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« Nessuna lingua umana mi darà ragione »

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Titolo: Maria Pia Quintavalla – Quaderni Anno: 2012 Poesie di: Maria Pia Quintavalla Fonti: Selected Poems, Gradiva Publications, 2008. A cura di: Luigi Bosco

Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.

2011 Poesia 2.0

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ANTOLOGIA DI POESIE

(Selected Poems)

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Da CANTARE SEMPLICE (Tam Tam, 1984)

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Nessuna lingua Nessuna lingua umana mi darà ragione sono come sono, senza sottane d’oro né bianche che solleva il vento ma appoggio il mento e gli occhi su un momento.

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Un idealismo- pensiero Un idealismo-pensiero che mi delizia ha la mia donna ideale, sogna su tutte le pene delle altre donne non sarà la cerniera dei corpi la parola ma lingua di rosa come meteora venuta.

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Da LETTERE GIOVANI (Campanotto Editore, 1990)

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Con un’amica

a Nadia Campana Con un’amica niente più bianco e nero, né morte di nuovo dio piccolo dio diffuso tante piccole teste noi e plurali sulla terra, sui muri della schiena incubi e infanzia da vedere. Cantare le righe le miglia di un’altra, scomparsa non consumabile silenzio. Con una nave niente più bianco e nero, solo dio piccolo piccolo e diffuso.

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Lavoro Userò, come tetra famiglia userò come giogo che lega questi anni di attesa alla sua sorte, non l’idolo non la scura meraviglia – la sua statua sonora non la veglia finita del sospirato serpente la sua lingua godiva.

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Io mi ritenni Io mi ritenni una selvaggia da chiunque distruggibile lussuosamente persi il tempo grazioso giovanile, ma risoluta promessa si ripete una fiera sorgente.

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Movimento dell’immobilità Cupo, senza scandagliare cupo moto a restare scoperti, attraversare la boscaglia. Apoteosi: accecata accecante tu, piccolo angelo solo ne resti e muto

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Da LE MORADAS (Empiria, 1996)

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Esiste la deliziosa Esiste la deliziosa, prossimità, non il perfetto amore. E intanto lunghi tragitti tratti erosi da pianto, polvere di sentieri assembrati angoli della mente che stavano per sfollare e – sostano, campi desertici trasferimento, letto come strada silenzio non ancora pace

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E la storia ripete E la storia ripete solitaria importanza, date e date, stupita picchietta a morte nel fortino sicuro della mente lenti le svaniscono i domani lodi ben tornite le sue mani. C’è gloria nella storia nella avvenuta avventura umana con poche cose, ora imparo dal buio il ri abbraccio

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Da ESTRANEA (CANZONE) (Manni, 2000)

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Semplice suono Semplice suono, semplicemente – voci che rincorrono (un futuropassato) nelle strade genealogie raccolte, chiuse in sé strette perché polle pozzi giorni sepolti tra la vita, altrui canzone, e l’oggi mobile miraggio appeso esile, saputo e presto nella piena e verde e piazza (annuvolato)

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Allora grida e sortilegi Allora grida e sortilegi, spinte della vita con le spalle chine e le finestre chiuse laggiù nell’ombra del fiorito fiume, che a tratti buono tutto blu e profondo le facevano un vuoto (monito) allora lei sentiva che poteva e domenica rifarsi intatta congiungere i due lembi del passato, e due nel terzo occhio dimoravano (felici)

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Da CORPUS SOLUM (Archivi del ‘900, 2002)

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Parmigiana Tutti gli amori ti furono infelici perché ci credevi, tutta vi aderivi, alle promesse dell’essere – al suo centro, ti innamoravi della vita del paradiso dalle palme lente e dolci dell’amore improvviso nelle dita, degli amanti napoletani della forza che ti travolgeva ma di messi astrali, bianche di una stella carnale antiche passeggiate e dolci mani, della vita sentivi lì la forza intatta infrangersi stupita appartenente a corse, statue di gaggie erano tonfi al cuore, desiderio e copule del mare. Forti le braccia i baci le lusinghe, per amore della vita che perdevi e lenta nell’amore ti perdeva

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Da ALBUM FERIALE (Archinto, 2005)

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La piantina I) Sono in pericolo, da anni invece della cerca della luce, clorofilla e verdi sali vedo una pianticella da c u r a r e il cui veleno proviene dal suo centro, dalla terra un buco invalicabile e profondo – che non dà spazio ad altro. Lo stesso buco alimenta come acqua un pozzo – e spinge radici povere che reggono la pianta, io mi chino e ne bevo, la curo genufletto e inculco suoi rituali – soli che si addicono alla pianta. Essa prende me, lei non va via. Un male oscuro che ghermisce inesplicabile ed io chinata, guardo e amo, le dico: con oggi prenderemo un’altra medicina. Lei è sepolta, ma con me alla luce rivivrà sicura! E lei beve, beve non è stanca mai. Mi riaddormento a sera con minor fiducia. Che sia lei o io, la più ammalata non mi curo: so che il mio posto è di guardiana del malato e lei l’ho già incontrata (e scruto) quante foglie fiori saprebbe germogliare. Ignara, ignoro non vi sia più vita e mi procura un crampo stanco e duro, dolore al polso e poi silenzio, ma le voci che invento, le canzoni o i bassi assicurano parole e un bel giardino.

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II) La pianta guarda sogna, a volte sembra assorta: finestre che riflettono un suo cielo senza stelle mani la carezzano vorrebbero donarle un nome un volto, e voce – amica. (Ma la pianta avvizzisce e piano si protende verso il basso, il fusto grigio e secco come un vento che non ha respiro). A volte migra, noi riposiamo là vicino a lei che più non vedo. Il cielo annotta tuona ma non può far nulla, solo mani amorevoli le mie intendono prestarle volto – e suoni si azzittiscono, il mio viso già assopito s o g n a di accendere una per una la fiamma con cui bruciate dita riscaldano – ed illuminano. III) La pianta tace sopra tutto il suo segreto che è l’assenza di centro e sterno vuoto al mondo da mostrare. Divide e intrica con la sua secchezza il cielo ma scruta dentro l’anima, vorace. E tace. Tace di suoi algoritmi e voci che nel fondo pre natali alla vita al tempo, al vivere del mondo avevano attizzato fuochi lì nel cuore, e morso l’aria giacimenti interi e intanto voci - anche di bambini che dall’erba

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suggeriscono preghiere, e le dicono lascia, lascia tuo padre – madre, tuo fratello in terra di sepoltura antica, tu foriera di indiane corse di colori che dal cielo fumano – il suo Sole. E’ là nel corso amico della storia che vorrei tornare, precipitare in corsa prender quota – camminare. C’è un paese amico che mi segue e chiama, ha nome amicizia affetto figlia e poi, animali. La piantina che sente si stupisce di queste orecchie gravide del mondo, non capisce. Coglie che qualcuno è in movimento già nei piedi – prato di un cammino. Lo trattiene, non vorrebbe tutto quel chiasso - e il fiato non udire; preferisce tenere a sé le mani strette nelle sue più forti di quel mistico morire.

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Ecco un io pianetino. Ecco un io pianetino invisibile azzurro, e che non viene attaccato, presentarsi di spalle scalpitante recalcitrante, poi avanzare su sé, e di fronte all’occhio monologo del buon Dio, sui piedi ritti presentarsi pari unito, e dire: Sì, sono brava, la sono dal tempo dei miei primi banchi, bianco quadrati della vita, dove mani conserte e piedi a lato, mi ritrovai pensosa donna. Davanti all’occhio del buon Dio lei gongolava, poi lestamente abbassati gli occhi miopi, e i benedicenti piedi, chiedergli, Perché non parli e non dici cosa davvero pensi su noi, sul mio destino? Se ho peccato se lì vicino agli occhi di sorgente dove abitavo (e tu vivevi) ritieni giusto qualcuno di nascosto si presenti e torni, per noi bene dicente a dire, Pagherete! Su voi più piccoli piove la gloria, ripeteva il Dio grande paterno dalle chiome a riccioli distesi. Non chiedere più niente, non lo fare. Bene dicente è il glicine che appeso, beve alla finestra marzolina della sera le sue tonde parole le preghiere, di quando trepida bambina là distesa, ti ritrovai in intima attesa della vita.- Se Dio mi ama io scrivo e se non scrivo muoio, peggio beccheggio, e stono fino a sera le mie modestissime preghiere che, come tozzi di pane restano là chiuse né con l’acqua si nutrono ma il ristagno che le gonfia e accompagna può anche ucciderle scipirle, farne mollica o semente senza odore della sera.

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L’occhio di Dio la rimirava piccola e mansueta, una bambina spiritosa, ma la sua ombra disegnava un muro là di fronte misero sterrato, dal convolvolo abbassato. Non credere agli uragani d’amore del passato, al matrimonio pieno alla felicità durevole col mondo, ordina l’apertura della gabbia sfondo dove qualcuno seppellisce l’occhio. Va’ in sordina, va’ a rivelarti integra, piccolina sull’impronta scalpore della sera, su ciottoli del fiume su refoli di sera, fuori da cerchia e mura - di rivolte beghine, la tua sera.

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Da CHINA (Effigie, 2011)

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La sostanza! Tu, che di “sostanza” amavi fare scorta, tu che la ciccia dolce e imperturbabile portavi addosso come collana d’oro, tu che non osasti mai smentire tale il grande corpo della madre, trovasti nella impenetrabile magrezza ultima una catarsi antica, mistica di te sognata, una tappa ritmica del corpo e cuore di ragazza, che diceva no – al suo cibo. Una sua splendida trovata vita, poiché dal lato di magrezza del pensiero, spirito dove non ti eri mai piegata; dal lato sconsolato di tuo corpo attento, febbrile sua muscolatura, scatto dei “no” ripetuti in fondo al tempo dove non ti eri più plasmata. Così, agli ultimi, tu lo facesti integra, tuo. Né pancia o adipe più rivedemmo, ma corpo asciutto di ragazza.

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Maria Pia Quintavalla è nata a Parma e vive a Milano. Ha pubblicato: Cantare semplice (Tam Tam Geiger 1984 prefazione Nadia Campana), Lettere giovani (Campanotto 1990 prefazione Maurizio Cucchi), Il Cantare (Campanotto 1991 prefazione Nadia Campana), Le Moradas (Empiria, 1996 prefazione Giancarlo Majorino), Estranea (canzone) (Piero Manni 2000, introduzione di Andrea Zanzotto), Corpus solum (Archivi del 900, 2002 prefazione di Giampiero Neri), Album feriale ( Rosellina Archinto 2005 prefazione di Franco Loi), Selected poems, (Gradiva, introduzione di Andrea Zanzotto), China (Effigie, 2011). Ha curato le antologie: Donne in poesia, Presidenza Comune di Milano 1985, ristampa 1988, Campanotto, dell’omonimo festival biennale nazionale dal 1985, Milano, e gli atti del

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convegno “Bambini in rima/La poesia nella scuola dell’obbligo”, Provincia di Milano, 1985, Alfabeta 1987. Figura in numerose antologie della poesia italiana, l’ultima, Trent’anni di Novecento, a cura di Alberto Bertoni, Book edizioni 2005. Vincitrice ai premi: Tropea, Cittadella, Città S.Vito, Alghero Donna, Nosside, Gold Winners Nosside, Marazza Borgomanero, Contini Buonacossi, Montano, Alto Jonio, finalista in cinquina al Viareggio con Estranea (canzone). Traduzioni in lingua tedesca su: Schema, Università di Tubinga 1988, in lingua spagnola su Certa, Barcelona 2000, Cuadernos del matematico2007, Barcelona, in lingua inglese per Gradiva, Traduzione/tradizioni 2007, Yale Italian Poetry, a cura di Paolo Valesio 2005, New York; in croato Ed. DHS, Zagreb 2004,in rumeno, Notti di Curtea des Arges, festival Orient Occident,Romania 2008. Cura seminari sulla lingua italiana: presso diverse istituzioni, tra cui l’Università di Milano e di Parma; sul testo poetico: presso Archivi del ‘900, libera Università delle donne, Società Umanitaria, Casa della Poesia, Milano.

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