l’attività estrattiva nella vena del Gesso romagnola · nata, per motivi geologici connessi alla...

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199 Stefano Piastra* L’attività estrattiva nella Vena del Gesso romagnola Aspetti paesistici, socio-economici e culturali di una vocazione di lungo periodo * Fudan University, Institute of Historical Geography, Shanghai / Alma Mater Studiorum Università di Bologna [email protected] Abstract: In the Messinian Gypsum outcrop of the Vena del Gesso romagnola (Romagna Apennines, Emilia-Romagna Region, Northern Italy), Gypsum bedrock constituted, through the centuries, a serious obstacle both for agriculture and breeding, while it made possible, since Roman Age until now, a mining exploitation based on the use of Primary selenite as building material and, once roasted and grinded, as mortar or plaster. Gypsum quarries and kilns, features quite common in the local landscape, until the middle of the 20 th century had a negligible environmental impact, then they became in the last decades, because of the use of machines and the huge increase of the volumes of stone quarried, one of the most severe conservationist problems in the area. But the linkage between Gypsum and local communities is not related to economic and industrial issues only. In the Vena del Gesso romagnola, Gypsum quarrying had, in a long term historical perspective, significant social reflections (the traditional jobs of the so-called ‘gessaroli’, that is Gypsum quarrymen, and ‘fornaciai’, that is Gypsum kiln workers, but also carters specialized in the transport of the mineral), and plays even now an important role with regard to local identity and culture, both intangible and tangible: it is the case of the specific veneration, in Brisighella, for Saint Marinus, quarrymen patron, or Industrial Archaeology heritage here located (quarries and kilns dating back to the 19 th and 20 th centuries). Currently, as most of the mining sites of the Vena del Gesso romagnola are closed, the deep linkage between the local community and Gypsum mining is at risk and weaker. Though local public institutions are still experiencing reduction in budget because of the economic crisis in Italy, to save the memory of this mining district, and to restore Gypsum-related cultural sites, appear a key-issue. In this framework, the Vena del Gesso Romagnola Regional Park, local authority which is officially in charge for the management of the area, should play a pivotal role in the coordination of projects and programmes. Sebbene ampiamente ricordato dalle fon- ti classiche e post-classiche in riferimento al territorio emiliano-romagnolo e ora, specie in relazione all’età romana, individuato con certezza dalle ricerche archeologiche, lo sfrut- tamento del gesso secondario per la realizza- zione di finestre (il lapis specularis degli autori latini) rappresentò tuttavia storicamente, nella Vena del Gesso romagnola, un’attività pro- duttiva “di nicchia”, minoritaria se paragonata all’estrazione e alla lavorazione della selenite primaria. Quest’ultima risulta infatti enormemente più comune e va a costituire il grosso degli affiora- menti evaporitici stessi; essa può essere inoltre cavata molto più comodamente a cielo aper- to, in siti di dimensioni anche cospicue e sulla base di tecnologie elementari, quando invece la coltivazione del lapis è forzatamente confi- nata, per motivi geologici connessi alla genesi del gesso secondario, in una miriade di angusti micro-siti, in corrispondenza di cavità naturali o di fratture dell’ammasso gessoso. Non a caso, la pressoché totale rimozione, nella memoria locale collettiva, della nozione stessa di tale uso del gesso secondario depone a favore di una sua marginalità, se non di una sua scomparsa quasi totale, per lo meno negli ultimi 150 anni circa. Attraverso i secoli sino in pratica ad oggi, il nucleo centrale della vocazione estrattiva dei gessi romagnoli fu dunque imperniato sull’im- piego del gesso primario come materiale da co- struzione e, una volta cotto e macinato, come legante o intonaco. Di norma, i locali compar- ti industriali si articolavano spazialmente in cave a cielo aperto e in fornaci per la cottura e polverizzazione del minerale, queste ultime solitamente ubicate nelle immediate vicinanze del sito estrattivo, a rispecchiare un modello classico della geografia economica, ovvero il Modello di Weber. I motivi del successo di questa tradizione e degli utilizzi sopra menzio- nati vanno ricercati, nonostante le caratteristi- che geomeccaniche tutt’altro che ottimali della selenite, nella sua relativa rarità in ambito re-

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Stefano piastra*

l’attività estrattiva nella vena del Gesso romagnolaAspetti paesistici, socio-economici e culturali

di una vocazione di lungo periodo

* Fudan University, Institute of historical geography, Shanghai / alma mater Studiorum Università di [email protected]

abstract: In the Messinian Gypsum outcrop of the Vena del Gesso romagnola (Romagna Apennines, Emilia-Romagna Region, Northern Italy), Gypsum bedrock constituted, through the centuries, a serious obstacle both for agriculture and breeding, while it made possible, since Roman Age until now, a mining exploitation based on the use of Primary selenite as building material and, once roasted and grinded, as mortar or plaster. Gypsum quarries and kilns, features quite common in the local landscape, until the middle of the 20th century had a negligible environmental impact, then they became in the last decades, because of the use of machines and the huge increase of the volumes of stone quarried, one of the most severe conservationist problems in the area. But the linkage between Gypsum and local communities is not related to economic and industrial issues only. In the Vena del Gesso romagnola, Gypsum quarrying had,inalongtermhistoricalperspective,significantsocialreflections(thetraditionaljobsof theso-called‘gessaroli’,thatisGypsumquarrymen, and ‘fornaciai’, that is Gypsum kiln workers, but also carters specialized in the transport of the mineral), and plays even nowanimportantrolewithregardtolocalidentityandculture,bothintangibleandtangible:itisthecaseof thespecificveneration,inBrisighella, for Saint Marinus, quarrymen patron, or Industrial Archaeology heritage here located (quarries and kilns dating back to the 19th and 20th centuries). Currently, as most of the mining sites of the Vena del Gesso romagnola are closed, the deep linkage between the local community and Gypsum mining is at risk and weaker. Though local public institutions are still experiencing reduction in budget because of the economic crisis in Italy, to save the memory of this mining district, and to restore Gypsum-related cultural sites, appearakey-issue.Inthisframework,theVenadelGessoRomagnolaRegionalPark,localauthoritywhichisofficiallyinchargeforthe management of the area, should play a pivotal role in the coordination of projects and programmes.

Sebbene ampiamente ricordato dalle fon-ti classiche e post-classiche in riferimento al territorio emiliano-romagnolo e ora, specie in relazione all’età romana, individuato con certezza dalle ricerche archeologiche, lo sfrut-tamento del gesso secondario per la realizza-zione di finestre (il lapis specularis degli autori latini) rappresentò tuttavia storicamente, nella Vena del gesso romagnola, un’attività pro-duttiva “di nicchia”, minoritaria se paragonata all’estrazione e alla lavorazione della selenite primaria. Quest’ultima risulta infatti enormemente più comune e va a costituire il grosso degli affiora-menti evaporitici stessi; essa può essere inoltre cavata molto più comodamente a cielo aper-to, in siti di dimensioni anche cospicue e sulla base di tecnologie elementari, quando invece la coltivazione del lapis è forzatamente confi-nata, per motivi geologici connessi alla genesi del gesso secondario, in una miriade di angusti micro-siti, in corrispondenza di cavità naturali o di fratture dell’ammasso gessoso.

non a caso, la pressoché totale rimozione, nella memoria locale collettiva, della nozione stessa di tale uso del gesso secondario depone a favore di una sua marginalità, se non di una sua scomparsa quasi totale, per lo meno negli ultimi 150 anni circa.attraverso i secoli sino in pratica ad oggi, il nucleo centrale della vocazione estrattiva dei gessi romagnoli fu dunque imperniato sull’im-piego del gesso primario come materiale da co-struzione e, una volta cotto e macinato, come legante o intonaco. di norma, i locali compar-ti industriali si articolavano spazialmente in cave a cielo aperto e in fornaci per la cottura e polverizzazione del minerale, queste ultime solitamente ubicate nelle immediate vicinanze del sito estrattivo, a rispecchiare un modello classico della geografia economica, ovvero il modello di Weber. I motivi del successo di questa tradizione e degli utilizzi sopra menzio-nati vanno ricercati, nonostante le caratteristi-che geomeccaniche tutt’altro che ottimali della selenite, nella sua relativa rarità in ambito re-

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Fig. 1. Biblioteca Comunale di Imola, Archivio Storico Comunale, Piante e disegni di strade, n. 63. Carta databile alla fine del XVIII-inizi del XIX secolo; stralcio relativo alla forra del rio Sgarba (qui cartografato come «rio di tremosasso»), affluente di destra del Santerno. La vocazione all’attività estrattiva di tale area è evidenziata dal toponimo «Gessare» e dalla rappresentazione di tre piccole fornaci da gesso con tanto di pennacchi di fumo. l’abitato di tossignano è realisticamente rappresentato sulla sommità della Vena del gesso romagnola (da Piastra 2008).

1 menicali 1992, p. 104; caGnana 2000, p. 125.2 cerioli, cornia 2002; del monte 2005, pp. 11-12.3 ci riferiamo alla cava di gesso di età romana rinvenuta a tossignano, negli anni ottanta del novecento, in occasione della costruzione della locale casa di riposo: BomBardini 2003, pp. 37-39.4 Piastra 2007, p. 161.

gionale, nella sua scarsa durezza e conseguente facilità di lavorazione, nella sua cottura in spe-cifiche fornaci a temperature sensibilmente più basse rispetto alle rocce carbonatiche1, fattori che contribuirono a fare soprattutto del gesso cotto, nel tempo, un prodotto concorrenziale, almeno nel contesto regionale, alla calce.Nella Vena del Gesso, in significativo paralle-lo rispetto all’area bolognese2, le prime atte-stazioni relative ad una coltivazione del gesso risalgono ad età romana3, ma verosimilmente si trattò, in questa fase, di un uso limitato4. Il settore locale del gesso si sviluppò in modo più deciso tra tardo medioevo ed età moderna, per poi conoscere una vera e propria esplo-sione in età contemporanea, sulla scia dello sviluppo tecnologico e dell’aumento della do-

manda, delineandosi di fatto come un piccolo distretto minerario.Diretto riflesso di tale processo fu il fatto che cave e fornaci da gesso diventarono una pre-senza abituale nel paesaggio della Vena, altri-menti sede di scarse attività umane in conse-guenza dei suoi suoli poco fertili, delle mor-fologie aspre, dell’assenza di un reticolo idro-grafico superficiale e delle difficoltà connesse al reperimento di acque potabili. non a caso, a riprova della consistenza numerica dei siti estrattivi o produttivi, ma anche dell’impor-tante ruolo rivestito da essi nell’ambito della percezione dei luoghi, la cartografia storica databile tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo riporta frequentemente cave e fornaci da gesso (Figg. 1, 2); lo stesso dicasi,

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Fig. 2. archivio comunale di riolo terme, copia delle mappe del catasto gregoriano (1811-1814), mappa Costa Crivellari, foglio VI (stralcio). In destra idrografica del Senio, a valle della “stretta di rivola”, è evidenziata una fornace da gesso, indicata come «Fornace di S. martino» (da Piastra 2013).

5 Grimandi 1984-1985; Bentini et al. 2011.6 per un bilancio di questa fase, si veda costa, Piastra 2010.7 Sull’evoluzione, le implicazioni e le problematiche gestionali di tale sito estrattivo (tra i più grandi in europa in relazione al gesso), si rimanda a I Gessi e la cava 2013.8 Varani 1974; VeGGiani 1979; saVorani 1984; raccaGni 1994, pp. 300-303.9 In riferimento a Brisighella, si vedano malPezzi 1991 e Piastra 2007, p. 172; in riferimento a Borgo tossignano, PoGGi 2004, p. 91.

per tempi più recenti, in relazione alla fotogra-fia storica: a titolo esemplificativo, riportiamo un’immagine risalente agli anni trenta del XX secolo (Fig. 3), la quale dimostra inconfuta-bilmente quanto le cave fossero considerate centrali nell’identità locale, al punto da essere visitate e fotografate nell’ambito di “gite fuori porta” in bicicletta da parte di persone resi-denti in località limitrofe alla Vena del gesso romagnola.dopo secoli di “simbiosi” tra poli di escava-zione e quadri ambientali, un vero e proprio momento di svolta circa l’impatto dei fronti estrattivi sul paesaggio avvenne a partire dal-la metà circa del XX secolo. In quegli anni le cave adottarono ora modalità e tecnologie pie-namente industriali, aumentando esponenzial-mente, sulla scia del boom economico italiano e dell’ampliamento dei settori di applicazione del gesso, i volumi rocciosi abbattuti e inizian-do, allo stesso tempo, imponenti coltivazioni in sotterraneo. di conseguenza, in pochi de-cenni, nella Vena del gesso come negli altri af-fioramenti evaporitici regionali5, i siti estrattivi conobbero dunque una rapida transizione da segno antropico nel paesaggio a minaccia per la conservazione del paesaggio stesso dei ges-si. tale stagione vide una dura contrapposizio-

ne tra una vecchia visione delle evaporiti come risorsa da consumare, propria del mondo economico-finanziario, tecnico e di gran parte di quello politico, e una nuova concezione dei gessi come emergenza ambientale da preser-vare, propria di parte del mondo accademico, di quello ambientalista e in modo particolare di quello speleologico (i fronti di avanzamen-to e le gallerie andavano infatti a intercettare i reticoli carsici, alterando irreversibilmente l’idrologia sotterranea e distruggendo le cavità naturali)6. la dinamica sopra accennata conobbe i suoi esiti finali tra gli anni Ottanta e i primi anni novanta del novecento, quando, essenzial-mente sulla base di motivi economici, la stra-grande maggioranza delle cave di gesso emilia-no-romagnole venne chiusa, e contemporane-amente fu deciso di mantenere aperto un solo sito, la cava di monte tondo (riolo terme), polo-unico di estrazione del gesso in ambito regionale, tuttora in attività7.ma l’interesse della storia dello sfruttamento dei gessi romagnoli non si esaurisce al solo piano paesistico o produttivo. Soprattutto per l’età contemporanea, periodo per il quale le fonti a disposizione sono più nu-merose, e specialmente per gli anni precedenti alla “grande trasformazione” della metà del novecento, che qui più interessano, è possibile ricostruire i riflessi in chiave sociale ed econo-mica di questo comparto estrattivo: all’inter-no delle comunità locali, una fetta importante dell’occupazione, direttamente o indiretta-mente, gravitava infatti attorno all’escavazione o alla lavorazione del minerale. è il caso dei cosiddetti “gessaroli”8 (cavatori di gesso) e dei “fornaciai” (addetti alle fornaci da gesso, ma spesso anch’essi detti “gessaroli” per analogia e in quanto i due mestieri risultavano frequen-temente intercambiabili tra loro), ma anche dei birocciai specializzati nel trasporto del prodotto finito verso i mercati, specialmente quelli della vicina pianura romagnola9. Quelli dei “gessaroli” e dei “fornaciai” erano mestie-

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Fig. 3. archivio privato di tino Biancini (originario di castelbolognese), ora presso ennio Biancini, Bologna. gita e foto di gruppo presso un sito estrattivo nei Gessi di Brisighella, da identificarsi probabilmente nella cava di proprietà carroli, i cui fronti si aprivano lungo i versanti meridionale, orientale e occidentale della valle cieca della tana della Volpe. al centro, si notano i binari della decauville funzionale al trasporto del minerale sino alla poco lontana fornace; presso le persone ritratte si scorgono cumuli di pezzame gessoso destinati alla cottura. Il fronte di avanzamento, sullo sfondo, appare pericolosamente instabile, fratturato e non perpendicolare al piano di campagna. Fotografia databile agli anni trenta del novecento.

10 PoGGi 1999, p. 139.11 Vedi ad esempio Grizi 1907, p. 247 e malFitano 2012, p. 55.12 Piastra 2007, p. 168.13 Il Parco Museo 2007.

ri di fatica, caratterizzati da attrezzi assoluta-mente rudimentali e da condizioni di lavoro pericolose, come dimostrano le notizie circa frequenti infortuni, anche mortali, riportate nei documenti e, per tempi più recenti, dal-le testimonianze orali. a margine di una tale situazione era poi un diffuso degrado sociale tra di essi, testimoniato nella documentazio-ne scritta, in una prospettiva di lungo periodo (XVII-XIX secolo almeno), da frequenti risse

per futili motivi tra “gessaroli” abbrutiti dal vino10, o da casi giudiziari in cui tali lavoratori erano spesso coinvolti11.Un’ultima dimensione della storia estrattiva nei gessi romagnoli è di tipo culturale.l’escavazione del gesso, portata avanti per secoli, diventò uno dei fondamenti dell’iden-tità della comunità residente, ritagliandosi uno spazio importante anche nell’universo antro-pologico e folklorico locale: ne è un esempio la particolare venerazione nei confronti di S. marino, protettore dei cavatori, attestata sino al recente passato presso la chiesa comu-nale di S. Francesco di Brisighella12.ma, se queste erano le implicazioni di tipo cul-turale dei gessi sino al recente passato, oggi, nel più ampio quadro della deindustrializza-zione italiana, della globalizzazione ma anche, in una concezione transcalare di quest’ultima, di un rinnovato peso dato al territorio locale, emergono nuove prospettive in proposito.ai nostri giorni, l’“epopea” del gesso è ormai declinata al passato e la maggior parte dei siti di escavazione, eccettuato, come detto, quello di monte tondo, è chiusa da oltre vent’anni. Si pone dunque con estrema urgenza una ricon-siderazione complessiva delle cave e fornaci da gesso ottocentesche e novecentesche della Vena non come siti dismessi, bensì come pa-trimonio culturale, e appare fondamentale, una volta recuperate, una loro rigenerazione come risorse e “luoghi” per sedi museali, didattica, educazione ambientale, escursionismo. Importanti esperienze in tal senso sono stati il recupero dell’ex cava monticino di Brisighella e la sua riconversione a geoparco (2006-2007)13, oppure il restauro e la musealizzazione (2011) della fornace da gesso di proprietà malpez-zi più antica, databile al XIX secolo, ubicata presso la rocca di Brisighella (Fig. 4).allo stesso tempo, la salvaguardia dei “segni” dell’archeologia industriale legata all’estrazione del gesso si riallaccia, a sua volta, a un’ulterio-re dimensione culturale odierna della selenite, questa volta di tipo immateriale. Il profondo legame tra la comunità locale e l’attività estrat-

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Fig. 4. la fornace da gesso di proprietà malpezzi, databile al XIX secolo, ubicata presso la rocca di Brisighella, oggetto di recupero e musealizzazione nel 2011 (foto S. piastra). di fronte a tale struttura sorge una seconda fornace da gesso più recente (1926), di dimensioni maggiori, in condizioni statiche purtroppo critiche.

14 Piastra 2012; Piastra, costa 2012; Piastra, costa 2013.15 Piastra et al. 2013. Il docu-film La memoria dei gessi è visionabile presso il canale YouTube del parco regionale della Vena del gesso romagnola all’Url http://www.youtube.com/watch?v=FQIghpk8ijo.

tiva rischia di indebolirsi; una delle sfide dei prossimi decenni consiste proprio nel mante-nimento di tale “memoria collettiva”, che può passare in parte, come detto sopra, tramite il restauro, la musealizzazione e la divulgazio-ne delle emergenze culturali fisiche connesse all’estrazione del gesso, ma che in parte può basarsi direttamente su una trasmissione inter-generazionale dei ricordi e dell’oralità, mediati attraverso nuovi strumenti multimediali. Un contributo in tal senso è il progetto “arca del-la memoria”, sviluppatosi tra 2010 e 201214: si tratta di un database di interviste digitali ad anziani che hanno vissuto nel passato recen-te sulla Vena del gesso romagnola (17 inter-viste per più di dieci ore di filmati, montati professionalmente), incentrate sui rapporti uomo-ambiente e navigabili attraverso parole-chiave. all’interno delle interviste, l’estrazione del gesso assume un ruolo di primo piano e di essa parlano, sul filo dei ricordi ma in modo diretto e in prima persona, ex “gessaroli”, ex “fornaciai” o ex cavatori. accessibile tramite una postazione informatica dedicata, tale da-tabase è ospitato presso il museo del paesag-gio dell’appennino Faentino di riolo terme,

centro di documentazione del parco regiona-le della Vena del gesso romagnola. ma non è tutto. consci del fatto che un simile archivio visivo digitale, conservato fisicamen-te all’interno di una sede museale, avrebbe escluso dalla fruizione i bambini, i più anziani o i turisti occasionali, si è deciso di affianca-re ad esso un docu-film, allo scopo di allar-gare la base di utenza del progetto attraverso un lavoro divulgativo, di impatto emozionale e facilmente veicolabile attraverso la rete. Il docu-film, intitolato La memoria dei gessi15 e di-retto da t. cicognani (2012), tratta di nuovo diffusamente al suo interno del rapporto cave-comunità locale.come analizzato, le vicende estrattive nei gessi romagnoli costituiscono ormai per i residenti un fattore di identità, consapevolezza e senso di appartenenza; di fatto, esse sono o dovreb-bero essere considerate un bene culturale, sia materiale che immateriale, che va a saldarsi e a integrarsi con il patrimonio di scoperte e studi relativi, per periodi storici più antichi, al lapis specularis.In quanto tali, la gestione e valorizzazione di queste emergenze spetta ora al parco regionale

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16 costa, Piastra 2010.17 turri 2004, pp. 128, 155-156; turri 2006, pp. 174-175.

della Vena del gesso romagnola, istituito nel 2005 dopo un dibattito quasi quarantennale16 e attualmente ricompreso all’interno dell’ente di gestione per i parchi e la Biodiversità – ro-magna, nell’alveo di una prospettiva, peraltro ben presente all’interno della rete delle aree protette emiliano-romagnole, tesa a conside-rare un parco un ente di gestione territoriale a 360 gradi, e quindi attento non solo ai valori naturali, ma anche ai valori storico-culturali e agli iconemi17 del territorio che va a gestire.non si tratta di una missione facile, poiché specie il patrimonio archeologico industriale della Vena del gesso risulta cospicuo ma allo

stesso tempo labente, e i siti e le strutture che potrebbero essere acquisiti e recuperati (ricor-diamo, tra le altre, le cave paradisa e SpeS (la seconda in gran parte coltivata in galleria) a Borgo tossignano e tossignano, la fornace da gesso Villa-lanzoni a Borgo rivola, la fornace da gesso malpezzi più recente presso la rocca di Brisighella, oppure la cava marana, sempre a Brisighella, quest’ultima incamerata dall’ente parco tra 2012 e 2013 e in attesa di un piano di ripristino e fruizione) mostrano costi spesso proibitivi, nella congiuntura economica odier-na, per il settore pubblico del nostro paese.

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