpresidente afghano parla di un atto intenzionale e«imperdonabile», e per una volta sembra avertrovato le parole giuste. Al di là della responsabilitàindividuale (anche se un testimone parla di piùsoldati e di alcuni elicotteri sul luogo della strage),l'episodio di Kandahar mostra la contraddizioneprincipale della missione internazionale inAfghanistan: da una parte il mandato ufficiale recitache il compito delle truppe è proteggere lapopolazione locale, dall'altra i civili sostengonosempre più frequentemente di temere i soldati chedovrebbero proteggerli. Sta qui, nella distanza ormaiirriducibile tra le truppe straniere e la popolazionecivile, nella sfiducia e nel risentimento crescentiverso le forze di occupazione, la prova del fallimentodella missione internazionale, a 10 anni dal suoinizio. E sta anche nei dati sulle vittime civili diffusidalla missione Onu in Afghanistan: nel 2011 levittime civili sono state 3021, con un aumentodell'8% rispetto al 2010, e del 25% rispetto al 2009.Se compito delle truppe Isaf-Nato è proteggere lapopolazione, i dati dell'Onu parlano di una missionetragicamente fallimentare. Le cancellerie occidentalilo hanno capito. Così come hanno capito che non c'èalternativa al negoziato con i Taleban, fino a dueanni fa paria della comunità internazionale e oggiinterlocutori con cui è indispensabile trattate, comedimostra l'avallo americano all'apertura di un ufficiopolitico in Qatar e - pare - al prossimo trasferimentodi 5 pezzi grossi della leadership taleban dallaprigione di Guantanamo a Doha. Per questo, glioccidentali affrettano il ritiro, anche se la cancellieraAngela Merkel, arrivata a sorpresa in Afghanistan,ieri ha detto di non poter garantire il ritiro delletruppe entro il 2013/2014, come previsto. Lasituazione infatti rimane esplosiva, sia sul pianopolitico che su quelle militare. Sul terreno, i Talebancon un comunicato ufficiale promettono vendettaper «i barbarici crimini dei selvaggi» americani, econ una mossa inaspettata chiedono alleorganizzazioni internazionali per i diritti dell'uomoche impediscano in futuro episodi simili e cheportino i responsabili davanti a una corte di giustizia.Sul piano politico, diventa più difficile per Obamaottenere in breve tempo la firma di Karzai all'accordodi partenariato di lungo periodo, che entrambisperavano di riuscire a presentare a maggio, alvertice della Nato di Chicago. Venerdì scorso c'erastato un passo avanti, quando gli Usa hannoconcesso il trasferimento alle autorità di Kabul dellaresponsabilità sui detenuti nelle carceri americane inAfghanistan. Oggi quel passo in avanti vieneridimensionato dalla furia omicida del sergente Usa,che permette a Karzai di tornare su uno dei punti-chiave del negoziato con Washington: «Basta con iraid notturni», chiede il presidente afghano comecondizione per la firma del trattato, «Avanti con iraid, strumento indispensabile della nostra

strategia», la risposta Usa. (Lettera 22) di GiulianoBattiston

Bambini uccisi in Siria, Gaza e Israele.L’Unicef: “Difficile venire a patti contale ferocia”

13/03/2012 (Redattore Sociale)

Calivis:“Chiediamo

con urgenza a tuttele parti coinvolte inquesta crisi di nonvenire meno allaloro responsabilitàdi salvaguardare ibambini e dimettere fine alleviolenze”

ROMA - L'Unicef ha denunciato ieri l'uccisione in Siriadi bambini e donne, i cui corpi sono stati trovatidomenica nella città di Homs. Secondo i resocontidei media siriani ed internazionali, i bambini sono trale vittime trovate nel quartiere di Karm el-Zeytoun.Alcuni corpi eranostati sgozzati. Altri portavano segni di torture."E'difficile venire a patti con una tale ferociasoprattutto quando sono i bambini a pagare il prezzopiù alto per eventi su cui non hanno alcun controllo -dichiara il direttore regionale dell'Unicef, MariaCalivis -. Chiediamo con urgenza a tutte le particoinvolte in questa crisi di non venire meno alla lororesponsabilità di salvaguardare i bambini".

L'Unicef esprime grande preoccupazione per larecente escalation di violenza nella Striscia di Gaza ea Israele e l'impatto sui bambini.”Lunedì, un ragazzo palestinese di 15 anni è statoucciso e altri quattro bambini sono stati feriti inun'esplosione nella Striscia di Gaza. Domenicascorsa, un bambino palestinese di 12 anni è statoucciso a seguito di un attacco aereo su Gaza. Finora14 bambini palestinesi - di età compresa tra 1 e 17anni- risultano feriti a seguito di attacchi aerei”.Continua il resoconto dell’Unicef: “Due scuole a Gazahanno subito danni. Domenica scorsa in Israele, unrazzo ha colpito una scuola, che in quel momentoera vuota. Le lezioni sono state annullate nel sud delpaese, con problemi per oltre 200 mila studenti

Pagina 21 di 22

Page 22: News of the_world_18_03_12

israeliani”.

"Deve essere fatto tutto per proteggere la sicurezzae la vita dei bambini innocenti - ha detto JeanGough, Rappresentante speciale dell'Unicef nelTerritorio Palestinese Occupato -. Chiediamo a tutte

le parti di fare il possibile per proteggere i bambini eper mettere fine alla violenza".Lo scorso anno, 20 bambini palestinesi e 5 bambiniisraeliani sono stati uccisi a seguito di incidentilegati al conflitto, altri 448 bambini palestinesi e 2bambini israeliani sono stati feriti.

Pagina 22 di 22

Thanks to controlacrisi.org miogiornale.com