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LE PATOLOGIE OSTEO-ARTICOLARI DA MOVIMENTAZIONE MANUALE DI
CARICHI
Colonna lombo-sacrale
Premessa
Le affezioni cronico-degenerative della colonna vertebrale, collocate dal «National Institute of Occupational Safety
and Health (NIOSH) al secondo posto nella lista dei dieci problemi di salute più rilevanti nei luoghi di lavoro, sono di
frequente riscontro presso collettività lavorative dell’agricoltura, dell’industria e del terziario. Esse, sotto il profilo della
molteplicità delle sofferenze, dei costi economici e sociali indotti (assenze per malattia, cure, cambiamenti di lavoro,
invalidità), rappresentano uno dei principali problemi sanitari nel mondo del lavoro.
Nei paesi industrializzati i casi di lombalgia cronica rappresentano una fonte di spesa enorme: in Svezia l’inabilità
permanente conseguente a patologie della colonna lombo-sacrale, nel periodo 1952-1987, è aumentata del 6000%,
con un incremento massimo attorno al 1980, in coincidenza con l’approvazione della nuova legge svedese sulle
malattie indennizzabili. Simile andamento è stato segnalato negli Stati Uniti, con un incremento degli indennizzi pari
al 2700% nel ventennio 1956-1976.
Sempre negli Stati Uniti, approssimativamente il 10% dei lavoratori con lombalgia cronica assorbono il 65-70% dei
costi di tutti i risarcimenti. L’impatto sia sociale che economico è rilevante: recenti dati epidemiologici dimostrano che
negli Stati Uniti la lombalgia:
� è la principale causa di limitazione lavorativa in persone con età < 45 anni e gli indennizzi per patologie
professionali della colonna assorbono il 33% dei costi totali. I settori produttivi spendono annualmente per
trattamenti e compensi assicurativi il corrispondente di 20.000 miliardi di lire italiane
� è la prima ragione per richiesta di visita medica (14% delle prime visite riguardano il mal di schiena)
� è la quinta causa di ricovero ospedaliero
� è la terza più frequente ragione di intervento chirurgico.
In Italia, le sindromi artrosiche sono, secondo dati ISTAT, le affezioni croniche più diffuse. Le affezioni acute
dell’apparato locomotore sono al secondo posto nella prevalenza puntuale di patologie acute ed al secondo
posto tra le cause di invalidità civile.
Tra gli infortuni del lavoro, in base a dati ottenuti dagli Istituti di Medicina del Lavoro, la lesione da sforzo, che nel 60-
70% dei casi si manifesta con una lombalgia acuta, ha incidenza e prevalenza costanti, nonostante siano sotto
stimate per omissione di denuncia.
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Aspetti epidemiologici
E’ stato calcolato secondo diversi studi (fig. 1) che la prevalenza nell’arco della vita (lifetime prevalence) della
lombalgia nella popolazione generale, è compresa tra il 50 e il 70%.
Tuttavia, i reali tassi di prevalenza risultano abbastanza difficile da stabilire: in effetti la prevalenza nell’arco della vita
scende drasticamente al 13,8% se si considerano solo i casi di lombalgia che siano durati almeno due settimane.
Figura 1
Di maggior importanza però per il medico del lavoro sono i dati relativi alla prevalenza di disturbi lombosacrali nelle
popolazioni di lavoratori nei diversi settori dell’industria, agricoltura e terziario.
La relazione con il lavoro delle comuni malattie cronico-degenerative è stata criticamente valutata da parecchi gruppi
di esperti e da singoli ricercatori ed una proporzione significativa dei disordini muscolo-scheletrici è stata attribuita al
lavoro.
Infatti numerose sono le indagini epidemiologiche riportate nella letteratura internazionale tendenti a dimostrare una
relazione causa-effetto tra attività lavorative a rischio e patologie a carico della colonna lombosacrale.
Nella fig n.2 ad esempio sono riportate le prevalenze di lombalgia standardizzate per età in diverse professioni ;
dalla figura emerge come lavoratori coinvolti in movimentazione manuale di carichi pesanti presentano prevalenze
notevolmente più elevate rispetto a lavoratori addetti a lavori più leggeri. In un’intervista ad oltre 30.000 lavoratori di
diverse industrie è stata indagata la prevalenza di lombalgia durante gli ultimi dodici mesi di attività lavorativa. I dati
10 20 30 40 50 60 70 800
Biering-Sorensen (1982)
Biering-Sorensen (1982)
Hirsch et al. (1969)
Hult (1954)
Frymoyer et al. (1983)
Magora & Taustein (1969)
Nagi et al. (1973)
Svensson & Andersson (1983)
Svensson & Andersson (1988)
Valkenburg & Haanen (1982)
Valkenburg & Haanen (1982)
%
Prevalenza nell’arco della vita e puntuale dellaPrevalenza nell’arco della vita e puntuale della lombalgia lombalgia in diversi studiin diversi studi
3
riportati nella fig. n.3 mostrano come le prevalenze siano più elevate negli addetti all’industria meccanica, estrattiva
ed edilizia.
Figura 2
Figura 3
10
15
20
25
30
0
5
InfermieriInd.PesanteBancariAgricoltoriGuid.AutobusInd.LeggeraUff.PostalePoliziaTotale
LaLa lombalgia lombalgia in diverse professioni in diverse professioniPrevalenze standardizzate per età (Prevalenze standardizzate per età ( MagoraMagora ))
0 2 4 6 8 10 12
Meccanico-pesante
Estrattivo
Edilizio
Minerario
Meccanico-leggero
Autotrasporti
Agricolo e forestale
Sanitario (fisioterapisti e infermieri)
Servizi (addetti pulizie)
%
Prevalenza diPrevalenza di lombalgia lombalgia negli ultimi 12 mesi di attività in diversi settor i negli ultimi 12 mesi di attività in diversi settor ilavorativi (lavorativi ( BehrensBehrens , 1994), 1994)
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Un indagine prospettica sull’incidenza dell’ernia discale e della sciatalgia è stata condotta da Heliövaara (1987) su
57.000 lavoratori per la durata di undici anni. I dati di incidenza sono stati raccolti solo sui lavoratori che hanno subito
un ricovero ospedaliero. Su 1537 pazienti ricoverati, nel 30% dei casi è stata diagnosticata un’ernia del disco
lombare e nel 24% una sciatalgia, con rischio relativo superiore per l’uomo rispetto alla donna. Fattori di rischio
significativi sono risultati il sesso, la professione, il carico di lavoro e l’altezza corporea. Differenziando tra le varie
professioni, i rischi relativi più elevati e statisticamente significativi, rispetto ad un gruppo di controllo di impiegati
d’ufficio, riguardarono i lavoratori dell’industria metallurgica pesante, nonché i guidatori di automezzi seguiti dagli
addetti all’edilizia e forestali (fig.n.4).
Figura 4
Per quanto riguarda le richieste d’indennizzo analizzate da Klein (1984), relativamente a 26 stati d’America, emerge
(fig. 5) che i picchi più elevati si verificano per gli uomini nel range d’età tra i 25 e i 34 anni e il sollevamento carichi
risulta essere tra le cause più citate di sovraccarico osteo-articolare.
Edili
Impiegati (gruppo di controllo)
Forestali
Agricoltori
Autisti
Metalmeccanici
Addetti industria chimica
Addetti industria leggera
Rischio relativo di erniaRischio relativo di ernia discale discale e di ernia e di ernia discale discale e/o e/o scialtalgia scialtalgianella popolazione maschile (57.000 lavoratori segui ti per 11 anni) -nella popolazione maschile (57.000 lavoratori segui ti per 11 anni) -((HeliovaaraHeliovaara 1987) 1987)
***
1,0
2,9
1,4
2,9
3,0
2,4
2,4
2,2
1,0
3,1
2,5
4,6
4,2
3,1
3,2
2,6 **
**
***
*
*
****
*
*
**
* p < 0.05** p < 0.01*** p < 0.001
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Figura 5
.Fattori di rischio
Il ruolo dei singoli fattori di rischio individuali e professionali non è sempre facile da stabilire, soprattutto per la loro
possibilità di interagire; tuttavia la loro conoscenza è di rilevante importanza quando l’obiettivo finale è la
prevenzione.
Fattori di rischio individuali -
Possono essere divisi in fattori di rischio non modificabili (età e sesso, parametri antropometrici, difetti strutturali,
caratteristiche psicosociali) e modificabili (grado di allenamento fisico, motilità lombare, forza muscolare,
atteggiamenti posturali, abitudine al fumo).
- Età e sesso - Entrambi i sessi mostrano una uguale prevalenza di lombalgia, con un picco di frequenza tra i 30 e i
35 anni d’età ; unica differenza tra i due sessi è che dopo la fase di picco, nella donna gli episodi di lombalgia
tendono a mantenersi più alti rispetto all’uomo, suggerendo che l’osteoporosi possa rappresentare un ulteriore fattore
di rischio . Inoltre personale femminile, adibito a movimentazioni manuali pesanti, presenta un maggiore numero di
disturbi, rispetto all’uomo, che invece subisce interventi chirurgici per ernia discale con un rapporto 3:1 rispetto alla
donna.
Parametri antropometrici - Non sembra esistere una evidente correlazione tra i parametri altezza e peso,
costituzione corporea e lombalgia anche se l’obesità, sembrerebbe costituire un fattore di rischio nel 20% dei soggetti
con l’indice di massa corporea più alto.
Difetti strutturali - La discopatia degenerativa è una inevitabile manifestazione patologica che si manifesta col
progredire dell’età. Gli spazi discali L4 e L5 sono quelli prevalentemente interessati, ed il processo degenerativo del
disco, secondo studi radiografici e su autopsie inizia nell’uomo attorno ai 30 anni, mentre nella donna è ritardato di
0,00
0,20
0,40
0,60
0,80
1,00
1,20
1,40
1,60
1,80
2,00
Under 20 20-24 25-29 30-34 35-44 45-54 55-64 65+
Gruppi d'età
Ric
hies
te in
denn
izzo
/100
lavo
rato
ri
MaschiFemmine
Incidenza delleIncidenza delle richeste richeste d’indennizzo (richieste/100 lavoratori) in 26 stat i d’indennizzo (richieste/100 lavoratori) in 26 stat i americani in addetti al sollevamento carichi (americani in addetti al sollevamento carichi ( KleinKlein , 1984), 1984)
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circa 10 anni. La spondilosi lombare, conseguenza della discopatia degenerativa, segue, in genere, ad una distanza
di più di dieci anni. Numerose indagini hanno messo in luce come l’attività fisica pesante sia in grado di accelerare
lo sviluppo della degenerazione del disco di una decina d’anni.
La spondilolistesi si è dimostrata frequentemente associata alla lombalgia, al contrario delle schisi occulte, spondilosi
e sacralizzazioni dei processi trasversi.
Caratteristiche psicosociali - Scarsa soddisfazione per il proprio lavoro, lavoro monotono, scarso apprezzamento
da parte dei superiori, sembrano essere positivamente correlati, non tanto con gli episodi di lombalgia acuti, quanto
con la forma cronica, analogamente agli atteggiamenti depressivi, ansiosi o di eccessiva preoccupazione del proprio
stato di salute; tuttavia, non è ancora stato chiarito se gli aspetti psicosociali rappresentino una causa o l’effetto delle
forme croniche di lombalgia.
Grado di allenamento fisico - Alti gradi di allenamento fisico sono concordemente ritenuti protettivi non solo nei
confronti della lombalgia , ma anche sui tempi di recupero dopo episodi acuti di lombalgia.
Motilità lombare - Nel recente passato indagini retrospettive tendevano a dimostrare una associazione positiva
della ridotta motilità con la lombalgia. Più recenti studi prospettici non hanno dimostrato nessuna associazione della
lombalgia con la ridotta motilità lombare, mentre, altri studi hanno dimostrato una associazione positiva della
aumentata motilità con la lombalgia.
Forza muscolare - L’ipotesi che una ridotta forza della muscolatura del tronco possa costituire un fattore di rischio di
lombalgia non trova supporto nella letteratura, anche se è stato dimostrato un aumento del rischio di lombalgia nei
lavoratori, la cui attività richiedeva una forza muscolare uguale o superiore alle proprie capacità.
Atteggiamenti posturali - Modificazioni della lordosi lombare e cifosi dorsale non sono risultate associate
positivamente agli episodi di lombalgia. Anche la scoliosi non risulta associata alla lombalgia, a meno che non superi
gli 80° o abbia il vertice collocato a livello lombare.
Abitudine al fumo - E’ stata riscontrata una associazione positiva tra abitudine al fumo, lombalgia ed ernia discale,
per la quale è stata supposta una alterazione dei meccanismi di nutrizione del disco, che lo renderebbe più
vulnerabile agli insulti meccanici , anche se rimane ancora da dimostrare l’eventuale presenza di potenziali fattori di
confondimento.
-
Fattori professionali -
In una recente pubblicazione del National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH, 1997) sono state
prese in considerazione le numerose indagini epidemiologiche presenti in letteratura, indicanti una associazione tra
attività lavorativa e lombalgia. Dopo una accurata revisione, basata su rigidi criteri epidemiologici, sono stati
selezionati 42 studi che evidenziavano una associazione positiva o negativa con i seguenti cinque fattori di rischio
professionali: lavoro fisico pesante, sollevamento manuale di gravi, frequenti flessioni e torsioni del tronco (posture
incongrue), vibrazioni «whole body» e posture di lavoro statiche, giungendo alle seguenti conclusioni, classificate
sulla base di nessuna evidenza, insufficiente evidenza, evidenza, forte evidenza.
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Lavoro fisicamente pesante - Gli studi selezionati forniscono evidenza di una associazione positiva tra lombalgia e
lavoro fisico pesante; gli indici di rischio sono risultati inferiori a quelli riscontrati per le attività di sollevamento e per
l’esposizione a vibrazioni «whole body», probabilmente per una imprecisa caratterizzazione dell’esposizione.
Sollevamento manuale di gravi - Esiste una forte evidenza della associazione. La maggior parte degli studi ha
utilizzato metodi obiettivi di misura delle specifiche attività di sollevamento, mettendo in luce indici di rischio compresi
tra 1.2 e 5, ed una relazione dose-risposta coerente con il grado di esposizione ed i dati sanitari riscontrati. Inoltre i
risultati riportati risultano coerenti con i risultati delle indagini biomeccaniche condotte in laboratorio circa gli effetti
delle attività di sollevamento sulle strutture della colonna lombare.
Frequenti flessioni e torsioni del tronco (posture incongrue) - L’associazione risulta evidente con indici di rischio
superiori a 3 ed una relazione dose-risposta dimostrata. Inoltre è stato documentato che la combinazione attività
manuale e posture incongrue aumenta ulteriormente il rischio.
Vibrazioni «whole body» - Questo fattore di rischio riguarda in particolare i guidatori di automezzi pesanti. Esiste
una forte evidenza di associazione con indici di rischio compresi tra 1.2 e 5.7, anche se è dimostrato che altri fattori di
rischio sono associati alle vibrazioni, come la postura seduta prolungata, le posture incongrue, il sollevamento
manuale ed i risultati siano influenzati dal tipo di veicolo.
Posture di lavoro statiche - Pochi studi hanno esaminato l’effetto sulla colonna lombo-sacrale delle posture di
lavoro statiche ed i risultati forniscono una insufficiente evidenza dell’esistenza di una associazione positiva.
Cenni di biomeccanica e fisiopatologia della colonna vertebrale
Dal punto di vista della funzionalità, la colonna vertebrale deve possedere due caratteristiche tra di loro contrastanti:
l’elasticità e la rigidità. Tali caratteristiche possono coesistere per la particolare struttura della colonna stessa che è
formata da segmenti (le vertebre) tra di loro articolati ed uniti da legamenti e muscoli. Sebbene il range di movimento
dell’intera colonna sia molto ampio la possibilità di movimento tra due segmenti vertebrali è molto ristretta e,
solamente la somma dei singoli movimenti delle vertebre dà luogo all’ampiezza del movimento della colonna in toto.
Per questo motivo la perdita di possibilità di movimento tra due o tre corpi vertebrali, come risultato di una patologia o
dell’invecchiamento, non comporta una riduzione significativa della funzionalità dell’intera colonna.
Il rachide lombare, tuttavia, è il segmento della colonna vertebrale su cui grava la maggior parte della dinamica
flesso-estensoria; in particolare il 60-75% dell’ampiezza di tale movimento è a carico della giunzione
lombosacrale (cosiddetta cerniera L5-S1), il 20-25% è a carico della giunzione L4-L5 ed il resto (5-10%)
interessa i segmenti superiori.
Un’immediata conseguenza di questa situazione è la maggiore vulnerabilità dei dischi intervertebrali L4-L5 e L5-
S1, poiché sono quelli che non solo sopportano il maggior carico statico, ma anche quelli più sollecitati durante i
movimenti.
8
La particolare struttura ad S italica della colonna vertebrale contribuisce invece a garantirne la rigidità e la
resistenza alle sollecitazioni conseguenti al carico statico o ai movimenti; rispetto ad una colonna rettilinea la
conformazione ad S italica garantisce una resistenza alle sollecitazioni meccaniche dieci volte superiore.
Tutte le sollecitazioni meccaniche sia statiche che dinamiche vengono ridotte dal disco intervertebrale, che essendo
composto da un nucleo gelatinoso, contenente acqua per il 90% circa, è in grado di distribuire in maniera uniforme le
forze di compressione in tutte le direzioni agendo come un ammortizzatore idraulico.
E’ noto come il disco intervertebrale non sia dotato di una sua vascolarizzazione e, pertanto, la sua nutrizione è
garantita da un meccanismo di diffusione delle sostanze. Tale diffusione è condizionata dall’equilibrio tra la pressione
idrostatica ed osmotica, con un meccanismo a “pompa” ove una diminuzione della pressione idrostatica favorisce
l’ingresso di sostanze nutritive nel disco e rallenta l’espulsione dei cataboliti, mentre il suo incremento determina la
condizione inversa.
Il flusso nutritivo avviene in particolare attraverso le cartilagini limitanti vertebrali che rappresentano la principale via
metabolica del disco intervertebrale.
Durante i sollevamenti, dal punto di vista biomeccanico il disco intervertebrale e le due vertebre contigue
(unità funzionale) costituiscono il fulcro di una leva di I° grado. Considerando il fulcro come un punto posto al
centro del disco intervertebrale, ci si rende conto di come il braccio della resistenza (la distanza tra il fulcro ed il
centro del peso che si movimenta) risulti più lungo del braccio della potenza ( la distanza tra il fulcro e il centro della
muscolatura paravertebrale, che è mediamente di soli 5 cm.) rendendo la leva estremamente svantaggiosa. Per
questo motivo anche il sollevamento di pesi non elevati, soprattutto durante movimenti di rotazione
o flesso-estensione della colonna determinano forze di compressione sul disco intervertebrale(Fig.6) molto elevate, in
grado di determinare lesioni a livello delle cartilagini limitanti vertebrali, compromettendo il metabolismo del disco
intervertebrale e dando inizio al processo degenerativo.
Valutazione della movimentazione manuale dei carichi: il peso limite raccomandato
Numerosi sono i metodi di valutazione della movimentazione manuale dei carichi presenti in letteratura. Tra i più citati
si ricorda il metodo psicofisico, i test di forza muscolare, lo studio della pressione endoaddominale.
400
300
200
100 50
1 2 3 4 5 6 7 8
5075
100
150180
150
380
30
Fig 6 Carico sul disco vertebrale nelle diverse posture
Kg
9
Tuttavia, una quantificazione più precisa dei carichi sulla colonna vertebrale è ottenibile mediante l’applicazione di
modelli matematici che sfruttano le conoscenze biomeccaniche. Queste ultime sono basate essenzialmente sui
principi della leva “in equilibrio”, nella quale i diversi segmenti corporei agiscono come potenze, i muscoli e gli altri
tessuti molli sono le resistenze e gli snodi articolari rappresentano i fulcri.
Il modello attualmente più utilizzato è quello proposto dal National Institute for Occupational and Health (NIOSH)
sviluppato nel 1981, e successivamente migliorato nel 1991.
Il modello è noto come equazione NIOSH per la progettazione e la valutazione dei compiti di sollevamento
manuale e rappresenta un metodo empirico per il calcolo del peso limite raccomandato, con l’obbiettivo di prevenire
o ridurre l’occorrenza di lombalgie correlate al sollevamento di carichi.
Nel modello proposto il peso limite raccomandato rappresenta il valore del carico, in un determinato compito
che quasi tutti i lavoratori sani possono movimentare per periodi prolungati (fino a 8 ore) senza un
incremento del rischio di lombalgia lavoro correlata.
Nel determinarlo sono stati utilizzati tre criteri contemporaneamente e cioè il criterio biomeccanico per limitare
l’effetto dello stress lombosacrale, il criterio fisiologico per limitare lo stress metabolico e la fatica ed il criterio
psicofisico per limitare il carico di lavoro sulla base della percezione soggettiva dei lavoratori; per ciascuno dei tre
criteri sopra citati è stato preso in considerazione il limite più restrittivo.
Questa modalità di approccio ha fatto si che il peso limite raccomandato secondo il modello NIOSH risulti molto più
basso del peso limite ottenibile da ciascun criterio preso singolarmente come, illustrato nella Tabella 1 che
rappresenta in quattro sollevamenti diversi i limiti indicati dai singoli criteri e dal modello NIOSH.
Il criterio biomeccanico è basato su studi e ricerche sul campo che mettono in correlazione la stima delle forze di
compressione con la prevalenza di lombalgie; il valore limite assunto su L5-S1 è di 350 Kg. (non protettivo, secondo
indagini epidemiologiche e studi su cadaveri, per tutta la popolazione).
Sollevamenti Biomeccanico Fisiologico Psico-fisico NIOSH
1 24 >24 14 10
2 >24 >24 13 13
3 20 7 8 6
4 24 6 12 4
Tabella 1. Peso limite raccomandato calcolato sulla base i singoli criteri e del NIOSH in quattro diversi gesti di
sollevamento.
Nonostante pochi dati dimostrino che la fatica fisica aumenta il rischio di danno alle strutture muscolo-scheletriche è
stato riscontrato che nelle attività di sollevamento la capacità lavorativa può essere facilmente superata, aumentando
il rischio di danno. Pertanto, seguendo il criterio fisiologico sono stati introdotti i seguenti valori limite: 9.5 Kcal/min
come dispendio energetico massimo, da ridursi al 70% per sollevamenti al di sopra di cm 75 ed al 50%, 40%, 30%
del massimo rispettivamente per durate di 1 ora, 1-2 ore e 2-8 ore.
Ad integrazione del criterio biomeccanico e fisiologico è stato inoltre inserito anche il valore empirico di massimo
peso accettabile, fornito dal metodo psico-fisico.
10
Secondo quest’ultimo criterio non deve essere superata la capacità di sollevamento accettabile dal 99% della
popolazione maschile e dal 75% della popolazione femminile.
Per ciò che attiene ai criteri di interpretazione dei risultati derivanti dall’analisi biomeccanica di azioni di
movimentazione manuale di carichi, relativamente al tratto lombare è possibile effettuare le seguenti considerazioni:
− esperimenti su cadaveri hanno dimostrato che, nell’unità vertebra-disco, quando vengono applicati carichi assiali,
la componente più debole è rappresentata dalle limitanti vertebrali, che per prime presentano microfratture. I livelli
di compressione assiale a cui si verificano microfratture dei limitanti vertebrali sono assai variabili, in funzione
delle caratteristiche individuali, dell’età e del sesso. La figura 7 riporta i valori medi e gli ambiti di variazione dei
carichi di rottura delle limitanti vertebrali per diverse età del sesso maschile. Orientativamente, secondo i dati della
letteratura, nel sesso femminile gli stessi valori andrebbero diminuiti in media del 17% ;
Figura 7. Valori medi ed ambito di variazione delle forze di compressione che determinano fratture nelle unità
funzionali lombari, per classi d’età.
− la figura 8 riporta uno studio sull’incidenza di episodi lombalgici nell’arco di otto mesi, su più di 400 lavoratori,
sottoposti a diversi valori di carico lombare: si evidenzia che, rispetto all’esposizione a carichi lombari inferiori ai
250 Kg., l’incidenza di lombalgia è circa 5 volte superiore in coloro che sono esposti a carichi lombari di 450-650
Kg. E 10 volte maggiore nei soggetti sottoposti a carichi lombari di più di 650 Kg.
11
Figura 8. Incidenza di lombalgia e forze di compressione sui dischi lombari.
Sulla base dei tre criteri utilizzati, degli studi su cadaveri e delle indagini epidemiologiche è stato identificato, negli
Stati Uniti un peso limite raccomandato che può essere movimentato fino ad otto ore senza incremento del rischio di
lombalgia, pari a 23 Kg. Ovviamente, il valore di 23 Kg. Fa riferimento alla posizione, alla modalità e frequenza
standard sollevamento. Ogni deviazione dai sopra citati parametri di riferimento comporterà una
corrispondente riduzione del peso.
In Italia, il D.Legs. 626/94 fissa, invece, in 30 kg., per l'uomo, e 20 kg., per la donna, il peso massimo
sollevabile individualmente.
Il modello NIOSH, anche se apprezzabile per il fatto che combina più criteri di valutazione ed include aspetti importati
nel definire il rischio quali le flessioni e torsioni del tronco, frequenza e durata dell’attività, caratteristiche della presa
dell’oggetto, presenta, tuttavia, alcuni limiti nei suoi presupposti di base (limiti delle forze di compressione assiali
ricavati da studi su cadavere e non in vivo, scarsa considerazione delle forze trasversali di taglio) ma soprattutto per
quanto riguarda la sua applicabilità sul campo dato che prende in considerazione solo le attività di sollevamento,
eseguita contemporaneamente con i due arti superiori, e non è applicabile a tutte le altre attività manuali quali
spingere, tirare, sostenere e trasportare. Nella maggior parte delle realtà lavorative, tutte le diverse attività manuali si
combinano nelle modalità più svariate, rendendo la possibilità di applicazione del metodo NIOSH, abbastanza
limitata. Calcolo del peso limite raccomandato (PLR) Il peso limite raccomandato (PLR)rappresenta il valore del carico, in un determinato compito che quasi tutti i
lavoratori sani possono movimentare per periodi prolungati (fino a 8 ore) senza un incremento del rischio di
lombalgia lavoro correlata ed è in relazione alle modalità di esecuzione dell’attività lavorativa. Se il peso da
sollevare è superiore a tale limite, è indispensabile intervenire attraverso la riorganizzazione del lavoro e/o
l’introduzione di ausili meccanici.Le operazioni di movimentazione manuale dei carichi vengono analizzate
applicando la formula matematica proposta dal NIOSH 1993 che consente di calcolare il peso limite raccomandato
nelle diverse condizioni lavorative.
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Di seguito viene riportata la formula tradotta da quella originale proposta dal NIOSH, unitamente ad un disegno
illustrativo ed alla Figura 9: PLR = PMC x A x B x C x D x E x F
La formula parte da una serie di considerazioni :
il peso massimo consentito(PMC) è di 30 kg per gli uomini e di 20 kg per le donne (di età compresa tra 18-45
anni). Per ogni attività lavorativa si devono considerare 6 parametri:
1. fattore altezza: altezza da terra delle mani all’inizio del sollevamento (A);
2. fattore dislocazione: distanza verticale di spostamento del peso fra inizio e fine del sollevamento
(B);
3. fattore orizzontale: distanza massima dal corpo durante il sollevamento (orizzontale tra le mani e il
punto di mezzo delle caviglie ©;
4. fattore asimmetria: dislocazione angolare del peso (in gradi) rispetto al piano sagittale del soggetto
(D);
5. fattore presa: giudizio sulla presa del carico (E);
6. fattore frequenza: frequenza del sollevamento (n. atti al minuto (F);
Fig. 9 Parametri da considerare per il calcolo del peso limite raccomandato
A
B
C
D A
13
Per calcolare il peso limite raccomandato (PLR ) nelle diverse condizioni di lavoro è necessario moltiplicare il peso massimo consentito (PMC) per i fattori di correzione predefiniti corrispondente ai suddetti 6 parametri e riportati nella
NIOSH 1993 - Modello per il calcolo del Peso Raccomandato
Kg 30 - Uomo Kg 20 - Donna
Peso Massimo raccomandatoin condizioni ottimali di sollevamento
Fattore Altezza
Altezza da terra delle mani all’inizio del sollevamento
Fattore Dislocazione
Distanza verticale del pesotra inizio e fine delsollevamento
Fattore Orizzontale
Distanza massima del pesodal corpo durante ilsollevamento
Fattore Frequenza
Frequenza del sollevamentoin atti al minuto(=0 se >12 volte/minuto)
Fattore Asimmetria
Dislocazione angolare del peso rispetto al pianosagittale del soggetto
Fattore Presa
Giudizio sulla presadel carico
X
X
X
X
X
X
PESO LIMITE RACCOMANDATO =
14
Tabella n. 2; in questo modo se i parametri misurati si allontanano dalle condizioni ideali di sollevamento, l’entità del peso da sollevare viene ridotta. Ognuno di questi fattori comporta una correzione : per esempio se un uomo solleva un peso da terra (al di sotto del fattore altezza = 0 cm viene riportato 0.78) bisognerà moltiplicare 30kg x 0.77, il che significa ridurre il peso del 22%. Verranno di seguito applicati tutti gli altri fattori per ottenere il peso limite raccomandato che paragonato col peso che l’individuo effettivamente solleva fornirà un indice di rischio.
Altezza delle mani da terra all’inizio del sollevamento
Altezza (cm) 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 150 160 170 175 >175 Fattore .78 .81 .84 .87 .90 .93 .96 .99 .99 .96 .93 .90 .87 .84 .81 .78 .75 .72 .70 .00
Distanza verticale di spostamento del peso fra inizio e fine del sollevamento
Altezza (cm) ≤≤≤≤ 25 40 55 70 85 100 115 130 145 160 175 > 175 Fattore 1.00 .93 .90 .88 .87 .87 .86 .86 .85 .85 .85 .00
Distanza massima del peso dal corpo durante il sollevamento (orizzontale tra le mani ed il punto di mezzo delle caviglie)
Altezza (cm) ≤≤≤≤ 25 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60 63 >63 Fattore 1.00 .89 .83 .78 .74 .69 .66 .63 .60 .57 .54 .52 .50 .48 .46 .45 .43 .42 .40 .00
Dislocazione angolare del peso rispetto al piano sagittale del soggetto
Dislocazione angolare (in gradi) 0 15 30 45 60 75 90 105 120 135 > 135 Fattore 1.00 .95 .90 .88 .81 .78 .71 .66 .62 .57 .00
Giudizio sulla presa del carico
Giudizio BUONO DISCRETO SCARSO Fattore 1.00 .95 .90
Frequenza del sollevamento in relazione alla durata dell’attività (n. atti/minuto)
Frequenza
≤.2 .5 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 > 15
< 1 ora 1.00 .97 .94 .91 .88 .84 .80 .75 .70 .60 .52 .45 .41 .37 .00 .00 .00 .00 1-2 ore .95 .92 .88 .84 .79 .72 .60 .50 .42 .35 .30 .26 .00 .00 .00 .00 .00 .00 2-8 ore .85 .81 .75 .65 .55 .45 .35 .27 .22 .18 .00 .00 .00 .00 .00 .00 .00 .00
Tabella 2 : fattori di correzione
I parametri più importanti, dal punto di vista del fattore di correzione e che quindi devono essere considerati
attentamente nella valutazione del rischio sono la distanza del peso dal corpo e la dislocazione angolare del
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peso; infatti, se consideriamo un soggetto che solleva un peso di 10 kg in modo scorretto (peso lontano dal corpo),
il carico che si esercita sul disco intervertebrale è di 350 kg rispetto ai 150 kg che si hanno in condizioni di
sollevamento corretto.
Condizioni per l’applicabilità del peso limite raccomandato
La procedura di calcolo del limite di peso raccomandato è applicabile quando ricorrono le seguenti condizioni:
• sollevamento di carichi in posizione eretta (non seduta o inginocchiata) in spazi ristretti;
• sollevamento di carichi eseguito con due mani;
• altre attività di movimentazione manuale (trasporto, spinta o traino) minimali;
• adeguata frizione tra piedi (suola) e pavimento (coefficiente di frizione statica > 0,4);
• gesti di sollevamento eseguiti in modo non brusco;
• carico non estremamente freddo, caldo, contaminato o con il contenuto instabile
• condizioni microclimatiche favorevoli (temperatura 19-26 °C / umidità relativa 30-50%).
Qualora i sollevamenti vengano effettuati in posizione assisa o sul banco di lavoro, si consiglia di non
superare il valore di 5 kg per frequenze di 1 volta/5 minuti (diminuire il peso per frequenze superiori).
Calcolo dell’indice di rischio (IR)
L’indice di rischio si ottiene dal rapporto tra il peso effettivamente sollevato nel compito considerato e il
peso limite raccomandato. Tale indice è indicatore di un rischio “minimo” per valori tendenziali inferiori ad 1
(IR< 1); è al contrario presente per valori tendenziali superiori ad 1, e tanto più alto è il valore dell’indice, tanto
maggiore risulta il rischio (IR> 1).
< 0,75
Peso sollevato (PS) 0,75 - 1
INDICE DI RISCHIO = ------------------------------ = 1- 3
PLR < 3
IR < 0,75 = situazione accettabile, non è richiesto alcun intervento specifico;
IR 0,75-1 = situazione si avvicina al limite. Se possibile, si consiglia di attivare
iniziative di formazione e sorveglianza sanitaria;
IR > 1 = situazione a rischio; urgenza negli interventi di riduzione del rischio;
attivare formazione e sorveglianza sanitari
IR >3 = immediato intervento di prevenzione; specifica formazione degli
addetti e sorveglianza sanitaria con periodicità ravvicinata.
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Esempio di calcolo: valutazione di attività di confezionamento di box in scatolone
Un operatore deve trasferire box di cartone del peso di 10 Kg l’uno dal piano del pallet all’interno di uno scatolone. Può assumere qualsiasi posizione. Lo scatolone è alto 100 cm ed è posto alle spalle dell’operatore. In sintesi: altezza mani da terra 0 cm; dislocazione verticale 100 cm; distanza orizzontale dal corpo: al prelievo 30 cm; al deposito 60 cm; angolo di asimmetria 90°; presa scarsa; frequenza 4 v/min per tutto il turno.
ETÀ MASCHI FEMMINE
> 18 anni 30 20 Costante di peso (Kg) 15 - 18 anni 20 15
30 CP
××××
ALTEZZA DA TERRA DELLE MANI ALL’INIZIO DEL SOLLEVAMENTO
Altezza (cm) 0 25 50 75 100 125 150 >175
Fattore 0,78 0,85 0,93 1,00 0,93 0,85 0,78 0,00 0.78 A
××××
DISLOCAZIONE VERTICALE DEL PESO
FRA INIZIO E FINE DEL SOLLEVAMENTO
Dislocazione (cm) 25 30 40 50 70 100 170 >175
Fattore 1,00 0,97 0,93 0,91 0,88 0,87 0,86 0,00 0.87 B
××××
DISTANZA ORIZZONTALE TRA LE MANI E IL PUNTO
DI MEZZO DELLE CAVIGLIE – DISTANZA DEL PESO DAL CORPO (distanza massima raggiunta durante il sollevamento)
Distanza (cm) 25 30 40 50 55 60 >63
Fattore 1,00 0,83 0,63 0,50 0,45 0,42 0,00 0.42 C
×××× ANGOLO DI ASIMMETRIA DEL PESO (in gradi)
Dislocazione angolare 0º 45º 60º 90º 120º 135º >135º
Fattore 1,00 0,88 0,81 0,71 0,62 0,57 0,00 0.71 D
×××× GIUDIZIO SULLA PRESA DEL CARICO
Giudizio buono Discreto scarso E
Fattore 1,00 0,95 0,90 0,90 E
××××
FREQUENZA DEI GESTI (nº atti al minuto)
IN RELAZIONE ALLA DURATA
Frequenza 0,20 1 4 6 9 12 >15 Continuo < 1 ora 1,00 0,94 0,84 0,75 0,52 0,37 0,00
Continuo da 1 a 2 ore 0,95 0,88 0,72 0,50 0,30 0,21 0,00 0,45 F
Continuo da 2 a 8 ore 0,85 0,75 0,45 0,27 0,15 0,00 0,00
F
××××
10 Peso effettivamente sollevato
Peso limite raccomandato
2.46 Kg
Peso
sollevato
4.06 Peso limite
raccomandato
=
INDICE DI RISCHIO
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Il posto precedente viene riprogettato: sovrapponendo più pallets è stata ottenuta un’altezza di circa 70-75 cm del
pallet di prelievo dei box di cartone. La scatolone è stato abolito: i box vengono confezionati a più strati su pallet
posto su carrello elevatore. In tal modo il piano di carico risulta regolabile in altezza; è mantenuto a 75 cm dal suolo. I
due pallets sono angolati di 90°. I ritmi di lavoro ed il peso dei box sono i medesimi. In sintesi: altezza mani da terra
75 cm; dislocazione verticale 25 cm; distanza orizzontale 25 cm; angolo di asimmetria 45°; presa scarsa; frequenza
4v/min per tutto il turno
ETÀ MASCHI FEMMINE
> 18 anni 30 20 Costante di peso (Kg) 15 - 18 anni 20 15
30 CP
××××
ALTEZZA DA TERRA DELLE MANI ALL’INIZIO DEL SOLLEVAMENTO
Altezza (cm) 0 25 50 75 100 125 150 >175
Fattore 0,78 0,85 0,93 1,00 0,93 0,85 0,78 0,00 1.00 A
××××
DISLOCAZIONE VERTICALE DEL PESO
FRA INIZIO E FINE DEL SOLLEVAMENTO
Dislocazione (cm) 25 30 40 50 70 100 170 >175
Fattore 1,00 0,97 0,93 0,91 0,88 0,87 0,86 0,00 1.00 B
××××
DISTANZA ORIZZONTALE TRA LE MANI E IL PUNTO
DI MEZZO DELLE CAVIGLIE – DISTANZA DEL PESO DAL CORPO (distanza massima raggiunta durante il sollevamento)
Distanza (cm) 25 30 40 50 55 60 >63
Fattore 1,00 0,83 0,63 0,50 0,45 0,42 0,00 1.00 C
×××× ANGOLO DI ASIMMETRIA DEL PESO (in gradi)
Dislocazione angolare 0º 45º 60º 90º 120º 135º >135º
Fattore 1,00 0,88 0,81 0,71 0,62 0,57 0,00 0.88 D
×××× GIUDIZIO SULLA PRESA DEL CARICO
Giudizio buono Discreto scarso E
Fattore 1,00 0,95 0,90 0,90 E
××××
FREQUENZA DEI GESTI (nº atti al minuto)
IN RELAZIONE ALLA DURATA
Frequenza 0,20 1 4 6 9 12 >15 Continuo < 1 ora 1,00 0,94 0,84 0,75 0,52 0,37 0,00
Continuo da 1 a 2 ore 0,95 0,88 0,72 0,50 0,30 0,21 0,00 0,45 F
Continuo da 2 a 8 ore 0,85 0,75 0,45 0,27 0,15 0,00 0,00
F
××××
10 Peso effettivamente sollevato
Peso limite raccomandato
10.7 Kg
Peso
sollevato
0.93 Peso limite
raccomandato
=
INDICE DI RISCHIO
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L'intervento ha successo: la riprogettazione ergonomica rende accettabile il sollevamento senza interferire sulla produttività (pesi, ritmi e orari di lavoro rimangono inalterati). Il dolore lombare Sedi tessutali di origine del dolore
I dischi intervertebrali sono privi di terminazioni nervose e quindi privi di sensibilità dolorifica; anche i
legamenti gialli ed interspinosi sono insensibili agli stimoli algogeni. Al contrario il legamento longitudinale posteriore e la sinovia delle articolazioni posteriori presentano una ricca innervazione. Si comprende così come le alterazioni della colonna vertebrale sia di tipo legamentoso che osteo-articolare, anche se non a carico di strutture anatomiche direttamente innervate, possono determinare la comparsa di una sintomatologia dolorosa in rapporto ad una azione esercitata nei confronti dei tessuti contigui sopraddetti. Un'altra importante sede di origine del dolore è dovuta alla componente muscolare; uno stato di contrattura muscolare protratta può originarsi da spasmi riflessi locali mentre una contrazione muscolare troppo energica può dare dolore anche per irritazione locale del periostio. A livello lombo-sacrale una frequente causa di dolore (irradiato) è rappresentata infine dalla compressione delle radici del nervo sciatico. La lombalgia comune Il termine dolore lombare o lombalgia viene spesso utilizzato come definizione diagnostica di una patologia a carico della colonna lombare, ma, in realtà, esso fa unicamente riferimento al sintomo dolore, che può essere causato da numerose e diverse alterazioni patologiche della colonna lombare e, molto spesso, esprime l'impossibilità di formulare una precisa diagnosi, correlabile alla sintomatologia dolorosa. Viene distinto, sulla base delle modalità di manifestazione in dolore di tipo: � meccanico: quando è aumentato dal movimento � non meccanico: quando è presente anche a riposo � viscerale Nella Tabella 2 vengono riportate le patologie responsabili dei diversi tipi di dolore, unitamente alla percentuale di pazienti con dolore lombare, nella popolazione generale, affetti dalla specifica patologia. Come si può osservare dalla Tabella 2 nel 70% dei casi non si è in grado di formulare una diagnosi che sia correlabile alla sintomatologia dolorosa ed, in accordo con i protocolli internazionali, questi casi vengono classificati sotto il termine di lombalgia comune. Solo nel 27% dei casi è possibile formulare una diagnosi eziologica, mentre le forme neoplastiche ed infiammatorie sono responsabili solamente dell'1% dei casi di dolore lombare, in questo caso presente anche a riposo e il 2% dei casi ha un'origine viscerale.
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Tabella 2. Diagnosi Differenziale del Dolore Lombare Dolore Meccanico Lombare od alla Gamba (97%)
Dolore Non Meccanico Lombare (1%)
Dolore Viscerale (2%)
-Lombalgia comune (70%) -Processi degenerativi del disco e delle faccette articolari (10%) -Ernia discale (4%) -Stenosi del canale spinale (3%) -Fratture da osteoporosi (4%) -Spondilolistesi (2%) -Fratture traumatiche (<1%) -Patologie congenite: (<1%)
cifosi grave scoliosi grave vertebre di transizione
-Spondilolisi
-Neoplasie (0.7%) (mieloma, carcinoma metastatico, linfoma e leucemia, tumori della corda spinale, retroperitoneali e vertebrali primitivi) -Infezioni (0.01%) (osteomielite,discite settica,ascessi epidurali e paraspinosi,nevralgia erpetica) -Artriti infiammatorie (0.03%) (spondilite anchilosante,psoriasica, S.Reiter) -Mal.Scheuermann(osteocondrite) -Mal.Paget
-Malattie organi pelvici: prostatite endometriosi
-Malattie renali
nefrolitiasi pielonefrite ascesso perirenale
-Aneurisma aortico -Malattie gastrointestinali
pancreatite colecistite ulcera perforata
N.B. Questi dati riguardano la popolazione generale; in popolazioni selezionate i valori saranno diversi(per es. in una popolazione di tossicodipendenti saranno prevalenti le forme infiammatorie, mentre in una popolazione di anziani saranno prevalenti le diagnosi di osteoporosi e di stenosi del canale spinale). Le principali caratteristiche della lombalgia comune sono riportate nella Tabella 3. Tabella 3.Principali caratteristiche della lombalgia comune
Insorgenza 20-55 anni Distribuzione del dolore
Regione lombosacrale con possibile irradiazione fino alla faccia posteriore delle cosce
Natura del dolore Di tipo meccanico esacerbato dai movimenti
Condizioni paziente Buone Durata 90% dei casi di lombalgia regredisce
entro 4 settimane ed il 96% regredisce entro 12 settimane
La prognosi è favorevole ed il 90% dei casi si risolve spontaneamente entro 4 settimane; nell'arco di tre mesi si ha il 96% di guarigioni, mentre sono pochi i casi di cronicizzazione. La forma cronica, che dura oltre i 3 mesi, ha una
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prognosi peggiore; oltre i 6 mesi la probabilità di riprendere il lavoro è del 50% ; oltre i 2 anni la probabilità di riprendere il lavoro è nulla La prognosi favorevole e la difficoltà a formulare una diagnosi eziologica di fronte ad un caso di lombalgia comune pone il problema circa l'opportunità, in una fase precoce, di ricorrere ad accertamenti diagnostici, in particolare a quelli radiografici,. In effetti una radiografia della colonna lombo-sacrale, in età adulta, evidenzia quasi sempre alterazioni morfologiche, quali becchi artrosici, segni di degenerazione discale, ecc., cui si tende ad attribuire la causa del dolore lombare, che nella realtà rimane difficile da identificare. A questo proposito la Quebec Task Force, composta da un team di esperti di altissimo valore, appartenenti a diverse specialità, che hanno rivalutato oltre 7000 articoli della letterature scientifica, è giunta a formulare linee guida che indicano gli esami ritenuti da effettuare a discrezione(utili sulla base della consuetudine clinica se vi è un elemento diagnostico che ne suggerisce la prescrizione), consigliati(utili sulla base di deboli evidenze scientifiche) o raccomandati(utili sulla base di solide evidenze scientifiche).Per i casi di lombalgia comune le indicazioni sono riportate in tabella 4. Tabella 4. Indicazione delle indagini da eseguire nella lombalgia comune Durata del dolore senza irradiazione o con irradiazione sino al ginocchio, senza segni neurologici
Rx
RxD
TAC
RMN
Emg
Lab
Tpsi
< 7gg 7gg-7 settimane D D 7 settimane-3 mesi C D D D R C >3 mesi R C D D D R R
Legenda:
- D: esame da eseguire a Discrezione sulla base della pratica clinica, se vi sono elementi clinici che lo suggeriscono
- C: esame Consigliato, utili sulla base di deboli evidenze scientifiche - R: esame Raccomandato, la sua utilità è suggerita da studi clinici scientificamente validi
Emg : esame elettromiografico. RxD : Rx dinamica Lab: esami di laboratorio: Emocromo, VES, PCR, Elettroforesi, Glicemia Creatininemia, Transaminasi, Fosfatasi Alcalina, Calcemia, Esame Completo Urine Tpsi: tests psicologici.
Come si può osservare dalla Tabella 4 la radiografia lombo-sacrale viene indicata da eseguire a discrezione sulla base della pratica clinica, se vi sono elementi clinici che lo suggeriscono, solo se la lombalgia dura da almeno una settimana, viene consigliata, sulla base di deboli evidenze scientifiche, dopo circa due mesi dall'inizio dell'episodio e raccomandata, sulla base di solide evidenze scientifiche, solo dopo tre mesi.
Tutti i pazienti devono comunque essere sottoposti ad una valutazione anamnestica nella quale devono essere esaminati i cosiddetti "segnali rossi"(red flags), indicatori di possibili gravi patologie spinali ed i "segnali gialli"(yellow flags), indicatori di una possibile cronicizzazione della lombalgia; in tali casi vanno attivati tutti gli accertamenti diagnostici ritenuti opportuni.
Nelle tabelle 5 e 6 vengono rispettivamente riportati i segnali rossi e quelli gialli.
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Tabella 5. Segnali Rossi, indicatori di possibili patologie spinali gravi
Insorgenza prima di 20 e dopo 55 anni
Anamnesi positiva per evento traumatico importante
Presenza contemporanea di dolore toracico
Dolore di natura non meccanica, costante e progressivo
Anamnesi remota di neoplasie Uso sistematico di steroidi
Tossicodipendenza, HIV Persistente e grave diminuzione del grado di flessione lombare
Calo ponderale rapido
Tabella 6. Segnali Gialli, fattori di rischio per la cronicizzazione della lombalgia comune
*Anamnesi di pregressi episodi di lombalgia Dolore irradiato alla gamba *Manovra di sollevamento dell’arto esteso ridotta Forza muscolare del tronco ridotta *Segni di interessamento della radice nervosa Forte fumatore *Forte evidenza scientifica per durata superiore alle 4 settimane
*Comportamento sproporzionato nei confronti della gravità della malattia Scarsa soddisfazione del lavoro *Sindromi ansiose e depressive Controversie medico-legali in atto Numero di giorni di assenza dal lavoro Problemi personali (finanziari, familiari…) *Forte evidenza scientifica per durata superiore alle 4 settimane
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I principali quadri patologici
La spondilodiscoartrosi
Per artrosi si intende un’artropatia cronica, a carattere evolutivo, consistente inizialmente in alterazioni regressive della cartilagine articolare e secondariamente in modificazioni delle altre strutture che compongono l’articolazione (tessuto osseo, sinovia, capsula). Clinicamente l’artrosi si manifesta con dolore, limitazione funzionale, atteggiamenti viziosi. L’artrosi si instaura in un’articolazione quando in essa si verifica, per fattori generali o locali, uno squilibrio tra resistenza della cartilagine e sollecitazioni funzionali. Fattori generali: età (modificazioni del pH del liquido sinoviale); ereditarietà (predisposizione alle affezioni artro-reumatiche); squilibri ormonali (con particolare riguardo agli estrogeni); obesità (sovraccarico delle articolazioni ed accumulo di colesterolo); alterazioni metaboliche (calcio, etc.); ambiente (abitazione, clima, condizioni di lavoro) Fattori locali: concentrazione o alterata distribuzione delle sollecitazioni meccaniche sulla superficie articolare (deviazione dei normali assi di carico, etc.); alterazioni articolari prodotte da affezioni di natura infiammatoria, traumatica, necrosi epifisarie, etc. Si distingue un’artrosi primaria (riferibile solo a fattori generali) ed un’artrosi secondaria (da cause locali). Dal punto di vista anatomo-patologico si rilevano i seguenti reperti (pur se variamente accentuati in rapporto al grado evolutivo della malattia): alterazioni cartilaginee articolari (assottigliamento, fissurazioni, ulcerazioni con messa a nudo dell’osso subcondrale); osteofiti marginali (neoformazioni ossee di varia forma – a becco, a rostro – per ossificazione della cartilagine o delle inserzioni capsulari) in corrispondenza del margine periferico della superficie articolare. In caso di grossolana osteofitosi che determina la completa deformazione dei capi articolari si parla di artrosi deformante; osteosclerosi subcondrale (addensamento del tessuto osseo in corrispondenza delle zone di maggiore usura della cartilagine, laddove il carico è più accentuato); cavità psudocistiche o “geodi” (sono alternate o nel contesto delle zone di osteosclerosi); alterazioni della mebrana sinoviale; alterazioni della capsula.
La sintomatologia clinica è esclusivamente locale. Si instaura tuttavia in maniera subdola e tardiva rispetto all’inizio della malattia, evolvendo in maniera cronica attraverso fasi di attenuazione e remissione. Fondamentalmente abbiamo dolore locale, progressivamente ingravescente, e limitazione articolare (da ostacolo meccanico e/o da contrattura), segno costante e relativamente precoce. I più comuni reperti radiografici sono costituiti da:
restringimento della rima articolare fino alla sua completa scomparsa (usura cartilaginea); osteofitosi (precoce) a livello dei bordi delle superfici articolari; alterazione della struttura ossea subcondrale, con zone di osteosclerosi e cavità geodiche.
L’osteoartrosi incide per i 2/3 sul totale delle malattie reumatiche ed è una delle patologie più frequenti in assoluto, insieme alle patologie cardiovascolari e respiratorie. L’osteoartrosi non deve però essere considerata come un’ineluttabile conseguenza dell’invecchiamento ma una vera malattia, caratterizzata da fenomeni degenerativi della cartilagine articolare precoci ed intensi, a cui si associano processi flogistici della sinovia e delle altre strutture anatomiche periarticolari.
Bisogna pertanto fare una chiara distinzione tra l’osteoartosi (che si manifesta tipicamente a 45-50 anni) e l’artrosi
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senile, tipica dei soggetti anziani ultrasessantacinquenni e legata esclusivamente alla senescenza della cartilagine articolare. La diagnosi di osteoartosi è dunque una diagnosi clinica, che scaturisce da un insieme di dati anamnestici, obiettivi, di laboratorio e strumentali. Non appare pertanto corretto porre diagnosi di osteoartrosi solo in presenza di reperti radiologici (ad es. osteofiti) ininfluenti dal punto di vista fisiopatologico, che in effetti sopra una certa età (65-70 anni) possono essere riscontrati in alcuni distretti anatomici (ad es. vertebre) nel 100% dei soggetti. L’osteoartosi ha poi una notevole incidenza sociale, perché colpisce tipicamente soggetti lavorativamente attivi e quindi determina, oltre che elevati costi per complessi e reiterati interventi di assistenza medica e fisiatrica, perdita di numerose giornate lavorative e corresponsione di pensioni d’invalidità, in Italia limitate (finora) agli ambiti giuridici della causalità di servizio e dell’invalidità pensionabile INPS ma in altri Paesi (USA, UK e paesi scandinavi) fortemente incidenti anche sul versante dell’indennizzo dell’inabilità lavorativa per infortuni sul lavoro e malattie professionali. Le principali localizzazioni dell’artrosi sono all’anca, alla colonna vertebrale e al ginocchio. Alla colonna vertebrale si localizza frequentemente al tratto cervicale e lombare. L’artrosi vertebrale suole essere distinta in artrosi anteriore o intersomatica (spondilodiscoartrosi propriamente detta) e di artrosi posteriore o apofisaria. Nel primo caso (spondilodiscoartrosi) si hanno alterazioni dei corpi vertebrali in relazione alla progressiva disidratazione, degenerazione e schiacciamento di uno o più dischi intervertebrali adiacenti. Come già detto, i dischi intervertebrali sono composti da un anello fibroso e da un nucleo polposo: il primo rappresenta la porzione periferica, di natura consistente ed elastica, costituito da lamelle disposte concentricamente, formate da fibre collagene ed elastiche, mentre il secondo è costituito da una massa gelatinosa sferoidale posta al centro del disco intervertebrale con funzione di assorbire e ridistribuire uniformemente sulle superfici cartilaginee dei corpi vertebrali contigui, le sollecitazioni statico-dinamiche ricevute. Dopo l’età di 40-50 anni tutti i dischi (ma soprattutto quelli del tratto inferiore del rachide cervicale e lombare) vanno incontro a fenomeni regressivi: riduzione del tenore idrico del nucleo e perdita delle proprietà elastiche dell’anulus. A causa della degenerazione discale le sollecitazioni di pressione si concentrano sui bordi dei corpi vertebrali, con sclerosi reattiva delle limitanti somatiche superiore ed inferiore e proliferazione osteofitaria marginale che, insieme alla riduzione dello spazio intersomatico, costituiscono la triade radiografica della spondilodiscoartrosi. L’artrosi apofisaria o artrosi vertebrale posteriore consiste invece nella comparsa delle tipiche alterazioni artrosiche a carico delle apofisi articolari posteriori.
Tutte e due le forme presentano la stessa sintomatologia: dolore locale e rigidità articolare. Possibili complicazioni sono:
le sindromi midollari (a livello cervicale); le sindromi vascolari (a livello cervicale – sindrome di Neri-Barrè-Lieu); le sindromi radicolari (cervicobrachialgie e lombosciatalgie): gli osetofiti, sviluppandosi in sede postero-laterale in corrispondenza del forame di coniugazione, comprimono la rispettiva radice nervosa.
SPONDILOLISI E SPONDILOLISTESI Per spondilolisi si intende l’interruzione mono o bilaterale dell'istmo, cioè della porzione vertebrale compresa tra le apofisi articolari superiori ed inferiori dell’arco neurale. In caso di interruzione bilaterale, si avrà in una elevata percentuale di casi una spondilolistesi, ovvero lo scivolamento anteriore del corpo vertebrale, dei peduncoli, delle apofisi trasverse e dei processi articolari superiori sulla vertebra sottostante. Sulla base della letteratura più recente, la spondilolisi viene oggi ritenuta una lesione acquisita, che si verifica nell’epoca dell’accrescimento corporeo e dunque interpretata come una frattura da stress dovuta a notevoli sollecitazioni statico-dinamiche settoriali, specie in iperestensione. La spondilolisi può essere del tutto asintomatica o manifestarsi, in altri casi, con una dolenzia localizzata in corrispondenza del segmento vertebrale interessato, che si accentua con la stazione eretta, con la deambulazione e con i tentativi di eseguire un’attività lavorativa e/o sportiva. Nei casi in cui si associa una listesi, è possibile talvolta apprezzare con la palpazione la sporgenza dell’apofisi spinosa della vertebra listesica. La conferma del sospetto clinico si basa sullo studio radiologico nelle ordinarie proiezioni ortogonali, integrate dalle due proiezioni oblique; la proiezione laterale è spesso assai utile per documentare lo spostamento anteriore del
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corpo vertebrale che non appare più allineato con i margini posteriori dei corpi vertebrali contigui. Le proiezioni oblique sono le più idonee invece per dimostrare la discontinuità dell’istmo che appare come un difetto lineare radiotrasparente a margini più o meno regolari, spesso definito come "cagnolino con la testa mozzata". La scintigrafia ossea può, nei casi di negatività radiologica, fornire l’unica documentazione della lesione. L'ERNIA DEL DISCO Consiste nella migrazione posteriore o più spesso postero-laterale del nucleo polposo, attraverso fissurazioni dell’anello fibroso; il materiale erniario può rimanere contenuto dal legamento longitudinale posteriore ovvero interromperne la continuità, penetrando nel canale vertebrale. In questi casi, accanto alla sintomatologia dolorosa ad esordio brusco di origine discale, si associano sintomi periferici sul territorio di distribuzione della radice, con caratteristiche di verse a seconda dell’entità e della sede della compressione. Se l’ernia comprime la quarta radice lombare (per ernie tra L3-L4), il dolore si irradierà lungo la faccia anteriore della gamba e sul ginocchio. Per un’ernia che comprime la quinta radice lombare (per ernia tra L4-L5), il dolore si distribuirà sulla faccia postero-laterale della coscia, su quella laterale della gamba e sul dorso del piede sino al 1° dito. Se risulta coinvolta la prima radice sacrale (per ernia tra L5-S1), il dolore si irradierà sulla superficie posteriore della coscia, della gamba e sulla pianta del piede, coinvolgendo il 4° e 5° dito. Alla caratteristica sintomatologia periferica da irritazione radicolare si associa la positività dei segni di Delitala (accentuazione del dolore irradiato alla palpazione profonda del metamero interessato), di Valleix, che suscita dolore alla pressione esercitata su alcuni punti elettivi (ischiatico, gluteo, peroneo dietro la testa del perone e malleolare) e di Lasegue (elevazione dell’arto inferiore esteso). A questi segni si accompagnano, nelle forme conclamate, riduzioni di forza e della sensibilità con iporiflessia nell’area di distribuzione della radice interessata. La diagnosi di ernia discale può essere facilmente confermata mediante la risonanza magnetica nucleare che fornisce una rappresentazione panoramica del canale vertebrale e del suo contenuto; nelle scansioni assiali ed in condizioni di normalità, il bordo posteriore del disco appare lievemente concavo e non supera i margini dei corpi vertebrali adiacenti. Nella protrusione o nell’ernia discale, il bordo posteriore del disco appare deformato con una convessità più o meno acuta che impronta lo spazio epidurale esercitando un effetto compressivo sulla radice nervosa. LOMBALGIE E LOMBOSCIATALGIE La causa più frequente è rappresentata da alterazioni discali lombari. La lombalgia è una sintomatologia dolorosa limitata alla regione lombare, espressione clinica di un’alterazione delle strutture osteofibrose del rachide distrettuale senza risentimento delle radici spinali corrispondenti. La lombosciatalgia si ha allorché la sintomatologia dolorosa si irradia all’arto inferiore in corrispondenza del territorio del nervo sciatico per sofferenza radicolare. Il dolore lombare è l’espressione clinica dell’irritazione o della compressione del nervo seno-vertebrale di Luschka, che si distribuisce alla porzione periferica dell’anulus, al legamento longitudinale posteriore, al periostio, all’arco posteriore vertebrale, alla capsula delle articolazioni interapofisarie. La lombalgia è caratterizzata da:
dolore spontaneo localizzato al rachide lombare, accentuato dalla pressione locale e dai tentativi di mobilizzazione del tronco; contrattura della muscolatura paravertebrale, con secondario atteggiamento obbligato del rachide lombare in flessione anteriore o laterale; rigidità del tronco.
La lombalgia acuta si ha a seguito della distensione repentina dell’anulus e/o per distorsione delle articolazioni interapofisarie. La lombalgia cronica è invece in rapporto a:
protrusione dell’anulus; artrosi intersomatica e interapofisaria; anomalie congenite del tratto lombo-sacrale; squilibri statico-dinamici (obesità, gravidanza, scoliosi, ipocinesie, etc.)
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processi infettivi osteopatie metaboliche neoplasie vertebrali.
Lombosciatalgia E’ una sindrome dolorosa che dalla regione lombare si irradia con distribuzione radicolare all’arto inferiore, nel territorio del nervo sciatico. La causa più comune è l’ernia discale, che, come già detto, si verifica quando, sotto l’impulso si una sollecitazione abnorme, il nucleo polposo supera le fibre dell’anulus facendosi strada attraverso preesistenti deiscenze di natura degenerativa (discopatia) che rappresentano l’indispensabile presupposto anatomo-patologico dell’ernia stessa. Gli stretti rapporti esistenti tra gli ultimi due dischi e le radici spinali L5-S1 rendono ragione della frequente sofferenza radicolare (sciatalgia) che si instaura a questo livello. L’alterazione colpisce infatti di regola l’ultimo disco lombare o, meno frequentemente, il penultimo. Abitualmente si tratta di ernia postero-laterale, dove in effetti il legamento longitudinale posteriore si assottiglia. Obblighi di legge. Il D. M. del Lavoro 27 Aprile 2004 che elenca le malattie per le quali è obbligatoria la denuncia nel gruppo 2 (malattie
da agenti fisici) e riporta la voce “Movimentazione manuale di carichi eseguita con continuità durante il turno
lavorativo”
Nella lista I (malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità) riporta le seguenti malattie: spondilodiscopatie
del tratto lombare ed ernia discale lombare.
Per tutte le sopra citate malattie l’obbligo del medico è di:
1. Compilare ildi Certificato Medico per le malattie professionali (per attivare l’azione risarcitoria).
Il Medico lo consegna al lavoratore che lo consegna alla azienda che lo invia all’INAIL.
2. Denunciare la malattia professionale all’ASL (per attivare organo di vigilanza).
3. Compilare il Referto Medico alla Autorità Giudiziaria (per attivare l’azione repressiva).
L’azione repressiva scatta nella ipotesi di lesione personale grave o gravissima (più di 40 giorni) o
indebolimento di un organo di senso, o quando le lesioni siano conseguenza di violazione di norme per la
prevenzione di infortuni o relative all’igiene del lavoro.
Strategie preventive per una movimentazione corretta:
1.Mantieni quanto più possibile posizioni simmetriche
2.Usa contemporaneamente le due mani
3.Tieni il carico quanto più vicino possibile al corpo
4.Effettua il movimento regolarmente e senza scatti o movimenti bruschi
5.Evita le torsioni del tronco, ruotando l’intero corpo
6.Evita le inclinazioni laterali del tronco effettuando un passo lateralmente
7.Nel sollevare carichi da terra riduci la flessione del tronco flettendo anche le ginocchia
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8.Colloca gli oggetti più pesanti nella zona compresa tra l’altezza delle spalle (140cm) e quella delle nocche a braccia
rilasciate lungo il corpo (70cm)
9.Usa uno sgabello o una scaletta se devi porre un oggetto al di sopra dell’altezza del capo evitando così di inarcare
troppo la schiena
10.Chiedi la collaborazione di un collega se il carico da movimentare è pesante o troppo ingombrante
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LE PATOLOGIE OSTEO-ARTICOLARI DA SOVRACCARICO
BIOMECCANICO DELL'ARTO SUPERIORE
La patologia professionale dovuta a movimenti ripetitivi rappresenta la maggiore causa di lesioni muscolo-
scheletriche e nervose periferiche nella popolazione lavorativa, superando la patologia traumatica da infortunio.
Mentre in Italia è sicuramente sottostimata, negli USA viene considerata la patologia più frequente: in quest’ultima
nazione è presente in tutte le industrie e nel 1997 ha determinato più di 626.000 giornate di lavoro perse. Il settore
manifatturiero, in particolare, presenta una alta concentrazione di denunce di malattie da sovraccarico biomeccanico
dell’arto superiore che, unitamente alle patologie della colonna lombo sacrale denunciate nelle attività con
movimentazione manuale pesante, hanno rappresentato il 60% di tutte le denunce di malattie muscolo-scheletriche,
nonostante nel settore manifatturiero sia impiegato meno del 28% della forza lavoro generale.
Nella Tabella n.1 sono riportate le più frequenti entità nosologiche che possono interessare le diverse strutture
dell'arto superiore.
TENDINITI DISORDINI DEI NERVI DISORDINI MUSCOLARI
-Tendinite,peritendinite
-Tenosinovite,sinovite
-Epicondilite
-M.di De Quervain
-Dito a scatto
-S.Tunnel Carpale
-S.Tunnel Cubitale
-S.Canale di Guyon
-S.Tunnel Radiale
-S.Stretto Toracico
-S.Cervicale
-S.Tensiva del Collo
-Mialgia e miosite
DISORDINI DI TIPO
CIRCOLATORIO/ VASCOLARE
DISORDINI DELLE
ARTICOLAZIONI
DISORDINI DELLE
BORSE
-S.Eminenza Ipotenar come martello
-S.Raynaud
-Osteoartriti -Borsite
Tabella n.1 - Classificazione dei disordini muscolo-scheletrici del collo e dell’arto superiore
Le patologie occupazionali muscolo-scheletriche dell’arto superiore possono essere definite come
alterazioni delle unità muscolo-tendinee, dei nervi periferici e del sistema vascolare che possono essere
precipitate o aggravate da ripetuti movimenti e/o sforzi fisici dell’arto superiore.
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Le caratteristiche principali sono riassunte nella tabella n.2.
♦ Eziologia multifattoriale (numero elevato di cause professionali e non);
♦ Sviluppo generalmente lungo (periodi di settimane, mesi o anni);
♦ Guarigione in settimane, mesi, anni e talvolta mai completa;
♦ Le patologie più frequenti coinvolgono le unità muscolo-tendinee;
♦ Le sindromi da intrappolamento dei nervi periferici (es.sindrome del tunnel carpale)
sono meno frequenti dei disturbi muscolo-tendinei, ma ricevono maggiore attenzione
per la loro potenziale gravità e per gli elevati costi socio-economici.
Tabella n.2 - Principali caratteristiche delle patologie occupazionali dell’arto superiore.
Nella letteratura internazionale molti acronimi sono utilizzati per descrivere sinteticamente i disturbi dell’arto superiore
e per indicare la loro origine occupazionale. La tabella n.3 riporta gli acronimi più diffusi.
WMSD Work related MusculoSkeletal Disorder
CTD Cumulative Trauma Disorder
RSI Repetitive Strain Injury
OCD Occupational Cervicobrachial Disease
OOS Occupational Overuse Syndrome
Tabellan.3 : Acronimi per la descrizione delle patologie occupazionali dell’arto superiore.
Il termine “Work related MusculoSkeletal Disorder” (WMSD) è il più appropriato, in quanto ipotizza o comprova una
causa lavorativa nella loro genesi ed evita la confusione di introdurre nello stesso termine la causa supposta
(“cumulativa” nei CTD e “ripetitiva” negli RSI) ed i suoi effetti (“disturbo” nei CTD e “danno” negli RSI).
Sotto questo termine, pertanto, vengono raggruppate diverse entità nosologiche, che possono interessare le varie
strutture dell’arto superiore, ma che hanno tutte in comune la possibile eziologia professionale, come conseguenza di
traumi ripetitivi e/o cumulativi.
Nella tabella n.4 sono riportate le più importanti e frequenti patologie muscolo-scheletriche dell’arto superiore
correlate con il lavoro.
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♦ Tendinite della spalla ♦ Sindrome tensiva del collo
♦ Epicondilite - Epitrocleite ♦ Sindrome dello stretto toracico
♦ Tendinite mano-polso ♦ Dito a scatto
♦ Sindrome del tunnel carpale ♦ Cisti tendinee
Tabella n.4- Patologie dell’arto superiore più frequentemente correlate con il lavoro
FATTORI DI RISCHIO E CRITERI EPIDEMIOLOGICI
Sulla base di approfonditi e rigorosi studi epidemiologici i fattori di rischio vengono classificati dal National Institute of
Occupational Safety and Health americano (NIOSH) in due categorie separate: fattori di rischio principali e fattori
di rischio modificanti.
La prima categoria include i fattori di rischio quali la forza, la postura, la ripetitività e le vibrazioni, che la maggior
parte dei ricercatori ritiene possano causare o esacerbare le patologie dell’arto superiore.
I fattori modificanti, quali l’intensità, la durata, i tempi di recupero e l’esposizione al freddo, rappresentano
invece le caratteristiche di una esposizione specifica ad un fattore di rischio principale, che possono aggravare il
livello ed il tipo del danno sulle strutture articolari, muscolari, nervose e vascolari dell’arto superiore.
Per quanto riguarda i criteri epidemiologici utilizzati per definire una relazione causa-effetto, il consenso degli esperti
del settore converge su cinque fra quelli più utilizzati. Va segnalato che, con l’eccezione del criterio temporale,
nessuno di questi criteri è necessario o sufficiente per determinare la causalità: l’assenza di qualsiasi
criterio, diverso da quello temporale, non necessariamente invalida l’ipotesi causale, mentre la sua presenza
non prova la causalità, ma ne rafforza l’ipotesi.
Di seguito vengono riportati i cinque criteri epidemiologici :
• sequenza temporale: l’esposizione al fattore di rischio deve necessariamente essere presente prima della
manifestazione del danno ;
• forza dell’associazione: maggiore è la associazione tra fattori di rischio e danno, meno probabile è la presenza
di fattori di confondimento. Infatti se fosse presente un fattore di confondimento, dovrebbe essere di tale entità da
rendere poco probabile che sia stato trascurato nell’indagine epidemiologica;
• plausibilità biologica: la conoscenza di un già noto o comunque ragionevole meccanismo di sviluppo del danno,
rinforza il riconoscimento della causalità ;
• coerenza con altre ricerche: risultati simili frutto di studi indipendenti, soprattutto se vengono utilizzate tecniche
di misura diverse, rafforza l’ipotesi causale ;
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• relazione dose-risposta (gradiente biologico): con l’aumentare del livello di esposizione, deve corrispondere
un aumento del danno. Va tuttavia sottolineato che una relazione causale può essere presente, ma essere
nascosta da una relazione dose-risposta non lineare o che una relazione dose-risposta presente, può anche
essere dovuta ad un fattore di confondimento con un proprio gradiente biologico.
Un sesto criterio, la specificità dell’associazione, è spesso aggiunto ai precedenti cinque. Il criterio si riferisce alla
comparsa di un ben preciso danno sempre associato ad un ben preciso fattore di rischio. Tuttavia, a causa
dell’eziologia multifattoriale delle patologie muscolo-scheletriche dell’arto superiore, la specificità dell’associazione tra
fattori di rischio e sviluppo di malattie muscolo-scheletriche è molto bassa; infatti, con l’esclusione dell’associazione
tra esposizione a vibrazioni e disturbi neurovascolari alla mano, in genere un fattore di rischio specifico può essere
associato a diverse patologie dell’arto superiore.
Evidenza della correlazione tra fattori di rischio lavorativi e patologie dell'arto superiore
Prima di analizzare l’evidenza della relazione tra i singoli fattori di rischio e le patologie dell’arto superiore, può
risultare utile sintetizzare il contributo di Bernard e Fine che, dopo una rigorosa ed approfondita analisi degli studi
selezionati, hanno formulato una classificazione a quattro punti per caratterizzare la forza dell’evidenza della
correlazione tra patologie e fattori di rischio lavorativi presi singolarmente ed in combinazione (tabella n.5).
FATTORI DI RISCHIO
SEDE PATOLOGIA O
DIAGNOSI
NUMERO
STUDI
FORZA POSTURE
INCONGRUE
RIPETITIVITÀ COMBINAZIONE
Collo o collo spalla >40 ++ +++ ++ (--)✸✸✸✸
Spalla >20 +/0 ++ ++ (--)✸✸✸✸
Gomito >20 ++ +/0 +/0 +++
Tunnel carpale >30 ++ +/0 ++ +++
Tendiniti mano-polso 8 ++ ++ ++ +++
Tabellan.5 - Forza dell’evidenza della correlazione tra fattori di rischio lavorativi singoli ed in combinazione
e patologie dell’arto superiore(✸(--):associazione non riportata nello studio).
Legenda: +++: forte evidenza della correlazione ++ :evidenza della correlazione
+/0: insufficiente evidenza - : evidenza di non correlazione
I quattro punti della classificazione indicano :
• forte evidenza della correlazione (+++): è molto probabile una relazione causale tra fattori di rischio e patologia ;
• evidenza della correlazione (++): qualche convincente evidenza della relazione causale ;
• insufficiente evidenza (+/0): qualche indicazione di evidenza, ma la maggior parte degli studi mancano di
sufficiente qualità, di consistenza e di potenza statistica ;
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• evidenza di non correlazione (-): è convincentemente dimostrata una assenza di associazione tra fattori di rischio
e patologia.
Forza
La revisione critica della letteratura effettuata dal Natinal Institute of Occupatinal Safety and Health americano ha
messo in evidenza una relazione causale tra forza e patologia del collo, sindrome del tunnel carpale, tendiniti mano-
polso, mentre l’evidenza della relazione tra forza e patologie del gomito non è risultata convincente. Va sottolineato
che per quanto riguarda la sindrome del tunnel carpale la forza risulta fattore di rischio solamente se associata alla
ripetitività, mentre, da sola, non sembra essere correlata alla sindrome del tunnel carpale.
Dal punto di vista della plausibilità biologica applicazioni elevate di forza sono in grado di causare lesioni
alle strutture muscolari, tendinee e legamentose. E’ stato, infatti, dimostrato che applicazioni di forza
eccessiva determinano danni alle fibre muscolari per lacerazione sia dell’interdigitazione actina-miosina che
delle linee Z tra i singoli sarcomeri.
Inoltre contrazioni muscolari elevate determinano un aumento della pressione intramuscolare, che a sua
volta si riversa sulle strutture nervose e vascolari. Studi su animali hanno dimostrato che l’aumento di
pressione sulle strutture neuronali produce edema neuronale ed altera la struttura della guaina mielinica,
impedendo così la funzione nervosa.
Posture incongrue
Le posture incongrue, definite come deviazioni articolari estreme rispetto alla posizione neutrale, all’analisi
critica della letteratura sono risultate correlate con le patologie della spalla e dei tendini del segmento mano-polso e
fortemente correlate con i disturbi del collo. Sempre dalla stessa analisi, condotta su studi riguardanti
prevalentemente operatori al videoterminale, emerge una insufficiente evidenza di correlazioni tra posture incongrue
singolarmente considerate e patologie del gomito e sindrome del tunnel carpale, mentre l’evidenza della correlazione
è forte se le posture incongrue sono combinate con altri fattori di rischio come la forza e la ripetitività. Va tuttavia
considerato che in altri studi è stata messa in evidenza una associazione tra flessioni ed estensioni del polso e
sindrome del tunnel carpale.
Sperimentalmente in laboratorio è stato dimostrato che posture incongrue determinano un aumento della
frizione sia fra tendini che tra tendine e guaina tendinea, mentre studi sull’uomo hanno evidenziato come
posture anche non estreme possono aumentare la pressione a livello del tunnel carpale a valori tali da
rientrare nel range di valori che è stato dimostrato causare danni nei neuroni animali.
A differenza delle posture incongrue, le posture statiche sono risultate fortemente associate alla sola sindrome
tensiva del collo, che trova una sua plausibilità biologica nell’edema intramuscolare e nell’aumento dei
radicali liberi e dei mediatori dell’infiammazione conseguenti alla riduzione del flusso di sangue al muscolo
determinato dalla contrazione statica.
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Ripetitività
Nelle indagini epidemiologiche riviste criticamente dal NIOSH la ripetitività viene presa in considerazione sia come
fattore di rischio principale che come fattore di rischio modificante e nella maggior parte di queste indagini questo
fattore di rischio è preso in considerazione in combinazione con altri fattori di rischio, quali la forza e le posture
incongrue. In effetti la constatazione che la combinazione di diversi fattori di rischio accresce l’evidenza
dell’associazione suggerisce la considerazione che ciascun fattore di rischio può assumere la veste sia di fattore
principale che di fattore modificante e ciò rende la distinzione tra i diversi fattori di rischio, in qualche modo
accademica.
Al di la di queste considerazioni, comunque, la ripetitività è risultata associata a tutte le patologie dei diversi segmenti
dell’arto superiore con esclusione del gomito.
La plausibilità biologica dell’azione della ripetitività come fattore di rischio è stata dimostrata
sperimentalmente sia sull’animale che sull’uomo. Rais sottoponendo ratti a movimenti ripetitivi degli arti ha
riscontrato danni cellulari, depositi di fibrina ed attività riparative, localizzate nell’area della giunzioni
muscolari tendinee e tipiche della periartrite. Hagberg sperimentalmente sull’uomo ha dimostrato che già
dopo un’ora di flessioni ripetute della spalla può svilupparsi una tendinite acuta.
Fattori modificanti
Molte indagini epidemiologiche sottoposte a revisione critica prendono in considerazione anche i fattori modificanti
quali la durata, l’intensità, il profilo temporale e le basse temperature.
Durata
Numerosi studi documentano l’incremento delle patologie dell’arto superiore in funzione della durata dell’esposizione.
Per esempio, de Krom in una indagine su lavoratori addetti ad attività che richiedevano il mantenimento del polso in
flessione ed estensione, ha analizzato la relazione tra sindrome del tunnel carpale e durata dell’esposizione,
espressa in ore settimanali (Tabella n.6).
ATTIVITÀ ESPOSIZIONE ORARIA
SETTIMANALE
RAPPORTI DI PREVALENZA LIMITI DI CONFIDENZA
POLSO FLESSO 0 1.0
1-7 1.5 1.3-1.9
8-19 3.0 1.8-4.9
20-40 8.7 3.1-24.1
POLSO ESTESO 0 1.0
1-7 1.4 1.0-1.9
8-19 2.3 1.0-5.2
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20-40 5.4 1.1-27.4
Tabellan.6 : Prevalenza di sindrome del tunnel carpale in lavoratori addetti ad attività che richiedono
il mantenimento del polso in flessione ed estensione e durata dell’esposizione
Per gli esposti per più di 20 ore settimanali ad attività che richiedono il mantenimento del polso in flessione i rapporti
di prevalenza sono risultati 8.7 volte maggiori rispetto ai non esposti e circa 3 volte maggiori rispetto agli esposti fino
a 20 ore settimanali. Simili risultati, anche se di poco inferiori, sono stati osservati negli addetti ad attività che
richiedevano il mantenimento del polso in estensione. Il suggerimento che deriva dall’indagine indica che, in questo
tipo di attività, la limitazione dell’esposizione giornaliera a 4 ore può ridurre il rischio di sindrome del tunnel carpale di
2-3 volte.
Intensità
Punnett in un indagine trasversale condotta su lavoratori del settore automobilistico ha valutato l’intensità
dell’esposizione ad attività che richiedevano movimenti ripetitivi e posture incongrue dell’arto superiore per mezzo di
una scala da 0 a 25 punti suddivisa in quartili. La prevalenza dei disturbi dei segmenti spalla-braccio e mano-polso,
clinicamente diagnosticati, mostrano un incremento dose dipendente sino al punteggio di diciotto. Al di sopra di
questo valore della scala la prevalenza tende a stabilizzarsi o a diminuire e questo dato viene interpretato dall’autore
come dovuto all’effetto “lavoratore sano” (Tabellan.7).
In effetti in attività ad alto rischio frequentemente lavoratori malati vengono spostati su altre attività e sostituiti con
lavoratori sani.
PUNTEGGIO PATOLOGIE
SPALLA-BRACCIO
PATOLOGIE
MANO-POLSO
PATOLOGIE
ARTO SUPERIORE
0- 6 1.0 1.0 1.0
7-12 2.6 1.9 2.0
13-18 3.6 2.4 2.6
19-25 2.3 2.3 2.8
Tabellan.7 : Prevalenza dei disturbi dei segmenti spalla-braccio, mano-polso e di tutto l’arto
superiore ed intensità dell’esposizione
Profilo temporale
Nelle attività lavorative altamente ripetitive che richiedono un impegno limitato di forza, a causa della loro bassa
soglia di attivazione, vengono reclutate prevalentemente fibre muscolari di tipo I, più lente e meno affaticabili delle
fibre veloci di tipo II. Il loro reclutamento, con un impiego limitato di forza, permette un’attività prolungata nel tempo,
senza insorgenza di fatica muscolare. La mancata insorgenza di fatica, durante questo tipo di attività, può invece
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determinare significativi danni muscolari: questa ipotesi, nota come “Cinderella Hypothesis” suggerisce una
importante ragione fisiologica della necessità di inserire adeguati periodi di pausa nelle attività altamente
ripetitive.
.Esposizione al freddo
Sperimentalmente è stato dimostrato che attività lavorative con esposizione al freddo determinano una maggiore
attivazione muscolare, una ridotta coordinazione e tempi più lunghi per espletare il compito lavorativo. Tali
modificazioni possono causare o contribuire ad esacerbare le manifestazioni patologiche a carico degli arti superiori.
Le principali patologie dell’arto superiore più frequentemente correlate con il lavoro
Sindrome del tunnel carpale
È una sindrome da compressione del nervo mediano, che è composto da fibre sensitive per il 1°,2°, 3° e parte del 4° dito e da
fibre motorie per i muscoli dell'eminenza tenar.
La compressione del nervo mediano può essere associata o meno a tendinite dei muscoli flessori nel loro decorso nel tunnel
carpale.
Il tunnel carpale è delimitato dal pavimento delle ossa del carpo e dal robusto legamento palmare o trasverso e attraversato,
oltre che dal nervo mediano,dal tendine del flessore comune superficiale, del flessore comune profondo e dal tendine del
flessore lungo del pollice (fig. n.1).
Fig. n.1 - Tunnel carpale: rapporti anatomici
L'eziopatogenesi della sindrome del tunnel carpale riconosce cause locali (esiti di fratture, edemi, emorragie neoformazioni,
ecc.), cause generali, quali modificazioni ormonali fisiologiche o patologiche (gravidanza, menopausa, terapia con estrogeni,
N.Mediano
N.Radiale
N.Ulnare
Retinacolo dei Flessori
Tendini Ossa
Retinacolo
Tendini
N.Mediano
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distiroidismi, in particolare ipotiroidismo, diabete mellito, iperuricemia, insufficienza renale cronica, emodialisi), malattie del
connettivo, mieloma multiplo.
Sono ormai consolidate le conoscenze circa l'eziologia (in termini causali e/o concausali) da sollecitazioni biomeccaniche
ripetitive d'origine lavorativa, in particolare per quei compiti lavorativi che richiedono movimenti reiterati di flesso-estensione e di
lateralità del polso eseguiti con elevata frequenza e con applicazione di forza nell'azione di presa della mano. Nella fase iniziale,
più o meno protratta, l'aumento della pressione all'interno del canale carpale comporta una riduzione di flusso sanguigno
epineurale, con conseguente sofferenza nervosa da anossia( possibile negatività dell'esame ecografico e/o elettromiografico).
Le ripetute sollecitazioni biomeccaniche causano un processo di flogosi dei tendini e delle loro guaine sinoviali (tenosinovite) e/o
del legamento trasverso del carpo; conseguono, quindi, fenomeni di compressione ( intrappolamento) del nervo mediano che
con il tempo possono portare alla demielinizzazione più o meno reversibile con alterazione della conduzione dello stimolo
sensitivo e motorio.
I segni clinici sono rappresentati da parestesie/ipoestesie del 1°,2°, 3° e parte del 4° dito con ridotta funzione prensoria della
mano. Le manifestazioni progrediscono da uno stadio iniziale ( fase irritativa), intermedio (fase deficitaria), avanzato (fase della
paresi) e consistono progressivamente in:
- parestesie notturne,
- parestesie anche diurne, dolore, ipoestesia, iniziali disturbi motori,
deficit della sensibilità, sino all'anestesia, marcati disturbi motori con ipotrofia dell'eminenza tenar e plegia dei relativi muscoli.
La sede e la qualità dei sintomi può portare alla formulazione di un giudizio diagnostico di sindrome del tunnel carpale:
1) Classica/probabile: intorpidimento, parestesie, bruciore o dolore in almeno 2 tra 1° 2° 3° dito. Dolore al
palmo, dolore al polso o irradiazione prossimale al polso
2) Possibile: parestesie, intorpidimento, bruciore o dolore in almeno 1 tra 1° 2° o 3° dito
3) Improbabile: nessun sintomo al 1° 2° o 3° dito
I tests semeiologici con discreto valore diagnostico sono il test di Phalen e quello di Tinel sotto riportati.
TEST TEST DI PHALEN
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Significato Compressione passiva del nervo mediano per la diagnosi della Sindrome del Tunnel Carpale
Paziente Seduto; gomito in flessione a 90°, avambraccio pronato, polso e dita rilassate in flessione
Esaminatore Eretto o seduto
Descrizione
(arto dx)
La mano sx dell’esaminatore stabilizza l’avambraccio, la mano dx esegue il test spingendo il
polso in massima flessione palmare, la posizione è mantenuta per 60 sec
Positivo se: Insorgenza di parestesie al pollice e/o 2° e 3° dito
TEST SEGNO DI TINEL (dx/sx)
Significato Compressione del nervo mediano per la diagnosi di Sindrome del Tunnel Carpale
Paziente Seduto; gomito flesso di 90°, avambraccio spinato, polso in posizione neutrale
Esaminatore Eretto o seduto
Descrizione
(arto sx)
La mano dx dell’esaminatore stabilizza la mano del pz, la mano sx esegue il test: si percuote
delicatamente con il 2° e 3° dito per 4-6 volte la parete volare del legamento carpale
Positivo se: Insorgenza di parestesie distalmente al pollice e/o al 2° e 3° dito
Diagnosi strumentale
L'esame ecografico è tra gli accertamenti più utilizzati per la diagnostica delle malattie muscolo tendinee dell'arto
superiore. I vantaggi dell'esame sono molteplici:
-assenza di radiazioni ionizzanti e,quindi, innocuo per il paziente e per l'operatore;
-costo limitato;
-facilità di esecuzione e ripetibilità;
-consente l'accertamento di alterazioni in fase iniziale anche asintomatiche;
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-è utilizzabile per finalità epidemiologiche e di prevenzione, oltrechè medico-legali assicurative
All'esame ecografico il nervo mediano presenta un aspetto tipicamente ipoecogeno rispetto alle strutture tendinee
attigue; un aumento del diametro del nervo (normale=3-4 mm) se superiore a 4-6 mm è segno di compressione.
L’aumento di diametro è patognomonico e rende non necessario l'esame elettromiografico; se, invece, il diametro è
normale, come nella maggior parte dei casi, per porre la diagnosi è necessario l'esame elettromiografico.
L'esame elettromiografico, in particolare lo studio della conduzione nervosa, è di notevole importanza e di ausilio
nella diagnosi precoce.
Lo studio della conduzione nervosa viene suddiviso in studio conduzione nervosa motoria (neurografia motoria) e
studio conduzione nervosa sensitiva (neurografia sensitiva).Stimolando i tronchi nervosi sensitivi e motori in sede
distale e prossimale si può ottenere la velocità di conduzione sensitiva e motoria, che viene calcolata con la seguente
formula:
distanza
Velocità di Conduzione(CV)= ------------------------------------------------
latenza prossimale - latenza distale
ove la latenza rispecchia il tempo necessario al potenziale d'azione per percorrere la distanza tra la sede di
stimolazione e quella di registrazione e dipende soprattutto dalla conduzione lungo gli assoni sensitivi e motori.
Un rallentamento della velocità di conduzione motoria del tratto polso-dito superiore a 4 msec è considerato positivo
per sindrome del tunnel carpale.
Si possono distinguere tre fasi evolutive:
1- fase pre-clinica: elettromiografia negativa con ecografia positiva per flogosi delle strutture anatomiche
2- fase della compressione: elettromiografia ed ecografia positive con comparsa dell'evidenza clinica
3- fase del danno irreversibile: aggravamento di elettromiografia ed ecografia rispetto alla fase della compressione
Conclusioni diagnostiche
Non esiste un “gold standard” perfetto per la diagnosi di sindrome del tunnel carpale. Infatti numerosi studi hanno ben
documentato casi di falsi positivi e di falsi negativi anche con metodi elettromiografici; le diagnosi più accurate si
ottengono combinando l'elettromiografia con la sintomatologia soggettiva. L’aggiunta di dati clinici (test di Phalen e
Tinel) non migliora la qualità della diagnosi; in assenza di elettromiografia i risultati migliori si ottengono combinando
la sintomatologia soggettiva con i dati clinici
Sindrome del Tunnel Radiale:
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In vicinanza del gomito il nervo radiale si divide in una parte motoria profonda ed una sensitiva superficiale. Diverse
strutture tendinee e muscolari costituiscono il tunnel radiale ove il nervo può essere compresso
I sintomi sono rappresentati da dolore alla regione laterale del gomito o ai muscoli estensori/supinatori
dell’avambraccio e da impotenza soggettiva nei muscoli estensori dell’avambraccio
Sindrome del Tunnel Cubitale:
Il tunnel cubitale dove scorre il nervo ulnare a livello del gomito, è un canale osseo formato dall’epicondilo mediale e
dall’olecrano. Il pavimento ed il tetto del canale sono formati da strutture fibro-tendinee
Sintomi: parestesie intermittenti dell’estremità distale del gomito al 4° e 5° dito della mano
4)Sindrome del Canale di Guyon:
Il canale di Guyon, dove scorre il nervo e l’arteria ulnare, è delimitato dall’osso uncinato e dal piriforme. Nel canale
non scorrono tendini.
Sintomi: parestesie intermittenti alla mano nel territorio di distribuzione del nervo ulnare oppure dolore alla mano nel
territorio di distribuzione del nervo ulnare con possibile irradiazione all’avambraccio
Epicondilite laterale e mediale (epitrocleite):
L'epicondilite è una condizione caratterizzata da dolore intermittente, a livello del gomito, del tendine nel punto di
giunzione tra muscolo e tendine o nel punto di inserzione dei muscoli estensori, in particolare dell'estensore radiale
breve del carpo (epicondilite laterale) o dei muscoli flessori del carpo (epicondilite mediale o epitrocleite), dovuta ad
un processo flogistico dei rispettivi tendini (tenosinovite).
Il paziente lamenta , come primo sintomo, dolore generalmente localizzato a livello dell'epicondilo laterale o mediale,
ma con possibile irradiazione del dolore anche distalmente lungo l'avambraccio. Può esser presente difficoltà nella
presa di oggetti La sintomatologia è lavoro-correlata ed è provocata dall'afferrare o sollevare oggetti, nei movimenti
di pronazione e supinazione dell'avambraccio. Nella fase acuta il dolore è presente a riposo,anche durante la notte.
La patogenesi si ipotizza possa essere legata a piccole lesioni continue che si vengono a creare a causa della
sproporzione tra la dimensione del tendine e la piccola superficie dell’epicondilo su cui si inserisce. All'esame
istologico si presenta un quadro di tipo degenerativo: il tendine è edematoso, grigio, friabile, con fibre convolute e con
granulazioni.
Diagnosi strumentale:
A) RX: per escludere calcificazioni tendinee e patologie degenerative articolari
B) Ecografia, per documentare:
1) Tendinite: areole anecogene confluenti a livello dell’inserzione dei muscoli epicondiloidei
2) Versamento endoarticolare: area anecogena che separa le rime osse
3) Epicondilosi (processi cronici): calcificazioni intramurali con tipico cono d’ombra
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4) Flogosi borsa retro-olecranica: area ovalare a contenuto misto (ipo/ane/iso-ecogeno) con forte rinforzo della
parete posteriore
Tenosinovite dei Flessori/Estensori di Avambraccio/Polso
Nelle azioni forzate e ripetitive il coinvolgimento delle strutture tendinee è costante e può determinare sia un
aumento della pressione interna in grado di causare sia una ischemia relativa che la rottura di un piccolo numero di
fibre collagene, attivando, così, un processo riparativo, caratterizzato da una prima fase infiammatoria, cui segue la
fase riparativa e di rimodellamento che può esitare in una guarigione incompleta con fragilità permanente del
tendine(Fig. n.2).
Nelle tenosinovite dei flessori e degli estensori di avambraccio e polso i sintomi sono rappresentati da dolore
intermittente localizzato in regione ventrale o dorsale dell’avambraccio o del polso
Fig. n.2 - Patogenesi delle tendiniti e tenosinoviti
Diagnosi strumentale
Vengono colpiti con più frequenza i flessori del lato ulnare, soprattutto in prossimità dell’osso piriforme
All'ecografia nella fase iniziale appaiono modeste ed irregolari alterazioni del profilo tendineo, talvolta con incisure e/o
concavità a carico del solo margine superiore dei tendini; nella fase avanzata si evidenzia un ingrossamento del
tendine per edema o per cronicizzazione della patologia; talvolta sono ben apprezzabili eventuali microcalcificazioni
intramurali o peritendinee. Può essere utile un accertamento radiografico del polso nel sospetto di frattura a carico
dell’osso piriforme da possibile origine traumatica.
ROTTURA DI UN PICCOLONUMERO DI FIBRE COLLAGENE
PROCESSORIPARATIVO
DEPOSIZIONE DELLEFIBRE COLLAGENE
IPERTROFICANORMALE
INCOMPLETA
FRAGILITA’ PERMANENTE
INFIAMMATORIORIPARATIVORIMODELLAMENO
Pressione > 30 m mHg conISCHEMIA RELATIVA DEL
TENDINE
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Sindrome di De Quervain
È una tenosinovite stenosante a carico dei muscoli abduttore lungo ed estensore breve del pollice al passaggio sulla
stiloide radiale: i due tendini scorrono nella doccia tra lo stiloide radiale ed il retinacolo degli estensori del polso e
nelle attività che impongono ripetute abduzioni del pollice( usare pinze, stringere con forza, ecc.) si vengono a creare
microtraumatismi in grado di provocare una infiammazione dei tendini e della sinovia con successiva riduzione di
spessore della sinovia ed appiattimento del tendine(Fig. n.3).
Fig. n.3 - Tenosinovite di De Quervain
I sintomi sono rappresentati da dolore intermittente o contrattura localizzata alla regione radiale del polso, che può
irradiarsi prossimamente all’avambraccio o distalmente al primo dito
Diagnosi:
1)Ecografia: normalmente i due tendini, abduttore lungo ed estensore breve del pollice, presentano la tipica struttura
ipoecogena a decorso lineare, ben identificabili coi movimenti di abduzione ed adduzione del pollice:
nel caso di tendinite l'ecostruttura appare disomogenea con edema di accompagnamento dei tessuti molli viciniori ed
è presente dolore alla pressione mirata della sonda;
nel caso di tenosinovite: irregolarità del profilo tendineo con anomalie del calibro dei 2 tendini, specie in sede iuxta
articolare
2)Esami di Laboratorio: per diagnosi differenziale con sinovite in corso di artrite reumatoide o di altre malattie
autoimmunitarie
RETINACOLOESTENSORI
SINOVIA
TENDINENormale
Tenosinovitedi De Quervain
Grave
RETINACOLOESTENSORI
TENDINE
SINOVIA
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Il test semeiologici con valore diagnostico è il test di Finkelstein (dx/sx), sottoriportato.
Significato Stiramento passivo dell’abduttore lungo e dell’estensore breve del pollice per la diagnosi di
Malattia di De Quervain
Paziente Seduto; avambraccio appoggiato sul tavolo in pronazione, polso esteso di circa 20°, pollice tra
le dita chiuse a pugno
Esaminatore Eretto o seduto
Descrizione
(arto dx)
La mano sx dell’esaminatore stabilizza la parte distale dell’avambraccio sul lato ulnare, la
mano dx afferra la mano chiusa a pugno del pz ed esercita forza delicatamente nel senso
dell’abduzione ulnare. Il pz resiste contrapponendosi
Positivo se.. Insorgenza del dolore in prossimità del polso sul lato radiale
Dito a scatto
Una flogosi pronunciata della sinovia dei tendini flessori delle dita, causata, spesso, dall'uso di strumenti di lavora con
bordi rigidi ed acuti, può determinare un blocco parziale dello scorrimento del tendine durante la flessione del dito.
Il blocco della motilità del dito in flessione viene superato con uno scatto forzando la flessione, ma determinando
l'insorgenza di dolore.
La patogenesi è identica a quella della sindrome di De Quervain.
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Sindrome della Cuffia dei Rotatori
In passato tutte le sindromi dolorose della spalla venivano diagnosticate con il termine generico di periartrite scapolo-
omerale, con l'introduzione di tecniche diagnostiche strumentali più evolute si è potuto meglio definire il reale
coinvolgimento delle strutture anatomiche del cingolo scapolo-omerale. Attualmente dette sindromi, inclusa la
sindrome della cuffia dei rotatori, vengono inquadrate con il termine di attrito/conflitto acromio-omerale(impimgement
syndrome).
Le formazioni anatomiche interessate nella sindrome della cuffia dei rotatori sono i tendini, privi di guaina, dei muscoli
sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare(muscoli extrarotatori dell'arto superiore) con funzione di
contenere l'articolazione della spalla e permettere l'elevazione sul piano frontale (abduzione) (Fig. n.4).
Fig. n.4 - Articolazione della spalla
L a sindrome della cuffia dei rotatori è una irritazione delle strutture sotto acromiali(i tendini della cuffia dei rotatori,la
borsa sottoacromiale) dovuta ad una diminuita vascolarizzazione ed ad un processo degenerativo dei tessuti causati
dal ripetuto schiacciamento (impingement) dei tendini della cuffia dei rotatori e della borsa sottoacromiale, durante i
movimenti di elevazione dell'arto superiore( come nell'indossare un maglione), tra la testa dell'omero ed il processo
acromiale della scapola.
I processi anatomopatologici consistono in una degenerazione, sino alla necrosi fibrillare, dei tendini con rottura
parziale o completa, più frequentemente a carico del tendine del muscolo sopraspinoso e degli altri tendini dei
muscoli rotatori alla inserzione omerale(entesopatia),nonché del tendine del capo lungo del bicipite brachiale. La
rottura della cuffia è la fase terminale di un impingement protratto e, spesso, coesiste una infiammazione della
borsa sottoacromiale. È frequente l'evoluzione calcifica ( Fig. n.5 e Fig. n.6).
Cuffia dei rotatori :•tend.m.sovraspinato•tend.m.sottospinato•tend.m.piccolo rotondo•tend.m.sottoscapolare
Inserzioni:dalla scapola(sopra la spina, sotto laspina, sotto la scapola)alla grande tuberositàdella testa dell’omero
Funzioni:contenere l’articolazionedella spalla e permetterel’elevazione sul pianofrontale (abduzione)
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Fig. n.5 - Meccanismo patogenetico della tendinite del m. sovraspinato
Fig. n.6 - Evoluzione della tendinite calcifica e della borsite
La sintomatologia è caratterizzata da dolore intermittente alla spalla o alla regione deltoidea senza parestesie, legato
all'attività, che viene esacerbato dell’estensione attiva dell’arto sup. come nel portare la mano nella regione cervicale
o indossare un maglione
Diagnosi strumentale
L'esame ecografico è fondamentale: la valutazione della spalla deve essere sempre di tipo comparativo e deve
riguardare sia le strutture muscolo-tendinee che i tessuti molli periarticolari.
A seconda delle fasi della malattia si possono distinguere diversi quadri ecografici:
1)Tendinite “classica”: modeste ed irregolari alterazioni del profilo tendineo, talvolta con incisure e/o concavità a
carico del solo margine superiore dei tendini e versamento liquido intramurale
2)Lacerazioni tendinee recenti: se parziali, ecostruttura disomogenea con aree lamellari anecogene;
cuffia
delto
ide
normale
tend.calcifica
Fuoriuscitadi sali diCa++ daltendine
irritaz.borsa
borsiteborsiteadesiva
rotturadellaborsa
acromion
omero
normale abduzioneInfiammazione e degenerazione iniziale
Depositocristallidi calcio
Fase silente ancora cristallina
Fase assorb.fluidi -> sali
Fase dellairritazione
Fase deldolore
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se totali: sede abituale “disabitata” con eventuali edemi o ematomi di accompagnamento (aree anecogene)
3)Lacerazioni tendinee pregresse: vistoso assottigliamento del tendine, presenza di millimetriche calcificazioni e di
alterazioni osteo-cartilagineee( tipica “dentatura” del profilo della testa omerale)
I tests semeiologici con valore diagnostico sono sotto riportati
Test: ARCO DOLOROSO
Significato Abduzione ed elevazione attiva della spalla per la diagnosi della sindrome della cuffia dei
rotatori
Paziente Eretto con gli arti superiori lungo il corpo e con i pollici orientati centralmente
Esaminatore Di fronte al paziente
Descrizione Sollevare gli arti fino all’altezza delle spalle, poi ruotare il palmo della mano verso l’alto e
congiungere la mani al di sopra della testa
Positivo se.. Insorgenza del dolore durante l’esecuzione della manovra tra 60° e 120° di abduzione
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Test: ELEVAZIONE ATTIVA DELL’ARTO (DX/SX) (test n. 4)
Paziente Eretto
Esaminatore Dietro al paziente
Descrizione Portare la mano dietro al capo e toccare con la punta delle dita la parte
superiore della scapola controlaterale
Positivo se.. Insorgenza del dolore durante o alla fine dell’esecuzione della manovra
Sindrome tensiva del collo:
Dolore al collo e alle spalle associato a movimenti della testa, frequentemente lamentato da chi lavora con il collo
flesso. Interpretazione eziopatogenetica: è una mialgia sostenuta dal fatto che nel mantenimento di questa postura
vengono reclutate le fibre muscolari di tipo 1 più lente e meno affaticabili delle fibre veloci di tipo II. Il loro
reclutamento, con un impiego limitato di forza, permette un’attività prolungata nel tempo, senza insorgenza della
sensazione di fatica muscolare.. La mancata insorgenza di fatica, durante questo tipo di attività, può invece
determinare significativi danni muscolari (“Cinderella Hypothesis”).
Obblighi di legge.
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Il D. M. del Lavoro 27 Aprile 2004 che elenca le malattie per le quali è obbligatoria la denuncia nel gruppo 2 (malattie
da agenti fisici) riporta la voce “Microtraumi e posture incongrue a carico degli arti superiori per attività eseguite con
ritmi continui e ripetitivi per almeno metà del tempo del turno lavorativo”
(malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità) riporta le seguenti malattie: tendinite cuffia dei rotatori,
epicondilite, epitrocleite, borsite olecranica, tendiniti flessori/estensori polso-dita, dito a scatto, sindrome diI
de Quervain, sindrome del tunnel carpale.
Nella lista II (malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità per le quali non sussistono ancora conoscenze
sufficientemente approfondite) riporta le seguenti malattie: sindrome da intrappolamento del nervo ulnare al gomito e
la sindrome del canale di Guyon.
Nella lista III (Malattie la cui origine lavorativa si può ritenere possibile e per le quali non è definibile il grado di
probabilità per le sporadiche e ancora non precisabili evidenze scientifiche) riporta la sindrome dello stretto toracico
(esclusa la forma vascolare) ed il morbo di Dupuytren.
Per tutte le sopra citate malattie l’obbligo del medico è di:
4. Compilare ildi Certificato Medico per le malattie professionali (per attivare l’azione risarcitoria).
Il Medico lo consegna al lavoratore che lo consegna alla azienda che lo invia all’INAIL.
5. Denunciare la malattia professionale all’ASL (per attivare organo di vigilanza).
6. Compilare il Referto Medico alla Autorità Giudiziaria (per attivare l’azione repressiva).
L’azione repressiva scatta nella ipotesi di lesione personale grave o gravissima (più di 40 giorni) o
indebolimento di un organo di senso, o quando le lesioni siano conseguenza di violazione di norme per la
prevenzione di infortuni o relative all’igiene del lavoro.