Italy-India

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DO YOU SPEAK INDIA? UNA BANCA DATI SU FOGLIE DI PALMA OK IL TABLET È GIUSTO Breve viaggio fra le 22 lingue dell’India Tecnologia e prezzi contenuti alla conquista dell’India. L’ELEFANTE E IL DRAGONE Testa a testa nella crescita fra India e Cina. INDIA CULT DAL TECHNOPARK DI TRIVANDRUM, IL MAGAZINE CHE AVVICINA I NOSTRI DUE PAESI. #1 2012 Italy-India è un progetto di Gruppo Zenit italy-india.gruppozenit.com

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Dal Technopark di Trivandrum, il magazine che unicsce i nostri due paesi. Tecnologia, costume, curiosità, cultura, business... questo magazine dal taglio innovativo mette a disposizione di chiunque sia interessato a saperne di più tutto quello che, in oltre dieci anni di esperienza, Gruppo Zenit ha imparato sul "pianeta India".

Transcript of Italy-India

DO YOU SPEAK INDIA?

UNA BANCA DATI SU FOGLIE DI PALMA

OK IL TABLET È GIUSTO

Breve viaggio fra le 22 lingue dell’India

Tecnologia e prezzi contenuti alla conquista dell’India.

L’ELEFANTE E IL DRAGONETesta a testa nella crescita fra India e Cina.

INDIA CULT

DAL TECHNOPARK DI TRIVANDRUM, IL MAGAZINE CHE AVVICINA I NOSTRI DUE PAESI.#12012

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BE TECHNOLOGICAL, BE CREATIVEDigital strategy, design social media... i nostri progetti sono efficaci dal punto di vista della comunicazione, realizzabili dal punto di vista della tecnologia e pensati per ogni tipo di piattaforma utente.

DIGITALCOMMUNICATION

SOMMARIOINDIA COSA

Kerala: un modello di sviluppo sostenibile o un paradosso?

L’elefante e il dragone

Ok il tablet è giusto

Do you speak India? INDIA CULT

Cochin-Trivandrum: un viaggio a ritroso nel tempo

Perché gli elefanti hanno perso le ali

Onam: una specie di Natale

INDIA COMEFrecce nella carne, dio nel cuore: il kavadi

Una banca dati su foglie di palma

Citraramayana: una graphic epic novel dal XV secolo

Come i serpenti portarono prosperità sulla terra

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Italy-India | Sommario | italy-india.gruppozenit.com 3

ITALY-INDIA: COSA, COME, CULT.E SOPRATTUTTO PERCHÈ.Gruppo Zenit è stata una fra le prime aziende italiane di Information Technology a collaborare quotidianamente con l'avanguardia tecnologica del subcontinente indiano.Da questo rapporto è nato un magazine dedicato a chi vuole orientarsi fra gli usi e i costumi di un Paese ricco di storia e di cultura, di contraddizioni e di opportunità di sviluppo e dove tutto, dal passato al futuro, è sempre presente. Per facilitarvi il viaggio, abbiamo suddiviso i contributi in tre categorie.

INDIA COSA Numeri, notizie e curiosità

INDIA COME Informazioni, consigli e istruzioni per l'uso

INDIA CULT Storie, racconti e sensazioni

italy-india.gruppozenit.com

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NUMERI, NOTIZIE E CURIOSITÀ

INDIA COSA

Il modello di sviluppo del Kerala,

argomento quasi sconosciuto

ai keralesi, è invece spesso oggetto

di discussione nel mondo. Il principio

secondo cui standard di vita elevati siano

possibili anche con entrate basse sembra

non avere senso, stupisce.

Il senso comune dice che le cose belle

della vita siano direttamente proporzionali

alla grandezza del conto in banca, ovvero

che più si è ricchi più la vita è lunga e

felice. Il piccolo stato del Kerala, nell’India

meridionale, prova che non deve essere

così per forza.

Il Kerala è relativamente povero, anche per

i parametri indiani, se lo si valuta in termini

economici e di PIL.

Ma se si considerano gli indicatori sociali

l’opinione cambia. Lo stato non ha a�atto

l’aspetto di un paese del terzo mondo.

Con la miglior sanità, istruzione e altri

parametri simili a quelli dei paesi sviluppati,

questa terra è un paradosso.

Cosa succede esattamente e perché?

Potreste anche sospettare che non sia

vero. Invece è reale e tangibile.

Tuttavia occorre dare alcune spiegazioni e

fare delle riflessioni sulla sostenibilità del

modello per il futuro. Prima di tutto

dobbiamo addentrarci nella storia del

Kerala per capire perché sia oggi così.

Kerala un modello di sviluppo sostenibileo un paradosso?

di Archana Ambani

Geograficamente è una striscia di terra

con una lunga costa, punto di forza che,

congiuntamente alla presenza di regnanti

competenti, ha fatto sì che il Kerala abbia

potuto godere di una discreta libertà

commerciale con l’estero nel periodo

precoloniale e coloniale, non come altri

territori che subirono invece un pesante

sfruttamento. Così liberamente poterono

circolare anche le idee e culture diverse

vennero ben accolte e inglobate nel

tessuto sociale locale.

Le donne, che godevano di una parziale

emancipazione, giocarono un ruolo

chiave nella creazione del Kerala.

Qui si sviluppò una delle poche società

matrilineari, rare al mondo. Questo

ha contribuito a formare delle donne

autonome e con un forte senso di amor

proprio, caratteristiche passate

da generazione in generazione. Tutti

questi fattori hanno fatto sì che il Kerala

divenisse un luogo con alti tassi di

alfabetizzazione e istruzione, dove le

donne hanno un discreto ruolo sociale e

dove molti servizi sono comparabili a

quelli dell’occidente.

Il Kerala non è un’utopia. Non tutto

è perfetto. Dare la massima importanza

alla salute, all’istruzione pubblica e alle pari

opportunità implica un coinvolgimento

totale dello Stato che spesso porta a

grossi deficit economici. Il Kerala è

scarsamente industrializzato, nonostante

la presenza di risorse naturali.

Anche il tasso di disoccupazione è alto.

Molti keralesi emigrano nei paesi

medio-orientali o all’estero per lavorare.

Le entrate generate dai non residenti in

Kerala (NRK) contribuiscono fortemente

all’economia del paese.

La domanda sorge spontanea: questo

modello è sostenibile? Facciamo alcune

considerazioni su ciò che i keralesi

pensano della vita nella loro terra per

provare a dare una risposta. Il keralese è

soddisfatto dell’istruzione ricevuta,

soddisfatto del servizio sanitario a cui ha

diritto, contento dell’accesso

all’informazione e della possibilità di

partecipare a discussioni pubbliche, che

scaturiscono alla minima questione. Tutto

considerato si dice felice della vita, che

ritiene soddisfacente.

Per chi suda nei deserti, a chilometri di

distanza dai cari, forse la vita non è quello

che aveva desiderato, ma rimane il sogno

di rimpatriare un giorno e abitare nella

casa che costruisce con i risparmi,

nella propria fertile terra.

Alto tasso di alfabetizzazione e di disoccupazione, sanità e�ciente e deficit pubblico. Le contraddizioni di una terra dove il PIL sembra essere meno importante degli indicatori sociali.

6 Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com

E’ vero: in patria alcuni sono disoccupati,

ma si trova sempre il modo di sopravvivere.

E’ vero: le statistiche indicano molta

povertà, ma non ci sono baraccopoli

e mendicanti. In molte case l’uomo

è ancora il padrone, tuttavia quasi mai una

ragazza viene disprezzata, né le viene

negato ciò che è dato a suo fratello.

Sicuramente il Kerala ha la sua buona dose

di problemi, ma può contare su eccellenti

risorse naturali e umane. Recentemente

è diventato una delle mete preferite

dal turismo. Sta anche facendo grandi

progressi nel settore dell’IT.

La di�erenza tra ricchi e poveri sta

aumentando leggermente, invece di

diminuire, ma non si può ignorare che

il numero dei poveri che non hanno

accesso ai servizi basilari sta scendendo

lentamente. La situazione non sembra così

malvagia, ancora decisamente salvabile. A

volte spendere non determina la qualità

della vita e i soldi non sono tutto.

Il modello di sviluppo del Kerala,

argomento quasi sconosciuto

ai keralesi, è invece spesso oggetto

di discussione nel mondo. Il principio

secondo cui standard di vita elevati siano

possibili anche con entrate basse sembra

non avere senso, stupisce.

Il senso comune dice che le cose belle

della vita siano direttamente proporzionali

alla grandezza del conto in banca, ovvero

che più si è ricchi più la vita è lunga e

felice. Il piccolo stato del Kerala, nell’India

meridionale, prova che non deve essere

così per forza.

Il Kerala è relativamente povero, anche per

i parametri indiani, se lo si valuta in termini

economici e di PIL.

Ma se si considerano gli indicatori sociali

l’opinione cambia. Lo stato non ha a�atto

l’aspetto di un paese del terzo mondo.

Con la miglior sanità, istruzione e altri

parametri simili a quelli dei paesi sviluppati,

questa terra è un paradosso.

Cosa succede esattamente e perché?

Potreste anche sospettare che non sia

vero. Invece è reale e tangibile.

Tuttavia occorre dare alcune spiegazioni e

fare delle riflessioni sulla sostenibilità del

modello per il futuro. Prima di tutto

dobbiamo addentrarci nella storia del

Kerala per capire perché sia oggi così.

Geograficamente è una striscia di terra

con una lunga costa, punto di forza che,

congiuntamente alla presenza di regnanti

competenti, ha fatto sì che il Kerala abbia

potuto godere di una discreta libertà

commerciale con l’estero nel periodo

precoloniale e coloniale, non come altri

territori che subirono invece un pesante

sfruttamento. Così liberamente poterono

circolare anche le idee e culture diverse

vennero ben accolte e inglobate nel

tessuto sociale locale.

Le donne, che godevano di una parziale

emancipazione, giocarono un ruolo

chiave nella creazione del Kerala.

Qui si sviluppò una delle poche società

matrilineari, rare al mondo. Questo

ha contribuito a formare delle donne

autonome e con un forte senso di amor

proprio, caratteristiche passate

da generazione in generazione. Tutti

questi fattori hanno fatto sì che il Kerala

divenisse un luogo con alti tassi di

alfabetizzazione e istruzione, dove le

donne hanno un discreto ruolo sociale e

dove molti servizi sono comparabili a

quelli dell’occidente.

Il Kerala non è un’utopia. Non tutto

è perfetto. Dare la massima importanza

alla salute, all’istruzione pubblica e alle pari

opportunità implica un coinvolgimento

totale dello Stato che spesso porta a

grossi deficit economici. Il Kerala è

scarsamente industrializzato, nonostante

la presenza di risorse naturali.

Anche il tasso di disoccupazione è alto.

Molti keralesi emigrano nei paesi

medio-orientali o all’estero per lavorare.

Le entrate generate dai non residenti in

Kerala (NRK) contribuiscono fortemente

all’economia del paese.

La domanda sorge spontanea: questo

modello è sostenibile? Facciamo alcune

considerazioni su ciò che i keralesi

pensano della vita nella loro terra per

provare a dare una risposta. Il keralese è

soddisfatto dell’istruzione ricevuta,

soddisfatto del servizio sanitario a cui ha

diritto, contento dell’accesso

all’informazione e della possibilità di

partecipare a discussioni pubbliche, che

scaturiscono alla minima questione. Tutto

considerato si dice felice della vita, che

ritiene soddisfacente.

Per chi suda nei deserti, a chilometri di

distanza dai cari, forse la vita non è quello

che aveva desiderato, ma rimane il sogno

di rimpatriare un giorno e abitare nella

casa che costruisce con i risparmi,

nella propria fertile terra.

Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com 7

E’ vero: in patria alcuni sono disoccupati,

ma si trova sempre il modo di sopravvivere.

E’ vero: le statistiche indicano molta

povertà, ma non ci sono baraccopoli

e mendicanti. In molte case l’uomo

è ancora il padrone, tuttavia quasi mai una

ragazza viene disprezzata, né le viene

negato ciò che è dato a suo fratello.

Sicuramente il Kerala ha la sua buona dose

di problemi, ma può contare su eccellenti

risorse naturali e umane. Recentemente

è diventato una delle mete preferite

dal turismo. Sta anche facendo grandi

progressi nel settore dell’IT.

La di�erenza tra ricchi e poveri sta

aumentando leggermente, invece di

diminuire, ma non si può ignorare che

il numero dei poveri che non hanno

accesso ai servizi basilari sta scendendo

lentamente. La situazione non sembra così

malvagia, ancora decisamente salvabile. A

volte spendere non determina la qualità

della vita e i soldi non sono tutto.

Il keralese è soddisfatto dei

servizi forniti dal suo paese e

dei suoi diritti di cittadino.

Chi lavora nei deserti, lontano

da casa forse non è dello

stesso pensiero, però non ha

ancora smesso di sognare un

futuro migliore.

KERALA

TRIVANDRUM

8 Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com

Fra le economie emergenti del nuovo equilibrio mondiale, India e Cina giocano un ruolo da protagonisti. Mentre già dallo scorso anno c'è qualcuno che ipotizza un prossimo sorpasso dell’elefante indiano ai danni del dragone cinese, e mentre Pechi-no continua a crescere, proviamo a raf-frontare i dati economici di questi due paesi che, insieme, contano un Prodotto Interno Lordo di 15.753 miliardi di dollari,

mentre quello degli Stati Uniti è di 15.004 miliardi di dollari e quello dei paesi dell’Eurozona di 12,483 miliardi di dollari (dato 2010). Insomma, queste due poten-ze, insieme, sono grandi più degli Stati Uniti e l'Europa era già stata ampiamente superata nel 2010. Parlando della forza lavoro, l’India può contare su 478,3 milioni di persone attive, mentre la Cina su 780 milioni.

E se l’India ha dalla sua parte una popola-zione più giovane e qualificata (di�usissi-ma la conoscenza della lingua inglese), la Cina può contare su un maggiore sviluppo delle infrastrutture come i trasporti. Di�e-renze queste che si rilevano anche nella composizione del PIL dei due paesi: in India il 55,2 % è dato dai servizi, in Cina il 46,8% arriva dall’industria.

Crescita PIL dati in milioni di dollari

20093.760

20104.139

20113.760

20099.356

201010.340

201111.290

* *

I primi tablet sono arrivati sul mercato

indiano nel tardo 2010. Quasi nessuno

all’epoca immaginava di averne bisogno,

solo pochi addetti del settore erano

entusiasti e una ristrettissima minoranza li

acquistò. A pochi mesi di distanza la

situazione è cambiata. Nel corso del 2011

sono aumentate le vendite, anche se i

numeri non sono eccezionali (meno di

200.000), ma il tablet nella percezione

comune ha smesso di essere un futuristico

oggetto di lusso ed è diventato un utile, se

non necessario, computer portatile di

terza generazione dal prezzo abbordabile.

Alcuni dati sono significativi: il mancato

successo commerciale dei grandi marchi,

la crescita dell’o�erta dei tablet dal costo

contenuto e l’attenzione nata verso la loro

applicazione nel campo educativo (in

particolare per l’alfabetizzazione

informatica).

Hanno venduto poco i tablet delle grandi

firme dal costo che varia tra le 15000 e le

45000 rupie. Il motivo principale si può

ricercare nel prezzo, troppo alto per chi

non è convinto di avere davvero bisogno

di questo nuovo apparecchio che si

colloca a metà strada tra un portatile e

uno smartphone. Il secondo fattore

all’origine delle scarse vendite potrebbe

essere la strategia di marketing che ha

puntato su una ristretta fascia di

consumatori, già esperti o curiosi di

tecnologia, nella speranza che il nuovo

concetto di tablet filtrasse

automaticamente verso i non addetti. Ma

così non è stato: oltre ai blog e ai social

media una maggior presenza pubblicitaria

sui mass media tradizionali avrebbe forse

Ok il tablet è giustoTecnologia e prezzi contenuti per

uno strumento di informatizzazione

che sta conquistando l’India.

potuto spingere all’acquisto più persone,

non ancora emotivamente coinvolte dalle

campagne pubblicitarie sperimentali.

La seconda parte del 2011 ha visto

scendere in campo gruppi indiani, e non

solo, che hanno risposto all’innovazione

tecnologia con rapidità o�rendo prodotti

a prezzi contenuti. Alla fine dell’anno

erano circa una decina le compagnie ad

o�rire una trentina di modelli dal prezzo

compreso tra le 7 alle 15 mila rupie. Le

previsioni sono di un 2012 ricco di tablet

economici.

Il più importante contributo all’impiego

educativo dei tablet è stato Aakash

Ubislate 7: il tablet più economico al

mondo, 3000 rupie (meno di 45 euro) il

prezzo intero e 2500 rs quello ridotto per

gli studenti. Con il lancio del tablet il 5

ottobre 2011 il governo intendeva

promuovere e di�ondere la conoscenza

informatica e raggiungere anche chi, fino

a oggi, non poteva permettersi l’acquisto

di un computer.

L’India che crede nello sviluppo

economico come strumento per

combattere ataviche ineguaglianze sociali

deve convertire il vantaggio demografico

in riserva di conoscenza, fare acquisire ai

lavoratori non specializzati competenze

tecniche e informatiche che li rendano

competitivi sul mercato internazionale.

Aakash, progettato in India e prodotto da

Datawind, è un piccolo passo (c’è anche

chi sostiene inutile per via della limitatezza

e lentezza operativa dell’apparecchio) in

questa direzione.

Nelle due settimane dall’apertura delle

vendite, sono stati ordinati 1.400.000

Aakash. Così tanti da costringere la

Datawind ha aprire tre nuove sedi di

produzione (a Cochin, Noida e Hyderabad)

e produrre due versioni aggiornate e più

commerciabili, Ubislate 7+ e Ubislate 7C

(lanciati sul mercato il 26 aprile), per

rispondere alle richieste del mercato.

Se la tecnologia può davvero guidare

l’umanità verso un mondo migliore il

futuro dell’India si prevede roseo e quello

dei produttori di tablet prospero.

Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com 9

Il tablet più economico al

mondo è prodotto in India

e costa meno di 45 €

DO YOU SPEAK INDIA?

La moneta unica della Repubblica indiana

è la rupia, una sola moneta che passa

di tasca in tasca, di mano in mano

a milioni di persone dal nord, al sud,

dall’est all’ovest. Su ogni banconota c’è

la parola rupia scritta in 15 lingue,

con diversi alfabeti. Esiste la moneta unica,

ma non una sola lingua per l’India.

Le 15 lingue danno un’idea della ricchezza

e dalla grandezza del paese, ma sono

solamente una semplificazione della

babele linguistica del subcontinente.

La Costituzione indiana oggi riconosce

22 lingue principali (18 moderne e 4

classiche), che sono parlate dal 95,6%

della popolazione: il restante 4,4%

degli indiani comunica con altri idiomi.

Secondo il censimento del 2001 i cittadini

indiani parlano 122 lingue, che sono

il risultato del raggruppamento

delle 1500 diverse risposte alla domanda

"Qual è la tua lingua madre?".

A cosa si deve tutta questa ricchezza?

Certamente le dimensioni geografiche

contano, ma è soprattutto nella storia

che si deve cercare la risposta.

Tutte le lingue dell’India appartengono

a quattro famiglie linguistiche principali,

che riflettono la presenza di diversi gruppi

etnici: indo-ariane (74,3%), dravidiche

(23,9%), sino-tibetane (0,6%)

e austro-asiatiche (1,2%).

Dalla preistoria fino ai giorni nostri

le migrazioni di genti straniere giunte

nel subcontinente hanno contribuito

a creare il multietnico e multiculturale

panorama indiano, così diversificato

eppure unitario, sempre pronto a vedere

Non tutti sanno che esistono 22 lingue e 4 famiglie linguistiche nel subcontinente indiano.

Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com 11

le a�nità pur mantenendo le di�erenze.

Le lingue indoariane si ritiene siano giunte

in India con l'arrivo degli ariani verso

il 1500 a.C. La loro evoluzione più

prestigiosa è il sanscrito, la lingua perfetta

in cui si tramanda il sapere sacro.

Dalle prime lingue ariane, attraverso

le modifiche e gli adattamenti che

le popolazioni autoctone ne fecero,

derivano la maggior parte delle lingue

parlate attualmente nel nord e nel centro.

L’origine delle lingue dravidiche si

confonde nella nebbia della storia

e della leggenda.

I sostenitori del ceppo dravidico le

ritraggono come le lingue autoctone e ne

fanno un simbolo della cultura

meridionale, ra�nata e ricca già prima

dell’incontro con la cultura ariana

proveniente dal nord. E’ però probabile

che siano state popolazioni provenienti

dall’esterno a portarle sulle coste

meridionali dell’India. Le attuali lingue

dravidiche sono parlate negli stati

del Tamil Nadu, Andhra Pradesh, Karnataka

e Kerala. Il Tamil vanta una continuità

letteraria delle più antiche al mondo.

Le lingue austro-asiatiche sono parlate

quasi esclusivamente dai tribali in Orissa

e hanno caratteristiche in comune con

le lingue degli aborigeni australiani.

Le lingue sino-tibetane sono di�use

nelle zone del nord ovest, sul confine

con la Cina.

Nel tredicesimo secolo le invasioni

musulmane hanno portato l'arabo,

il turco e il persiano che, fondendosi con

le lingue locali hanno dato vita all'urdu,

parlata prevalentemente dai musulmani in

5 stati. Durante il periodo degli imperatori

moghul la lingua persiana divenne la

lingua di stato. L’ultima lingua straniera

ad arrivare in India è stato l’inglese.

Divenuta la lingua u�ciale dell’India nel

1837, l’inglese è ancora oggi una delle due

lingue u�ciali panindiane (l’altra è l’hindi)

e ha un ruolo prominente nella vita del

paese. Solo una piccola fetta della

popolazione è madrelingua inglese, ma

non esiste indiano che non usi un numero

discreto di parole inglesi nella lingua che

parla tutti i giorni.

Per le strade dell’India poliglotta

non esiste purismo linguistico, regna

ovunque la ricetta del masala (miscuglio):

prendi un discreto numero di parole della

tua lingua madre, aggiungi le parole della

lingua u�ciale più conveniente,

insaporisci con parole inglesi entrate

nel linguaggio comune (non importa se

non sai che sono inglesi) e decora con

chicche di parole di tendenza (solitamente

inglese, ma si presta bene anche l’italiano

o altro). Al bazar non è la valuta rupia che

conta, ma ciò che con essa si può

comprare, così come non importa la

lingua, ma i messaggi che si vogliono

comunicare.

FAMIGLIE

LINGUISTICHELINGUE

Assamese

Bengali

Gujarati

Hindi

Kannada

Kashmiri

Konkani

Malayalam

1,28%

8,12%

4,49%

41,09%

3,69%

0,54%

0,24%

3,22%

Manipuri

Marathi

Nepali

Oriya

Punjabi

Tamil

Telugu

0,14%

7,00%

0,28%

3,21%

2,83%

5,92%

7,21%

Indoariane

Drevidiche

Sinotibetane

Austroasiatiche

INDIA COMEINFORMAZIONI, CONSIGLI E ISTRUZIONI PER L'USO

Seduta su un autobus per Trivandrum

ripenso alla prima volta che ho

attraversato il Kerala. Guardo i paesaggi

sfilare davanti agli occhi e lascio fluire

ricordi e sensazioni.

Rivedo il tappeto dalle mille sfumature

di verde intravisto dall’aereo, attraversato

da fiumi serpenti argentati al sole. Fuori

dall’aeroporto l’aria calda e umida

e le palme onnipresenti, tante da dare

il nome allo stato: Kerala, secondo

un’etimologia incerta, significa la terra

del cocco. A un’ora di macchina c’è

Cochin, regina del mare arabico, porto

di scambi e commerci fin dall’antichità.

Il tra�co pesante e l’atmosfera caotica

non li avevo previsti. Ma in India, e forse

Cochin-Trivandrum: un viaggio a ritroso nel tempo

ovunque nel mondo, le cose belle devono

essere conquistate. Si deve coltivare l’arte

della pazienza e imparare a gustare

i sapori discordanti miscelati nello stesso

piatto, sforzandosi di apprezzare

il contributo di ciascun aroma.

Così si scopre il cuore della città,

la sua ininterrotta tradizione

all’accoglienza e al commercio. Il piano

urbanistico di Mattancherry, sulla penisola

di Kochi (nome indiano originario), con il

palazzo reale a confine tra il quartiere

ebraico e la zona coloniale portoghese

racconta la storia di un popolo che crede

nel rispetto degli altri, nella libertà di culto.

La chiesa di San Francesco, in Fort Cochin,

ha cambiato tre nomi, parla tre lingue

e conosce vizi e virtù dei portoghesi,

olandesi e inglesi che hanno abitato nelle

case dell’insediamento vicino al forte.

Le reti cinesi, una tecnica di pesca basata

sull’uso di contrappesi, testimoniano

che la perseveranza, la collaborazione

e un poco di arguzia possono garantire

la sopravvivenza, anche quando il mondo

attorno cambia velocemente. I pescatori,

organizzati in cooperative, non esitano

a farti vivere il passato permettendoti

di tirare corde o semplicemente posare

per una foto in bilico sulle palafitte,

combinando la pesca dei pesci a quella

delle mance per le foto. Petroliere

ed enormi navi da crociera entrano ed

escono dal porto, mentre pescatori tirano

le reti e al mercato del pesce prosperano

generazioni di gatti randagi, protetti

da uomini ba�uti.

Gioisco al pensiero del paradiso per il

cuore che sono le backwater di Alappuzha

(conosciuta anche come Alleppey) una

zona sotto il livello del mare dove tutta la

terra emersa è collegata da canali

e coltivata prevalentemente a riso.

Che meravigliosa sensazione la barca,

una bella casa galleggiante di legno

e bambù, che scivola silenziosa sull’acqua

dei pacifici canali. La carezza del volo non

curante di tantissimi uccelli che, anche se

non so riconoscere che martin pescatori

turchesi e cormorani ad asciugare le ali

al sole, sono sicura si stiano godendo

il riposo dopo un lungo viaggio.

Il tramonto sul lago di Vembanad, su cui

si a�accia Alleppey, fa parte della classifica

dei miei tramonti memorabili. Il lento e

sereno scandire del tempo per la gente

Ricordi di un Kerala che si deposita nella valigia da viaggio. Dall'abbraccio accogliente di Cochin, alla quiete delle backwater, fino alla capitale adagiata sui colli

14 Italy-India | India Come | italy-india.gruppozenit.com

che vive in tre metri di terra tra campo

di riso e canale cerco di custodirlo sempre

vivo nella mente per i momenti

d’irrequieta frenesia. Ricordo lo stupore

per gli strati di vegetazione che creano

la foresta salendo verso Thekkady sui Ghat

Occidentali, gli “Appennini” dell’India.

Malinconiche cime di alberi morti sono

i guardiani silenziosi del lago artificiale,

creato sul confine con il Tamil Nadu dagli

inglesi che sommersero una parte della

foresta e ne deforestarono un'altra parte

per coltivare il té.

Camminando sui sentieri del trekking

Suresh, la guida che mi accompagna

e discende dai tribali che hanno abitato

nella foresta fino qualche anno fa,

mi ha indicato il nome delle piante

in malayalam, inglese e latino.

Ho imparato che gli elefanti sono

pericolosi e che i bisonti scappano al click

Le case a ridosso del protettivo palazzo del re

di Cochin, oggi trasformate in negozi

leggero di una macchina fotografica. In un

giardino di spezie ho odorato la noce

moscata (le cui foglie profumano come

il frutto) e mi sono stati rivelati i segreti

delle spezie, primo tra tutte quelli del

pepe, l’oro nero che fece arrivare persino

i romani su questi monti.

Poi giù, oltre le colline ricoperte di alberi

della gomma, con il liquido bianco

gommoso che lacrima lungo i tronchi, la

capitale dello stato: Thiruvananthapuram.

“Come fa una città ad avere un nome così

lungo” è stato il pensiero balenato nella

mente leggendo il cartello lungo la strada.

Gli inglesi per risolvere la questione

la chiamarono Trivandrum, ma il nome

originale è pregno di significato: la città

del serpente infinito, su cui giace il dio

Vishnu prima che si manifestasse

il mondo. Per una terra che la leggenda

vuole emersa dal mare, la capitale

non potrebbe avere nome migliore.

La sensazione che ricordo maggiormente

è un piacevole disorientamento. Un sali

e scendi di piccole strade e spaziosi viali

alberati sui sette verdeggianti colli che

sono la città. Anche se la parte u�ciale,

con gli u�ci governativi e la dimora del re

(senza corona) mi hanno colpito

per l’ordine e la pulizia, con architetture

coloniali armoniche, a dare anima

a Trivandrum è il centro storico raccolto

tra mura di granito con il tempio

di Padmanabhasvami che ne è il cuore

pulsante. La fervente attività della gente

che riempie i vicoli e si riversa nei negozi

del vecchio mercato di Chalai, disteso

davanti alla grande porta d’ingresso

del centro religioso più ricco dell’India,

se non del mondo.

Rammento il desiderio di distendermi

sulla spiaggia balneare di Kovalam, la più

famosa del Kerala. Il piacere di stare

su una terrazza, con il campo visivo che

si allarga sull’oceano contenuto tra il faro

e il molo di scogli a sorseggiare una bibita

ghiacciata e chiacchierare con turisti,

e non solo, di ogni parte del mondo.

Così come è piacevole il ricordo

di giornate iniziate con un massaggio

ayurvedico e pomeriggi cullati

su un’amaca all’ombra, dedicati

alla lettura.

L'autobus di paese in paese, è arrivato

a destinazione mentre si susseguivano

le tappe del mio pensiero. Il viaggio non

era finito allora, ero scesa fino alla punta

dell'India baciata da tre mari, e ancora

oggi la valigia è sempre a portata di mano,

per la prossima partenza.

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Nella pagina accanto il quartiere ebraico

Una porta in stile coloniale tipico

dell’insediamento di Fort Cochin

Sopra da sinistra verso destra

Le reti cinesi che si stagliano tra l’oceano

e la baia del porto›

Trasporto di fieno su una barca piatta dopo

la raccolta del riso›

Si deve coltivare l’arte della pazienza e imparare a gustare i sapori discordanti

L'Hastyayurveda, un antico trattato scientifico svela questo e altri segreti dell'animale più amato dell' India.

Nella leggendaria primavera del mondo gli elefanti avevano

le ali e volavano nel cielo. Erano la progenie dei primi otto

elefanti maschi, nati dalla metà destra del guscio dell’uovo

primordiale e delle prime otto femmine, generate dalla

parte sinistra. Avevano il potere magico di creare le nuvole

e come le nubi del cielo potevano cambiare forma. Ma un

giorno alcuni pachidermi maldestri si posarono su un ramo

di un grande albero all’ombra del quale un saggio stava

tenendo lezione. Sotto il peso il legno si spezzò e molti

studenti morirono schiacciati, ma gli elefanti con sfrontata

indi�erenza semplicemente si appollaiarono su un altro

ramo. Il saggio si infuriò e maledisse le nuvole volanti a

perdere le ali e diventare semplici quadrupedi.

Da quel giorno gli elefanti camminano sulla terra ma, in

virtù della loro relazione con i fratelli celesti che generano la

pioggia e assicurano fertilità, hanno un ruolo importante

nella vita culturale dell’India.

Una delle immagini ricorrenti nelle case degli hindu è quella

di Gaja Lakshmi, dea della prosperità, tra due elefanti

bianchi. Le prime rappresentazioni di elefanti sono quelle

sui sigilli di una delle più antiche civiltà umane, la Civiltà

dell’Indo (circa 2500-1500 a.C). Sicuramente gli elefanti

erano addestrati ai tempi di Alessandro Magno, la cui

avanzata in India si dice sia stata bloccata proprio da un

esercito con elefanti (e forse anni dopo alcuni discendenti

degli elefanti indiani introdotti in Persia valicarono le Alpi

alla conquista di Roma sotto il comando di Annibale).

Molti monumenti religiosi (hindu, buddhisti e jaina) abbon-

dano di statue e rilievi di elefanti, metafora di stabilità, ma la

migliore fonte per avere informazioni dettagliate sul signifi-

cato simbolico e sulla funzione degli elefanti in India è

l’Hastyayurveda, la scienza della vita degli elefanti.

Questo antico ed esauriente trattato (7600 distici in versi e

diversi capitoli in prosa) vi informa su tutto quello che

PERCHÉ GLI ELEFANTI HANNO PERSO LE ALI

16 Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com

dovreste sapere se volete avere un elefante. Scopriamo che possederne uno era una

prerogativa del re e che erano catturati nelle foreste e poi addomesticati per scopi

militari o per trasportare il sovrano nelle parate.

Per scegliere un animale bisogna conoscere i segni di buon auspicio della sua fisiono-

mia, dettagliatamente enumerati nel testo. Il

colore degli occhi e lo sguardo riflettono la

sua natura, la lingua scura è segno di impre-

vedibilità. Le zanne più belle sono color

panna, lunghe, curvate verso l’alto e legger-

mente sporgenti verso l’esterno. 20 è il

numero ideale di unghie di un elefante

perfetto (come Airavata, l’elefante del re

degli dei Indra), 16 è la norma e meno di

questo numero può essere causa di proble-

mi. La pelle deve essere scura, come le rocce

sotto la pioggia. La coda deve arrivare alle caviglie, senza

toccare terra. Il carattere buono e docile si legge nel porta-

mento: sguardo fiero, testa alta, schiena curva verso il basso

e zampe diritte, saldamente posate a terra. Se da una stessa

radice crescono più ciglia o peli si ritiene che l’elefante vivrà

a lungo.

Andando in India incontrare un elefante (in catene) è

abbastanza comune, riconoscere il carattere del pachider-

ma potrà aiutarvi a decidere a che distanza tenervi, ma gli

elefanti sono grossi e per natura selvatici. Meglio non

esagerare con la vicinanza se non in presenza di un mahout

(conduttore e addestratore) esperto e a�dabile.

Italy-India | India Cosa | italy-india.gruppozenit.com 17

I segni di buon auspicio

L’aspetto: la testa alta, lo sguardo fiero e la schiena bassa e arcuata

Le zampe si posano saldamente a terra e sono dritte

Gli occhi sono color miele. Lo sguardo è mobile

Le orecchie sono grandi

Le zanne sono bianco panna curvate verso l’alto

La proboscide è carnosa larga e lunga. La punta è robusta e a forma di triangolo

Il corpo è lungo, con lo stomaco sempre rotondeggiante

La coda è dritta e pelosa. Arriva a toccare le caviglie ma non la terra

Le unghie, 18 in tutto, sono pronunciate, lisce e non spezzate

La pelle è scura come l’inchiostro

A causa di una maledizionegli elefanti persero la capacità di volare ma non il loro ruolo importante nella vita culturale dell'India.

(di�dare di un elefante con lo sguardo fisso)

Onam: una specie di Natale

Nata in Kerala come festa per il nuovo raccolto, da festeggiare tra fine agosto e inizio settembre, oggi Onam si è trasfor-mata nella celebrazione del benessere. Si compra ogni sorta di regalo, ci sono spe-ciali saldi e commercialmente è il momen-to del lancio di nuovi prodotti. Onam coin-volge appassionatamente tutti, donne e bambini, giovani e vecchi di qualsiasi credo e religione. Gli enormi alberi di mimosa che fiancheggiano le strade principali della città di Trivandrum si illuminano di milioni di lucine colorate, come tanti enormi alberi di Natale e il cuore ridiventa bambino. I nostri u�ci in Technopark non sono di certo da meno. Dopo la notte dedicata alla preparazione dei petali e la mattinata alla creazione dell’athapoo si sentono i primi battiti di tamburi e cimbali. L’aria profuma d’incenso e di fiori, sono soprattutto i gelsomini tra i capelli delle donne in abito tradizionale a emanare un odore fresco e pulito. Dopo la cerimonia con il fuoco e i prodotti tipici di questa terra che ci si augu-ra continuino a prodursi in abbondanza, siamo pronti a partire per andare all’Isola di Cocco, un incantevole resort sul mare. All’arrivo siamo accolti dai movimenti dinoccolati dell’uomo tigre, pulikali.

In seguito le ragazze dell’e-team ci regala-no la tradizionale danza di Onam, il thiru-vathirakali, muovendosi leggere in cerchio, dimentiche delle ore extra passate in u�cio ogni settimana per imparare i passi. Improvvisamente arriva maestoso e regale il mitico Mahabali, che elargisce benedizio-ni e sorrisi. Il suo arrivo è accolto dai tam-buri e dalle incitazioni vittoriose della squa-dra upperi. Nel pomeriggio infatti ci saran-no giochi organizzati da uno speciale comitato volontario. Le diverse squadre si a�ronteranno in una serie di gare, diver-

tenti e coinvolgenti. La tifoseria è accanita e non mancano scontri e appelli ai giudici di gara. Il gioco è preso molto seriamente, gli ingegneri informatici e gli sviluppatori da queste parti sanno decisamente tornare bambini!

È l’ora di pranzo e ci sediamo a tavola a godere del momento fulcro della festa: l’onasadya, il pranzo tradizionale costituito da almeno 11 alimenti e servito su foglie di banana. Il cibo è delizioso e il dolce finale, il payasam fatto con latte bollito, zucchero di canna e riso è squisito. Naturalmente non esistono forchette e cucchiaini sulla tavola, il cibo deve essere rigorosamente assaporato direttamente dalle mani!La giornata volge al termine verso sera con il caratteristico gioco di Onam: il tiro alla fune. I ragazzi si a�rontano con molta serietà, trasformandosi in determinati guerrieri. Questo è un momento solenne, dove forza e gioco di squadra sono messi alla prova. Per l’occasione si ingaggiano persino un arbitro e due assistenti esterni.

Si arriva alla finale con qualche ferito costretto a ritirarsi e alla fine il tanto ago-gnato trofeo, un casco di banane, viene consegnato alla squadra vincente!È finita la festa. Domani tutti in u�cio per iniziare un nuovo anno di lavoro, di colla-borazione e, ci si augura, di buona fortu-na.

Il Technopark festeggia la ricorrenza più sentita in tutto il Kerala.

18 Italy-India | India Come | italy-india.gruppozenit.com

STORIERACCONTIE SENSAZIONI

INDIA CULT

Arun ha 18 anni, abita nella verdeggiante

periferia di Trivandrum, studia ingegneria,

ama indossare jeans e magliette, ascoltare

musica e vedere film. Come molti suoi co-

etanei è religioso, è hindu con una devo-

zione particolare per il dio Murugan, pri-

mogenito di Shiva, il dio preferito dall’inte-

ra famiglia.

In onore di Murugan, conosciuto anche

come Subramanya, tra gennaio e febbraio

si celebra la festa di Thaipuya (Thaipusam

in Tamil Nadu, regione di origine). Tutta la

famiglia festeggia l’occasione. Arun ha

una speciale relazione con il dio Murugan

e sono ormai anni che partecipa attiva-

mente alla processione del kavadi, duran-

te la quale si danza forsennatamente por-

tando o�erte al dio lungo un percorso di

4-5 chilometri. Esistono molte forme di

doni: delicate brocche di latte, archi di le-

gno appoggiati sulle spalle, su cui si im-

piantano alti pinnacoli fioriti che ricordano

i tetti dei templi o vel, frecce metalliche

che perforano da parte a parte le guance e

la lingua. Si crede che

maggiore sia il dolore e

la di�coltà della prova,

maggiore sia la possibi-

lità di arrivare a dio. Arun

pratica il vel kavadi e lo

fa con totale fede e

chiari intenti.

“Dopo il matrimonio i fi-

gli non arrivavano” rac-

conta Kumar, il padre “abbiamo pregato

Murugan e o�erto vel kavadi e Arun è

nato”. Forse per questo al ragazzo sembra

una scelta naturale il kavadi. “Il primo è

stato quando era piccino” mi dice la mam-

ma piena di orgoglio mostrandomi un in-

giallito album di foto. Ho quasi paura a

guardare, ma la foto ritrae Arun bambino

senza frecce, con della polvere bianca

sulla fronte, il vibhuti, che si crede aiuti a

ra�reddare mente e corpo. Il vel kavadi è

arrivato solo qualche anno dopo e non ci

sono le foto. Ci sono invece quelle del

papà infilzato con una freccia di almeno

un metro di lunghezza, forse proprio

quella che ha fatto nasce-

re Arun.

Mi accorgo di fare fatica a

non giudicare, a tenere a

bada il pensiero logico e

razionale, coltivato dalla

società intorno a me fin

dalla nascita. Il loro insi-

stere sui dettagli cruenti

non è di molto aiuto. Devo tornare con il

pensiero al giorno in cui ho assistito a un

vel kavadi, con tanto di camminate sui

carboni ardenti davanti al tempio. La par-

tecipazione serena e spirituale della gente

attorno a me, bambini compresi, l’energia

vibrante che emanava dai “flagellanti” mi

avevano incuriosita e spinta a incontrare

Arun.

Perché un ragazzo giovane e istruito si

perfora? Come supera la paura del dolore

fisico e cosa prova? “Ogni volta l’ho fatto

per ottenere un favore e per ringraziare di

quello concessomi l’anno precedente”

spiega Arun senza alcuna esitazione.

“Inoltre” sostiene “non si prova dolore,

solo un bruciore nei giorni successivi. Non

si sanguina nemmeno e in molti casi la fe-

rita si rimargina senza lasciare traccia”. Alla

domanda "cosa si prova?" ha un attimo

d’incertezza, poi risponde che non lo sa,

non ricorda nulla di cosa succede dal mo-

mento che viene inserita la freccia fino a

quando il vel viene deposto davanti

all’idolo di Murugan. Però è soddisfatto

quanto tutto finisce, tanto da voler conti-

nuare ancora e passare la tradizione ai

figli.

Nel kavadi i devoti cadono in una sorta di

trance, in uno stato di alterazione di co-

scienza. Gli sguardi assenti che ho incro-

ciato la sera del Thaipuya confermano

questa ipotesi. Malignamente avevo pen-

sato all’e�etto di qualche sostanza ine-

briante, ma era un’ipotesi del tutto fuori

posto. Per arrivare a portare il kavadi biso-

Frecce nella carne, dio nel cuore:il kavadi

Il kavadi, il rituale tamil in cui frecce perforano il corpo, raccontato da un giovane devoto e dalla sua famiglia. Un tentativo di comprensione oltre i preconcetti culturali.

gna essere puri: seguire una rigida dieta

vegetariana per un certo periodo (che va-

ria a seconda dei templi da una settimana

a 42 giorni), astenersi da intercorsi sessua-

li, dormire per terra, non bere alcolici, non

consumare droghe e non fumare, il tutto

per tenere sotto controllo la mente. L’obi-

ettivo dell’intero processo è avvicinarsi a

dio, partecipare dell’energia divina. C’è

mortificazione della carne, ma non senso

di espiazione del peccato, concetto che

non appartiene alla filosofia hindu: si vuole

vivere un’intensa esperienza estatica, ca-

pace di trascendere i limiti del mondo fisi-

co.

“Sei giorni prima della festa ci trasferiamo

nel tempio, dove un maestro spirituale, lo

stesso che ci mette i vel, segue la nostra

preparazione e conduce i riti necessari. Il

giorno della festa, dopo l’abluzione sacra

e altre cerimonie, alcuni di noi sentono la

chiamata di Murugan e vanno dal guru

che li perfora. Se non hai la visione, forse

perché hai paura, il maestro sa quando sei

pronto. Se continui a non sentirtela, ad

avere dubbi, il maestro non ti chiama, ma

non mi è mai successo di vedere qualcuno

andarsene”.

Il festival si celebra in tutti i templi dove

Murugan è venerato, non solo in India.

Chiunque può prendere parte al rito, indi-

pendentemente dalla religione, ceto so-

ciale, nazionalità e genere, purché la mo-

tivazione sia forte. Il rito è stato anche no-

tato da rappresentanti della body art, che

considerano il proprio corpo e le sue ma-

nipolazioni una forma di arte totale. Que-

ste interpretazioni del kavadi stravolgono

l’idea di base del rito: l’o�erta a dio. Tutta-

via hanno in comune la convinzione che

attraverso stati alterati di percezione cor-

porea sia possibile esperire qualcosa di

fuori dal comune vivere quotidiano.

Esperienza possibile solo per i più intrepi-

di, protetti dal guerriero dio Murugan, che

dopo una gestazione turbolenta, a soli 6

giorni di vita sconfisse – proprio con una

freccia – il tremendo e indefesso demone

Taraka.

Maggiore è il dolore e la di�coltà della prova, maggiore è la possibilità di arrivare a dio

20 Italy-India | India Cult | italy-india.gruppozenit.com

Arun ha 18 anni, abita nella verdeggiante

periferia di Trivandrum, studia ingegneria,

ama indossare jeans e magliette, ascoltare

musica e vedere film. Come molti suoi co-

etanei è religioso, è hindu con una devo-

zione particolare per il dio Murugan, pri-

mogenito di Shiva, il dio preferito dall’inte-

ra famiglia.

In onore di Murugan, conosciuto anche

come Subramanya, tra gennaio e febbraio

si celebra la festa di Thaipuya (Thaipusam

in Tamil Nadu, regione di origine). Tutta la

famiglia festeggia l’occasione. Arun ha

una speciale relazione con il dio Murugan

e sono ormai anni che partecipa attiva-

mente alla processione del kavadi, duran-

te la quale si danza forsennatamente por-

tando o�erte al dio lungo un percorso di

4-5 chilometri. Esistono molte forme di

doni: delicate brocche di latte, archi di le-

gno appoggiati sulle spalle, su cui si im-

piantano alti pinnacoli fioriti che ricordano

i tetti dei templi o vel, frecce metalliche

che perforano da parte a parte le guance e

la lingua. Si crede che

maggiore sia il dolore e

la di�coltà della prova,

maggiore sia la possibi-

lità di arrivare a dio. Arun

pratica il vel kavadi e lo

fa con totale fede e

chiari intenti.

“Dopo il matrimonio i fi-

gli non arrivavano” rac-

conta Kumar, il padre “abbiamo pregato

Murugan e o�erto vel kavadi e Arun è

nato”. Forse per questo al ragazzo sembra

una scelta naturale il kavadi. “Il primo è

stato quando era piccino” mi dice la mam-

ma piena di orgoglio mostrandomi un in-

giallito album di foto. Ho quasi paura a

guardare, ma la foto ritrae Arun bambino

senza frecce, con della polvere bianca

sulla fronte, il vibhuti, che si crede aiuti a

ra�reddare mente e corpo. Il vel kavadi è

arrivato solo qualche anno dopo e non ci

sono le foto. Ci sono invece quelle del

papà infilzato con una freccia di almeno

un metro di lunghezza, forse proprio

quella che ha fatto nasce-

re Arun.

Mi accorgo di fare fatica a

non giudicare, a tenere a

bada il pensiero logico e

razionale, coltivato dalla

società intorno a me fin

dalla nascita. Il loro insi-

stere sui dettagli cruenti

non è di molto aiuto. Devo tornare con il

pensiero al giorno in cui ho assistito a un

vel kavadi, con tanto di camminate sui

carboni ardenti davanti al tempio. La par-

tecipazione serena e spirituale della gente

attorno a me, bambini compresi, l’energia

vibrante che emanava dai “flagellanti” mi

avevano incuriosita e spinta a incontrare

Arun.

Perché un ragazzo giovane e istruito si

perfora? Come supera la paura del dolore

fisico e cosa prova? “Ogni volta l’ho fatto

per ottenere un favore e per ringraziare di

quello concessomi l’anno precedente”

spiega Arun senza alcuna esitazione.

“Inoltre” sostiene “non si prova dolore,

solo un bruciore nei giorni successivi. Non

si sanguina nemmeno e in molti casi la fe-

rita si rimargina senza lasciare traccia”. Alla

domanda "cosa si prova?" ha un attimo

d’incertezza, poi risponde che non lo sa,

non ricorda nulla di cosa succede dal mo-

mento che viene inserita la freccia fino a

quando il vel viene deposto davanti

all’idolo di Murugan. Però è soddisfatto

quanto tutto finisce, tanto da voler conti-

nuare ancora e passare la tradizione ai

figli.

Nel kavadi i devoti cadono in una sorta di

trance, in uno stato di alterazione di co-

scienza. Gli sguardi assenti che ho incro-

ciato la sera del Thaipuya confermano

questa ipotesi. Malignamente avevo pen-

sato all’e�etto di qualche sostanza ine-

briante, ma era un’ipotesi del tutto fuori

posto. Per arrivare a portare il kavadi biso-

gna essere puri: seguire una rigida dieta

vegetariana per un certo periodo (che va-

ria a seconda dei templi da una settimana

a 42 giorni), astenersi da intercorsi sessua-

li, dormire per terra, non bere alcolici, non

consumare droghe e non fumare, il tutto

per tenere sotto controllo la mente. L’obi-

ettivo dell’intero processo è avvicinarsi a

dio, partecipare dell’energia divina. C’è

mortificazione della carne, ma non senso

di espiazione del peccato, concetto che

non appartiene alla filosofia hindu: si vuole

vivere un’intensa esperienza estatica, ca-

pace di trascendere i limiti del mondo fisi-

co.

“Sei giorni prima della festa ci trasferiamo

nel tempio, dove un maestro spirituale, lo

stesso che ci mette i vel, segue la nostra

preparazione e conduce i riti necessari. Il

giorno della festa, dopo l’abluzione sacra

e altre cerimonie, alcuni di noi sentono la

chiamata di Murugan e vanno dal guru

che li perfora. Se non hai la visione, forse

perché hai paura, il maestro sa quando sei

pronto. Se continui a non sentirtela, ad

avere dubbi, il maestro non ti chiama, ma

non mi è mai successo di vedere qualcuno

andarsene”.

Il festival si celebra in tutti i templi dove

Murugan è venerato, non solo in India.

Chiunque può prendere parte al rito, indi-

pendentemente dalla religione, ceto so-

ciale, nazionalità e genere, purché la mo-

tivazione sia forte. Il rito è stato anche no-

tato da rappresentanti della body art, che

considerano il proprio corpo e le sue ma-

nipolazioni una forma di arte totale. Que-

ste interpretazioni del kavadi stravolgono

l’idea di base del rito: l’o�erta a dio. Tutta-

via hanno in comune la convinzione che

attraverso stati alterati di percezione cor-

porea sia possibile esperire qualcosa di

fuori dal comune vivere quotidiano.

Esperienza possibile solo per i più intrepi-

di, protetti dal guerriero dio Murugan, che

dopo una gestazione turbolenta, a soli 6

giorni di vita sconfisse – proprio con una

freccia – il tremendo e indefesso demone

Taraka.

I DEVOTI CADONO

IN UNA SORTA DI TRANCE,

DI ALTERAZIONE DI COSCIENZA,

SENZA NESSUNA SOSTANZA

INEBRIANTE, PERCHÉ PER ARRIVARE

A PORTARE IL KAVADI

BISOGNA ESSERE PURI

E SOSTENERE UNA LUNGA

PREPARAZIONE.

Foto da sinistra verso destra

Il maestro spirituale benedice un devoto dopo la perforazione con la freccia del dio Subramanya

Un devoto con le o�erte procede in processione verso il tempio

Momento della celebrazione per Subramanya

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La biblioteca dei manoscritti dell’università del Kerala a Trivandrum è un tempio della cultura che custodisce il sapere tramandato per secoli su fragili foglie di palma. Tra i suoi molti tesori in sanscrito, tamil e malayalam vi è un raro gioiello: il Citraramayana, 98 foglie di palma che illustrano la popolare storia di Rama, settima incarnazione del dio Vishnu. Oggi, grazie ai lavori di ricerca e conservazione dell’Oriental Research Institute and Manuscript Library, esiste un avatar cartaceo dell’epico graphic novel creato nel 1453: il Ramayana in Palm Leaf Pictures: Citraramayana pubblicato e curato dal Dr.K.Vijayan nel 1997.

LA STORIAVishnu ha dieci avatar che si manifestano ogni qualvolta l’equilibrio dell’universo è pericolosamente sbilanciato verso il male. Rama nasce con la missione di sconfiggere Ravana, il re dei rakshasa (orchi-demoni) che regna sull’isola di Lanka. Si incarna come principe legittimo, figlio del re di Ayodhya, Dasaratha. Perché il suo destino si compia, è costretto a rinunciare alla corona e ad andare in esilio nella foresta con la fedele moglie Sita e il fratello Lakshmana. Nella giungla approfitta del tempo per ripulire la selva dai demoni che ci abitano. Un giorno

Ravana scorge la bella Sita e se ne innamora follemente. Non riuscendo a sedurla con la galanteria, la rapisce e la tiene prigioniera in Lanka, nella vana speranza che la donna, sempre casta, ceda alle sue lusinghe. Rama scende verso il sud dell’India, si allea con il re delle scimmie e, grazie al preziosissimo aiuto del dio

scimmia Hanuman, sferra l’attacco al nemico Ravana nella sua stessa terra. L’interminabile battaglia vede cadere ad uno ad uno tutti i cattivi, e qualche scimmia. Ravana, segnato dal destino fin dalla nascita, è ucciso e Rama torna con Sita ad Ayodhya, dove è incoronato re.

IL LIBRONel libro Ramayana in Palm Leaf Pictures le vicende del dio-eroe sono illustrate in 318 immagini, ognuna accompagnata da una linea di descrizione e talvolta da un commento. In appendice l’editore riporta il numero della foglia del Citraramayana da cui ogni episodio è tratto e indica il probabile passaggio del poema sanscrito a cui l’autore del manoscritto potrebbe essersi ispirato. Nel XV secolo esistevano, scopriamo nell’introduzione, due versioni in sanscrito dell’epica: il Ramayana di Valmiki, in cui Rama è trattato più come un eroe che come un dio, e l’Adhyathmaramayana dove invece il principe è deificato. Entrambi sono compilazioni che traggono materiale da centinaia di poemi e ballate trasmesse per secoli oralmente da bardi e sacerdoti. Un fertile incontro tra cultura popolare e alta, epica marziale e religione.L’autore del Citraramayana, che non ha firmato l’opera ma ha celato le sue indicazioni biografiche in una stanza sul retro dell’ultima foglia, ha disegnato con mano sicura e uno stilo di ferro la sua versione della storia, attingendo talvolta ai poemi classici, altre a racconti popolari o alla propria immaginazione (i costumi ricordano quelli dei dipinti murali del Kerala e quelli degli

CITRARAMAYANA

L’ANTICA GRAPHIC EPIC NOVEL SU FOGLIE DI PALMA

Italy-India | India Cult | italy-india.gruppozenit.com 23

attori del Kathakali).Grazie all’instancabile lavoro di ricerca e conservazione della Manuscript Library, creata nel lontano 1908 dal re di Trivandrum Sri Mulam Thirunal, il professore di sancrito e ex direttore dell’Istituto il dr. K.Vijayan ha potuto consegnare al mondo la sua edizione con foto a colori, piacevolmente accessibile anche a chi non conosca le lingue indiane.

Sentitevi liberi di leggere la nostra versione in galleria, di ascoltare le storie che le immagini del Citraramayana vi raccontano, integrandole con il libro originale se vorrete. Tendete le orecchie per ascoltare altre narrazioni ancora (un consiglio: Sita sings the Blues). Siate liberi di scegliere come intrecciare i vostri fili e iniziare ancora un'altra volta a raccontare: C’era una volta Rama…

Image CourtesyRAMAYANA IN PALM LEAVES | CITRAMAYANA

Edited by Dr. K. Vijayan

ORIENTAL RESEARCH INSTITUTE & MANUSCRIPT LIBRARYUniversity of Kerala, Thiruvananthapuram

GRAPHIC NOVEL VERSION FOR ITALY-INDIA MAGAZINE

Bhrighu Samita: un database che ha tremila anni dove il futuro di ogni uomo è scritto sulle foglie di palma.

Nell’India tradizionale hindu ci sono cose

che non vanno dimenticate, ci sono

informazioni che è indispensabile cercare

e conoscere. La posizione dei pianeti al

momento della nascita e l’albero

genealogico della propria famiglia sono

dati fondamentali per trovare il giusto

posto nel mondo. L’importanza attribuita a

queste informazioni ha dato vita, quando

ancora non esistevano i computer e i libri

di carta stampata, a database straordinari

per l’ampiezza dei dati raccolti e la facilità

di accesso. Il Bhrigu Samhita ne è un

esempio.

Il Bhrigu Samhita è un trattato di astrologia

che raccoglie 500.000 oroscopi e o�re un

numero infinito di informazioni su uomini

ed eventi. Partendo dai dati registrati, gli

astrologi possono tracciare l’oroscopo di

45 milioni di persone. La compilazione di

questa enorme banca dati è iniziata in

epoca vedica, tremila anni fa.

Secondo la leggenda fu il mitico saggio

Bhrigu l’autore del trattato che avrebbe

dovuto aiutare l’umanità a sgravarsi delle

preoccupazioni contingenti per dedicarsi

con maggior concentrazione alla ricerca

spirituale. Nella notte dei tempi Bhrigu, in

virtù della grande saggezza, fu incaricato

di giudicare chi fosse il dio più grande

della triade hindu (Brahma, VIshnu e

Shiva). Nel testare gli dei il saggio perse la

pazienza e colpì con un calcio il dio

Vishnu che dormiva incurante del suo

arrivo. Vishnu si svegliò e massaggiò il

piede contuso del saggio, ma la moglie

Lakshmi maledisse Bhrigu e tutti suoi

discendenti a vivere di stenti nonostante

tutta la conoscenza e la sapienza

Una banca dati su foglie di palma

acquisita. Bhrigu supplicò il perdono e la

dea infine si placò e smorzò la

maledizione insegnando al saggio la

scienza dell’astrologia, con la quale

prosperare. Quindi Bhrigu compose il

samhita.

Per la stesura del trattato gli autori (molto

probabilmente diverse menti nell’arco di

diversi secoli) hanno creato un database

enorme, avvalendosi di rigorosi metodi

statistici e sofisticati calcoli matematici. La

versione originale del Bhrigu Samhita non

esiste più, ma soprendente è la capillare

di�usione delle copie del manoscritto in

epoche passate. Con le invasioni

musulmane molti dei luoghi depositari

della cultura hindu andarono distrutti, ma

numerosi brahmani hanno copiato i testi

su foglie di palma, corteccia di alberi o

carta e li hanno tramandati di generazione

in generazione. Oggi ci sono in tutto il

Paese numerosi astrologi che sostengono

di possedere copie della collezione, più o

meno interamente, e praticano l'antica

arte della previsione del futuro. Diverse

versioni sono preservate nelle biblioteche

universitarie e private.

Si dice che se è scritto nel vostro destino,

potrete trovare la foglia di palma su cui

sono descritti il vostro passato, presente e

futuro. Il saggio Bhrigu conosceva infatti le

regole del karma, la legge di causa-e�etto

che fa raccogliere in una vita successiva i

frutti delle azioni e dei pensieri di una vita

precedente, e aveva previsto il vostro

arrivo. Per trovare il vostro oroscopo il

brahmano ha bisogno di sapere il vostro

nome, il luogo, la data e l’ora di nascita,

ma soprattutto è importante il momento

in cui entrate nel suo studio, che il saggio

aveva calcolato. C’è comunque la

possibilità che con il tempo la vostra

pagina sia andata distrutta, i vostri dati

persi e il futuro rimanga quindi

inscrutabile, almeno per gli astrologi vedici

di questa tradizione.

24 Italy-India | India Cult | italy-india.gruppozenit.com

Product strategist e direttore responsabileLaura Brenna

RedazioneSara Andreis

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Giulia Beneforti

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Creative supportArun Kumar R C

Hanno collaboratoFabio Bellan, Luca Petrini, Paolo Fizzotti, Gilda De vito

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Il culto dei serpenti è di�uso in tutta l’India ma in Kerala ci sono moltissimi sarpakavu, degli altari (kavu) dedicati ai serpenti (sarpa), sia in prossimità dei templi che nei giardini privati. Sono piattaforme rialzate, collocate tra una vegetazione selvaggia, una piccola foresta in miniatura che o�re rifugio a molti altri animali, su cui sono poste le statue di pietra dei serpenti, solita-mente ricoperte di curcuma gialla. Alcune hanno forma antro-pomorfa e altre rappresentano due serpenti intrecciati, il re e la regina dei naga, simili a quelle sulle insegne delle farmacie (simbolo che arriva dalla Mesopotamia, che con l’India antica aveva stretti rapporti). I naga sono divinità minori che abitano in paradisi acquatici, sul fondo di mari, fiumi e laghi, in palazzi di gemme e perle. Sono i guardiani dell’energia vitale che è custodita nelle sorgenti d’acqua, nei pozzi e negli stagni. Sono anche i guardiani delle ricchezze delle profondità della terra e del mare- coralli, conchiglie, perle e pietre dure. Hanno una preziosa gemma incastonata sulla fronte. Le principesse serpenti, famose per l’intelligenza e il fascino, sono le antenate mitologiche di nume-rose dinastie del sud. Si dice che il Kerala sia una terra così verde e fertile proprio grazie all’intervento dei naga.

In origine il Kerala era una terra sottomarina. Poi un giorno Parasurama, sesta incarnazione terrena del dio Vishnu, scagliò la magica ascia che aveva ricevuto in dono dal dio Shiva e tra i suoi piedi e il punto dove l’arma si inabissò emerse il Kerala. Parasu-rama, un brahmano che si sarebbe dovuto dedicare al sapere sacro, si era comportato con un guerriero per sconfiggere una

Come i serpenti portarono prosperità sulla terra

serie di re crudeli. Per espiare le sue colpe donò ai brahmani la nuova terra. I brahmani ringraziarono esultanti, ma la loro gioia non durò a lungo. Ben presto si accorsero che tutti i loro sforzi per coltivare la terra erano vani. Il suolo era arido e inerte, completamente bruciato dal sale marino che lo ricopriva. Fu allora che intervenne Vasuki, il re dei serpenti. Egli radunò tutti i suoi sudditi che abitavano negli abissi. Un esercito enorme risalì sulla superficie, leccò via il sale dalla terra e la irrigò con tutte le ricchezze del sottosuolo.

Se oggi il Kerala è una terra ricca è grazie ai serpenti, per questo il loro culto è popolare tra gli hindu keralesi. Inoltre ben quattro specie di serpenti velenosi prosperano da queste parti e il timore aggiunge ardore alle preghiere e idoli agli altari (per rassicurarmi la guardia mi ha detto che sono tendenzialmente i contadini le vittime preferite e la maggior parte delle morti è dovuta al fatto che non ci si rivolge subito a un medico, preferendo i guaritori tradizionali). Il serpente è come la terra di cui è custode: madre e tomba. C’è anche un importante tempio dedicato solo a loro a Mannarasala, dove si dice ci siano migliaia di serpenti divini e dove, caso unico in tutto il Kerala, a presiedere al culto è una donna. Ogni volta che passo vicino a un idolo naga ripenso alla rana e alle storie della guardia e alle molte altre che poi ho sentito e letto. Rivolgo un pensiero ai serpenti, ringraziandoli soprattutto per avere la gentilezza di mantenersi sempre a debita distanza e ripromettendomi di andare un giorno a visitare Mannarasala e la sacerdotessa.

Perché in Kerala, dove quattro specie di serpenti sono mortali, la gente li adora e li invitava a vivere nelle proprie case

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