Italy-India business and commercial partnership: Destination India ...
Italy-India
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DO YOU SPEAK INDIA?
UNA BANCA DATI SU FOGLIE DI PALMA
OK IL TABLET È GIUSTO
Breve viaggio fra le 22 lingue dell’India
Tecnologia e prezzi contenuti alla conquista dell’India.
L’ELEFANTE E IL DRAGONETesta a testa nella crescita fra India e Cina.
INDIA CULT
DAL TECHNOPARK DI TRIVANDRUM, IL MAGAZINE CHE AVVICINA I NOSTRI DUE PAESI.#12012
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DIGITALCOMMUNICATION
SOMMARIOINDIA COSA
Kerala: un modello di sviluppo sostenibile o un paradosso?
L’elefante e il dragone
Ok il tablet è giusto
Do you speak India? INDIA CULT
Cochin-Trivandrum: un viaggio a ritroso nel tempo
Perché gli elefanti hanno perso le ali
Onam: una specie di Natale
INDIA COMEFrecce nella carne, dio nel cuore: il kavadi
Una banca dati su foglie di palma
Citraramayana: una graphic epic novel dal XV secolo
Come i serpenti portarono prosperità sulla terra
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Italy-India | Sommario | italy-india.gruppozenit.com 3
ITALY-INDIA: COSA, COME, CULT.E SOPRATTUTTO PERCHÈ.Gruppo Zenit è stata una fra le prime aziende italiane di Information Technology a collaborare quotidianamente con l'avanguardia tecnologica del subcontinente indiano.Da questo rapporto è nato un magazine dedicato a chi vuole orientarsi fra gli usi e i costumi di un Paese ricco di storia e di cultura, di contraddizioni e di opportunità di sviluppo e dove tutto, dal passato al futuro, è sempre presente. Per facilitarvi il viaggio, abbiamo suddiviso i contributi in tre categorie.
INDIA COSA Numeri, notizie e curiosità
INDIA COME Informazioni, consigli e istruzioni per l'uso
INDIA CULT Storie, racconti e sensazioni
italy-india.gruppozenit.com
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Il modello di sviluppo del Kerala,
argomento quasi sconosciuto
ai keralesi, è invece spesso oggetto
di discussione nel mondo. Il principio
secondo cui standard di vita elevati siano
possibili anche con entrate basse sembra
non avere senso, stupisce.
Il senso comune dice che le cose belle
della vita siano direttamente proporzionali
alla grandezza del conto in banca, ovvero
che più si è ricchi più la vita è lunga e
felice. Il piccolo stato del Kerala, nell’India
meridionale, prova che non deve essere
così per forza.
Il Kerala è relativamente povero, anche per
i parametri indiani, se lo si valuta in termini
economici e di PIL.
Ma se si considerano gli indicatori sociali
l’opinione cambia. Lo stato non ha a�atto
l’aspetto di un paese del terzo mondo.
Con la miglior sanità, istruzione e altri
parametri simili a quelli dei paesi sviluppati,
questa terra è un paradosso.
Cosa succede esattamente e perché?
Potreste anche sospettare che non sia
vero. Invece è reale e tangibile.
Tuttavia occorre dare alcune spiegazioni e
fare delle riflessioni sulla sostenibilità del
modello per il futuro. Prima di tutto
dobbiamo addentrarci nella storia del
Kerala per capire perché sia oggi così.
Kerala un modello di sviluppo sostenibileo un paradosso?
di Archana Ambani
Geograficamente è una striscia di terra
con una lunga costa, punto di forza che,
congiuntamente alla presenza di regnanti
competenti, ha fatto sì che il Kerala abbia
potuto godere di una discreta libertà
commerciale con l’estero nel periodo
precoloniale e coloniale, non come altri
territori che subirono invece un pesante
sfruttamento. Così liberamente poterono
circolare anche le idee e culture diverse
vennero ben accolte e inglobate nel
tessuto sociale locale.
Le donne, che godevano di una parziale
emancipazione, giocarono un ruolo
chiave nella creazione del Kerala.
Qui si sviluppò una delle poche società
matrilineari, rare al mondo. Questo
ha contribuito a formare delle donne
autonome e con un forte senso di amor
proprio, caratteristiche passate
da generazione in generazione. Tutti
questi fattori hanno fatto sì che il Kerala
divenisse un luogo con alti tassi di
alfabetizzazione e istruzione, dove le
donne hanno un discreto ruolo sociale e
dove molti servizi sono comparabili a
quelli dell’occidente.
Il Kerala non è un’utopia. Non tutto
è perfetto. Dare la massima importanza
alla salute, all’istruzione pubblica e alle pari
opportunità implica un coinvolgimento
totale dello Stato che spesso porta a
grossi deficit economici. Il Kerala è
scarsamente industrializzato, nonostante
la presenza di risorse naturali.
Anche il tasso di disoccupazione è alto.
Molti keralesi emigrano nei paesi
medio-orientali o all’estero per lavorare.
Le entrate generate dai non residenti in
Kerala (NRK) contribuiscono fortemente
all’economia del paese.
La domanda sorge spontanea: questo
modello è sostenibile? Facciamo alcune
considerazioni su ciò che i keralesi
pensano della vita nella loro terra per
provare a dare una risposta. Il keralese è
soddisfatto dell’istruzione ricevuta,
soddisfatto del servizio sanitario a cui ha
diritto, contento dell’accesso
all’informazione e della possibilità di
partecipare a discussioni pubbliche, che
scaturiscono alla minima questione. Tutto
considerato si dice felice della vita, che
ritiene soddisfacente.
Per chi suda nei deserti, a chilometri di
distanza dai cari, forse la vita non è quello
che aveva desiderato, ma rimane il sogno
di rimpatriare un giorno e abitare nella
casa che costruisce con i risparmi,
nella propria fertile terra.
Alto tasso di alfabetizzazione e di disoccupazione, sanità e�ciente e deficit pubblico. Le contraddizioni di una terra dove il PIL sembra essere meno importante degli indicatori sociali.
6 Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com
E’ vero: in patria alcuni sono disoccupati,
ma si trova sempre il modo di sopravvivere.
E’ vero: le statistiche indicano molta
povertà, ma non ci sono baraccopoli
e mendicanti. In molte case l’uomo
è ancora il padrone, tuttavia quasi mai una
ragazza viene disprezzata, né le viene
negato ciò che è dato a suo fratello.
Sicuramente il Kerala ha la sua buona dose
di problemi, ma può contare su eccellenti
risorse naturali e umane. Recentemente
è diventato una delle mete preferite
dal turismo. Sta anche facendo grandi
progressi nel settore dell’IT.
La di�erenza tra ricchi e poveri sta
aumentando leggermente, invece di
diminuire, ma non si può ignorare che
il numero dei poveri che non hanno
accesso ai servizi basilari sta scendendo
lentamente. La situazione non sembra così
malvagia, ancora decisamente salvabile. A
volte spendere non determina la qualità
della vita e i soldi non sono tutto.
Il modello di sviluppo del Kerala,
argomento quasi sconosciuto
ai keralesi, è invece spesso oggetto
di discussione nel mondo. Il principio
secondo cui standard di vita elevati siano
possibili anche con entrate basse sembra
non avere senso, stupisce.
Il senso comune dice che le cose belle
della vita siano direttamente proporzionali
alla grandezza del conto in banca, ovvero
che più si è ricchi più la vita è lunga e
felice. Il piccolo stato del Kerala, nell’India
meridionale, prova che non deve essere
così per forza.
Il Kerala è relativamente povero, anche per
i parametri indiani, se lo si valuta in termini
economici e di PIL.
Ma se si considerano gli indicatori sociali
l’opinione cambia. Lo stato non ha a�atto
l’aspetto di un paese del terzo mondo.
Con la miglior sanità, istruzione e altri
parametri simili a quelli dei paesi sviluppati,
questa terra è un paradosso.
Cosa succede esattamente e perché?
Potreste anche sospettare che non sia
vero. Invece è reale e tangibile.
Tuttavia occorre dare alcune spiegazioni e
fare delle riflessioni sulla sostenibilità del
modello per il futuro. Prima di tutto
dobbiamo addentrarci nella storia del
Kerala per capire perché sia oggi così.
Geograficamente è una striscia di terra
con una lunga costa, punto di forza che,
congiuntamente alla presenza di regnanti
competenti, ha fatto sì che il Kerala abbia
potuto godere di una discreta libertà
commerciale con l’estero nel periodo
precoloniale e coloniale, non come altri
territori che subirono invece un pesante
sfruttamento. Così liberamente poterono
circolare anche le idee e culture diverse
vennero ben accolte e inglobate nel
tessuto sociale locale.
Le donne, che godevano di una parziale
emancipazione, giocarono un ruolo
chiave nella creazione del Kerala.
Qui si sviluppò una delle poche società
matrilineari, rare al mondo. Questo
ha contribuito a formare delle donne
autonome e con un forte senso di amor
proprio, caratteristiche passate
da generazione in generazione. Tutti
questi fattori hanno fatto sì che il Kerala
divenisse un luogo con alti tassi di
alfabetizzazione e istruzione, dove le
donne hanno un discreto ruolo sociale e
dove molti servizi sono comparabili a
quelli dell’occidente.
Il Kerala non è un’utopia. Non tutto
è perfetto. Dare la massima importanza
alla salute, all’istruzione pubblica e alle pari
opportunità implica un coinvolgimento
totale dello Stato che spesso porta a
grossi deficit economici. Il Kerala è
scarsamente industrializzato, nonostante
la presenza di risorse naturali.
Anche il tasso di disoccupazione è alto.
Molti keralesi emigrano nei paesi
medio-orientali o all’estero per lavorare.
Le entrate generate dai non residenti in
Kerala (NRK) contribuiscono fortemente
all’economia del paese.
La domanda sorge spontanea: questo
modello è sostenibile? Facciamo alcune
considerazioni su ciò che i keralesi
pensano della vita nella loro terra per
provare a dare una risposta. Il keralese è
soddisfatto dell’istruzione ricevuta,
soddisfatto del servizio sanitario a cui ha
diritto, contento dell’accesso
all’informazione e della possibilità di
partecipare a discussioni pubbliche, che
scaturiscono alla minima questione. Tutto
considerato si dice felice della vita, che
ritiene soddisfacente.
Per chi suda nei deserti, a chilometri di
distanza dai cari, forse la vita non è quello
che aveva desiderato, ma rimane il sogno
di rimpatriare un giorno e abitare nella
casa che costruisce con i risparmi,
nella propria fertile terra.
Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com 7
E’ vero: in patria alcuni sono disoccupati,
ma si trova sempre il modo di sopravvivere.
E’ vero: le statistiche indicano molta
povertà, ma non ci sono baraccopoli
e mendicanti. In molte case l’uomo
è ancora il padrone, tuttavia quasi mai una
ragazza viene disprezzata, né le viene
negato ciò che è dato a suo fratello.
Sicuramente il Kerala ha la sua buona dose
di problemi, ma può contare su eccellenti
risorse naturali e umane. Recentemente
è diventato una delle mete preferite
dal turismo. Sta anche facendo grandi
progressi nel settore dell’IT.
La di�erenza tra ricchi e poveri sta
aumentando leggermente, invece di
diminuire, ma non si può ignorare che
il numero dei poveri che non hanno
accesso ai servizi basilari sta scendendo
lentamente. La situazione non sembra così
malvagia, ancora decisamente salvabile. A
volte spendere non determina la qualità
della vita e i soldi non sono tutto.
Il keralese è soddisfatto dei
servizi forniti dal suo paese e
dei suoi diritti di cittadino.
Chi lavora nei deserti, lontano
da casa forse non è dello
stesso pensiero, però non ha
ancora smesso di sognare un
futuro migliore.
KERALA
TRIVANDRUM
8 Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com
Fra le economie emergenti del nuovo equilibrio mondiale, India e Cina giocano un ruolo da protagonisti. Mentre già dallo scorso anno c'è qualcuno che ipotizza un prossimo sorpasso dell’elefante indiano ai danni del dragone cinese, e mentre Pechi-no continua a crescere, proviamo a raf-frontare i dati economici di questi due paesi che, insieme, contano un Prodotto Interno Lordo di 15.753 miliardi di dollari,
mentre quello degli Stati Uniti è di 15.004 miliardi di dollari e quello dei paesi dell’Eurozona di 12,483 miliardi di dollari (dato 2010). Insomma, queste due poten-ze, insieme, sono grandi più degli Stati Uniti e l'Europa era già stata ampiamente superata nel 2010. Parlando della forza lavoro, l’India può contare su 478,3 milioni di persone attive, mentre la Cina su 780 milioni.
E se l’India ha dalla sua parte una popola-zione più giovane e qualificata (di�usissi-ma la conoscenza della lingua inglese), la Cina può contare su un maggiore sviluppo delle infrastrutture come i trasporti. Di�e-renze queste che si rilevano anche nella composizione del PIL dei due paesi: in India il 55,2 % è dato dai servizi, in Cina il 46,8% arriva dall’industria.
Crescita PIL dati in milioni di dollari
20093.760
20104.139
20113.760
20099.356
201010.340
201111.290
* *
I primi tablet sono arrivati sul mercato
indiano nel tardo 2010. Quasi nessuno
all’epoca immaginava di averne bisogno,
solo pochi addetti del settore erano
entusiasti e una ristrettissima minoranza li
acquistò. A pochi mesi di distanza la
situazione è cambiata. Nel corso del 2011
sono aumentate le vendite, anche se i
numeri non sono eccezionali (meno di
200.000), ma il tablet nella percezione
comune ha smesso di essere un futuristico
oggetto di lusso ed è diventato un utile, se
non necessario, computer portatile di
terza generazione dal prezzo abbordabile.
Alcuni dati sono significativi: il mancato
successo commerciale dei grandi marchi,
la crescita dell’o�erta dei tablet dal costo
contenuto e l’attenzione nata verso la loro
applicazione nel campo educativo (in
particolare per l’alfabetizzazione
informatica).
Hanno venduto poco i tablet delle grandi
firme dal costo che varia tra le 15000 e le
45000 rupie. Il motivo principale si può
ricercare nel prezzo, troppo alto per chi
non è convinto di avere davvero bisogno
di questo nuovo apparecchio che si
colloca a metà strada tra un portatile e
uno smartphone. Il secondo fattore
all’origine delle scarse vendite potrebbe
essere la strategia di marketing che ha
puntato su una ristretta fascia di
consumatori, già esperti o curiosi di
tecnologia, nella speranza che il nuovo
concetto di tablet filtrasse
automaticamente verso i non addetti. Ma
così non è stato: oltre ai blog e ai social
media una maggior presenza pubblicitaria
sui mass media tradizionali avrebbe forse
Ok il tablet è giustoTecnologia e prezzi contenuti per
uno strumento di informatizzazione
che sta conquistando l’India.
potuto spingere all’acquisto più persone,
non ancora emotivamente coinvolte dalle
campagne pubblicitarie sperimentali.
La seconda parte del 2011 ha visto
scendere in campo gruppi indiani, e non
solo, che hanno risposto all’innovazione
tecnologia con rapidità o�rendo prodotti
a prezzi contenuti. Alla fine dell’anno
erano circa una decina le compagnie ad
o�rire una trentina di modelli dal prezzo
compreso tra le 7 alle 15 mila rupie. Le
previsioni sono di un 2012 ricco di tablet
economici.
Il più importante contributo all’impiego
educativo dei tablet è stato Aakash
Ubislate 7: il tablet più economico al
mondo, 3000 rupie (meno di 45 euro) il
prezzo intero e 2500 rs quello ridotto per
gli studenti. Con il lancio del tablet il 5
ottobre 2011 il governo intendeva
promuovere e di�ondere la conoscenza
informatica e raggiungere anche chi, fino
a oggi, non poteva permettersi l’acquisto
di un computer.
L’India che crede nello sviluppo
economico come strumento per
combattere ataviche ineguaglianze sociali
deve convertire il vantaggio demografico
in riserva di conoscenza, fare acquisire ai
lavoratori non specializzati competenze
tecniche e informatiche che li rendano
competitivi sul mercato internazionale.
Aakash, progettato in India e prodotto da
Datawind, è un piccolo passo (c’è anche
chi sostiene inutile per via della limitatezza
e lentezza operativa dell’apparecchio) in
questa direzione.
Nelle due settimane dall’apertura delle
vendite, sono stati ordinati 1.400.000
Aakash. Così tanti da costringere la
Datawind ha aprire tre nuove sedi di
produzione (a Cochin, Noida e Hyderabad)
e produrre due versioni aggiornate e più
commerciabili, Ubislate 7+ e Ubislate 7C
(lanciati sul mercato il 26 aprile), per
rispondere alle richieste del mercato.
Se la tecnologia può davvero guidare
l’umanità verso un mondo migliore il
futuro dell’India si prevede roseo e quello
dei produttori di tablet prospero.
Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com 9
Il tablet più economico al
mondo è prodotto in India
e costa meno di 45 €
La moneta unica della Repubblica indiana
è la rupia, una sola moneta che passa
di tasca in tasca, di mano in mano
a milioni di persone dal nord, al sud,
dall’est all’ovest. Su ogni banconota c’è
la parola rupia scritta in 15 lingue,
con diversi alfabeti. Esiste la moneta unica,
ma non una sola lingua per l’India.
Le 15 lingue danno un’idea della ricchezza
e dalla grandezza del paese, ma sono
solamente una semplificazione della
babele linguistica del subcontinente.
La Costituzione indiana oggi riconosce
22 lingue principali (18 moderne e 4
classiche), che sono parlate dal 95,6%
della popolazione: il restante 4,4%
degli indiani comunica con altri idiomi.
Secondo il censimento del 2001 i cittadini
indiani parlano 122 lingue, che sono
il risultato del raggruppamento
delle 1500 diverse risposte alla domanda
"Qual è la tua lingua madre?".
A cosa si deve tutta questa ricchezza?
Certamente le dimensioni geografiche
contano, ma è soprattutto nella storia
che si deve cercare la risposta.
Tutte le lingue dell’India appartengono
a quattro famiglie linguistiche principali,
che riflettono la presenza di diversi gruppi
etnici: indo-ariane (74,3%), dravidiche
(23,9%), sino-tibetane (0,6%)
e austro-asiatiche (1,2%).
Dalla preistoria fino ai giorni nostri
le migrazioni di genti straniere giunte
nel subcontinente hanno contribuito
a creare il multietnico e multiculturale
panorama indiano, così diversificato
eppure unitario, sempre pronto a vedere
Non tutti sanno che esistono 22 lingue e 4 famiglie linguistiche nel subcontinente indiano.
Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com 11
le a�nità pur mantenendo le di�erenze.
Le lingue indoariane si ritiene siano giunte
in India con l'arrivo degli ariani verso
il 1500 a.C. La loro evoluzione più
prestigiosa è il sanscrito, la lingua perfetta
in cui si tramanda il sapere sacro.
Dalle prime lingue ariane, attraverso
le modifiche e gli adattamenti che
le popolazioni autoctone ne fecero,
derivano la maggior parte delle lingue
parlate attualmente nel nord e nel centro.
L’origine delle lingue dravidiche si
confonde nella nebbia della storia
e della leggenda.
I sostenitori del ceppo dravidico le
ritraggono come le lingue autoctone e ne
fanno un simbolo della cultura
meridionale, ra�nata e ricca già prima
dell’incontro con la cultura ariana
proveniente dal nord. E’ però probabile
che siano state popolazioni provenienti
dall’esterno a portarle sulle coste
meridionali dell’India. Le attuali lingue
dravidiche sono parlate negli stati
del Tamil Nadu, Andhra Pradesh, Karnataka
e Kerala. Il Tamil vanta una continuità
letteraria delle più antiche al mondo.
Le lingue austro-asiatiche sono parlate
quasi esclusivamente dai tribali in Orissa
e hanno caratteristiche in comune con
le lingue degli aborigeni australiani.
Le lingue sino-tibetane sono di�use
nelle zone del nord ovest, sul confine
con la Cina.
Nel tredicesimo secolo le invasioni
musulmane hanno portato l'arabo,
il turco e il persiano che, fondendosi con
le lingue locali hanno dato vita all'urdu,
parlata prevalentemente dai musulmani in
5 stati. Durante il periodo degli imperatori
moghul la lingua persiana divenne la
lingua di stato. L’ultima lingua straniera
ad arrivare in India è stato l’inglese.
Divenuta la lingua u�ciale dell’India nel
1837, l’inglese è ancora oggi una delle due
lingue u�ciali panindiane (l’altra è l’hindi)
e ha un ruolo prominente nella vita del
paese. Solo una piccola fetta della
popolazione è madrelingua inglese, ma
non esiste indiano che non usi un numero
discreto di parole inglesi nella lingua che
parla tutti i giorni.
Per le strade dell’India poliglotta
non esiste purismo linguistico, regna
ovunque la ricetta del masala (miscuglio):
prendi un discreto numero di parole della
tua lingua madre, aggiungi le parole della
lingua u�ciale più conveniente,
insaporisci con parole inglesi entrate
nel linguaggio comune (non importa se
non sai che sono inglesi) e decora con
chicche di parole di tendenza (solitamente
inglese, ma si presta bene anche l’italiano
o altro). Al bazar non è la valuta rupia che
conta, ma ciò che con essa si può
comprare, così come non importa la
lingua, ma i messaggi che si vogliono
comunicare.
FAMIGLIE
LINGUISTICHELINGUE
Assamese
Bengali
Gujarati
Hindi
Kannada
Kashmiri
Konkani
Malayalam
1,28%
8,12%
4,49%
41,09%
3,69%
0,54%
0,24%
3,22%
Manipuri
Marathi
Nepali
Oriya
Punjabi
Tamil
Telugu
0,14%
7,00%
0,28%
3,21%
2,83%
5,92%
7,21%
Indoariane
Drevidiche
Sinotibetane
Austroasiatiche
Seduta su un autobus per Trivandrum
ripenso alla prima volta che ho
attraversato il Kerala. Guardo i paesaggi
sfilare davanti agli occhi e lascio fluire
ricordi e sensazioni.
Rivedo il tappeto dalle mille sfumature
di verde intravisto dall’aereo, attraversato
da fiumi serpenti argentati al sole. Fuori
dall’aeroporto l’aria calda e umida
e le palme onnipresenti, tante da dare
il nome allo stato: Kerala, secondo
un’etimologia incerta, significa la terra
del cocco. A un’ora di macchina c’è
Cochin, regina del mare arabico, porto
di scambi e commerci fin dall’antichità.
Il tra�co pesante e l’atmosfera caotica
non li avevo previsti. Ma in India, e forse
Cochin-Trivandrum: un viaggio a ritroso nel tempo
ovunque nel mondo, le cose belle devono
essere conquistate. Si deve coltivare l’arte
della pazienza e imparare a gustare
i sapori discordanti miscelati nello stesso
piatto, sforzandosi di apprezzare
il contributo di ciascun aroma.
Così si scopre il cuore della città,
la sua ininterrotta tradizione
all’accoglienza e al commercio. Il piano
urbanistico di Mattancherry, sulla penisola
di Kochi (nome indiano originario), con il
palazzo reale a confine tra il quartiere
ebraico e la zona coloniale portoghese
racconta la storia di un popolo che crede
nel rispetto degli altri, nella libertà di culto.
La chiesa di San Francesco, in Fort Cochin,
ha cambiato tre nomi, parla tre lingue
e conosce vizi e virtù dei portoghesi,
olandesi e inglesi che hanno abitato nelle
case dell’insediamento vicino al forte.
Le reti cinesi, una tecnica di pesca basata
sull’uso di contrappesi, testimoniano
che la perseveranza, la collaborazione
e un poco di arguzia possono garantire
la sopravvivenza, anche quando il mondo
attorno cambia velocemente. I pescatori,
organizzati in cooperative, non esitano
a farti vivere il passato permettendoti
di tirare corde o semplicemente posare
per una foto in bilico sulle palafitte,
combinando la pesca dei pesci a quella
delle mance per le foto. Petroliere
ed enormi navi da crociera entrano ed
escono dal porto, mentre pescatori tirano
le reti e al mercato del pesce prosperano
generazioni di gatti randagi, protetti
da uomini ba�uti.
Gioisco al pensiero del paradiso per il
cuore che sono le backwater di Alappuzha
(conosciuta anche come Alleppey) una
zona sotto il livello del mare dove tutta la
terra emersa è collegata da canali
e coltivata prevalentemente a riso.
Che meravigliosa sensazione la barca,
una bella casa galleggiante di legno
e bambù, che scivola silenziosa sull’acqua
dei pacifici canali. La carezza del volo non
curante di tantissimi uccelli che, anche se
non so riconoscere che martin pescatori
turchesi e cormorani ad asciugare le ali
al sole, sono sicura si stiano godendo
il riposo dopo un lungo viaggio.
Il tramonto sul lago di Vembanad, su cui
si a�accia Alleppey, fa parte della classifica
dei miei tramonti memorabili. Il lento e
sereno scandire del tempo per la gente
Ricordi di un Kerala che si deposita nella valigia da viaggio. Dall'abbraccio accogliente di Cochin, alla quiete delle backwater, fino alla capitale adagiata sui colli
14 Italy-India | India Come | italy-india.gruppozenit.com
che vive in tre metri di terra tra campo
di riso e canale cerco di custodirlo sempre
vivo nella mente per i momenti
d’irrequieta frenesia. Ricordo lo stupore
per gli strati di vegetazione che creano
la foresta salendo verso Thekkady sui Ghat
Occidentali, gli “Appennini” dell’India.
Malinconiche cime di alberi morti sono
i guardiani silenziosi del lago artificiale,
creato sul confine con il Tamil Nadu dagli
inglesi che sommersero una parte della
foresta e ne deforestarono un'altra parte
per coltivare il té.
Camminando sui sentieri del trekking
Suresh, la guida che mi accompagna
e discende dai tribali che hanno abitato
nella foresta fino qualche anno fa,
mi ha indicato il nome delle piante
in malayalam, inglese e latino.
Ho imparato che gli elefanti sono
pericolosi e che i bisonti scappano al click
Le case a ridosso del protettivo palazzo del re
di Cochin, oggi trasformate in negozi
leggero di una macchina fotografica. In un
giardino di spezie ho odorato la noce
moscata (le cui foglie profumano come
il frutto) e mi sono stati rivelati i segreti
delle spezie, primo tra tutte quelli del
pepe, l’oro nero che fece arrivare persino
i romani su questi monti.
Poi giù, oltre le colline ricoperte di alberi
della gomma, con il liquido bianco
gommoso che lacrima lungo i tronchi, la
capitale dello stato: Thiruvananthapuram.
“Come fa una città ad avere un nome così
lungo” è stato il pensiero balenato nella
mente leggendo il cartello lungo la strada.
Gli inglesi per risolvere la questione
la chiamarono Trivandrum, ma il nome
originale è pregno di significato: la città
del serpente infinito, su cui giace il dio
Vishnu prima che si manifestasse
il mondo. Per una terra che la leggenda
vuole emersa dal mare, la capitale
non potrebbe avere nome migliore.
La sensazione che ricordo maggiormente
è un piacevole disorientamento. Un sali
e scendi di piccole strade e spaziosi viali
alberati sui sette verdeggianti colli che
sono la città. Anche se la parte u�ciale,
con gli u�ci governativi e la dimora del re
(senza corona) mi hanno colpito
per l’ordine e la pulizia, con architetture
coloniali armoniche, a dare anima
a Trivandrum è il centro storico raccolto
tra mura di granito con il tempio
di Padmanabhasvami che ne è il cuore
pulsante. La fervente attività della gente
che riempie i vicoli e si riversa nei negozi
del vecchio mercato di Chalai, disteso
davanti alla grande porta d’ingresso
del centro religioso più ricco dell’India,
se non del mondo.
Rammento il desiderio di distendermi
sulla spiaggia balneare di Kovalam, la più
famosa del Kerala. Il piacere di stare
su una terrazza, con il campo visivo che
si allarga sull’oceano contenuto tra il faro
e il molo di scogli a sorseggiare una bibita
ghiacciata e chiacchierare con turisti,
e non solo, di ogni parte del mondo.
Così come è piacevole il ricordo
di giornate iniziate con un massaggio
ayurvedico e pomeriggi cullati
su un’amaca all’ombra, dedicati
alla lettura.
L'autobus di paese in paese, è arrivato
a destinazione mentre si susseguivano
le tappe del mio pensiero. Il viaggio non
era finito allora, ero scesa fino alla punta
dell'India baciata da tre mari, e ancora
oggi la valigia è sempre a portata di mano,
per la prossima partenza.
Italy-India | India Come | italy-india.gruppozenit.com 15
Nella pagina accanto il quartiere ebraico
›
Una porta in stile coloniale tipico
dell’insediamento di Fort Cochin
Sopra da sinistra verso destra
›
Le reti cinesi che si stagliano tra l’oceano
e la baia del porto›
Trasporto di fieno su una barca piatta dopo
la raccolta del riso›
Si deve coltivare l’arte della pazienza e imparare a gustare i sapori discordanti
L'Hastyayurveda, un antico trattato scientifico svela questo e altri segreti dell'animale più amato dell' India.
Nella leggendaria primavera del mondo gli elefanti avevano
le ali e volavano nel cielo. Erano la progenie dei primi otto
elefanti maschi, nati dalla metà destra del guscio dell’uovo
primordiale e delle prime otto femmine, generate dalla
parte sinistra. Avevano il potere magico di creare le nuvole
e come le nubi del cielo potevano cambiare forma. Ma un
giorno alcuni pachidermi maldestri si posarono su un ramo
di un grande albero all’ombra del quale un saggio stava
tenendo lezione. Sotto il peso il legno si spezzò e molti
studenti morirono schiacciati, ma gli elefanti con sfrontata
indi�erenza semplicemente si appollaiarono su un altro
ramo. Il saggio si infuriò e maledisse le nuvole volanti a
perdere le ali e diventare semplici quadrupedi.
Da quel giorno gli elefanti camminano sulla terra ma, in
virtù della loro relazione con i fratelli celesti che generano la
pioggia e assicurano fertilità, hanno un ruolo importante
nella vita culturale dell’India.
Una delle immagini ricorrenti nelle case degli hindu è quella
di Gaja Lakshmi, dea della prosperità, tra due elefanti
bianchi. Le prime rappresentazioni di elefanti sono quelle
sui sigilli di una delle più antiche civiltà umane, la Civiltà
dell’Indo (circa 2500-1500 a.C). Sicuramente gli elefanti
erano addestrati ai tempi di Alessandro Magno, la cui
avanzata in India si dice sia stata bloccata proprio da un
esercito con elefanti (e forse anni dopo alcuni discendenti
degli elefanti indiani introdotti in Persia valicarono le Alpi
alla conquista di Roma sotto il comando di Annibale).
Molti monumenti religiosi (hindu, buddhisti e jaina) abbon-
dano di statue e rilievi di elefanti, metafora di stabilità, ma la
migliore fonte per avere informazioni dettagliate sul signifi-
cato simbolico e sulla funzione degli elefanti in India è
l’Hastyayurveda, la scienza della vita degli elefanti.
Questo antico ed esauriente trattato (7600 distici in versi e
diversi capitoli in prosa) vi informa su tutto quello che
PERCHÉ GLI ELEFANTI HANNO PERSO LE ALI
16 Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com
dovreste sapere se volete avere un elefante. Scopriamo che possederne uno era una
prerogativa del re e che erano catturati nelle foreste e poi addomesticati per scopi
militari o per trasportare il sovrano nelle parate.
Per scegliere un animale bisogna conoscere i segni di buon auspicio della sua fisiono-
mia, dettagliatamente enumerati nel testo. Il
colore degli occhi e lo sguardo riflettono la
sua natura, la lingua scura è segno di impre-
vedibilità. Le zanne più belle sono color
panna, lunghe, curvate verso l’alto e legger-
mente sporgenti verso l’esterno. 20 è il
numero ideale di unghie di un elefante
perfetto (come Airavata, l’elefante del re
degli dei Indra), 16 è la norma e meno di
questo numero può essere causa di proble-
mi. La pelle deve essere scura, come le rocce
sotto la pioggia. La coda deve arrivare alle caviglie, senza
toccare terra. Il carattere buono e docile si legge nel porta-
mento: sguardo fiero, testa alta, schiena curva verso il basso
e zampe diritte, saldamente posate a terra. Se da una stessa
radice crescono più ciglia o peli si ritiene che l’elefante vivrà
a lungo.
Andando in India incontrare un elefante (in catene) è
abbastanza comune, riconoscere il carattere del pachider-
ma potrà aiutarvi a decidere a che distanza tenervi, ma gli
elefanti sono grossi e per natura selvatici. Meglio non
esagerare con la vicinanza se non in presenza di un mahout
(conduttore e addestratore) esperto e a�dabile.
Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com 17
I segni di buon auspicio
L’aspetto: la testa alta, lo sguardo fiero e la schiena bassa e arcuata
Le zampe si posano saldamente a terra e sono dritte
Gli occhi sono color miele. Lo sguardo è mobile
Le orecchie sono grandi
Le zanne sono bianco panna curvate verso l’alto
La proboscide è carnosa larga e lunga. La punta è robusta e a forma di triangolo
Il corpo è lungo, con lo stomaco sempre rotondeggiante
La coda è dritta e pelosa. Arriva a toccare le caviglie ma non la terra
Le unghie, 18 in tutto, sono pronunciate, lisce e non spezzate
La pelle è scura come l’inchiostro
A causa di una maledizionegli elefanti persero la capacità di volare ma non il loro ruolo importante nella vita culturale dell'India.
(di�dare di un elefante con lo sguardo fisso)
Onam: una specie di Natale
Nata in Kerala come festa per il nuovo raccolto, da festeggiare tra fine agosto e inizio settembre, oggi Onam si è trasfor-mata nella celebrazione del benessere. Si compra ogni sorta di regalo, ci sono spe-ciali saldi e commercialmente è il momen-to del lancio di nuovi prodotti. Onam coin-volge appassionatamente tutti, donne e bambini, giovani e vecchi di qualsiasi credo e religione. Gli enormi alberi di mimosa che fiancheggiano le strade principali della città di Trivandrum si illuminano di milioni di lucine colorate, come tanti enormi alberi di Natale e il cuore ridiventa bambino. I nostri u�ci in Technopark non sono di certo da meno. Dopo la notte dedicata alla preparazione dei petali e la mattinata alla creazione dell’athapoo si sentono i primi battiti di tamburi e cimbali. L’aria profuma d’incenso e di fiori, sono soprattutto i gelsomini tra i capelli delle donne in abito tradizionale a emanare un odore fresco e pulito. Dopo la cerimonia con il fuoco e i prodotti tipici di questa terra che ci si augu-ra continuino a prodursi in abbondanza, siamo pronti a partire per andare all’Isola di Cocco, un incantevole resort sul mare. All’arrivo siamo accolti dai movimenti dinoccolati dell’uomo tigre, pulikali.
In seguito le ragazze dell’e-team ci regala-no la tradizionale danza di Onam, il thiru-vathirakali, muovendosi leggere in cerchio, dimentiche delle ore extra passate in u�cio ogni settimana per imparare i passi. Improvvisamente arriva maestoso e regale il mitico Mahabali, che elargisce benedizio-ni e sorrisi. Il suo arrivo è accolto dai tam-buri e dalle incitazioni vittoriose della squa-dra upperi. Nel pomeriggio infatti ci saran-no giochi organizzati da uno speciale comitato volontario. Le diverse squadre si a�ronteranno in una serie di gare, diver-
tenti e coinvolgenti. La tifoseria è accanita e non mancano scontri e appelli ai giudici di gara. Il gioco è preso molto seriamente, gli ingegneri informatici e gli sviluppatori da queste parti sanno decisamente tornare bambini!
È l’ora di pranzo e ci sediamo a tavola a godere del momento fulcro della festa: l’onasadya, il pranzo tradizionale costituito da almeno 11 alimenti e servito su foglie di banana. Il cibo è delizioso e il dolce finale, il payasam fatto con latte bollito, zucchero di canna e riso è squisito. Naturalmente non esistono forchette e cucchiaini sulla tavola, il cibo deve essere rigorosamente assaporato direttamente dalle mani!La giornata volge al termine verso sera con il caratteristico gioco di Onam: il tiro alla fune. I ragazzi si a�rontano con molta serietà, trasformandosi in determinati guerrieri. Questo è un momento solenne, dove forza e gioco di squadra sono messi alla prova. Per l’occasione si ingaggiano persino un arbitro e due assistenti esterni.
Si arriva alla finale con qualche ferito costretto a ritirarsi e alla fine il tanto ago-gnato trofeo, un casco di banane, viene consegnato alla squadra vincente!È finita la festa. Domani tutti in u�cio per iniziare un nuovo anno di lavoro, di colla-borazione e, ci si augura, di buona fortu-na.
Il Technopark festeggia la ricorrenza più sentita in tutto il Kerala.
18 Italy-India | India Come | italy-india.gruppozenit.com
Arun ha 18 anni, abita nella verdeggiante
periferia di Trivandrum, studia ingegneria,
ama indossare jeans e magliette, ascoltare
musica e vedere film. Come molti suoi co-
etanei è religioso, è hindu con una devo-
zione particolare per il dio Murugan, pri-
mogenito di Shiva, il dio preferito dall’inte-
ra famiglia.
In onore di Murugan, conosciuto anche
come Subramanya, tra gennaio e febbraio
si celebra la festa di Thaipuya (Thaipusam
in Tamil Nadu, regione di origine). Tutta la
famiglia festeggia l’occasione. Arun ha
una speciale relazione con il dio Murugan
e sono ormai anni che partecipa attiva-
mente alla processione del kavadi, duran-
te la quale si danza forsennatamente por-
tando o�erte al dio lungo un percorso di
4-5 chilometri. Esistono molte forme di
doni: delicate brocche di latte, archi di le-
gno appoggiati sulle spalle, su cui si im-
piantano alti pinnacoli fioriti che ricordano
i tetti dei templi o vel, frecce metalliche
che perforano da parte a parte le guance e
la lingua. Si crede che
maggiore sia il dolore e
la di�coltà della prova,
maggiore sia la possibi-
lità di arrivare a dio. Arun
pratica il vel kavadi e lo
fa con totale fede e
chiari intenti.
“Dopo il matrimonio i fi-
gli non arrivavano” rac-
conta Kumar, il padre “abbiamo pregato
Murugan e o�erto vel kavadi e Arun è
nato”. Forse per questo al ragazzo sembra
una scelta naturale il kavadi. “Il primo è
stato quando era piccino” mi dice la mam-
ma piena di orgoglio mostrandomi un in-
giallito album di foto. Ho quasi paura a
guardare, ma la foto ritrae Arun bambino
senza frecce, con della polvere bianca
sulla fronte, il vibhuti, che si crede aiuti a
ra�reddare mente e corpo. Il vel kavadi è
arrivato solo qualche anno dopo e non ci
sono le foto. Ci sono invece quelle del
papà infilzato con una freccia di almeno
un metro di lunghezza, forse proprio
quella che ha fatto nasce-
re Arun.
Mi accorgo di fare fatica a
non giudicare, a tenere a
bada il pensiero logico e
razionale, coltivato dalla
società intorno a me fin
dalla nascita. Il loro insi-
stere sui dettagli cruenti
non è di molto aiuto. Devo tornare con il
pensiero al giorno in cui ho assistito a un
vel kavadi, con tanto di camminate sui
carboni ardenti davanti al tempio. La par-
tecipazione serena e spirituale della gente
attorno a me, bambini compresi, l’energia
vibrante che emanava dai “flagellanti” mi
avevano incuriosita e spinta a incontrare
Arun.
Perché un ragazzo giovane e istruito si
perfora? Come supera la paura del dolore
fisico e cosa prova? “Ogni volta l’ho fatto
per ottenere un favore e per ringraziare di
quello concessomi l’anno precedente”
spiega Arun senza alcuna esitazione.
“Inoltre” sostiene “non si prova dolore,
solo un bruciore nei giorni successivi. Non
si sanguina nemmeno e in molti casi la fe-
rita si rimargina senza lasciare traccia”. Alla
domanda "cosa si prova?" ha un attimo
d’incertezza, poi risponde che non lo sa,
non ricorda nulla di cosa succede dal mo-
mento che viene inserita la freccia fino a
quando il vel viene deposto davanti
all’idolo di Murugan. Però è soddisfatto
quanto tutto finisce, tanto da voler conti-
nuare ancora e passare la tradizione ai
figli.
Nel kavadi i devoti cadono in una sorta di
trance, in uno stato di alterazione di co-
scienza. Gli sguardi assenti che ho incro-
ciato la sera del Thaipuya confermano
questa ipotesi. Malignamente avevo pen-
sato all’e�etto di qualche sostanza ine-
briante, ma era un’ipotesi del tutto fuori
posto. Per arrivare a portare il kavadi biso-
Frecce nella carne, dio nel cuore:il kavadi
Il kavadi, il rituale tamil in cui frecce perforano il corpo, raccontato da un giovane devoto e dalla sua famiglia. Un tentativo di comprensione oltre i preconcetti culturali.
gna essere puri: seguire una rigida dieta
vegetariana per un certo periodo (che va-
ria a seconda dei templi da una settimana
a 42 giorni), astenersi da intercorsi sessua-
li, dormire per terra, non bere alcolici, non
consumare droghe e non fumare, il tutto
per tenere sotto controllo la mente. L’obi-
ettivo dell’intero processo è avvicinarsi a
dio, partecipare dell’energia divina. C’è
mortificazione della carne, ma non senso
di espiazione del peccato, concetto che
non appartiene alla filosofia hindu: si vuole
vivere un’intensa esperienza estatica, ca-
pace di trascendere i limiti del mondo fisi-
co.
“Sei giorni prima della festa ci trasferiamo
nel tempio, dove un maestro spirituale, lo
stesso che ci mette i vel, segue la nostra
preparazione e conduce i riti necessari. Il
giorno della festa, dopo l’abluzione sacra
e altre cerimonie, alcuni di noi sentono la
chiamata di Murugan e vanno dal guru
che li perfora. Se non hai la visione, forse
perché hai paura, il maestro sa quando sei
pronto. Se continui a non sentirtela, ad
avere dubbi, il maestro non ti chiama, ma
non mi è mai successo di vedere qualcuno
andarsene”.
Il festival si celebra in tutti i templi dove
Murugan è venerato, non solo in India.
Chiunque può prendere parte al rito, indi-
pendentemente dalla religione, ceto so-
ciale, nazionalità e genere, purché la mo-
tivazione sia forte. Il rito è stato anche no-
tato da rappresentanti della body art, che
considerano il proprio corpo e le sue ma-
nipolazioni una forma di arte totale. Que-
ste interpretazioni del kavadi stravolgono
l’idea di base del rito: l’o�erta a dio. Tutta-
via hanno in comune la convinzione che
attraverso stati alterati di percezione cor-
porea sia possibile esperire qualcosa di
fuori dal comune vivere quotidiano.
Esperienza possibile solo per i più intrepi-
di, protetti dal guerriero dio Murugan, che
dopo una gestazione turbolenta, a soli 6
giorni di vita sconfisse – proprio con una
freccia – il tremendo e indefesso demone
Taraka.
Maggiore è il dolore e la di�coltà della prova, maggiore è la possibilità di arrivare a dio
20 Italy-India | India Cult | italy-india.gruppozenit.com
Arun ha 18 anni, abita nella verdeggiante
periferia di Trivandrum, studia ingegneria,
ama indossare jeans e magliette, ascoltare
musica e vedere film. Come molti suoi co-
etanei è religioso, è hindu con una devo-
zione particolare per il dio Murugan, pri-
mogenito di Shiva, il dio preferito dall’inte-
ra famiglia.
In onore di Murugan, conosciuto anche
come Subramanya, tra gennaio e febbraio
si celebra la festa di Thaipuya (Thaipusam
in Tamil Nadu, regione di origine). Tutta la
famiglia festeggia l’occasione. Arun ha
una speciale relazione con il dio Murugan
e sono ormai anni che partecipa attiva-
mente alla processione del kavadi, duran-
te la quale si danza forsennatamente por-
tando o�erte al dio lungo un percorso di
4-5 chilometri. Esistono molte forme di
doni: delicate brocche di latte, archi di le-
gno appoggiati sulle spalle, su cui si im-
piantano alti pinnacoli fioriti che ricordano
i tetti dei templi o vel, frecce metalliche
che perforano da parte a parte le guance e
la lingua. Si crede che
maggiore sia il dolore e
la di�coltà della prova,
maggiore sia la possibi-
lità di arrivare a dio. Arun
pratica il vel kavadi e lo
fa con totale fede e
chiari intenti.
“Dopo il matrimonio i fi-
gli non arrivavano” rac-
conta Kumar, il padre “abbiamo pregato
Murugan e o�erto vel kavadi e Arun è
nato”. Forse per questo al ragazzo sembra
una scelta naturale il kavadi. “Il primo è
stato quando era piccino” mi dice la mam-
ma piena di orgoglio mostrandomi un in-
giallito album di foto. Ho quasi paura a
guardare, ma la foto ritrae Arun bambino
senza frecce, con della polvere bianca
sulla fronte, il vibhuti, che si crede aiuti a
ra�reddare mente e corpo. Il vel kavadi è
arrivato solo qualche anno dopo e non ci
sono le foto. Ci sono invece quelle del
papà infilzato con una freccia di almeno
un metro di lunghezza, forse proprio
quella che ha fatto nasce-
re Arun.
Mi accorgo di fare fatica a
non giudicare, a tenere a
bada il pensiero logico e
razionale, coltivato dalla
società intorno a me fin
dalla nascita. Il loro insi-
stere sui dettagli cruenti
non è di molto aiuto. Devo tornare con il
pensiero al giorno in cui ho assistito a un
vel kavadi, con tanto di camminate sui
carboni ardenti davanti al tempio. La par-
tecipazione serena e spirituale della gente
attorno a me, bambini compresi, l’energia
vibrante che emanava dai “flagellanti” mi
avevano incuriosita e spinta a incontrare
Arun.
Perché un ragazzo giovane e istruito si
perfora? Come supera la paura del dolore
fisico e cosa prova? “Ogni volta l’ho fatto
per ottenere un favore e per ringraziare di
quello concessomi l’anno precedente”
spiega Arun senza alcuna esitazione.
“Inoltre” sostiene “non si prova dolore,
solo un bruciore nei giorni successivi. Non
si sanguina nemmeno e in molti casi la fe-
rita si rimargina senza lasciare traccia”. Alla
domanda "cosa si prova?" ha un attimo
d’incertezza, poi risponde che non lo sa,
non ricorda nulla di cosa succede dal mo-
mento che viene inserita la freccia fino a
quando il vel viene deposto davanti
all’idolo di Murugan. Però è soddisfatto
quanto tutto finisce, tanto da voler conti-
nuare ancora e passare la tradizione ai
figli.
Nel kavadi i devoti cadono in una sorta di
trance, in uno stato di alterazione di co-
scienza. Gli sguardi assenti che ho incro-
ciato la sera del Thaipuya confermano
questa ipotesi. Malignamente avevo pen-
sato all’e�etto di qualche sostanza ine-
briante, ma era un’ipotesi del tutto fuori
posto. Per arrivare a portare il kavadi biso-
gna essere puri: seguire una rigida dieta
vegetariana per un certo periodo (che va-
ria a seconda dei templi da una settimana
a 42 giorni), astenersi da intercorsi sessua-
li, dormire per terra, non bere alcolici, non
consumare droghe e non fumare, il tutto
per tenere sotto controllo la mente. L’obi-
ettivo dell’intero processo è avvicinarsi a
dio, partecipare dell’energia divina. C’è
mortificazione della carne, ma non senso
di espiazione del peccato, concetto che
non appartiene alla filosofia hindu: si vuole
vivere un’intensa esperienza estatica, ca-
pace di trascendere i limiti del mondo fisi-
co.
“Sei giorni prima della festa ci trasferiamo
nel tempio, dove un maestro spirituale, lo
stesso che ci mette i vel, segue la nostra
preparazione e conduce i riti necessari. Il
giorno della festa, dopo l’abluzione sacra
e altre cerimonie, alcuni di noi sentono la
chiamata di Murugan e vanno dal guru
che li perfora. Se non hai la visione, forse
perché hai paura, il maestro sa quando sei
pronto. Se continui a non sentirtela, ad
avere dubbi, il maestro non ti chiama, ma
non mi è mai successo di vedere qualcuno
andarsene”.
Il festival si celebra in tutti i templi dove
Murugan è venerato, non solo in India.
Chiunque può prendere parte al rito, indi-
pendentemente dalla religione, ceto so-
ciale, nazionalità e genere, purché la mo-
tivazione sia forte. Il rito è stato anche no-
tato da rappresentanti della body art, che
considerano il proprio corpo e le sue ma-
nipolazioni una forma di arte totale. Que-
ste interpretazioni del kavadi stravolgono
l’idea di base del rito: l’o�erta a dio. Tutta-
via hanno in comune la convinzione che
attraverso stati alterati di percezione cor-
porea sia possibile esperire qualcosa di
fuori dal comune vivere quotidiano.
Esperienza possibile solo per i più intrepi-
di, protetti dal guerriero dio Murugan, che
dopo una gestazione turbolenta, a soli 6
giorni di vita sconfisse – proprio con una
freccia – il tremendo e indefesso demone
Taraka.
I DEVOTI CADONO
IN UNA SORTA DI TRANCE,
DI ALTERAZIONE DI COSCIENZA,
SENZA NESSUNA SOSTANZA
INEBRIANTE, PERCHÉ PER ARRIVARE
A PORTARE IL KAVADI
BISOGNA ESSERE PURI
E SOSTENERE UNA LUNGA
PREPARAZIONE.
Foto da sinistra verso destra
Il maestro spirituale benedice un devoto dopo la perforazione con la freccia del dio Subramanya
Un devoto con le o�erte procede in processione verso il tempio
Momento della celebrazione per Subramanya
Italy-India | India Cult | italy-india.gruppozenit.com 21
22 Italy-India | India Cult | italy-india.gruppozenit.com
La biblioteca dei manoscritti dell’università del Kerala a Trivandrum è un tempio della cultura che custodisce il sapere tramandato per secoli su fragili foglie di palma. Tra i suoi molti tesori in sanscrito, tamil e malayalam vi è un raro gioiello: il Citraramayana, 98 foglie di palma che illustrano la popolare storia di Rama, settima incarnazione del dio Vishnu. Oggi, grazie ai lavori di ricerca e conservazione dell’Oriental Research Institute and Manuscript Library, esiste un avatar cartaceo dell’epico graphic novel creato nel 1453: il Ramayana in Palm Leaf Pictures: Citraramayana pubblicato e curato dal Dr.K.Vijayan nel 1997.
LA STORIAVishnu ha dieci avatar che si manifestano ogni qualvolta l’equilibrio dell’universo è pericolosamente sbilanciato verso il male. Rama nasce con la missione di sconfiggere Ravana, il re dei rakshasa (orchi-demoni) che regna sull’isola di Lanka. Si incarna come principe legittimo, figlio del re di Ayodhya, Dasaratha. Perché il suo destino si compia, è costretto a rinunciare alla corona e ad andare in esilio nella foresta con la fedele moglie Sita e il fratello Lakshmana. Nella giungla approfitta del tempo per ripulire la selva dai demoni che ci abitano. Un giorno
Ravana scorge la bella Sita e se ne innamora follemente. Non riuscendo a sedurla con la galanteria, la rapisce e la tiene prigioniera in Lanka, nella vana speranza che la donna, sempre casta, ceda alle sue lusinghe. Rama scende verso il sud dell’India, si allea con il re delle scimmie e, grazie al preziosissimo aiuto del dio
scimmia Hanuman, sferra l’attacco al nemico Ravana nella sua stessa terra. L’interminabile battaglia vede cadere ad uno ad uno tutti i cattivi, e qualche scimmia. Ravana, segnato dal destino fin dalla nascita, è ucciso e Rama torna con Sita ad Ayodhya, dove è incoronato re.
IL LIBRONel libro Ramayana in Palm Leaf Pictures le vicende del dio-eroe sono illustrate in 318 immagini, ognuna accompagnata da una linea di descrizione e talvolta da un commento. In appendice l’editore riporta il numero della foglia del Citraramayana da cui ogni episodio è tratto e indica il probabile passaggio del poema sanscrito a cui l’autore del manoscritto potrebbe essersi ispirato. Nel XV secolo esistevano, scopriamo nell’introduzione, due versioni in sanscrito dell’epica: il Ramayana di Valmiki, in cui Rama è trattato più come un eroe che come un dio, e l’Adhyathmaramayana dove invece il principe è deificato. Entrambi sono compilazioni che traggono materiale da centinaia di poemi e ballate trasmesse per secoli oralmente da bardi e sacerdoti. Un fertile incontro tra cultura popolare e alta, epica marziale e religione.L’autore del Citraramayana, che non ha firmato l’opera ma ha celato le sue indicazioni biografiche in una stanza sul retro dell’ultima foglia, ha disegnato con mano sicura e uno stilo di ferro la sua versione della storia, attingendo talvolta ai poemi classici, altre a racconti popolari o alla propria immaginazione (i costumi ricordano quelli dei dipinti murali del Kerala e quelli degli
CITRARAMAYANA
L’ANTICA GRAPHIC EPIC NOVEL SU FOGLIE DI PALMA
Italy-India | India Cult | italy-india.gruppozenit.com 23
attori del Kathakali).Grazie all’instancabile lavoro di ricerca e conservazione della Manuscript Library, creata nel lontano 1908 dal re di Trivandrum Sri Mulam Thirunal, il professore di sancrito e ex direttore dell’Istituto il dr. K.Vijayan ha potuto consegnare al mondo la sua edizione con foto a colori, piacevolmente accessibile anche a chi non conosca le lingue indiane.
Sentitevi liberi di leggere la nostra versione in galleria, di ascoltare le storie che le immagini del Citraramayana vi raccontano, integrandole con il libro originale se vorrete. Tendete le orecchie per ascoltare altre narrazioni ancora (un consiglio: Sita sings the Blues). Siate liberi di scegliere come intrecciare i vostri fili e iniziare ancora un'altra volta a raccontare: C’era una volta Rama…
Image CourtesyRAMAYANA IN PALM LEAVES | CITRAMAYANA
Edited by Dr. K. Vijayan
ORIENTAL RESEARCH INSTITUTE & MANUSCRIPT LIBRARYUniversity of Kerala, Thiruvananthapuram
GRAPHIC NOVEL VERSION FOR ITALY-INDIA MAGAZINE
Bhrighu Samita: un database che ha tremila anni dove il futuro di ogni uomo è scritto sulle foglie di palma.
Nell’India tradizionale hindu ci sono cose
che non vanno dimenticate, ci sono
informazioni che è indispensabile cercare
e conoscere. La posizione dei pianeti al
momento della nascita e l’albero
genealogico della propria famiglia sono
dati fondamentali per trovare il giusto
posto nel mondo. L’importanza attribuita a
queste informazioni ha dato vita, quando
ancora non esistevano i computer e i libri
di carta stampata, a database straordinari
per l’ampiezza dei dati raccolti e la facilità
di accesso. Il Bhrigu Samhita ne è un
esempio.
Il Bhrigu Samhita è un trattato di astrologia
che raccoglie 500.000 oroscopi e o�re un
numero infinito di informazioni su uomini
ed eventi. Partendo dai dati registrati, gli
astrologi possono tracciare l’oroscopo di
45 milioni di persone. La compilazione di
questa enorme banca dati è iniziata in
epoca vedica, tremila anni fa.
Secondo la leggenda fu il mitico saggio
Bhrigu l’autore del trattato che avrebbe
dovuto aiutare l’umanità a sgravarsi delle
preoccupazioni contingenti per dedicarsi
con maggior concentrazione alla ricerca
spirituale. Nella notte dei tempi Bhrigu, in
virtù della grande saggezza, fu incaricato
di giudicare chi fosse il dio più grande
della triade hindu (Brahma, VIshnu e
Shiva). Nel testare gli dei il saggio perse la
pazienza e colpì con un calcio il dio
Vishnu che dormiva incurante del suo
arrivo. Vishnu si svegliò e massaggiò il
piede contuso del saggio, ma la moglie
Lakshmi maledisse Bhrigu e tutti suoi
discendenti a vivere di stenti nonostante
tutta la conoscenza e la sapienza
Una banca dati su foglie di palma
acquisita. Bhrigu supplicò il perdono e la
dea infine si placò e smorzò la
maledizione insegnando al saggio la
scienza dell’astrologia, con la quale
prosperare. Quindi Bhrigu compose il
samhita.
Per la stesura del trattato gli autori (molto
probabilmente diverse menti nell’arco di
diversi secoli) hanno creato un database
enorme, avvalendosi di rigorosi metodi
statistici e sofisticati calcoli matematici. La
versione originale del Bhrigu Samhita non
esiste più, ma soprendente è la capillare
di�usione delle copie del manoscritto in
epoche passate. Con le invasioni
musulmane molti dei luoghi depositari
della cultura hindu andarono distrutti, ma
numerosi brahmani hanno copiato i testi
su foglie di palma, corteccia di alberi o
carta e li hanno tramandati di generazione
in generazione. Oggi ci sono in tutto il
Paese numerosi astrologi che sostengono
di possedere copie della collezione, più o
meno interamente, e praticano l'antica
arte della previsione del futuro. Diverse
versioni sono preservate nelle biblioteche
universitarie e private.
Si dice che se è scritto nel vostro destino,
potrete trovare la foglia di palma su cui
sono descritti il vostro passato, presente e
futuro. Il saggio Bhrigu conosceva infatti le
regole del karma, la legge di causa-e�etto
che fa raccogliere in una vita successiva i
frutti delle azioni e dei pensieri di una vita
precedente, e aveva previsto il vostro
arrivo. Per trovare il vostro oroscopo il
brahmano ha bisogno di sapere il vostro
nome, il luogo, la data e l’ora di nascita,
ma soprattutto è importante il momento
in cui entrate nel suo studio, che il saggio
aveva calcolato. C’è comunque la
possibilità che con il tempo la vostra
pagina sia andata distrutta, i vostri dati
persi e il futuro rimanga quindi
inscrutabile, almeno per gli astrologi vedici
di questa tradizione.
24 Italy-India | India Cult | italy-india.gruppozenit.com
Product strategist e direttore responsabileLaura Brenna
RedazioneSara Andreis
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Hanno collaboratoFabio Bellan, Luca Petrini, Paolo Fizzotti, Gilda De vito
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Il culto dei serpenti è di�uso in tutta l’India ma in Kerala ci sono moltissimi sarpakavu, degli altari (kavu) dedicati ai serpenti (sarpa), sia in prossimità dei templi che nei giardini privati. Sono piattaforme rialzate, collocate tra una vegetazione selvaggia, una piccola foresta in miniatura che o�re rifugio a molti altri animali, su cui sono poste le statue di pietra dei serpenti, solita-mente ricoperte di curcuma gialla. Alcune hanno forma antro-pomorfa e altre rappresentano due serpenti intrecciati, il re e la regina dei naga, simili a quelle sulle insegne delle farmacie (simbolo che arriva dalla Mesopotamia, che con l’India antica aveva stretti rapporti). I naga sono divinità minori che abitano in paradisi acquatici, sul fondo di mari, fiumi e laghi, in palazzi di gemme e perle. Sono i guardiani dell’energia vitale che è custodita nelle sorgenti d’acqua, nei pozzi e negli stagni. Sono anche i guardiani delle ricchezze delle profondità della terra e del mare- coralli, conchiglie, perle e pietre dure. Hanno una preziosa gemma incastonata sulla fronte. Le principesse serpenti, famose per l’intelligenza e il fascino, sono le antenate mitologiche di nume-rose dinastie del sud. Si dice che il Kerala sia una terra così verde e fertile proprio grazie all’intervento dei naga.
In origine il Kerala era una terra sottomarina. Poi un giorno Parasurama, sesta incarnazione terrena del dio Vishnu, scagliò la magica ascia che aveva ricevuto in dono dal dio Shiva e tra i suoi piedi e il punto dove l’arma si inabissò emerse il Kerala. Parasu-rama, un brahmano che si sarebbe dovuto dedicare al sapere sacro, si era comportato con un guerriero per sconfiggere una
Come i serpenti portarono prosperità sulla terra
serie di re crudeli. Per espiare le sue colpe donò ai brahmani la nuova terra. I brahmani ringraziarono esultanti, ma la loro gioia non durò a lungo. Ben presto si accorsero che tutti i loro sforzi per coltivare la terra erano vani. Il suolo era arido e inerte, completamente bruciato dal sale marino che lo ricopriva. Fu allora che intervenne Vasuki, il re dei serpenti. Egli radunò tutti i suoi sudditi che abitavano negli abissi. Un esercito enorme risalì sulla superficie, leccò via il sale dalla terra e la irrigò con tutte le ricchezze del sottosuolo.
Se oggi il Kerala è una terra ricca è grazie ai serpenti, per questo il loro culto è popolare tra gli hindu keralesi. Inoltre ben quattro specie di serpenti velenosi prosperano da queste parti e il timore aggiunge ardore alle preghiere e idoli agli altari (per rassicurarmi la guardia mi ha detto che sono tendenzialmente i contadini le vittime preferite e la maggior parte delle morti è dovuta al fatto che non ci si rivolge subito a un medico, preferendo i guaritori tradizionali). Il serpente è come la terra di cui è custode: madre e tomba. C’è anche un importante tempio dedicato solo a loro a Mannarasala, dove si dice ci siano migliaia di serpenti divini e dove, caso unico in tutto il Kerala, a presiedere al culto è una donna. Ogni volta che passo vicino a un idolo naga ripenso alla rana e alle storie della guardia e alle molte altre che poi ho sentito e letto. Rivolgo un pensiero ai serpenti, ringraziandoli soprattutto per avere la gentilezza di mantenersi sempre a debita distanza e ripromettendomi di andare un giorno a visitare Mannarasala e la sacerdotessa.
Perché in Kerala, dove quattro specie di serpenti sono mortali, la gente li adora e li invitava a vivere nelle proprie case
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