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Società Italiana di MEDICINA GENERALE Progetto Link UP Progetto Vìola Informatizzazione medica Health Search ISSN 1724-1375 5 2013 www.simg.it Edizione digitale Periodico bimestrale. Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA Aut. trib. di Firenze n. 4387 del 12-05-94 - IR - I.P. - Ottobre

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Società Italiana diMedIcIna Generale

Progetto Link UP

Progetto Vìola

Informatizzazione medica

Health Search

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RedazioneLucia CastelliTel. 050 31 30 224 • [email protected]

StampaIndustrie Grafiche Pacini • Pisa

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Rivista Società Italiana di Medicina GeneraleProgetto Link UPDolore e medicina di famiglia. I risultati del progetto Link UPM. Gentili, A. Magni, P. Lora Aprile ..................................................................... 3

Patologia tiroideaLa patologia tiroidea nella Medicina Generale italiana. Studio epidemiologico e considerazioni sul management clinico del pazienteS. Campo, C. Cricelli, F. Lapi, G. Medea, S. Pecchioli ........................................... 7

Paziente asmaticoLa gestione del paziente asmatico in Medicina GeneraleEsperienza di Audit Professionale di un gruppo di medici di medicina generale della ASL 11 di Empoli (Regione Toscana) nel 1° semestre del 2013G. Susini ........................................................................................................ 13

Linee guida m. ParkinsonNuove linee guida SNLG-ISS - Diagnosi e terapia della malattia di ParkinsonF. Mazzoleni ................................................................................................... 19

InformatizzazioneL’informatizzazione toglie “tempo” al paziente e al medico di medicina generale?S.E. Giustini .................................................................................................. 22

Progetto Vìola ...... il muro del silenzio, insieme al tuo medico di famigliaTutte le donne uccise e tutti gli uomini che hanno perpetrato la violenza o il femminicidio avevano un medico di famigliaR. Michieli, R. Pedale ...................................................................................... 23

BPCO Efficacia e sicurezza dei farmaci per il trattamento della BPCOG. Bettoncelli ................................................................................................. 25

Nota 13 AIFALa nota 13 AIFA: il punto di vista del lipidologo e le ripercussioni sulla pratica del medico di medicina generaleA. Filippi, A.L. Catapano .................................................................................. 29

IpercolesterolemiaPazienti a rischio cardiovascolare elevato con ipercolesterolemia: la scelta del farmacoA. Filippi, D. Parretti, A. Rossi .......................................................................... 35

Inserto specialeHS-Newsletter

Finito di stampare presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. - Novembre 2013Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, [email protected], http://www.aidro.org.I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Ospedaletto (Pisa).

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Dolore e medicina di famiglia. I risultati del Progetto Link UP

Marta Gentili1, Alberto Magni2, Pierangelo Lora Aprile3

1 Presidente Vivere senza dolore; 2 Rappresentante Nazionale Giovani Medici SIMG; 3 Segretario Scientifico e Responsabile Area Progettuale Dolore SIMG

3Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.5>>> 2013

zione di questionari dedicati, quale fosse il comportamento del paziente (a chi si rivolge in caso di dolore, quali criteri guidano le sue scelte) e quanto il MMG fosse in grado di rispondere in maniera adeguata alle neces-sità del paziente, in tema dolore cronico, con la finalità costruttiva di capire cosa si deve fare per aiutare il medico di famiglia ad assolvere al compito affidatogli dalla Legge 38.

Materiali e metodiSessantacinque giovani medici SIMG, distri-buiti su tutto il territorio nazionale, hanno aderito al progetto. Nel periodo compreso tra marzo e maggio 2013, per tutti i pazien-ti che in un mese si recavano dal proprio medico espressamente per un problema di dolore cronico, è stata compilata una sche-da con l’obiettivo di valutare: la prevalenza dei pazienti con dolore non controllato, le patologie più frequentemente correlate ad una sintomatologia dolorosa, la tipologia di dolore, le terapie in atte (ove presenti), la provenienza dei pazienti (se inviati da centro specialistico) ed infine, il comporta-mento seguito dal medico di famiglia. I dati, inseriti in un apposito data base, sono stati analizzati.

RisultatiComplessivamente sono stati valutati 538 pazienti; di questi, 14 non sono risultati corrispondenti ai criteri d’inclusione (non

IntroduzioneLa legge 38 del 15 marzo 2010 1 ha deter-minato un importante passo avanti nel rico-noscimento del dolore non come sintomo ma come malattia vera e propria e tanto si è fatto in questi anni per migliorare la qualità di vita dei pazienti che ne soffrono.Un ruolo di primo piano è stato riservato al medico di famiglia, indicato come il primo referente al quale il paziente con dolore deve rivolgersi per una diagnosi precoce ed un primo approccio terapeutico.Recenti indagini condotte sulla popola-zione, però, indicano un comportamento diverso  2 3. Difatti, se nel 2011 il medico di medicina generale (MMG) prescrive-va quasi il 60% delle prime terapie per il dolore, nel 2012 questa percentuale era scesa a quasi il 30%, con un incremen-to significativo delle terapie prescritte dal terapista del dolore (5 vs. 30%) e un dato stabile di quelle prescritte dallo specialista di patologia.A cosa imputare questo cambiamento? Una prima risposta potrebbe essere lega-ta ad una maggior conoscenza dei centri specialistici da parte dei pazienti, e quindi un accesso non guidato dal medico di fami-glia, in parte dalla necessità di un approccio terapeutico più confacente alle necessità antalgiche del paziente, che si ritiene insod-disfatto di quanto prescritto in oltre il 40% dei casi.Obiettivo dell’indagine Link UP è stato quel-lo di verificare, attraverso la somministra-

affetti da dolore cronico) e quindi sono stati esclusi dalle valutazioni. Dei rimanenti 524 pazienti, solo il 25% ha dichiarato un dolo-re cronico d’intensità pari a NRS (Numeric Pain Intensity Scale) ≤ 3. Di questi, il 15,9% non aveva una terapia in corso mentre il rimanente 84,1% aveva una terapia rappre-sentata prevalentemente da FANS (15,9%), da paracetamolo (10,6%), da paracetamolo associato a un oppioide debole (10,6%), da oppiode debole (9,7%) e da oppiode forte (6,2%) (Fig. 1).Il prescrittore di queste terapie è risultato essere il medico di famiglia nel 76,1% dei casi, seguito a distanza dallo specialista del dolore (15,9%). Per quello che riguarda gli oppioidi forti, il farmaco maggiormente prescritto è risultato il fentanyl transder-mico (37,5%) seguito dall’associazione ossicodone/paracetamolo (25%). In questi pazienti il dolore è stato classificato come somatico nel 69,1% dei casi.Nel gruppo di pazienti con dolore non controllato, il 18,6% non aveva una tera-pia in atto. La NRS media è risultata pari a 6,3  +  1,5 nei pazienti senza terapia e 6,8  +  1,5 nei pazienti con terapia. In entrambi i gruppi di pazienti, il dolore è stato classificato prevalentemente come nocicettivo-somatico (56,2 e 47,5%).Nel gruppo di pazienti senza terapia, il medi-co di famiglia sceglie d’impostare in modo autonomo un trattamento che, nel 34,2% dei casi, si rivela a base di FANS (Fig. 2). Nel gruppo di pazienti con una terapia in atto,

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Progetto Link UP M. Gentili et al.

4 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

impostata nel 69,3% dei casi dal MMG, lo stesso medico decide di modificare la terapia (80,3%) o di inviare ai centri Spoke (9,4) o HUB (7,8%). Nel caso di modifica di terapia, la scelta ricade su un oppioide forte (23,1%) o un oppioide debole (14,2%). Anche in questo caso, tra gli oppioidi forti, il farmaco d’elezione risulta essere il fentanyl transdermico (23,4%), seguito dall’associa-zione ossicodone/naloxone (21,9%) e dal tapentadolo PR (15,6%) (Fig. 3). La percen-tuale di pazienti non indirizzati al MMG da parte di un centro specialistico, è risultata pari all’86,9%.

Discussione

La Legge 38 rappresenta un importante passo avanti per la tutela dei pazienti affet-ti da dolore cronico, in quanto riconosce il diritto ad accedere a cure appropriate

e tempestive non solo ai pazienti in fase di terminalità (cure palliative), ma anche a tutte quelle persone affette da dolore di natura anche non oncologica che fino all’entrata in vigore della legge vedevano poco riconosciuta la loro patologia dolorosa, classificata nonostante la cronicità, come un sintomo 1.Il ruolo del medico di famiglia è tornato a essere di primo piano, in quanto identificato come la prima figura clinica alla quale fare riferimento 1.E se questo è un bene, in quanto ne riba-disce la centralità nel processo di cura, dall’altro pone in primo piano il tema della formazione di chi dovrebbe occuparsi della malattia dolore (MMG e specialista di pato-logia) e della reale esistenza delle rete ospedale-territorio. Per quello che riguarda il tema formazione, ad oltre tre anni dall’entrata in vigore della

Legge 38, si evidenziano ancora alcune importanti carenze.L’indagine condotta sottolinea un aspetto importante e cioè la poca dimestichezza del MMG nel riconoscere, ad esempio, l’origine del dolore (Pain Generator). I dati di lettera-tura, così come il riscontro dei dati ottenuti dai centri specialistici, evidenziano come in una rilevante parte dei casi il dolore cronico riconosca un duplice Pain Generator (Mixed Pain) ovvero sia nel contempo presente una origine nocicettiva e neuropatica 4 5.Il mancato riconoscimento di questa tipo-logia di dolore può portare all’impostazio-ne di terapie non adeguate con conse-guente mancato controllo del dolore. Negli ultimi tempi si è molto discusso sull’uso indiscriminato degli antinfiammatori per il trattamento del dolore cronico a dispetto del ridotto impiego di farmaci a base di oppioidi forti; la causa di questo è stata

Figura 1.

Popolazione con dolore controllato NRS ≤ 3 con terapia in atto.

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Farmaci utilizzati

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Progetto Link UPDolore e medicina di famiglia. I risultati del Progetto Link UP

5Rivista Società Italiana di Medicina Generale

prevalentemente imputata alla non volontà del MMG ad utilizzare farmaci più potenti, ma meno conosciuti e, forse per questo, più temuti.Una nuova chiave di lettura che emer-ge dal progetto Link UP potrebbe esse-re quella che il massivo impiego di una determinata classe terapeutica sia legato ad un non corretto riconoscimento dei meccanismi patogenetici sottesi alla pre-senza di dolore. Il Pain Generator è solo il primo di questi meccanismi, ma le modi-ficazioni dell’impulso lungo la via afferen-te alla corteccia cerebrale (Pain System) sono esse stesse rilevanti al fine di una appropriata terapia farmacologica. Da qui emerge chiaramente la necessità di una formazione adeguata per il MMG che gli consenta di poter fattivamente ricoprire il ruolo assegnatogli. Sicuramente non è accettabile che, ancora oggi, percentuali

significative di pazienti con dolore cronico d’intensità severa (NRS > 6) siano sprovvi-sti di una terapia e come in una percentua-le troppo alta, anche laddove la terapia sia presente sia totalmente inadeguata alle esigenze antalgiche del paziente.Altro aspetto fondamentale riguarda la inte-grazione tra centri specialistici per il dolo-re (terapisti del dolore) e Territorio (MMG). Dall’indagine emerge che qualora il pazien-te acceda al Centro Specialistico utilizzando canali diversi da quello rappresentato dal suo medico di famiglia, in più del’80% dei casi il Centro non re-indirizza al curante il paziente. La presa in carico congiunta del paziente con dolore cronico da parte di queste due figure professionali è indispen-sabile per una migliore gestione del pazien-te stesso, per una miglior ottimizzazione delle risorse sanitarie e, non in ultimo, per la creazione di un’efficiente rete territorio-

ospedale che la Legge 38 stabilisce dover essere costruita. In conclusione, per fare in modo che la Legge 38 diventi realmente operativa è necessario un maggior impegno da parte di tutti, medici di famiglia, specialisti del dolo-re e pazienti, affinché si creino le giusti con-dizioni per consentire di migliorare la qualità di vita degli oltre 18 milioni di persone che soffrono per un dolore cronico.

Ringraziamenti

Si ringraziano per la collaborazione i Tutor di Medicina Generale e per il loro particolare impe-gno i Medici del Corso di formazione sotto riportati.Alberto Ussoli, Alice Ascari, Alice Monti, Alice Salotti, Anna Falcicchio, Antonio Leoni, Barbara Manenti, Chiara Bernabei, Chiara Cassinelli, Chiara Mason, Claudia Benatti, Claudia Lamanna, Claudia Polastri, Daniele Sala, Davide Riva, Desiree Zahlane, Elena Mihaela Radu, Elena Obori, Elena Uaran, Elisa Mela, Elisa

Figura 2.

Popolazione con dolore non controllato NRS > 3 senza terapia.

Terapia prescritta

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Progetto Link UP M. Gentili et al.

6 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Paganini, Elena Betelli, Enrica Pramparo, Fabiana Manazzone, Francesca Caselani, Gabriele Buttice, Giada Bardelli, Giannunzio Pantaleo, Giorgia Cisilino, Giulia Ugolini, Giuliana Maria Giambuzzi, Graziana Palombaro, Irene losa, Ketty Projic Mezzoli, Laura Delcarro, Lisa Marcucci, Lisa Picotti, Lorenzo Zanini, Maddalena Maggetti, Mara Alberti, Margherita Locatelli, Maria Marino, Marika Teresa Montorsi, Marina De Pieri, Marta Buscema, Marzia Bottussi, Monica Rizzetto, Nicola Rizzardi, Orjana Haxhiymeri, Paolo

Bianchi, Rebecca Gravina, Riccardo Rinaldi, Roberto Marinoni, Sabina Boschi, Sara Cavallo, Silvia Morisi, Sonia Nocente, Stefania Togni, Stefano Gillard-Magnan, Stephanie Giuliotto, Tommaso Vaccaro, Valentina Panichi, Valeria Vallone, Veronica Ileana Guerci.

Bibliografia1 Legge 38, 15 marzo 2010.2 Relazione al parlamento sull’attuazione

Legge 38-2011.

3 Relazione al parlamento sull’attuazione Legge 38-2012.

4 Almakadma YS, Simpson K. Opioid therapy in non-cancer chronic pain patients: Trends and efficacy in different types of pain, patients age and gender. Saudi J Anaesth 2013;7:291-5.

5 Jones RC 3rd, Backonja MM. Review of neuropathic pain screening and assessment tools. Curr Pain Headache Rep 2013;17:363.

Figura 3.

Popolazione con dolore non controllato NRS > 3 con terapia.

Nuova terapia

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La patologia tiroidea nella Medicina Generale italiana. Studio epidemiologico e considerazioni sul management clinico del paziente

Salvatore Campo, Claudio Cricelli, Francesco Lapi, Gerardo Medea, Serena PecchioliSimg-Health Search

7Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.5>>> 2013

tomatologia talvolta importante, aspeci-fica che, frequentemente, può indurre a diagnosi erronee diverse prima del cor-retto orientamento. Importanza e ruolo nella valutazione clinica, nel follow-up, nella gestione terapeutica, con occasio-nale shared management;

2. ipertiroidismo: discretamente frequen-te, presenta sintomatologia tipica e spesso importante, necessita di pron-ta diagnosi; importanza e ruolo nella valutazione clinica, nel follow-up, nella gestione terapeutica, anche in shared management;

3. tumore tiroideo: discretamente frequen-te e in aumento negli ultimi decenni; la diagnosi è spesso occasionale e deri-vata dal monitoraggio di altre patologie tiroidee; importanza e ruolo, in shared management, nella valutazione clinica, nel follow-up, nella gestione terapeutica e degli esiti.

Come per altri gruppi di patologie, anche per quelle tiroidee i dati epidemiologici, soprattutto di prevalenza, presenti in let-teratura sulla popolazione italiana sono alquanto carenti e spesso riferiti a limitati ambiti territoriali o a casistiche ospeda-liere più che all’intero ambito nazionale. Pertanto, ne è derivato il bisogno di cono-scere il reale peso epidemiologico delle principali patologie tiroidee nel territorio ita-liano a supporto dell’impegno clinico della Medicina Generale.

IntroduzioneLe patologie tiroidee sono tra quelle che più frequentemente richiedono l’intervento del medico di medicina generale (MMG), sia per un disease management diretto sia per quello condiviso. L’alterazione della produ-zione ormonale è responsabile di modifica-zioni metaboliche con inferenze sull’appe-tito, sulla affaticabilità, sulla termogenesi, sulle funzioni cardiovascolari, psichiche, intestinali, muscolari, sulla sfera sessua-le e riproduttiva, ecc. 1. L’ipotiroidismo, in particolare, è una malattia molto frequente nel mondo occidentale con una prevalenza della forma primaria del 3,5/100 circa nelle donne e dello 0,6/100 circa nei maschi. Dai dati di Health Search-CSD LPD, Istituto di ricerca della Medicina Generale italia-na, relativamente all’anno 2011, si evince che i disturbi della ghiandola tiroidea sono occasione di contatto medico-paziente causa specifica nel 2,34% di tutti i contatti. Nonostante questo, nella medicina gene-rale italiana è diffusa la convinzione che la diagnosi e il trattamento delle patologie tiroidee rientrino tra le competenze specia-listiche; per alcune è così, per altre il MMG può averne le competenze per un corretto management nella maggior parte dei casi e quindi rientrare nell’ambito degli interven-ti delle cure primarie 2. Le specificità delle patologie tiroidee di maggiore frequenza e che interessano la Medicina Generale si possono così sintetizzare:1. ipotiroidismo: frequente, presenta sin-

Materiali e metodiLa progettualità ha portato a un protocol-lo d’estrazione dati dal database Health Search-CSD LPD sulla popolazione italiana attiva al 31/12/2011 di un campione di 700 MMG, le cui caratteristiche sono riassunte nelle Tabelle I, II e III. Le condizioni tiroidee sono state indicate con i codici ICD-IX. Le estrazioni di alcune condizioni percen-tualmente poco rappresentate sono state accorpate con altre.La popolazione attiva al 31/12/2011 del campione dei 700 medici Health Search-CSD LPD era costituita da 952.144 per-sone, con le caratteristiche riassunte nella Tabella IV.

RisultatiLa prevalenza dell’ipotiroidismo congenito è risultata essere dello 0,11%, maggiore nel centro-sud rispetto alle regioni del nord (Fig. 1).è interessante valutare l’analisi per età che dimostra una maggiore distribuzione nelle fasce d’età superiori ai 40-50 anni a con-ferma dell’efficacia della prevenzione ope-rata negli ultimi decenni. Il rapporto F:M è risultato 5,2.I dati dei pazienti con ipotiroidismo conge-nito con almeno un dosaggio di TSH negli ultimi 15 mesi sono riassunti in Tabella VI.I dati dei pazienti con ipotiroidismo conge-nito con almeno una prescrizione di ormoni tiroidei negli ultimi 15 mesi sono riassunti in Tabella VII.

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Patologia tiroidea S. Campo et al.

8 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

La prevalenza dell’ipotiroidismo post-chirurgico è risultata dello 0,64% con una maggiore distribuzione nelle regioni del sud (Fig. 2). Nell’analisi per genere, il rappor-to F:M è risultato 3,6, con il 78,31% dei

maschi e l’81,31% delle femmine sottopo-sti a dosaggio di TSH e 87,92% dei maschi e 88,29% delle femmine sottoposti a tera-pia con ormoni tiroidei.La prevalenza dell’ipotiroidismo prima-

rio è risultata del 2,96%, con maggiore distribuzione nelle regioni del centro-nord (Fig. 3). Nell’analisi per genere, il rappor-to F:M è risultato 4,8, con il 67,70% dei maschi e il 74,5% delle femmine sottoposti a dosaggio di TSH e il 60,17% dei maschi e il 66,82 delle femmine sottoposti a terapia con ormoni tiroidei.La prevalenza dell’ipertiroidismo è risultata dell’1,52%, con la distribuzione geografica indicata nella Figura 4. Il rapporto F:M è risultato 2,9.Nella Tabella VIII è indicata l’analisi per fasce d’età. Il 64,12% tra i maschi e il 71,13% tra le femmine sono stati sottoposti

Tabella i.

Schema di estrazione dati per l’ipotiroidismo.

Ipotiroidismo243 Ipotiroidismo congenito244.0 Ipotiroidismo post-chirurgico244.1 Ipotiroidismo da irradiazione244.2 Ipotiroidismo da iodio244.3 Ipotiroidismo da Fenilbutazone, Resaorcinolo e PAS244.4 Ipotiroidismo primario244.9 Ipotiroidismo e Ipotiroidismo subclinico

Sono stati rilevati i dati su:• prevalenza • pazienti sottoposti a dosaggio del TSH negli ultimi 15 mesi• pazienti in terapia con l-tiroxina negli ultimi 15 mesi

Estrazione cumulativada 244.1 a 244.9

Tabella ii .

Schema di estrazione dati per l’ipertiroidismo.

Ipertiroidismo242.0 M. di Basedow242.1 Gozzo o nodulo tossico con Ipertiroidismo242.9 Ipertiroidismo242.8 Ipertiroidismo metastasi funzionanti K tiroide, adenoma ipofisario TSH-secernente242.0 Ipertiroidismo familiare non autoimmune

Sono stati rilevati i dati su:• prevalenza • pazienti sottoposti a dosaggio del TSH negli ultimi 15 mesi• pazienti in terapia con tiamazolo negli ultimi 15 mesi

Estrazione cumulativa 242%

Tabella ii i .

Schema di estrazione dati per il carcinoma tiroideo.

K Tiroide193 K Tiroide

Sono stati rilevati i dati su:• prevalenza

Figura 1.

Distribuzione geografica dell’ipotiroidismo congenito.

Nord Ovest

0,20

0,15

0,10

0,05

0Nord Est Centro Sud Isole

Serie 1

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Patologia tiroideaLa patologia tiroidea nella MG italiana

9Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Tabella iV.

Caratteristiche della popolazione studiata.

Analisi geografica N %

No 210899 22,15

Ne 212188 22,29

Centro 192146 20,18

Sud 228103 23,96

Isole 108808 11,43

Analisi per genere

M 455950 47,89

F 496194 52,11

Analisi per età

< 15 15662 1,64

15-24 96317 10,12

25-34 127033 13,34

35-44 169039 17,75

45-54 168090 17,65

55-64 141567 14,87

65-74 117775 12,37

≥ 75 116661 12,25

Totale 952144 100,00

Figura 2.

Distribuzione geografica dell’ipotiroidismo post-chirurgico.Tabella V.

Analisi per età dei casi di ipotiroidismo congenito.

Analisi per età

< 15 14 0,09

15-24 45 0,05

25-34 62 0,05

35-44 143 0,08

45-54 218 0,13

55-64 282 0,20

65-74 187 0,16

≥ 75 79 0,07

Totale 1030 0,11

Tabella Vi.

Pazienti con Ipotiroidismo congenito con almeno un dosaggio di TSH negli ultimi 15 mesi.

Analisi geografica N %

Nord Ovest 101 72,66

Nord Est 136 68,00

Centro 172 74,14

Sud 207 76,10

Isole 137 73,26

Analisi per genere

Maschi 105 63,25

Femmine 648 75,00

Analisi per età

< 15 7 50,00

15-24 30 66,67

25-34 41 66,13

106 74,13

45-54 164 75,23

55-64 204 72,34

65-74 147 78,61

≥ 75 54 68,35

Totale 753 73,11

Totale Sicilia 111 72,08

Tabella Vii .

Pazienti con ipotiroidismo congenito con almeno una prescrizione di ormoni tiroidei negli ultimi 15 mesi.

Analisi geografica N %

Nord ovest 110 79,14

Nord est 160 80,00

Centro 192 82,76

Sud 201 73,90

Isole 138 73,80

Analisi per genere

Maschi 114 68,67

Femmine 687 79,51

Analisi per età

< 15 9 64,29

15-24 34 75,56

25-34 39 62,90

35-44 106 74,13

45-54 163 74,77

55-64 228 80,85

65-74 162 86,63

≥ 75 60 75,95

Totale 801 77,77

Totale Sicilia 110 71,43

Nord Ovest

1,00

0,80

0,60

0,40

0,20

0Nord Est Centro Sud Isole

%

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Patologia tiroidea S. Campo et al.

10 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

ad almeno un dosaggio di TSH negli ultimi 15 mesi; i pazienti con almeno una prescri-zione di tiamazolo negli ultimi 15 mesi sono stati il 25,53% tra i maschi e il 22,61% tra le femmine.La prevalenza del carcinoma tiroideo è risultata dello 0,26% con una distribuzione maggiore nelle fasce d’età 35-74 anni, per come mostrato nella Figura 5.La distribuzione geografica è piuttosto omo-genea, tranne per una maggiore prevalenza nelle regioni del centro Italia, come mostra-to nella Figura 6. Il rapporto F:M è 2,9.

DiscussioneLo studio conferma la rilevanza epidemiolo-gica delle patologie tiroidee, con percentuali che, per la natura stessa della loro deriva-zione, sono da ritenere quanto più vicine al vero. Si conferma la loro netta prevalenza nel genere femminile. Complessivamente, la prevalenza dell’ipotiroidismo congeni-to, chirurgico e primario è risultata essere del 3,71%, percentuale prossima a quelle di altri lavori epidemiologici. La causa più frequente di ipotiroidismo primario è rap-presentata dalle tireopatie autoimmuni e in particolare dalla tiroidite di Hashimoto. Alcuni indicatori di processo (pazienti sottoposti a indagini e terapie) risento-no della variabilità clinica della malattia, con possibili remissioni, della sensibilità

Figura 3.

Distribuzione geografica dell’ipotiroidismo primario in %.

Nord Ovest

4,00

3,50

3,00

2,50

2,00

1,50

1,00

0,50

0Nord Est Centro Sud Isole

Serie 1

Figura 4.

Distribuzione geografica dell’ipertiroidismo in %.

Figura 5.

Distribuzione per fasce d’età del K tiroideo.

Nord Ovest

2,00

1,50

1,00

0,50

0Nord Est Centro Sud Isole

Serie 1

Tabella Vii i .

Pazienti con ipertiroidismo, analisi per fasce d’età.

Analisi per età

< 15 12 0,08

15-24 217 0,23

25-34 903 0,71

35-44 1907 1,13

45-54 2646 1,57

55-64 2879 2,03

65-74 2740 2,33

≥ 75 3135 2,69

Totale 14439 1,52

Totale Sicilia 1248 1,48

0 200 400 600 800

Serie 1

Serie 2

≥ 7565-7455-6445-5435-4425-3415-24< 15

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Patologia tiroideaLa patologia tiroidea nella MG italiana

11Rivista Società Italiana di Medicina Generale

e compliance al follow-up e del costo dei farmaci. Nell’ipotiroidismo congenito, la percentuale dei pazienti sottoposti a terapia è del 77,77% contro una attesa prossima al 100%; una giustificazione potrebbe deri-vare dal basso costo degli ormoni tiroidei che possono indurre all’acquisto diretto in farmacia senza il ricorso alla ricetta SSN. Nelle condizioni in cui si sono avuti dati sulla prescrizione di TSH e di farmaci (ormoni tiroidei e tiamazolo) le percentuali maggio-ri hanno interessato il genere femminile, con una possibile duplice spiegazione: o le patologie tiroidee vanno più facilmente in remissione nel genere maschile oppure le femmine sono più attente al controllo della

malattia. Il carcinoma tiroideo ha avuto una prevalenza dello 0,26%; numerosi Registri Tumori indicano un’aumento di incidenza del carcinoma tiroideo dal 1985 in poi ed è stato messo in relazione a incidenti nuclea-ri. Tale incremento riguarda in particolare i carcinomi tiroidei a basso rischio e questo ha contribuito a mantenere costante la mor-talità per causa. Nell’ipertiroidismo, la per-centuale di pazienti in terapia con tiamazolo è di circa il 25% in relazione alle frequente remissione della condizione. Nel setting della Medicina Generale è fondamentale la conoscenza epidemiologica e quella dei percorsi clinici e terapeutici della patolo-gia, oltre al ruolo di «filtro» nei confronti di

richieste di prescrizioni che provengono da diversi ambienti sanitari e «non», appropria-te e non.Alcune condizioni consentono una gestione clinica diretta, altre in rete funzionale, per condividere percorsi e strategie di disease management, generali e territoriali.

ConclusioniLe competenze della Medicina Generale debbono avere solidi riferimenti in una cor-retta conoscenza epidemiologica e in buone capacità cliniche che, assieme alle capaci-tà possedute dal profilo professionale del MMG, sono utili a suggerire interventi razio-nali e appropriati nel setting della Medicina Generale e, in tal senso, la gestione di alcu-ne patologie tiroidee rientra di diritto tra le sue competenze.

Bibliografia1 Puxeddu E, Santeusanio F. Malattie della

tiroide. In: Trattato di Medicina Interna. Vol. III: Malattie delle ghiandole endocrine, del metabolismo e della nutrizione. Piccin Nuova Libraria 2011.

2 Medea G. La gestione dell’ipotiroidismo in Medicina Generale: nuove opportunità terapeutiche per la compliance e il raggiungimento del target terapeutico. Rivista SIMG 2012;(4):29-33.

3 Marulli CF, Benvenga S, Alecci U, et al. Nuove strategie terapeutiche e gestione dell’ipotiroidismo in Medicina Generale: il problema (… e la soluzione) dell’interferenza dei farmaci sull’assorbimento intestinale della tiroxina. Rivista SIMG 2013;(Suppl 1):3-13.

Figura 6.

Distribuzione geografica del K tiroideo.

Nord Ovest

0,40

0,35

0,30

0,25

0,20

0,15

0,10

0,05

0Nord Est Centro Sud Isole

Serie 1

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Pazi

ente

asm

atic

o

La gestione del paziente asmatico in Medicina GeneraleEsperienza di Audit professionale di un gruppo di medici di medicina generale della ASL 11 di Empoli (Regione Toscana) nel 1° semestre del 2013

Giovanni SusiniCoordinatore della Formazione in Medicina Generale, ASL 11 (Regione Toscana)

Medici di Medicina Generale della ASL 11 partecipanti all’Audit: M. Agabiti, G. Angelucci, M. Bargiani, M. Bartolommei, A. Bellucci, S. Bimbi, G. Borrone, F. Calcini, M. Cammisa, D. Donzelli, A. Giannanti, G. Innocenti, M. Massei (MMG in formazione) F. Niccolini, L. Tognetto, G. Santoli, R. Torri, G. Susini, F. Viti, M. Viviani

13Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.5>>> 2013

job”) 1 4 5 le cui fasi di lavoro possono essere riassunte schematicamente nella Tabella I.

Analisi dei bisogni: perché parlare di asma?

L’asma colpisce oggi oltre 300 milioni di per-sone in tutto il mondo e la sua prevalenza è in aumento. L’uso dei corticosteroidi per via inalatoria (ICS), con o senza beta-2-agonisti a lenta azione (LABA) in combinazione, ha por-tato a un miglior controllo dei sintomi, a una notevole riduzione delle ospedalizzazioni e a una riduzione della mortalità. Eppure, nono-stante la disponibilità di tali efficaci terapie, oltre la metà dei pazienti con asma sembra-no essere scarsamente controllati prevalen-temente a causa della scarsa adesione alla terapia 2. Le maggiori criticità nella Medicina Generale sono rappresentate essenzialmen-

Introduzione e obiettivi del lavoroI programmi di formazione della Medicina Generale dovrebbero prevedere una sempre maggiore componente di partecipazione e coinvolgimento diretto dei medici di medici-na generale (MMG) nell’arricchimento delle proprie conoscenze. è ancora molto diffuso l’uso di metodologie formative “tradiziona-li”, in cui si mira essenzialmente a un mero accrescimento delle competenze tecniche senza considerare che non c’è sempre un rapporto lineare tra competenza e migliora-mento delle performance. Il coinvolgimento diretto del medico nella propria formazione potrà far emergere criticità altrimenti diffi-cilmente apprezzabili con lo scopo di identi-ficare le barriere che impediscono la buona pratica clinica e di proporre correttivi per il miglioramento dell’assistenza. Questo, in definitiva, è stato l’obiettivo del lavoro di Audit professionale portato avanti nel 1° semestre del 2013 da un gruppo di medici della ASL 11 di Empoli (Regione Toscana). L’argomento di studio prescelto è stato “La gestione dell’asma bronchiale da parte del medico di medicina generale”. L’oggetto del nostro studio quindi non era l’asma bronchiale, compito questo del ricercatore, bensì il modo di gestire l’asma da parte del gruppo di medici partecipanti. Sono state effettuate quattro riunioni del gruppo a cadenza mensile, della durata di quattro ore ciascuna. Ci siamo serviti della metodologia dell’Audit professionale (formazione “on the

te dalla sottostima della diagnosi clinica, specialmente nelle fasi precoci, dalla difficol-tà nella effettuazione della diagnosi funzio-nale (stadiazione mediante spirometria, sia nell’approccio diagnostico sia nel follow-up terapeutico) e dalla diagnosi differenziale con le altre sindromi ostruttive respiratorie croni-che. La scarsa e disomogenea applicazione delle linee guida internazionali (LG) 3 7 8 da parte del MMG impedisce, inoltre, di testarle adeguatamente nella pratica quotidiana e di ottenere gli eventuali aggiustamenti per una definitiva validazione.

Il campione dei MMG partecipanti e metodo di estrazione dati

Su 22 MMG iscritti all’Audit 19 hanno invia-to i dati completi, 3 non hanno inviato dati,

Tabella i.

Le fasi dell’Audit professionale.

1 Individuazione del problema, selezione della priorità specifica degli obiettivi

2 Definizione dei criteri di buona qualità, indicatori e standard

3 Selezione delle fonti dei dati, raccolta, organizzazione e presentazione degli stessi

4 Confronto della performance con i criteri, gli indicatori e gli standard predefiniti

5 Discussione e identificazione delle cause di criticità

6 Progetto di miglioramento e introduzione dei cambiamenti necessari

7 Rivalutazione della performance

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Paziente asmatico G. Susini

14 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

ma sono intervenuti almeno a una delle 4 riunioni previste. La partecipazione com-plessiva alle riunioni è stata del 95,83%. Dei 19 medici che hanno inviato dati, 5 sono femmine e 14 sono maschi con età media di 50,4 anni e un numero medio di pazienti in carico pari a 1.347. Gli assisti-ti totali studiati in carico ai 19 MMG sono stati 25.602. Tutti i medici registrano i dati sul programma MilleWin. I dati sono stati estratti mediante l’invio di una “stringa di estrazione” uniforme che è stata inserita nel programma Mille Utilità/Statistiche/Impostazione Riepiloghi Personali.

Il problema delle diagnosiI colleghi si sono impegnati nella revisione di tutta la propria casistica che ha portato a selezionare ed estrarre le diagnosi di asma ritenute certe sulla base delle indicazio-ni delle LG 3 e, talvolta, sulla base dei soli criteri clinici o della storia complessiva del paziente, spesso conosciuto da molti anni. Questo lavoro di “Self Audit”, in definitiva, è stato il lavoro più importante per ogni parte-cipante, poiché è in tale occasione che egli ha estratto, analizzato ed, eventualmente, corretto le inappropriatezze riscontrate.

Lo studio di prevalenzaIl campione di popolazione è stato sufficien-temente numeroso (25.602 persone analiz-zate); il dato sulla prevalenza è risultato di

3,73 con Deviazione Standard (DS) +-1,43 (Tab. II) e quindi leggermente inferiore rispetto allo standard atteso compreso tra il 4 e il 7%. I medici con prevalenza com-presa tra 4 e 7% (espressione del grado di omogeneità della prevalenza dell’asma nel campione in studio) è risultato del 40,9% contro uno standard atteso del 70%, anche se l’indice della dispersione dei singoli risultati (DS) è risultato molto contenuto. La variabilità del dato sulla prevalenza (Fig. 1) può derivare dalla maggiore o minore accu-ratezza nelle diagnosi e dal fatto che molti asmatici sfuggono al controllo del MMG poiché seguiti dallo specialista o dal pedia-tra. Altre difficoltà risiedono essenzialmen-te nella talvolta scarsa e non omogenea qualità delle informazioni che si riescono a ottenere dalle cartelle cliniche dei medici. Il dato, comunque, è analogo a vari altri studi di Audit in Medicina Generale.

RisultatiNella Tabella II sono riportati gli indicatori e i risultati in confronto con gli standard attesi. Le diagnosi codificate di AB sono risultate 856 su 25.602 assistiti esaminati e sono state tutte inserite nei registri di patologia del programma MilleWin di ogni medico. Ottimo è risultato il dato sulla sommini-strazione dell’anamnesi tabagica (92,95%) che ha superato lo standard atteso. Buona anche la registrazione del BMI (58,26%) che si è avvicinata molto, senza raggiun-

gerlo, allo standard previsto del 60%. Bassa invece è risultata la registrazione codifica-ta del fattore di rischio “rinite allergica” (17,89%). Il dato sulle Prove di Funzione Respiratoria (PFR) effettuate negli ultimi 1.000 giorni, sia relativo alla sola volumetria dinamica sia associato alla volumetria statica, al test sulla diffusione polmonare (DLCO) e al test di reversibilità, è risultato del 31,9%. Avevamo previsto uno standard dell’80%, quindi il dato appare lontano dall’atteso anche se in linea con i risultati di altre esperienze di Audit professionale in Medicina Generale. Le cause di tale importante criticità sono da ricercarsi, principalmente, in problemi di tipo organizzativo legati all’effettuazio-ne dell’esame nelle strutture del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e, seppure in minor misura, in problemi legati all’aderen-za del paziente alle prescrizioni del medico, come risulta dall’esame del questionario somministrato ai medici del gruppo che più avanti commenteremo (Tab.  IV). Le richie-ste di Prick test, considerato un esame di primo livello nell’anamnesi allergologica, sono risultate superiori (17,57%) rispetto alle richieste delle IgE specifiche per ina-lanti e/o alimenti, considerate di secondo livello (7,42 e 10,56%), anche se lontane dallo standard atteso. Per quanto riguar-da l’impiego dei farmaci (Tab.  II, Fig. 2), è risultato che nel 52,88% delle prescrizio-ni si utilizzano i farmaci degli step tera-

Figura 1.

Le prevalenze dei singoli medici.

Audit Asma 2013Prevalenze

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Paziente asmaticoLa gestione del paziente asmatico in Medicina Generale

15Rivista Società Italiana di Medicina Generale

peutici iniziali: salbutamolo (20,32%), CSI (23,42%) e antileucotrieni (9,12%). Nel 42,97% dei casi si usano farmaci degli step terapeutici successivi: 37,58% dei casi associazioni precostituite a base di CSI (fluticasone, budesonide, beclometasone) e LABA o SAMA (salmeterolo, formoterolo, ipratropio) e nel 5,39% dei casi LABA non in associazione precostituita 3 10 11. In per-centuale molto minore (il restante 4,15%) si utilizzano altri farmaci come i derivati xantinici e gli anticolinergici a lunga durata d’azione (LAMA). La prescrizione di questi ultimi, non avendo indicazione ministeriale nell’AB, è stata considerata come indicatore di inappropriatezza 5.Esistono comunque già evidenze che dimo-strano che l’aggiunta di tiotropio, in pazienti con asma moderata in terapia continuativa con CSI a medie dosi, migliora la funzione polmonare e mantiene una bronco dilata-zione efficace che supera le 24 ore 13 14.

Come valutare complessivamente l’inappropriatezza prescrittiva?Diversamente dalla BPCO, in cui a ogni stadio di gravità si fa corrispondere una terapia definita, nell’asma bronchiale tale corrispondenza non è altrettanto fissa e la terapia può essere modificata anche in tempi più o meno rapidi, in base al rag-giungimento o meno dello stato di controllo (step-up o step-down). Per la presenza di tale variabilità, nel nostro studio, non è stato possibile correlare direttamente i singoli far-maci usati allo stato funzionale dei pazienti al momento della prescrizione. Uno studio di Audit per la rilevazione di tale rapporto (stadio funzionale/terapia prescritta) avreb-be dovuto comportare, a nostro giudizio, un periodo di osservazione più limitato e una formazione specifica dei medici partecipanti che avrebbe dovuto precedere l’inizio della registrazione dei dati. Sarà quindi oggetto di un lavoro futuro. Nel nostro studio abbiamo deciso, pertanto, di ricercare le inappropria-tezze “sicure”, quelle cioè che non neces-sitavano dell’accertamento della suddetta correlazione, ma che erano sicuramente inappropriate in base alle LG internazionali. Mi riferisco in particolare all’uso dei LABA

Tabella ii .

Indicatori, risultati e standard.

Indicatori Risultati Standard

Totale assistiti in carico al gruppo dei MMG 25.602

Prevalenza totale del gruppo 3,73 +-1,43

1 Diagnosi codificate di asma bronchiale 856

2 Anamnesi fumo % negli ultimi 1.000 giorni 92,95 90

3 MMG con prevalenza compresa fra 4 e 7% 40,91 70

4 Registrazione BMI % negli ultimi 1.000 giorni 58,26 60

5 Diagnosi codificate di rinite allergica negli ultimi 1.000 giorni 17,89 80

6 PFR effettuate negli ultimi 1.000 giorni 31,9 80

7 IgE totali effettuate almeno una volta 23,64 30

8 IgE specifiche per inalanti effettuate almeno una volta 7,42 30

9 IgE specifiche per alimenti effettuatealmeno una volta 10,56 20

10 Prick test effettuate almeno una volta 17,57 50

Farmaci

11 Beta-2-agonisti rapida azione (SABA) 20,32

12 Cortico Steroidi Inalatori (CSI) 23,42

13 Associazione salmeterolo/fluticasone (CSI + LABA) 12,3

14Associazione formoterolo/budesonide/becometazone (CSI + LABA)

19,41

15 Associazione salb/beclom/ipratropio (CSI + LABA/SAMA) 5,83

16 Antileucotrieni (AL) 9,11

17 Derivati xantinici (DX) 1,55

18 Beta-2-agonisti lenta azione (salmeterolo) (LABA) 1,36

19 Beta-2-agonisti lenta azione (formoterolo) (LABA) 3,28

20 Beta-2-agonisti lenta azione (indacaterolo) (LABA) 0,72

21 Anticolinergici a lunga azione (tiotropio bromuro) (LAMA) 2,64

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Paziente asmatico G. Susini

16 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

non in associazione ai CSI, all’uso dei LAMA che, come abbiamo detto, non hanno indi-cazione nell’AB e ad altre inappropriatezze come l’uso dei corticosteroidi per os al di fuori dei periodi di riacutizzazione asmatica o altre associazioni non previste dalle LG internazionali. Per far ciò abbiamo scelto 8 combinazioni terapeutiche in cui potevano essere evidenziate le suddette condizioni, come riportato nella Tabella III.I risultati dimostrano che tali inappropria-tezze terapeutiche rappresentano solo il 3,33% delle prescrizioni, anche se l’uso della combinazione CSI + LABA (32,60%) appare, probabilmente, superiore alle reali necessità dei pazienti 4.

Un questionario sulle criticitàDalla discussione nel gruppo è emerso che le maggiori criticità nella gestione del paziente asmatico non sono rappresentate dalla gestione terapeutica dei pazienti, bensì da altri importanti fattori come risulta da un questionario costruito su indicazione dei medici stessi (Tab. IV). Vi si riporta l’elenco delle maggiori criticità riscontrate e cioè: la sottostima della diagnosi, lo scarso ricorso alle PFR e la scarsa aderenza alla terapia da parte del paziente. Ogni criterio ha ricevuto uno score da 1 a 5 in base al grado di crescente importanza che ogni criterio riscuoteva presso i medici. Il risultato finale, tradotto in percento, è stato riportato nella Tabella IV.Dall’analisi del questionario possiamo con-

cludere che le maggiori criticità nell’am-bito diagnostico sono rappresentate dalla diagnosi differenziale tra asma e le altre sindromi ostruttive respiratorie. Questo argomento quindi è stato affrontato duran-te le riunioni e si sono approfondite le caratteristiche cliniche e funzionali delle tre principali sindromi ostruttive croniche dell’apparato respiratorio (asma bronchiale, enfisema polmonare e bronchite cronica). Si sono inoltre esaminate le indicazioni e le varie modalità di esecuzione della spi-rometria (esame della volumetria statica e dinamica, la misura della DLCO per la dif-fusione polmonare e le indicazioni del test al broncodilatatore) 9. Per quanto riguarda lo scarso ricorso alle PFR, i problemi più rilevanti sono stati considerati quelli di tipo “organizzativo”, legati cioè ai rapporti del medico con le strutture del SSN (tempi di attesa, lontananza dai laboratori di fisiopa-tologia respiratoria). Il giudizio sull’aderenza alla terapia ha evidenziato principalmente problemi legati a difficoltà “culturali” del paziente; in particolare è stata rilevata una “scarsa capacità di autovalutazione della gravità della patologia” e una “non con-sapevolezza della cronicità della propria patologia”. Ciò spinge il paziente, che spes-so è giovane e attivo in ambito lavorativo, a interrompere la terapia anche contro il parere del medico. Il criterio “sfiducia nella terapia inalatoria” non è risultato rilevante. Per quanto riguarda l’ultimo criterio del

Figura 2.

Farmaci e/o associazioni di farmaci usati.

Audit Asma 2013Farmaci e/o associazioni

Tabella ii i .

Combinazioni terapeutiche.

1 Nessuna terapia 33,90

2 Solo SABA 5,80

3 Solo CSI 9.00

4 CSI + SABA/SAMA 13,10

5 CSI + LABA 32,60

6 Solo LABA o LAMA 0,30

7 Altro appropriato 2,30

8 Altro inappropriato 3,03

SALB: salbutamolo; CSI: cortico steroide inalatorio; S/F: associazioni salmeterolo/fluticasone; F/B/B: associazioni formoterolo/budesonide o formoterolo/beclometasone; S/B/I: associazioni salmeterolo/beclometasone o salmeterolo/ipratropio; AL: antileucotrieni; DX: derivati xantinici; SALM: salmeterolo; FOR: formoterolo; IND: indacaterolo; TIO: tiotropio.

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Paziente asmaticoLa gestione del paziente asmatico in Medicina Generale

17Rivista Società Italiana di Medicina Generale

questionario e cioè “i problemi di aderenza per cause legate al medico stesso”, questi ritiene che le “interferenze con lo speciali-sta” abbiano la maggior rilevanza (difficoltà di comunicazione e, talora, inosservanza delle LG da parte dello specialista stesso), mentre la “carenza di tempo per le spiega-zioni al paziente sulla terapia” e la “sensa-zione complessiva di inadeguatezza ”sono risultati di importanza minore.

ConclusioniDobbiamo migliorare la definizione diagno-stica sul piano clinico e in special modo approfondire la diagnosi differenziale fra l’asma e le altre sindromi respiratorie ostruttive croniche. Dobbiamo migliorare la

diagnosi funzionale mediante il più assiduo e sistematico ricorso alle PFR 6; ciò si riper-cuoterà positivamente sia sull’appropriatez-za prescrittiva che sul follow-up dei pazienti. Per quanto riguarda l’impiego dei farmaci, l’aderenza alle LG internazionali è risultata buona; le percentuali di pazienti senza tera-pia continuativa (controllati) e pazienti in terapia con SABA al bisogno e/o CSI da soli (negli stadi di controllo parziale) sono risul-tati nei parametri attesi 12. Il ricorso invece alle associazioni precostituite (CSI + LABA) è risultato superiore all’atteso, probabil-mente in relazione all’immissione in com-mercio di associazioni di farmaci conside-rate di maggiore facilità d’impiego da parte dei medici. Lo scarsissimo uso di derivati xantinici, di corticosteroidi per os, di LAMA

e di LABA non in associazione di CSI è sicu-ramente un indice di buona appropriatezza prescrittiva. La scarsa aderenza alla terapia è risultata una criticità molto rilevante da parte di tutti i medici per le ragioni descritte nei risultati del questionario. Per quanto riguarda la metodologia forma-tiva usata, è importante che i medici, i for-matori e le strutture del SSN a ciò preposte prendano atto sempre di più del fatto che al “sapere” non corrisponde sempre e in maniera diretta il “saper fare” per ottenere il quale è necessario che il MMG sia in grado di conoscere e valutare il proprio operato in maniera critica divenendo giudice di se stesso ed essendo pronto a ricercare ade-guati correttivi al proprio lavoro. A giudizio dei medici del nostro gruppo l’Audit profes-

Tabella iV.

Questionario sulle criticità.

Maggiori cause di criticità nella gestione dell’asma in MG Percento

1 2 3 4 5

Sottostima delle diagnosi

Difficoltà legate alla diagnosi clinica 29,5 35,3 23,5 11,7 0

Difficoltà legate alla DD tra asma e altre SD ostruttive 11,7 29,4 41,2 11,8 5,9

Difficoltà legate alla registrazione delle diagnosi 58,8 17,7 17,6 5,9 0

Scarso ricorso alle PFR

Problemi legati al paziente 17,7 41,2 23,5 17,6 0

Problemi legati al medico 47 5,9 35,3 0 11,8

Problemi legati all’organizzazione 5,9 23,5 47,1 11,7 11,8

Aderenza

Giudizio complessivo sull’aderenza 0 29,4 53 11,7 5,9

Problemi legati al paziente 0

“Sfiducia” nella terapia inalatoria 41,2 17,7 23,5 11,7 5,9 0 10

Non consapevolezza delle cronicità delle patologia 0 17,7 17,6 29,4 35,3 11 20

Scarsa capacità di autovalutazione della gravità 0 11,8 29,4 41,2 17,6 21 30

Problemi legati al medico 31 40

Carenza di tempo da dedicare alle spiegazioni 35,3 35,3 29,4 0 0 41 50

Interferenze dello specialista 11,7 11,7 29,4 23,6 17,6 51 60

Sensazione di inadeguatezza gestione complessiva 11,7 41,2 17,6 11,7 11,8

DD: diagnosi differenziale; SD: sindrome; PFR: prove di funzione respiratoria.

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Paziente asmatico G. Susini

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sionale è sicuramente la metodologia più efficace.

Bibliografia1 Susini G. La formazione continua in Medicina

Generale: “Un lavoro sul campo” -  Esperienza di Audit professionale su argomento Pneumologico (BPCO) di un gruppo di MMG della ASL 11 di Empoli (Regione Toscana) nell’anno 2012. Rivista SIMG 2013;(2):3-9.

2 Barnes PJ. New drugs for asthma. Semin Respir Crit Care Med 2012;33:685-94.

3 Global Initiative for Asthma. Global strategies for asthma management and prevention. National Institute of Health 2011. www.ginasthma.org.

4 Brizio E, Balestrazzi M, Laurora NR, et al. Net-Audit sul trattamento dell’asma. Rivista QQ 2002;7:3-6.

5 Linares T, Campos A, Torres M, et al. Medical Audit on Asthma in emergency department. Allergol Immunopathol (Madr) 2006;34:248-51.

6 Bettoncelli G. Dossier Malattie Respiratorie e Allergiche. L’approccio del medico di medicina generale. Rivista SIMG 2011;(2):62-3.

7 Cazzoletti L, Marcon A, Janson C, et al.; Therapy and Healt Econimics Group of the European Community Respiratory Healt Survey. Asthma control in Europe; a real-world evaluation based on an international population-based study. J Allergy Clin Immunol 2007;120:1360-7.

8 Boulet LP, FritzGerald LM, Levy ML, et al. A guide to the translation of the Global Initiative for Asthma (GINA) strategy into improved care. Eur Respir J 2012;39:1220-9.

9 Paggiaro PG, Averame G, Bonavia M, et al. Office spirometry can improve the diagnosis of obstructive air way disease in primary care setting. Resp Med 2009;103:866-7.

10 Paggiaro PG, Papi A, Nicolini G, et al. Beclomethasone/formoterol vs. fluticasone/salmeterol invale combination in moderate to severe asthma. Allergy and Asthma Proceedings 2007;62:1182-7.

11 Papi A, Corradi M, Pigeon-Francisco C, et al. Beclometasone-formoterol as maintenance and reliever treatment in patients with asthma: a double-blind, randomised controlled trial. Lancet Respir Med 2013;1:23-31.

12 Bettoncelli G, Varricchio A. Nebulizzazione tratto respiratorio integrato: razionale d’impiego. Rivista SIMG 2010;(3):23-8.

13 Kerstjens HA, Engel M, Dahl R, et al. Tiotropium in asthma poorly controlled with standard combination therapy. N Engl J Med 2012;367:1198-207.

14 Improved lung function in patients with moderate asthma observed with investigational tiotropium. Congresso Annuale ERS, Barcellona 2013.

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Nuove linee guida SNLG-ISS Diagnosi e terapia della malattia di Parkinson

Francesco MazzoleniArea Neurologica Simg

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sto punto critico, definendo l’apporto delle varie figure professionali, e rappresentano un documento innovativo che contiene una serie di raccomandazioni orientate verso la pratica clinica corrente e la sanità pubblica.

Il percorso assistenziale nella malattia di ParkinsonIn Italia si può calcolare che vi siano attual-mente circa 230.000 malati di Parkinson 1. La malattia è leggermente più frequente nei maschi che nelle femmine (60 vs. 40%) e si stima che circa il 5% di tutti i malati di Parkinson abbia un’età inferiore ai 50 anni mentre circa il 70% ha un’età superiore ai 65 anni  2. Si prevede che entro il 2030 il numero dei casi sarà raddoppiato a causa del crescente invecchiamento della popola-zione generale 3.In considerazione delle sempre più limitate risorse disponibili, è importante trovare un punto di equilibrio tra l’obiettivo di perse-guire l’appropriatezza diagnostica e tera-peutica in tutte le fasi di malattia e quello di ottimizzare un percorso diagnostico-tera-peutico finalizzato a migliorare la qualità dell’assistenza per tutti i pazienti affetti da questa patologia.In un processo di gestione integrata della malattia di Parkinson, il neurologo esperto in disordini del movimento riveste un ruolo centrale e ha la necessità di coordinarsi in modo sinergico con gli altri professio-nisti socio-sanitari per migliorare la quali-

IntroduzioneNel nostro Paese è ancora carente l’i-dea di un governo clinico della malattia di Parkinson. Mancano infatti sia un documento naziona-le di indirizzo sulla gestione di questa pato-logia, sia progetti a livello territoriale quali i PDTAR (Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali e Riabilitativi).Le nuove linee guida sulla diagnosi e il trattamento della malattia di Parkinson, presentate all’Istituto Superiore di Sanità di Roma lo scorso mese di maggio, rappre-sentano un primo passo per la costruzione nel nostro Paese di un sistema integrato efficace ed efficiente che sia di supporto nel percorso diagnostico, terapeutico, ria-bilitativo e assistenziale nelle diverse fasi della malattia.Un aspetto rilevante da considerare è che il paziente parkinsoniano, così come molti pazienti che si trovano in altre situazio-ni di cronicità e complessità, può entrare in contatto con numerose figure mediche (neurologo, medico di medicina generale, genetista, geriatra, fisiatra, neurofisiologo, neuroradiologo, psichiatra, neurochirurgo, ortopedico, urologo, nutrizionista) e con altre figure professionali socio-sanitarie (fisioterapista, logopedista, terapista occu-pazionale, psicologo, infermiere, assistente sociale) che operano, il più delle volte, in modo autonomo e non coordinato tra loro.Queste linee guida hanno tra gli obiettivi quello di contribuire al superamento di que-

tà di assistenza complessiva da fornire ai pazienti. In particolare, il rapporto tra il neurolo-go esperto in disordini del movimento e il medico di medicina generale (MMG) rap-presenta uno snodo cruciale.Nel VII Report Annuale 2010-2011 dei dati di Health Search 4, la malattia di Parkinson si colloca in terza posizione, fra 35 pato-logie oggetto di analisi, per numero di contatti/paziente/anno per causa specifica con un valore di 7,86 contatti subito dopo le malattie ischemiche del cuore (8,47) e il diabete mellito tipo 2 (8,06) e preceden-do tutte le altre patologie, molte delle quali hanno notoriamente una prevalenza supe-riore nella popolazione generale 5 6.Alla luce di questi dati, il MMG ha il compito di acquisire e di mantenere una conoscen-za appropriata delle caratteristiche cliniche della malattia di Parkinson e delle condizio-ni di parkinsonismo. Nelle fasi iniziali della malattia, la raccolta anamnestica mirata e l’esecuzione di un esame obiettivo neurologico sono finaliz-zate alla conferma del sospetto diagnosti-co di “sindrome parkinsoniana” e al com-pletamento della valutazione preliminare del caso, prima che il paziente sia inviato al neurologo esperto in disordini del movi-mento per la formulazione della diagnosi e l’impostazione terapeutica. Nelle fasi successive il MMG deve collabo-rare con il neurologo e le altre figure pro-fessionali coinvolte per le variazioni della

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Linee guida m. Parkinson F. Mazzoleni

20 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

strategia terapeutica, la gestione delle comorbilità, delle complicanze motorie e non motorie e per l’attivazione degli inter-venti socio-assistenziali nelle fasi avanzate di malattia, caratterizzate da progressiva invalidità.

Elaborazione delle linee guidaLa malattia di Parkinson rappresenta una sfida sia per la comunità scientifica, impe-gnata a comprenderne le molteplici cause di ordine genetico e ambientale e a individua-re trattamenti sempre più efficaci e sicuri, sia per il nostro sistema socio-sanitario.Inoltre, l’implemento delle conoscenze sui sintomi non motori, sui disordini del con-trollo degli impulsi e sugli aspetti cognitivi, ha portato al superamento di una visione limitata ai soli aspetti motori della patologia, in una direzione di maggiore complessità clinica ed eziopatogenetica.Queste nuove linee guida sono il risultato di un aggiornamento di un precedente docu-mento pubblicato nel 2010 dallo Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN)  7 su diagnosi e trattamento della malattia di Parkinson e di una revisione sistematica su 13 nuovi quesiti relativi a temi diagnostici, farmacologici, riabilitativi, neurochirurgici e alle cellule staminali.Il processo di elaborazione del progetto è coerente con quello definito nel manuale metodologico del Sistema Nazionale per le Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità (SNLG-ISS) 8. 

Il documento è stato realizzato da un panel multidisciplinare costituito da rappresen-tanti delle principali società scientifiche (tra

le quali la SIMG), di associazioni di pazien-ti e di esperti indipendenti, affiancati da esperti di EBM e di metodologia di sviluppo di linee guida e documenti analoghi. Più precisamente sono state coinvolte le seguenti figure professionali: neurologi esperti in disordini del movimento, neurochi-rurgo, medico nucleare e radiologo, geriatra, fisiatra, fisioterapista, logopedista, terapista occupazionale, medico di medicina genera-le, epidemiologo, metodologo di linee guida e rappresentanti dei familiari e pazienti.

Disponibilità del testo integraleIl testo integrale delle linee guida è dispo-nibile sui siti: • SNLG-ISS (www.snlg-iss.it);• SIMG (www.simg.it).I documenti intermedi di lavoro sono dispo-nibili con richiesta alla segreteria scientifica ([email protected]).

Aggiornamento, diffusione, implementazioneIn considerazione della continua evoluzio-ne delle conoscenze medico-scientifiche, l’aggiornamento del documento è previsto entro 3 anni (gennaio 2015).Le modalità di diffusione del documento prevedono le seguenti iniziative:• diffusione sui media e sulla stampa• invii postali agli assessorati regionali

alla sanità• pubblicazioni sul sito SNLG-ISS e sui siti

di società scientifiche, agenzie sanita-rie, ecc.

• pubblicazioni scientifiche• presentazione a congressi nazionali e

internazionali.

Bibliografia1 von Campenhausen S, Bornschein B,

Wick R, et al. Prevalence and incidence of Parkinson’s disease in Europe. Eur Neuropsychopharmacol 2005;15:473-90.

2 Wickremaratchi MM, Perera D, O’Loghlen C, et al. Prevalence and age of onset of Parkinson’s disease in Cardiff: a community based cross sectional study and meta-analysis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2009;80:805-7.

3 Dorsey ER, Constantinescu R, Thompson JP, et al. Projected number of people with Parkinson disease in the most populous nations, 2005 through 2030. Neurology 2007;68:384-6.

4 VII Report Health Search 2010-2011. www.healthsearch.it

5 Cricelli C, Mazzaglia G, Samani F. Prevalence estimates for chronic diseases in Italy: exploring the differences between self-report and primary care databases. J Public Health Med 2003;25:254-7.

6 Valkhoff VE, van Soest EM, Masclee GM, et al. Use of Computerized General Practice Database for epidemiological studies in Italy: a comparative study with the official national statistics. J Epidemiol Commun Health 2004;58(Suppl. 1):A133.

7 Scottish Intercollegiate Guidelines Network. Diagnosis and pharmacological management of Parkinson’s disease. SIGN 2010. www.sign.ac.uk/guide-lines/fulltext/113/index.html.

8 Sistema Nazionale per le linee guida-Istituto Superiore di Sanità. Come produrre, diffondere e aggiornare raccomandazioni per la pratica clinica. Manuale metodologico. Roma: PNLG 2002. www.snlg-iss.it.

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L’informatizzazione toglie “tempo” al paziente e al medico di medicina generale?

Saffi Ettore GiustiniMedico di famiglia (PT); Consulente AIFA Cure Primarie; Area Farmaco SIMG

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è fuori di dubbio che la @ricetta, come la @cartellaclinica, la @tessera sanitaria, sono poco digerite e più malvolute di quanto si pensi fra il personale medico … ma si sa che cambiare strumenti non piace a nes-suno, e men che meno se sono “imposti”.Tuttavia per molti di noi, medici di famiglia che abbiamo il PC e gestionale dagli anni novanta, il suo uso è stata una scelta, com-prendendo allora che a fronte di una cresci-ta di bisogni sanitari si doveva adeguare la organizzazione dell’area delle cure primarie e che era necessario e inevitabile un cam-biamento del proprio modo di lavorare.Come poter lavorare in attività di sanità di iniziativa al fine di rallentare l’insorgenza ed evoluzione delle patologie croniche, salva-guardare gli aspetti legati alla prevenzione, introducendo anche elementi di razionaliz-zazione della spesa, provando a trovare “gli sprechi”, senza un sistema (sw e hw) che ci fornisca, non solo la quantità delle presta-zioni ma anche la qualità delle stesse?Il tempo c’è lo ha portato via una burocratiz-zazione invadente, ossessiva ed ottusa.Il tempo lo ha portato via un maggior acces-so ai nostri ambulatori, vuoi per le molte patologie croniche, vuoi proprio per l’acces-so ormai globalizzato a tutte le fasce di età a internet e quindi a una maggior informa-zione (disinformazione in alcuni casi) e a un rapporto più paritario nei nostri confronti.Quindi la risoluzione di questo problema, peraltro presente e stressante, è da ricer-

Ogni tanto o di tanto in tanto si legge che il PC e il software gestionale, sottraggono tempo al rapporto medico paziente.La non sostenibilità economico-finanziaria dell’attuale sistema basato sull’ospedale, come punto di riferimento unico dei citta-dini, ancora rappresenta la risposta orga-nizzata al bisogno di salute, visto la dram-matica carenza organizzativa/strutturale/culturale dell’assistenza territoriale.Sono cambiati i “fondamentali” della Sanità da diversi anni ma molti, troppi non se ne vogliono accorgere … Lo “tsunami della cro-nicità” non è legato solo all’invecchiamento della popolazione ma anche alle crescenti differenze socio-economiche fra le genera-zioni e la contrazione del finanziamento del SSN e dei sistemi sanitari regionali.… ma molti, troppi non se ne vogliono accorgere …Il tema dei software gestionali e del PC in studio, o meglio dell’informatizzazione nella sanità è un non tema o meglio è un argo-mento che desta interesse per un aspetto particolare; quello che la tecnologia infor-matica nei nostri studi e ambulatori diventi “il fine e non un mezzo”.Il fine del medico era ed è quella di pren-dersi cura del paziente al meglio delle sue capacità e possibilità e questo soprattut-to con una sempre necessaria relazione medico/assistito/paziente, con un costante aggiornamento professionale e una forma-zione adeguata alle nuove conoscenze.

carsi non nel falso problema dell’informa-tizzazione, ma nella pretesa che il medico di medicina generale (MMG), attrezzato come cinquant’anni fa, possa affrontare un ambulatorio contemporaneo, anche se la media assistiti per MMG è di circa 900.Non solo: la pretesa più assurda è che si possa far fare senza investire neanche un €.Qualcuno dovrebbe cominciar a dire che forse in ogni ambulatorio ci vorrebbe un infermiere e un OSS, senza che ci salti-no addosso tasse spropositate (vedi il caso Irap), che possano aiutarci a trovare il tempo delle visite, mentre loro si occu-pano  ... di attività assistenziali che sono sempre state mansioni infermieristiche, e anche del tanto odiato PC, inserendo risul-tati di esami (anche se a questo bastereb-be un semplice programma software che li immetta direttamente nelle nostre cartelle dei pazienti ....) delle visite, delle vaccina-zioni e quant’altro.E ancora ... Il PC come una risorsa, dunque … dalla medicina di attesa alla sanità di iniziativa attraverso gruppi multiprofessionali a dispo-sizione dei cittadini sul/nel territorio integran-do personale di studio, infermieri, specialisti e altri professionisti per fornire risposte inte-grate e condivise, per il trattamento della cronicità, fragilità e complessità superando anche le “diseguaglianze di accesso”.

E ancora ...

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laProgetto Vìola ...... il muro del silenzio, insieme al tuo medico di famigliaTutte le donne uccise e tutti gli uomini che hanno perpetrato la violenza o il femminicidio avevano un medico di famiglia

Raffaella Michieli, Rosa PedaleResponsabile Nazionale Area Salute della Donna, SIMGVice Presidente Provinciale Foggia,SIMG

23Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.5>>> 2013

domestica e per l’assenza del rilevamento dei dati sul fenomeno.Nel 2012 sono state circa 15000 le donne che hanno chiesto aiuto ai centri antiviolen-za aderenti al DIRE (Donne in Rete contro la Violenza), perché vittime di abuso da parte di uomini.Il fenomeno è particolarmente inquietante per le donne in gravidanza. Infatti la violenza domestica è la seconda causa di morte per le donne in gravidanza.Non ci sono differenze fra queste donne: la violenza può colpire tutte, tanto le casalin-ghe quanto le donne in carriera; può colpire donne in età e di ogni condizione sociale.Non ci sono differenze di dolore: quello dell’anima si confonde con quello del corpo in una vertigine che sembra non avere fine. Non ci sono differenze quando ci racconta-no nei nostri ambulatori dei loro sintomi e delle loro malattie, non riusciamo a “veder-le” le differenze! Le poche ricerche in tal senso sono chia-rissime: tutto il personale sanitario non “pensa” che un malessere, un disagio, un sintomo possa avere come fattore eziologi-co la violenza.Ed è un intreccio complesso di rapporti interpersonali e interfamigliari quello che conduce invece a cercare di recupera-re per anni una relazione con un partner violento,mentre in questi anni si accumu-lano danni soprattutto per la Salute: per quella delle donne, ma anche, ed è questo il dato più eclatante, per la salute dei figli,

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la salute come “stato di benessere fisico, psichico e relazionale”: di conseguenza nel momento in cui uno di questi tre elementi è alterato si può rilevare lo stato di “malattia”.Subire violenze – essere insultata, umiliata, controllata, terrorizzata, minacciata, stupra-ta, presa a schiaffi, a pugni, a calci, sbattuta contro un muro o contro un vetro, strango-lata – fa indubbiamente male alla salute. Eppure la violenza sulle donne e le sue con-seguenze sono state ignorate nella socie-tà e nei servizi sanitari fino a solo pochi decenni fa. Negli ultimi 30 anni la violenza nella popo-lazione generale è drasticamente aumenta-ta e oggi sappiamo che la violenza su una donna, quasi sempre compiuta da uomini che essa conosce bene come il marito o il fidanzato, è frequente, e che le sue conse-guenze possono essere devastanti.124 le donne uccise in Italia nel 2012. Il 69% erano italiane così come il 73% degli assassini. Il 60% dei femminicidi è avvenu-to tra persone che avevano una relazione di affetto e fiducia e nel 63% dei casi si è consumato in casa o della vittima o di un familiare.La relatrice speciale delle Nazioni Unite nel giugno 2012 ha rivolto allo stato Italiano una serie di raccomandazioni per la forte preoccupazione causata da questi dati,per il persistere di tendenze socio culturali che minimizzano o giustificano la violenza

non solo quando sono oggetto della stessa violenza, ma anche quando assistono impo-tenti ed a lungo termine assuefatti.In ogni servizio che affronta la salute della donna in particolare, e di tutte le persone in generale, bisogna imparare a chiedere sempre, a pensare sempre, a considerare sempre che ci possa essere una violenza, sia essa fisica che psicologica (quest’ultima ancora più insidiosa della prima) dietro la richiesta di risposta sanitaria.Ma qual è la realtà?Secondo le ricerche internazionali, nei paesi industrializzati tra il 20 e il 30% delle donne ha subito nel corso della vita maltrattamenti fisici o sessuali da un partner o da un ex partner. Le violenze psicologiche sono ben più frequenti.Purtroppo però un’indagine svolta nel 2009 su Health Search, il database della Medicina Generale, ha dimostrato che solo 20 medici di medicina generale (MMG) hanno regi-strato un problema legato alla violenza sulle donne con una prevalenza dello 0,02 x mille di violenza fisica e dello 0,009 x mille di quella sessuale.Alcune ricerche svolte negli ambulatori della Medicina Generale hanno al contra-rio evidenziato che, ricercando attivamente il fenomeno, esso rivela una prevalenza in linea con i dati della letteratura (da 25 a 40% long life).Secondo i dai ISTAT (2008) le donne (com-prese fra 16 e 70 anni) che hanno subito violenza fisica o sessuale, sono il 14,3%.

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Progetto Viola R. Michieli, R. Pedale

24 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Nei nostri database il numero delle donne che abbiamo in carico nella stessa fascia di età varia dal 54 al 56% del totale degli assistiti. Su 1500 assistiti ci sono quindi tra 810 (54%) a 840 (56%) donne in quella fascia di età.Il 14,3% di 810 donne è pari a 115 donne.Il 14,3% di 840 donne è pari a 120 donne.Secondo i dai ISTAT (2008) le donne (com-prese fra 16 e 70 anni) che hanno subito violenza fisica o sessuale e che frequenta-no i nostri ambulatori variano da un numero che oscilla tra 115 e 120.Solo il 30% delle donne che ha subito vio-lenza ne ha parlato con il proprio medico di famiglia, un po’ perché pensano che non se ne occupi, ma soprattutto perché non ha ricevuto domande dirette sul tema.Tutti i contributi degli autori internazionali sono invece concordi nell’assegnare un ruolo importante al medico di assistenza primaria nella quotidiana battaglia che le Istituzioni hanno ingaggiato contro il fenomeno.Per combattere la violenza domestica è quindi necessario un cambiamento perso-nale e professionale degli operatori e delle strutture sanitarie coinvolte.La SIMG (Società Italiana di Medicina generale) intende contribuire ad affrontare il problema di salute collegato alla violen-za domestica, lanciando una campagna di sensibilizzazione dei MMG su questo tema.

Ecco quindi il Progetto Vìola: è il nome di una donna ma è anche un fiore che è simbolo dell’amore e secondo le leggen-de francesi dentro i petali delle viole del

pensiero è possibile scorgere il volto della persona amata. Vìola è anche un verbo … un imperativo per cui il sottotitolo del progetto diventa … il muro del silenzio, insieme al tuo medico di famiglia.

Durante il 30° Congresso Nazionale SIMG di novembre verrà presentato un nuovo progetto informativo rivolto ai MMG per sot-tolineare gli ambiti nei quali essi possono utili alla donna e in particolare gli obiettivi saranno quelli di:• sensibilizzare i MMG affinché pren-

dano in considerazione la violenza domestica nelle diagnosi differenziali dei disturbi più comunemente asso-ciati al fenomeno per intercettarne i segnali;

• registrare il problema nella cartella informatizzata: ciò permetterà di otte-nere i dati di incidenza del fenomeno;

• accogliere e aiutare la donna for-nendole le informazioni sulle reti di sostegno locale (numero verde, centri antiviolenza, ecc.);

• sensibilizzare le assistite che frequen-tano l’ambulatorio attraverso l’espo-sizione nella sala d’aspetto di poster informativi con i riferimenti delle orga-nizzazioni locali preposte all’aiuto;

• sensibilizzare tutti gli utenti dello stu-dio per aumentare la percezione del problema.

Per rendere attuabile questo progetto, è necessario vincere molti pregiudizi e molti comportamenti stigmatizzati ed attingere

a nuove competenze dalle nuove evidenze della medicina di genere.Per fornire cure adeguate alle vittime di vio-lenza domestica, gli operatori sanitari devo-no essere in grado di individuare, valutare e intervenire in modo culturalmente appro-priato, indirizzandosi sia al problema della violenza domestica, sia alle sue immediate conseguenze per la Salute.Fino ad oggi la “patologia della violenza” è stata relegata al Pronto Soccorso, alla medicina di urgenza, alla ginecologia, alla ortopedia, alla gastroenterologia, alla car-diologia, alla psichiatria ed alla psicologia. La SIMG attraverso i suoi MMG si propone di far parte della squadra.Buon lavoro!

Bibliografia di riferimentoDe Marchi M, Romito P, Ciociano Bottaretto R, et al. Violenza domestica e salute mentale delle donne. Una ricerca sulle pazienti di Medicina Generale. Rivista SIMG 2005;(4):24-7.

Romito P, De Marchi M, Gerin D. Le conseguenze della violenza sulla salute delle donne. Rivista SIMG 2008;(3):34-6.

Coker AL, Sanderson M, Dong B. Partner violence during pregnancy and risk of adverse pregnancy outcomes. Paediat Perinat Epidemiol 2004;18:260-9.

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Perissinotto G, Carraro AM, Michieli R. La violenza domestica in Medicina Generale: un’indagine multiculturale. Rivista SIMG 2011;(2).

Reale E. Maltrattamento e Violenza sulle donne. Franco Angeli 2011.

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BPCOEfficacia e sicurezza dei farmaci

per il trattamento della BPCO

Germano BettoncelliResponsabile Nazionale Area Pneumologica, SIMG

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aumenti con la gravità della malattia, un considerevole numero di pazienti con BPCO moderata (volume espiratorio massimo nel 1° secondo – VEMS ≥ 50% del predetto) può presentare con una certa ricorrenza tali evenienze. La frequenza delle esacerbazioni incide in modo sostanziale sul decorso della malattia, sulla qualità di vita e sulla prognosi quoad vitam.Il sospetto e la prima diagnosi di BPCO sono generalmente ritenuti compiti soprat-tutto della Medicina Generale. Al medici di medicina generale (MMG) compete anche la ricerca attiva di nuovi casi, mediante l’uti-lizzo di questionari dedicati che consentano il “case finding” delle persone potenzial-mente affette da BPCO. Al cospetto di un paziente che riferisce tosse insistente, accompagnata da espet-

La broncopneumopatia cronica ostrutti-va (BPCO) è una patologia infiammatoria dell’apparato respiratorio, caratterizzata da un’ostruzione bronchiale che determina un progressivo declino della funzionalità polmonare, percepito dal paziente come dispnea, tendenzialmente in progressivo peggioramento. Si tratta di una condizione cronica nella quale l’ostruzione bronchiale è di solito “non” o “solo parzialmente” rever-sibile e alla quale possono di volta in volta concorrere alterazioni strutturali bronchiali, come nella bronchite cronica, bronchiolari, nel caso di interessamento delle piccole vie aeree e parenchimali in presenza di enfisema. Nella BPCO l’aumento delle resi-stenze al flusso aereo si manifesta soprat-tutto come ostacolo alla fase espiratoria. In questa condizione il ridotto ritorno elastico del polmone e l’aumentata resistenza delle vie aeree ostacolano il flusso espiratorio, portando all’intrappolamento dell’aria e all’iperinflazione, causa dell’appiattimento del diaframma e della riduzione della forza contrattile dei muscoli inspiratori. Il progres-sivo aumento del volume di aria intrappola-ta nel polmone (iperinsuflazione polmonare) determina alterazioni funzionali sia a livello della muscolatura respiratoria sia delle con-dizioni emodinamiche (Fig. 1).Nel corso della malattia possono verificar-si periodiche riacutizzazioni caratterizza-te dall’aumento di frequenza e intensità dei sintomi presenti in condizioni abituali. Sebbene la frequenza delle riacutizzazioni

torazione più o meno abbondante, oppure dispnea sproporzionata allo sforzo effet-tuato, il MMG deve formulare il sospetto di una patologia cronica ostruttiva, soprattutto quando il soggetto abbia un’età > 40 anni e un’anamnesi tabagica positiva. La con-ferma della diagnosi di BPCO si ottiene in primis con una spirometria che documenti la presenza di ostruzione respiratoria ed evidenzi un rapporto tra volume espirato-rio massimo al secondo e capacità vitale (VEMS/CV o FEV1/CV) che si mantiene infe-riore al normale (valore teorico) anche dopo inalazione di un broncodilatatore a rapida azione (salbutamolo 400 µg) (Fig. 2). Non sempre è sufficiente un solo test per otte-nere una diagnosi certa di BPCO e pertan-to può essere necessario ripetere l’esame spirometrico anche più di una volta. Sulla

Figura 1.

BPCO e iperinsuflazione polmonare (da Mahler et al., 2009) 1.

Normale BPCO

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BPCO G. Bettoncelli

26 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

scorta di queste considerazioni i MMG non dovrebbero porre diagnosi di BPCO senza disporre di una spirometria di conferma. Per contro si registra ancora un’ampia e per-sistente prevalenza di diagnosi formulate esclusivamente su base clinico-anamnesti-ca. In realtà solo raramente può accadere di incontrare un paziente realmente inca-pace di effettuare l’esame spirometrico. In tal caso al medico è consentito gestire la malattia come “sospetta BPCO” sulla base dell’anamnesi e dei dati clinici obiettivati. La diagnosi spirometrica di BPCO, in par-ticolare il valore del VEMS, è importante perché consente al medico di stadiare la malattia e di seguirne nel tempo l’anda-mento dal punto di vista del declino fun-zionale. Ciò nonostante oggi va sempre più affermandosi l’opinione che la valutazione dello stato di gravità del paziente BPCO e di conseguenza la sua prognosi, non possano essere circoscritte esclusivamente al dato spirometrico. Il peso della sintomatologia

sulla qualità di vita, spesso assai differente da soggetto a soggetto anche a parità di VEMS, la frequenza e la gravità delle riacu-tizzazioni, il numero di ospedalizzazioni, la presenza di comorbilità, sono tutti fattori che il medico deve considerare per compren-dere l’effettiva condizione clinica globale del paziente. L’orientamento attuale quindi va verso una visione più complessiva del paziente, valorizzando un approccio molto simile proprio a quello tipico della Medicina Generale. Per la valutazione della qualità di vita del paziente respiratorio esistono stru-menti validati come il SGRQ (St.  George Respiratory Questionnaire), forse poco adatto alla routine della Medicina Generale essendo composto da 40-50 item, e altri più semplici e più specifici come il CAT (COPD Assessment Test) che con soli 5 item valuta l’impatto della patologia sul paziente. L’MRC (Medical Reseach Council) è invece un breve questionario per misurare l’enti-tà della dispnea percepita dal paziente. Gli

ultimi due sono sicuramente alla portata del MMG.Queste considerazioni devono guidare il medico nella scelta della terapia più appro-priata e nella valutazione periodica della reale efficacia della stessa. I principali obiettivi del trattamento della BPCO sono la riduzione di intensità dei sintomi e la pre-venzione delle riacutizzazioni.L’abolizione e il controllo dei fattori di rischio sono i primi provvedimenti da adottare nella gestione terapeutica della BPCO e in questo contesto è di fondamentale importanza la cessazione dell’abitudine al fumo di tabac-co, che deve essere condotta dal medico adottando strategie di intervento di docu-mentata efficacia.La terapia farmacologica condotta secon-do criteri razionali e assunta con regolarità non solo è in grado di migliorare la funzione respiratoria e la tolleranza all’esercizio fisico, ma riesce anche a rallentare il decli-no funzionale e a diminuire il numero e la

Figura 2.

Proposta di percorso diagnostico e di “case finding” della BPCO (da Gestione Clinica Integrata della BPCO, 2013) 2.

ASSiSTiTO viSiTA gENERALE

Sintomi respiratori? 1

Persona a rischio 2

Spirometria globale 4

Stadiazione e trattamentoFollow-upSpirometria

semplice 3

Compromissione ostruttiva?

Compromissione ostruttiva?

Diagnosi di BPCO

Compromissione mista

ALTRi ACCERTAmENTi 5

NO

NO

NO

NO

STOP

1 Ricerca attiva dei sintomi, anche con questionari “ad hoc”, ogni 1-2 anni, se presente rischio; 2 Utilizzo carte del rischio CNR-ISS; 3 Spirometria semplice; 4 Spirometria globale (con determinazione del volume residuo); 5 Per altre malattie respiratorie o di altri apparati.

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BPCOEfficacia e sicurezza dei farmaci per il trattamento della BPCO

27Rivista Società Italiana di Medicina Generale

frequenza delle riacutizzazioni. La terapia broncodilatatrice è oggi di primaria impor-tanza nella gestione della BPCO, essa favo-risce un incremento della funzionalità respi-ratoria, misurabile mediante spirometria, e una riduzione dell’iperinflazione dinamica che è causa della dispnea (Fig. 3). I bron-codilatatori inalatori a lunga durata d’azio-ne sono considerati la prima scelta per la terapia regolare della BPCO in fase stabile, mentre gli steroidi inalatori trovano il proprio ruolo nelle fasi più avanzate della malattia.Quando l’intervento sulle resistenze bron-chiali non si mostra sufficiente la terapia si deve rivolgere agli effetti dell’iperinsuflazio-ne polmonare, puntando anche al potenzia-mento muscolare o al miglioramento delle funzioni cardiocircolatorie o ancora, in casi selezionati, prendendo in considerazione la riduzione dei volumi polmonari mediante intervento chirurgico.Nei pazienti con BPCO in fase stabile e VEMS pre-broncodilatatore < 80% del valo-re teorico, è indicato un trattamento con un broncodilatatore a lunga durata d’azione (salmeterolo, formoterolo, tiotropio, inda-caterolo, glicopirronio bromuro) per via inalatoria. Nel caso del tiotropio studi clinici recenti hanno dimostrato che l’utilizzo rego-lare del farmaco riduce significativamente la frequenza delle riacutizzazioni e delle ospedalizzazioni rispetto al salmeterolo 3. Nell’impostazione generale della terapia farmacologica della BPCO il medico deve

tener conto di due aspetti fondamentali. Il primo riguarda il coinvolgimento attivo del paziente nelle scelte terapeutiche, ottenibile mediante un’adeguata informazione sulla malattia, gli effetti dei farmaci e la perso-nalizzazione degli obiettivi terapeutici. Il secondo si riferisce alla pianificazione del percorso assistenziale che necessariamen-te, trattandosi di una patologia cronica, sarà protratto nel tempo. Andranno quindi pia-nificati, in accordo con il paziente, controlli periodici sia da parte del MMG sia all’occor-renza dello specialista. Nelle persone in trattamento farmacologico regolare, nel corso di ogni visita program-mata il MMG dovrà valutare:• la corretta e regolare assunzione della

terapia inalatoria;• la variazione dei sintomi e, in particola-

re, la tolleranza all’esercizio fisico e la dispnea da sforzo;

• la frequenza di utilizzo di broncodilata-tori a breve durata d’azione come sup-porto occasionale alla terapia di base;

• la frequenza e la gravità degli episodi di riacutizzazione;

• la frequenza e la durata degli episodi di ospedalizzazione o di accesso al pronto soccorso;

• gli eventuali effetti collaterali e/o avversi indotti dalla terapia.

Periodicamente, in accordo anche con il parere dello specialista e in rapporto alle condizioni cliniche del paziente, si dovranno

controllare le eventuali modificazioni della funzione polmonare secondo un definito programma di test spirometrici.Nel caso di risultato insoddisfacente in ter-mini di sintomatologia e/o funzionalità pol-monare da parte del paziente e/o dal medi-co curante, andrà considerato:• l’aumento della dose del singolo bron-

codilatatore, in base a quanto previsto nella scheda tecnica del farmaco utiliz-zato;

• l’aggiunta di un secondo broncodilata-tore a lunga durata d’azione, ma con meccanismo d’azione differente;

• l’aggiunta di un corticosteroide per via inalatoria (CSI), nei pazienti con fre-quenti riacutizzazioni.

Assunto che la terapia con broncodilatato-ri a lunga durata d’azione svolge un ruolo importante, specialmente nei pazienti con BPCO moderata e sintomatici, ci si doman-da se esistano criteri definiti nella scelta iniziale della terapia 4. Le principali classi di farmaci broncodilatatori a lunga durata d’azione oggi disponibili sono costituite dai beta-stimolanti e dagli anticolinergici ed entrambe queste categorie, come sappia-mo, svolgono effetti positivi ben documen-tati. In realtà un’analisi effettuata nel 2010 dal NICE (National Institute for Health and Clinical Excellence of England and Wales) era giunta alla conclusione che non vi fos-sero differenze sostanziali tra l’una e l’al-tra classe di farmaci 5. Successivamente la pubblicazione dello studio POET-COPD  3 (Prevention of Exacerbations with Tiotropium in COPD) ha messo a confronto un beta-stimolante a lunga durata, il sal-meterolo, con un anticolinergico a lunga durata, il tiotropio. Nello studio POET-COPD sono stati arruolati pazienti con BPCO che nell’ultimo anno avevano avuto documen-tate riacutizzazioni, tali da richiedere una terapia specifica o un ricovero ospeda-liero. Un aspetto importante dello studio consisteva nel fatto che i pazienti reclutati potevano proseguire la terapia in corso al momento dell’arruolamento, compresi gli steroidi inalatori. Sono stati quindi valutati i tempi di comparsa delle prime riacutizza-zioni e delle successive e la sicurezza del trattamento broncodilatatore in termini di effetti avversi e di mortalità. I risultati hanno dimostrato che tiotropio rispetto a salmete-

Figura 3.

La terapia broncodilatatrice favorisce la desuflazione polmonare (da Mahler et al., 2009) 1.

Aumento del flusso aereo

Azione del broncodilatatore

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BPCO G. Bettoncelli

28 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

rolo prolunga i tempi di comparsa delle ria-cutizzazioni, con un 17% di diminuzione del rischio per tali eventi. L’incidenza di effetti avversi, compresi i casi di morte, è stata simile con i due diversi trattamenti. Lo stu-dio POET-COPD sembra quindi dimostrare che nei pazienti con BPCO una terapia ini-ziale con tiotropio può essere più vantag-giosa rispetto a quella con salmeterolo. Uno studio pubblicato nel 2013 su Lancet ha messo a confronto un altro beta-stimolante a lunga durata d’azione, l’indacaterolo, con il tiotropio, in pazienti con BPCO severa e storia di almeno un episodio di esacerbazio-ne di grado moderato-severo negli ultimi 12 mesi. Entrambe le molecole hanno indotto significativi miglioramenti nella funzionalità polmonare, con profili di sicurezza parago-nabili. Tiotropio ha mostrato una maggior protezione per le riacutizzazioni, sebbene il numero assoluto di eventi registrati fosse piuttosto basso e incerta l’importanza clini-ca dei differenti trattamenti assunti 6. Quello della sicurezza dei farmaci broncodi-latatori, a breve e soprattutto a lunga durata d’azione, è un tema negli ultimi anni molto dibattuto, soprattutto dopo le segnalazio-ni di eventi avversi, in alcuni casi mortali, associati a queste terapie. Dopo l’uscita di tiotropio nel 2004, la stessa Boehringer Ingelheim, produttrice del farmaco, nel novembre 2007 segnalò all’FDA americana (Food and Drug Administration) un possibile aumento del rischio di stroke. Nel settem-bre 2008 Singh et al. hanno pubblicato una metanalisi su 17 trial clinic randomiz-zati secondo cui emergeva un aumento del rischio cardiovascolare associato all’uso degli anticolinergici (tiotropio HandiHaler® e ipratropio) 7. In contrasto con questi risultati, in un successivo ampio studio della durata di 4 anni, l’UPLIFT (Understanding Potential Long-Term Impacts on Function with Tiotropium) pubblicato nel 2008, in realtà non fu trovata conferma dell’aumentato rischio cardiovascolare associato all’uso di tiotropio nella formulazione HandiHaler®, rispetto al placebo 8. Per dirimere i dubbi che la diversità di risultati tra lo studio di Singh e l’UPLIFT sollevava, l’FDA nominò una giuria che dopo accurata revisione dei lavori attribuì ai dati dell’UPLIFT una maggiore attendibilità, evidenziando nel

contempo alcuni limiti metodologici dello studio di Singh. Venne anche sottolineata l’importanza degli strumenti utilizzati per l’erogazione delle polveri sull’azione fina-le del farmaco. Infatti il tipo di device può condizionare la modalità di deposizione del farmaco nell’apparato respiratorio e que-sto, insieme ad altri fattori, può comportare effetti anche sui rischi connessi alla terapia. Più recentemente lo studio TIOSPIR (TIOtropium Safety and Performance In Respimat®) 9, studio multinazionale in dop-pio cieco della durata di 3 anni, è stato disegnato allo scopo di mettere a confronto la sicurezza e l’efficacia di due dosaggi di tiotropio Respimat® (2,5 o 5 µg/die) con tiotropio HandiHaler® (18 µg/die). Due i principali endpoint dello studio: la mortalità per tutte le cause e l’insorgenza di esacer-bazioni di BPCO. Agli oltre 17.000 pazienti coinvolti era consentito continuare ad assu-mere qualsiasi altro trattamento in atto al momento dell’arruolamento. Lo studio TIOSPIR, uno dei più grandi finora realizzati sui pazienti con BPCO, ha quindi confronta-to per la prima volta l’utilizzo di uno stesso principio attivo, somministrato median-te differenti sistemi di erogazione già in commercio, diverse formulazioni e diversi dosaggi, in termini di effetti su outcome quali mortalità e tempo di insorgenza della prima esacerbazione. Nel corso dei 3 anni di osservazione Respimat® è risultato non inferiore a HandiHaler® rispetto al rischio di morte e non superiore a HandiHaler®

riguardo al rischio di prima esacerbazione (tempo medio di insorgenza 2 anni per le due formulazioni). In tutti i pazienti dei tre bracci dello studio le cause di morte e l’in-cidenza di eventi cardiovascolari maggiori sono risultate simili. Anche nei pazienti con storia di aritmia cardiaca le due formula-zioni hanno dimostrato impatto simile sulla sopravvivenza misurata come mortalità per qualsiasi causa. Le conclusioni degli autori sono state che nei pazienti con BPCO tio-tropio Respimat® alla dose di 5 o 2,5 µg ha un profilo di sicurezza e un’efficacia sulle riacutizzazioni simili a quelle di tiotropio nella formulazione HandiHaler® alla dose di 18 μg. Nonostante il limite costituito dall’assenza di un gruppo placebo di confronto, i pazienti

dello studio TIOSPIR, grazie agli ampi cri-teri di inclusione, sono rappresentativi dei pazienti con BPCO della vita reale, essi infatti appartenevano alle diverse catego-rie di valutazione della BPCO (GOLD gruppi A-D), potevano fare uso di terapie conco-mitanti e comprendevano soggetti con una storia di disturbi cardiaci. Per questi motivi i risultati dello studio rivestono particolare interesse anche per i medici di famiglia per quanto riguarda la gestione della terapia della BPCO nella loro pratica quotidiana.

Bibliografia1 Mahler DA, Ward J, Waterman LA, et al.

Patient-reported dyspnea in COPD reliability and association with stage of disease. Chest 2009;136:1473-9.

2 Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO), Società Italiana di Medicina Respiratoria (SIMER), Società Italiana di Medicina Generale (SIMG).Gestione Clinica Integrata della BPCO - 2013.

3 Vogelmeier C, Hederer B, Glaab T, et al. Tiotropium versus salmeterol for the prevention of COPD exacerbations. N Engl J Med 2011;364:1093-103.

4 Wedzicha JA. Choice of bronchodilator therapy for patients with COPD. N Engl J Med 2011;364:1167-8.

5 CG101 chronic obstructive pulmonary disease (update): full guideline. London: National Institute for Health and Clinical Excellence 2010 (http://guidance.nice.org.uk/CG101/Guidance).

6 Decramer ML, Chapman KR, Dahl R, et al. on behalf of the INVIGORATE investigators. Once-daily indacaterol versus tiotropium for patients with severe chronic obstructive pulmonary disease (INVIGORATE): a randomised, blinded, parallel-group study. Lancet Respir Med 2013;1:524-33.

7 Singh S, Loke YK, Furberg CD. Inhaled anticholinergics and risk of major adverse cardiovascular events in patients with chronic obstructive pulmonary disease: a systematic review and meta-analysis. JAMA 2008;300:1439-50. Erratum in: JAMA 2009;301:1227-30.

8 Tashkin DP, Celli B, Senn S, et al. A 4-year trial of tiotropium in chronic obstructive pulmonary disease. N Engl J Med 2008;359:1543-54.

9 Wise RA, Anzueto A, Cotton D, et al.; the TIOSPIR Investigators. Tiotropium Respimat Inhaler and the Risk of Death in COPD. N Engl J Med 2013 Aug 30 [Epub ahead of print].

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Nota

13

AIFA

La nota 13 AIFA: il punto di vista del lipidologo e le ripercussioni sulla pratica del medico di medicina generale

Alessandro Filippi1, Alberico L. Catapano2,3

1 Responsabile Area Cariovascolare SIMG; 2 Università di Milano; 3 IRCCS Multimedica Milano

29Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.5>>> 2013

familiare emerge valutando sistematicamen-te il livello dei lipidi nella popolazione adulta o in età giovanile in presenza di familiarità (in entrambi i casi si deve valutare il livello di colesterolo-LDL e un valore anormale farà riflettere sulla possibilità di forma familiare). Per questi motivi, tutti o quasi questi pazienti dovrebbero essere già noti al MMG. Un aiuto potrebbe venire dal semplice calcolo propo-sto dalle linee guida EAS. Il fatto che siano noti non vuol dire però che si siano raggiunti i livelli di colesterolo-LDL indicati dalla nota. Sicuramente è impossibile mirare al 100% di soggetti a target: in alcuni casi i livelli iniziali sono troppo alti per scendere sotto i valori consigliati anche con terapia “intensiva uti-lizzando tutte le opzioni terapeutiche dispo-nibili”, in altri casi le condizioni generali del paziente rendono inopportuno/irrilevante un intervento in tal senso, in altri ancora si è così vicini all’obiettivo che il vantaggio di scende-re di 2-3 mg/dl è di scarso valore clinico, ecc. Bisogna tuttavia ricordare che gli obiettivi terapeutici sono un livello minimo di succes-so e che per soggetti ad altissimo rischio si suggerisce una riduzione del colesterolo-LDL del 50%. è per altro vero che i dati disponi-bili indicano però che in una larga parte dei pazienti non si pongono in essere i tratta-menti idonei anche in presenza di distanza anche notevole dall’obiettivo indicato. A titolo esemplificativo si riportano alcuni dati sui pazienti a rischio molto elevato ricavati dal database Health Search (Fig. 1).Dato che le affermazioni generali sembrano

L’ultima nota 13 (www.aifa.it) richiama l’at-tenzione di tutti sui pazienti che hanno un rischio alto o molto alto di presentare eventi cardiovascolari (CV). Si definiscono (Tab. I) a rischio molto alto i pazienti con patologia CV già nota (patologia aterosclerotica nelle sue varie espressioni), diabete con aggiun-tivi fattori rischio, punteggio Score > 10%, insufficienza renale grave (GFR 15-29 ml/min/1,73 m2); sono a rischio alto i pazienti con diabete senza fattori di rischio aggiunti-vi, con dislipidemie familiari, con punteggio Score > 5 < 10%, con insufficienza renale moderata (GFR 30-59 ml/min/1,73 m2). La nota indica inoltre obiettivi differenzia-ti per il colesterolo-LDL per i due livelli di rischio, rispettivamente < 70 e < 100 mg/dl. Questo punto tiene conto della necessità di mantenere basso il dosaggio di statina in pazienti con scarsa funzionalità renale e dei risultati dello studio SHARP (Study of Heart and Renal Protection). L’individuazione dei pazienti a rischio alto e molto alto non richiede modifiche rispetto all’usuale buona pratica clinica ed è in linea con le linee guida della Società Europea dell’Ateroslerosi pubblicate nel 2011: la presenza di patologia aterosclerotica e di diabete mellito è già nota al medico, la presenza di danno renale viene evidenziata nella quasi totalità dei soggetti nefropatici semplicemente valutando la creatininemia + GFR con apposita formula nei soggetti iper-tesi e/o diabetici, come da linee guida per le rispettive patologie; il sospetto di dislipidemia

sempre riguardare gli altri, può essere utile che ognuno verifichi i propri dati. La maggior parte dei software consente di estrarre i dati fondamentali: chi usa sistemi di valutazione automatica (ad esempio, MilleGPG) ha già i dati a disposizione, chi non ne dispone può semplicemente valutarsi in due categorie particolarmente importanti di pazienti, i dia-betici e i soggetti con patologia coronarica. è sufficiente estrarre in queste due categorie l’ultimo valore registrato di colesterolo-LDL: molti resteranno sorpresi dal notare quanti pazienti non abbiano alcun valore registrato e come la gran parte di quelli con il dato non abbiano raggiunto i livelli consigliati. I motivi di tutto ciò possono dipendere dal medico o dal paziente o da oggettive difficoltà nell’otte-nere grandi riduzioni dei livelli di colesterolo.

Il medicoIl medico può non modificare la terapia perché: a) ritiene poco rilevante il vantaggio per il singolo paziente; b) perché lo ritiene potenzialmente pericoloso per il paziente; c) perché se ne dimentica. Gli attuali software di studio consentono agevolmente di indi-viduare i pazienti a rischio alto e molto alto non a target, quindi non consideriamo qui la possibilità di dimenticanza.

vantaggi per i pazienti

L’uso di statine ad alta potenza (rosuvastati-na 40 e atorvastatina 80 e livelli medi finali di colesterolo-LDL rispettivamente di 62 e

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Nota 13 AIFA A. Filippi, A.L. Catapano

30 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

71 mg/dl) per un adeguato periodo di tempo (2 anni) produce una regressione della placca coronarica 1. La possibilità di riduzio-ne della placca coronarica scendendo sotto

i 100 mg/dl di colesterolo-LDL con statine ad alta potenza per un prolungato periodo di tempo è stata anche confermata da meta-nalisi 2. Si tratta sicuramente di dati inte-

ressanti, ma ciò che veramente conta per la decisione clinica è sapere quanti eventi si possono evitare incrementando la terapia con statine. Una risposta è stata recente-

Tabella i.

Sintesi sulla rimborsabilità di statine ed ezetimibe in base al livello di rischio CV secondo l’attuale nota 13.

Quale paziente(livello di rischio decrescente) Quando possibile prescrivere SSN Quale farmaco

• Score ≥10%• Malattia coronarica/bypass aorto-

coronarico• Stroke ischemico• Arteriopatie periferiche• Pregresso infarto• Diabete con uno o più fattori di rischio CV

e/o markers di danno d’organo (come la microalbuminuria)

• IRC grave (FG 15-29 ml/min/1,73 m2)

Colesterolo-LDL > 70 mg/dl(obiettivo raccomandato < 70 mg/dl)

AtorvastatinaPravastatina Fluvastatina Lovastatina Simvastatina Rosuvastatina nei pazienti in cui ci sia stata evidenza di effetti collaterali severi nei primi 6 mesi di terapia con altre statine

• In caso l’obiettivo non sia stato raggiuntoezetimibe più statine (in associazione estemporanea o precostituita)

• In caso d’intolleranza a tutte le statineè rimborsato il trattamento con ezetimibe in monoterapia

• Nei pazienti con sindromi coronariche acute o in quelli sottoposti a interventi di rivascolarizzazione percutanea è indicata atorvastatina a dosaggio elevato (> 40 mg)

• Risk score ≥ 5% e < 10%• Dislipidemie familiari• Ipertensione severa• Diabete senza fattori di rischio CV e senza

danno d’organo• IRC moderata (FG 30-59 ml/min/1,73 m2)

Colesterolo-LDL > 100 mg/dl(obiettivo raccomandato < 100 mg/dl)

Simvastatina Pravastatina Fluvastatina Lovastatina Atorvastatina

• Se necessaria riduzione LDL > 50% preferire atorvastatina

• In caso l’obiettivo non sia stato raggiunto rosuvastatina o ezetimibe più statine (in associazione estemporanea o precostituita)

• In caso d’intolleranza a tutte le statineè rimborsato il trattamento con ezetimibe in monoterapia

Risk score 4-5% Colesterolo-LDL > 115 mg/dl(obiettivo raccomandato < 115 mg/dl)

Simvastatina Pravastatina Fluvastatina Lovastatina Atorvastatina

Risk score 2-3% Colesterolo-LDL > 130 mg/dl(obiettivo raccomandato < 130 mg/dl)

Modifica dello stile di vita per almeno 6 mesi

• In caso l’obiettivo non sia stato raggiuntosimvastatina pravastatina fluvastatina lovastatina atorvastatina

Risk score ≤ 1 Mai Indicato solamente la modifica dello stile di vita

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Nota 13 AIFALa nota 13 AIFA

31Rivista Società Italiana di Medicina Generale

mente fornita da una metanalisi di dati indi-viduali di 27 studi 3 che ha evidenziato una riduzione del rischio relativo di eventi CV maggiori per ogni mMol di riduzione di cole-sterolo-LDL (RR 0,79, 95% IC 0,77-0,81, per riduzione 1,0 mMol/L), in modo sostan-zialmente indipendente da età, sesso, livelli basali di colesterolo-LDL, pregressi eventi CV. Più che la riduzione relativa del rischio può interessarci il numero assoluto di eventi evitabili. Le Figure 2 e 3 ci consentono di valutare quanti eventi CV potremmo evitare riducendo per cinque anni di 1 o 2,5 mMol/l il colesterolo-LDL (rispettivamente 39 e 97,5 mg/dl) in una popolazione di 1.000 pazienti; orientativamente il vantaggio per riduzioni intermedie è estrapolabile dalle figure stesse. Si dispone così di dati di rife-rimento per poter valutare il vantaggio delle differenti scelte sia nel singolo paziente, sia nell’intera popolazione assistita. Valutazioni analoghe possono ovviamente essere fatte anche per l’intera popolazione di uno stato. Appare immediatamente evidente come in termini assoluti il vantaggio di una maggior riduzione del colesterolo-LDL sia apprezza-bile solo per livelli di rischio elevati:a) alto rischio basale (20% - < 30%): si evita

un evento maggiore trattando 18 pazienti per 5 anni se si passa da un -39 mg/dl colesterolo-LDL a -97,5 mg/dl rispetto ai valori iniziali di colesterolo-LDL;

b) rischio basale molto alto (>  30%): si

evita un evento maggiore trattando 12 pazienti per 5 anni se si passa da un -39 mg/dl colesterolo-LDL a -97,5 mg/dl rispetto ai valori iniziali di cole-sterolo-LDL.

Anche gli studi più recenti seguono que-sta logica, mirando a individuare i pazienti che beneficiano maggiormente di statine a elevata potenza rispetto a quelle a poten-za intermedia, come quello recentemente pubblicato 4 che ci fornisce un algoritmo di

scelta terapeutica per i pazienti con malattia coronarica stabile. Da un punto di vista pratico, alla luce delle linee guida e della stessa nota 13, appare utile considerare la riduzione del colestero-lo-LDL come un outcome “surrogato”, cor-relato direttamente alla riduzione di eventi CV. In questo senso si deve quindi anche interpretare l’indicazione all’uso di tutti i farmaci antidislipidemici riportati nella nota e non solo delle statine. è però necessario ricordare che la correlazione tra riduzione del colesterolo-LDL e gli eventi CV non è stata dimostrata da studi ad hoc, ma viene estrapolata da molteplici studi che hanno valutato l’efficacia di un ampio numero di molecole.

Svantaggi per i pazienti

I rischi di miopatia sono correlati alla dose, ma i trattamenti intensivi non hanno mostrato un incremento clinicamente rile-vante del rischio.Sebbene l’uso di statine ad alta potenza sia associato a una maggior incidenza di dia-bete mellito 5, il loro uso rimane comunque estremamente vantaggioso in termini di riduzione di eventi.Nella pratica clinica il passaggio da statine ad alta potenza a statine a media potenza (o comunque una riduzione di dosaggio) è molto frequente; ad esempio oltre il 40%

Figura 1.

Utilizzo di terapie antidislipidemiche, numero di pazienti non a target in 1.901 pazienti con patologia coronarica a rischio molto elevato (dati Health Search on file).

Figura 2.Numero di eventi CV maggiori evitati trattando per 5 anni 1.000 pazienti in modo da ridurre di 1 o 2,5 mMol/l il colesterolo-LDL a seconda del livello di rischio percentuale CV basale (eventi CV a 10 anni) (da Cholesterol Treatment Trialists’ (CTT) Collaborators, 2012 mod.) 3.

Nulla

Simvastatina + ezetimibe

Atorvastatina/rosuvastatina

Altre statine

> 70 mg/dl

Totale

160140120100806040200

0 500 1000

> 30 20 < 30 10 < 20 5 < 10 < 5

1500 2000

Riduzione 2,5 mMolRiduzione 1 mMol

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Nota 13 AIFA A. Filippi, A.L. Catapano

32 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

dei pazienti dimessi dopo sindrome corona-rica acuta hanno un cambio di terapia 6. La motivazione riportata è suddivisa in modo quasi uguale tra la comparsa di effetti col-laterali e il timore che questi possano poi comparire. Questi motivi vanno accurata-mente considerati prima di ridurre l’inten-sità del trattamento, dato che questa scelta comporta, almeno nei pazienti post sindro-me coronarica acuta, un aumento di quasi tre volte del rischio di eventi CV. Gli effetti collaterali, più o meno rilevanti, però esistono nella realtà clinica e la loro presenza può giustificare la riduzione di dosaggio, il cambio di molecola o addirit-tura la sospensione della terapia. La nota 13 prevede in caso di rischio alto o molto alto l’utilizzo di ezetimibe da sola, in caso di totale intolleranza alle statine. In caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo, l’uso di ezetimibe in associazione ad altre statine, prima che si sia raggiunto il loro dosaggio massimale, non viene esplicita-mente preso in considerazione, ma questa possibilità rappresenta una logica scelta quando gli effetti indesiderati impedisco-no l’uso di alte dosi di statina e l’obiettivo terapeutico non viene raggiunto (sempre nei soggetti a rischio alto o molto alto); in questi casi un dosaggio sub massima-le può rappresentare, per uno specifico paziente, il dosaggio “ottimale” indicato dalla nota. Una terapia di associazio-

ne potrebbe favorire l’ottenimento di un migliore controllo dei livelli di LDL.

Il paziente La responsabilità del mancato raggiungimento degli obiettivi indicati dalla nota 13 può esse-re del paziente che: a) può rifiutare la tera-pia; b) può assumerla in modo non corretto. Si tratta di un problema fondamentale, ma molto complesso, non affrontabile in questo contesto, per cui si rimanda alla letteratura di riferimento. è però necessario ricordare come iniziando una nuova terapia è sempre necessario programmare in modo esplicito e chiaro più visite di controllo nei primi 3-4 mesi in modo da poter fornire al paziente tutte le informazioni necessarie nei tempi minimi per consentirgli di “assimilarle”; la comprensione e la messa in pratica delle indicazioni fornite va poi controllata sia con il paziente sia veri-ficando in modo indiretto l’assunzione con-trollando le prescrizioni a computer. A questo riguardo le linee guida europee sottolineano il ruolo fondamentale del controllo di aderenza e persistenza alla terapia.

Difficoltà a ottenere la riduzione di colesterolo-LDL consigliataIl raggiungimento dei target indicati dalla nota 13 o, comunque, di importanti ridu-

zioni di colesterolo-LDL può essere diffi-coltoso. Nella Figura 4, tratta dalla nota 13 pubblicata in Gazzetta Ufficiale, si può evidenziare l’efficacia delle varia molecole e del loro dosaggio. è evidente che ottenere le riduzioni desiderate può esser difficolto-so. In caso la sola statina non sia sufficiente per raggiungere i livelli di colesterolo-LDL ritenuti adeguati dal paziente (a rischio alto o molto alto) e dal medico è possibile aggiungere ezetimibe alla statina. Questa associazione comporta un’ulteriore riduzio-ne del colesterolo-LDL del 15-20% (nota 13), percentuale clinicamente significativa e, comunque, ben superiore a quella otte-nibile con il raddoppio della dose di statina (Fig. 4).

La scelta della terapiaLa decisione di assumere a vita un farmaco è sempre delicata e deve essere basata su una valutazione approfondita e condivisa di rischi e benefici. Nel caso dei farmaci ipolipemizzanti è cruciale stimare il rischio CV basale e il vantaggio (in termini assolu-ti) della riduzione del colesterolo-LDL. Due esempi possono essere utili.Paziente a rischio alto (26% rischio assoluto a 10 anni) con livello basale di colesterolo-LDL 150 mg/dl. Se si porta il colesterolo-LDL a 111 mg/dl, valore che nella pratica clinica attuale è considerata soddisfacente da molti medici, il rischio scende a 21% a dieci anni; se si porta a 72 mg/dl il rischio scende a 15,5%; se si porta a 53 mg/dl il rischio scende a 13%.Paziente a rischio molto elevato (40% a dieci anni) con livelli basali di colesterolo-LDL 180 mg/dl. Se si riduce il colesterolo-LDL a 141 mg/dl il rischio scende a 32%, se si riduce a 102 mg/dl il rischio scende a 24%, se si riduce a 63 mg/dl il rischio scende a 16%.è evidente che il target colesterolo-LDL indicato dalla nota 13 (< 70 mg/dl per rischio molto alto e < 100 mg/dl per rischio alto) si basa su queste considerazioni, pur non sostituendo il giudizio del medico e la scelta del paziente. è altrettanto evidente che la decisione di non raggiungere l’o-biettivo consigliato quando esiste ancora margine terapeutico deve considerare l’en-tità assoluta del rischio evitabile, oltre che,

Figura 3.

Numero di morti CV evitate trattando per 5 anni 1.000 pazienti in modo da ridurre di 1 o 2,5 mMol/l il colesterolo-LDL a seconda del livello di rischio percentuale CV basale (eventi CV a 10 anni) (da Cholesterol Treatment Trialists’ (CTT) Collaborators, 2012 mod.) 3.

50

40

30

20

10

0> 30 20 < 30 10 < 20 5 < 10

< 5

Riduzione 2,5 mMolRiduzione 1 mMol

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Nota 13 AIFALa nota 13 AIFA

33Rivista Società Italiana di Medicina Generale

ovviamente, le scelte del paziente e la valu-tazione globale delle sue esigenze.Questo approccio alla scelta terapeutica che valuta nel dettaglio il potenziale van-taggio del singolo paziente nell’ambito di un progetto di salute globale e non solo CV può sembrare complesso, ma rappresenta la “buona pratica clinica”, soprattutto quando si propone una terapia “a vita” a scopo di prevenire eventi che potrebbero anche non manifestarsi mai. Bisogna però riconoscere che spesso mancano informazioni che non sono direttamente di pertinenza del MMG: non tutti gli infartuati o i pazienti rivasco-larizzati hanno lo stesso rischio, ma questo dovrebbe essere stimato e comunicato dallo specialista al momento della dimissio-ne; il rischio nei pazienti con danno renale, arteriopatia periferica, ipertensione arte-riosa non è uguale per tutti, ma varia con l’entità della patologia, ecc. Se questi pro-blemi non esimono da uno sforzo per una

corretta valutazione, le oggettive difficoltà, il numero di pazienti coinvolti e la scarsità di tempo possono rendere più efficace un approccio “fideistico”, molto più semplice: devo raggiungere gli obiettivi consigliati in tutti i pazienti, a meno che vi siano validi motivi per non farlo.

Non solo statine

La nota 13 non affronta solo l’utilizzo di statine ed ezetimibe. Si riporta di seguito quanto indicato per fibrati, omega 3 PUFA e resine.

Fibrati

I fibrati vengono rimborsati dal SSN in tre soli casi: 1. pazienti già in trattamento con statine

(vedi sopra) che presentino in trat-tamento: a) livelli di colesterolo-HDL

basso (< 40 mg nei M e 50 nelle F); b) e/o trigliceridi elevati (> 200 mg/dl). In questi casi il farmaco di prima scelta è il fenofibrato per la maggiore sicurezza di uso nei pazienti in terapia con statine; la combinazione di statine e gemfibro-zil è invece associata a un aumentato rischio di miopatia;

2. disbetalipoproteinemia (per i trigliceridi elevati, solitamente insieme a statine);

3. forme familiari con trigliceridi molto ele-vati: iperchilomicronemie e gravi ipertri-gliceridemie.

Omega 3-PUFA

Gli omega 3-PUFA vengono rimborsati dal SSN in tre soli casi:1. iperlipemia familiare combinata già in

terapia con statine nel caso permango-no elevati i livelli di trigliceridi;

2. forme familiari con trigliceridi molto ele-

Figura 4.

Riduzione percentuale del colesterolo-LDL in relazione alla molecola di statina e al suo dosaggio.

R40

A80

R20

A40

S80

R10

A20

S40

A10

S20

F80

P40

L40

S10

P20

L20

F40

P10

F20

% ri

duzi

one

LDL

Statine a diverse dosi

0

-10

-20

-30

-40

-50

-60

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Nota 13 AIFA A. Filippi, A.L. Catapano

34 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

vati: iperchilomicronemie e gravi ipertri-gliceridemie;

3. pazienti con insufficienza renale mode-rata e grave con trigliceridi > 500 mg/dl.

Resine sequestranti gli acidi biliari

Le resine vengono rimborsate dal SSN in due soli casi, entrambi nell’ambito delle dislipidemie familiari:1. ipercolestorelemia familiare, nel caso

le statine più ezetimibe non siano suf-ficienti;

2. disbetalipoproteinemia, nel caso le sta-tine più ezetimibe (e fibrati) non siano sufficienti.

Ancora qualche considerazione sui pazienti con danno renaleSebbene sia indubbia la relazione tra danno renale e rischio CV, l’elevatissima percen-tuale di pazienti anziani con GFR < 60 ml/min/1,73 m2 (limite per la definizione di alto rischio) può lasciare qualche dubbio sia sul

significato prognostico di valori ridotti di filtrato, sia sulla necessità di terapie antidi-slipidemiche “intensive”. Il problema è sicu-ramente molto rilevante se consideriamo anche solo la popolazione ipertesa (Fig. 5). In realtà l’associazione tra GFR e prognosi è confermata anche in soggetti anziani 7 8. Un ulteriore dato rassicurante viene dallo studio SHARP 9.è utile ricordare che oltre al valore asso-luto di GFR soprattutto negli anziani si può valorizzare la presenza di altri elementi, quali la velocità con cui il GFR si riduce nel tempo (considerato accelerato se > 3 mL/min/1,73 m2) e la presenza di micro/macro-albuminuria, importante fattore predittivo di rischio CV anche indipendentemente dal livello di GFR. Per gli anziani fragili resta comunque, come sempre e come per tutte le terapie, la necessità di una valutazione personalizzata che valorizzi le necessità di salute e qualità di vita globale. Proprio in questa tipologia di pazienti molto anziani, > 80, può inoltre essere utile la presenza di “contraddizioni” interne alla nota (vedi il testo di approfondimento della nota in meri-

to al paziente con insufficienza renale), per cui in presenza d’insufficienza renale (come principale determinante del rischio) l’obiet-tivo colesterolo-LDL può essere posto a un livello meno ambizioso (< 115/ 130 mg/dl).

Bibliografia1 Nicholls SJ, Ballantyne CM, Barter PJ, et al.

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2 Tian J, Gu X, Sun Y, et al. Effect of statin therapy on the progression of coronary atherosclerosis. BMC Cardiovasc Disord 2012;12:70.

3 Cholesterol Treatment Trialists’ (CTT) Collaborators, Mihaylova B, Emberson J, Blackwell L, et al. The effects of lowering LDL cholesterol with statin therapy in people at low risk of vascular disease: meta-analysis of individual data from 27 randomised trials. Lancet 2012;380:581-90.

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6 Colivicchi F, Tubaro M, Santini M. Clinical implications of switching from intensive to moderate statin therapy after acute coronary syndromes. Int J Cardiol 2011;152:56-60.

7 Rifkin DE, Shlipak MG, Katz R, et al. Rapid kidney function decline and mortality risk in older adults. Arch Intern Med 2008;168:2212-8.

8 Magnusson NE, Hornum M, Jørgensen KA, et al. Plasma neutrophil gelatinase associated lipocalin (NGAL) is associated with kidney function in uraemic patients before and after kidney transplantation. BMC Nephrol 2012;13:8.

9 Baigent C, Landray MJ, Reith C, et a.; SHARP Investigators. The effects of lowering LDL cholesterol with simvastatin plus ezetimibe in patients with chronic kidney disease (Study of Heart and Renal Protection): a randomised placebo-controlled trial. Lancet 2011;377:2181-92.

Figura 5.

Percentuale di pazienti ipertesi con GFR < 60 ml/min/1,73 m2 (dati Health Search on file riferiti ai pazienti ipertesi con dato creatininemia disponibile).

M

F

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%65-74 75-84 > 85

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Pazienti a rischio cardiovascolare elevato con ipercolesterolemia: la scelta del farmaco

Alessandro Filippi, Damiano Parretti, Alessandro RossiSocietà Italiana di Medicina Generale

35Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.5>>> 2013

Nell’esperienza italiana, uno strumento originariamente previsto come elemento di governo della spesa farmaceutica, le famose “Note AIFA”, sono “progressiva-mente diventate un mezzo per assicurare l’appropriatezza di impiego dei farmaci, orientando, in alcuni casi, la scelta a favore di molecole più efficaci e sperimentate” (dal sito AIFA).Quindi le linee guida partono dal problema clinico e terapeutico e presentano, di volta in volta, le possibili soluzioni. Le Note, inve-ce, partono dal farmaco, indicando per quali patologie e in quali condizioni il suo utiliz-zo è riconosciuto rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Per il singolo medico prescrittore il proble-ma è proprio questo. Per il clinico di fronte a un paziente, alla sua anamnesi familia-re, alla sua storia clinica, alle informazioni ricavate dalla diagnostica di laboratorio e strumentale, la valutazione del rischio car-diovascolare (CV), del rischio come som-matoria di più elementi protratti negli anni di vita, qual è il ragionamento che porta alla prescrizione di un dato farmaco, nel nostro caso una statina? Come medici pratici dobbiamo convincere quel pazien-te che quel trattamento farmacologico, assunto in maniera prolungata e conti-nuativa, possa ridurre, assieme allo stile di vita, in modo significativo la probabilità che un evento CV grave possa sconvolger-gli la vita o farlo morire.

Un recente editoriale comparso sul British Medical Journal richiamava la necessi-tà, da parte dei prescrittori di farmaci, di mantenere l’obiettivo di tener conto delle migliori evidenze disponibili riguardo alle stesse terapie.La medicina basata sulle evidenze è infat-ti stata da tempo definita come “l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze nel prendere decisio-ni sulla cura dei singoli pazienti”. Questa stessa definizione sottende che, se da una parte ciascun medico non può fare a meno di conoscere evidence based sui farmaci e le più accreditate linee guida in campo terapeutico, dall’altro il loro trasferimento al processo decisionale riguardante il singolo paziente, comporta un percorso non sce-vro di difficoltà. è infatti complesso trovare informazioni affidabili nel rafforzare le deci-sioni prescrittive quotidiane e al contempo confrontarle all’interno del case mix tipico della Medicina Generale. Tanto è vero che, sullo stesso numero del British Medical Journal, un’analisi delle diverse linee guida sull’adattamento dei dosaggi dei farmaci in caso di insufficienza renale cronica, ha por-tato a differenze che gli stessi autori defini-scono “considerevoli”.Prescrivere farmaci è e sarà sempre un atto troppo complesso per essere circo-scritto all’interno di percorsi e risposte tutti basati sulla Evidence-based Medicine (EBM) e comunque rimarranno sempre delle “zone grigie”.

“Convincere” significa comunicare in modo efficace e verificare, sul momento, che ci sia stata comprensione e, nel tempo, che l’assunzione dei farmaci avvenga così come prescritto. Sappiamo infatti come, nel caso delle statine, una delle criticità mag-giori (la maggiore, secondo alcuni) viene data proprio dalla mancata assunzione in modo regolare e continuativo del farmaco. Il miglioramento della “compliance” del paziente dovrebbe essere considerato come uno degli indicatori della qualità dell’assi-stenza. Ad esempio, i Centers for Medicare and Medicaid Services affermano che, perché un Piano Sanitario ottenga il mas-simo della valutazione, almeno il 75% dei pazienti deve assumere almeno l’80% dei farmaci prescritti relativamente a tre classi farmaceutiche: ipoglicemizzanti, antiperten-sivi e statine. I dati nazionali e regionali sulla continuità delle cure, a proposito di terapie con statine, offrono cifre largamente infe-riori a queste (come rilevabile dalla Tabella I contenuta nel VII Rapporto Health Search) e ciò non può che rappresentare un ulteriore motivo di riflessione per il medico pratico. E forse non solo per lui, visto che ci trovia-mo in un campo “governato” ormai da anni appunto dalla Nota 13 e dal suo continuo calembour di aggiornamenti e modifiche.

Le numerose evidenze in merito al benefi-cio dell’uso delle statine particolarmente nei pazienti ad alto rischio CV fanno ragione-volmente ritenere che l’estensione dell’uso

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Ipercolesterolemia A. Filippi et al.

36 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

delle statine a tutti i pazienti meritevoli di trattamento porterà a un aumento della spesa farmaceutica. è altrettanto ragione-vole ritenere che tale aumento di costi potrà essere ampiamente coperto dalla riduzione degli eventi CV, dalle ospedalizzazioni e dai reingressi in ospedale.

Il taglio molto pratico che abbiamo scelto di dare al nostro lavoro va nel senso di offrire modelli di ragionamento e di discussione critica che, pur in ossequio ai dettami della Nota 13, partendo da casi di studio, aiutino il medico nelle scelte di cura nella comples-sità quotidiana ...

Può essere in primo luogo utile ricordare che la Nota 13 non ha valore retroattivo e non influisce quindi sulle decisioni terapeutiche già prese; in assenza di nuove raccoman-dazioni basate sulle evidenze scientifiche, la prescrizione di rosuvastatina non ha motivi per essere modificata. A sostegno di que-sta decisione vi sono anche considerazioni etiche: sostituire un farmaco efficace e ben tollerato con un altro può esporre il paziente al rischio di reazioni indesiderate, evento raro passando da una statina all’altra, ma comun-que possibile e non giustificabile.

La presenza di diabete mellito + un altro fattore di rischio CV (fumo) pone Mario nella categoria di pazienti a rischio molto alto, per i quali viene raccomandato un colesterolo-LDL < 70 mg/dl. Oltre alla valutazione ed eventuale modifica dell’alimentazione e dell’attività fisica, il primo intervento è la sospensione del fumo. In ogni caso è necessario iniziare il trattamento con una statina. La Nota 13 esclude dalla prima scelta la rosuvastatina, consentita solo in caso di mancato raggiungimento dell’obiet-tivo terapeutico o d’intolleranza alle altre statine. Questo caso pone ben in evidenza la necessità di agire globalmente sul profi-

Tabella i.

Codice Descrizione Note metodologiche

LLD1 Prevalenza d’uso (%) di statine di 1° livello in sog-getti con specifiche indicazioni al trattamento

Numero di pazienti in trattamento con statine di 1° livello (Numeratore), sul totale dei soggetti con: (1) ipercolesterolemia poligenica a rischio CV moderato, alto, molto alto; (2) ipercolesterolemia familiare; (3) insufficien-za renale cronica; (4) altre forme di iperlipoproteinemia (disbetalipopro-teinemie, iperchilomicronemie, ipertrigliceridemie, iperlipemie da farmaci) (Denominatori)

LLD2 Prevalenza d’uso (%) di statine di 2° livello in sog-getti con specifiche indicazioni al trattamento

Numero di pazienti in trattamento con statine di 2° livello (Numeratore), sul totale dei soggetti con: (1) ipercolesterolemia poligenica a rischio CV moderato, alto, molto alto; (2) ipercolesterolemia familiare; (3) insufficien-za renale cronica; (4) altre forme di iperlipoproteinemia (disbetalipopro-teinemie, iperchilomicronemie, ipertrigliceridemie, iperlipemie da farmaci) (Denominatore)

LLD3Percentuale di pazienti aderenti alla terapia antiper-tensiva con ipolipemizzanti in soggetti con specifi-che indicazioni al trattamento

N. di pazienti aderenti (unità posologica/utilizzatore > 290/anno) al trat-tamento con farmaci ipolipemizzanti (Numeratore), sul totale dei soggetti trattati con ipolipemizzanti e affetti da: (1) ipercolesterolemia poligenica a rischio CV moderato, alto, molto alto; (2) ipercolesterolemia familiare; (3) insufficienza renale cronica; (4) altre forme di iperlipoproteinemia di popolazione (Denominatore)

Caso clinico 1

Il signor Pino di anni 65, iperteso e dislipi-demico, ex fumatore, è stato sottoposto a intervento di rivascolarizzazione coronarica nel 2010. Da allora è in terapia con ASA 100 mg al dì, ramipril 10 mg al dì, biso-prololo 2,5 mg al dì, rosuvastatina 20 mg al dì, pantoprazolo 20 mg al dì. Gli esami di laboratorio, eseguiti in data 2 giugno 2013, evidenziano un ottimo controllo dei fattori di rischio CV: glicemia 102  mg/dl, creatininemia 0,87  mg/dl, colesterolemia totale 170 mg/dl, trigliceridemia 162 mg/dl, colesterolo-HDL 68 mg/dl, colesterolo-LDL 70 mg/dl, CPK 123 UI/L, GOT 12, GPT 11.

Un mese fa il medico curante del signor Pino viene contattato dal responsabile dell’ufficio farmaceutico della Azienda USL, che gli chiede conto della prescri-zione di rosuvastatina a questo pazien-te, non in conformità con le indicazioni dell’ultima revisione della Nota 13.

chero). La glicemia era 187 mg/dl. Si reca dal medico, che non lo vedeva da molto tempo. All’anamnesi non emergono dati rilevanti, viene visitato: peso 63 kg, altezza cm 167, BMI 22,8; PA  140/85, azione cardiaca ritmica, nulla di patolo-gico all’esame obiettivo. Viene prescritto un ECG (normale), un FO (angiosclerosi, decorso tortuoso delle arterie), ed esami di laboratorio che evidenziano: glicemia 202  mg/dl, creatininemia 0,61  mg/dl, emoglobina glicata 9,9%, colesterole-mia totale 247  mg/dl, trigliceridemia 194 mg/dl, HDL 60 mg/dl, LDL 148 mg/dl, uricemia 7,3. Un emocromo evidenzia modesta poliglobulia (Ht 47%). Occorre impostare un trattamento.

Caso clinico 2

Mario ha 55 anni, svolge la professione di operatore ecologico, è un forte fumatore.Abitualmente evita di recarsi dal medico, dice di sentirsi bene. Effettua in farmacia, per curiosità, un dosaggio glicemico di mattina (prima aveva assunto solo un caffè senza zuc-

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IpercolesterolemiaPazienti a rischio cardiovascolare elevato con ipercolesterolemia

37Rivista Società Italiana di Medicina Generale

lo di rischio del paziente: il fatto di riusci-re a eliminare o meno il fumo comporta non solo un vantaggio in termini di salute, ma consente anche un trattamento meno “aggressivo” dei livelli lipidici. A seconda della capacità di Mario di smettere di fuma-re, quindi, si dovrà scegliere tra una statina in grado di ridurre almeno del 50% i livelli di colesterolo-LDL e un’altra in grado di ridurli almeno di un terzo.

Le statine possono causare effetti indesi-derati a carico della muscolatura. In ordine crescente per gravità e decrescente per incidenza troviamo mialgie senza aumento delle CPK, aumento delle CPK senza mial-gie, mialgie con aumento delle CPK, rab-domiolisi. Il dolore muscolare in assenza di rialzo di CPK è stato riportato fino al 10% dei soggetti trattati con statina, anche se in

un ampio studio solo il 2% dei pazienti ha presentato mialgia attribuibile sicuramente al farmaco. Può essere utile ricordare che anche il solo esercizio fisico può causare rialzo di CPK (con o senza mialgia) e che questo fenomeno può essere addizionale rispetto all’effetto delle statine. Può essere utile ricordare che in alcuni casi la sospen-sione della statina non produce la scom-parsa dei sintomi e/o la normalizzazione della CKP, facendo ipotizzare la presenza di miopatia necrotizzante autoimmune. Sono state proposte varie strategie nei pazienti con intolleranza alle statine, ma è difficile raggiungere un consenso basa-to sulle evidenze a causa dell’assenza di studi controllati. Il primo passo è sempre verificare la possibilità di cause alterna-tive al farmaco che giustifichino sintomi e danno muscolare. Prima di rinunciare definitivamente a un farmaco importan-tissimo per la protezione CV si può pro-vare a ridurre la dose o, meglio, a cam-biare tipo di statina. Anche se la maggior parte di casi risultano intolleranti a due o più statine, uno studio ha mostrato come alla fine la metà dei pazienti intolleran-ti ha “trovato” una molecola utilizzabile. In questo caso, quindi, di fronte a un ele-vato rischio CV che richiede un ottimo controllo del colesterolo-LDL, la presenza di intolleranza a simvastatina 40  mg (in assenza di sintomatologia intollerabile e/o di rabdomiolisi) deve favorire la scelta di una seconda molecola, mentre la riduzio-ne del dosaggio non è praticabile, dato che 20 mg di simvastatina non si erano mostrate sufficienti a raggiungere l’obietti-vo raccomandato. La scelta di rosuvastati-na a un dosaggio che garantisce adeguata efficacia è una scelta ragionevole.

Il riscontro di elevati livelli lipidici in un soggetto giovane (40 anni), con alimenta-zione, peso e stile di vita sostanzialmente adeguati deve sempre far porre l’ipotesi di dislipidemia familiare. In questo caso colesterolo totale e trigliceridi elevati e colesterolo-HDL ridotto indicano la possibi-lità d’iperlipemia familiare combinata, la più diffusa dislipidemia familiare (1/100 circa), caratterizzata da elevato rischio di eventi CV. Caratteristica di questa forma è l’oscil-lazione del tempo dei valori di colesterolo totale e trigliceridi, oltre che dalla presenza di altri membri della famiglia, il cui ricono-scimento, però, non è sempre agevole dato che il fenotipo può variare notevolmente. Si tratta infatti di una forma familiare comples-sa, il cui fenotipo è determinato da un’al-trettanto complessa interazione tra i geni e l’ambiente, per cui la diagnosi può sfuggi-re. Le linee guida europee EAS-ESC 2011 suggeriscono di porre una diagnosi pro-babilistica di ipercolesterolemia familiare combinata in presenza di APO B >120 mg/dl e trigliceridi > 133 mg/dl + storia fami-liare di eventi CV precoci. La Nota 13 indica i seguenti elementi per una diagnosi pro-babilistica in presenza di colesterolo-LDL > 160 mg/dl e/o trigliceridi > 200 mg/dl, più presenza in familiari di 1° e 2° grado di casi di ipercolesterolemia e/o iperglige-ridemia (fenotipi multipli, spesso con varia-bilità fenotipica nel tempo). In assenza di documentazione familiare di dislipidemia la

Caso clinico 3

Elena, di 68 anni, diabetica in trattamen-to con metformina 850 mg x 2, e iper-tesa in trattamento con enalapril 20 mg e idroclorotiazide 12,5 mg, viene ricove-rata in urgenza per un infarto del mio-cardio. Viene sottoposta ad angioplastica coronarica e dimessa con l’aggiunta alla terapia già in corso di ASA 100  mg al dì, simvastatina 20  mg al dì, atenololo 25  mg al dì, lansoprazolo 15  mg al dì. Dopo un mese le condizioni cliniche sono buone e gli esami evidenziano glicemia 123  mg/dl, emoglobina glicata 6,4%, creatininemia 1,02  mg/dl, colesterole-mia totale 204, trigliceridema 160  mg/dl, HDL 54  mg/dl, LDL 118  mg/dl, CPK 201  UI/L, transaminasi nella norma. La PA è 130/78 mmHg. Il medico curante cerca di rinforzare le misure non farma-cologiche e aumenta il dosaggio giorna-liero di simvastatina a 40 mg/dl.Dopo circa 3 mesi la paziente arriva in ambulatorio lamentando dolori musco-lari diffusi. Il medico ne approfitta per effettuare una rivalutazione clinica. Le condizioni generali sono buone, la PA è 128/78  mmHg, il controllo glicemico e l’emoglobina glicata sono pressoché invariate, in più si osserva colesterole-mia totale 192, trigliceridemia 168 mg/dl, HDL 56  mg/dl, LDL 78  mg/dl, CPK 242  UI/L, transaminasi nella norma. Di fronte alle mialgie e al lieve incremento di CPK, il medico deve valutare se modi-ficare la terapia con statine. Caso clinico 4

Francesco ha 40 anni, sta bene e nor-malmente non fa controlli clinici. Non fuma, è normopeso e svolge una blanda attività fisica. L’istituto di credito presso cui lavora ha offerto ai dipendenti pac-chetti di accertamenti clinici tra cui un profilo biochimico che evidenzia coleste-rolemia totale 259 mg/dl, trigliceridemia 282 mg/dl, HDL 35 mg/dl, LDL 168 mg/dl; altri esami, tra cui glicemia e funzio-nalità renale, sono nella norma.

Si reca dal medico di famiglia che lo visita e rileva una PA di 130/80 mmHg, esame obiettivo nella norma. Il medico indaga sulle abitudini alimentari e prescrive una alimentazione ipolipidica, proponendo di rivalutare l’assetto lipidico dopo 3 mesi. Trascorso questo tempo le analisi vengono ripetute e danno il seguente esito: colesterolemia totale 298  mg/dl, trigliceridemia 210 mg/dl, HDL 37 mg/dl, LDL 219 mg/dl. A questo punto il medico chiede a Francesco se nella sua fami-glia ci sono altri membri con alterazioni dell’assetto lipidico ed emerge che un fratello di 10 anni maggiore e che vive in Canada presenta elevati valori di cole-sterolo e trigliceridi, così come il padre, di 78 anni, che è stato sottoposto tre anni prima ad angioplastica coronarica con stenting di IVA per una sindrome coro-narica acuta.

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Ipercolesterolemia A. Filippi et al.

38 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

diagnosi è fortemente sospetta se vi sono casi di patologia aterosclerotica precoce. La presenza di sola ipercolesterolemia o sola ipertrigliceridemia esclude la diagnosi. Come si vede non esiste un unico crite-rio diagnostico “assoluto” e la diagnosi è quindi clinica. Nel caso di Francesco può essere opportuno ricontrollare colesterolo totale, HDL, trigliceridi e determinare anche APO B dopodiché, confermata la diagnosi è opportuna la terapia con statina. Come prima scelta la Nota 13 indica una stati-na (tranne rosuvastatina, indicata come seconda scelta, insieme alla combinazio-ne statina + ezetimibe e con gli omega 3 PUFA) e l’obiettivo terapeutico di colestero-lo-LDL < 100 mg/dl o, comunque, < 50% del basale. Anche in questo caso la Nota 13 non è esente da dubbi interpretativi, perché in presenza di elevati livelli di trigliceridi e basso colesterolo-HDL il testo esplicativo suggerisce i fibrati come farmaci da affian-care alle statine. Per quanto riguarda la scelta di quest’ultima, se si confermassero livelli di colesterolo-LDL di circa 200 mg/dl, molecola e dosaggio dovrebbero consentire una riduzione teorica > 50%.

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Tabella ii .

Quali esami nel follow-up (da linee guida EAS-ESC).

Controllo dei lipidi

Quando monitorare i lipidi?• Prima di iniziare una terapia farmacologica ipolipemizzante, occorre confermare i

valori patologici dei lipidi almeno con due esami consecutivi, con un intervallo di 1-12 settimane, eccetto quelle condizioni in cui si richiede un inizio immediato della terapia (e.g. sindrome coronarica acuta)

Con quale frequenza dovrebbero essere controllati i lipidi dopo l’inizio di una terapia farmacologica ipolipemizzante?• 8 (±4) settimane dopo l’inizio della terapia• 8 (±4) settimane dopo l’adattamento alla terapia, fino al raggiungimento dei valori

desiderati

Con quale frequenza dovrebbero essere monitorati colesterolo o lipidi una volta che il paziente ha raggiunto il valore di colesterolo desiderato/ottimale?• Annuale (se non ci sono problemi di aderenza alla terapia o altri ragioni per un controllo

più frequente)

Monitoraggio di enzimi epatici e muscolari

Con quale frequenza dovrebbero essere controllati gli enzimi epatici (ALT) in pazienti in terapia farmacologica ipolipemizzante?• Prima della terapia• 8 settimane dopo l’inizio della terapia o dopo aumento del dosaggio• Annuale se < 3x ULN

Cosa fare se gli enzimi epatici aumentano durante una terapia ipolipemizzante?Se < 3x ULN:• Continuare la terapia• Ricontrollare il livello degli enzimi in 4-6 settimane

Se il valore è ≥ 3x ULN:• Interrompere la statina o ridurre la dose; ricontrollare gli enzimi dopo 4-6 settimane• Riprendere la terapia con cautela dopo che la ALT è tornato ai livelli normali

Con quale frequenza deve essere controllato il CK in pazienti in terapia farmacologica ipolipemizzante?Prima della terapia• Prima dell’inizio della terapia• Se il livello basale di CK è > 5x ULN, non iniziare la terapia; ricontrollare

Monitoraggio• Non è necessario il monitoraggio di routine di CK • Controllare se il paziente sviluppa mialgia

Prestare particolare attenzione a miopatie e aumentato CK in pazienti a rischio: anziani, terapie farmacologiche che interferiscono, politerapie, malattie epatiche o renali

Che fare se i livelli di CK aumentano in pazienti in terapia farmacologica ipolipemizzante?Se > 5x ULN:• Interrompere la terapia, controllare la funzione renale e monitorare CK ogni 2 settimane• Considerare la possibilità di un aumento transiente per altri motivi (e.g. sforzo muscolare)• Considerare cause secondarie di miopatia se CK rimane elevata

Se ≤ 5x ULN:• In assenza di sintomi muscolari, continuare la statina (avvertire il paziente di riferire

eventuali sintomi, considerare ulteriori controlli di CK)• In presenza di sintomi muscolari, monitorare i sintomi e controllare CK regolarmente

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Le micosi superficiali infiammatorie:quando può essere utile l’uso di un’associazione

topica tra antimicotico e steroide

Claudia GianniDermatologa - CDI, Milano

Eziologia e clinicaI patogeni più frequentemente coinvolti nelle infezioni micotiche superficiali, capaci di biodegradare la cheratina della cute, sono soprattutto i dermatofiti antropofili e zoofili dei generi Trichophyton, Microsporum ed Epidermophyton. L’incidenza delle varie specie come causa di malattia dipende dalle aree geografiche, risultando più frequente-mente responsabili le specie antropofile nei paesi più evoluti socio-economicamente, al contrario le specie zoofile vengono isolate maggiormente in caso di infezioni in popo-lazioni rurali. Anche le tipologie di micosi differiscono a seconda delle condizioni socio-economiche, prevalendo quadri di tinea pedis e tinea cruris in caso di abitanti di centri urbani che più spesso frequentano centri sportivi e utilizzano calzature occlu-sive, mentre quadri di tinea capitis e tinea corporis sono più frequenti in caso di popo-lazioni povere che vivono maggiormente a contatto con animali e hanno minori pos-sibilità di cure con conseguente diffusione dell’infezione 1 2. A tal proposito si possono ricordare le epidemie di tinea capitis da T. violaceum rinvenute negli orfanotrofi africa-ni dovute all’abitudine di rasare tutti i bam-bini con un unico rasoio. In ogni caso, lo spettro delle infezioni dermatofitiche non è statico dipendendo grandemente dai flussi migratori di popoli, dal turismo, dalle abi-

IntroduzioneLe infezioni micotiche superficiali della cute riguardano milioni di persone in tutto il mondo potendo colpire qualunque fascia di età. Studi sulla prevalenza delle micosi superficiali hanno mostrato che nelle ultime decadi almeno il 20-25% della popolazione mondiale ha sofferto di tale patologia. Se le infezioni micotiche si manifestano con una componente infiammatoria spiccata, possono risultare sintomatiche e la gestio-ne di questi pazienti può divenire un pro-blema terapeutico in quanto essi tendono a non tollerare la maggior parte dei topici antimicotici che il clinico ha a disposizione. I principali sintomi riferiti dai pazienti affetti da micosi superficiali infiammatorie sono il prurito, talvolta il bruciore e sensazione di calore soprattutto se l’infezione è localizzata in sede di grandi pieghe. L’attenuazione o la risoluzione rapida di tali sintomi sono fattori importanti che influiscono sulla qualità della vita, nelle relazioni personali del paziente e sul proseguimento stesso della terapia. In questa breve rassegna viene preso in consi-derazione l’utilizzo, nelle micosi superficiali infiammatorie, di una formulazione data dall’associazione di 1% isoconazolo nitrato, un antimicotico ad ampio spettro con attività antimicrobica e 0,1% diflucortolone valera-to, un potente cortisonico topico con basse percentuali di assorbimento sistemico.

tudini di vita, dall’allungamento della vita media soprattutto nelle società occidentali e dai cambiamenti del clima. Tra le cause di micosi superficiali si aggiun-gono le infezioni dovute al genere Candida, lieviti commensali saprofiti, abitualmente residenti di mucose gastrointenstinali e genitali che possono occasionalmente viru-lentare se subentrano particolari condizio-ni locali o sistemiche (immunodeficit, uso prolungato di antibiotici o steroidi, diabete, dismicrobismi, ecc). Si dice perciò che le infezioni da Candida siano malattie preva-lentemente dei “molto giovani, molto vecchi o molto malati” 3. Le sedi maggiormente colpite sono le pieghe e le mucose, neces-sitando il genere Candida di aree umide per la crescita e la sopravvivenza.Infine anche alcune muffe, seppur rara-mente, si sono dimostrate in grado di pro-vocare infezioni sia superficiali sia profonde. Se si considerano le prevalenze in lette-ratura, la popolazione che maggiormente risulta colpita da micosi superficiale sono gli uomini dai 20 ai 40 anni soprattutto per quanto riguarda i quadri clinici più fre-quenti: tinea cruris e tinea pedis. Molte di queste infezioni rimangono misconosciute per anni funzionando da serbatoio infetti-vo per il paziente stesso, per l’ambiente e per i conviventi. Questo accade soprattut-to quando l’infezione è paucisintomatica e

Questo articolo è stato già pubblicato sulla Rivista DA (Dermatologia Ambulatoriale) anno XXI, n. 1/2013.

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più frequentemente negli uomini di mezza età che convivono da anni con l’infezione non ritenendo importante curarsi. Tutto ciò deve spingere il clinico a convincere anche il paziente più resistente a seguire una tera-pia antimicotica eradicante l’infezione per limitare le possibilità di contagio. Talvolta invece le infezioni micotiche pos-sono risultare particolarmente fastidiose. I principali sintomi riferiti dai pazienti affetti da micosi superficiali sono il prurito, talvolta il bruciore e sensazione di calore soprattutto se l’infezione è localizzata in sede di gran-di pieghe. L’attenuazione o la risoluzione rapida di tali sintomi sono fattori importanti che influiscono sulla qualità della vita, nelle relazioni personali del paziente e sul prose-guimento della terapia 4. Per lo più queste infezioni risultano ridotte ad aree singole e di relative piccole dimensioni (tinea pedis, tinea cruris) e ciò spinge, almeno in prima battuta, a utilizzare una terapia topica sotto formulazione di crema o polvere. Solo qua-lora l’area interessata fosse particolarmen-te estesa oppure fosse presente una secon-da localizzazione (ad esempio, tinea pedis + onicomicosi, tinea pedis + tinea cruris, la sindrome due piedi una mano, ecc.) oppu-re venga colpito un annesso (onicomicosi, tinea capitis), si ritiene necessario interve-nire associando terapia sistemica con cicli di imidazolici o terbinafina 5.Se però l’area da trattare risulta contempo-raneamente colpita da un processo infiam-matorio, si dovrà utilizzare necessariamente un topico che non peggiori la sintomatologia pruriginosa e/o dolorosa, pena la sospen-sione da parte del paziente della terapia prescritta. Infatti, spesso alcune prepara-zioni antimicotiche, pur essendo specifi-camente attive contro l’agente eziologico in causa, risultano irritanti se applicate su cute infiammata, peggiorando così la sinto-matologia e dando la sensazione al paziente di non risolvere il problema, bensì di acuirlo con conseguente abbandono della cura. In questi casi specifici l’uso di un farmaco antimicotico imidazolico associato a uno steroide topico ha il vantaggio di alleviare rapidamente i sintomi grazie alle proprietà antinfiammatorie del cortisone contenuto.In questa breve rassegna viene preso in considerazione l’utilizzo, in particolare nelle forme infiammatorie di micosi superficiale,

di una formulazione data dall’associazione di 1% isoconazolo nitrato, un antimicotico ad ampio spettro con attività antimicrobica e 0,1% diflucortolone valerato, un potente cortisonico topico con basse capacità di assorbimento sistemico. L’utilizzo degli steroidi andrebbe sconsiglia-to in caso di tutte le infezioni, a causa della capacità di questi composti di favorire la proliferazione di qualunque agente biotico. Tuttavia in alcuni casi particolari, ma non infrequenti nella pratica clinica, si ritiene necessario l’uso di un’associazione topi-ca tra antimicotico e steroide per risol-vere in breve tempo la sintomatologia. Solitamente sono sufficienti 4 giorni di applicazione 2 volte al dì per spegnere la componente infiammatoria e dare sollievo al paziente. Successivamente si può pas-sare al classico schema terapeutico con antimicotico topico, a questo punto non più irritante, che prevede l’applicazione 1 o 2 volte al dì del preparato scelto per almeno 2 settimane. I quadri clinici che più frequentemente beneficiano dell’appli-cazione di associazioni tra antimicotico e steroide comprendono:1. tinea pedis infiammatoria, spesso

impetiginizzata, in cui si osservano erosioni da grattamento (Fig. 1), spac-chi ragadiformi interdigitali dolorosi, lesioni macerative e sierogementi. Spesso questi quadri sono presenti in pazienti psoriasici in cui l’infezione micotica può facilmente scatenare

un effetto Koebner e psoriasi inversa (Fig. 2). La monoterapia con un sem-plice antimicotico in questi casi porte-rebbe a una più lenta risoluzione della sintomatologia;

2. tinea pedis del cavo mediano: in questo caso il minor spessore cutaneo dell’area interessata porta spesso a una vescicolazione intensamente prurigino-sa che può risolversi prontamente con l’associazione antimicotico-steroide;

3. tinea manus: seppur più rara delle altre forme di dermatofitosi, la tinea manus può presentarsi nella sua variante disidrosiforme intensamente pruriginosa. Se estesa all’avambrac-cio può colpire l’apparato pilifero con formazione di granulomi. Lo spessore dello strato corneo e la formazione di granulomi spingono spesso il clinico a prolungare l’uso dell’associazione antimicotico-steroide fino a 7-10 giorni prima di somministrare il solo l’antimi-cotico (Fig. 3);

4. tinea corporis da zoofili che si presenti molto pruriginosa con possibile conta-minazione in altri distretti corporei per grattamento. Spesso in questi casi il bordo delle lesioni possono vescicolare e dare origine a squamo-croste. L’uso di una formulazione in associazione per qualche giorno elimina il prurito e la componente infiammatoria con più rapida risoluzione del quadro clinico (Fig. 4);

Figura 1.

Tinea pedis infiammatoria.

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5. tinea barbae: in questo caso il dermatofita tende a parassitare la porzione profonda di grossi follicoli piliferi dando origine a lesioni papulo-nodulari, talvolta purulente, partico-larmente infiammatorie, con tendenza alla formazione di granulomi (Fig. 5). L’evoluzione di tali lesioni può esitare in cicatrici permanenti. In questi casi è giustificato l’uso dell’associazio-ne di antimicotico e steroide anche per un tempo più prolungato, ossia 10-14 giorni, in modo da spegnere il più possibile la componente infiam-matoria;

6. kerion celsi: anche in questo caso le lesioni del capillizio, causate gene-ralmente da dermatofita zoofilo, ten-dono rapidamente a dare origine a granulomi siero-purulenti che portano alla distruzione del bulbo pilifero con conseguente alopecia cicatriziale. è importante in questo caso evitare un esito permanente con l’utilizzo della formulazione precedentemente detta per 10-15 giorni, in combinata con antimicotico sistemico;

7. tinea cruris: è la forma di tinea in cui l’associazione antimicotico-steroide trova il suo più largo impiego. La tinea cruris infatti tende a essere quasi sempre intensamente pruriginosa causando fastidio e imbarazzo nei pazienti. Se le lesioni risultano solo eritemato desquamative la risoluzione della sintomatologia si ha già dopo due giorni di uso di antimicotico-steroide in crema che può essere così sospeso per passare all’uso di solo antimicotico topico. Possono essere invece neces-sari 4 o più giorni di terapia combinata quando le lesioni sono di vecchia data e quindi associate a lichenificazione da grattamento o sovrinfezione batte-rica. Talvolta, inoltre, quando le lesioni si estendono e interessano l’apparato pilifero delle regioni pubiche, perinea-le e interno coscia, si possono avere papulo-noduli purulenti dolorosi. In questo caso la formulazione combinata antimicotico-cortisone dovrebbe esse-re utilizzata per un tempo leggermente più lungo che di solito è compreso tra i 7 e i 10 giorni;

Figura 2.

Tinea interdigitale in paziente psoriasico.

Figura 3.

Tinea manus granulomatosa.

Figura 4.

Tinea corporis infiammatoria.

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8. candidosi infiammatorie di pieghe e mucose genitali: le lesioni eritemato-macerative sono localizzate tipicamente in fondo piega con spacchi ragadiformi e papulo-pustole satelliti. Il bruciore e la spiccata componente infiammato-ria possono essere rapidamente risolti dopo sole 24-48 ore con l’uso dell’as-sociazione topica antimicotico-steroide per poi lasciare il posto alla sola terapia antimicotica (Fig. 6).

Discussione

Il numero di agenti antimicotici topici e sistemici a disposizione del clinico per il trattamento delle micosi superficiali è molto numeroso. L’uso di una formulazione topica, quando è possibile, ha il vantaggio di evita-re tutti gli effetti collaterali di un farmaco sistemico e le eventuali interazioni con altri farmaci assunti dal paziente. Nel caso si tratti di una micosi con aspetto infiammato-

rio, tale ad esempio da poter provocare esiti cicatriziali permanenti (ad esempio, kerion celsi) oppure che causi intenso prurito tale da dar luogo a lichenificazione, sovrinfe-zione batterica o semplicemente disagio del paziente (ad esempio, tinea cruris), può essere utile l’uso di un farmaco topico combinato con molecole antinfiammatorie (corticosteroidi) e antimicotici. I vantaggi comprendono la rapida scomparsa dei sin-tomi (soprattutto prurito e bruciore), senza la necessità di assunzione di antistaminici per os, con grande sollievo per il paziente e ripresa della normale vita relazionale, e il mantenimento prolungato della compo-nente antimicotica nell’epidermide (sede dell’infezione) grazie all’azione vasocostrit-tiva collaterale dello steroide che ne ritarda l’eliminazione attraverso il circolo periferico. L’attività antimicotica verrebbe così poten-ziata e prolungata nel tempo rispetto a un topico imidazolico semplice 6.Un esempio di formulazione topica com-binata, studiata per il trattamento delle micosi superficiali infiammatorie, è data dall’associazione tra 1% isoconazolo nitra-to, un antimicotico ad ampio spettro con attività antimicrobica e 0,1% diflucortolone valerato, un potente cortisonico topico con basse percentuali di assorbimento sistemi-co. L’uso di tale associazione è utile nelle fasi terapeutiche iniziali e intermedie, prefe-rendo non superare le 2 settimane di appli-cazione 2 volte al dì. La componente antimicotica del compo-sto, l’isoconazolo nitrato, è un imidazolico ad ampio spettro che a basse concen-trazioni ha attività fungistatica per la sua azione inibitoria sulla sintesi degli steroli, ma che ad alta concentrazione presenta attività fungicida per un danneggiamento diretto sulla membrana cellulare fungi-na  7. Già Kessler nel 1979 dimostrò l’atti-vità dell’isoconazolo nitrato nei confronti di dermatofiti, lieviti del genere Candida come C. albicans, C. parapsilosis e C. kru-sei, muffe del genere Aspergillus come A. fumigatus, A. niger, A. flavus, batteri Gram positivi come Staphylococcus aureu e S. faecalis 8. In numerosi studi susseguiti negli anni, l’isoconazolo nitrato ha dimostrato una provata efficacia nel trattamento delle micosi superficiali non complicate portando alla guarigione una percentuale variabile di

Figura 5.

Tinea barbae.

Figura 6.

Candidosi delle pieghe.

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pazienti dal 90 al 94% 9. Per quanto riguar-da le percentuali di assorbimento a seguito di una singola applicazione, l’isoconazolo nitrato ha dimostrato una rapida capaci-tà di penetrazione dello strato corneo e dell’epidermide, con il raggiungimento della sua massima concentrazione dopo 1 ora e una permanenza ad alto dosaggio fino a 7 ore  10. Inoltre è in grado di persistere per 4-6 settimane post-trattamento nello strato corneo in concentrazione efficace contro dermatofiti e lieviti utile a impedire eventuali reinfezioni 11. Il serbatoio attivo del farmaco è stato dimostrato anche nel follicolo pilifero e ciò può essere molto utile nel trattamento di tinea barbae, capitis e cruris 12.La componente steroidea della formula-zione, 0,1% diflucortolone valerato, è uno steroide potente a rapida attività antinfiam-matoria. è stato calcolato che l’assorbimen-to sistemico su cute indenne di una singola applicazione è piuttosto basso e corrispon-de allo 0,2% dopo 4 ore 13, inferiore ai dati riguardanti altri steroidi tra i quali fluocino-lone acetonide e betametasone 17-vale-rato 14. Così come i test di vasocostrizione hanno dimostrato una sua azione più poten-te e rapida rispetto a fluocinolone acetonide 0,025%, betametasone 17-valerato 0,1% e clobetasol propionato 0,05% 13. Poiché la cute danneggiata è maggiormente sensibi-le agli effetti collaterali dell’applicazione di steroidi locali è particolarmente importante che per la componente antinfiammatoria sia stato scelto uno steroide a basse poten-zialità atrofogeniche, come sembra essersi dimostrato il diflucortolone valerato 15.La maggior efficacia terapeutica di un’as-sociazione antimicotico-steroide rispetto all’utilizzo di una monoterapia antimicotica nel trattamento delle micosi superficiali a carattere infiammatorio è stata dimostrata in studi riportati su ampie casistiche 16 17. Infatti l’azione contemporanea dei due far-maci permette di ottenere la rapida scom-parsa di vescicolazione, eritema, edema e fissurazioni, con conseguente risoluzione

dei sintomi prurito/bruciore, in tempi dimez-zati rispetto alla monoterapia antimicotica con isoconazolo nitrato 18 19.

ConclusioniL’associazione terapeutica tra 1% isocona-zolo nitrato e 0,1% diflucortolone valerato rappresenta un ben documentato ed effica-ce approccio al trattamento di tutti i quadri clinici di micosi superficiali complicate da un aspetto infiammatorio che non risultino particolarmente estese. L’uso della terapia combinata è consigliato soprattutto nelle fasi iniziali e intermedie del trattamento, comunque non per più di 2 settimane, per permettere una più rapida normalizzazione della cute e consentire un successivo pas-saggio terapeutico alla monoterapia antimi-cotica topica.

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